Clifford Geertz Introduzione

  • November 2019
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  • Pages: 9
Clifford Geertz, l’importanza dell’interpretazione Citazioni tratte da Interpretazione di culture, 1973, trad. it. Bologna, il Mulino Clifford Geertz (1926-2006) è molto famoso per le sue ricerche etnografiche condotte a Giava (un’isola indonesiana a sud del Borneo) a Bali e in Marocco, e per le sue riflessioni sull’interpretazione delle culture. L’aspetto forse più specifico del lavoro di Geertz è costituito dall’importanza che lui attribuisce nelle sue opere alla dimensione simbolica (cioè ai sistemi di significato) nel suo rapporto con la struttura sociale, il mutamento culturale e la pratica della ricerca etnografica.

Il concetto semiotico di cultura “L’idea di cultura che io prescelgo… è essenzialmente di tipo semiotico. Convinto, come Max Weber, che l’uomo sia un animale sospeso entro reti di significato che egli stesso a tessuto, credo che la cultura sia costituita da queste reti, e che quindi la sua analisi non debba essere una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significato. Quel che cerco è una spiegazione (explication)” (pp. 4-5).

Leggere le culture Geertz spesso pone un parallelismo tra la metodologia dell’antropologo che analizza una cultura e quella di un critico letterario che analizza un testo: “estrapolare le strutture di senso… e determinare la loro matrice sociale e la loro rilevanza… Fare etnografia è come cercare di leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un manoscritto…”

Il significato è socialmente costruito Geertz sostiene che la cultura è pubblica, perché i significati lo sono, nel senso che i sistemi di significato sono necessariamente la proprietà collettiva di un gruppo, in quanto ciò che rende plausibile l’associazione arbitraria tra significante e significato è la sua condivisione sociale, cioè la messa in pubblico del significato associato a quel significante. Quando diciamo che non comprendiamo le azioni di persone che provengono da una cultura diversa dalla nostra, stiamo riconoscendo la nostra “mancanza di familiarità con l’universo immaginativo entro cui le loro azioni sono segni”.

Etnografia come descrizione densa …I testi antropologici sono in sé interpretazioni, spesso di seconda e terza mano (infatti per definizione solo un “nativo” fa interpretazioni di primo grado: è la sua cultura). In questo senso le etnografie sono finzioni narrative (fictions)… L’etnografo “inscrive” il discorso sociale, lo trascrive (writes it down). L’analisi culturale è (o dovrebbe essere) il tentativo di intuire dei significati, di verificare quelle intuizioni e di delineare schemi esplicativi a partire dalle intuizioni migliori. Non dovrebbe quindi essere la scoperta del Continente del Significato e la mappatura del suo inconsistente panorama. L’idea che si possa giungere a cogliere l’essenza delle società nazionali, delle civilizzazioni, delle grandi religioni o di qualunque altra costruzione culturale di questo tipo… è un’evidente assurdità. L’analisi culturale è intrinsecamente incompleta. Per questo Geertz propone di ancorare l’etnografia alla “descrizione densa” (thick description).

Metodologia comparativa (I) Io cerco di generalizzare partendo dai casi specifici, di prendere in esame un caso e poi scoprire cosa c’è da dire che abbia un’importanza più vasta, piuttosto che partire da una teoria e poi calarla a forza sull’esempio singolo.

Metodologia comparativa (II) Su questo punto vale la pena di citare alcuni passi di un’intervista che Geertz ha rilasciato nel 1992 e tradotta per l’Enciclopedia delle scienze filosofiche. DOMANDA: Professor Geertz, Lei, nel suo libro Opere e vite, ha parlato di due tipi diversi di ansia. Da una parte c’è il timore dello scienziato di non essere sufficientemente distaccato; dall’altra c’è il timore dell’umanista di esserlo troppo. Lei crede che la differenza fra scienziato e umanista sia il vero discrimine oggi in antropologia? No, non credo che la catturi del tutto. Il mio scopo principale era quello di indicare questa ambiguità. Secondo la vecchia concezione l’antropologia va considerata alla stregua di una scienza naturale; di conseguenza gli studiosi di tale disciplina dovevano mantenere un certo distacco dall’oggetto di studio.

Metodologia comparativa (III) D’altro canto è evidente - e lo è sempre stato - che non si può capire la gente senza interagire con essa dal punto di vista umano. Non credo che lo schema che ne deriva debba essere necessariamente “scienze naturali contro scienze umane”; ma senza dubbio si tratta di un problema e di una preoccupazione molto diffusa (…) la sensazione di essere talmente “obiettivo” nei confronti delle persone da trattarle come oggetti e, di conseguenza, non essere in grado di comprendere in maniera adeguata le loro emozioni, i sentimenti, le attitudini e la loro visione del mondo. Allo stesso tempo, è anche vero che gli antropologi cercano di non essere esclusivamente “soggettivi”: non vogliono comunicare solo la loro impressione, o l’idea che si sono fatti al riguardo, non vogliono parlare di intuizioni. C’è, quindi - e diventa sempre più seria - una certa preoccupazione su entrambi i punti.,

Metodologia comparativa (IV) Secondo me la distinzione fondamentale va fatta fra quelli che insistono per una teoria generale della società, da cui poi trarre conseguenze pratiche da applicare ai casi specifici, e quelli - fra cui mi metto anch’io - che desiderano comprendere società diverse per poter interagire con esse in modo intelligente negli anni a venire. Credo che questa sia una differenza molto più profonda - che tende ad esprimersi in termini del modello di impegno o disimpegno - rispetto a quella tra scienza naturale e scienza umana, o a un’altra analoga. Quindi Geertz da un lato è consapevole dell’opposizione tra scienziato e umanista (basata sul distacco relativo dall’oggetto di studio) Ma poi insiste che l’opposizione più importante è quella tra metodi generalizzati e metodi individuanti

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