Comun. E Processi Cult.

  • October 2019
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L'approccio fenomenologico allo studio della realtà sociale: alcune questioni metodologiche Approccio fenomenologico L'approccio fenomenologico rappresenta uno dei modelli sociologici importanti da considerare nell'ambito di studi sulla comunicazione.La Fenomenologia può essere definita come lo studio di ciò che appare: «ciò che si manifesta nei contenuti delle percezioni e della coscienza» (Cavicchia Scalamonti - Pecchinenda, 2001) restando costantemente in dubbio e riconsiderando tutto ciò che diamo per scontato. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta Edmund Husserl Edmund Husserl - 2

Epoché: metodo di riduzione sociologica •



Questo approccio si costruisce intorno ad alcune delle idee principali di Edmund Husserl (1859-1938), in particolar modo diventa centrale il suo metodo dell'epoché. Epochè: “messa tra parentesi” di tutto ciò che si conosce del mondo. Il metodo dell'epoché è un metodo di riduzione sociologica, basato sulla sospensione di tutte le nozioni si senso comune che ci accompagnano quotidianamente.

Intenzionalità della coscienza Un altro concetto espresso da Husserl, che trova spazio nell'ambito dell'approccio fenomenologico è quello di intenzionalità della coscienza: per poter comprendere a pieno l'esperienza umana, è necessario tener presente che ogni atto di coscienza è sempre riferito ad uno specifico oggetto.

Province finite di significato •



Secondo la prospettiva fenomenologica, la realtà si dissolve in una serie infinita di realtà multiple, che Alfred Schütz definisce province finite di significato: sotto-universi la cui realtà è definita dalle nostre esperienze. Dunque il senso della realtà si manifesta con diversi gradi e modalità in ogni sotto-universo e tra essi quello che ha il maggior potere di stimolo è il modo delle cose fisiche.

Considerazioni conclusive La lezione presenta in sintesi gli elementi principali dell’approccio fenomenologico allo studio della realtà sociale, con riferimenti particolari ad alcuni concetti elaborati da Edmund Husserl e Alfred Schütz.

Esteriorizzazione e Oggettivazione Il processo dialettico di costruzione sociale della realtà Secondo l'approccio fenomenologico la realtà sociale è il prodotto dell'interazione dialettica tra Individuo e società. La società è prodotto dell'attività umana, non esiste senza l'uomo. L'uomo acquisisce la propria identità all'interno della società, senza la quale dunque non può esistere. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta

I tre momenti del processo dialettico Uomo e società dunque si co-producono all’interno di un processo che dobbiamo immaginare come circolare. Questo processo dialettico consiste di tre momenti che vanno considerati congiuntamente: • • •

Esteriorizzazione Oggettivazione Interiorizzazione

Esteriorizzazione Per Esteriorizzazione, intendiamo quel processo mediante il quale l'uomo, per necessità antropologica, in quanto privo di un mondo adatto a sè, si riversa nel mondo costruendo la realtà più adatta alla propria esistenza, sia tramite attività fisiche che attività mentali. Frutto di questa attività di costruzione del cosiddetto mondo-uomo è la cultura.

Oggettivazione Con il termine oggettivazione intendiamo quel processo attraverso cui, la cultura, la realtà costruita attraverso l'attività umana, acquisisce un'esistenza al di là dell'uomo; una volta realizzata, tale realtà, si pone di fronte ai suoi produttori come un dato esterno, oggettivo. Tale oggettività, chiaramente, non riguarda unicamente gli elementi materiali ma anche quelli non materiali, come le idee o le ideologie.

Considerazioni conclusive Nella lezione viene descritto il processo di costruzione sociale della realtà, processo attraverso cui individuo e società si co-producono. Tale processo viene descritto come circolare e costituito da tre momenti quali: l’esteriorizzazione, l’oggettivazione e l’interiorizzazione. I tre momenti non vanno considerati in successione cronologica, ma congiutamente.

l processo dialettico Interiorizzazione Il processo di interiorizzazione rappresenta il terzo momento del processo di interazione dialettica tra individuo e società. Esso permette all'uomo di riappropriarsi degli elementi del mondo oggettivato, trasformandoli in fenomeni della propria coscienza che verranno distinti dai fenomeni

della realtà esterna: la realtà costruita viene ri-trasformata in una struttura della coscienza. Antonio Cavicchia Scalamonti - Gianfranco Pecchinenda, Sociologia della Comunicazione. Media e Processi Culturali Peter L. Berger - Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale Z. Bauman-T.May, Pensare sociologicamente P. Berger, La sacra volta

Il processo di Socializzazione Uno dei problemi che una società si trova a dover affrontare riguarda la trasmissione dei suoi significati che sono stati oggettivati, attraverso le generazioni. Questa tipologia di problemi viene gestita attraverso il processo della socializzazione, grazie al quale una società trasmette i contenuti fondamentali della cultura da essa prodotta ovvero i significati che sono stati prodotti e oggettivati.

Scopo della socializzazione Scopo della socializzazione è dunque quello di creare una simmetria tra la realtà oggettiva e la realtà soggettiva. Quando l'individuo fa suoi i significati trasmessi dalla società, egli sarà in grado di dare un ordine soggettivo alla propria esperienza: gli elementi della sua passata esperienza verranno integrati nell'ordine societario.

Situazioni marginali La costruzione dell'ordine ha, inoltre, l'importante funzione di proteggere gli individui da situazioni che potrebbero comportare la perdita di significato, si pensi alle cosiddette situazioni marginali, situazioni ai margini della realtà stabilita che creano dubbi sulla consistenza della realtà stessa, minando così i presupposti dell'ordine.Il processo di socializzazione ha successo quando porta gli individui ad accettare i fondamentali significati della società, convincendosi che essi siano immutabili.

Considerazioni conclusive Nella lezione vengono descritti i processi di interiorizzazione e socializzazione, completando così il processo dialettico attraverso cui viene costruita la realtà sociale. Un ultimo riferimento al processo di socializzazione attraverso cui gli individui accettano i fondamentali significati della società, considerandoli immutabili.

Il determinismo tecnologico (approfondimento) Una definizione Nella storia degli studi sulla comunicazione, fin dai primi tempi, si incontrano due opposte tendenze: • •

Il determinismo sociale, che pone alla base della nascita delle nuove tecnologie, la spinta sociale, ovvero l’insieme delle necessità umane; Il determinismo tecnologico, che invece porta avanti l’idea che la tecnologia sia la sola

causa delle più evidenti trasformazioni della nostra società.

Il determinismo tecnologico Il pioniere Lo storico dell’economia Harold Innis, fondatore della Scuola di Toronto, è uno tra i primi studiosi che possiamo citare per comprendere a pieno il determinismo tecnologico. Sul finire degli anni Trenta, durante i suoi studi sul commercio del legname e della cellulosa, Innis dedusse che senza la carta, e di conseguenza senza giornali, libri, ecc..., mai sarebbe potuta nascere l’economia contem-poranea. Tra tutti gli staples, cioè prodotti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’economia, la carta sembra essere per la società moderna il principale. Partendo da questa considerazione Innis cominciò a dedicarsi allo studio di come, i vari supporti della comunicazione, avessero avuto un peso determinate nella nascita di diverse formi di organizzazione economica e politica. Innis riteneva che le forme e i mezzi, caratteristici di varie epoche storiche, attraverso cui la conoscenza veniva diffusa, andavano a costituire la base delle relazioni sociali ed economiche tra gli individui

Spazio e Tempo Forme e mezzi di comunicazione, tendono ad agire sulle dimensioni dello spazio e del tempo, differenziandosi per una maggiore propensione per l’una o l’altra dimensione e determinando in questo modo la tipologia di Imperi che si sono succeduti nel tempo

Il determinismo tecnologico Media che enfatizzano il tempo •

solitamente costituiti da materiali pesanti e difficili da trasportare, quindi non permettono un’agevole circolazione delle informazioni favorendo l’accentramento del sapere così come del potere e di conseguenza i monopoli ecclesiastici.

Media che enfatizzano lo spazio •

costituiti da materiali leggeri che permettono una rapida circolazione delle notizie su aree anche abbastanza estese, favoriscono la nascita di organizzazioni burocratiche

Tavoletta di argilla

Rotolo di papiro Esempio L’Impero romano, essendo molto esteso, necessitava di un sistema di trasporto e di comunicazione efficace. Il potere, civile e profano, si fondò su un particolare medium leggero, il papiro, che garantiva una rapida circolazione delle informazioni e permise ai romani di avere un grande controllo degli spazi. Ma non riuscirono altrettanto bene a controllare il tempo, cosa che invece fecero i primi predicatori cristiani attraverso l’uso della pergamena, mezzo non solo più economico, ma anche più durevole. Tutto ciò incrinò il potere dell’impero romano. Un’altra nozione importante introdotta dallo studioso canadese è quella di bias, che sta ad indicare le proprietà specifiche del mezzo di comunicazione. La nozione di bias indica allo stesso tempo un’influenza deformante e un pregiudizio. Influenza deformante •

nel momento in cui all’interno di una civiltà verrà adottato un particolare mezzo di comunicazione, la tendenza di quest’ultimo a favore dello spazio o del tempo, influenzerà la struttura della civiltà stessa.

Pregiudizio •

influenzando l’organizzazione di una civiltà, i mezzi di comunicazione influenzeranno anche i sistemi di pensiero, ciò non permetterà di conoscere oggettivamente altre civiltà, dominate da altri media, svincolandosi dal potere esercitato dai mezzi di comunicazione adottati.

M. McLuhan e la teoria generale dei media Marshall McLuhan Nell’ambito della riflessione sui media, la figura dello studioso canadese Marshall McLuhan, rappresenta certamente una delle più importanti, avendo egli elaborato quella che viene considerata la più famosa teoria generale sui media. Il suo pensiero può essere inserito nell’ambito di quella corrente definita determinismo tecnologico; egli infatti riteneva che le innovazioni tecnologiche che si impongono in alcuni periodi storici, avessero avuto un ruolo fondamentale nell’orientare le componenti principali della società stessa.

Il medium è il messaggio E’ evidente che la teoria elaborata da McLuhan sia debitrice dei precedenti lavori di Harold Innis, i due studiosi sono accomunati dall’idea che il medium sia il messaggio: ciò che entrambi ritenevano importante studiare, non era tanto il contenuto della comunicazione, quanto il mezzo, la tecnologia, che veicola i messaggi, ritenuto in grado di plasmare il modo di percepire e pensare il mondo. Risorse:

Intervista a McLuhan su Playboy

La nascita dell’uomo tipografico In una delle sue opere più famose, La Galassia Gutenberg, lo studioso canadese ricostruisce la storia dell’umanità mostrando come, le tecnologie della comunicazione, abbiano avuto un ruolo determinante nella strutturazione dell’organizzazione sia sociale che psicologica degli uomini. In particolare McLuhan descrive la nascita del cosiddetto uomo tipografico, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra l’invenzione di Gutenberg, la stampa a caratteri mobili, e l’affermazione, nel periodo che va dal 1500 e il 1900, della civiltà moderna nell’Europa occidentale. Risorse: McLuhan, un umanista nel villaggio globale. Un’intervista a Giampiero Gamaleri

I media come estensioni dei sensi Quella che emerge nell’opera è una grande separazione tra la civiltà orale, dove la parola garantiva il primato del senso dell’udito, e il mondo della scrittura e della stampa, medium ripetibile, lineare e uniforme che distrugge l’ordine tribale. I media, dunque, secondo McLuhan sarebbero delle estensioni dei sensi dell’uomo e ciascun mezzo nel momento in cui estende un senso, comporta un vero e proprio assopimento degli altri, alterando così l’equilibrio sensoriale

Media caldi e media freddi McLuhan ci offre a tal proposito, una distinzione tra: •



Media caldi: Espressione con cui vengono definiti quei che estendendo un unico senso fino a colmarlo di dati, non richiede all’individuo di completare il messaggio, determinando quindi un basso livello di partecipazione, esempio di medium caldo è la radio. Media freddi: Con cui vengono definiti quei mezzi che, contrariamente ai primi, sono mezzi a bassa definizione, che non forniscono informazioni molto dettagliate e richiedono la partecipazione dei sensi dell’individuo ricevente; esempio di medium freddo è il telefono.

Periodizzazione Ora, nell’opera di McLuhan possiamo individuare la suddivisione della storia umana in quattro periodi, ognuno dei quali vede l’introduzione e l’affermazione di una tecnologia della comunicazione e un relativo squilibrio sensoriale. • • • •

Periodo tribale Età della scrittura Età della stampa Età dei mezzi elettronici

Periodo tribale Definito anche età orale, in quanto il medium per eccellenza è la parola, questo periodo vede un mondo chiuso, dove i sensi sono simultanei ed in equilibrio tra loro, dove gli uomini vivono in uno spazio essenzialmente acustico e dove la società presenta un’organizzazione di tipo tribale, caratterizzata dalla partecipazione intensa alla vita comunitaria.

Età della scrittura In questo periodo, a seguito dell’avvento della scrittura fonetica, viene rotto l’equilibrio sensoriale del momento tribale. In questa fase infatti si afferma il predominio della vista e uno spostamento da una percezione acustica ad una visiva; l’alfabeto scioglie il legame tra il segno e il suono e determina un modo di pensare astratto, lineare, analitico che non richiama più il livello di coinvolgimento riscontrabile in una comunità orale

Età della stampa Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, si compie definitivamente quello squilibrio sensoriale iniziato nella fase precedente. Se nell’età orale la percezione era globale e simultanea, nella fase della stampa essa diventa a tutti gli effetti lineare e sequenziale, l’uomo diventa quello che McLuhan definisce uomo tipografico, il cui processo di formazione risulta essere individualistico e razionale. In altre parole i caratteri dell’età tipografica, ovvero la continuità, la linearità e l’uniformità, condizionano l’intero mondo mentale e sociale dell’individuo.

M. McLuhan e la teoria generale dei media Le conseguenze dell’invenzione di Gutenberg si sentono in tutti gli ambiti della società, tanto che nell’idea dello studioso canadese, ciascun fenomeno della civiltà moderna può essere attribuito ad essa: l’avvento della prospettiva, il sorgere dei nazionalismi, l’affermazione del metodo sperimentale nelle scienze. Età dei mezzi elettronici Il periodo tipografico vedrà il suo declino nel momento in cui verranno introdotti i media elettronici. Le nuove tecnologie, a partire dal telegrafo fino ad arrivare alla televisione, avrebbero spostato nuovamente l’equilibrio sensoriale verso il senso dell’udito, determinando una percezione del mondo ancora una volta simultanea ed acustica, ecco perché si parla di ri-tribalizzazione. Ci troveremmo, secondo McLuhan, in una nuova forma di società di tipo comunitario ma dalle dimensioni allargate, tanto da poter parlare di villaggio globale.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Régis Debray Studioso che, come gli altri inseriti nel filone del determinismo tecnologico, si preoccupa di individuare il rapporto tra le tecnologie mediali e l’organizzazione collettiva, Debray affronta quelli che sono i campi di una nuova scienza, da lui battezzata con il nome di mediologia. La mediologia è, come dice lo stesso autore nell’opera Course de médiologie générale [1991], : «lo studio delle mediazioni attraverso le quali un’idea diviene forza materiale, mediazioni di cui i nostri media non sono che un prolungamento particolare, [...]».

Régis Debray: immaginario e tecnologie La mediologia, che ha quindi come oggetto di studio la trasmissione, si pone l’obiettivo di ricollegare due ambiti di realtà solitamente scollegati, ovvero quello delle produzioni culturali e quello delle produzioni tecniche, superando però alcuni ostacoli che ne impedirebbero una adeguata comprensione Risorse:

Un’intervista a Régis Debray

“I cinque dragoni” Gli ostacoli da cui la mediologia intende liberarsi sono: • •

il dualismo ontologico, che considera spirito e materia come una coppia di opposti; lo spiritualismo antitetico, che ha condotto gli studiosi a prendere posizioni divergenti nei confronti della tecnologia, considerata o come un rischio oppure come salvezza;

Régis Debray: immaginario e tecnologie • • •

l’umanismo, con la sua visione di soggetto sovrano che si serve dei suoi strumenti; l’individualismo, che porta i più a sminuire l’influenza che i supporti tecnici hanno sulle idee che veicolano; il modernismo, secondo cui i fenomeni religiosi e arcaici sarebbero divenuti irrilevanti, grazie alle tecnologie che comprimono lo spazio e annullano le differenze.

Le mediasfere Come abbiamo visto già nel caso di gli altri studiosi deterministi, anche Debray propone una periodizzazione della storia umana, divisa in tre grandi mediasfere, dove con il termine mediasfera intende: «l’applicazione, all’universo della trasmissione e dei trasporti, della nozione di “ambiente”» [Bifulco, Vitiello, 2004, p. 40]. Tali mediasfere non risultano essere mutuamente esclusive, ma interagiscono tra loro e si sovrappongono, esse sono caratterizzate dall’egemonia di alcune tecniche di trasmissione in diversi epoche.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Le tre mediasfere dunque sono: • • •

Logosfera, periodo in cui domina essenzialmente la scrittura a mano, pur se è forte la fase dell’oralità; Grafosfera, periodo in cui domina la stampa che condurrà a forme di lettura privata, alla nascita di un soggetto razionale e al centro del mondo; Videosfera, periodo che vede l’avvento dei mezzi audiovisivi e in cui ogni aspetto della realtà viene inserito nell’ambito visivo.

Régis Debray: immaginario e tecnologie È importante sottolineare come a ciascuna mediasfera corrispondano visioni particolari di altri ambiti della vita. In sintesi: vedi figura

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie Le ere descritte da Debray, possono essere messe in relazione alla classificazione che Charles Peirce fece del segno, a seconda del tipo di rapporto esistente tra il segno e l’oggetto, in: L’indice, una vera e propria traccia dell’oggetto con cui è correlato; L’icona, si lega all’oggetto attraverso un rapporto di somiglianza; Il simbolo, segno arbitrario e convenzionale che rappresenta un oggetto senza aver legami immediati con esso.

Régis Debray: immaginario e tecnologie Debray a questo punto propone di considerare: • • •

L’idolo come immagine-simbolo; L’immagine artistica manuale come immagine-icona; L’immagine di riproduzione meccanica come immagine-indice.

Criteri di legittimazione e organizzazione statale Nella sua opera, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Debray sottolinea come ciascuna mediasfera abbia prodotto i propri criteri attraverso cui stabilire ciò che è reale e di conseguenza ciò che non lo è, ed è evidente come accanto a tali criteri di legittimazione si possano individuare anche particolari tipologie di organizzazione statale

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

Régis Debray: immaginario e tecnologie

“il materialismo” di Régis Debray In conclusione, dunque, la mediologia si pone come obiettivo di comprendere come i vari tipi di segni riescano ad influenzare la realtà, cercando di individuare le modalità con cui le mediazioni materiali permettono ai segni di manifestarsi e permanere all’interno di un determinato contesto storico e sociale. A tal proposito parliamo di una sorta di materialismo, insito nella possibilità di studiare la storia delle istituzioni partendo dai mezzi di trasmissione che ne hanno determinato la struttura.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Joshua Meyrowitz Continuando il nostro percorso nell’ambito del cosiddetto determinismo tecnologico, non possiamo non citare Joshua Meyrowitz, autore che nella sua opera Oltre il senso del luogo esplicita il suo pensiero circa l’impatto che i media elettronici hanno avuto sul comportamento quotidiano degli individui. Il lavoro di Meyrowitz intende rappresentare il punto di incontro delle teorie di McLuhan e quelle dell’ interazionismo simbolico Goffman, ritenute dallo studioso due teorie complementari.

Goffman e McLuhan: due teorie complementari del fatto che le situazioni sociali sono soggette al cambiamento, la teoria di McLuhan, invece, spiega in modo più dettagliato il cambiamento che si registra nei comportamenti quando vengono a

cambiare le modalità di interazione; come abbiamo potuto vedere nella lezione su questo autore, egli sottolinea come l’introduzione e la diffusione dei media elettronici abbia modificato l’equilibrio sensoriale. Anche questa teoria risulta però carente in un punto: non spiega infatti perchè i media provochino tali cambiamenti.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Ora, come già detto Meyrowitz considera complementari queste due teorie, ed individua il loro punto di incontro in quella che possiamo definire struttura delle situazioni sociali; egli sostiene che nel momento in cui cambia una situazione cambierà di conseguenza il ruolo che i soggetti assumeranno in tale situazione. In pratica le situazioni sociali rappresentano dei contesti all’interno dei quali sono previsti dei comportamenti ed esclusi altri. Cambiando i limiti dei contesti cambieranno anche le definizioni e i comportamenti situazionali.

Un esempio A tal proposito lo stesso Meyrowitz propone un esempio utile per chiarire il concetto appena espresso. Pensiamo alle differenti parole che, un giovane universitario, sceglierebbe per raccontare la sua vacanza a Londra agli amici ed ai professori. Nel primo caso egli assumerà il ruolo di amico e il racconto avrà un tono informale, mentre nel secondo caso, con molta probabilità, il racconto avrà un tono più formale e il giovane si soffermerà su dettagli diversi.

La geografia situazionale Secondo Meyrowitz, il telefono, la radio, ma in particolar modo la televisione, hanno cambiato il modo in cui le persone possono essere fisicamente presenti in un luogo. Permettendo alle persone di comunicare tra loro senza dover condividere il medesimo spazio, o il medesimo tempo, questi media hanno determinato un cambiamento in queste due fondamentali categorie, creando così nuovi ambienti sociali. I media, dunque, più che influenzarci con i loro contenuti, ci influenzano andando a modificare la geografia situazionale della nostra vita sociale.

Metodo circostanziale L’intento di Meyrowitz è quello di studiare tanto gli effetti dei media, quanto il cambiamento dei comportamenti sociali nel momento in cui si adattano alle nuove situazioni determinate dai media stessi, il tutto attraverso il metodo circostanziale, cioè lo studio dei confini delle situazioni; in questo modo lo studioso cercava di colmare i vuoti sia della prospettiva portata avanti da Goffman sia della prospettiva di McLuhan.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Tra queste due teorie Meyrowitz individua un punto di contatto definendo le situazioni come sistemi informativi: solo così può spiegare perchè una situazione può non essere confinata in uno spazio fisico. Un sistema informativo rappresenta un modello di accesso alle informazioni, e la struttura di tale sistema influenza la capacità degli individui di accedere alle informazioni trasmesse. •

Esempio:

La struttura del sistema informativo presente in un libro, permette l’accesso alle informazioni contenute soltanto a chi ha un determinato livello di alfabetizzazione.

I ruoli sociali e l’influenza dei media elettronici Nel suo libro, Meyrowitz, descrive in particolar modo come tre categorie di ruoli sociali siano state trasformate dall’introduzione dei media elettronici: • • •

i ruoli dell’essere i ruoli del divenire i ruoli di autorità

Ad ogni categoria poi applica tre variabili: • • •

l’accesso relativo alle informazioni sociali la distinzione tra scena e retroscena l’accesso ai luoghi fisici

I ruoli dell’essere Questa categoria di ruoli è legata all’identità di gruppo, pensiamo ad esempio ai concetti di femminilità e mascolinità. Secondo Meyrowitz un gruppo è coeso nel momento in cui i membri condividono tra loro informazioni da cui sono esclusi gli estranei al gruppo. I media elettronici però possono determinare la fusione dei gruppi tradizionali, in quanto modificano il sistema di condivisione delle informazioni, in pratica il “chi condivide informazione sociale con chi”.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Il concetto di noi viene poi determinato dalla condivisione di comportamenti da scena e retroscena, ancora una volta, quindi, nel momento in cui i media elettronici permettono di rivelare tali comportamenti, determinano un cambiamento nell’identità del gruppo. Infine, se pensiamo a come le attività di un gruppo siano legate alla condivisione di uno spazio fisico, possiamo vedere come la diffusione dei media elettronici abbia determinato un cambiamento nel rapporto tra il luogo e la situazione sociale.

I ruoli del divenire Questa categoria di ruoli si lega alla socializzazione, e in particolare al passaggio dall’infanzia

all’età adulta. Tutti i processi di socializzazione comportano che gli individui abbiano accesso ad informazioni proprie del gruppo di appartenenza; nei passaggi da uno stadio all’altro è necessario poi acquisire i ruoli da scena e retroscena adeguati allo stadio; Come nel caso dei ruoli dell’essere, anche in questo caso i media elettronici possono determinare, secondo Meyrowitz, una confusione tra i tradizionali stadi. «La nostra cultura sembra essere sempre più caratterizzata da un’omogeneizzazione tra infanzia e maturità» [Bifulco, Vitiello, 2004,p. 70].

I ruoli dell’autorità Prima di descrivere il cambiamento nell’ambito di questa categoria di ruoli, è bene sottolineare la distinzione che Meyrowitz fa tra potere e autorità: •

il potere si possiede mentre l’autorità deve essere rappresentata.

Un soggetto avrà uno status elevato nel momento in cui avrà informazioni che gli permettono di mantenere il controllo sugli altri; più i sistemi informativi che trasmettono tali informazioni limitano l’accesso alle conoscenze, più aumenta l’autorità. I ruoli legati all’autorità devono poi mantenere riservati i comportamenti da retroscena oltre ad esercitare il controllo sul territorio.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo I media elettronici tendono però a fondere i sistemi informativi, per cui l’autorità di certi status su altri tende a diminuire; a ciò si aggiunga che spesso, tali media, mostrano sia comportamenti da scena che i comportamenti da retroscena oltre che ha non garantire la separazione tra luogo fisico e inaccessibilità sociale alle conoscenze, determinando un ulteriore declino dell’autorità.

In sintesi:

Oltre il senso del luogo I media elettronici, come la televisione, rispetto a quelli tradizionali, come il libro, veicolano le informazioni in modo più semplice ed immediato, tanto da permettere a gruppi differenti di avere accesso alle stesse conoscenze. Essi tendono ad unire ambienti che prima erano separati, e ciò si verifica anche quando si tratta degli spazi della scena e degli spazi del retroscena, tenuti separati dai media tradizionali e invece uniti da quelli elettronici.

J. Meyrowitz: oltre il senso del luogo Altra fondamentale differenza sta nella tipologia dei messaggi, mentre un libro attraverso la modalità discorsiva, presenta una struttura simbolica astratta e lontana dalla realtà, la televisione veicola informazioni soprattutto attraverso le immagini, che riproducono la realtà. E così quindi che si viene a creare una forma di interazione che in passato era possibile sono attraverso il reciproco contatto faccia a faccia, ed è per questo motivo che Meyrowitz sostiene che sia cambiato il senso del luogo.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Il determinismo sociale • • •

La storia della sociologia e in particolare la storia della comunicazione, vedono fronteggiarsi due modelli di interpretazione: Il determinismo tecnologico, che come detto in alcune lezioni precedenti, considera lo sviluppo tecnologico come motore delle innovazioni socio-culturali; Il determinismo sociale, che sostiene invece che ogni innovazione sociale è possibile soltanto nel momento in cui esiste una spinta sociale, sono i bisogni umani a determinare l’emergere di nuove tecnologie.

Letture: L. Bifulco, G. Vitiello, Sociologi della Comunicazione. Un’antologia di studi sui media. LI.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Gli studi di Philippe Breton Breton è stato inserito a questo punto del programma in quanto ridiscute e ripropone, con opportune ed originali critiche, alcune questioni presenti negli approcci connessi al determinismo tecnologico. Il suo principale saggio (L’Utopia della comunicazione) è fondato su di una semplice domanda: perché oggi si parla tanto, e positivamente, di comunicazione? Quali sono stati i processi sociali e tecnologici che hanno condotto alla formazione di quella che viene definita “società della comunicazione”? Nelle risposte si evince che il solo determinismo tecnologico risulterebbe insufficiente a spiegare il fenomeno.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Indicatori presi in considerazione dal ricercatore francese La storia della comunicazione moderna fa risalire al secolo dei Lumi e successivamente al XIX

secolo la nascita di una sensibilità molto forte per la comunicazione e per le speranze ad essa connesse. A quell’epoca si può anche far risalire l’idea secondo la quale lo sviluppo dei media e della libertà di comunicazione rappresentano le condizioni essenziali del progresso dell’intera società. Più tardi però – anche se su quello stesso filone – si è sviluppata una corrente di pensiero di impostazione utopistica che ha fatto della comunicazione l’asse centrale della riorganizzazione della società.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione A questo punto Philippe Breton sente la necessità di domandarsi in che modo la società della comunicazione ha sostituito quelle che l’hanno preceduta, quali sono stati i processi culturali e sociali che l’hanno accompagnata, quali i suoi effetti e, infine, in quali altri modi essa si potrà riciclare. Numerosi indicatori fanno intravedere nessi sotterranei che possono mettere assieme le due guerre d’inizio secolo che hanno così profondamente scosso le coscienze collettive, e la formazione di una nuova utopia, che nasce proprio – è questa la sua tesi – come un serio tentativo di risposta al fallimento incombente della società dell’epoca. Gran parte dei paradigmi sulla comunicazione emergono a partire dagli anni ‘40, periodo che segna anche, e non è un caso, il definitivo precipitare del conflitto mondiale “nella barbarie” più assoluta. Il progetto utopico Il progetto utopico, nato nel periodo più buio della storia europea e in reazione ad esso e che Breton analizza e descrive nella sua opera, presenta la comunicazione accompagnata da tutte le sue tecnologie e strumenti, come un superiore rimedio a tutte le disfunzioni sociali. Un valore alternativo alla barbarie, al razzismo e all’esclusione. Sembra oramai assodato che i mutamenti contemporanei avvenuti nella nostra società vengano messi in moto da questo progetto, e che la società della comunicazione sia per molti aspetti “un mito”. Le tre tappe Nel volume citato, Breton attua innanzitutto una ricognizione delle radici dell’ideologia della comunicazione che egli fa risalire ai lavori dei primi cibernetici, individuando in essi la formazione di tale idea, dei dispositivi e anche i suoi effetti perversi. L’origine ed il successo della nuova “società della comunicazione” costituirebbero la reazione e la ridefinizione costitutiva della modernità. Originatosi nei tormenti di una lunga guerra mondiale e nei soprassalti di un drammatico degrado del legame sociale, il ricorso universale alla comunicazione si lega così a specifiche circostanze storiche, che gli conferiscono senso e portata sociale. Secondo Breton tre grandi tappe ne segnano lo sviluppo, uno sviluppo che, a partire proprio da quegli anni, coinvolge tutta la società in una spirale nel contempo unificante e generalizzante.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Prima tappa La prima tappa va a collocarsi in seno alla nascita della Cibernetica, disciplina o per meglio dire

insieme di discipline, esplicitamente votate alla ricerca delle leggi generali della comunicazione, sia che interessino fenomeni naturali, sia che riguardino le macchine, gli animali, gli uomini o le società. Loro obiettivo è la costruzione di un campo interdisciplinare che unifichi sotto lo stesso nome un insieme di fenomeni già noti, nei campi della neurofisiologia, della telefonia, della matematica, della fisica e dell’antropologia.

Il determinismo sociale: Philippe Breton e l’utopia della comunicazione Lo sviluppo della Cibernetica ha portato alla nascita della nuova nozione di comunicazione e a una reinterpretazione del campo disciplinare. Norbert Wiener, uno dei fondatori di questa rete iniziale, sottolinea con la sua esplicita volontà l’estensione della nozione di comunicazione al campo d’analisi e poi dell’azione politica e sociale. N. Wiener Seconda tappa Parallelamente, l’uso di questa nozione continuava a svilupparsi e ad arricchirsi, ad esempio con la teoria dell’informazione di Shannon, che diviene la seconda tappa fondamentale per l’epistemologia contemporanea, risolvendo i fenomeni in reti di relazioni Terza tappa Tuttavia l’immediato dopoguerra si pone come terza e decisiva fase, nella storia della comunicazione moderna. Qui nasce un’esigenza di riscatto, determinata da una perdita di punti di riferimento e testimoniata da questa rovinosa condizione del dopoguerra. In quest’ottica lo sviluppo dei mezzi di comunicazione appare come priorità, una necessità funzionale al sistema, fornendone un quadro di apertura globale. Accanto alla crisi ideologica si pone, nello stesso tempo, l’esigenza di un valore che sia motore trainante per il mutamento di una società basata proprio sulla trasparenza comunicativa: “ormai nulla deve accadere in un angolo oscuro dell’umanità, così non esisterà più l’oscuro segreto nel quale è stato preparato il genocidio nazista”. La trasparenza come valore La comunicazione, trasparente ed immanente che soddisfa bisogni sociali, diventa un’ossessione che costituisce una risposta perfetta alla crisi del ventesimo secolo. L’originalità di questo nuovo paradigma della comunicazione è testimoniata da un nuovo modo di fare scienza, da una nuova definizione dell’uomo, dall’introduzione di alcune nozioni che hanno alimentato le nuove teorie delle scienze della comunicazione. Wiener, precursore di tale paradigma, critica il metodo funzionale delle scienze classiche, sostenendo che non è soddisfacente poiché si interroga esclusivamente sul contenuto dei fenomeni di cui la scienza si occupa sul versante interno degli oggetti: “Le relazioni che si interporranno tra i fenomeni contano più di ciò che essi sono”. Breton pone l’attenzione su questo presupposto individuando la genesi di una tesi molto forte, specialmente dal punto di vista epistemologico, che reinterpreta la realtà in termini di informazione e comunicazione, proponendo una nuova visione del mondo globale e unificante, organizzata attorno al punto focale della comunicazione, tale da sfiorare tutte le discipline e contenente in germe la trasformazione della comunicazione in un valore di ampia portata sociale e politica. La novità di questa nuova concezione non risiede nel fatto che vengono posti in scena Informazione

e Comunicazione, quanto piuttosto nel fatto che lo scambio di informazioni e relazioni è integralmente costitutivo dei fenomeni sia naturali che artificiali. L’Homo communicans e la scomparsa dell’interiorità Per Breton i lineamenti dell’uomo comunicante, le sue caratteristiche, la sua “natura” sono iscritti nel modello disciplinare della Cibernetica, “scienza dei comandi, unificati, dei controlli dell’uomo e delle macchine”. Attraverso la comunicazione – “ogni organismo è la somma delle informazioni che può scambiare nelle reti in cui può entrare”. Là si colloca l’idea che: “nella nuova società tutto è comunicazione”, costituendo la base di un discorso che possiamo definire utopico. Attraverso tale idea ritroviamo innanzitutto una poderosa critica nei confronti di tutte quelle concezioni teoriche che postulano una qualunque interiorità dei fenomeni, in quanto si afferma che "tutto può essere spiegato in termini di relazioni", implicando quindi che tutto è posto all’esterno. Ogni fenomeno, e ogni essere, può essere paragonato metaforicamente ad una cipolla, ovvero ad un insieme di esteriorità sovrapposte senza nucleo interiore, in quanto tutto ciò che è interno viene posto all’esterno; da ciò scaturisce anche la nuova concezione dell’ Homo Communicans, un uomo ormai spogliato della sua interiorità, immerso nelle relazioni e negli scambi d’informazione con i suoi simili e con la struttura sociale. Questa potrebbe essere anche una spiegazione del successo dei media, l’attaccamento dell’uomo alla Tv, o al computer: una nuova visione della realtà, anticipata dalla Cibernetica, ma di cui solo attualmente si sta prendendo coscienza; una ridefinizione dell’uomo e dei suoi rapporti con la realtà. Inoltre Breton spiega le ragioni per le quali la comunicazione diventa un valore centrale, in particolare per il timore dell’anomia. Questo paradigma si sviluppa intorno ad un’asse che contrappone l’informazione all’entropia, partendo dalla constatazione che tutti i sistemi chiusi sono minacciati dall’entropia. Ora, l’esatto contrario dell’entropia è rappresentato dall’informazione vivente che circola e che rende “aperti” i sistemi. Se i canali informativi vengono mantenuti ampiamente aperti e comunicanti, se può essere effettuato il trasferimento delle decisioni politiche - come sosteneva Wiener - a vantaggio di macchine capaci di apprendere, allora ci saranno le condizioni per l’istituzione di una società migliore. Uno dei primi effetti della trasposizione utopica delle nuove tecniche di comunicazione e dei media è un radicale spostamento del ruolo e della funzione dello strumento rispetto alla sua finalità: lo strumento non è più un mezzo ma diventa il fine. Si potrebbe, quindi, parlare di una sorta d’idolatria dello strumento. L’effetto perverso di una simile inversione, in cui il mezzo si trasforma in fine, risiede nel fatto che lo strumento non serve più a realizzare ciò per cui era stato ideato, ma finisce per funzionare solo per se stesso. Secondo Breton attualmente l’utopia della comunicazione sembra imporsi come l’unico valore, l’unica utopia funzionante in grado di risolvere ogni problema, in quanto portatrice di trasparenza, consenso, ed equilibrio sociale. Essa sarebbe oggi il solo valore sul mercato delle idee che abbia un fondamento e una connotazione dominante e capace di ottenere una forte adesione. Questa trasformazione del tema della comunicazione in utopia mostra sino a che punto ci troviamo in un’era del “disincanto”, come molti pensano. Le derive di questa utopia della comunicazione rinviano, come riflesso, ad uno dei temi essenziali del nostro tempo, l’esigenza di ricostruire la rappresentazione dell’uomo e della società; per mettere in moto questo processo non si potrà, secondo Breton, fare a meno di un granello di utopia, ma neppure, anzi tanto meno, di un forte

senso critico.

Il Tempo: la ciclicità Sociologia del tempo In questa lezione verranno affrontati alcuni concetti della sociologia del tempo. Partendo da quanto, qualche tempo fa, notava un noto storico russo, A. Y. Gourevitch: Le rappresentazioni del Tempo sono parti fondamentali della coscienza sociale. « … tutti gli uomini ovunque, in tutte le epoche, in tutte le culture hanno un’esperienza che è loro propria del tempo e anche se inconsciamente, una qualche concezione di esso» [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 59] Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema : Recensione Il Tempo della natura Tra i criteri più primitivi per misurare il tempo vi erano i movimenti del sole, della luna, delle stelle. Oggi noi abbiamo un'immagine precisa delle relazioni e delle regolarità di questi movimenti: i nostri predecessori invece non l'avevano. Essi facevano esperienza di una gran quantità di singoli avvenimenti, senza averne un rapporto chiaro. Se non si possiede un preciso STANDARD (ad esempio l'ora dell'orologio) per determinare temporalmente gli avvenimenti, non si può avere un concetto di tempo come il nostro. Risorse: Approfondimenti

Misurare il tempo E' soltanto lo sviluppo della determinazione temporale nella vita sociale, la progressiva creazione di un "reticolo" integrato di "regolatori temporali" (orologi continui, calendari continui, scale temporali tipo anni, secoli etc.) ciò che rende in generale possibile l'esperienza del tempo in quanto FLUSSO REGOLARE E UNIFORME. Misurare il tempo Appare evidente dunque come il problema fondamentale riguardi LA COSTRUZIONE DI AMBIENTI UMANI sempre più INDIPENDENTI e AUTONOMI rispetto alla natura. Da questo

punto di vista vi è una autonomia relativamente crescente nelle società umane: quanto più l'enclave umana cresce in dimensione e autonomia (nel quadro di più ampi processi di urbanizzazione, commercializzazione e meccanizzazione), tanto più grande diventa la sua DIPENDENZA da strumenti creati dall'uomo con la funzione di STRUMENTI DI MISURAZIONE. E al contempo tanto minore diviene la DIPENDENZA da metri di misura temporali non umani come il movimento della luna, quello del sole, i flussi e i riflussi delle maree . Il tempo ciclico Nell'ambito di tutte le comunità umane, almeno fino ad una certa epoca storica, la determinazione sociale del tempo non poteva che seguire un modello che, essendo strettamente dipendente dall'evolversi dei ritmi naturali, non poteva che essere circolare. In una società agraria, ad esempio, il tempo veniva definito innanzitutto dai ritmi naturali. Risorse: Concezioni del tempo Il calendario del contadino rispecchiava l'avvicendarsi dei periodi dell'anno e la successione delle stagioni agricole. Presso i Germani i mesi portavano nomi che indicavano i lavori agricoli e le altre attività svolte nelle stesse stagioni agricole. Il mese del maggese (maggio), il mese della falciatura (luglio), quello della semina (settembre), del vino (ottobre) e così via. Ciò che è più significativo è che questi concetti esprimessero non una tendenza lineare del tempo (dal passato al futuro) ma piuttosto un suo movimento circolare. Il fatto che il tempo venisse regolato dai cicli naturali, determinava però non solo la dipendenza dell'uomo dalla natura, MA ANCHE LA STRUTTURA SPECIFICA DELLA SUA COSCIENZA. Nella natura non c'è sviluppo o progresso, ma solo REITERAZIONE. C'è una tirannia, quella del suo ritmico e regolare movimento ciclico. E tale Eterno Ritorno lo ritroviamo al centro della vita spirituale almeno fino a tutta l'antichità occidentale e, in gran parte, a tutto il Medioevo. Il tempo ciclico In tale tipo di società l'INDIVIDUALITA' viene negata, così come ogni tipo di possibile condotta innovatrice. La norma (anzì la virtù), voleva che ognuno si comportasse come tutti gli altri, n modo tradizionale. La vita dell'uomo deve essere una ripetizione continua di atti precedentemente compiuti da altri secondo un MODELLO (un archetipo) di comportamento attribuito ai primi uomini, ai Padri fondatori, agli Eroi o alle Divinità stesse. La reiterazione da parte degli uomini di atti risalenti a un prototipo divino li collega al SACRO. Tutta l'attività degli uomini, familiare, produttiva, sociale, intima, riceve un SENSO e una SANZIONE in quanto partecipe o meno del sacro, secondi un RITUALE fissato agli inizi dei tempi.

Il Tempo: la linearità Il Tempo lineare Continuando il percorso iniziato nella lezione precedente (n° 9), affronteremo la sostituzione di una concezione temporale arcaica, ciclica, con una concezione propria della modernità : LINEARE Letture:

La morte. Quattro variazioni sul tema.

Nella coscienza moderna, rispetto a quanto affermato nella precedente lezione, domina un TEMPO VETTORIALE, LINEARE. Un momento di trasformazione cruciale è dato dal passaggio dal Paganesimo a Cristianesimo nell'Europa Medioevale. L'atteggiamento arcaico verso il tempo non venne però estirpato di punto in bianco, quanto progressivamente messo in secondo piano. Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Tanto per portare un esempio, il calendario pagano che rifletteva i ritmi naturali, venne via via adattato ai bisogni della liturgia cristiana. L'anno era scandito dalle feste che contrassegnavano gli eventi della vita di Cristo, i giorni sacri. Di conseguenza il calcolo del tempo veniva compiuto contando il numero delle settimane prima e dopo Natale, e così via. Fino al XIII-XIV secolo gli strumenti di misurazione del tempo erano una rarità. Erano usuali gli orologi solari, quelli a sabbia (clessidre) e ad acqua. I monaci si orientavano in base al numero di pagine lette o dal numero di salmi recitati. Per la massa della popolazione il principale punto di orientamento nella giornata era il suono delle campane della Chiesa. Le giornate erano divise in una serie di frazioni, le ore canoniche; di solito erano sette, scandite dal tocco dell'orologio della chiesa. Così il corso del tempo veniva controllato dal clero. Si distingueva la campana della mietitura, quella dello spegnimento del fuoco, quelle del pascolo nei prati. L'intera vita della nascente popolazione pre-urbana era regolata dal suono delle campane, adeguandosi così al ritmo del tempo della Chiesa. Il predominio del tempo della Chiesa poté durare finché esso corrispose al lento, cadenzato ritmo della vita della società feudale, determinato soprattutto dalla sua natura agraria. Ma al suo interno si sviluppava un altro centro della vita feudale, che si caratterizzava per un ritmo particolare e necessitava di una più rigorosa misurazione del tempo, di un suo più accurato dispendio: LA CITTA'. I cicli produttivi degli artigiani non erano definiti dall'avvicendarsi delle stagioni. Tra un artigiano e la natura già si interponeva un ambiente artificiale da lui stesso creato. La città diventa portatrice di un nuovo atteggiamento verso il tempo. Sulle torri cittadine vengono posti gli orologi meccanici che soddisfano un'esigenza prima ignota: conoscere e il "tempo esatto" nell'arco di una giornata. Per i MERCANTI IL TEMPO E' DENARO! L'imprenditore ha bisogno di determinare le ore in cui è attiva la sua bottega. IL TEMPO DIVENTA MISURA DEL LAVORO, diventa un valore essenziale nel processo di produzione. La città diviene padrona del tempo, sottraendolo alla Chiesa. L'uomo al tempo stesso cessa di essere padrone di un tempo che comincia a scorrere indipendentemente dalle sue attività e da ogni evento concreto. Esso impone una sua tirannia a cui gli uomini sono costretti a sottoporsi. Intorno al XVII secolo si verificano due altri fondamentali passaggi per la storia sociale del tempo occidentale: la dissociazione definitiva dello svolgimento temporale rispetto al tempo divino e sacro (nasce quindi la ricerca di un qualcosa che dia un senso alla sua evoluzione); il secondo consiste nella generalizzazione del progresso sociale e tecnico.

La visione ciclica del tempo si interrompe drasticamente: l'uomo non è più rivolto all'indietro, alla ricerca nel passato di modelli da seguire, ma si comincia a volgere verso la oramai dilagante categoria di futuro, sostenuta dalla altrettanto dilagante idea di progresso. L'analisi dell'idea di progresso, unitamente al fenomeno di diffusione della razionalità e del progresso scientifico, diventano centrali per analizzare la cultura del tempo diffusasi nelle società occidentali moderne e le filosofie della storia ad essa collegate.

La Morte La morte Un tema come la morte è sicuramente un argomento delicato nonché scomodo. Spesso può accadere che nei confronti di coloro che affrontano tali tematiche, si sviluppi un certo pregiudizio: molto spesso si è portati a credere che dietro un tale interesse si nasconda qualcosa di morboso, se non qualche conflitto personale irrisolto. A volte si innesca anche un meccanismo, che potremmo definire irrazionale, di timore:ragionare sulla morte, potrebbe risvegliare la morte stessa. Ma cos’è la morte? Quali sono i comportamenti che suscita? L’impensabilità della morte Sicuramente tutti abbiamo un’idea della morte, tutti sappiamo che essa fa parte della nostra esistenza. Ma è anche vero che questo convincimento è puramente razionale e quasi per niente interiorizzato, profondo. Ciò emerge nel momento in cui un individuo apprende la notizia di dover morire. «Quando la consapevolezza si realizza e assume un’abbagliante evidenza vengono meno anche le nostre tradizionali ed automatiche strategie di difesa.» [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 161] Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Di fronte ad una tale notizia crolla quella sicurezza che accompagna il vivere quotidiano, fatto di routine consolidate, e la morte vede sfumare quella posizione di marginalità cui sembra essere relegata nello svolgersi della ripetitività dei giorni. La morte per l’uomo moderno è quindi un fenomeno impensabile. Nel momento in cui stiamo per morire o quando ci troviamo di fronte al cadavere di una persona a noi cara, non siamo in grado di aggrapparci ad alcun valore, idea, comunemente condivisa. Alla nostra società manca essenzialmente un linguaggio che ci permetta di definire e chiarire la morte, non siamo in possesso di una costruzione simbolica che la giustifichi, la spieghi in modo convincente. Nella nostra cultura in pratica non siamo in grado di pensare la morte, quantomeno per poterla respingere come paura; a tutto ciò si aggiunge anche l’incapacità di accettare la sofferenza che si lega alla morte

La pornografia della morte: nuovi tabù moderni Intorno al 1955, lo psicoanalista e sociologo Geoffrey Gorer, scrisse un articolo intitolato La pornografia della morte, in cui dimostrava come nel mondo occidentale la morte fosse diventata qualcosa da mettere da parte, da allontanare dalla vira sociale. Parlare della morte era considerato di cattivo gusto, la morte si costituisce dunque come un nuovo tabù così come il sesso lo era stato in epoca vittoriana. La morte nella società moderna Negli anni Settanta tutti gli studi sulla morte, tendono a confermare l’esistenza di questo tabù. Questi studi sono caratterizzati tutti da una critica nei confronti della società contemporanea, ritenendo il rifiuto della morte il principale indicatore della sua crisi. Non va trascurato il fatto che la società moderna nasce sulle basi della società cristiana, che deriva il suo successo anche dalla presunta vittoria sulla morte (pensiamo al fatto che la resurrezione è alla base del culto cristiano). Quindi, nel momento in cui una soluzione ad un tema come la morte, così difficile da affrontare, viene interiorizzata, diventa comporta un enorme peso sul piano psicologico: « […] l’abbandono di una credenza, o almeno la messa in discussione d’essa, è sempre doloroso, poiché richiede la riprogrammazione di mappe cognitive […] » [La morte. Quattro variazioni sul tema. p. 165]

Morte e società moderna: il disincanto In realtà il primo studioso a mettere in relazione la trasformazione della società alla perdita del significato della morte, fu Max Weber. Nella sua analisi dello sviluppo della modernità, costatava come il processo di modernizzazione (disincanto) avesse tra le sue principali caratteristiche la perdita di un significato ultimo. Paradossalmente, questa società determinava così rapidamente e senza soluzioni di continuità nuovi fini, da non riuscire ad avere però un fine ultimo. Risorse: Max Weber Max Weber, riferimenti. La morte antica e morte moderna L’uomo delle società antiche, sufficientemente anziano, trovandosi nel ciclo organico della vita, poteva dire di aver risolto tutte le aspettative di senso che l’esistenza gli aveva posto, non restavano ulteriori enigmi da risolvere, aveva esaurito i significati della sua vita e poteva dirsi pronto a morire. Oggi questo non può avvenire. L’uomo contemporaneo è inserito un movimento senza fine, sempre mutevole e non è in grado di esaurire nulla, non potrà mai risolvere tutti gli enigmi, e quindi non potrà morire sazio come l’uomo antico Morte legittimata Arriviamo dunque a distinguere due concetti diversi di morte. Morte legittimata: ovvero spiegata, giustificata, collocata all’interno di un Universo Simbolico.

Incontriamo un tipo di morte legittimata, nelle società più antiche in cui la visione del modo possiamo definirla olistica, dove la totalità viene prima delle singole parti di cui è composta. Un società in cui il livello di individualizzazione è molto scarso e in cui le azioni degli uomini sono prescritte. In questo tipo di società un evento come la morte, pur costituendo un evento doloroso, viene affrontato come parte dell’esistenza. Legittimando la propria morte un uomo antico legittima se stesso e l’ordine di cui fa parte. Quindi in un certo senso la morte non è una forza disgregante ma anzi, necessaria al mantenimento dell’ordine sociale. Inoltre in queste società la morte non è un fenomeno solitario, ma obbliga le persone a unirsi nel processo di ritualizzazione che l’accompagna, processo fondamentale alla legittimazione stessa della morte. Morte delegittimata Morte delegittimata: contrariamente a quanto prima affermato, la morte è delegittimata quando non trova posto all’interno di un Universo Simbolico, in grado di spiegarla e giustificarla. Ciò avviene nella società occidentale moderna dove la morte non è più considerata il completamento della vita, essa rappresenta un evento di fronte al quale crolla tutta la razionalità dell’uomo moderno, quella razionalità rassicurante, nata proprio per fugare ansie e paure collettive ma che si rivela inutile nel momento in cui l’individuo moderno si trova di fronte all’imminenza della propria fine. Nella società moderna non esistono più modelli a cui aderire, schemi di condotta, azioni prescritte come nella società antica, ma esiste solo un individuo preoccupato di se stesso. Essendo un mondo ego-centrato, l’uomo non partecipa di un Noi, non è inserito in una collettività in grado di permettere il legame con chi ci circonda, con chi ci ha preceduto e con chi verrà dopo di noi, non fa parte di un continuum che riesce a dare n senso partecipativo alla vita quanto alla morte.

Sussurri e grida: il cinema e la morte Caratteristiche del linguaggio cinematografico In questa lezione vedremo come il concetto affrontato in precedenza ( Lez. 11), ovvero la morte, venga presentato attraverso il cinema. Il cinema, viene comunemente considerata la forma artistica più caratteristica del ventunesimo secolo e anche quella che più delle altre ha esercitato la maggior influenza nel riflettere ed elaborare l’immaginario collettivo. Letture: La morte. Quattro variazioni sul tema. Risorse: Breve storia del cinema Caratteristiche del linguaggio cinematografico Il cinema, infatti, opera su materiali che provengono direttamente dal mondo circostante che esso però riformula, metaforizzandoli, portandoli in una dimensione che gli è propria. Ciò che rende particolare questo mezzo di comunicazione, è la capacità di rendere visibile

l’immaginazione, ed è questo uno dei motivi, se non il principale, che permettono una sua diffusione a tutti i livelli. Il cinema è stato definito una vera e propria istituzione sociale, poiché rappresenta un dispositivo che da una parte lega, ingloba, determinando l’insorgere di un forte senso di appartenenza, dall’altro detta norme di condotta, determina orientamenti e valori, inventa nuovi linguaggi. Esso può mostrarci aspetti oscuri della nostra società, estranei, così come può affrontare tematiche comuni a tutte le culture, come amicizia, amore e appunto morte. E proprio con particolare riferimento a quest’ultimo tema, che è poi l’argomento della lezione, il cinema possiede una caratteristica estremamente funzionale. Il linguaggio logopatico Come sottolineato dallo studioso Julio Cabrera, nella sua opera Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, non è possibile esprimere ed articolare soltanto logicamente determinate situazioni della realtà, per poterle rendere comprensibili è altresì necessario che queste vengano presentate sensibilmente tramite quella forma di comprensione che egli definisce logopatica: una comprensione che è razionale e affettiva allo stesso tempo, una presentazione che produca un certo genere d’impatto. Risorse: Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film. Scheda sul saggio Soltanto in questo modo si può arrivare ad un tipo di comprensione che non sia soltanto logica ma anche affettiva. Siamo di fronte alla ragione logopatica che tramite le potenzialità espressive insite nel linguaggio filmico, permette di cogliere le verità della vita e di farlo non solo dal punto di vista razionale ma anche mediante delle intuizioni emotive. Film come concetti immagine Secondo Cabrera, i film sono dei concetti immagine che tramite l’impatto emotivo suscitato dal cinema, affermano qualcosa sul mondo, e lo fanno con una pretesa di verità ed universalità, dove con il termine universalità si intende qualcosa che appartiene all’ordine della possibilità e non della necessità: il cinema ci descrive quanto potrebbe essere e non quanto deve essere. Cinema come specchio della realtà Dunque il cinema può essere considerato come lo specchio della realtà, che lì si riflette ma lì trova anche una sua profonda trasformazione. Se desideriamo capire il mondo in cui viviamo, è proprio al cinema che dobbiamo rivolgerci, a quel grande serbatoio di significati a cui tutti attingono e in cui tutti ci possiamo riconoscere pur nella nostra diversità. Adesso passiamo alla presentazione ed analisi di un capolavoro cinematografico del regista svedese Ingmar Bergman, Sussurri e grida (1972). Il film inizia mostrando una donna gravemente malata, ormai prossima alla morte, circondata dai parenti. Agnese (il nome della protagonista) è infatti una giovane donna che sta per morire ed è assistita dalle due sorelle e dalla governante, Anna. Risorse: Recensione: Sussurri e grida

Ingmar Bergman: un’intervista La prima sorella, Maria, ha un atteggiamento nei confronti della vita un po’ infantile, mostra un affetto sincero per la sorella malata, ma non è in grado di esserle d’aiuto, soprattutto quando la situazione diventa più grave. Ella è evidentemente terrorizzata dalla morte. L’altra sorella, Karin, ha un carattere più forte ma sembra non amare la vita, ciò che teme è soprattutto il contatto umano, molto probabilmente la sua è paura della sofferenza. La governante, Anna, è una donna di umili origini toccata profondamente dal dolore di aver perso da poco tempo la sua unica figlia, lei è molto legata ad Agnese. Quando la storia comincia siamo agli ultimi stadi della vita della protagonista, la morte è vicina e lei soffre molto e nella sua agonia sogna la madre, che tuttavia le appare come distante e distratta. La giovane, al termine del suo percorso, sembra chiedere conforto alla madre, come se inconsciamente sapesse che nell’antico rapporto materno avrebbe trovato la risoluzione del suo senso di angoscia. Dopo una lunga e dolorosa agonia, Agnese muore, e questa sua sofferenza incute timore come e se non più della morte stessa, determinando l’allontanamento delle sorelle che si sentono spaventate ed impotenti. L’incapacità di affrontare la morte Nel momento in cui la protagonista muore, sulla scena appare il sacerdote: colui che è il vero specialista dei simboli e dei riti e che da sempre gestisce il sacro. Dal sacerdote tutti aspettano non soltanto una parola di conforto, ma una vera e propria legittimazione della morte; si aspettano che egli celebri quel rito in grado di impedire l’intrusione dei morti nel regno dei vivi, ma che allo stesso tempo ne garantisca il ricordo. Ma Bergman al contrario ci presenta un pastore, un uomo pieno di dubbi, che non è in grado di accreditare la morte, privo quindi delle certezze necessarie. Indice di quella secolarizzazione penetrata ormai ovunque. Quello che il regista vuole poi comunicarci, è che la ritualità è priva di phatos, è solitaria, i protagonisti sono soli, non trovano conforto nella collettività, si muovono in un vero e proprio vuoto sociale. Resi immobili dalla mancanza di un’oggettivazione condivisa, privi di un linguaggio adatto, i protagonisti non sono capaci di elaborare il lutto correttamente, privando così i morti di un loro spazio simbolicamente pertinente I morti che chiedono Come prova di ciò il regista presenta una scena estremamente drammatica: Agnese che da morta, piange e chiama le sorelle. Simbolo dei morti che chiedono anche nella loro situazione, che gli altri non si sottraggano alla relazione, chiedono che i legami non vengano sciolti, chiedono di non essere dimenticati. E così se il lamento di Agnese prima di morire, era indice di un dolore insopportabile, il suo lamento da morta è indice del dolore del nulla, dell’oblio. Condividere la morte Ma le sorelle non sono in grado nemmeno questa volta di rispondere al suo appello, tirandosi indietro con paura e repulsione. Soltanto Anna accorrerà al capezzale della morta, rispondendo a quella richiesta d’aiuto nell’unico modo che, culturalmente ed intuitivamente, conosce: offrendole il calore del suo corpo e la ricchezza del suo seno, in un abbraccio materno. Anna si “assume” la morte di Agnese, condividendola, tanto che la giovane morta sembra calmarsi e accettare il suo stato definitivo.

Due società nel confronto con la morte Laddove le due sorelle sono il simbolo di una società, quella moderna, che rifugge la sofferenza, in nome del diritto alla felicità, che orienta i propri sforzi verso la conservazione del corpo e l’eliminazione delle angosce, alla medicalizzazione della società, rifiutando il coinvolgimento affettivo con l’altro e dove la morte non trova spazio, Anna, la governante, è simbolo di quella cultura più antica che cerca di inglobare la morte nel proprio Universo simbolico dove si ha un’idea della vita di cui la morte costituisce il necessario sipario

Riflessioni conclusive Conclusioni Dunque, in questa lezione, cercheremo di fare un quadro in cui sintetizzare gli obbiettivi del corso. Nella prima fase sono stati presentati alcuni concetti fondamentali. L’idea è quella di fornire gli “attrezzi”, gli strumenti di base per un approccio sociologico allo studio dei processi comunicativi. I termini chiave del corso sono comunicazione e cultura. Prima però si è ritenuto necessario fare alcune riflessioni sul concetto di società, e su come questa possa essere definita un prodotto dell’attività umana. Ecco quindi che abbiamo presentato il processo dialettico (uomo-produttore/società-produttrice) il quale come sottolineato nelle prime lezioni, è costituito dai tre momenti o gradi: • • •

l’esteriorizzazione; l’oggettivazione; l’interiorizzazione.

Siamo passati quindi alla presentazione dei due paradigmi, i due modelli di interpretazione opposti che caratterizzando gli studi sociologici, in particolar modo per quanto riguarda la comunicazione: • •

il determinismo tecnologico di matrice mcluhaniana il determinismo culturale che vede in Breton uno dei suoi esponenti.

L’attenzione quindi è stata rivolta ad alcuni indicatori ritenuti particolarmente significativi per l’analisi della modernità occidentale: • •

Il tempo La morte

La morte, in particolare, è stata analizzata innanzitutto come indicatore per la comprensione e la spiegazione del comportamento collettivo. Da un punto di vista sociologico la morte si presenta infatti come una cartina di tornasole per comprendere il funzionamento delle istituzioni e i meccanismi che ne consentono la legittimazione. In particolare si è fatto riferimento a dei casi idealtipici di "morte tradizionale" e "morte moderna Oltre a ricordare la centralità dello studio della morte nel lavoro dei grandi autori classici della sociologia, sono state in seguito descritto come, un mezzo di comunicazione quale il Cinema, presentasse questi argomenti, effettuando un’analisi di un capolavoro cinematografico del regista

Ingmar Bergman, Sussurri e grida.

Approfondimento sui sociologi della comunicazione: Il Determinismo tecnologico Pubblicato da Tommy a 7.11 Che cos'è il determinismo tecnologico? Quando un prodotto dell'uomo si oggettivizza, va incontro ad alcune conseguenze di carattere generale: cioè la società si comincia a ristrutturare in base ad una innovazione rivoluzionaria che è avvenuta. In questo senso si parla dunque di determinismo tecnologico: ossia, l'interpretazione della società sottoforma di evoluzione tecnologica; o meglio l'organizzazione e la struttura di una società è determinata dalla tecnologia dominante. L'uomo e le sue tecnologie non vanno intesi in modo separato tra di loro, ma sono gli uomini e le società che interiorizzano delle tecnologie e di conseguenza il modo di rapportarsi a loro, avvengono cioè delle vere e proprie trasformazioni di carattere "psicosensoriale". In questo senso l'uomo diventa un prodotto delle tecnologie che egli stesso produce. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Marshall Mc Luhan - il medium è il messaggio Pubblicato da Tommy a 6.34 è la figura più imponente nel panorama della riflessione sui media. La sua opera più importante è senz'altro: Galassia gutemberg, che ricostruisce la nascita dell'uomo tipografico, ovvero in modo in cui l'adozione della tecnologia della stampa a caratteri mobili ha plasmato il nostro modo di percepire e comprendere il mondo, dando vita alla civiltà moderna. Ma prima di parlare di questo è di fondamentale importanza dire che ciò che accomuna Mc Luhan al suo stimato collega Innis è l'idea secondo la quale Il medium è il messaggio: cioè non è tanto importante studiare i contenuti del mass-media come film, pubblicità ma l'aspetto più importante risiede nel medium stesso e nel condizionamento profondo che, in virtù delle sue caratteristiche tecnologiche, opera sui nostri modi di percepire e pensare il mondo; è il medium quindi che controlla e plasma le proporzioni e la forma dell'associazione e dell'adozione umana. I contenuti invece di questi media, possono essere diversi, ma non hanno alcuna influenza sulle forme dell'associazione umana. L'effetto del medium è rafforzato dal fatto di attribuirgli come contenuto un altro medium, cioè il contenuto di un medium è sempre un altro medium: ad esempio, il contenuto della scrittura è il discorso. Alla domanda, qual'è il contenuto del discorso?, si deve rispondere, che è un processo mentale in se stesso non verbale. L'autore fa poi un importante distinzione tra medium caldi e medium freddi • Medium caldi (Radio, cinema e TV) • Medium freddi (telefono, libro) Il medium caldo è quello che estende, un unico senso fino allo stato in cui si è abbondantemente colmi di dati. Il telefono invece è un medium freddo, perchè attraverso l'orecchio si riceve una scarsa quantità di informazioni, e altrettanto dicasi, ovviamente di ogni espressione orale rientrante nel discorso in genere, perchè offre poco ed esige un grosso contributo da parte dell'ascoltatore. I media caldi invece non lasciano molto spazio che il pubblico debba colmare o completare; comportano perciò una limitata partecipazione, mentre i media freddi implicano un alto grado di partecipazione o di completamento da parte del pubblico.

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"Gli studi di Harold Adams Innis" Pubblicato da Tommy a 6.32 I supporti della comunicazione: "Innis" è senza dubbio il capofila di quel filone di studi a cui si fa talora riferimento come "scuola di toronto", caratterizzato da una particolare attenzione alla natura dei medium più che ai messaggi da essi veicolati e da un più o meno marcato "determinismo tecnologico". L'idea centrale su cui poggia Innis, è che la comunicazione della conoscenza costituisce la base delle relazioni sociali ed economiche tra gli uomini. Cominciò dunque a studiare il modo in cui i supporti della comunicazione che si sono succeduti nel corso dei secoli. Egli capì infatti, che senza la carta, cioè senza libri, giornali, registri contabili e certificati azionari, l'economia contemporanea non avrebbe potuto funzionare, e addirittura non sarebbe mai potuta nascere. Senza la carta non avremmo mai assistito al sorgere dell'economia mercantile. Dunque bisogna concluderne che nella società moderna la carta è la tecnologia di base che determina lo sviluppo economico complessivo. Così come prima di essa, la pergamena , il papiro. l'argilla. la pietra e così via.. hanno dato vita a diverse forme di organizzazione economica e politica. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

"Innis - oltre lo spazio e il tempo" Pubblicato da Tommy a 6.30 Innis, spiega come le forme e gli strumenti della comunicazione sono caratterizzati da un inclinazione per lo spazio o per il tempo: cioè esistono media che pongono l'accento sullo spazio e sono caratterizzati da materiali leggeri e facili da trasportare e poi ci sono i media che enfatizzano il tempo, che invece sono fatti di materiali pesanti, più difficili da trasportare, ma per questa stessa ragione sono più resistenti e durevoli. I primi tendono a rafforzare il potere politico, permettendo la circolazione delle informazioni su vaste aree e facilitando in tal modo il sorgere di complesse organizzazioni burocratiche; i secondi favoriscono l'accentramento del sapere - e quindi del potere nelle mani di una casta privilegiata, rafforzando dunque i monopoli ecclesiastici e le istituzioni religiose. Sulla base di queste idee, Innis , ha ricostruito la storia dei grandi imperi - dal punto di vista dell'evoluzione delle tecniche di comunicazione. L'autore comincia la sua analisi dall'Egitto faraonico, caratterizzato dalla compresenza di due media di natura tendenzialmente opposta: la pietra e il papiro. La pietra, un materiale difficilmente trasportabile in ragione del suo peso, riduce al minimo la circolazione delle informazioni favorendo in tal modo l'accentramento del potere in una monarchia assoluta. Il papiro, al contrario, è un supporto estremamente leggero e trasportabile, tale da consentire una maggiore circolazione della conoscenza. Tuttavia, la complessità della scrittura geroglifica portò al monopolio di una classe sacerdotale, quella degli scribi, i soli in grado di padroneggiarla. Il conflitto tra potere monarchico e potere sacerdotale si risolse quindi in favore della religione - e dell'asse del tempo. A causa della pesantezza della creta e dell'altissima complessità della scrittura cuneiforme, anche gli imperi babilonesi furono a lungo dominati da una casta sacerdotale. Solo l'introduzione della pergamena, un mezzo leggero, facilmente trasportabile, e la semplificazione dell'alfabeto minarono il monopolio sacerdotale, portando gradualmente alla creazione di un sistema amministrativo e all'affermarsi delle città commerciali, che per prime adottarono l'alfabeto.

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La carta- secondo Innis Pubblicato da Tommy a 6.15 Secondo l'autore tutto cambiò con l'avvento della carta (ovviamente non quella che vedete a sinistra, nonostante la sua indispensabile utilità) dopo l'anno mille, che unitamente all'adozione , secoli più tardi, della stampa a caratteri mobili, fu all'origine di una delle svolte capitali nella storia dell'occidente. La carta, è un supporto estremamente leggero e trasportabile, ha enfatizzato il governo sullo spazio e facilitato la formazione di ampie e capillari burocrazie, alle origini del moderno statonazione. La stampa a caretteri mobili, introducendo la riproducibilità su vasta scala del sapere , ha svincolato quest'ultimo dal monopolio degli amanuensi e dei copisti. La tecnologia di gutemberg ha reso inoltre possibile l'affermarsi di un opinione pubblica borghese, e come conseguenza più indiretta, il sorgere del nazionalismo, che avrebbe dominato la storia ottocentesca. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

"Innis" - Il Bias Pubblicato da Tommy a 6.03 Bias è una parola che si può tradurre in "propensione tendenziosa". Il bias circoscrive la proprietà specifica di un medium. E in quanto proprietà, il bias di un mezzo di un mezzo di comunicazione segna la demarcazione tra quello che un medium può fare e quello che non può fare. Il concetto di bias racchiude in se non soltanto la piena originalità della teoria di Innis, ma anche il senso della sua utilità per la riflessione attuale sui media. Bias indica "il pregiudizio" oltre che "l'influenza deformante". L'influenza deformante: è la propensione di un medium per il governo dello spazio o per la vittoria sul tempo e struttura in maniera profonda i caratteri della civiltà in cui è adottato. Pregiudizio: Se i media danno la loro impronta all'aspetto complessivo di una civiltà, condizionano anche i sistemi di pensiero nati all'interno di essa. Per questa ragione, è impossibile una conoscenza oggettiva e non parziale di altre civiltà, sottoposte all'influsso di altri media dominanti. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

"Innis" - trasformazioni e conseguenze provocate dalla stampa Pubblicato da Tommy a 5.27 L'enorme espansione dell'industria della stampa e l'affermazione della libertà di espressione, favorirono la nascita dei monopoli, ed intensificarono i sentimenti nazionalisti. Tutti questi cambiamenti provocarono delle profonde conseguenze sul destino degli imperi: la concentrazione di un mezzo di comunicazione porta con se un condizionamento nello sviluppo culturale della civiltà, che di conseguenza sarà interessata o all'importanza dello spazio e quindi dell'organizzazione politica, o al tempo e quindi dell'organizzazione religiosa. L'introduzione di un secondo medium tende a frenare l'influenza del primo, e a creare le condizioni adatte alla crescita dell'impero. L'impero bizantino da esempio, emerse da una fusione tra gli effetti del papiro sull'organizzazione politica e gli effetti della pergamena sull'organizzazione ecclesiastica. Il dominio della pergamena ha portato, nella storia dell'occidente, al monopolio dell'organizzazione ecclesiastica, che a sua volta

provocò l'introduzione della carta, favorevole invece allo sviluppo delle istituzioni politiche. Con l'avvento della stampa, la carta facilitò lo sviluppo effettivo dei vernacoli, e diede espressione alla loro vitalità nella crescita del nazionalismo. L'adattabilità dell'alfabeto alla produzione industriale su larga scala, diventò la base dell'alfabetizzazione, della crescita della pubblicità e del commercio. Il libro, quale prodotto specializzato della stampa, e successivamente il giornale, rafforzarono la posizione della lingua come base del nazionalismo. La capacità di sviluppare un sistema di governo in cui l'influenza della comunicazione possa essere controllata, ed in cui sia possibile raggiungere una gestione equilibrata dello spazio e del tempo, rimane il problema di tutto il mondo occidentale. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

"Innis" - la cancellazione del tempo Pubblicato da Tommy a 5.06 I mezzi di comunicazione moderni, hanno determinato una progressiva erosione dell'importanza del tempo come durata storica a vantaggio di un suo appiattirsi sull'istante. Se la stampa attribuiva ancora una grande importanza alla durata dell'informazione nel tempo, la radio afferma il primato del presente e lo impone anche ai media tradizionali: le richieste dei nuovi mezzi di comunicazione vennero imposte sui mezzi di comunicazione più vecchi, cioè il giornale e il libro. Con questi forti sviluppi il tempo fu distrutto e divenne sempre più difficile raggiungere la continuità o richiedere di considerare il futuro. L'effetto disastroso del monopolio della comunicazione basato sull'occhio accelerò lo sviluppo di un concorrenziale tipo di comunicazione basato sull'orecchio, con la radio e con l'abbinamento del suono al cinema e alla televisione. Lo stampato cedette il passo in efficacia alla radiodiffusione e all'altoparlante. I capi politici furono in grado di appellarsi direttamente ai votanti e di costruire la pressione dell'opinione pubblica sull'assemblea legislativa. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti martedì 26 agosto 2008

Règis Debray - la mediologia e le mediasfere Pubblicato da Tommy a 6.06 La mediologia aspira ad essere lo studio delle mediazioni attraverso le quali un idea diviene forza materiale. Insomma è un metodo che cerca di cogliere il legame che unisce l'evoluzione delle idee e delle credenze con lo sviluppo di macchine e strumenti, in special modo della comunicazione. Si può parlare allora, di una sorta di materismo, delineando così la possibilità di studiare anche la storia delle istituzioni sulla base dei media che ne hanno modellato la struttura. La mediologia dunque aspira a riconciliare la cultura con le sue basi materiali. Per far questo però, è necessario sgombrare il campo dai 5 dragoni che si frappongono fra noi e la tecnica, impedendoci di comprenderla correttamente: • Il dualismo ontologico - che ci porta a vedere spirito e materia come una coppia di opposti. • Lo spiritualismo antitecnico- che ha portato per più di un secolo molti pensatori a scorgere nella tecnologia un'occasione di salvezza o un rischio di dannazione. • L'umanismo - che vede un soggetto sovrano che sovranamente si serve dei suoi docili strumenti. • L'individualismo - che tende a svalutare l'influenza che i supporti esercitano sulle idee che veicolano • Il modernismo - secondo cui la diffusione delle tecnologie comprime lo spazio del simbolico, rendendo residuali e irrilevanti i fenomeni religiosi. La mediologia intende inoltre essere una sorta di ecologia dell'ambiente mediologico, che debray riassume nel concetto di "mediasfera". Le tre mediasfere:

La logosfera - corrisponde al periodo in cui l'oralità è imponente, ma sostanzialmente domina la scrittura a mano. La grafosfera - contrassegnata dalla stampa, vede l'aumento del numero di scritti che incentiva una lettura privata e la definizione di un individuo razionale ed al centro del mondo. La videosfera - Figlia dei media audiovisivi, si instaura invece con la fagocitazione (assorbimento) di ogni realtà nell'ambito del visivo, allorquando l'abbondanza incontrollata di immagini scandisce il vivere sociale. Inoltre secondo Règis Debray le tre cesure mediologiche dell'umanità, vale a dire la scrittura; la stampa; e l'audiovisivo, corrisponderebbero a tre regni distinti di immagine: • L'idolo (associabile alla logosfera) - con esso si mette in opera uno sguardo senza oggetto, in quanto esso si pone come semplice traduttore di istanze trascendenti. "teocrazia". • L'arte (associabile alla grafosfera) - l'arte pone il soggetto dietro lo sguardo: sottolineando la centralità dell'uomo anziché del divino. "ideocrazia". • L'audiovisivo (associabile alla videosfera) - caratterizzato dalla TV e dal flusso incessante di immagini ed informazioni digitalizzate. Con il visivo si può parlare a pieno titolo di una visione senza sguardo "videocrazia". Perchè si parla di visione senza sguardo? La risposta a questa domanda è: a differenza del cinema, l'immagine in tv sembra essere originata dallo schermo stesso, cioè è un emozione diretta della realtà. Grazie al suono e al colore si amplifica a dismisura l'idea di trovarci di fronte all'impronta del reale. Così facendo secondo Debray non solo si annulla il concetto di spettacolo, ma sostiene che questo far vedere tutto vuol dire in sostanza far vedere niente. TV democratica o antidemocratica? Secondo Debray, si può considerare la TV organo di democrazia per l'accesso generalizzato e diretto all'informazione, e allo stesso tempo una tecnica antidemocratica perchè rende passivo il soggetto, gioca sulla credulità che l'immagine indiziale definisce, personalizza il potere, non dà a tutti le stesse possibilità di gestire il flusso di informazione, depotenzia quindi i contenuti a vantaggio dell'apparenza. Le conseguenze della videosfera: La videosfera appare secondo l'autore, come un habitat di una società cinica, disordinata, priva di solidi legami sociali e di valori stabili, schiava del presente ed incapace di partorire argomentazioni razionali. Secondo Debray con la TV l'individuo va incontro a varie forme di inattitudine: • Inattitudine alla negazione - porta alla formazione di spiriti incapaci di cambiare il mondo poichè incapaci di concepire argomentazioni contrapposte. • Inattitudine alla generalità - si sarà attenti agli individui, alla singolarità del vivente, ma anche privi di ancoraggi collettivi, di riferimenti simbolici condivisi. • Inattitudine all'ordinamento - ossia la capacità di gestire le situazioni con versatilità e scioltezza, ma anche l'assenza di vigoroso spirito critico. • Inattitudine alla flessione temporale - saremo esseri senza memoria , esseri che vogliono tutto e subito. Interazione fra stato e videosfera: Con l'avvento della videosfera e in particolare della TV, grazie alla quale si è passati da una "civiltà simbolica" ad una "civiltà indiziale", non solo è cambiata la percezione della realtà in quanto tale, ma ha cambiato radicalmente la dinamica politica e della vita pubblica, insomma Debray si trova di fronte uno "stato immagine" debole e falso, che invece di governare si vede costretto a sedurre per rincorrere il consenso popolare. La televisione definisce i canoni figurativi, estetici che "l'uomo di stato" deve possedere, a prescindere dalle qualità governative effettive. Inoltre Debray ad ogni mediasfera associa una tipologia statale: • La logosfera - ha portato allo stato fabulatore, aiutato dalle pratiche ecclesiastiche di istruzione e formazione del consenso. • La grafosfera - ha portato alla nascita dello stato educatore, in cui la scuola tende a creare le basi simboliche di adesione ai principi condivisi e legittimanti il corpus sociale e la

gestione dell'autorità. • La videosfera - ha reso possibile lo stato seduttore, cioè una sorta di telestato che cerca il consenso tramite strategie pubblicitarie ed in cui è l'opinione pubblica a legittimare l'autorità. L'uomo di potere oggi si concentra in un isterico tentativo di risultare simpatico, telegenico. Allora la seduzione non avviene sulla base di capacità governative, o sulla forza delle idee ma avviene sulla personalità apparente, o cercando di far leva su un umanitarismo di facciata. Debray sostiene che ogni mediasfera ha la sua magia politica preferita: • La logosfera sfrutta il verbalismo; dove la parola funge da atto. • La grafosfera sfrutta il dottrinarismo; quando la tesi giusta basta a far cantare vittoria. • La videosfera sfrutta il mediatismo; quando la mediatizzazione sostituisce il messaggio. Oggi la videosfera ha portato l'individuo ad una confusione tra il "reale e il "visibile". "io vedo" ha sostituito "io comprendo" . Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

intervista a Règis Debray Pubblicato da Tommy a 5.21 Scritto da Paolo Mele Médiologie e mediologia, per come quest'ultima viene intesa e studiata dalla scuola internazionale ed italiana, non sono la stessa cosa. Ce lo spiega in un'intervista esclusiva Régis Debray, filosofo e mediologo francese. Personaggio conosciuto più per i suoi trascorsi storici che non per gli approfonditi studi sulla médiologie. Al fianco di Che Guevara nella rivoluzione in Bolivia, Debray fu fatto prigioniero dalle milizie boliviane e solo grazie all'intervento di De Gaulle fu liberato. Tornato in Francia dopo l'esperienza boliviana, l'intellettuale francese inizia a maturare una forma di rispetto nei confronti di uno Stato forte e autorevole, tanto da prendere parte anche lui alla vita politica con l'accettazione dell'incarico di consigliere del Presidente Mitterand. Ne uscirà deluso dopo aver constatato la debolezza e la falsità di uno Stato immagine, che invece di governare si vede costretto a sedurre per rincorrere il consenso popolare. Oggi Debray oltre ad essere direttore dell'Istituto Europeo in Scienze delle Religioni presso l'università di Paris IV dirige una neonata rivista trimestrale che si chiama Médium. (prima parte) Signor Debray, si può rintracciare una data o un contesto di nascita per la Médiologie? Si, il 1979 "Le pouvoir intellectuel en France". Alla fine di questo libro annuncio l'emergenza di questa disciplina. La médiologie è stata definita come una falsa scienza. Non è una scienza. E non è né vera né falsa. É un campo di razionalità che non pretende la scientificità. Non considero che la sociologia sia una scienza; affinché si possa parlare di scienza è necessario che vi sia un sapere cumulativo e un consenso fondamentale tra gli imperativi di questa scienza. Dubito che le scienze sociali rispondano a queste caratteristiche. Quindi potremmo considerare piuttosto la médiologie come una "forma mentis"? Si come uno sguardo sul mondo. Più un modo particolare di conoscere che un dominio preciso di conoscenze. Mediologia e médiologie: quali le differenze? I Media possono essere considerati come un caso particolare di Mediazioni, le quali rappresentano l'interesse della mediologia. La mediologia, infatti, è lo studio delle interazioni tra tecnica e cultura o lo studio delle mediazioni della tecnica della cultura o lo studio delle conseguenze simboliche delle rotture tecnologiche. Quindi il dominio, o meglio, lo sguardo copre un campo molto più vasto rispetto a quello dei mass media. La mediologia non è una sociologia dei media. La Mediologia rappresenta un modo di guardare la cultura dal basso e di mettere in relazione due domini di realtà

generalmente sconnessi quali, da una parte, il campo delle "idéalités" o delle produzioni culturali e, dall'altra, il campo delle produzioni tecniche. Qual è la differenza tra la vostra teoria e quella di Mc Luhan? La teoria di Mc Luhan è incentrata soprattutto sui Mass Media, non é costruita razionalmente, è geniale da un punto di vista intuitivo ma non ha l'ampiezza storica e filosofica o antropologica della mediologia. Voi avete comunque affermato che possiamo definire McLuhan come uno dei padri fondatori della médiologie. Si, certamente è un padre che bisogna riabilitare. Mc Luhan è un poeta, non lo dico in senso peggiorativo. Lui è un poeta e noi dei prosatori. Parafrasando Roland Barthes, si può dire che non si dà médiologie, scienza dei media, se essa non finisce per assumersi come medioclastia, distruzione e conflitto con e dentro i media? No, la mediologia non è medioclastica; la mediologia vorrebbe astenersi dai giudizi di valore e vorrebbe descrivere delle tecniche dei mezzi, delle mediasfere e non è affatto coinvolta in un combattimento contro i mass media; anche se privilegiando la trasmissione tenta di valorizzare le istituzioni, i corpi mediatori, ovvero la scuola, la chiesa, lo stato, i musei piuttosto che i mass media Nel manifesto della mediologia del '99 lei sostiene la necessità che vi è tra la tecnica e la cultura. È come voler promuovere la cultura del saper fare? Come lo si potrebbe fare? A chi conviene meno che venga attuata questa "rivoluzione culturale"? La mediologia non fa al caso degli idealisti e degli spiritualisti, anche se ho fatto io stesso degli studi di mediologia degli studi cristiani e notamente su dio, unico e personale (nel mio libro Dieu, un' itinere) in generale lo spiritualismo non ama che gli si ricordino le basi materiali della cultura. Cultura e tecnica sono generalmente viste come antitetiche. In che modo, per lei, si differenziano informazione e comunicazione e dove si colloca la trasmissione? La trasmissione è il trasporto dell'informazione nel tempo, la comunicazione è il trasporto dell'informazione nello spazio. L'informazione può essere definita attraverso un algoritmo,l'informazione è matematica, è l'inverso di una probabilità d'apparizione. L'informazione è un logaritmo. La mediologia è fondamentalmente una dottrina della trasmissione, non della Comunicazione. In molti Paesi si alzano pesanti critiche alla Comunicazione. In Italia Perniola, un noto filosofo, oppone alle aberrazioni della Com l'estetica; anche Enrico Grezzi, in tempi non sospetti ha mostrato il suo scetticismo nei confronti della stessa. Ramonet parla di tirannia della Comunicazione. La Com è veramente così pericolosa o queste critiche sono solo una conseguenza di una cattiva applicazione della stessa? È una questione molto complessa alla quale non si può rispondere in qualche parola. È assurdo diabolizzare la Comunicazione; bisognerebbe prima dare un senso preciso a questo termine e c'è molta polemica politico-ideologica dietro, quindi la mediologia vorrebbe astenersi. Louise Merzeau, nel numero 6 dei "Cahiers de Médiologie" (Pourquoi des mediologues?), parla di Hypersphère (la "Sfera di internet"): questa nuova dimensione ha preso il posto della videosfera o ne rappresenta solo un ampliamento? No, penso che ci sia una rottura ma diciamo che la videosfera esula l'accezione strettamente tecnica della parola. La videosfera letteralmente sarebbe solamente il mondo dell'immagine televisiva con supporto numerico. Oggi siamo nella numerosfera e la televisione rientra come un caso particolare all'interno di un macro sistema tecnico che è numerico. Dunque siamo nella numerosfera. Crede che i nuovi media possano rappresentare una nuova frontiera della democrazia e del governo o è solo un'utopia? Il termine di nuova frontiera è molto ideologico. É un termine religioso che appartiene all'universo politico americano che non capisco esattamente cosa voglia dire in una descrizione storica. Si, ci sono delle rotture, delle soglie, ma non lo so se il numerico rappresenta un cambiamento nel modo di governare. Rappresenta sicuramente un cambiamento nell'accumulazione scientifica, nell'organizzazione sociale, ma nel sistema politico non sono sicuro.

Cosa pensa del concetto di intelligenza collettiva introdotto da Pierre Levy? Credo che sia un'utopia concreta del mio amico Pierre Levy, che non tiene conto delle differenze di cultura, di lingua, ma dona valore ad una nuova circolazione e accessibilità dei dati scientifici. Una mondializzazione del sapere che non è molto positiva. In ogni modo nessuna rivoluzione mediologica è completamente positiva o completamente negativa. Ognuna ha i propri inconvenienti, ma, d'altra parte, tra i vantaggi del numerico c'è sicuramente un progresso formidabile nell'accumulazione delle conoscenze. E soprattutto nell'archiviazione e nell'accessibilità delle stesse. Perchè malgrado tutto Einstein ha scoperto la relatività con una matita e un foglio di carta. A quando risale la prima forma di interazione tra Stato e Videosfera? Aneddoticamente al 1968, l'anno dell'introduzione dei mass media nella politica. Ne "Lo Stato Seduttore" lei parla di umanitarismo come oppio degli uomini di stato, affermando che la concezione di Stato Umanitario si colloca negli anni 80-90. Si sentirebbe di dire che lo Stato Umanitario ha visto la sua fine oppure siamo ancor in pieno regime? Bella domanda. No, credo che lo Stato umanitario sia in declino perchè ognuno si sta rendendo conto che l'umanitario non ha una collocazione politica e che il famoso diritto o dovere d'ingerenza negli affari interni di un paese serve come punto d'onore solo per l'imperialismo economico e politico più brutale. Quindi credo che lo Stato Umanitario si trovi enormemente destabilizzato dagli eventi Iracheni . Da un punto di vista mediatico, la guerra in Iraq rappresenta una nuova guerra? Mi riferisco ai video degli ostaggi, alle decapitazioni in diretta, alle immagini delle torture. Che succede? La prima guerra mondiale è stata una guerra tra il libro e il giornale, vinta dal giornale; la seconda guerra mondiale è stata una guerra tra il giornale e la radio, vinta dalla radio; la guerra del Vietnam è stata una guerra tra la radio e la televisione vinta dalla televisione e l'attuale guerra in Iraq è la guerra tra la televisione e il numerico, vinta dal numerico. Quale è il vostro rapporto con i "Nouveaux philosophes?" Nessun rapporto con i nuovi filosofi, che sono dei giornalisti, essenzialmente. I nuovi filosofi sono interessanti come fenomeno perchè è veramente l'introduzione dei mass media nella filosofia. Ovvero, il filosofo diviene il suo proprio pubblicitario e si avvicina all'università per indirizzarsi direttamente all'opinione pubblica. Salta sulla testa dei suoi colleghi, dei suoi padri: è una rivoluzione demagogica. Ma non ho alcun rapporto con questo movimento, mi interessa come oggetto di riflessione ma in ogni modo il contenuto è completamente vuoto. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Derrik de Kerckhove - "il brainframe" Pubblicato da Tommy a 3.53 Linguista e antropologo canadese, è stato studente del grande sociologo e teorico della comunicazione Marshall McLuhan, di cui è considerato l'erede intellettuale. Professore al Dipartimento francese all’Università di Toronto (Canada), è direttore dell'Istituto McLuhan di Cultura e Tecnologia dell'università di Toronto, studioso degli sviluppi antropologici di Internet e anticipatore di un futuro che riunisce arte, ingegneria e comunicazione. Come consulente dei media e delle iniziative culturali ha partecipato alla preparazione e all’ideazione del padiglione di Ontario all’Expo ‘92 di Siviglia (Spagna), all’esposizione Canada in Space e al Centro di trasmissione della Canadian Broadcasting Company; recentemente ha fatto parte della commissione incaricata della progettazione di una politica culturale per la comunità francofona in Ontario e del Comitato governativo di Ontario sulla strategia di telecomunicazioni. Si occupa da anni delle interazioni tra la tecnologia e il corpo, i media e la cultura, l'arte e la comunicazione, svolgendo studi sperimentali sul rapporto tra cervello umano e nuove tecnologie comunicative. Il suo lavoro su media, internet e intelligenza connettiva lo ha reso uno dei più autorevoli teorici della comunicazione. Consulente di molti governi per lo Sviluppo

delle Telecomunicazioni, de Kerckhove è rappresentante della politica culturale delle comunità francofone e insignito dal governo Francese con la Palma Accademica. Tra i suoi libri recenti si segnalano: McLuhan for managers: new tools for new thinking, Toronto, Viking Canada, c2003; The architecture of intelligence, Basel; Boston, Birkhäuser, 2001; Connected intelligence : the arrival of the Web society, edited by Wade Rowland. London, Kogan Page, 1998; The skin of culture: investigating the new electronic reality, edited by Christopher Dewdney. Toronto, Somerville House Pub., c1995. Link utili Sito ufficiale Interviste su mediamente.rai Intervento di De Kerckhove su e-journal.it Intervista su Internet Magazine Bibliografia essenziale (traduzioni italiane) La civilizzazione video-cristiana, Feltrinelli, Milano 1991 Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, Baskerville, 1993 La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, Genova, Costa & Nolan 1996 L’etica civile alla fine del XX secolo (con Peter Koslowski e Alexander Jeff), Mondadori, 1997 L'architettura dell'Intelligenza (La Rivoluzione Informatica), testo&immagine, Torino 2001 La conquista del tempo, società e democrazia al tempo della rete, a cura di Derrick de Kerckhove, Editori Riuniti, 2003. Il concetto di bainframe: IL bainframe (cornice mentale) è una struttura di percezione ed interpretazione fisiologica, cognitiva e sensoriale della realtà creata dalla forgiatura del nostro cervello da parte delle tecnologie di elaborazione delle informazioni. Ogni nuovo mezzo di comunicazione, in sintesi configurerebbe i nostri emisferi celebrali delineando sostanziali modifiche neuronali, fisiologiche cognitive e perfino corporee, creando insomma cornici che circoscrivono le modalità con cui intendiamo il mondo e reagiamo ad esso. La tecno-psicologia: De Kerckhove, avanza l'idea di una tecno-psicologia, ossia lo studio della psicologia intesa non come qualcosa di universale ed immutabile, ma come attributo psichico di individui soggetti storicamente all'azione delle innovazioni tecniche. Per l'autore una psico-tecnologia è una tecnologia che con le sue stesse parole emula, estende o amplifica le funzioni senso-motorie, psicologiche e cognitive della mente. Così facendo riformulano la nostra idea di realtà. Egli si riferisce in particolar modo ai mezzi di comunicazione elettronica che ci hanno permesso di entrare in una vera e propria era delle psicotecnologie. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Derrik de Kerckhove - "il cervello cibernetico" Pubblicato da Tommy a 2.28 Secondo l'autore il computer ha delineato il passaggio dai bainframe di tipo analogico a quelli di tipo digitale. L'uomo si è trasformato, in una sorta di semiconduttore, che associa e sintetizza proprietà psicoculturali dei brainframe precedenti, trattenendo ed elaborando personalmente parte dell'informazione che fluisce incessantemente e copiosamente nel magma generico di espressioni collettive. Con la realtà virtuale che darà vita ad una nuova cornice e cioè il "cervello cibernetico". si potrà poi concretizzare la possibilità di una condivisione simultanea di coscienza che coinvolga tutte le componenti sensoriali e cognitive. Intanto questo universo partecipativo ha luogo grazie ad internet. Un mondo virtuale illimitato che integrando aspetti di tutti i media, crea un nuovo spazio, costruito grazie al contributo multiplo di tutti i naviganti. De Kerckhove, parla infatti di "intelligenza connettiva", vale a dire la condivisione di un pensiero collettivo all'interno della rete informatica. Questa forma di intelligenza condivisa è una sorta di intelletto sempre in funzione a cui ci si connette o sconnette senza influire sulla sua integrità complessiva. Si arriva a partecipare insieme ad intenti, progetti, idee, emozioni senza perdersi nel flusso differenziato di una indistinta

identità complessiva. L'autore indica con il termine "webness" . La connettività, una delle condizioni della crescita culturale, sociale e intellettuale. Gli utenti di internet, come i neuroni celebrali, operano e generano idee e progetti quando interconnessi, negoziano significati godendo di una grossa libertà espressiva e delle nuove velocità tecnologiche. Si tratta dunque di una sorta di estensione smisurata dell'intelligenza privata, in forma collettiva. L'intelligenza connettiva, in quanto riformulazione del "logos" condiviso in forma elettronica, avrà l'obbligo di divenire secondo de Kerckhove, il motore di una nuova sensibilità politica che consenta un ampliamento della responsabilità individuale e collettiva. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Derrik de Kerckhove -" I media eletronici" Pubblicato da Tommy a 1.36 L'introduzione dei media elettronici ha comportato ulteriori effetti psicoattivi e trasformazioni antropologiche oltre che socioculturali. La Tv, per esempio ha favorito in particolar modo lo sviluppo di una nuova tipologia di brainframe, il "cervello video" o videoframe, che enfatizza il ruolo di ogni schermo visivo nell' elaborazione delle informazioni e nell'organizzazione del nostro sistema nervoso. La TV secondo l'autore, stimolerebbe in primo luogo reazioni corporee e sensoriali, anzichè cognitive in senso stretto. All'interno di una cornice così condizionante, la riflessione personale cede il passo ad una "ruminazione mentale" collettiva e crescente. La TV secondo l'autore privilegia contenuti ripetitivi e simili , anzichè analitici e razionali, comporta l'abbandono delle caratteristiche individualizzanti occidentali per la partecipazione ad un flusso di coscianeza collettiva, ad una psicologia di massa, ad una condivisione immaginaria che rappresenta, in un certo qual modo, un ritorno alle società orali pre-alfabetiche. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti lunedì 25 agosto 2008

Meyrowitz - l'impatto dei media elettronici sul comportamento umano Pubblicato da Tommy a 5.23 Joshua Meyrowitz, cerca di descrivere l'adattamento dei modelli comportamentali alle nuove situazioni sociali prodotte dai media elettronici. Meyrowitz prende in considerazione tre grandi categorie di ruoli sociali che la diffusione dei nuovi media ha profondamente trasformato: 1) I ruoli che si riferiscono all'identità di gruppo, 2) i ruoli del divenire legati alla socializzazione 3) i ruoli di autorità e gerarchia. A ciascuna di queste famiglia di ruoli l'autore applica tre variabili: • L'accesso relativo all'informazione sociale. • La distinzione tra scena e retroscena. • L'accesso ai luoghi fisici. Per quanto riguarda l'identità di gruppo, Meyrowitz afferma che un gruppo si sente tanto più unito, quanto meno le informazioni di cui ogni suo membro dispone sono condivise da estranei. Inoltre il chiaro concetto di "noi" di un determinato gruppo dipende dalla forte condivisione di comportamenti da scena e da retroscena (leggi il significato di scena e retroscena nel post successivo). Di conseguenza i media elettronici, nel momento in cui offrono nuovi modi per svelare tali comportamenti, mutano l'identità di un gruppo. Per quanto riguarda invece la "socializzazione" Meyrowitz sostiene che: in ogni processo di socializzazione gli individui tendono ad assumere informazioni condivise, ma specifiche, del gruppo di riferimento. il processo di socializzazione secondo lo studioso, è cambiato perché mentre prima dei media elettronici l'accesso alla conoscenza proprio dell'età adulta si poteva avere o

tramite la frequenza di luoghi fisici o la lettura, oggi grazie alla tv, i processi di informazione sono accessibili a tutti, dai bambini agli anziani. In questo senso l'accesso alle informazioni non è più legato ai luoghi fisici, ma adesso sono i media stessi a determinare il senso del luogo, quindi determinano il modo di interpretare i ruoli. Inoltre questa fusione di ambienti diversi porta a condividere i comportamenti da scena a retroscena, per cui il ruolo autorevole dell'adulto perde significato, una volta che il bambino riesce a decodificare i comportamenti di retroscena. L'ultima categoria di ruoli sociali che il mass-mediologo prende in considerazione è quella dell'autorità, che a differenza del potere - che si possiede - deve essere rappresentata, deve cioè saper mettere in scena lo spettacolo gerarchico. Un individuo appartiene a uno status elevato quando detiene conoscenze e abilità che gli permettono di mantenere il controllo su altri individui. Quanto più i sistemi informativi che trasmettono queste conoscenze sono poco accessibili, tanto più cresce l'autorità. Il ruolo gerarchico invece, è quello che , più di ogni altro, ha bisogno di mantenere segreti i propri comportamenti da retroscena, poiché renderli accessibili a tutti significherebbe perdere autorità. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

J. Meyrowitz; E.Goffman e M.Mc Luhan-"Teorie a confronto" Pubblicato da Tommy a 3.35 Le elaborazioni teoriche di Meyrowitz rappresentano il punto di incontro tra le teorie del grande "Mc Luhan" e quelle di Erving Goffman. Ricordiamo che Goffmann ritiene che la vita sociale è una sorta di recita su diversi palcoscenici, in cui lo stesso individuo può assumere ruoli differenti rispetto alla situazione, al proprio ruolo e alla composizione del pubblico. La vita sociale, quindi si divide in spazi di "palcoscenico" e di "retroscena", cioè in spazi privati, in cui gli individui non recitano, e spazi pubblici in cui inscenano invece una precisa rappresentazione. Mc Luhan ritiene che la diffusione dei media elettronici, come estensione dei sensi, abbia modificato l'equilibrio sensoriale alterando la percezione del mondo in direzione di una predominanza dell'orecchio sull'occhio. Secondo Meyrowitz, Goffman e Mc Luhan presentano debolezze e punti di forza complementari: Goffman si limita a studiare l'interazione faccia a faccia, ignorando gli impulsi e gli effetti dei media sulle variabili che descrive; Mc Luhan limita il suo interesse agli effetti dei media ignorando gli aspetti strutturali dell'interazione faccia faccia. Meyrowitz considera complementari le teorie di Goffman e Mc Luhan e individua il loro punto di contatto nella "struttura delle situazioni sociali" sostenendo che quando cambia una situazione cambia anche il ruolo che in essa assume il soggetto. Le situazioni sociali sono contesti che prevedono determinati comportamenti esibiti in pubblico e ne escludono altri. Quando cambiano i limiti di tali contesti, cambia anche la definizione dei comportamenti appropriati. La tesi di Meyrowitz è che i media elettronici non ci influenzano tanto con i loro contenuti, quanto modificando la geografia situazionale della nostra vita sociale. Meyrowitz sostiene che i media , e in particolare la tv, ha eliminato i confini tra palcoscenico e retroscena, rendendo visibili tutti gli angoli della società. Oggi infatti attraverso la tv, è possibile conoscere il retroscena, dei gruppi a cui non si appartiene. Meyrowitz ha ragione nel sostenere che, rispetto al pensiero di Goffman, non esiste più identità tra luogo e informazione perché la tv ha illuminato ma nello stesso tempo anche eliminato tutti i retroscena unificando ciò che prima era separato. L'avvento dei media elettronici implica lo sfaldamento della situazione dei luoghi. La situazione cambia pur non modificandosi il luogo fisico, di conseguenza cambia l'idea di soggettività. La situazione non va più strutturata al luogo fisico ma dall'accesso delle informazioni. O meglio, dalla capacità di accesso degli individui alle informazioni che i sistemi trasmettono. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 1 commenti

L'industria culturale: Pubblicato da Tommy a 2.18 L'espressione industria culturale è scelta da Harkheimer e Adorno, in opposizione al concetto di cultura di massa. Se quest'ultima, infatti, rappresenta la creatività culturale degli strati socialmente più bassi e conserva un pur esiguo margine di libertà rispetto alle forze sociali ed economiche dominanti, l'industria culturale non ha nulla di spontaneo: non è altro che uno strumento tramite il quale la società capitalistica riversa le sue norme e i suoi valori su una massa inerte e atomizzata. Attraverso l'industria culturale, la società capitalista mette in scena la sua inesausta autocelebrazione e ribadisce la capillarità del suo potere, a cui nulla e nessuno sfugge. I difensori di questo sistema sostengono che non è in gioco nessuna forma di dominio autoritario, ma secondo Adorno e Harkheimer quello che si instaura è in realtà un " circolo di manipolazione e bisogno" in cui le aspettative preformate dell'industria vengono interiorizzate a tal punto dallo spettatore che gli si presentano con la naturalezza dei desideri e delle ambizioni spontanee. L'individuo nell'epoca dell'industria culturale Secondo Adorno, nell'era dell'industria culturale l'individuo non decide più autonomamente: il conflitto tra impulsi e coscienza è risolto con l'adesione acritica ai valori imposti. L'uomo è in balia di una società che lo manipola a piacere: Il consumatore non è sovrano, come l'industria culturale vorrebbe far credere, non è il suo soggetto bensì il suo oggetto. Cioè la società è sempre la vincitrice e l'individuo è soltanto un burattino manipolato dalle norme sociali. L'individualità è svuotata del suo potenziale critico e al suo posto si instaura una pseudoindividualità alienata, completamente in balia delle forze sociali: "la particolarità del "se" è un prodotto sociale brevettato che viene falsamente spacciato come naturale. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti domenica 24 agosto 2008

Walter Benjamin Pubblicato da Tommy a 10.04 Il suo contributo più significativo è senza dubbio il breve saggio "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". L'opera d'arte - dice Benjamin - prima dell'avvento dell'epoca della riproducibilità tecnica, godeva dello statuto di autenticità ed unicità. Un quadro ad esempio era un pezzo unico, originale ed autentico, ossia irripetibile e destinato ad un godimento estetico esclusivo nel luogo in cui si trova. Questa sua autenticità, irripetibilità e esclusività di godimento estetico viene da Benjamin chiamata "Aura". L'Aura è una sorta di carisma insito nell'opera d'arte, un elemento quasi magico che ha a che fare con la sua unicità. Diversamente l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica è sottoposta ad un processi di decadenza dell'aura. Cioè tanto è unico un quadro quanto labile e ripetibile è la sua immagine (es. foto), eliminando quasi totalmente i concetti di creatività, genialità, valore eterno e di mistero, poichè la riproducibilità tecnica ha l'effetto di rendere le cose, spazialmente e umanamente, più vicine, desacralizzandole. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Il pensiero di Edgar Morin Pubblicato da Tommy a 9.19 Al centro degli studi e delle prime ricerche di Edgar Morin c'è

una lucida e vivace analisi della cultura di massa, quale complesso di miti, simboli e immagini della vita reale e della vita immaginaria, in cui l'uomo quotidianamente si attua e si riconosce. Ma il contributo più ambizioso di Edgar Morin allo studio della cultura di massa è senz'altro " lo spirito del tempo". Lo spirito del tempo è stato il primo studio apparso in Europa sulla cultura di massa. Nelle due parti in cui si articola l'opera Morin analizza forme, contenuti e meccanismi ed effetti della cultura di massa riuscendo a dimostrare come questa non sia solo un nuovo strumento per fughe immaginarie dal mondo, ma anche produzione di precise modalità di partecipazione alla realtà del XX secolo. La prima caratteristica che salta all'occhio nello studio dell'industria culturale, è la contraddizione tra il carattere burocratico e standardizzato della produzione da un lato e la dimensione individuale del consumo - che esige originalità e innovazione dall'altra. La cultura di massa, in altre parole, si trova davanti l'ingrato compito di rispondere per vie industriali e seriali a bisogni che sono per loro natura personali, profondi, affettivi. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Guy Debord - "La società dello spettacolo" Pubblicato da Tommy a 8.14 Tutto ha avuto inizio tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento, quando il rapporto tra lavoratore e prodotto ha cominciato ad alterarsi ed il primo non si riconosce nel secondo. Si sente estraneo ed obbediente a modelli esterni, legato al sistema nel quale è inserito e che gli ha procurato la forma che serviva a farlo valere. Non è più importante che esso rifletta il lavoro richiesto per realizzarlo, che sia vero, autentico ma soltanto che "appaia", che faccia spettacolo perché è questo che vuole la nuova situazione economica e sociale. Il sistema economico che aveva espropriato il lavoratore della produzione, ora, trasformando tutto in merce spettacolare, completa l'operazione di estraniazione della socialità umana e di manipolazione della coscienza collettiva. Ciò che dunque prevale in ogni contesto è la rappresentazione, l'apparenza, l'irrealismo. la falsificazione, oggi l'umanità è volta all'apparire, cioè al non essere. L'uomo vive in una dimensione che non gli consente, la libera organizzazione delle proprie situazioni, un regime falso che lo separa dal suo mondo, rendendolo un individuo solitario incapace di completarsi socialmente. Debord distingue due tipologie dello spettacolo legate a due differenti sistemi politici: "Lo spettacolo concentrato" , tipico delle società totalitarie e dittatoriali, in cui in genere si è portati ad identificare se stessi in un solo uomo, con una dittatura burocratica che priva le masse della scelta. "Lo spettacolo diffuso"; caratteristico delle democrazie occidentali, pervase dal consumismo e dalla tirannia della merce. Successivamente l'autore presenta un terzo modello, attualmente dominante cioè "Lo spettacolo integrato": qui le sue analisi sono più vicine ai nostri tempi: la vittoria della finzione sulla realtà, della copia sull'originale, della forma sul contenuto è ormai totale. Per Debord non c'è più niente di autentico giacché tutto è concepito, prodotto, vissuto, tutto esiste, si muove in funzione dell'immagine che deve attirare chi guarda, il quale a sua volta, lo fa obbedendo ad altri bisogni o richieste di apparenza. Questa è la società dello spettacolo ed in essa anche le più elementari espressioni della vita dell'uomo quali la famiglia, l'istruzione, il lavoro, i sentimenti, i pensieri, le aspirazioni, tutto segue una direzione unica, quella di conformarsi all'ambiente, al costume, alla moda, alla tendenza del momento sopprimendo qualunque bisogno o richiamo interiore, qualunque autenticità e verità. L'esterno vale più dell'interno, la forma più del contenuto: tutto deve apparire, quasi si trattasse solo di oggetti. Raggiungendo un grado massimo di estensione, questa forma spettacolare si contraddistingue per la

combinazione di cinque proprietà fondamentali: • Il continuo rinnovamento tecnologico • La fusione economico statale • Il segreto generalizzato • Il falso indiscutibile • Un eterno presente Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini, come dire! ciò che appare è buono, ciò che è buono appare. Link a questo post Etichette: sociologia della comunicazione 0 commenti

Il pensiero di Philippe Breton Pubblicato da Tommy a 7.36 Possiamo sintetizzare il pensiero di P.Breton, prendendo in considerazione due dei suoi lavori più importanti: " L'utopia della comunicazione" e "Il culto di internet". Nel primo dei due lavori Breton si domanda come la comunicazione sia diventata l'asse portante dell'organizzazione sociale e, soprattutto, in che modo la società della comunicazione abbia colonizzato l'immaginario sociale diventando un vero e proprio ideale utopico. Breton dice sostanzialmente che per capire bene il grande successo della comunicazione ed il suo affermarsi addirittura come valore dobbiamo rivolgere un attimo lo sguardo al passato, vale a dire il periodo sconvolgente che va dall'inizio della prima guerra mondiale alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Ed è proprio in questo periodo, nel vuoto creato dall'assenza di qualsiasi punto di riferimento morale e politico, che la comunicazione assume i connotati di un valore diventando un imperativo esistenziale secondo cui, a prescindere dai contenuti, l'atto stesso del comunicare rappresenterebbe la spinta verso un progresso sociale. In questo senso la comunicazione si afferma come valore salvifico. Le tre tappe: La comunicazione si pone così come risposta assoluta alla grave crisi del XX secolo. Tre sono le tappe secondo Breton che portano allo sviluppo di questa moderna nozione unificante che si giova dell'interazione tra le principali tecniche della comunicazione ed il contesto sociale in cui esse agiscono. • La prima tappa è rappresentata dalla nascita della cibernetica intesa come scienza del controllo dell'informazione in relazione agli uomini e alle società. • La seconda tappa è rappresentata dall'intenzione esplicita di impiegare la nozione di comunicazione anche nell'analisi e nell'azione politico-sociale. • L'ultima tappa è rappresentata dall'evoluzione nel dopoguerra della società occidentale, che emerge dalle macerie del conflitto mondiale con la sua voglia di rivalsa e pone le basi effettive per la definitiva consacrazione dell'idea di comunicazione come valore utopico. Homo communicans: Breton sulla basi di alcune teorie di uno studioso di nome Weiner afferma che qualsiasi fenomeno è considerato come interamente costituito dagli insiemi di relazioni di cui fa parte, la sua essenza è completamente definita in termini di informazione e comunicazione. Ogni fenomeno diventa così la risultante delle informazioni che può scambiare nelle reti in cui accede. Tutto questo ha dati vita ad una nuova definizione antropologica dell'uomo. Si tratta della concezione dell'homo communicans, che secondo breton è un essere senza interiorità e senza corpo, che vive in una società senza segreti, un essere interamente rivolto al sociale, che esiste soltanto attraverso l'informazione e lo scambio in una società resa trasparente. Grazie alle nuove tecnologie dell'informazione (internet), l'uomo diventa un essere informazionale collettivo, portando alla confusione tra la sfera pubblica e quella privata, indebolendo l'individualità, i rapporti diretti e il concetto di corpo inteso come incontro fisico.

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