Carlo Parducci

  • June 2020
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  • Words: 2,816
  • Pages: 15
I SORRISI DI FEDRO E TOLSTOJ “RIMESSI” IN RIMA DA ME

FEDRO

Il lupo e l’agnello Un lupo e un agnello, erano giunti al medesimo ruscello spinti dalla sete; il lupo era superiore (in un luogo più alto) l’agnello di gran lunga in basso. Allora il brigante sollecitato dalla sua insaziabile fame suscitò un pretesto per litigare. «Perché», disse, « mi hai reso torbida l’acqua che bevevo?». L’agnello, timoroso, di rimando : «In che modo posso di grazia fare ciò che ti lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie labbra». Quello spinto dalla forza della verità: «Hai sparlato di me, sei mesi fa». L’agnello rispose: «In verità non ero nato». «Tuo padre in verità, quello aveva sparlato di me». E così afferra l’agnello e lo sbrana per un’ingiusta morte. Questa favola è stata scritta per quegli uomini, che opprimono gli innocenti con finti pretesti. Un piccolo agnello avea superato del cane pastore la guardia sul prato. E tutto soletto, ormai senza rete, cercava un ruscello per placare la sete. Il solito lupo di pelo e di vizio della sete anche lui si toglieva lo sfizio. Leccava distratto l’acqua corrente, ma era la fame il pensiero cocente. Vide l’agnello al rivo vicino e molto più in basso era l’ovino. Ciò nonostante assunse il pretesto di questionare e negare il contesto. “M’intorbidi l’acqua, bestia incivile, mi credi forse di subir così vile?” “Del tuo ragionare il filo sottile non seguo davvero, o lupo gentile.” L’acqua trascorre da te verso me e fango non vedo attorno al mio piè.” “Eppure di certo mi hai calunniato, da almeno un semestre, per tutto il creato.” “Ma caro lupino, forse vuoi te la canti, di mesi di vita non ne ho così tanti. “Ammetto lo sbaglio, è Montone tuo padre che disse parole dell’onor mio ladre.” E senza conferma, di slancio balzò, afferrato il meschino se lo divorò.

TRILUSSA Un Lupo che beveva in un ruscello vidde, dall’antra parte della riva, l’immancabbile Agnello. Perché nun venghi qui? – je chiese er Lupo – L’acqua, in quer punto, è torbida e cattiva E un porco ce fa spesso er semicupo (1). Da me, che nun ce bazzica er bestiame, er ruscelletto è limpido e pulito… L’Agnello disse: - Accetterò l’invito Quanno avrò sete e tu non avrai fame. (1) er semicupo: il bagno.

Il gallo in portantina Un gallo aveva come domestici dei gatti e si faceva portare tutto tronfio in portantina. Una volpe, appena lo vide così fiero e superbo, gli disse: - Guardati da costoro! Fai attenzione all'inganno! Hanno l'aria, se li consideri bene, di portare una preda, non un padrone. Appena la compagnia dei gatti cominciò a sentire la fame, sbranò il padrone e si divise le parti.

Un gallo borioso dai bei bargiglioni aveva a servizio dei gatti sornioni. Sfilava per strada, famoso nei media, tra mici ossequiosi, portato su sedia. Acuta la volpe, lo volle avvisare: “In gruppo felino a rischio puoi stare; se quelli per ora non hanno gran fame, appena s’accorgono, poco tempo rimane”. Il gallo impettito scosse le penne e con alterigia il posto mantenne. Avvenne che un dì, a corto di topi, i gatti affamati cambiarono scopi. In gran polverone di penne scomposte scomparve il galletto, lasciando le croste.

La rana e il bue Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall'invidia per quell'imponenza prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no. Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande. Quelli risposero: - Il bue. Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e mori. Quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male.

Là nel canneto tra gli altri batraci, la rana golosa di pappataci del bue dai fianchi capaci, sbirciava invidiosa la stazza maestosa. “Perché sì piccina devo restare? Grande è bello, si può comandare! Non voglio di lui esser da meno, desidero crescere d’un palmo almeno”. Sì detto, a gonfiarsi d’aria si prese che pieghe e pieguzze divenner sì tese da farla sembrare come se fosse un corpo battuto da molte percosse. Al limite giunta, ai figli suoi due, chiese con ansia: “Sembro quel bue?” Risposero quelli un poco interdetti: “Non essere buffa, se ci permetti, confondi l’aringa con la balena!” Al ché si rigonfia con nuova lena La rana vicina a luna già piena. Si pompa a gran fiato di sopra e di sotto Finché si produce di bomba un gran botto. Esplosa è la rana, ridotta a brandelli: accade così a chi non recede, prendendo se stesso per i fondelli, dell’Esser Divino dal credersi erede.

La volpe e il corvo Messer corvo aveva trovato sul davanzale della finestra un bel pezzo di formaggio: era proprio la sua passione e volò sul ramo di un albero per mangiarselo in santa pace. Ed ecco passare di là una volpe furbacchiona, che al primo colpo d'occhio notò quel magnifico formaggio giallo. Subito pensò come rubarglielo. "Salire sull'albero non posso" si disse la volpe, "perché lui volerebbe via immediatamente, ed io non ho le ali… Qui bisogna giocare d'astuzia!". Che belle penne nere hai! - esclamò allora abbastanza forte per farsi sentire dal corvo; - se la tua voce è bella come le tue penne, tu certo sei il re degli uccelli! Fammela sentire, ti prego! Quel vanitoso del Corvo, sentendosi lodare, non resistette alla tentazione di far udire il suo brutto cra crà!, ma, appena aprì il becco, il pezzo di formaggio gli cadde e la volpe fu ben lesta ad afferrarlo e a scappare, ridendosi di lui.

Uno splendido corvo, nero, di pece, non certo cornacchia color cenere, invece, aveva portato in alto su un ramo un bel cantuccio di parmigiano. L’aveva arraffato con mossa assai destra dal davanzale d’una finestra. Passava di sotto la volpe sagace d’arti e d’inganni molto capace, che visto il cacio giallo e maturo, si disse: “L’avrò, questo è sicuro! Salire sul tronco non se ne parla, un’altra maniera occorre trovarla. Il becco ad aprire bisogna lo spinga, l’unico verso sarà la lusinga… Ti trovi fornito di penne stupende, lascialo dire a chi se ne intende. Se a tanta bellezza un canto adeguato s’accoppia, beato considera pure questo tuo stato. Testimone permetti che io sia di un’improvvisata tua melodia.” Dalla gola del corvo un crà se ne venne, che per voglia di lode l’uccello non tenne. Dal becco dischiuso il cacio sfuggì e dritto sul muso della volpe finì. Quella addentatolo sorrise beata, lasciando il corvo con l’aria impagliata.

Il topo e la rana Il topo per poter attraversare più facilmente un fiume, chiese aiuto alla rana. La rana con un filo lega ad una delle sue zampe di dietro uno dei piedi anteriori del topo. Quando a nuoto furono arrivati a mezzo del fiume, la rana, tradendo la parola data, si tuffò sott'acqua e si trascinò dietro il sorcio. Morto il sorcio venne a galla e ondeggiava sui flutti. Il nibbio che volava adocchiò la preda: strappò il topo e insieme portò via la rana che era con esso legata. La perfida, che col tradimento aveva attentato alla vita dell'altro, trovò insieme la rovina anche lei e fu distrutta. Coloro che nuocciono ad altri periscono (a loro volta).

Di terra un topolino non uso a nuotare, al fiume vicino sostava a pensare. Ho forte bisogno d’andare di là, ma senza un aiuto la cosa non và. “Madama la Rana, le pago le spese potrebbe aiutarmi?” Gentile le chiese. D’esser d’ingegno a quel tempo i batraci erano detti molto capaci: infatti uno spago la rana raccolse, ai piedi del topo solerte l’avvolse, una zampa di dietro legò delle sue così da tirare il peso d’un bue. Al traverso dell’acqua il filo passò e fino nel mezzo al meglio si andò. Poi, come impazzita, la rana s’immerse e nei gorghi profondi il topo si perse. Una volta affogato al povero topo non importava certo del dopo, mentre la rana, ancora legata, godeva del sole tranquilla e beata. Un nibbio affamato che in tondo girava e attento dall’alto le prede curava, vide sull’acqua il topo affiorato, all’aria la pancia, sul dorso appoggiato: in tuffo veloce la preda ghermì e pure la rana seco rapì.

TOLSTOJ

Un re indiano Un re indiano ordinò che si radunassero tutti i ciechi; e quando i ciechi furono arrivati alla reggia, fece mostrare a loro i suoi elefanti. Uno tastò le zampe, un altro la punta della coda, un terzo la radice della coda, un quarto il ventre, un quinto il groppone, un sesto le orecchie, un settimo le zanne, un ottavo la proboscide. Poi il re chiamò a sé quei ciechi, e domandò: Come sono fatti i miei elefanti? Uno dei ciechi disse: - I tuoi elefanti somigliano a colonne! - Era il cieco che aveva tastato le zampe. Un altro cieco disse: - Somigliano a piccole scope! - Era quello che aveva tastato la punta della coda. Un terzo disse: - Somigliano a rami! - Era quello che aveva tastato la radice della coda. Quello che aveva tastato il ventre, disse: - Gli elefanti somigliano a un mucchio di terra! - Quello che aveva tastato i fianchi, disse: - Somigliano a un muraglione! - Quello che aveva tastato il groppone disse: - Somigliano a una montagna! - Quello che aveva tastato le orecchie, disse; -Somigliano a fazzoletti! - Quello che aveva tastato la testa, disse: Somigliano a un gran mortaio! - Quello che aveva tastato le zanne, disse: - Somigliano a corna! - Quello che aveva tastato la proboscide, disse: -Somigliano a una grossa fune!E tutti quei ciechi si misero a discutere e a litigare. C’era una volta d’India un gran re che di elefanti ne avea milletre. Scienziato curioso, gli venne l’intento coi ciechi del regno condur sperimento. Ordinò convenissero e da lor trepidante descriver pretese ciascun elefante.

Sulle code s’accese la lite: l’uno diceva son rami di vite, mentre l’altro privo di vista, son scopette adatte alla pista per spazzarla ed asportare foglie, cartacce, quanto c’è da bruciare.

Le zampe tastava il primo accecato e pilastri vedeva di gran fabbricato. Fabbricato a colonne, come S. Pietro, percorso a ritroso, la faccia all’indietro.

Contro il ventre del grande animale, il quarto meschino parve star male; toccando e tastando egli lo prese per Grande Muraglia d’origin cinese. Sono le orecchie pel cieco già quinto grandi lenzuola di panno dipinto che lentamente nel caldo movendo fan vento gradito, d’un fresco stupendo.

Le zanne d’avorio dalla punta inquietante son prese per corna dal sesto tastante che non spiega laggiù che ci faccia la coda, è forse d’un botto cambiata la moda? Poi ripensa e modula un fischio: con corda, non coda, si evita il rischio. La morale cercando, dove si trova? È il punto di vista che vale la prova. L’insieme tastato soltanto a metà non porta di certo a trovar verità.

Il falco e il gallo Un falco, addestrato dal suo padrone, quando costui lo chiamava, veniva a posarsi sul suo pugno. Il gallo invece, all'avvicinarsi del padrone, strillava e fuggiva spaventato. Disse il falco al gallo: - Voi galli siete servi ingrati. Correte dai vostri padroni soltanto quando avete fame. Noi, invece, uccelli selvatici, siamo ben diversi: siamo più forti e più veloci e non fuggiamo quando gli uomini s'avvicinano. E se ci chiamano, corriamo e ci posiamo sul loro pugno. Non dimentichiamo ch'essi ci danno da mangiare -. Rispose il gallo: - Se voi non fuggite all'avvicinarsi dell'uomo, è perché non avete mai visto il falco allo spiedo, mentre noi non vediamo che polli arrosto -.

Un grigio falcone addestrato a dovere della caccia crudele faceva mestiere. Al richiamo, sicuro e senza mugugno, scendeva dal cielo e posava sul pugno. Invece, ruspante il gallo sovrano da sempre starnazza e fugge lontano al solo apparire di chi col paniere, l’ova raccoglie senza chieder parere. Al falco, notati i modi del gallo, sembra dovere correggere il fallo. “Voi polli correte, lasciando il letame, per scopi assai bassi:saziare la fame. Io sono felice e faccio gran vanto, se l’uomo mi chiama, ghermire il suo guanto”. Il gallo rispose con pronto motteggio “Nudi e infilzati falchi non veggio rosolar sopra fiamme le carni dorate, ma polli allo spiedo ne vedo a palate”.

I due cavalli Due cavalli tiravano ognuno il proprio carro. Il primo cavallo non si fermava mai; ma l'altro sostava di continuo. Allora tutto il carico viene messo sul primo carro. Il cavallo che era dietro e che ormai tirava un carro vuoto, disse sentenzioso al compagno: - Vedi? Tu fatichi e sudi! Ma più ti sforzerai, più ti faranno faticare -. Quando arrivarono a destinazione, il padrone si disse: - Perché devo mantenere due cavalli! Mentre uno solo basta a trasportare i miei carichi? Meglio sarà nutrir bene l'uno, e ammazzare l'altro; ci guadagnerò almeno la pelle del cavallo ucciso! -. E così fece. Lungo i sentieri di monti e di valli tiravano il carro due baldi cavalli. Ciascuno col suo, il peso sdoppiato; il primo veloce, il secondo arretrato. Non era più grave ma pur tuttavia sostava più volte lungo la via. Ad Alfio la frusta faceva rammarico e sul carro di testa spostò tutto il carico. “Non vedi che sudi?” diceva beffardo, al compagno impegnato, l’equino infingardo. “Se fiato residuo dimostri d’avere, sotto colli di merce finirai per cadere”. Destino raggiunto, al buon carrettiere per il carro svuotato montò dispiacere. Due bestie, due biade, un solo trasporto, guardando le somme gli prese sconforto. Per risparmiare sul bilancio già zoppo: “Un cavallo lo tengo, quello pigro l’accoppo”. La morale vogliamo cercare con lena? Schivare fatica consegue una pena.

L'asino vestito della pelle del leone e la volpe Un asino si mise addosso la pelle di un leone e andava attorno seminando il terrore fra tutte le bestie. Vide una volpe e volle provarsi a far paura anche a lei. Ma quella, che per caso aveva già sentito la sua voce un'altra volta, gli disse: - Sta pur sicuro che, se non ti avessi mai sentito ragliare, avresti fatto paura anche a me -. Cosi ci sono degli ignoranti che, grazie alle loro fastose apparenze, sembrerebbero persone importanti, se la smania di parlare non li tradisse. In ere remote per mutar dimensione cambiava la pelle anche il leone. Saziata la fame, più grasso e più bello a mo’ di serpe lasciava il mantello. Chi la trovava dell’uso era certo: al freddo notturno sentirsi coperto. Ma vista in un fosso la pelle svuotata da un asino sciocco venne indossata. A zebre e giraffe metteva spavento, balzando dal bosco ancor sottovento. Andava d’intorno facendo il feroce ed ogni animale sia lento o veloce, cornuto o grifagno, soffiante od urlante alla tana spingeva tutto tremante. Incontrata la volpe s’aspetta l’effetto d’incuter paura, ma gli scappa un raglietto. Udito quel suono distinto e vicino s’accorge la volpe del finto felino e ride convinta del buffo destino di chi più che ingenuo, molto cretino in spoglie mentite importante si sente e parlare si vuole senza dir niente.

Il corvo e i suoi piccoli Un corvo aveva fatto il nido, in un'isola. Quando gli nacquero i piccini, pensò che sarebbe stato meglio trasportarli sulla terraferma. Prese tra gli artigli il figlio più piccolo e si staccò dall'isola volando sopra lo stretto. Quando giunse in mezzo al mare, si sentì molto stanco: le sue ali battevano l'aria sempre più lente. "Oggi io sono grande e forte e porto mio figlio sul mare perché mio figlio è debole" pensava il corvo " quando esso sarà cresciuto e sarà diventato forte, mentre io sarò debole e vecchio, chissà se mi ricompenserà delle fatiche che io sostengo oggi e se mi trasporterà come io faccio, da un luogo all'altro ". Il corvo decise allora di accertarsi subito e chiese al suo piccolo: - Quando tu sarai forte e io sarò vecchio e debole, mi aiuterai come faccio io ora con te? Mi trasporterai da un luogo all'altro? Dimmi la verità…. Il piccolo corvo vide in basso il mare e, temendo che il padre lo lasciasse cadere, si affrettò a rispondere: - Si, sì, ti aiuterò, ti trasporterò -.

Un corvo paterno, il figlio sul dorso, volava sul mare studiando il percorso. Il tratto dall’isola per giungere a terra incute paura, il cuore gli serra. Per luoghi sicuri il nido ha lasciato, ma ora, nel mezzo, è a corto di fiato. Sono grande, capace eppure il vigore col tempo non resta al correr dell’ore; ora del peso della prole indifesa l’onere è mio: è questa l’intesa. Ma quando alla forza dovrò dare commiato, dai figli in volo sarò sollevato? In presa diretta all’ardua domanda dal figlio gravoso risposta comanda. Al piccolo corvo a volo sorpreso, guardando dall’alto i flutti del mare non parve tanto d’aver bene inteso, ma di fretta sì, sì si mise a giurare.

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