Comunic E Processi Culturali

  • October 2019
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L'approccio fenomenologico allo studio della realtà sociale: alcune questioni metodologiche Approccio fenomenologico L'approccio fenomenologico rappresenta uno dei modelli sociologici importanti da considerare nell'ambito di studi sulla comunicazione.La Fenomenologia può essere definita come lo studio di ciò che appare: «ciò che si manifesta nei contenuti delle percezioni e della coscienza» (Cavicchia Scalamonti - Pecchinenda, 2001) restando costantemente in dubbio e riconsiderando tutto ciò che diamo per scontato. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta Edmund Husserl Edmund Husserl - 2

Epoché: metodo di riduzione sociologica •



Questo approccio si costruisce intorno ad alcune delle idee principali di Edmund Husserl (1859-1938), in particolar modo diventa centrale il suo metodo dell'epoché. Epochè: “messa tra parentesi” di tutto ciò che si conosce del mondo. Il metodo dell'epoché è un metodo di riduzione sociologica, basato sulla sospensione di tutte le nozioni si senso comune che ci accompagnano quotidianamente.

Intenzionalità della coscienza Un altro concetto espresso da Husserl, che trova spazio nell'ambito dell'approccio fenomenologico è quello di intenzionalità della coscienza: per poter comprendere a pieno l'esperienza umana, è necessario tener presente che ogni atto di coscienza è sempre riferito ad uno specifico oggetto.

Province finite di significato •



Secondo la prospettiva fenomenologica, la realtà si dissolve in una serie infinita di realtà multiple, che Alfred Schütz definisce province finite di significato: sotto-universi la cui realtà è definita dalle nostre esperienze. Dunque il senso della realtà si manifesta con diversi gradi e modalità in ogni sotto-universo e tra essi quello che ha il maggior potere di stimolo è il modo delle cose fisiche.

Considerazioni conclusive La lezione presenta in sintesi gli elementi principali dell’approccio fenomenologico allo studio della realtà sociale, con riferimenti particolari ad alcuni concetti elaborati da Edmund Husserl e Alfred Schütz.

Esteriorizzazione e Oggettivazione Il processo dialettico di costruzione sociale della realtà Secondo l'approccio fenomenologico la realtà sociale è il prodotto dell'interazione dialettica tra Individuo e società. La società è prodotto dell'attività umana, non esiste senza l'uomo. L'uomo acquisisce la propria identità all'interno della società, senza la quale dunque non può esistere. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta

I tre momenti del processo dialettico Uomo e società dunque si co-producono all’interno di un processo che dobbiamo immaginare come circolare. Questo processo dialettico consiste di tre momenti che vanno considerati congiuntamente: • • •

Esteriorizzazione Oggettivazione Interiorizzazione

Esteriorizzazione Per Esteriorizzazione, intendiamo quel processo mediante il quale l'uomo, per necessità antropologica, in quanto privo di un mondo adatto a sè, si riversa nel mondo costruendo la realtà più adatta alla propria esistenza, sia tramite attività fisiche che attività mentali. Frutto di questa attività di costruzione del cosiddetto mondo-uomo è la cultura.

Oggettivazione Con il termine oggettivazione intendiamo quel processo attraverso cui, la cultura, la realtà costruita attraverso l'attività umana, acquisisce un'esistenza al di là dell'uomo; una volta realizzata, tale realtà, si pone di fronte ai suoi produttori come un dato esterno, oggettivo. Tale oggettività, chiaramente, non riguarda unicamente gli elementi materiali ma anche quelli non materiali, come le idee o le ideologie.

Considerazioni conclusive Nella lezione viene descritto il processo di costruzione sociale della realtà, processo attraverso cui individuo e società si co-producono. Tale processo viene descritto come circolare e costituito da tre momenti quali: l’esteriorizzazione, l’oggettivazione e l’interiorizzazione. I tre momenti non vanno considerati in successione cronologica, ma congiutamente.

l processo dialettico Interiorizzazione Il processo di interiorizzazione rappresenta il terzo momento del processo di interazione dialettica tra individuo e società. Esso permette all'uomo di riappropriarsi degli elementi del mondo oggettivato, trasformandoli in fenomeni della propria coscienza che verranno distinti dai fenomeni

della realtà esterna: la realtà costruita viene ri-trasformata in una struttura della coscienza. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta

Il processo di Socializzazione Uno dei problemi che una società si trova a dover affrontare riguarda la trasmissione dei suoi significati che sono stati oggettivati, attraverso le generazioni. Questa tipologia di problemi viene gestita attraverso il processo della socializzazione, grazie al quale una società trasmette i contenuti fondamentali della cultura da essa prodotta ovvero i significati che sono stati prodotti e oggettivati.

Scopo della socializzazione Scopo della socializzazione è dunque quello di creare una simmetria tra la realtà oggettiva e la realtà soggettiva. Quando l'individuo fa suoi i significati trasmessi dalla società, egli sarà in grado di dare un ordine soggettivo alla propria esperienza: gli elementi della sua passata esperienza verranno integrati nell'ordine societario.

Situazioni marginali La costruzione dell'ordine ha, inoltre, l'importante funzione di proteggere gli individui da situazioni che potrebbero comportare la perdita di significato, si pensi alle cosiddette situazioni marginali, situazioni ai margini della realtà stabilita che creano dubbi sulla consistenza della realtà stessa, minando così i presupposti dell'ordine.Il processo di socializzazione ha successo quando porta gli individui ad accettare i fondamentali significati della società, convincendosi che essi siano immutabili.

Considerazioni conclusive Nella lezione vengono descritti i processi di interiorizzazione e socializzazione, completando così il processo dialettico attraverso cui viene costruita la realtà sociale. Un ultimo riferimento al processo di socializzazione attraverso cui gli individui accettano i fondamentali significati della società, considerandoli immutabili.

Il determinismo tecnologico (approfondimento) Una definizione Nella storia degli studi sulla comunicazione, fin dai primi tempi, si incontrano due opposte tendenze: • •

Il determinismo sociale, che pone alla base della nascita delle nuove tecnologie, la spinta sociale, ovvero l’insieme delle necessità umane; Il determinismo tecnologico, che invece porta avanti l’idea che la tecnologia sia la sola

causa delle più evidenti trasformazioni della nostra società.

Il determinismo tecnologico Il pioniere Lo storico dell’economia Harold Innis, fondatore della Scuola di Toronto, è uno tra i primi studiosi che possiamo citare per comprendere a pieno il determinismo tecnologico. Sul finire degli anni Trenta, durante i suoi studi sul commercio del legname e della cellulosa, Innis dedusse che senza la carta, e di conseguenza senza giornali, libri, ecc..., mai sarebbe potuta nascere l’economia contem-poranea. Tra tutti gli staples, cioè prodotti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’economia, la carta sembra essere per la società moderna il principale. Partendo da questa considerazione Innis cominciò a dedicarsi allo studio di come, i vari supporti della comunicazione, avessero avuto un peso determinate nella nascita di diverse formi di organizzazione economica e politica. Innis riteneva che le forme e i mezzi, caratteristici di varie epoche storiche, attraverso cui la conoscenza veniva diffusa, andavano a costituire la base delle relazioni sociali ed economiche tra gli individui

Spazio e Tempo Forme e mezzi di comunicazione, tendono ad agire sulle dimensioni dello spazio e del tempo, differenziandosi per una maggiore propensione per l’una o l’altra dimensione e determinando in questo modo la tipologia di Imperi che si sono succeduti nel tempo

Il determinismo tecnologico Media che enfatizzano il tempo •

solitamente costituiti da materiali pesanti e difficili da trasportare, quindi non permettono un’agevole circolazione delle informazioni favorendo l’accentramento del sapere così come del potere e di conseguenza i monopoli ecclesiastici.

Media che enfatizzano lo spazio •

costituiti da materiali leggeri che permettono una rapida circolazione delle notizie su aree anche abbastanza estese, favoriscono la nascita di organizzazioni burocratiche

Tavoletta di argilla

Rotolo di papiro Esempio L’Impero romano, essendo molto esteso, necessitava di un sistema di trasporto e di comunicazione efficace. Il potere, civile e profano, si fondò su un particolare medium leggero, il papiro, che garantiva una rapida circolazione delle informazioni e permise ai romani di avere un grande controllo degli spazi. Ma non riuscirono altrettanto bene a controllare il tempo, cosa che invece fecero i primi predicatori cristiani attraverso l’uso della pergamena, mezzo non solo più economico, ma anche più durevole. Tutto ciò incrinò il potere dell’impero romano. Un’altra nozione importante introdotta dallo studioso canadese è quella di bias, che sta ad indicare le proprietà specifiche del mezzo di comunicazione. La nozione di bias indica allo stesso tempo un’influenza deformante e un pregiudizio. Influenza deformante •

nel momento in cui all’interno di una civiltà verrà adottato un particolare mezzo di comunicazione, la tendenza di quest’ultimo a favore dello spazio o del tempo, influenzerà la struttura della civiltà stessa.

Pregiudizio •

influenzando l’organizzazione di una civiltà, i mezzi di comunicazione influenzeranno anche i sistemi di pensiero, ciò non permetterà di conoscere oggettivamente altre civiltà, dominate da altri media, svincolandosi dal potere esercitato dai mezzi di comunicazione adottati.

M. McLuhan e la teoria generale dei media Marshall McLuhan Nell’ambito della riflessione sui media, la figura dello studioso canadese Marshall McLuhan, rappresenta certamente una delle più importanti, avendo egli elaborato quella che viene considerata la più famosa teoria generale sui media. Il suo pensiero può essere inserito nell’ambito di quella corrente definita determinismo tecnologico; egli infatti riteneva che le innovazioni tecnologiche che si impongono in alcuni periodi storici, avessero avuto un ruolo fondamentale nell’orientare le componenti principali della società stessa.

Il medium è il messaggio E’ evidente che la teoria elaborata da McLuhan sia debitrice dei precedenti lavori di Harold Innis, i due studiosi sono accomunati dall’idea che il medium sia il messaggio: ciò che entrambi ritenevano importante studiare, non era tanto il contenuto della comunicazione, quanto il mezzo, la tecnologia, che veicola i messaggi, ritenuto in grado di plasmare il modo di percepire e pensare il mondo. Risorse:

Intervista a McLuhan su Playboy

La nascita dell’uomo tipografico In una delle sue opere più famose, La Galassia Gutenberg, lo studioso canadese ricostruisce la storia dell’umanità mostrando come, le tecnologie della comunicazione, abbiano avuto un ruolo determinante nella strutturazione dell’organizzazione sia sociale che psicologica degli uomini. In particolare McLuhan descrive la nascita del cosiddetto uomo tipografico, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra l’invenzione di Gutenberg, la stampa a caratteri mobili, e l’affermazione, nel periodo che va dal 1500 e il 1900, della civiltà moderna nell’Europa occidentale. Risorse: McLuhan, un umanista nel villaggio globale. Un’intervista a Giampiero Gamaleri

I media come estensioni dei sensi Quella che emerge nell’opera è una grande separazione tra la civiltà orale, dove la parola garantiva il primato del senso dell’udito, e il mondo della scrittura e della stampa, medium ripetibile, lineare e uniforme che distrugge l’ordine tribale. I media, dunque, secondo McLuhan sarebbero delle estensioni dei sensi dell’uomo e ciascun mezzo nel momento in cui estende un senso, comporta un vero e proprio assopimento degli altri, alterando così l’equilibrio sensoriale

Media caldi e media freddi McLuhan ci offre a tal proposito, una distinzione tra: •



Media caldi: Espressione con cui vengono definiti quei che estendendo un unico senso fino a colmarlo di dati, non richiede all’individuo di completare il messaggio, determinando quindi un basso livello di partecipazione, esempio di medium caldo è la radio. Media freddi: Con cui vengono definiti quei mezzi che, contrariamente ai primi, sono mezzi a bassa definizione, che non forniscono informazioni molto dettagliate e richiedono la partecipazione dei sensi dell’individuo ricevente; esempio di medium freddo è il telefono.

Periodizzazione Ora, nell’opera di McLuhan possiamo individuare la suddivisione della storia umana in quattro periodi, ognuno dei quali vede l’introduzione e l’affermazione di una tecnologia della comunicazione e un relativo squilibrio sensoriale. • • • •

Periodo tribale Età della scrittura Età della stampa Età dei mezzi elettronici

Periodo tribale Definito anche età orale, in quanto il medium per eccellenza è la parola, questo periodo vede un mondo chiuso, dove i sensi sono simultanei ed in equilibrio tra loro, dove gli uomini vivono in uno spazio essenzialmente acustico e dove la società presenta un’organizzazione di tipo tribale, caratterizzata dalla partecipazione intensa alla vita comunitaria.

Età della scrittura In questo periodo, a seguito dell’avvento della scrittura fonetica, viene rotto l’equilibrio sensoriale del momento tribale. In questa fase infatti si afferma il predominio della vista e uno spostamento da una percezione acustica ad una visiva; l’alfabeto scioglie il legame tra il segno e il suono e determina un modo di pensare astratto, lineare, analitico che non richiama più il livello di coinvolgimento riscontrabile in una comunità orale

Età della stampa Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, si compie definitivamente quello squilibrio sensoriale iniziato nella fase precedente. Se nell’età orale la percezione era globale e simultanea, nella fase della stampa essa diventa a tutti gli effetti lineare e sequenziale, l’uomo diventa quello che McLuhan definisce uomo tipografico, il cui processo di formazione risulta essere individualistico e razionale. In altre parole i caratteri dell’età tipografica, ovvero la continuità, la linearità e l’uniformità, condizionano l’intero mondo mentale e sociale dell’individuo.

M. McLuhan e la teoria generale dei media Le conseguenze dell’invenzione di Gutenberg si sentono in tutti gli ambiti della società, tanto che nell’idea dello studioso canadese, ciascun fenomeno della civiltà moderna può essere attribuito ad essa: l’avvento della prospettiva, il sorgere dei nazionalismi, l’affermazione del metodo sperimentale nelle scienze. Età dei mezzi elettronici Il periodo tipografico vedrà il suo declino nel momento in cui verranno introdotti i media elettronici. Le nuove tecnologie, a partire dal telegrafo fino ad arrivare alla televisione, avrebbero spostato nuovamente l’equilibrio sensoriale verso il senso dell’udito, determinando una percezione del mondo ancora una volta simultanea ed acustica, ecco perché si parla di ri-tribalizzazione. Ci troveremmo, secondo McLuhan, in una nuova forma di società di tipo comunitario ma dalle dimensioni allargate, tanto da poter parlare di villaggio globale.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Régis Debray Studioso che, come gli altri inseriti nel filone del determinismo tecnologico, si preoccupa di individuare il rapporto tra le tecnologie mediali e l’organizzazione collettiva, Debray affronta quelli che sono i campi di una nuova scienza, da lui battezzata con il nome di mediologia. La mediologia è, come dice lo stesso autore nell’opera Course de médiologie générale [1991], : «lo studio delle mediazioni attraverso le quali un’idea diviene forza materiale, mediazioni di cui i nostri media non sono che un prolungamento particolare, [...]».

Régis Debray: immaginario e tecnologie La mediologia, che ha quindi come oggetto di studio la trasmissione, si pone l’obiettivo di ricollegare due ambiti di realtà solitamente scollegati, ovvero quello delle produzioni culturali e quello delle produzioni tecniche, superando però alcuni ostacoli che ne impedirebbero una adeguata comprensione Risorse:

Un’intervista a Régis Debray

“I cinque dragoni” Gli ostacoli da cui la mediologia intende liberarsi sono: • •

il dualismo ontologico, che considera spirito e materia come una coppia di opposti; lo spiritualismo antitetico, che ha condotto gli studiosi a prendere posizioni divergenti nei confronti della tecnologia, considerata o come un rischio oppure come salvezza;

Régis Debray: immaginario e tecnologie • • •

l’umanismo, con la sua visione di soggetto sovrano che si serve dei suoi strumenti; l’individualismo, che porta i più a sminuire l’influenza che i supporti tecnici hanno sulle idee che veicolano; il modernismo, secondo cui i fenomeni religiosi e arcaici sarebbero divenuti irrilevanti, grazie alle tecnologie che comprimono lo spazio e annullano le differenze.

Le mediasfere Come abbiamo visto già nel caso di gli altri studiosi deterministi, anche Debray propone una periodizzazione della storia umana, divisa in tre grandi mediasfere, dove con il termine mediasfera intende: «l’applicazione, all’universo della trasmissione e dei trasporti, della nozione di “ambiente”» [Bifulco, Vitiello, 2004, p. 40]. Tali mediasfere non risultano essere mutuamente esclusive, ma interagiscono tra loro e si sovrappongono, esse sono caratterizzate dall’egemonia di alcune tecniche di trasmissione in diversi epoche.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Le tre mediasfere dunque sono: • • •

Logosfera, periodo in cui domina essenzialmente la scrittura a mano, pur se è forte la fase dell’oralità; Grafosfera, periodo in cui domina la stampa che condurrà a forme di lettura privata, alla nascita di un soggetto razionale e al centro del mondo; Videosfera, periodo che vede l’avvento dei mezzi audiovisivi e in cui ogni aspetto della realtà viene inserito nell’ambito visivo.

Régis Debray: immaginario e tecnologie È importante sottolineare come a ciascuna mediasfera corrispondano visioni particolari di altri ambiti della vita. In sintesi: vedi figura

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie Le ere descritte da Debray, possono essere messe in relazione alla classificazione che Charles Peirce fece del segno, a seconda del tipo di rapporto esistente tra il segno e l’oggetto, in: L’indice, una vera e propria traccia dell’oggetto con cui è correlato; L’icona, si lega all’oggetto attraverso un rapporto di somiglianza; Il simbolo, segno arbitrario e convenzionale che rappresenta un oggetto senza aver legami immediati con esso.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Debray a questo punto propone di considerare: • • •

L’idolo come immagine-simbolo; L’immagine artistica manuale come immagine-icona; L’immagine di riproduzione meccanica come immagine-indice.

Criteri di legittimazione e organizzazione statale Nella sua opera, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Debray sottolinea come ciascuna mediasfera abbia prodotto i propri criteri attraverso cui stabilire ciò che è reale e di conseguenza ciò che non lo è, ed è evidente come accanto a tali criteri di legittimazione si possano individuare anche particolari tipologie di organizzazione statale

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

“il materialismo” di Régis Debray In conclusione, dunque, la mediologia si pone come obiettivo di comprendere come i vari tipi di segni riescano ad influenzare la realtà, cercando di individuare le modalità con cui le mediazioni materiali permettono ai segni di manifestarsi e permanere all’interno di un determinato contesto storico e sociale. A tal proposito parliamo di una sorta di materialismo, insito nella possibilità di studiare la storia delle istituzioni partendo dai mezzi di trasmissione che ne hanno determinato la struttura.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Joshua Meyrowitz Continuando il nostro percorso nell’ambito del cosiddetto determinismo tecnologico, non possiamo non citare Joshua Meyrowitz, autore che nella sua opera Oltre il senso del luogo esplicita il suo pensiero circa l’impatto che i media elettronici hanno avuto sul comportamento quotidiano degli individui. Il lavoro di Meyrowitz intende rappresentare il punto di incontro delle teorie di McLuhan e quelle dell’ interazionismo simbolico Goffman, ritenute dallo studioso due teorie complementari.

Goffman e McLuhan: due teorie complementari del fatto che le situazioni sociali sono soggette al cambiamento, la teoria di McLuhan, invece, spiega in modo più dettagliato il cambiamento che si registra nei comportamenti quando vengono a

cambiare le modalità di interazione; come abbiamo potuto vedere nella lezione su questo autore, egli sottolinea come l’introduzione e la diffusione dei media elettronici abbia modificato l’equilibrio sensoriale. Anche questa teoria risulta però carente in un punto: non spiega infatti perchè i media provochino tali cambiamenti.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Ora, come già detto Meyrowitz considera complementari queste due teorie, ed individua il loro punto di incontro in quella che possiamo definire struttura delle situazioni sociali; egli sostiene che nel momento in cui cambia una situazione cambierà di conseguenza il ruolo che i soggetti assumeranno in tale situazione. In pratica le situazioni sociali rappresentano dei contesti all’interno dei quali sono previsti dei comportamenti ed esclusi altri. Cambiando i limiti dei contesti cambieranno anche le definizioni e i comportamenti situazionali.

Un esempio A tal proposito lo stesso Meyrowitz propone un esempio utile per chiarire il concetto appena espresso. Pensiamo alle differenti parole che, un giovane universitario, sceglierebbe per raccontare la sua vacanza a Londra agli amici ed ai professori. Nel primo caso egli assumerà il ruolo di amico e il racconto avrà un tono informale, mentre nel secondo caso, con molta probabilità, il racconto avrà un tono più formale e il giovane si soffermerà su dettagli diversi.

La geografia situazionale Secondo Meyrowitz, il telefono, la radio, ma in particolar modo la televisione, hanno cambiato il modo in cui le persone possono essere fisicamente presenti in un luogo. Permettendo alle persone di comunicare tra loro senza dover condividere il medesimo spazio, o il medesimo tempo, questi media hanno determinato un cambiamento in queste due fondamentali categorie, creando così nuovi ambienti sociali. I media, dunque, più che influenzarci con i loro contenuti, ci influenzano andando a modificare la geografia situazionale della nostra vita sociale.

Metodo circostanziale L’intento di Meyrowitz è quello di studiare tanto gli effetti dei media, quanto il cambiamento dei comportamenti sociali nel momento in cui si adattano alle nuove situazioni determinate dai media stessi, il tutto attraverso il metodo circostanziale, cioè lo studio dei confini delle situazioni; in questo modo lo studioso cercava di colmare i vuoti sia della prospettiva portata avanti da Goffman sia della prospettiva di McLuhan.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Tra queste due teorie Meyrowitz individua un punto di contatto definendo le situazioni come sistemi informativi: solo così può spiegare perchè una situazione può non essere confinata in uno spazio fisico. Un sistema informativo rappresenta un modello di accesso alle informazioni, e la struttura di tale sistema influenza la capacità degli individui di accedere alle informazioni trasmesse. •

Esempio:

La struttura del sistema informativo presente in un libro, permette l’accesso alle informazioni contenute soltanto a chi ha un determinato livello di alfabetizzazione.

I ruoli sociali e l’influenza dei media elettronici Nel suo libro, Meyrowitz, descrive in particolar modo come tre categorie di ruoli sociali siano state trasformate dall’introduzione dei media elettronici: • • •

i ruoli dell’essere i ruoli del divenire i ruoli di autorità

Ad ogni categoria poi applica tre variabili: • • •

l’accesso relativo alle informazioni sociali la distinzione tra scena e retroscena l’accesso ai luoghi fisici

I ruoli dell’essere Questa categoria di ruoli è legata all’identità di gruppo, pensiamo ad esempio ai concetti di femminilità e mascolinità. Secondo Meyrowitz un gruppo è coeso nel momento in cui i membri condividono tra loro informazioni da cui sono esclusi gli estranei al gruppo. I media elettronici però possono determinare la fusione dei gruppi tradizionali, in quanto modificano il sistema di condivisione delle informazioni, in pratica il “chi condivide informazione sociale con chi”.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Il concetto di noi viene poi determinato dalla condivisione di comportamenti da scena e retroscena, ancora una volta, quindi, nel momento in cui i media elettronici permettono di rivelare tali comportamenti, determinano un cambiamento nell’identità del gruppo. Infine, se pensiamo a come le attività di un gruppo siano legate alla condivisione di uno spazio fisico, possiamo vedere come la diffusione dei media elettronici abbia determinato un cambiamento nel rapporto tra il luogo e la situazione sociale.

I ruoli del divenire Questa categoria di ruoli si lega alla socializzazione, e in particolare al passaggio dall’infanzia

all’età adulta. Tutti i processi di socializzazione comportano che gli individui abbiano accesso ad informazioni proprie del gruppo di appartenenza; nei passaggi da uno stadio all’altro è necessario poi acquisire i ruoli da scena e retroscena adeguati allo stadio; Come nel caso dei ruoli dell’essere, anche in questo caso i media elettronici possono determinare, secondo Meyrowitz, una confusione tra i tradizionali stadi. «La nostra cultura sembra essere sempre più caratterizzata da un’omogeneizzazione tra infanzia e maturità» [Bifulco, Vitiello, 2004,p. 70].

I ruoli dell’autorità Prima di descrivere il cambiamento nell’ambito di questa categoria di ruoli, è bene sottolineare la distinzione che Meyrowitz fa tra potere e autorità: •

il potere si possiede mentre l’autorità deve essere rappresentata.

Un soggetto avrà uno status elevato nel momento in cui avrà informazioni che gli permettono di mantenere il controllo sugli altri; più i sistemi informativi che trasmettono tali informazioni limitano l’accesso alle conoscenze, più aumenta l’autorità. I ruoli legati all’autorità devono poi mantenere riservati i comportamenti da retroscena oltre ad esercitare il controllo sul territorio.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo I media elettronici tendono però a fondere i sistemi informativi, per cui l’autorità di certi status su altri tende a diminuire; a ciò si aggiunga che spesso, tali media, mostrano sia comportamenti da scena che i comportamenti da retroscena oltre che ha non garantire la separazione tra luogo fisico e inaccessibilità sociale alle conoscenze, determinando un ulteriore declino dell’autorità.

In sintesi:

Oltre il senso del luogo I media elettronici, come la televisione, rispetto a quelli tradizionali, come il libro, veicolano le informazioni in modo più semplice ed immediato, tanto da permettere a gruppi differenti di avere accesso alle stesse conoscenze. Essi tendono ad unire ambienti che prima erano separati, e ciò si verifica anche quando si tratta degli spazi della scena e degli spazi del retroscena, tenuti separati dai media tradizionali e invece uniti da quelli elettronici.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Altra fondamentale differenza sta nella tipologia dei messaggi, mentre un libro attraverso la modalità discorsiva, presenta una struttura simbolica astratta e lontana dalla realtà, la televisione veicola informazioni soprattutto attraverso le immagini, che riproducono la realtà. E così quindi che si viene a creare una forma di interazione che in passato era possibile sono attraverso il reciproco contatto faccia a faccia, ed è per questo motivo che Meyrowitz sostiene che sia cambiato il senso del luogo.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Il determinismo sociale • • •

La storia della sociologia e in particolare la storia della comunicazione, vedono fronteggiarsi due modelli di interpretazione: Il determinismo tecnologico, che come detto in alcune lezioni precedenti, considera lo sviluppo tecnologico come motore delle innovazioni socio-culturali; Il determinismo sociale, che sostiene invece che ogni innovazione sociale è possibile soltanto nel momento in cui esiste una spinta sociale, sono i bisogni umani a determinare l’emergere di nuove tecnologie.

Letture: L. Bifulco, G. Vitiello, Sociologi della Comunicazione. Un’antologia di studi sui media. LI.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Gli studi di Philippe Breton Breton è stato inserito a questo punto del programma in quanto ridiscute e ripropone, con opportune ed originali critiche, alcune questioni presenti negli approcci connessi al determinismo tecnologico. Il suo principale saggio (L’Utopia della comunicazione) è fondato su di una semplice domanda: perché oggi si parla tanto, e positivamente, di comunicazione? Quali sono stati i processi sociali e tecnologici che hanno condotto alla formazione di quella che viene definita “società della comunicazione”? Nelle risposte si evince che il solo determinismo tecnologico risulterebbe insufficiente a spiegare il fenomeno.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Indicatori presi in considerazione dal ricercatore francese La storia della comunicazione moderna fa risalire al secolo dei Lumi e successivamente al XIX

secolo la nascita di una sensibilità molto forte per la comunicazione e per le speranze ad essa connesse. A quell’epoca si può anche far risalire l’idea secondo la quale lo sviluppo dei media e della libertà di comunicazione rappresentano le condizioni essenziali del progresso dell’intera società. Più tardi però – anche se su quello stesso filone – si è sviluppata una corrente di pensiero di impostazione utopistica che ha fatto della comunicazione l’asse centrale della riorganizzazione della società.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione A questo punto Philippe Breton sente la necessità di domandarsi in che modo la società della comunicazione ha sostituito quelle che l’hanno preceduta, quali sono stati i processi culturali e sociali che l’hanno accompagnata, quali i suoi effetti e, infine, in quali altri modi essa si potrà riciclare. Numerosi indicatori fanno intravedere nessi sotterranei che possono mettere assieme le due guerre d’inizio secolo che hanno così profondamente scosso le coscienze collettive, e la formazione di una nuova utopia, che nasce proprio – è questa la sua tesi – come un serio tentativo di risposta al fallimento incombente della società dell’epoca. Gran parte dei paradigmi sulla comunicazione emergono a partire dagli anni ‘40, periodo che segna anche, e non è un caso, il definitivo precipitare del conflitto mondiale “nella barbarie” più assoluta. Il progetto utopico Il progetto utopico, nato nel periodo più buio della storia europea e in reazione ad esso e che Breton analizza e descrive nella sua opera, presenta la comunicazione accompagnata da tutte le sue tecnologie e strumenti, come un superiore rimedio a tutte le disfunzioni sociali. Un valore alternativo alla barbarie, al razzismo e all’esclusione. Sembra oramai assodato che i mutamenti contemporanei avvenuti nella nostra società vengano messi in moto da questo progetto, e che la società della comunicazione sia per molti aspetti “un mito”. Le tre tappe Nel volume citato, Breton attua innanzitutto una ricognizione delle radici dell’ideologia della comunicazione che egli fa risalire ai lavori dei primi cibernetici, individuando in essi la formazione di tale idea, dei dispositivi e anche i suoi effetti perversi. L’origine ed il successo della nuova “società della comunicazione” costituirebbero la reazione e la ridefinizione costitutiva della modernità. Originatosi nei tormenti di una lunga guerra mondiale e nei soprassalti di un drammatico degrado del legame sociale, il ricorso universale alla comunicazione si lega così a specifiche circostanze storiche, che gli conferiscono senso e portata sociale. Secondo Breton tre grandi tappe ne segnano lo sviluppo, uno sviluppo che, a partire proprio da quegli anni, coinvolge tutta la società in una spirale nel contempo unificante e generalizzante.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Prima tappa La prima tappa va a collocarsi in seno alla nascita della Cibernetica, disciplina o per meglio dire

insieme di discipline, esplicitamente votate alla ricerca delle leggi generali della comunicazione, sia che interessino fenomeni naturali, sia che riguardino le macchine, gli animali, gli uomini o le società. Loro obiettivo è la costruzione di un campo interdisciplinare che unifichi sotto lo stesso nome un insieme di fenomeni già noti, nei campi della neurofisiologia, della telefonia, della matematica, della fisica e dell’antropologia.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Lo sviluppo della Cibernetica ha portato alla nascita della nuova nozione di comunicazione e a una reinterpretazione del campo disciplinare. Norbert Wiener, uno dei fondatori di questa rete iniziale, sottolinea con la sua esplicita volontà l’estensione della nozione di comunicazione al campo d’analisi e poi dell’azione politica e sociale. N. Wiener Seconda tappa Parallelamente, l’uso di questa nozione continuava a svilupparsi e ad arricchirsi, ad esempio con la teoria dell’informazione di Shannon, che diviene la seconda tappa fondamentale per l’epistemologia contemporanea, risolvendo i fenomeni in reti di relazioni Terza tappa Tuttavia l’immediato dopoguerra si pone come terza e decisiva fase, nella storia della comunicazione moderna. Qui nasce un’esigenza di riscatto, determinata da una perdita di punti di riferimento e testimoniata da questa rovinosa condizione del dopoguerra. In quest’ottica lo sviluppo dei mezzi di comunicazione appare come priorità, una necessità funzionale al sistema, fornendone un quadro di apertura globale. Accanto alla crisi ideologica si pone, nello stesso tempo, l’esigenza di un valore che sia motore trainante per il mutamento di una società basata proprio sulla trasparenza comunicativa: “ormai nulla deve accadere in un angolo oscuro dell’umanità, così non esisterà più l’oscuro segreto nel quale è stato preparato il genocidio nazista”. La trasparenza come valore La comunicazione, trasparente ed immanente che soddisfa bisogni sociali, diventa un’ossessione che costituisce una risposta perfetta alla crisi del ventesimo secolo. L’originalità di questo nuovo paradigma della comunicazione è testimoniata da un nuovo modo di fare scienza, da una nuova definizione dell’uomo, dall’introduzione di alcune nozioni che hanno alimentato le nuove teorie delle scienze della comunicazione. Wiener, precursore di tale paradigma, critica il metodo funzionale delle scienze classiche, sostenendo che non è soddisfacente poiché si interroga esclusivamente sul contenuto dei fenomeni di cui la scienza si occupa sul versante interno degli oggetti: “Le relazioni che si interporranno tra i fenomeni contano più di ciò che essi sono”. Breton pone l’attenzione su questo presupposto individuando la genesi di una tesi molto forte, specialmente dal punto di vista epistemologico, che reinterpreta la realtà in termini di informazione e comunicazione, proponendo una nuova visione del mondo globale e unificante, organizzata attorno al punto focale della comunicazione, tale da sfiorare tutte le discipline e contenente in germe la trasformazione della comunicazione in un valore di ampia portata sociale e politica. La novità di questa nuova concezione non risiede nel fatto che vengono posti in scena Informazione

e Comunicazione, quanto piuttosto nel fatto che lo scambio di informazioni e relazioni è integralmente costitutivo dei fenomeni sia naturali che artificiali. L’Homo communicans e la scomparsa dell’interiorità Per Breton i lineamenti dell’uomo comunicante, le sue caratteristiche, la sua “natura” sono iscritti nel modello disciplinare della Cibernetica, “scienza dei comandi, unificati, dei controlli dell’uomo e delle macchine”. Attraverso la comunicazione – “ogni organismo è la somma delle informazioni che può scambiare nelle reti in cui può entrare”. Là si colloca l’idea che: “nella nuova società tutto è comunicazione”, costituendo la base di un discorso che possiamo definire utopico. Attraverso tale idea ritroviamo innanzitutto una poderosa critica nei confronti di tutte quelle concezioni teoriche che postulano una qualunque interiorità dei fenomeni, in quanto si afferma che "tutto può essere spiegato in termini di relazioni", implicando quindi che tutto è posto all’esterno. Ogni fenomeno, e ogni essere, può essere paragonato metaforicamente ad una cipolla, ovvero ad un insieme di esteriorità sovrapposte senza nucleo interiore, in quanto tutto ciò che è interno viene posto all’esterno; da ciò scaturisce anche la nuova concezione dell’ Homo Communicans, un uomo ormai spogliato della sua interiorità, immerso nelle relazioni e negli scambi d’informazione con i suoi simili e con la struttura sociale. Questa potrebbe essere anche una spiegazione del successo dei media, l’attaccamento dell’uomo alla Tv, o al computer: una nuova visione della realtà, anticipata dalla Cibernetica, ma di cui solo attualmente si sta prendendo coscienza; una ridefinizione dell’uomo e dei suoi rapporti con la realtà. Inoltre Breton spiega le ragioni per le quali la comunicazione diventa un valore centrale, in particolare per il timore dell’anomia. Questo paradigma si sviluppa intorno ad un’asse che contrappone l’informazione all’entropia, partendo dalla constatazione che tutti i sistemi chiusi sono minacciati dall’entropia. Ora, l’esatto contrario dell’entropia è rappresentato dall’informazione vivente che circola e che rende “aperti” i sistemi. Se i canali informativi vengono mantenuti ampiamente aperti e comunicanti, se può essere effettuato il trasferimento delle decisioni politiche - come sosteneva Wiener - a vantaggio di macchine capaci di apprendere, allora ci saranno le condizioni per l’istituzione di una società migliore. Uno dei primi effetti della trasposizione utopica delle nuove tecniche di comunicazione e dei media è un radicale spostamento del ruolo e della funzione dello strumento rispetto alla sua finalità: lo strumento non è più un mezzo ma diventa il fine. Si potrebbe, quindi, parlare di una sorta d’idolatria dello strumento. L’effetto perverso di una simile inversione, in cui il mezzo si trasforma in fine, risiede nel fatto che lo strumento non serve più a realizzare ciò per cui era stato ideato, ma finisce per funzionare solo per se stesso. Secondo Breton attualmente l’utopia della comunicazione sembra imporsi come l’unico valore, l’unica utopia funzionante in grado di risolvere ogni problema, in quanto portatrice di trasparenza, consenso, ed equilibrio sociale. Essa sarebbe oggi il solo valore sul mercato delle idee che abbia un fondamento e una connotazione dominante e capace di ottenere una forte adesione. Questa trasformazione del tema della comunicazione in utopia mostra sino a che punto ci troviamo in un’era del “disincanto”, come molti pensano. Le derive di questa utopia della comunicazione rinviano, come riflesso, ad uno dei temi essenziali del nostro tempo, l’esigenza di ricostruire la rappresentazione dell’uomo e della società; per mettere in moto questo processo non si potrà, secondo Breton, fare a meno di un granello di utopia, ma neppure, anzi tanto meno, di un forte

senso critico.

Il Tempo: la ciclicità Sociologia del tempo In questa lezione verranno affrontati alcuni concetti della sociologia del tempo. Partendo da quanto, qualche tempo fa, notava un noto storico russo, A. Y. Gourevitch: Le rappresentazioni del Tempo sono parti fondamentali della coscienza sociale. « … tutti gli uomini ovunque, in tutte le epoche, in tutte le culture hanno un’esperienza che è loro propria del tempo e anche se inconsciamente, una qualche concezione di esso» [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 59] Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema : Recensione Il Tempo della natura Tra i criteri più primitivi per misurare il tempo vi erano i movimenti del sole, della luna, delle stelle. Oggi noi abbiamo un'immagine precisa delle relazioni e delle regolarità di questi movimenti: i nostri predecessori invece non l'avevano. Essi facevano esperienza di una gran quantità di singoli avvenimenti, senza averne un rapporto chiaro. Se non si possiede un preciso STANDARD (ad esempio l'ora dell'orologio) per determinare temporalmente gli avvenimenti, non si può avere un concetto di tempo come il nostro. Risorse: Approfondimenti

Misurare il tempo E' soltanto lo sviluppo della determinazione temporale nella vita sociale, la progressiva creazione di un "reticolo" integrato di "regolatori temporali" (orologi continui, calendari continui, scale temporali tipo anni, secoli etc.) ciò che rende in generale possibile l'esperienza del tempo in quanto FLUSSO REGOLARE E UNIFORME. Misurare il tempo Appare evidente dunque come il problema fondamentale riguardi LA COSTRUZIONE DI AMBIENTI UMANI sempre più INDIPENDENTI e AUTONOMI rispetto alla natura. Da questo

punto di vista vi è una autonomia relativamente crescente nelle società umane: quanto più l'enclave umana cresce in dimensione e autonomia (nel quadro di più ampi processi di urbanizzazione, commercializzazione e meccanizzazione), tanto più grande diventa la sua DIPENDENZA da strumenti creati dall'uomo con la funzione di STRUMENTI DI MISURAZIONE. E al contempo tanto minore diviene la DIPENDENZA da metri di misura temporali non umani come il movimento della luna, quello del sole, i flussi e i riflussi delle maree . Il tempo ciclico Nell'ambito di tutte le comunità umane, almeno fino ad una certa epoca storica, la determinazione sociale del tempo non poteva che seguire un modello che, essendo strettamente dipendente dall'evolversi dei ritmi naturali, non poteva che essere circolare. In una società agraria, ad esempio, il tempo veniva definito innanzitutto dai ritmi naturali. Risorse: Concezioni del tempo Il calendario del contadino rispecchiava l'avvicendarsi dei periodi dell'anno e la successione delle stagioni agricole. Presso i Germani i mesi portavano nomi che indicavano i lavori agricoli e le altre attività svolte nelle stesse stagioni agricole. Il mese del maggese (maggio), il mese della falciatura (luglio), quello della semina (settembre), del vino (ottobre) e così via. Ciò che è più significativo è che questi concetti esprimessero non una tendenza lineare del tempo (dal passato al futuro) ma piuttosto un suo movimento circolare. Il fatto che il tempo venisse regolato dai cicli naturali, determinava però non solo la dipendenza dell'uomo dalla natura, MA ANCHE LA STRUTTURA SPECIFICA DELLA SUA COSCIENZA. Nella natura non c'è sviluppo o progresso, ma solo REITERAZIONE. C'è una tirannia, quella del suo ritmico e regolare movimento ciclico. E tale Eterno Ritorno lo ritroviamo al centro della vita spirituale almeno fino a tutta l'antichità occidentale e, in gran parte, a tutto il Medioevo. Il tempo ciclico In tale tipo di società l'INDIVIDUALITA' viene negata, così come ogni tipo di possibile condotta innovatrice. La norma (anzì la virtù), voleva che ognuno si comportasse come tutti gli altri, n modo tradizionale. La vita dell'uomo deve essere una ripetizione continua di atti precedentemente compiuti da altri secondo un MODELLO (un archetipo) di comportamento attribuito ai primi uomini, ai Padri fondatori, agli Eroi o alle Divinità stesse. La reiterazione da parte degli uomini di atti risalenti a un prototipo divino li collega al SACRO. Tutta l'attività degli uomini, familiare, produttiva, sociale, intima, riceve un SENSO e una SANZIONE in quanto partecipe o meno del sacro, secondi un RITUALE fissato agli inizi dei tempi.

Il Tempo: la linearità Il Tempo lineare Continuando il percorso iniziato nella lezione precedente (n° 9), affronteremo la sostituzione di una concezione temporale arcaica, ciclica, con una concezione propria della modernità : LINEARE Letture:

La morte. Quattro variazioni sul tema.

Nella coscienza moderna, rispetto a quanto affermato nella precedente lezione, domina un TEMPO VETTORIALE, LINEARE. Un momento di trasformazione cruciale è dato dal passaggio dal Paganesimo a Cristianesimo nell'Europa Medioevale. L'atteggiamento arcaico verso il tempo non venne però estirpato di punto in bianco, quanto progressivamente messo in secondo piano. Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Tanto per portare un esempio, il calendario pagano che rifletteva i ritmi naturali, venne via via adattato ai bisogni della liturgia cristiana. L'anno era scandito dalle feste che contrassegnavano gli eventi della vita di Cristo, i giorni sacri. Di conseguenza il calcolo del tempo veniva compiuto contando il numero delle settimane prima e dopo Natale, e così via. Fino al XIII-XIV secolo gli strumenti di misurazione del tempo erano una rarità. Erano usuali gli orologi solari, quelli a sabbia (clessidre) e ad acqua. I monaci si orientavano in base al numero di pagine lette o dal numero di salmi recitati. Per la massa della popolazione il principale punto di orientamento nella giornata era il suono delle campane della Chiesa. Le giornate erano divise in una serie di frazioni, le ore canoniche; di solito erano sette, scandite dal tocco dell'orologio della chiesa. Così il corso del tempo veniva controllato dal clero. Si distingueva la campana della mietitura, quella dello spegnimento del fuoco, quelle del pascolo nei prati. L'intera vita della nascente popolazione pre-urbana era regolata dal suono delle campane, adeguandosi così al ritmo del tempo della Chiesa. Il predominio del tempo della Chiesa poté durare finché esso corrispose al lento, cadenzato ritmo della vita della società feudale, determinato soprattutto dalla sua natura agraria. Ma al suo interno si sviluppava un altro centro della vita feudale, che si caratterizzava per un ritmo particolare e necessitava di una più rigorosa misurazione del tempo, di un suo più accurato dispendio: LA CITTA'. I cicli produttivi degli artigiani non erano definiti dall'avvicendarsi delle stagioni. Tra un artigiano e la natura già si interponeva un ambiente artificiale da lui stesso creato. La città diventa portatrice di un nuovo atteggiamento verso il tempo. Sulle torri cittadine vengono posti gli orologi meccanici che soddisfano un'esigenza prima ignota: conoscere e il "tempo esatto" nell'arco di una giornata. Per i MERCANTI IL TEMPO E' DENARO! L'imprenditore ha bisogno di determinare le ore in cui è attiva la sua bottega. IL TEMPO DIVENTA MISURA DEL LAVORO, diventa un valore essenziale nel processo di produzione. La città diviene padrona del tempo, sottraendolo alla Chiesa. L'uomo al tempo stesso cessa di essere padrone di un tempo che comincia a scorrere indipendentemente dalle sue attività e da ogni evento concreto. Esso impone una sua tirannia a cui gli uomini sono costretti a sottoporsi. Intorno al XVII secolo si verificano due altri fondamentali passaggi per la storia sociale del tempo occidentale: la dissociazione definitiva dello svolgimento temporale rispetto al tempo divino e sacro (nasce quindi la ricerca di un qualcosa che dia un senso alla sua evoluzione); il secondo consiste nella generalizzazione del progresso sociale e tecnico.

La visione ciclica del tempo si interrompe drasticamente: l'uomo non è più rivolto all'indietro, alla ricerca nel passato di modelli da seguire, ma si comincia a volgere verso la oramai dilagante categoria di futuro, sostenuta dalla altrettanto dilagante idea di progresso. L'analisi dell'idea di progresso, unitamente al fenomeno di diffusione della razionalità e del progresso scientifico, diventano centrali per analizzare la cultura del tempo diffusasi nelle società occidentali moderne e le filosofie della storia ad essa collegate.

La Morte La morte Un tema come la morte è sicuramente un argomento delicato nonché scomodo. Spesso può accadere che nei confronti di coloro che affrontano tali tematiche, si sviluppi un certo pregiudizio: molto spesso si è portati a credere che dietro un tale interesse si nasconda qualcosa di morboso, se non qualche conflitto personale irrisolto. A volte si innesca anche un meccanismo, che potremmo definire irrazionale, di timore:ragionare sulla morte, potrebbe risvegliare la morte stessa. Ma cos’è la morte? Quali sono i comportamenti che suscita? L’impensabilità della morte Sicuramente tutti abbiamo un’idea della morte, tutti sappiamo che essa fa parte della nostra esistenza. Ma è anche vero che questo convincimento è puramente razionale e quasi per niente interiorizzato, profondo. Ciò emerge nel momento in cui un individuo apprende la notizia di dover morire. «Quando la consapevolezza si realizza e assume un’abbagliante evidenza vengono meno anche le nostre tradizionali ed automatiche strategie di difesa.» [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 161] Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Di fronte ad una tale notizia crolla quella sicurezza che accompagna il vivere quotidiano, fatto di routine consolidate, e la morte vede sfumare quella posizione di marginalità cui sembra essere relegata nello svolgersi della ripetitività dei giorni. La morte per l’uomo moderno è quindi un fenomeno impensabile. Nel momento in cui stiamo per morire o quando ci troviamo di fronte al cadavere di una persona a noi cara, non siamo in grado di aggrapparci ad alcun valore, idea, comunemente condivisa. Alla nostra società manca essenzialmente un linguaggio che ci permetta di definire e chiarire la morte, non siamo in possesso di una costruzione simbolica che la giustifichi, la spieghi in modo convincente. Nella nostra cultura in pratica non siamo in grado di pensare la morte, quantomeno per poterla respingere come paura; a tutto ciò si aggiunge anche l’incapacità di accettare la sofferenza che si lega alla morte

La pornografia della morte: nuovi tabù moderni Intorno al 1955, lo psicoanalista e sociologo Geoffrey Gorer, scrisse un articolo intitolato La pornografia della morte, in cui dimostrava come nel mondo occidentale la morte fosse diventata qualcosa da mettere da parte, da allontanare dalla vira sociale. Parlare della morte era considerato di cattivo gusto, la morte si costituisce dunque come un nuovo tabù così come il sesso lo era stato in epoca vittoriana. La morte nella società moderna Negli anni Settanta tutti gli studi sulla morte, tendono a confermare l’esistenza di questo tabù. Questi studi sono caratterizzati tutti da una critica nei confronti della società contemporanea, ritenendo il rifiuto della morte il principale indicatore della sua crisi. Non va trascurato il fatto che la società moderna nasce sulle basi della società cristiana, che deriva il suo successo anche dalla presunta vittoria sulla morte (pensiamo al fatto che la resurrezione è alla base del culto cristiano). Quindi, nel momento in cui una soluzione ad un tema come la morte, così difficile da affrontare, viene interiorizzata, diventa comporta un enorme peso sul piano psicologico: « […] l’abbandono di una credenza, o almeno la messa in discussione d’essa, è sempre doloroso, poiché richiede la riprogrammazione di mappe cognitive […] » [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 165]

Morte e società moderna: il disincanto In realtà il primo studioso a mettere in relazione la trasformazione della società alla perdita del significato della morte, fu Max Weber. Nella sua analisi dello sviluppo della modernità, costatava come il processo di modernizzazione (disincanto) avesse tra le sue principali caratteristiche la perdita di un significato ultimo. Paradossalmente, questa società determinava così rapidamente e senza soluzioni di continuità nuovi fini, da non riuscire ad avere però un fine ultimo. Risorse: Max Weber Max Weber, riferimenti. La morte antica e morte moderna L’uomo delle società antiche, sufficientemente anziano, trovandosi nel ciclo organico della vita, poteva dire di aver risolto tutte le aspettative di senso che l’esistenza gli aveva posto, non restavano ulteriori enigmi da risolvere, aveva esaurito i significati della sua vita e poteva dirsi pronto a morire. Oggi questo non può avvenire. L’uomo contemporaneo è inserito un movimento senza fine, sempre mutevole e non è in grado di esaurire nulla, non potrà mai risolvere tutti gli enigmi, e quindi non potrà morire sazio come l’uomo antico Morte legittimata Arriviamo dunque a distinguere due concetti diversi di morte. Morte legittimata: ovvero spiegata, giustificata, collocata all’interno di un Universo Simbolico.

Incontriamo un tipo di morte legittimata, nelle società più antiche in cui la visione del modo possiamo definirla olistica, dove la totalità viene prima delle singole parti di cui è composta. Un società in cui il livello di individualizzazione è molto scarso e in cui le azioni degli uomini sono prescritte. In questo tipo di società un evento come la morte, pur costituendo un evento doloroso, viene affrontato come parte dell’esistenza. Legittimando la propria morte un uomo antico legittima se stesso e l’ordine di cui fa parte. Quindi in un certo senso la morte non è una forza disgregante ma anzi, necessaria al mantenimento dell’ordine sociale. Inoltre in queste società la morte non è un fenomeno solitario, ma obbliga le persone a unirsi nel processo di ritualizzazione che l’accompagna, processo fondamentale alla legittimazione stessa della morte. Morte delegittimata Morte delegittimata: contrariamente a quanto prima affermato, la morte è delegittimata quando non trova posto all’interno di un Universo Simbolico, in grado di spiegarla e giustificarla. Ciò avviene nella società occidentale moderna dove la morte non è più considerata il completamento della vita, essa rappresenta un evento di fronte al quale crolla tutta la razionalità dell’uomo moderno, quella razionalità rassicurante, nata proprio per fugare ansie e paure collettive ma che si rivela inutile nel momento in cui l’individuo moderno si trova di fronte all’imminenza della propria fine. Nella società moderna non esistono più modelli a cui aderire, schemi di condotta, azioni prescritte come nella società antica, ma esiste solo un individuo preoccupato di se stesso. Essendo un mondo ego-centrato, l’uomo non partecipa di un Noi, non è inserito in una collettività in grado di permettere il legame con chi ci circonda, con chi ci ha preceduto e con chi verrà dopo di noi, non fa parte di un continuum che riesce a dare n senso partecipativo alla vita quanto alla morte.

Sussurri e grida: il cinema e la morte Caratteristiche del linguaggio cinematografico In questa lezione vedremo come il concetto affrontato in precedenza ( Lez. 11), ovvero la morte, venga presentato attraverso il cinema. Il cinema, viene comunemente considerata la forma artistica più caratteristica del ventunesimo secolo e anche quella che più delle altre ha esercitato la maggior influenza nel riflettere ed elaborare l’immaginario collettivo. Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Risorse: Breve storia del cinema Caratteristiche del linguaggio cinematografico Il cinema, infatti, opera su materiali che provengono direttamente dal mondo circostante che esso però riformula, metaforizzandoli, portandoli in una dimensione che gli è propria. Ciò che rende particolare questo mezzo di comunicazione, è la capacità di rendere visibile

l’immaginazione, ed è questo uno dei motivi, se non il principale, che permettono una sua diffusione a tutti i livelli. Il cinema è stato definito una vera e propria istituzione sociale, poiché rappresenta un dispositivo che da una parte lega, ingloba, determinando l’insorgere di un forte senso di appartenenza, dall’altro detta norme di condotta, determina orientamenti e valori, inventa nuovi linguaggi. Esso può mostrarci aspetti oscuri della nostra società, estranei, così come può affrontare tematiche comuni a tutte le culture, come amicizia, amore e appunto morte. E proprio con particolare riferimento a quest’ultimo tema, che è poi l’argomento della lezione, il cinema possiede una caratteristica estremamente funzionale. Il linguaggio logopatico Come sottolineato dallo studioso Julio Cabrera, nella sua opera Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, non è possibile esprimere ed articolare soltanto logicamente determinate situazioni della realtà, per poterle rendere comprensibili è altresì necessario che queste vengano presentate sensibilmente tramite quella forma di comprensione che egli definisce logopatica: una comprensione che è razionale e affettiva allo stesso tempo, una presentazione che produca un certo genere d’impatto. Risorse: Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film. Scheda sul saggio Soltanto in questo modo si può arrivare ad un tipo di comprensione che non sia soltanto logica ma anche affettiva. Siamo di fronte alla ragione logopatica che tramite le potenzialità espressive insite nel linguaggio filmico, permette di cogliere le verità della vita e di farlo non solo dal punto di vista razionale ma anche mediante delle intuizioni emotive. Film come concetti immagine Secondo Cabrera, i film sono dei concetti immagine che tramite l’impatto emotivo suscitato dal cinema, affermano qualcosa sul mondo, e lo fanno con una pretesa di verità ed universalità, dove con il termine universalità si intende qualcosa che appartiene all’ordine della possibilità e non della necessità: il cinema ci descrive quanto potrebbe essere e non quanto deve essere. Cinema come specchio della realtà Dunque il cinema può essere considerato come lo specchio della realtà, che lì si riflette ma lì trova anche una sua profonda trasformazione. Se desideriamo capire il mondo in cui viviamo, è proprio al cinema che dobbiamo rivolgerci, a quel grande serbatoio di significati a cui tutti attingono e in cui tutti ci possiamo riconoscere pur nella nostra diversità. Adesso passiamo alla presentazione ed analisi di un capolavoro cinematografico del regista svedese Ingmar Bergman, Sussurri e grida (1972). Il film inizia mostrando una donna gravemente malata, ormai prossima alla morte, circondata dai parenti. Agnese (il nome della protagonista) è infatti una giovane donna che sta per morire ed è assistita dalle due sorelle e dalla governante, Anna. Risorse: Recensione: Sussurri e grida

Ingmar Bergman: un’intervista La prima sorella, Maria, ha un atteggiamento nei confronti della vita un po’ infantile, mostra un affetto sincero per la sorella malata, ma non è in grado di esserle d’aiuto, soprattutto quando la situazione diventa più grave. Ella è evidentemente terrorizzata dalla morte. L’altra sorella, Karin, ha un carattere più forte ma sembra non amare la vita, ciò che teme è soprattutto il contatto umano, molto probabilmente la sua è paura della sofferenza. La governante, Anna, è una donna di umili origini toccata profondamente dal dolore di aver perso da poco tempo la sua unica figlia, lei è molto legata ad Agnese. Quando la storia comincia siamo agli ultimi stadi della vita della protagonista, la morte è vicina e lei soffre molto e nella sua agonia sogna la madre, che tuttavia le appare come distante e distratta. La giovane, al termine del suo percorso, sembra chiedere conforto alla madre, come se inconsciamente sapesse che nell’antico rapporto materno avrebbe trovato la risoluzione del suo senso di angoscia. Dopo una lunga e dolorosa agonia, Agnese muore, e questa sua sofferenza incute timore come e se non più della morte stessa, determinando l’allontanamento delle sorelle che si sentono spaventate ed impotenti. L’incapacità di affrontare la morte Nel momento in cui la protagonista muore, sulla scena appare il sacerdote: colui che è il vero specialista dei simboli e dei riti e che da sempre gestisce il sacro. Dal sacerdote tutti aspettano non soltanto una parola di conforto, ma una vera e propria legittimazione della morte; si aspettano che egli celebri quel rito in grado di impedire l’intrusione dei morti nel regno dei vivi, ma che allo stesso tempo ne garantisca il ricordo. Ma Bergman al contrario ci presenta un pastore, un uomo pieno di dubbi, che non è in grado di accreditare la morte, privo quindi delle certezze necessarie. Indice di quella secolarizzazione penetrata ormai ovunque. Quello che il regista vuole poi comunicarci, è che la ritualità è priva di phatos, è solitaria, i protagonisti sono soli, non trovano conforto nella collettività, si muovono in un vero e proprio vuoto sociale. Resi immobili dalla mancanza di un’oggettivazione condivisa, privi di un linguaggio adatto, i protagonisti non sono capaci di elaborare il lutto correttamente, privando così i morti di un loro spazio simbolicamente pertinente I morti che chiedono Come prova di ciò il regista presenta una scena estremamente drammatica: Agnese che da morta, piange e chiama le sorelle. Simbolo dei morti che chiedono anche nella loro situazione, che gli altri non si sottraggano alla relazione, chiedono che i legami non vengano sciolti, chiedono di non essere dimenticati. E così se il lamento di Agnese prima di morire, era indice di un dolore insopportabile, il suo lamento da morta è indice del dolore del nulla, dell’oblio. Condividere la morte Ma le sorelle non sono in grado nemmeno questa volta di rispondere al suo appello, tirandosi indietro con paura e repulsione. Soltanto Anna accorrerà al capezzale della morta, rispondendo a quella richiesta d’aiuto nell’unico modo che, culturalmente ed intuitivamente, conosce: offrendole il calore del suo corpo e la ricchezza del suo seno, in un abbraccio materno. Anna si “assume” la morte di Agnese, condividendola, tanto che la giovane morta sembra calmarsi e accettare il suo stato definitivo.

Due società nel confronto con la morte Laddove le due sorelle sono il simbolo di una società, quella moderna, che rifugge la sofferenza, in nome del diritto alla felicità, che orienta i propri sforzi verso la conservazione del corpo e l’eliminazione delle angosce, alla medicalizzazione della società, rifiutando il coinvolgimento affettivo con l’altro e dove la morte non trova spazio, Anna, la governante, è simbolo di quella cultura più antica che cerca di inglobare la morte nel proprio Universo simbolico dove si ha un’idea della vita di cui la morte costituisce il necessario sipario

Riflessioni conclusive Conclusioni Dunque, in questa lezione, cercheremo di fare un quadro in cui sintetizzare gli obbiettivi del corso. Nella prima fase sono stati presentati alcuni concetti fondamentali. L’idea è quella di fornire gli “attrezzi”, gli strumenti di base per un approccio sociologico allo studio dei processi comunicativi. I termini chiave del corso sono comunicazione e cultura. Prima però si è ritenuto necessario fare alcune riflessioni sul concetto di società, e su come questa possa essere definita un prodotto dell’attività umana. Ecco quindi che abbiamo presentato il processo dialettico (uomo-produttore/società-produttrice) il quale come sottolineato nelle prime lezioni, è costituito dai tre momenti o gradi: • • •

l’esteriorizzazione; l’oggettivazione; l’interiorizzazione.

Siamo passati quindi alla presentazione dei due paradigmi, i due modelli di interpretazione opposti che caratterizzando gli studi sociologici, in particolar modo per quanto riguarda la comunicazione: • •

il determinismo tecnologico di matrice mcluhaniana il determinismo culturale che vede in Breton uno dei suoi esponenti.

L’attenzione quindi è stata rivolta ad alcuni indicatori ritenuti particolarmente significativi per l’analisi della modernità occidentale: • •

Il tempo La morte

La morte, in particolare, è stata analizzata innanzitutto come indicatore per la comprensione e la spiegazione del comportamento collettivo. Da un punto di vista sociologico la morte si presenta infatti come una cartina di tornasole per comprendere il funzionamento delle istituzioni e i meccanismi che ne consentono la legittimazione. In particolare si è fatto riferimento a dei casi idealtipici di "morte tradizionale" e "morte moderna Oltre a ricordare la centralità dello studio della morte nel lavoro dei grandi autori classici della sociologia, sono state in seguito descritto come, un mezzo di comunicazione quale il Cinema, presentasse questi argomenti, effettuando un’analisi di un capolavoro cinematografico del regista

Ingmar Bergman, Sussurri e grida.

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