Cardiologia Mara Da Stampare.pdf

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INTRODUZIONE La cardiopatia ischemica, detta anche ISCHEMIA miocardica, rappresenta la prima causa di mortalità e morbilità nei paesi occidentali ed è un fenomeno metabilico secondario a un’inadeguata ossigenazione del tessuto cardiaco per una discrepanza tra l’apporto e il consumo di ossigeno; comprende una serie di entità cliniche tra loro ben distinte rappresentate da angina stabile – instabile - di Prinzmetal, IMA e aritmie. I principali fattori che aumentano il bisogno di O2 del miocardio o ne riducono le riserve sono:  Le tachiaritmie  L’ipertensione arteriosa (aumento del postcarico)  L’aumento del precarico (aumento del ritorno venoso, e quindi del lavoro cardiaco)  L’anemia (diminuita capacità di ossigenazione del sangue)

Scopi della terapia nella cardiopatia ischemica sono:  Attenuare e/o prevenire l’ischemia e i conseguenti sintomi anginosi attraverso una serie di presidi, medici o chirurgici, che migliorino l’apporto di sangue ai tessuti o comunque normalizzino il rapporto apporto/consumo di ossigeno (tramite l’induzione di vasodilatazione);  Trattare la malattia aterosclerotica;  Prevenire le complicanze, soprattutto l’infarto e la morte improvvisa. I farmaci utilizzati nel trattamento della CAD sono nitroderivati, calcioantagonisti, beta-bloccanti e gli ACE-inibitori, mentre nel trattamento delle SCA (sindromi coronariche acute) i farmaci più utilizzati sono gli anticoagulanti, i trombolitici e gli antiaggreganti.

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IPERTENSIONE ARTERIOSA DEFINIZIONE:

E' quella condizione in cui si crea uno squilibrio tra i vari meccanismi di regolazione della a pressione arteriosa che risulta elevata rispetto agli standard fisiologici, quindi quando abbiamo livelli di pressione sistolica >140 mmHg e di pressione diastolica >90mmHg. L’ipertensione interessa fino al 20% della popolazione e può essere PRIMARIA (ESSENZIALE), quindi legata alla predisposizione genetica, oppure può essere SECONDARIA a un'altra patolgia, per esempio le malattie del rene e surrene. Il rene regola l’omeostasi dei liquidi all'interno dell'organismo (influenza quindi anche la pressione) e anche nel produrre una serie di sostanze che favoriscono lo smaltimento dei liquidi e l'eliminazione delle sostanze nocive dell'organismo; produce anche una serie di sostanze che servono appunto a bilanciare il flusso renale e quindi agisce su sostanze vasodilattanti e vasocostrittrici, perciò un danno renale può favorire l'ipertensione arteriosa. La prima causa di ipertensione secondaria è l'ipertensione nefroparenchimale, (quindi a livello del parenchima renale), secondario a patologie come il rene policistico; anche l'aver avuto un'infezione grave del parenchima renale può portale poi a danno renale, oppure ancora una stenosi dell’arteria renale. Le patologie nefrovascolari possono portare a ipertensione secondaria, cioè una malattia della circolazione del rene e quindi una malattia, per esempio nel caso di un'aterosclerosi dell'arteria renale, e può portare a ipertensione arteriosa, questo perchè se abbiamo una malattia arterorenale arriverà meno sangue al rene, perciò il rene percepisce questa ipoperfusione perchè arriva meno sangue e per questo andrà a produrre delle sostanze volte ad aumentare la volemia ematica; di conseguenza aumenta la pressione arteriosa. Ci sono poi cause ormonali che interessano il surrene, nello specifico i tumori ipersecernenti della midollare e la corticale del surrene. La prima di queste è la Sidrome di Cushing che è un tumore della corticale del surrene che produce cortisolo. Quest’ultimo favorisce la ritenzione idrica e quindi un aumentata pressione (oltre a questo causa altre svariate problematiche come obesità 4

centrale, ipertricosi e la formazione di strie addominali). Ma abbiamo anche un'iperaldosteronismo primario (legato ad Adenoma o ad un’iperplasia surrenale) che causa una produzione cronica dell’aldosterone che, anzitutto, è il precursore dell'angiotensina II (che come sappiamo è un potente vasocostrittore). L’aldosterone determina ritenzione di Na e perdita di K (poco potassio con conseguente aumento della funzione cardiaca) con conseguente aumento della pressione arteriosa ma avremo la copresenza di ipokaliemia, quindi di una diminuita concentrazione di potassio che viene eliminato maggiormente dal rene. Ancora, un tumore sercernente della midollare del surrene è il Feocromocitoma che causa una maggiore produzione di catecolamine quali 'adrenalina e noradrenalina la cui massiccia produzione porta ad un aumento della PA. Man mano che si sale con i livelli di ipertensione arteriosa associandola agli altri fattori di rischio, aumenta il rischio cardiovascolare. Anche l'età influenza la progressione, infatti intorno ai 40 anni può superare il 60% dei casi, sopra i 70 anni la popolazione è sicuramente ipertesa.ECG: la maggior parte dei pazienti

ipertesi ha un ECG normale. Tuttavia, se durante l’ECG avessimo trovato per esempio ipertrofia ventricolare sinistra, con o senza anomalie, saremmo a conoscenza del fatto che il paziente è iperteso da lunga data. Come si sviluppa l’ipertensione arteriosa? Giuca un ruolo importante la pressione, influenzata dalla portata cardiaca e dalle resistenze periferiche totali. Il cuore deve spingere il sangue verso il ciclo periferico che però ha delle resistenze (la vasocostrizione delle arteriole). Più alte saranno le resistenze periferiche e più alta sarà la pressione. Ma possiamo avere anche una pressione elevata data da un aumento della portata cardiaca. In questo caso parliamo di ipertensione: -Ipercinetica, data da un aumento della portata cardiaca. È presente soprattutto in età giovanile e nei pazienti obesi in quanto hanno una grande massa cardiaca e quindi aumenta la velocità del circolo per poter irrorare tutti i tessuti corporei. -Stabile, legata all’aumento delle resistenze periferiche. È l’ipertensione classica ed è tipica dell’adulto.

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L’esempio classico di resistenza periferica è data dalla vasocostrizione periferica che però , cronicamente, porta ad una ipertrofia (aumento del volume) della tonaca media delle arteriole in periferia tandendo poi a consolidare questa aumentata resistenza nel tempo. Gli stimoli pressori che agiscono sulla periferia sono diversi, per esempio le catecolamine, l’angiotensina ll, l’endotelina e l’insulina che amplifica ulteriormente gli stimoli vasocostrittori e quindi mantiene l’elevata pressione arteriosa (diminuisce i fenomeni di vasodilatazione).

Esistonoda dadiversi diversianni annidiverse diverseclassificazioni: classificazioni: Esistono Pas(mmHg) (mmHg) Pas Ottimale < 120 Ottimale < 120 Normale 120-129 Normale 120-129 Normale alta 130-139 Normale 130-139 Stadio 1 alta 140-159 Stadio12 160-179 Stadio 140-159 Stadio23 >180 Stadio 160-179 Sistolica >140 Stadio 3 isolata >180 Sistolica isolata >140

Pad(mmHg) (mmHg) Pad <80 <80 80-84 80-84 85-89 85-89 90-99 100-109 90-99 >110 100-109 <90 >110 <90

COMPLICANZE: Può favorire lo scompenso cardiaco e l’infarto del miocardio (circa l’80% dei casi), episodi cerebro-vascolari fino all’insufficienza renale. In particolare, una delle principali complicanze dell’ipertensione arteriosa è l’ARTERIOSCLEROSI,. perché valori elevati della pressione nel tempo determinano un aumento dello shear stress (stress di parete) che portano ad un danno endoteliale, alla modificazione dell’espressione genica, ad un’aumentata produzione di citochine, fattori di crescita, un’aumentata espressione delle molecole di adesione di parete, un aumento di produzione di radicali liberi e anche ad una serie di modificazioni che a loro volta determinano un ispessimento della parete vasale che contribuirà alla creazione delle placche aterosclerotiche. In questo contesto è importante l’ipertensione sistolica isolata (in cui solo la pressione sistolica ha valori aumentati) è tipica dell’anziano e della donna, ed è dovuta da un aumentata rigidità dei grossi vasi arteriosi. Il sangue dal cuore va in 6

circolo grazie all’aorta e poi va decrescendo verso vasi sempre più piccoli. L’aorta e i vasi hanno una componente elastica molto importante, in particolare l’aorta, durante la sistole, assorbe l’onda sistolica e durante la diastole rilascia questa pressione sistolica sul vaso; ciò favorisce il mantenimento del flusso durante la diastole. Quando l’età avanza e i vasi tendono a irrigidirsi allora perdiamo di questa capacità; in seguito a ciò, aumenta la pressione differenziale e il cuore per mantenere il flusso costante fa aumentare il valore della pressione sistolica.

SINTOMI: L’ipertensione arteriosa è spesso asintomatica nella sua fase iniziale. I sintomi possiamo vederli in seguito alle complicanze arteriosclerotiche oppure legate ai soli valori pressori elevati. Alcuni sintomi riferiti come la cefalea, molto spesso, non sono legati alla pressione arteriosa; questo perché la pressione arteriosa per poter causare la cefalea (legata ad un edema cerebrale) deve avere un valore di pressione diastolica superiore ai 120 mmHg. Sintomi come nicturia, epistassi ed emorragia congiuntivale possono essere presenti in concomitanza dell’ipertensione ma raramente sono dovuti ad essa.

Quali sono gli organi bersaglio? -Cerebrale: Al livello cerebrale, l’ipertensione favorisce l’aterosclerosi delle arterie extra ed intra-craniche, ma è in grado di danneggiare anche le piccole arterie intracerebrali. Ciò crea anche una serie di alterazioni come emorragie focali con la rottura di piccoli aneurismi sacculari oppure, piccoli infarti lacunari dovuti all’alterazione dei fibrinoidi ed occlusione di questi vasi. Tipici del paziente iperteso sono i micro-aneurismi (dilatazione patologica vaso) che si vengono a formare al livello cerebrale che possono interessare arterie penetranti a diverse livelli e, che, cronicamente tendono a danneggiare e a portare all’encefalopatia ipertensiva. I sintomi quindi sono legati ad un evoluzione di questi micro danni che, diventando significativi, portano a deficit sensitivi, deficit motori e, delle volte, anche deficit del linguaggio e della vista sino a portare appunto all’encefalopatia ipertensiva. -Occhio: Al livello della retina abbiamo diversi stadi di danno. Inizialmente abbiamo degli incroci arterovenosi (si creano una serie di alterazione dei vasi retinici, che possiamo vedere al livello del fundus oculare), fino agli stadi più avanzati come l’edema della papilla che può portare alla cecità. -Vasi: L’aorta stessa viene danneggiata nel tempo; vediamo la frammentazione delle fibre elastiche, perdita di fibre muscolari lisce, accumulo di collagene fino ad 7

un’alterazione strutturale tale che permette la formazione di aneurismi veri e propri fino alla complicanza più grave che è la dissecazione aortica (dove lo strato interno o tonaca intima è interessato da una lacerazione, attraverso cui il sangue penetra e determina la formazione di un falso lume). -Rene: Non è soltanto responsabile dell’ipertensione ma ne è anch’esso bersaglio. L’ipertensione infatti tende a danneggiare le arteriole renali e quindi alla lunga il glomerulo stesso. Il primo segno è la perdita di proteine al livello glomerulare e quindi una microalbuminuria. Più avanza la patologia più aumenta l’albuminuria fino ad arrivare all’ematuria, la perdita dei nefroni e in ultima istanza l’insufficienza renale. -Cuore: Come tutti i muscoli, quando aumenta il carico di lavoro e deve imprimere una forza maggiore, quindi tende all’ipertrofia di tipo concentrico, che si traduce in un aumento della massa muscolare del cuore e della capacità di pompaggio. È la conseguenza di un prolungato sovraccarico di pressione, che porta ad un aumento dello spessore parietale e alla riduzione della capacità di distensione ventricolare. Se le resistenze aumentano il ventricolo sinistro deve contrarsi con maggiore intensità per vincerle, fino a che la situazione non si evolve fino a una disfunzione vera e propria. Una cardiopatia ipertensiva ipertrofica del ventricolo sinistro è un fattore indipendente di mortalità. Si è visto comunque che in buona parte di questi pazienti, l’ipertrofia è reversibile attraverso la terapia antiipertensiva.

DIABETE Esiste il diabete di tipo I (quello giovanile) dovuto alla mancanza di insulina per mancato funzionamento delle cellule beta pancreatiche, ma il diabete più frequente è il diabete di tipo II dato dall'insulino-resistenza iniziale, tipico dell'obeso, e poi si associa anche al deficit di insulina. Perché si arriva all’insulinoresistenza? Ci sono diversi fattori che possono incidere, ovvero fattori genetici, obesità, inattività fisica. Il tessuto adiposo è caratterizzato da cellule attive che producono sostanze che hanno effetto diretto per rendere l’organismo insulino resistente, quindi l’obesità e l’inattività fisica sono i fattori che incidono maggiormente. Il diabete di tipo 2 accelera il processo aterosclerotico, e aumenta il rischio di malattia cardiovascolare di ben 4 volte. 8

IPERCOLESTEROLEMIA DEFINIZIONE: E‘ un eccesso di colesterolo circolante che aumenta il rischio coronaropatie. In base ai livelli di colesterolo sierico che man mano aumentano, aumentiamo in maniera esponenziale il rischio di cardiopatia ischemica. Il colesterolo si trova in tutte le cellule dell'organismo, quindi non è una sostanza nociva perchè è un elemento fondante del nostro organismo, ha ruolo importante in quanto fa parte delle componenti delle membrane cellulari perchè è importante nella formazione della vitamina D e della bile, ed è la base chimica degli ormoni steroidei. Il colesterolo non può circolare da solo nel torrente ematico e quindi deve essere trasportato da proteine, perchè non è idrofilo (o idrosolubile), dette lipoproteine; le più conosciute sono le LDL (low density lipoproteins) e HDL (high density lipoproteins). Vengono anche rispettivamente detti colesterolo buono e colesterolo cattivo, perchè le LDL (colesterolo cattivo) sono lipoproteine che portano il colesterolo nel sangue dal centro alla periferia, quindi che troviamo in circolo in periferia, e più sono alte più aumenta il rischio di coronaropatia, sono quelle che vengono ossidate e attraversano la parete arteriosa e si accumulano nella placca arterosclerotica. Le HDL (colesterolo buono) sono invece le lipoproteine che contribuiscono a rimuovere il colesterolo dalla periferia e a portarlo nel fegato per essere poi degradato, quindi più sono alte le HDL più il paziente è protetto dalla coronaropatia.

Valori di colesteromia:  LDL <130mg/dl  HDL >40 mg/dl nell'uomo e >50mg/dl nella donna. Avere un colesterolo HDL basso e LDL alto è un fattore di rischio cardiovascolare. L'ipercolesterolemia si è vista incrementare dopo una certa età nelle donne con la comparsa della menopuasa. Esistono poi altre lipoproteine che hanno comunque un'importanza minore e comunque un'influenza a portare una cardiopatia ischemica. Inoltre ci sono i trigliceridi, un altro tipo di grassi importanti per l’impatto di queste malattie; se aumentano, soprattutto in associazione con l’aumento di LDL, aumenta il rischio di CAD. 9

Agiamo contro il colesterolo andando a modificare:

-ALIMENTAZIONE: perchè gran parte del colesterolo l'assumiamo con la dieta, e quindi ci sono tutta una siere di cibi come latte, uova, carne, formaggi e l'alcol che favoriscono l'assunzione di colesterolo circolante. -L’ATTIVITA‘ FISICA: l'inattività riduce i livelli di colesterolo LDL, quindi l’attività fisica riduce il peso corporeo e ha un effetto positivo sull'HDL. Tuttavia c’è una predisposizione genetica ad aver un'ipercolesterolomia; esistono però anche dei trattamenti farmacologici efficaci nel ridurre il colesterolo LDL per portarlo ai valori desiderati che sono diversi in base al rischio globale del paziente.

OBESITA‘

Quindi l'attività fisica e l'obesità hanno un ruolo importante, infatti l'inattività fisica ha un impatto sul cardiovascolare sia per gli adulti che per i bambini, quando abbiamo un'obesità in fase di pubertà il rischio di malattie cardiovascolari aumenta per tutta la vita, anche se poi da adulto il soggetto raggiunge un peso normale e modifica lo stile di vita. Quindi sicuramente è importante il controllo del peso in età pediatrica. Non solo hanno un'importanza l'obesità è l'indice di massa corporea (BMI) che ci indica se il paziente è normopeso, sottopeso o obeso con vari livelli di obesità; anche la circonferenza vita deve essere sotto determinati livelli negli uomini e nelle donne, e anche questa condiziona appunto il rischio cardiovascolare. L’obesità viene classificata in obesità di 1°, 2°, 3° grado; un BMI superiore ai 30 kg/m2 è indicativo di obesità. Gli adipociti del grasso addominale sono delle cellule che hanno un ruolo attivo nell'organismo: si tratta infatti di cellule che producono una serie di sostante, in particolare ormoni, come citochine e sostanze anti-infiammatorie, che sono in grado di favorire condizioni patologiche come il diabete, la dislipidemia, l'ipertrigliceridemia, l'aumento del colesterolo HDL, l'ipertensione, e quindi 10

aumenta il rischio di problemi cardiovascolari avversi. L’associazione del grasso addominale e l’aumento dell’incidenza di queste patologie, in particolare il diabete, è stata definita come SINDROME METABOLOCA; gli adipociti infatti favoriscono la resistenza all’insulina prodotta dal pancreas, e quindi non ci permette di utilizzare il glucosio circolante, di farlo entrare nelle cellule. L'insulino-resistenza non è che una fase di pre-diabete che se non trattata adeguatamente porta alla condizione di diabete conclamato o a una ridotta produzione di insulina. L'insulino-resistenza porta all'ipertensione arteriosa, la favorisce, è in grado di indurla agendo sul rene, e favorisce anche le componenti lipidiche a carico dell'organismo e quindi spesso ci troviamo davanti a pz con insulino-resistenza che sviluppano anche ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, e quindi improvvisamente ci rendiamo conto di quanto questi fattori di rischio siano correlati. Per quanto riguarda l’accertamento diagnostico è necessaria la rilevazione di una condizione di insulinoresistenza o diabete, con associata ipertensione o ipercolesterolemia, e certamente l’aumento del grasso addominale.

Linee guida generali per il controllo della pressione arteriosa:  Seguire una dieta sana e regolare, ricca di potassio e fibre, e povera di sale e di grassi saturi  Bere molta acqua  Non fumare  Praticare almeno 30 minuti di esercizio fisico al giorno  Non bere alcolici  Ridurre lo stress  In caso di sovrappeso/obesità, seguire una dieta ipocalorica

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RISCHIO ASSOLUTO

Il rischio assoluto è la probabilità espressa in % di andare incontro nei successivi 10 anni a tutta una serie di eventi cardiovascolari. Quando parliamo di eventi cardiovascolari, parliamo di eventi maggiori come morte improvvisa, infarto acuto del miocardio, ma anche morte cardiaca non improvvisa, essere sottoposti a interventi di vascolarizzazione o avere eventi cerebrovascolari maggiori che vanno dall’ictus ischemico a quello emorragico. Negli ultimi anni sono state messe a punto delle carte del rischio per facilitare i clinici a individuare nel singolo individuo qual è il rischio cardiovascolare e quindi per poter agire in maniera più precisa sui rischi di quella persona. Vengono utilizzati tra i vari fattori: età, sesso, pressione arteriosa, colesterolemia, fumo di sigaretta, diabete. Queste sono le carte del rischio per gli uomini sani (non diabetici); i colori ci dicono appunto il rischio. Dal celestino inferiore
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TRATTAMENTO FARMACOLOGICO secondo Mara L'obiettivo cardine del trattamento antipertensivo consiste nella riduzione della pressione arteriosa per abbattere il rischio di complicanze; il cambiamento dello stile di vita, gli accorgimenti alimentari e la messa in atto di alcuni semplici esercizi fisici contribuiscono a mantenere la pressione arteriosa nel range dei livelli fisiologici. I medicinali utilizzati in terapia per la cura dell'ipertensione sono diuretici, calcio antagonisti, simpaticolitici, beta bloccanti, antagonisti dell'angiotensina II, ACE inibitori. La pressione arteriosa è determinata dal concorso di più fattori, i cui elementi fondamentali sono:  Volume plasmatico  Gittata cardiaca  Resistenze vascolari Tutti questi fattori sono controllati da una rete complessa di interazioni che coinvolgono il sistema nervoso simpatico, il rene e il sistema reninaangiotensina-aldosterone. I farmaci antipertensivi abbassano la PA riducendo il volume plasmatico e/o gittata cardiaca e/o le resistenze periferiche.

1) DIURETICI: Riducono il rischio di complicanze come l’ictus cerebrale, l’IMA, l’insufficienza cardiaca congestizia. I diuretici di prima scelta sono i TIAZIDICI, spesso associati ai diuretici risparmiatori di potassio, la cui perdita rappresenta uno degli effetti collaterali principali. Nei casi di emergenza ipertensiva o nelle forme di ipertensione grave si possono utilizzare i DIURETICI D’ANSA, ad alta intensità d’azione, come il FUROSEMIDE. I diuretici tiazidici abbassano la PA aumentando l’escrezione di sodio e di acqua e, di conseguenza, dimuendo il volume plasmatico e la gittata cardiaca. Inoltre, la combinazione con un betabloccante consente di utilizzare dosi più basse dei singoli componenti.

2) SIMPATICOLITICI: Riducono l’effetto dell’attivazione simpatica sulle seguenti strutture: a livello cardiovascolare e della PA, a livello centrale (tronco encefalico) sia periferico, a livello delle cellule iuxtaglomerulari del rene (beta1) dove, attraverso la liberazione di renina, attivano il sistema renina-angiotensina. 13

3) BETABLOCCANTI: Determinano la riduzione della gittata cardiaca e la riduzione della liberazione di renina.

4) CALCIOANTAGONISTI: Il meccanismo d’azione consiste nel blocco dei canali Ca2+ voltaggio-dipendenti presenti nelle membrane delle cellule arteriolari e miocardiche. Come conseguenza della riduzione dell’ingresso di calcio in queste strutture, i calcio antagonisti determinano:  Vasodilatazione arteriosa (a livello periferico, coronarico sia celebrale)  Diminuzione dell’attività cardiaca Essi, pertanto, riconoscono un ampio spettro terapeutico che comprende azioni ipertensive, antianginose e antiaritmiche. Questi farmaci hanno un buon assorbimento dopo la somministrazione orale. ATTENZIONE: gli effetti collaterali sono dovuti a una vasodilatazione eccessiva, che induce ipotensione.

5) INIBITORI DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA: In particolare gli stimoli che ne aumentano la secrezione sono rappresentati da:  Riduzione della concentrazione di NaCl a livello della macula densa  Riduzione della tensione parietale delle arteriole prerenali (per diminuzione della PA)  Attivazione dei recettori beta1 adrenergici nell’apparato iuxtaglomerulare

Il substrato dell’azione della renina è L’ANGIOTENSINOGENO, una glicoproteina prodotta dal fegato che viene trasformata in ANGIOTENSINA I. Da questa, ad opera dell’enzima ACE, deriva l’ANGIOTENSINA II, i cui effetti sulle funzioni cardiovascolari sono rappresentati da:  Rapido aumento della PA, derivante sia dalla stimolazione dell’attività del simpatico (centrale e periferica), sia dalla potente azione vasocostrittrice diretta  Aumento lento e prolungato della PA, derivante dal riassorbimento diretto di sodio nel tubulo prossimale e dal rilascio di aldosterone dalla corteccia surrenale  Graduale ipertrofia del miocardio e della parete arteriolare, dovuta in parte all’aumento del postcarico, secondario all’aumentato volume plasmatico e in parte a un’azione trofica diretta dell’angiotensina sul cuore e sui vasi 14

ATTENZIONE: l’enzima ACE (chinasi) catalizza anche la degradazione della BRADICHININA, un peptide plasmatico ad azione vasodilatante.

6) ACE-INIBITORI: Il loro meccanismo d’azione è rappresentato dall’inibizione dell’azione dell’ACE, con conseguente riduzione della sintesi di angiotensina II , e quindi degli effetti mediati di questo peptide.

DIAGNOSI L’ipertensione è facilmente diagnosticabile attraverso la semplice misurazione della pressione arteriosa. Sottoponiamo poi il paziente all’anamnesi e all’esame obiettivo, prescrivendo anche:  ECG per valutare la presenza di altre patologie concomitanti (per esempio dilatazione atriale sinistra, ipertrofia ventricolare sinistra o altre aritmie), se necessario Holter  Ecocardiogramma per confermare diagnosi di ECG  Glucosio, trigliceridi (per vedere se c’è qualche correlazione con altra patologia come ipercolesterolemia e/o diabete)  Azotemia e Creatinina sierica (in caso di ipertensione risulta essere alta) + microalbuminuria (urostick: anche queste sono alte)

La prima cosa importante da sapere è come misurare la pressione.

Ci sono vari accorgimenti sulla misurazione: -Il paziente deve essere in una condizione di tranquillità. Quindi effettuare la misurazione in una stanza dove il paziente rimane seduto per alcuni minuti in modo che si metta a proprio agio. -Effettuare più di una misurazione a intervalli di almeno 1-2 minuti. Come vedrete in molti casi 2 misurazioni sono spesso discordanti e quindi è importante farne una terza proprio per essere certi del valore effettivo. 15

-Il bracciale deve essere adeguato al paziente che abbiamo di fronte e quindi deve essere scelto in base alla misura del braccio e della stazza. -Il braccio deve essere sempre al livello del cuore per non falsare la misurazione. Dobbiamo andare ad identificare i toni di Korotkoff che indicano i valori della sistolica (l tono) e della diastolica (lV tono). Sarebbe importante, soprattutto negli anziani e nei diabetici misurarla anche in ortostatismo per andare a valutare un eventuale variazione.

Ci sono anche altri strumenti per misurare la PA: -Monitoraggio di 24 h dei valori di PA: è un esame che viene effettuato in quei pazienti in cui vi è il dubbio sulla veridicità dei valori misurati. Può essere legata ad un’eccessiva variabilità di valori di pressione rilevat.; Valori sempre elevati in pazienti che dagli esami non presentano danno d’organo, e, in quel caso è una pressione da camice bianco e cioè una pressione alterata dall’agitazione del paziente in vista della misurazione. Oppure valori elevati in un paziente che riferisce di avere valori normali alla misurazione a casa propria e quindi vi è una discrepanza. Oppure la resistenza alla terapia o comunque l’andamento nelle 24 h del giorno. Infatti, la pressione arteriosa ha un andamento fisiologico nelle 24 h. Durante il giorno ha valori più elevati per poi avere una riduzione fisiologica durante la notte e ciò viene conservata per tutta la durata della stessa. In alcuni casi, possiamo trovare un’inversione di questo fenomeno che è segno di scarso controllo. Questo esame viene effettuato con un piccolo registratore e un bracciale che diamo al paziente e che dovrà indossare per tutto l’arco delle 24 ore. Esso misura e registra la pressione ogni mezz’ora durante il giorno e una volta all’ora durante la notte. -Automisurazione a domicilio: Incoraggiamo i pazienti a farlo poiché da più dati e ci può aiutare per una migliore aderenza alla terapia. Questo accorgimento è sempre in base al paziente, poiché possiamo trovarci pazienti molto ansiosi che tendono ad agitarsi durante la misurazione e anche a spaventarsi per i valori trovati e modificarsi la terapia da soli. Ridurre la pressione arteriosa quindi ha tutta una serie di benefici. Essa va trattata adeguatamente e in base al rischio del paziente.

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Nei pazienti ad alto rischio in cui si riscontra anche elevati valori pressori si può procedere già con una terapia, mentre nei pazienti a basso rischio bisogna dare degli accorgimenti igienico-dietetici. Bisogna inoltre tenere conto dei vari “goals” di pressione; nei pazienti ad alto rischio dovremo tenere dei goal più bassi. Nel paziente diabetico per esempio si tende ad avere dei maggiori danni vascolare al livello periferico rispetto al paziente non diabetico. Se nel paziente non diabetico dovremo avere dei valori sotto i 140-90 nel paziente diabetico dovremo tenere dei valori al di sotto del 130-80.

Quali sono le norme igienico dietetiche che dobbiamo suggerire al paziente? Sono essenzialmente modificazioni dello stile di vita che serviranno a ridurre i valori della pressione arteriosa e di ridurre il rischio cardio- vascolare. Essi sono: -abolizione del fumo di sigaretta -calo ponderale in caso di paziente sovrappeso -introduzione di una dieta iposodica -esercizio fisico -apporto alimentare di frutta e verdura -abolizione della dieta ricca di grassi Dopo di che abbiamo un ampio spettro di farmaci ipertensivi che aiutano a mantenere valori di pressione adeguati: -diuretici - betabloccanti -calcioantagonisti (vasodilatatori) -ace inibitori che bloccano il sistema ras -antagonisti recettoriali dell’angiotensina ll (agiscono come gli ace inibitori) -alpha1 bloccanti -bloccanti dei recettori adrenergici centrali Quindi ci sono diversi farmaci che possiamo utilizzare, e si è visto che l’associazione di più farmaci dà un controllo più efficace della patologia, proprio perchè si agisce su differenti vie. Ovviamente i pazienti in stadi avanzati possono avere anche 3-4 farmaci insieme.

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ATEROSCLEROSI DEFINIZIONE: È un processo degenerativo infiammatorio a carico della parete interna dei vasi arteriosi, quindi dell'endotelio, caratterizzato dall‘accumulo di materiale lipidico (come il colesterolo), tessuto fibroso, cellule della muscolatura liscia, parete del vaso, cellule infiammatorie (perchè è un processo attivo infiammatorio). Le fasi evolitive dell’aterosclerosi sono caratterizzate dalla cosiddetta stria lipidica (ossia cellule ripiene di LDL ossidate), che può essere evidenziata anche nei bambini, fino alla formazione dell’ateroma o placca; quindi avremo l’ispessimento dell’intima dovuto principalmete all’accumulo lipidico e alla proliferazione di tessuto connettivo, che forma una cappuccio fibroso spesso al di sopra del nucleo proteico (la placca è detta stabile). Mentre a livello delle piccole arterie gli ateromi hanno un effetto occlusivo e compromettono il flusso ematico, negli organi distali causano lesioni ischemiche, nelle arterie di grandi dimensioni distruggono le pareti arteriose indebolendole e può portare alla formazione di aneurismi o rottura della parete, e favorendo la formazione di TROMBI. Inoltre, le placche più estese sono costituite da materiale friabile da cui spesso si staccano EMBOLI. La patologia inizia presto e cresce lentamente in modo silente; diventerà sintomatica solo quando si formano le vere e proprie placche (questo in genere avviene in età avanzata). A impattare sulla formazione della placca c’è l‘infiammazione che avviene con l’attivazione di citochine infiammatorie attivate a loro volta dai macrofagi e delle mastocellule che hanno un importante ruolo nell’aterogenesi. L’endotelio si trova a livello dell’intima mentre a livello della media abbiamo cellule muscolari che garantiscono il tono vasale, e abbiamo appunto un ruolo attivo. Quando viene lesionato, produce una serie di sostanze che favoriscono la permeabilità vascolare per far entrare e uscire le sostanze a livello dei vasi. Gestisce il tono vasale e quindi la contrazione e rilasciamento dei vasi che hanno un ruolo importante nella perfusione anche a livello cardiaco e gestisce anche l’emostasi. Produce inoltre una serie di sostanze che attivano delle sostanze stressogene che provocano l'infiammazione. 18

TROMBOSI La trombosi è il fenomeno che porterà all’occlusione del vaso ed ischemia. Qua ha un ruolo importante l’ipertensione arteriosa che favorisce turbolenza nei vasi che fa si che si danneggi l’endotelio ne favorisca l’infiammazione. A seguito della lesione, l’endotelio richiama in sede le cellule infiammatorie per combattere il danno determinato dalle LDL ossidate; i macrofagi fagocitano le lipoproteine infiltrate ed ossidate nell’intima, però non riescono a distruggerle. A lungo andare si trasformano in cellule schiumose, che caratterizzano le strie lipidiche.

CONSEGUENZE: Man mano che si accumula questo materiale il vaso si rimodella, cioè si modifica strutturalmente per cercare di non ostacolare il flusso ematico fino a quando non sarà più capace di contenere l’accrescimento della placca che tenderà poi a ridurre il lume del vaso creando una stenosi. Questo perchè i macrofagi tendono ad accumulare queste sostanze sotto l’endotelio stesso, e progressivamente favoriscono la formazione di una vera e propria placca. Con il passare del tempo i macrofagi tendono a rompersi e a liberare i lipidi e radicali liberi (il cui rilascio è favorito dalle LDL ossidate), creando quindi un ulteriore danno. Inoltre, la continua produzione di radicali liberi producono tutta una serie di enzimi, come le metalloproteinasi, che cercano di distruggere i radicali liberi ma, per farlo, vanno a distruggere anche il cappuccio fibroso che tende poi ad assottigliarsi e a rompersi improvvisamente per fessurazione o per rottura propriamente detta. Quando il cappuccio si rompe (placca instabile) si determina l’evento ischemico acuto perchè determina l’esposizione della placca al circolo ematico, talvolta riversando il materiale lipidico nello stesso, e quindi esponendo gli antigeni che si trovano sotto la placca al circolo sanguigno. L’organismo tende a contrastare questo fenomeno richiamando piastrine a cui consegue un accumulo rapido di fibrina nel tentativo di bloccare il sito di rottura neo-formato, determinado la formazione di un trombo, e quindi la trombosi acuta del vaso. 19

Alla rottura della placca può conseguire:  Trombosi parziale che porta poi ad un aggravamento della rottura della placca che porta alla chiusura improvvisa del vaso e all’infarto  Occlusione totale che determina un blocco improvviso del flusso ematico, e se ciò avviene in un vaso cardiaco si ha l’infarto acuto del miocardio; compariranno i sintomi che sono tipicamente angina, angina da sforzo e angina instabile. Abbiamo quindi forme cliniche differenti a seconda dell’evento sottostante che abbiamo.

Aterosclerosi e arteriosclerosi: la differenza - rel="nofollow"> L’aterosclerosi è solo la forma più comune di arteriosclerosi, termine generico che indica un complesso di stati patologici caratterizzati da indurimento, ispessimento e perdita di elasticità delle pareti arteriose; forme meno comuni di arteriosclerosi sono la sclerosi di Mönckeberg e l’arteriolosclerosi.

CENNI DI ANATOMIA: I vasi che portano sangue al cuore sono le coronarie che si origirano a livello dell‘ostio delle coronarie che si trova nel bulbo aortico. Sono due, ma noi le consideriamo tre, perché a livello della coronaria sinistra troviamo un tronco comune delle coronarie che è una porzione particolarmente delicata, in quanto un‘occlusione in questa regione molto spesso porta alla morte del paziente. Successivamente il tronco comune si biforca in due vasi che sono l’arteria ascendete anteriore (ramo interventricolare anteriore) e l’arteria circonflessa. L’abbocco delle coronarie parte dai Seni di Valsava, sopra la valvola aortica, ed è da qui che parte l’irrorazione. L’irrorazione del cuore avviene sia durante la fase sistolica che diastolica; tuttavia avviene prevalentemente durante quella diastolica in quanto durante quella sistolica, la colonna di sangue che ha mandato in circolo tende a tornare indietro per via della componente elastica dell aorta. È fondamentale che l’aorta si distenda e che generi una forza che mantenga la perfusione in circolo durante la diastole; questa colonna di sangue andrà a perfondere le coronarie.

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L’ascendente anteriore è uno dei vasi più importanti perchè irrora la parte anteriore del cuore e generalmente la circolazione coronarica è terminale, quindi un occlusione a qualsiasi livello di uno di questi vasi porta alla necrosi del tessuto (visibile tramite risonanza). Esistono delle variazioni anatomiche delle coronarie da persona a persona, alcuni soggetti mostrano una dominanza a sinistra; noi quindi ci dobbiamo concentrare sulla coronaria dominante che è quella che distribuisce il sangue a tutto l’apice cardiaco. L‘infarto nell’apice cardiaco determina una necrosi e può portare alla formazione di aneurismi. L’occlusione di un vaso porta necessariamente alla necrosi? NO. L’ischemia cronica, può portare alla creazione di circoli collaterali. In un giovane si occlude uno di questi vasi e tutto il territorio che si trova a valle andrà incontro a morte creando un infarto di grosse dimensioni. Quando avviene in un anziano che ha avuto tanti eventi ischemici che non hanno portato a un’occlusione completa ma che hanno creato lo stimolo per la creazione di circoli collaterali, è possibile ci siano vasi collaterali di altre coronarie che si sono formate nel tempo e proteggono il muscolo. Quindi l’occlusione di un vaso può non portare a una necrosi del tessuto a valle, perchè il sangue può arrivare da un altro vaso, da un'altra coronaria grazie a questi circoli collaterali. Quali sono i fenomeni alla base degli eventi ischemici delle coronarie? In che modo l’aterosclerosi evolve e porta alla CAD? Si può avere la rottura improvvisa di una placca non stenosante, però possiamo avere anche una placca che col tempo tende a occludere il lume. Parliamo di placca critica quando abbiamo un‘occlusione del lume superiore al 70%, spesso sintomatica. Quando abbiamo una stenosi invece inferiore al 50% parliamo di placca stenosante. Inoltre i vasi hanno un ruolo molto attivo, favorisce il rilasciamento e contrazione dei vasi e quindi in questi pazienti possiamo avere un altro fenomeno che è il vasospasmo cioè la porzione del vaso che è interessata dalla placca non è in grado di contrarsi, perchè appunto a questo livello l’endotelio è danneggiato. Mancheranno gli effetti di bilanciamento, cioè vasocostrizione e rilasciamento. E non solo, durante una 21

stenosi aumenta la velocità del flusso e questo è un fenomeno dinamico di idraulica. Quando restringiamo un vaso a quel livello deve passare la stessa portata di fluido e quindi per passare alla stessa portata aumenta la velocità, ma in proporzione si riduce la pressione. E qui in presenza di una placca aumenta la velocità del flusso, si riduce la pressione del vaso e la sua porzione sana tende a collassare sulla porzione che presenta la placca. Questo può creare dei fenomeni di vasospasmo che portano a un’occlusione temporanea del vaso e poi a un rilasciamento e a fenomeni di occlusione temporanea che possono dare angina pectoris che può essere stabile o instabile, e possiamo arrivare fino a un processo occlusivo completo cronico se questo fenomeno avviene molto lentamente, e non è detto che si manifesti un infarto acuto se si creano circoli collaterali. Oppure possiamo avere le sindromi coronariche acute che sono caratterizzate da:  Infarto del miocardio; l’infarto acuto è caratterizzato da occlusione improvvisa della coronaria data appunto dalla rottura di una placca dalla trombosi acuta del vaso.  Angina instabile.  Morte ischemica improvvisa.

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FATTORI DI RISCHIO I fattori di rischio hanno un effetto moltiplicativo e non additivo, cioè, più aumenta il fattore di rischio più aumenta il rischio di sviluppare la malattia. E' importante anche l'accomunarsi di due fattori di rischio, per esempio paziente affetto da diabete associato col fumo, triplica il rischio. I fattori di rischio li classifichiamo in: - non modificabili - modificabili - parzialmente modificabili

FATTORI DI RISCHIO NON MODIFICABILI

Condizione sulla quale non possiamo agire che comprende: -Età -> Più aumenta l'età e più aumentà il rischio per entrambi i sessi; tuttavia gli uomini si ammalano 10 anni prima delle donne.  Età media per il rischio cardiovascolare per gli uomini: 60-65 anni  Età media per il rischio cardiovascolare per le donne: 70-71 anni (correlato agli estrogeni)

-Sesso -> Le malattie cardiovascolari sono più frequenti nell'uomo rispetto alla donna, ma non la donna in generale, la donna in età fertile, questo perchè sono gli ormoni, gli estrogeni, che proteggono la donna dalle malattie cardiovascolari. In menopausa questa differenza si annulla, infatti è un evento critico per la donna perchè il rischio cardiovascolare và ad aumentare, tende a raggiungere l'uomo circa 10 anni dopo. In menopausa nella donna abbiamo una maggiore espressività dei fattori di rischio, come l'ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigleciridemia, il diabete, o l'obesità. È importante sottolineare che nella donna i sintomi sono più blandi, è questo fa sì che la cardiopatia ischemica (CAD: è la prima causa di morte rispetto anche alle neoplasie) nella donna venga trascurata. 23

-Predisposizione familiare -> Parliamo di predisposizione familiare quando il paziente riferisce una cardiopatia ischemica precoce, prima dei 55 anni negli uomini e prima dei 65 anni nelle donne tra familiari consanguinei (genitori e fratelli), e si associa un rischio incrementale associato sia dalla precocità dell'evento.

-Fattori esterni -> Stile di vita, alimentazione. Andiamo poi a valutare la storia clinica del paziente.

FATTORI DI RISCHIO MODIFICABILI -Fumo di sigaretta -> E' una miscela di sostanze gassose originate dal processo di combustione del tabacco che hanno tutta una serie di effetti negativi, come la nicotina che da dipendenza, il monossido di carbonio, sostanze cancerogene, che portano problematiche anche neoplastiche; tutte le sostanze irritanti e ossidanti vanno ad alterare i lipidi circolanti, ossidandoli e rendendoli dannosi per l'endotelio. Infatti i lipidi ossidati hanno un'azione infiammatoria nei confronti dell'endotelio che attiverà quindi l'infiammazioe delle cellule infiammatorie per cercare di contrastare il danno dei lipidi ossidati e questo sarà il primo passo per la formazione della placca aterosclerotica, che è fortemente legata al sistema del processo infiammatorio. Il fumo ha degli effetti simpaticomimetici quindi agisce sulla pressione arteriosa aumentandola sia a livello sistolico che diastolico, aumenta la FC, aumenta la gittata cardiaca, riduce il flusso periferico dando vasocostrizione (riduce l’excursus periferico). Ha degli effetti protrombotici che favoriscono l'aggregazione piastrinica, aumenta l'ematocrito, il fibrinogeno e la viscosità ematica (che è un elemento negativo per la cardiopatica ischemica perchè determina la formazione di trombi che sono alla base dell‘IMA), e quindi ha anche effetti aterogenici diretti, perchè aumenta il colesterolo LDL (che tende ad acculularsi nella placca lipidica nei vasi), riducendo invece il colesterolo HDL che serve per eliminare il colesterolo circolante e quindi altera la funzione dell'endotelio. Il danno è proporzionale al numero di sigarette fumate e anche all'età in cui si inizia a fumare: minore è l'età, 24

maggiore è il rischio. Il fumo aumenta di 17 volte il rischio di sviluppare il cancro al polmone. Nella donna aumenta il rischio di sterilità, può dare disturbi al feto durante la gravidanza e può anticipare la menopausa. Il fumo ha anche un effetto sinergico con gli altri fattori di rischio come ipertensione, diabete, abuso di alcool, la dieta, la sedentarietà. Un soggetto di 35 anni che smette di fumare aumenta di 5 anni l'aspettativa di vita, già dopo un anno inizia a ridurre il rischio e si è visto che dopo 20 anni aver smesso si raggiunge un rischio quasi simile a un soggetto che non ha mai fumato (dipende da quanto uno ha fumato in precedenza).

FATTORI DI RISCHIO PARZIALMENTE MODIFICABILI

Sono parzialmente modificabili perchè quando presenti, con la terapia, riusciamo parzialmente a controllarli. Tra queste abbiamo il diabete, l’ipercolesterolemia, l’obesità e l'ipertensione arteriosa.

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Diagnosi di aterosclerosi Il sospetto di aterosclerosi si basa sull’analisi dei fattori di rischio e sull’esame obiettivo (il medico, infatti, potrebbe rilevare segni e sintomi di un problema di origine aterosclerotica quali, per esempio, un battito molto debole o addirittura assente nella zona del corpo che si trova nei pressi dell’arteria ostruita, minore pressione nell’arto interessato, ferite o lividi che non guariscono normalmente nella zona nella quale la circolazione è insufficiente, soffi udibili appoggiando lo stetoscopio sull’arteria), ma per la conferma diagnostica e la valutazione dell’entità del danno si deve necessariamente ricorrere all’ausilio di indagini strumentali. Quelle normalmente più utilizzate nella diagnosi di aterosclerosi sono l’arteriografia, l’ecocolordoppler, l’ecografia, la TAC, la risonanza magnetica, l’elettrocardiogramma, il test indice caviglia-brachiale (un esame con il quale si può la presenza di arteriopatia periferica, una condizione in cui le arterie delle gambe o delle braccia sono ridotte di calibro), la fotopletismografia (un esame che valuta la circolazione periferica), le analisi del sangue (in primis per individuare la presenza di ipercolesterolemia e iperglicemia). Altri test che possono essere richiesti sono il test da sforzo (si valuta la funzionalità cardiaca sotto sforzo) e la cateterizzazione cardiaca e angiografica (serve a stabilire la presenza di una stenosi coronarica).

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Terapia dell’aterosclerosi secondo Mara La prima vera terapia è la prevenzione. Le terapie di tipo farmacologico devono essere complementari a un corretto stile di vita e intraprese solo quando la situazione ha raggiunto livelli non completamente gestibili dal soggetto. Fra i farmaci più importanti ricordiamo le statine, i fibrati, le resine e l’acido acetilsalicilico.

1) Le statine: (fluvustatina, lovostatina, pravastatina, simvastatina ecc,) sono farmaci la cui funzione fondamentale è quella di ridurre il colesterolo LDL e la trigliceridemia e di aumentare i livelli di colesterolo HDL.

2) I fibrati: (benzafibrato, clofibrato, fenofibrato, gemfibrozil, simfibrato ecc.) sono farmaci che rimuovono l’eccesso di trigliceridemia.

3) Le resine: (colestipolum, colestiramina, colesevelam, probucolo ecc.) sono sostanze che, legandosi al colesterolo a livello intestinale, ne riducono l’assorbimento. Vengono assunte insieme ai cibi e non vengono assorbite dall’organismo.

4) L’acido acetilsalicilico (cardioaspirina): viene generalmente adottata come terapia a lungo termine; il suo potere antiaggregante riduce notevolmente i rischi delle trombosi su ateromi. È uno dei farmaci più usati nella prevenzione di infarto miocardico e ictus. Nei casi più gravi, talvolta si è costretti a ricorrere a interventi chirurgici; le tecniche chirurgiche più utilizzate sono l’angioplastica, il bypass e l’endoarteriectomia. L’angioplastica è una tecnica chirurgica che consente l’appiattimento dell’ateroma attraverso l’introduzione di un palloncino all’interno del vaso; viene poi introdotta una rete per mantenere aperto il vaso e impedire il distacco di alcune parti della placca aterosclerotica. Con la tecnica del bypass si scavalca il tratto ostruito del vaso attraverso l’innesto di una vena o di un’arteria precedentemente prelevata dal paziente. L’endoarteriectomia prevede l’apertura del vaso e la successiva rimozione chirurgica della placca aterosclerotica. 27

ANGINA PECTORIS SINDROME CLINICA CARATTERIZZATA DA DOLORE GRAVATIVO DESCRITTO COME SENSAZIONE DI COMPRESSIONE A LIVELLO STERNALE. Può essere stabile, instabile, primaria e secondaria. Quando il fabbisogno di ossigeno da parte del miocardio supera la disponibilità, si manifestano i seguenti sintomi (che possono essere variabili):  Senso di pesantezza a livello epigastrico che può irradiarsi al collo, mandibola, spalle, arti superiori (in particolare il braccio sinistro)  Sensazione di costrizione e dispnea (sensazione di soffocamento)  Sensazione di morte imminente  Debolezza  Sintomi neurovegetativi come sudorazione profusa fredda, nausea.

ANGINA INSTABILE

L’angina instabile è data dalla presenza di una placca che si instabilizza, diventa più significativa, che non crea occlusione acuta ma può creare occlusioni temporanee, favorire vasospasmo nel vaso e quindi creare ischemia non tale da dare necrosi ma ischemia legata alla placca instabile sottostante.

Come si presenta questa patologia? -Dolore toracico, -Lavoro isometrico (che è un lavoro che crea un maggior consumo di ossigeno a livello cardiaco), -Freddo (che crea vasocostrizione e quindi ulteriormente favorisce l’ischemia).

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DOLORE TORACICO

Il sangue non può arrivare per via della stenosi nelle coronarie e si crea ischemia a livello cardiaco. L’ischemia porta al dolore toracico spesso localizzato nel precordio ed è un dolore gravativo, oppressivo, che il paziente spesso rappresenta con la mano aperta sul petto. La localizzazione del dolore toracico è quella descritta in rosso, cioè il precordio e si può irradiare fino al lato ulnare del bracco sinistro. Questo perchè le fibre cardiache che irrorano il cuore sono appunto legate a dei nervi dermatomeri specifici del tronco che in genere si localizzano a livello di T1 e sono le stesse fibre che vanno a irrorare il lato ulnare del braccio sinistro, fino al mignolo.

Distinguiamo due tipi di dolore:  Tipico: Cioè nelle sedi tipiche (precordio, lato ulnare sinistro);  Atipico: Lo possiamo trovare frequentemente a livello dell’epigastrio (il dolore all’epigastrio può essere presente anche nel caso di altre patologie; è importante escluderle ai fini diagnostici). Un'altra localizzazione che possiamo avere è un dolore irradiato al giugulo e alla mascella fino ai denti. Il dolore toracico tipico è riferito all’uomo, nella donna più spesso abbiamo dolore atipico. La donna più spesso ha angina vasospastica, spasmo delle coronarie, ha più spesso un interessamento dei piccoli vasi, microcircolo delle coronarie, rispetto all’uomo.

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SINDROME X: La sindrome X è fondamentalmente l’angina microvascolare. È stata chiama X perchè all’inizio non se ne conosceva l’origine, poi si è visto che è legata al microcircolo. I pazienti con sindrome X fanno un’angiografia e hanno i grossi vasi funzionali ma i piccoli vasi hanno perso la capacità di vasodilatarsi e vasocostringersi come dovrebbero, per questo possono creare ischemia. Quando abbiamo una malattia dei piccoli vasi sicuramente non possiamo agire rivascolarizzando il paziente, però sicuramente il dolore toracico di questo paziente è sempre legato all’ischemia. La prognosi è migliore. La donna ha più frequentemente la sindrome X rispetto all’ uomo. Ad influenzare il tipo di angina sono le caratteristiche anatomiche; nella donna il torace è più piccolo, coronariche più tortuose e pareti più sottili, diametro inferiore. Anche il tipo di lesione che in genere è presente nella cardiopatia della donna è caratterizzata da erosione superficiale della placca e i vasi sono più delicati. In generale si è visto che il dolore della donna spesso viene sottovalutato nei pronto soccorso per la sua atipicità e quindi in % si tende a rivascolarizzare meno le donne rispetto agli uomini e a trattare meno le donne. Questo perchè la rappresentazione clinica è più sfumata, è più difficile fare diagnosi e la presentazione è più tardiva rispetto all’uomo. Le donne sono più anziane quindi spesso hanno una serie di patologie confondenti. Inoltre, hanno anche più angina durante il sonno, da stress mentale e hanno spesso più cormobilità. Quindi le donne magari sono più ipertese, diabetiche, dislipidemiche ecc. Dividiamo i quadri clinici della cardiopatia ischemica in forme stabili e in forme instabili. Le forme stabili sono stabili perchè la placca sottostante è una placca stabile. Abbiamo una stenosi significativa però la placca è stabile con un cappuccio fibroso stabile e quindi nelle forme stabili le sindromi cliniche saranno rappresentate da angina da sforzo, a volte a riposo o mista legata al vasospasmo. Le sindromi instabili invece sono legate all’instabilità della placca sottostante, quindi angina instabilis, quindi, nelle forme instabili le manifestazioni cliniche saranno rappresentate da infarto acuto del miocardio e angina variante di Prinzmetal. L’angina vasospastica invece è caratterizza da un sopraslivellamento del tratto ST e spasmo intenso della coronaria che porta all’occlusione completa; si tratta con farmaci vasodilatatori. L’angina se prolungata può portare a necrosi delle cellule a valle. 30

FORME STABILI - Angina da sforzo, da riposo e mista ANGINA DA SFORZO: Questa, detta anche stabile o cronica, è legata a una placca sottostante stabile, a un’ischemia miocardica che si crea acuta ma transitoria che non porta a necrosi e in genere è associata a uno sforzo fisico o un’emozione. È una sindrome cronica costante (perchè la lesione è stabile) che si manifesta più frequentemente come angina da sforzo, da freddo o da stress. Tipicamente il dolore tipico durante sforzo, non dura più di 5min e deve essere inferiore a 20min. 20 minuti è un tempo critico perchè ci permette di distinguere un evento anginoso da un evento ischemico che da necrosi. Se dura più di 20min in genere porta necrosi delle cellule quindi non parliamo più di angina ma di infarto del miocardio. Sarà quindi sempre sotto i 20.

Regredisce col riposo, è sensibile a nitroderivati che sono pastigliette che si mettono sotto la lingua che rilasciano ossido nitrico che è un vasodilatatore che fa si che l’angina passi, perché migliora la perfusione del muscolo cardiaco. Tra le caratteristiche abbiamo dei fattori precipitanti che possono essere lo sforzo fisico, un lavoro che comporta l’utilizzo del braccio al di sopra del livello della spalla che è un lavoro molto intenso per il cuore. Ma anche camminare controvento, dopo un pasto abbondante, in ambiente freddo, ma anche crisi ipertensiva, l’improvviso aumento della P.A. in un determinato paziente fa si che il cuore debba lavorare di più, perchè deve spingere il sangue a delle pressioni più alte e quindi può scatenare un’angina; anche un evento emotivo come ansia, rabbia, tensione emotiva, paura. Tutti questi fattori possono far lavorare di più il cuore e creare angina come anche per esempio i rapporti sessuali. Alle volte abbiamo sintomi associati come dispnea, vertigini, palpitazioni, debolezza, astenia. Esistono classificazioni anche per l’angina pectoris:  Classe 1 – Stabile: la normale attività non induce angina.  Classe 2: modesta limitazione dell’attività ordinaria. L’angina insorge camminando in fretta dopo pasti, al freddo e al vento.  Classe 3: forte limitazione dell’attività fisica. Basta un piano di scale per dare angina pectoris.  Classe 4: il paziente non riesce a fare niente, neanche a vestirsi e l’angina può insorgere anche a riposo. 31

ANGINA A RIPOSO: L’angina a riposo è un’angina in cui il dolore compare spontaneamente e regredisce spontaneamente. Può essere sensibile a nitroderivati ed è in genere dovuta a spasmo su una lesione presente. Abbiamo una placca ateromasica e il vaso tende a collassare sulla placca, spasmizzare e dare angina.

ANGINA MISTA: una forma caratterizzata da episodi anginosi sia a riposo che sottosforzo.

FORME INSTABILI – Angina instabile Le sindromi coronariche ACUTE o sindromi instabili sono legate a una instabilità di placca. Si parla di angina instabile, infarto acuto del miocardio e variante di Prinmetal.

ANGINA INSTABILE: L’angina instabile ha caratteristiche leggermente diverse dalla stabile e il dolore può persistere fino a 30 min, mai di più altrimenti può portare a necrosi. Alle volte può svegliare il paziente nel sonno se avviene durante la notte e i nitroderivati non danno quasi mai completa risoluzione al dolore, ma danno sollievo temporaneo incompleto. In questo caso una placca si e instabilizzata perchè il paziente è passato da una condizione in cui non aveva sintomi a una in cui ha angina e questo può voler dire che il paziente aveva una placca del 40% che non dava nessun disturbo, poi si è rotto un microvaso nella placca e questa emorragia a volte può causare l’aumento delle dimensioni. Si passa da un’ostruzione del 40% a una del 70% e quindi compare angina. O ancora, può esserci un‘angina ingravescente dove gli episodi saranno più intensi e frequenti, causati da sforzi meno intensi, bastano 20minuti per far comparire angina e anche qui è legato al fatto che una placca si è instabilizzata. All’interno dell’angina instabile c’è anche l’angina post infartuale, cioè un’angina pectoris che compare dopo l’infarto acuto del miocardio, perchè abbiamo una placca che si rompe e il vaso si occlude, quindi in quel distretto c’è stata una morte cellulare, ma non tutto il territorio è morto perchè il vaso si è riperfuso e una parte di cellule si sono salvate, quindi in quel territorio continua a esserci ischemia. 32

Come riconosciamo l’angina pectoris nell’ECG? Un Ecg effettuato durante un attacco anginoso mostrerà un sottoslivellamento del segmento ST o inversione dell’onda T. Con il placarsi della sintomatologia i segmenti tornano normali.

ANGINA DI PRINZMETAL Rappresenta il caso di angina instabile, piuttosto raro, associato al sopraslivellamento del segmento ST. Mentre la tipica angina è solitamente causata da sforzo ed è il risultato della malattia cardiovascolare aterosclerotica progressiva, l’angina di Prinzmetal invece può verificarsi in qualsiasi momento e, in molti pazienti, è causata da spasmo coronarico.

Presumibilmente, l’elevazione del segmento ST riflette una lesione transmurale reversibile (transmurale: interessa totalmente la parete vascolare). Il profilo dei segmenti ST spesso non ha l’aspetto arrotondato, a cupola, dell’infarto vero e proprio, ed i segmenti ST tornano rapidamente a livello basale quando il paziente avrà assunto un farmaco antianginoso (nitroglicerina).

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Nella prima immagine abbiamo angina con sottoslivellamento del segmento ST. Nella seconda immagine vediamo angina con sottoslivellamento del segmento ST e inversione dell’onda T che si fondono senza soluzione di continuità.

ANGINA PRIMARIA: È dovuta a una primaria riduzione del flusso sanguigno alle coronarie. Si verifica tipicamente a riposo ed è dovuta a un'ostruzione temporanea di un vaso coronarico, causata da spasmo coronarico, da trombosi coronarica transitoria o da entrambi.

ANGINA SECONDARIA: Insorge secondariamente a un aumento della richiesta di ossigeno da parte del miocardio (classicamente in relazione a uno sforzo), che eccede le possibilità di rifornimento da parte del flusso coronarico.

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RIASSUNTO RIASSUNTO La delle La causa causa principale principaledell'angina dell'anginapectoris pectorisèèlalamalattia malattiaaterosclerotica ateroscleroticaa carico a carico delle arterie sintomo che arterie coronarie. coronarie. In In senso sensostretto strettol'angina l'anginanon nonèèuna unamalattia malattiama maunun sintomo che insorge cuore soffre soffre per per una una temporanea temporanea mancanza mancanza didisangue. sangue.Le insorge ogni ogni qualvolta qualvolta ilil cuore Le cause questaischemia, ischemia,nella nellagrande grandemaggioranza maggioranzadei dei casi, casi, sono sono riconducibili cause di di questa riconducibili a apatologie patologiecoronariche. coronariche. Questi Questi vasi vasi che, che, inin condizioni condizioninormali normaliassicurano assicuranoil ilgiusto giustoapporto apportodidisangue sangueal al cuore, cuore, possono possono diventare diventare inefficaci inefficaci nel nelsoddisfare soddisfarea apieno pienotali talirichieste richiesteper perdue due ragioni ragioni principali: principali:  Per Per una una riduzione riduzione dell'apporto dell'apporto di di sangue sangue al al cuore cuore (ANGINA (ANGINA PRIMARIA) PRIMARIA)  Per aumento delle delle richieste richieste metaboliche metabolichedel delcuore cuore(ANGINA (ANGINASECONDARIA) SECONDAPer un un aumento RIA)

COMPONENTI PRIMARIE: le cause di insorgenza dell'angina pectoris sono COMPONENTI PRIMARIE: le cause di insorgenza dell'angina pectoris sono riconducibili soprattutto a: riconducibili  Stenosisoprattutto transitoriaa:dovuta alla presenza di placche aterosclerotiche. L'atero Stenosi dovuta alla presenza di placche L'aterosclerosi transitoria (letteralmente "indurimento delle arterie) aterosclerotiche. è una malattia degeneratisclerosi (letteralmente "indurimento arterie) è euna malattia degenerava che colpisce le pareti delle arteriedelle ispessendole diminuendone l'elasticitiva che malattia colpisce colpisce le pareti soprattutto delle arterieleispessendole e diminuendone tà. Tale arterie muscolari di grande e l'elamedio sticità. colpisce soprattutto le arterie muscolari grande ealla calibro Tale comemalattia le coronarie. Il conseguente indurimento dei vasidiassociato medio calibro le coronarie. Il conseguente indurimento vasicomune assoformazione di come ateromi o placche aterosclerotiche rappresentadei la più ciato formazione di cardiopatie ateromi o placche aterosclerotiche rappresenta la causaalla di comparsa delle ischemiche. comune causa ditransitorio comparsa che delleriduce cardiopatie  più Spasmo coronarico il lumeischemiche. vasale in arterie sane (spasmo  Spasmo coronarico transitorio che riduce il lume vasale in arterie sane (spain assenza di stenosi), per alterazioni dei normali meccanismi di vasocostriziosmo assenza di stenosi), per alterazioni dei normali meccanismi di vasocone e in vasodilatazione strizione e vasodilatazione All'origine dell'angina vi possono inoltre essere patologie differenti come: Grave All'origine dell'angina viCrisi possono inoltre essere patologie come: Grave anemia, Tachicardia, ipertensiva, Patologie del differenti cuore (miocardiopatia anemia, Tachicardia, Crisi valvole ipertensiva, Patologie cuore (miocardiopatia ipertrofica), Patologie delle cardiache (stenosi del mitralica). ipertrofica), Patologie delle valvole cardiache (stenosi mitralica).

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COMPONENTI SECONDARIE: L'attacco anginoso può insorgere anche a riposo ma COMPONENTI SECONDARIE: L'attacco anginoso può insorgere anche a riposo

in genere si manifesta nelle situazioni in cui le richieste di ossigeno da da parte del ma in genere si manifesta nelle situazioni in cui le richieste di ossigeno parte miocardio aumentano: sforzi seconda della dellagravità gravità del miocardio aumentano: sforzifisici fisici(più (piùoo meno meno intensi intensi aa seconda dellapatologia), patologia),stress stresseeiningenerale, generale,colpo colpodidifreddo, freddo,spavento, spavento,collera, collera,intense intense della emozioni,rapporto rapportosessuale, sessuale,pasti pastipesanti, pesanti,combinazioni combinazionididiquesti questifattori. fattori. emozioni, Spesso l'angina l'angina pectoris pectoris èè dovuta dovuta alla alla contemporanea contemporaneapresenza presenzasia siadidicause cause Spesso primarie che che secondarie secondarie aggravate aggravate da da fattori fattoriscatenanti scatenanticome comegliglisforzi sforzifisici fisici primarie intensi. Alcuni Alcuni pazienti, pazienti, come dolore giàgià a riposo (si parla intensi. come abbiamo abbiamovisto, visto,accusano accusano dolore a riposo (si in questo caso di angina spontanea, classe di rischio alta) mentre altri soffrono parla in questo caso di angina spontanea, classe di rischio alta) mentre altridi angina soltanto situazioni come l'intensa fisica (angina soffrono di anginainsoltanto in prevedibili situazioni prevedibili comeattività l'intensa attività fisicada sforzo classe di rischio Trabassa). questiTra duequesti estremi colloca sil'angina una (angina da sforzo classe bassa). di rischio duesiestremi collocamista l'angina formauna caratterizzata da episodidaanginosi a riposo sottosforzo (classe di mista forma caratterizzata episodi sia anginosi sia che a riposo che sottosforzo rischiodimedia). (classe rischio media).

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ESAMI STRUMENTALI Gli esami che noi utilizziamo per fare la diagnosi sono diversi:  L’elettrocardiogramma. È il primo esame che si effettua, in quanto può essere eseguito facilmente e a basso costo. Non è invasivo, può essere fatto direttamente in ambulanza o addirittura a casa del paziente.  Ecografia: Con gli ultrasuoni possiamo vedere le camere cardiache, vediamo la contrattilità del cuore, vediamo i flussi. Se sospettiamo un infarto vediamo che tutte le pareti di contraggono in maniera perfetta iniziamo a capire qual è la diagnosi. Ci permette anche di quantificare il danno. Dopo l’infarto possiamo anche valutare la riperfusione (sta sempre parlando dell’ecografia), vedere cioè se quelle zone recuperano o meno. Possiamo, inoltre, fare la diagnosi delle complicanze meccaniche (la rottura di cuore, la presenza di cicatrice, l’assottigliamento della parete). Ancora, ci aiuta a statificare il rischio e identificare la funzionalità globale residua, perciò sapremo qual è il rischio che si vada incontro ad uno scompenso cardiaco.  L’ecocardiogramma: Ci consente di studiare le camere cardiache, vedere la contrattilità del muscolo, identificare le zone del muscolo che non si contraggono. Ad ogni zona corrisponde un vaso che la perfonde, quindi possiamo già dare un’informazione importante all’emodinamista.  L’ecocardiografia: Tramite gli ultrasuoni andiamo a vedere il cuore e questo ci aiuta molto perché l’ischemia può portare a delle alterazioni della cinetica regionale, cioè il cuore quand’è ischemico avrà delle zone che non si contraggono più in maniera adeguata.  Ci sono altri esami come la medicina nucleare, la scintigrafia o la angiografia (ci permette di vedere direttamente le coronarie).

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TEST PROVOCATORI

Per effettuare la diagnosi di angina pectoris sono importanti i test provocativi, che si utilizzano quando non riusciamo a capire da subito la possibile diagnosi. Sono dei test da sforzo in cui si deve simulare lo sforzo per cercare di vedere se, aumentando il consumo di ossigeno del cuore, compare nuovamente il dolore. Tutto questo con l’ipotesi che, in caso di stenosi coronarica, se noi facciamo lavorare di più il cuore, aumenterà il consumo di ossigeno e quindi slatentizzeremo il dolore, cioè si passerà da uno stato silente ad uno sintomatico. Ovviamente non saremo in grado di identificare tutti quei pazienti che non hanno una stenosi significativa e che hanno avuto uno spasmo su quest’ultima. I test provocativi sono fondamentalmente dei test da sforzo con il treadmill (tappeto rotante) o un cicloergometro (bicicletta): il paziente è sulla cyclette o sul tapis roulant. Queste prove vengono fatte anche nei reparti di osservazione breve, presenti ormai in quasi tutti gli ospedali, in cui il paziente viene tenuto sotto osservazione un tot di ore, viene fatto poi il test provocativo e, se risulta tutto negativo, il paziente può tornare a casa. Il test da sforzo classico che viene effettuato è l’elettrocardiogramma, in quanto è più sensibile del dolore toracico riferito dal paziente, proprio perché c’è una quota di pazienti che non ha dolore o comunque presenta un dolore moderato in caso di ischemia. Per aumentare la sensibilità del test è possibile associare anche altri esami di imaging, quindi la medicina nucleare o l’ecografia. Si può fare, ad esempio, un’ecografia sotto sforzo con cui aumentiamo la sensibilità del test: nella cascata ischemica prima si riduce la perfusione del cuore, poi la porzione ischemica del muscolo si ferma; solo dopo compaiono le alterazioni elettrocardiografiche e infine insorgerà il dolore toracico. Se noi andiamo a valutare anche l’imaging miglioriamo la sensibilità del test e la nostra capacità diagnostica, riducendo i falsi negativi. C’è una quota di pazienti che ha un elettrocardiogramma non diagnostico, come i pazienti che hanno un blocco di branca (destro o sinistro), che maschera l’ischemia. In questo caso, solo grazie ad un test di imaging siamo in grado di vedere questo fenomeno. Vi sono dei pazienti che non sono in grado di pedalare o di correre (immaginatevi se possiamo mettere la nonnina di 85 anni col bastone sul tapis roulant o persone con problemi motori). In questi casi bisogna utilizzare altri test: facciamo fare al cuore uno sforzo somministrando dei farmaci. 39

Altri esami che abbiamo a disposizione comprendono il monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma. Questo lo possiamo fare ricoverando il paziente. Ci sono dei periodi di ischemia e di modificazione dell’elettrocardiogramma silenti anche in pazienti che hanno dolore toracico, perciò mantenere il paziente ricoverato per 24 ore ci permette di monitorizzarlo e di identificare un’ischemia silente. Oppure si può posizionare un registratore, chiamato ECG dinamico secondo Holter, che registra l’elettrocardiogramma per 24 ore e ci farà vedere anche le modificazioni del ST.

ALTRE COMPLICANZE: Anche i muscoli papillari possono andare in contro a necrosi. Se il muscolo papillare si rompe si crea un’insufficienza mitralica massiva e il paziente, se non viene operato immediatamente, muore, perché vi è un improvviso aumento delle pressioni nell’atrio sinistro, che si ripercuotono sul polmone e il paziente va in edema polmonare acuto. Il sangue dal ventricolo sinistro, piuttosto che andare avanti verso il circolo sistemico, che è un circolo ad alta pressione, tenderà a tornare indietro verso il polmone e quindi a creare una congestione polmonare. Nella cascata ischemica prima si altera la perfusione, e quindi, i test che possiamo utilizzare per identificare i difetti di perfusione sono la scintigrafia e la risonanza magnetica, mentre con l’ecostress siamo in grado identificare le alterazioni cinetiche che avvengono prima della cascata ischemica. L’ecostress possiamo farlo con dei farmaci, che sono degli inotropi (dopamina e dobutamina) o dei vasodilatatori (adenosina). I farmaci inotropi aumentano il consumo di ossigeno, quindi aumenta la FC. I vasodilatatori, invece, creano un furto coronarico e, anche questi, sono in grado di generare ischemia. Abbiamo poi le metodiche di imaging nucleare, che comprendono la scintigrafia miocardica. Si usa meno in questi ultimi anni perché diamo molte radiazioni al paziente. In particolare, vengono utilizzati dei radiotraccianti che ci permettono di vedere la perfusione del cuore. Quando vi è un’ischemia vi sono delle zone che non vengono perfuse. Esistono diversi tipi di radiotraccianti che ci permettono di studiare la perfusione, la vitalità del muscolo e il suo metabolismo. La risonanza magnetica è un esame fondamentale perché abbiamo una risoluzione spaziale migliore rispetto all’ecografia e grazie ad essa siamo in grado di vedere la necrosi, soprattutto quella subendocardica. Con l’ecografia vediamo se la parete è ferma e se è assottigliata o meno, mentre con la RM siamo in grado di vedere le zone di necrosi e o di fibrosi, ottenendo così un’informazione aggiuntiva. 40

Uno dei test che facciamo fare a questa tipologia di pazienti è lo studio della riserva coronarica. Con l’ecografia possiamo vedere solo i grossi vasi, perciò solo una parte delle coronarie. Utilizzando i mezzi di contrasto possiamo andare a vedere le porzioni più distali, per esempio della coronaria ascendente anteriore. I vasi coronarici sono in grado, quando il cuore ha bisogno di più sangue, di vasodilatare il microcircolo e di aumentare il flusso fino a quattro volte tanto rispetto alle condizioni basali. Difatti, quando il cuore lavora molto ha necessità di grandi quantità di sangue. Nel momento in cui si forma una stenosi nei vasi epicardici, più questa diventa importante, più il circolo periferico si vasodilaterà. Quando la stenosi diventa critica, allora il circolo periferico, anche in condizioni di base, sarà completamente vasodilatato; quindi quando poi il paziente effettua uno sforzo la capacità di vasodilatazione è già esaurita e compare l’angina. Quello che possiamo valutare è questa capacità di vasodilatazione residua, cioè andiamo a vedere il flusso di base, poi facciamo l’adenosina (un potente vasodilatatore) e vediamo di quanto aumenta; se aumenta di almeno due volte significa che verosimilmente non abbiamo una stenosi critica a monte, se, invece, non aumenta a monte è presente una stenosi critica. Questo, piuttosto che nelle prime diagnosi, è importante nel follow up delle angioplastiche, in quanto, anche se viene inserito uno stent, in una quota importante del paziente tenderà a richiudersi e i sintomi arrivano solo tardivamente, cioè quando è quasi chiuso. Se vengono fatti periodicamente questi test, ci si rende conto quando si sta chiudendo e si può effettuare così nuovamente l’angioplastica. È importante poter visualizzare l’albero coronarico e questo viene effettuato attraverso il cateterismo cardiaco angiografia. Si arriva fino al cuore con un catetere, si inietta un mezzo di contrasto e si va a vedere le coronarie. Ci consente anche di fare le procedure terapeutiche e angioplastiche. È comunque un esame invasivo, con una mortalità intorno allo 0.1% e una morbilità intorno all’1% per le complicanze, soprattutto locali, cioè dove andiamo a pungere le arterie. Il 40% de pazienti a cui facciamo un’angiografia non ha una malattia coronarica. Adesso la TC ci permette di ricostruire tridimensionalmente il cuore e, grazie a particolari software, anche delle coronarie. La parte interessante è riuscire ad identificare in maniera adeguata le placche: con le nuove TC a 16 strati, la qualità delle immagini è superiore. Una delle TC più recente è quella a 64 strati, che ci dà un’immagine con una qualità notevolmente superiore rispetto alle precedenti e permette la sua acquisizione in un tempo molto più rapido, con degli spessori di strati molto inferiori. La TC ci permette di studiare bene anche i bypass 41

aortocoronarici, gli stent e di fare una diagnosi differenziale tra una forma ischemica di cardiopatia dilatativa e una forma idiopatica. Ancora non siamo arrivati a sostituire l’angiografia e non verrà mai sostituita perché tramite quest’ultima effettuiamo le procedure interventistiche. Sicuramente la TC ci permette in tutti quei pazienti intermedi, quindi non ad alto rischio, di evitare di fare una corionariografia. Anche perché se la TC è negativa siamo sicuri che quel paziente per 7-8 anni non avrà problemi di tipo ischemico o comunque cardiologico. Immaginate che le nuove TC, ossia quelle a più alta risoluzione, sono in grado di acquisire tutto il volume cardiaco in un solo battito cardiaco (2 secondi circa), dando pochissimi raggi (pari a 7-8 radiografie del torace). L’evoluzione di queste metodiche in futuro ci permetterà di fare meno raggi ai pazienti e di fare meglio la diagnosi. IMPORTANTE: sia nell’angina che nell’IMA non esiste una posizione antalgica che possa alleviare il dolore. I farmaci che utilizziamo sono:  i nitrati, dei potenti vasodilatatori che agiscono sul circolo coronarico e migliorano la perfusione;  i betabloccanti, che agiscono cercando di ridurre la contrattilità cardiaca, la frequenza cardiaca e di conseguenza il consumo di ossigeno.  i calcioantagonisti, che danno una vasodilatazione e riducono la frequenza cardiaca.

DOMANDA: Se somministriamo la nitroglicerina sublinguale ad un paziente che in quel momento non ha un’angina, rischiamo di creare un danno? La nitroglicerina ha 2 effetti. Innanzitutto, è un potente vasodilatatore che fa scendere molto la pressione arteriosa. Quindi, sia che il paziente sia ischemico, sia che non lo sia bisogna sempre mettere il paziente in posizione di clinostatismo perché se lo lasciamo in piedi può svenire. Tutto è condizionato dalla pressione: se il paziente ha una pressione buona, anche se non è ischemico, non gli fa niente, comporta solo una riduzione della pressione; se di base ha 100 o 90 di pressione ovviamente è pericoloso, perché la pressione scende eccessivamente, ma questo vale nel paziente ischemico o meno. È un farmaco abbastanza sicuro, ma bisogna comunque avere degli accorgimenti: va misurata la pressione prima della somministrazione e bisogna far coricare sempre il paziente. 42

Diagnosi e trattamento secondo Mara

DIAGNOSI: La diagnosi è basata sulle manifestazioni cliniche del dolore e sull’anamnesi. -ECG: In questi casi si è necessario eseguire un ECG dove andremo a monitorare l’attività elettrica del cuore. L’ECG è il trattamento d’elezione, in quanto fornisce informazioni prezione solitamente durante l’attacco anginoso. Viene tuttavia utilizzato a riposo per escludere altre patologie congenite che possono essere causa di attacchi anginosi (cardiomiopatie ipertrofiche, aritmie ecc.). Per raccogliere informazioni aggiuntive a volte si ricorre all'elettrocardiogramma di Hotler, registrando il tracciato elettrocardiografico per un periodo prolungato (solitamente 24 ore). Altri esami che possiamo fare sono: -TEST DA SFORZO: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma mentre il paziente compie un esercizio fisico, generalmente camminando su un tapis roulant o pedalando su una cyclette. Il test viene condotto secondo protocolli predefiniti, volti a valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico. Viene interrotto alla comparsa di sintomi, alterazioni ECG o pressione elevata o una volta raggiunta l’attività massimale per quel paziente in assenza di segni e sintomi indicativi di ischemia. -ECOCARDIOGRAMMA: è un test di immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio dispensa un fascio di ultrasuoni al torace, attraverso una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Le immagini in tempo reale possono essere raccolte anche durante l’esecuzione di un test da sforzo, fornendo in quel caso informazioni preziose sulla capacità del cuore di contrarsi correttamente in corso di attività fisica. Analogamente alla scintigrafia anche l’ecocardiogramma può essere registrato dopo aver somministrato al paziente un farmaco che può scatenare un’eventuale ischemia (ECO-stress), permettendone la diagnosi e la valutazione di estensione e sede.

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-SCINTIGRAFIA: può essere eseguita sia a riposo che sottosforzo tramite l'introduzione di uno speciale mezzo di contrasto radioattivo (innocuo per l'organismo) in grado di fissarsi molto bene alle cellule del cuore. In questo modo è possibile valutare la distribuzione del tracciante e lo stato di salute delle coronarie (omogenea= cuore sano, disomogenea=difetto di perfusione reversibile o irreversibile). -ECOGRAFIA: esame di routine, indolore che consente, tramite speciali onde acustiche, di esaminare lo stato di salute del cuore -TC: TC cuore o tomografia computerizzata (TC) è un esame diagnostico per immagini per valutare la presenza di calcificazioni dovute a placche aterosclerotiche nei vasi coronarici, indicatore indiretto di un rischio elevato di patologia coronarica maggiore. Con gli apparecchi attuali, somministrando anche mezzo di contrasto per via endovenosa, è possibile ricostruire il lume coronarico e ottenere informazioni su eventuali restringimenti critici. -CORONAROGRAFIA o angiocardiografia: Solitamente effettuato nei casi più gravi è in grado di fornire informazioni utili anche in vista di un eventuale intervento chirurgico. È l’esame che consente di visualizzare le coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale sono rispettate tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati.

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TRATTAMENTO secondo Mara L'obiettivo del trattamento per l'angina (soprattutto nella sua forma stabile) è la prevenzione dell'infarto al miocardio e della morte: per questo motivo, è indispensabile ridurre al massimo l'insorgenza di alterazioni ventricolari e di trombosi. Va misurata la pressione prima della somministrazione e bisogna far coricare sempre il paziente. 1) NITRODERIVATI: I nitroderivati, rappresentati dai nitrati organici, costituiscono il cardine della terapia antianginosa. Trovano indicazione in tutte le forme di angina pectoris, sia da soli sia in associazione ai betabloccanti e/o ai calcioantagonisti. Il più utilizzato è la NITROGLICERINA. I Nitroderivati ridistribuiscono il flusso coronarico a livello miocardico delle regioni epicardiache e quelle endocardiache, intervenendo in parte anche sulla vasocostrizione arteriosa indotta dallo sforzo. Sono, quindi, efficaci vasodilatatori nell’angina e posseggono inoltre effetti emodinamici periferici, con riduzione del precarico e del postcarico (dilatando permettono quindi un aumento del flusso sanguigno). Questi effetti si riflettono a livello cardiaco nella riduzione del riempimento ventricolare, della tensione e del volume endoventricolare e quindi nella diminuzione del carico di lavoro del cuore e del consumo miocardico di O2. Il problema principale dei nitrati è dato dalla rapida comparsa di tolleranza. Per manterene l’efficiacia nel tempo è necessario sospenderla ad intervalli in modo da determinare la caduta dei livelli plasmatici e il ripristino della risposta. Quando occorre raggiungere rapidamente i livelli ematici elevati, la via da preferire è quella sublinguale; se occorre prolungare la durata d’azione, si utilizza la via orale che consente di raggiungere livelli ematici più sostenuti nel tempo, oppure la via percutanea, mediante cerotti trans dermici a rilascio controllato. I Nitrati possono essere associati ad altri farmaci, quali i betabloccanti (entrambi fanno diminuire il fabbisogno di O2). 2) BETABLOCCANTI: Eliminano l’effetto tachicardizzante dei nitrati e tendono a dilatare il cuore, il cui diametro viene ridotto dai nitrati; la funzione di questi farmaci viene esercitata a livello dei recettori beta del complesso sistema adrenergico. Inoltre, riducono il lavoro del cuore per diminuzione della gittata, riducono il fabbisogno di O2, inibiscono il trasporto di Ca2+, riducono la tensione della parete ventricolare. 45

Si somministrano per via orale e/o endovenosa, da soli o associati ai nitroderivati. Riducono quindi il rischio di ischemia e prevengono le aritmie. 3) CALCIOANTAGONISTI: Per alcuni pazienti, i betabloccanti possono risultare inadatti, soprattutto in caso di perdita della funzionalità ventricolare sinistra: in questo caso, si consiglia di assumere calcio-antagonisti, quali diltiazem o verapamil, eventualmente associati ad un nitrato. Questi agiscono nella cardioprotezione accentuando la protezione verso la formazione dell’ateroma, hanno un effetto antianginoso diretto, effetto dilatatore coronarico (risolvono lo spasmo coronarico), effetto emodinamico (dilatano sia le arterie che le vene). Riduce in particolare la forza di contrazione ventricolare. Nel trattamento della cardiopatia ischemica invece solo la nifedipina può essere associata ai betabloccanti, poiché essa, a differenza del verapamil e del diltiazem, non modifica l’attività dei nodi seno-atriale e atrio-ventricolare, quindi non incrementa l’effetto dei betabloccanti su tali strutture. 4) ACE-INIBITORI: Sono indicati nella condizione ischemica e nella prevenzione del danno postinfartuale. A livello coronarico gli ace-inibitori (lisinoprinil, ramipril) determinano l’aumento del flusso ematico soltanto nei soggetti in cui questo è ridotto dalla vasocostrizione secondaria all’attivazione del sistema simpatico. Riducono inoltre il consumo di O2 nel miocardio dei soggetti anginosi, riducendo il sottolivellamento del segmento ST durante lo sforzo, diminuendo l’incidenza di angina e aumentando la durata del tempo di sforzo necessario per la comparsa di angina (dovuto a riduzione della pressione arteriosa); in pratica evitano la tolleranza ai nitroderivati. 5) ANTICOAGULANTI: L’eparina (calcica e sodica), somministrata a dosi anticoagulanti, è in grado di ridurre dell’80% l’incidenza del reinfarto del miocardio nel periodo intraospedaliero. 6) ANTIAGGREGANTI PIASTRINICI: Riducono la possibilità di infarto. Diminuendo l’aggregazione piastrinica, questi farmaci inibiscono la formazione di trombi nel distretto arterioso, dove gli anticoagulanti sono inefficaci. In particolare, si somministra l’acido acetilsalicilico (ASPIRINA).

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7) STATINE: Le statine sono farmaci che inibiscono la sintesi del colesterolo endogeno, quindi sono indicate per minimizzare l'eventualità di malattie cardiovascolari nei pazienti a rischio (limitano quindi l’accumulo del colesterolo sulle pareti delle arterie, rallentando lo sviluppo o la progressione dell’aterosclerosi); per la prevenzione a lungo termine dell'angina, si consiglia una cura con il nicorandil, attivatore dei canali del calcio con una componente nitrato. Qualora neppure i farmaci fossero sufficienti per allontanare il dolore al petto e per evitare le complicanze dell'angina pectoris, l’opzione interventistica include un intervento chirurgico diretto (by-pass aortocoronarico) o indiretto (angioplastica).

-L’angioplastica coronarica percutanea, un intervento che prevede l'inserimento nel lume della coronaria, in corso di angiografia, di un piccolo pallone solitamente associato a una struttura metallica a maglie (stent), che viene gonfiato ed espanso in corrispondenza del restringimento dell'arteria. Questa procedura migliora il flusso di sangue a valle, riducendo o eliminando l’angina. -Bypass coronarico, un intervento chirurgico che prevede il confezionamento di condotti vascolari (di origine venosa o arteriosa) in grado di “bypassare” il punto di restringimento delle coronarie, facendo pertanto comunicare direttamente la porzione a monte con quella a valle della stenosi. L’intervento viene effettuato a torace aperto, con il paziente in anestesia generale e quasi sempre con il supporto della circolazione extra-corporea.

ENZIMI CARDIACI: Le cellule miocardiche morenti disperdono il loro contenuto interno nel flusso sanguigno.  Troponina (proteina del miocardio che regola la contrazione cardiaca); il test ad alta sensibilità (hscTn) costituisce il test di riferimento per determinare o meno la presenza o meno di un infarto miocardico.  CK-MB (isoenzima specifico i cui livelli aumentano in seguito al danno cardiaco)

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ATTENZIONE: I livelli di troponina aumentano ben prima di quelli dell’isoenzima CK-MB (entro 2-3 h, e possono rimanere elevati per diversi giorni). I livelli di CK di solito non aumentano fino a 6 ore dopo un infarto e tornano alla normalità entro 48h. Ricorda inoltre che le troponine possono aumentare in altre condizioni, quali embolia polmonare, sepsi, insufficienza respiratoria e renale.  Mioglobina  Colesterolo (se associato ad altre patologie)  Esame urine per funzionalità renale

Fattori di rischio STILE DI VITA: Sedentarietà, dieta (eccesso di calorie, di grassi saturi, di zuccheri semplici e di colesterolo; dieta carente in fibre, vitamine, pesce e acidi grassi polinsaturi in genere), abuso di fumo, alcol, droghe, stress

GENETICA: Famigliarità della patologia, presenza di malattie cardiache e non congenite

SINDROME METABOLICA: Ipertensione arteriosa (>140/90 mmHg), Obesità (soprattutto viscerale, BMI >35, circonferenza vita > 102 nei maschi, > 0,88 nelle femmine), Diabete mellito (insulinoresistenza), Ipercolesterolemia (colesterolo totale > 200 mg/dl, colesterolo buono HDL < 40mg/dl negli uomoni o < 50mg/dl donne).

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INFARTO ACUTO DEL MIOCARDIO La locuzione infarto miocardico acuto (IMA) o attacco cardiaco indica la necrosi dei miociti provocata da ischemia prolungata, a seguito di un‘inadeguata perfusione del miocardio per squilibrio fra richiesta e offerta di ossigeno, spesso secondaria all'occlusione di una coronaria causata da un trombo.

COME DIAGNOSTICARE L‘IMA Sono essenzialmente 3 le componenti della diagnosi dell’infarto miocardico: -ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO: caratteristiche tipiche quali, per esempio, dolore toracico retrosternale, opprimente e prolungato che si irradia alla mandibola, nausea, vomito, sudorazione fredda. Tuttavia, molti pazienti, specialmente quelli con diabete mellito e le persone anziane, possono non manifestare questi sintomi. Si stima che fino ad un terzo degli infarti miocardici siano “silenti“, cioè non associati a nessuna manifestazione clinica del tutto evidente. -ENZIMI CARDIACI: Le cellule miocardiche morenti disperdono il loro contenuto interno nel flusso sanguigno. Si fa la curva enzimatica:  Troponina (proteina del miocardio che regola la contrazione cardiaca); il test ad alta sensibilità (hscTn) costituisce il test di riferimento per determinare o meno la presenza o meno di un infarto miocardico.  CK-MB (isoenzima specifico i cui livelli aumentano in seguito al danno cardiaco)  Mioglobina

ATTENZIONE: I livelli di troponina aumentano ben prima di quelli dell’isoenzima CK-MB (entro 2-3 h, e possono rimanere elevati per diversi giorni). I livelli di CK di solito non aumentano fino a 6 ore dopo un infarto e tornano alla normalità entro 48h. Ricorda inoltre che le troponine possono aumentare in altre condizioni, quali embolia polmonare, sepsi, insufficienza respiratoria e renale. 49

Questi in generale sono la CPK (creatinfosfochinasi), ma soprattutto la CK-MB. L’MB è specifica del muscolo cardiaco. Questo è importante perchè la CPK possiamo averla alta anche dopo sforzo fisico legato a un trauma o a un’alterazione muscolare anche nei muscoli di altri distretti. Mentre l’MB è specifica cardiaca. Negli ultimi anni si usa anche la troponina e la mioglobina che compare più precocemente rispetto all’MB però viene usata meno. Quello che si usa di più adesso è la troponina che è più sensibile. Abbiamo una positivizzazione degli enzimi di necrosi e della troponina entro le prime 6 ore dall’inizio del dolore. Quando il paziente arriva al pronto soccorso viene immediatamente prelevato proprio perchè non sappiamo identificare il momento dell’inizio dell’evento, è sempre abbastanza difficile, alcuni sono precisi ma la maggior parte no, quindi comunque bisogna fare la curva enzimatica. Si fanno prelievi ogni 3 ore per cercare di identificare l’inizio del rialzo degli enzimi di necrosi. Se il paziente è arrivato prima delle 3 ore il prelievo può essere negativo, ma magari al secondo compare la positività. -ECG: Durante un infarto miocardico acuto, l’ECG evolve attraverso 3 fasi:  Sopraslivellamento del tratto ST detto STEMI; ST è 2-3 quadratini più in alto rispetto alla linea di base ed è tipicamente sopraslivellato. In caso di infarto ritorna ai valori basali entro poche ore.  Innalzamento dell’onda T seguito da inversione dell’onda T (l’inversione delle onde T di per sé è indicativa solo di ischemia, non di infarto). Nel caso di infarto l’onda T rimane invertita per mesi.  Comparsa di nuove onde Q; nella maggior parte dei pazienti persistono per tutta la vita del paziente. ATTENZIONE: Sebbene l’ECG tipicamente evolva attraverso queste tre fasi durante l’infarto acuto, solo uno qualsiasi di questi cambiamenti può essere presente senza gli altri due. Inoltre molti infarti non generano nuove onde Q.

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Come si presenta questa patologia? Il dolore è il sintomo che si manifesta più frequentemente all’esordio. Dura più di 2030 minuti e spesso si associa a una serie di sintomi accessori, come irrequietezza, sudorazione, astenia, nausea, vomito, dispnea e a volte anche sincope che può essere sintomo di esordio.

DOMANDA: Il vomito è associato al dolore? La nausea e il vomito possono essere neurovegetativi e a volte possono essere legati anche all’ischemia stessa. Più frequentemente negli infarti inferiori. Cosa succede nell’infarto? Abbiamo l’occlusione trombotica: se la coronaria rimane chiusa per 30 minuti inizia la necrosi. Questo è importante, perchè cercare di riaprire il vaso è cruciale, prima lo si fa meglio è perchè possiamo salvare una buona parte del muscolo cardiaco. Questa malattia compare più frequentemente sopra i 45 anni. Può essere più frequente in alcuni gruppi particolari di popolazione al di sotto dei 45 anni come coloro che consumano cocaina che favorisce vasospasmo, nei diabetici, negli ipercolesterolemia , nei pazienti con predisposizione familiare. Più frequentemente avviene a riposo, mentre l’angina ce l’abbiamo sotto sforzo. Si verifica più frequentemente nelle prime ore del mattino perchè c’è una predisposizione fisiologica alla trombosi maggiore al risveglio, e tutta un'altra serie di alterazioni che avvengono, come un aumento del tono adrenergico, una maggiore viscosità del sangue. Cosa è la rivascolarizzazione? Significa riportare sangue a quel muscolo. Farmaci trombolitici ed attivatori diretti del plasminogeno possono lisare un coagulo all’interno delle coronarie e ripristinare il flusso sanguigno prima che intervenga la morte del miocardio. Negli ospedali dotati di laboratorio di emodinamica con possibilità di angioplastica coronarica, l’angioplastica d’emergenza entro le prime 6h dall’insorgenza dell’infarto offre, rispetto alla sola trombolisi, maggiore possibilità di sopravvivenza nella fase acuta e nel follow-up a lungo termine. Un ulteriore potenziamento dell’efficacia dell’angioplastica è costituito dal posizionamanto degli stent rivestiti con farmaci citotossici per prevenire la riocclusione. 51

I farmaci trombolitici sono molto efficaci per via endovenosa perchè sciolgono il trombo, ma non sempre funzionano. Tra gli effetti collaterali si riscontrano il rischio di emorragia intracranica pari all1%. Il rischio aumenta nei pazienti anziani, troppo magri e ipertesi. Ma il metodo più efficace è la rivascolarizzazione del paziente, quindi stappare la coronaria e risolvere la stenos; con dei cateteri si arriva fino al cuore, si aspira il trombo e con dei palloncini si schiaccia placca e si risolve il quadro. Nei quadri più complessi e diffusi di fa la rivascolarizzazione chirurgica, cioè con bypass. Il chirurgo prende dei vasi da altri distretti, in genere viene tolta la safena e si fa una sorta di ponte dall’aorta e abbocca un nuovo vaso a valle delle stenosi. Invece, per le coronarie anteriori, il chirurgo stacca l‘arteria mammamia, la scollega e la abbocca alla coronaria anteriore. Questo perché l’arteria mammaria è appunto un’arteria quindi dura più anni a differenza del bypass venoso.

Questo è un esempio di ciò che si vede con l’angiografia. Manca un pezzo di vaso, il mezzo di contrasto non arriva. L’emodinamico aspira il trombo, fa un’angioplastica e ricompare il vaso.

Quando noi abbiamo un caso infarto acuto del miocardio, prima di tutto di effettua un elettrocardiogramma; vediamo il tratto ST, che è sopraslivellato. Vediamo poi per esempio un infarto antero-laterale di grandi dimensioni. A questo punto il paziente va direttamente in sala di emodinamica dove, con i cateteri, si accede alle coronarie. Viene trovata la coronaria occlusa. Dopo l’angioplastica viene posizionato una stent e si riperfonde il muscolo cardiaco. Dopo che viene riperfuso tutto il trombo, il flusso sanguigno nel vaso riperfusonecessita di 3-4 battiti per arrivare alla periferia, questo perché nella fase acuta dell’infarto, dopo che il vaso è rimasto occluso, si crea edema, si crea vasocostrizione. Dopo aver effettuato l’angioplastica vediamo che regredisce il sopraslivellamento a 20 minuti dalla procedura stessa. Però, nelle derivazioni anteriori V1, V2 e V3 abbiamo prevalentemente delle Q, questo perché una buona parte del muscolo ormai è morta. 52

SEGMENTO ST Si parla di Infarto con o senza ST sopraslivellato. Cosa vuol dire? L’ onda P che è la prima nel tracciato, che è data dalla depolarizzazione degli atri, poi impulso elettrico arriva al nodo atrioventricolare che è un filtro che fa passare un certo tempo per far si che l’impulso arrivi nei ventricoli. Quando abbiamo blocchi a questo livello avremo l’allungamento di questo tempo. Poi abbiamo l’attività dei ventricoli data dal tratto QRS che cambia per tutta una serie di fenomeni. Dopo la contrazione e il rilasciamento, il cuore ritorna in una polarizzazione normale. ST sopraslivellato è segno inequivocabile di occlusione completa di coronaria, quindi ischemia transmurale. Quando non è presente ST sopraslivellato non sappiamo qual è la situazione, potrebbe essere infarto come potrebbe anche non esserlo e quindi il trattamento sarà più prudenziale. Non possiamo subito rivascolarizzare ma dobbiamo prima fare una serie di percorsi diagnostici e terapeutici dopo la conferma. Questo condiziona la transmuralità dell’infarto. Perchè è importante? Perchè se abbiamo un infarto transmurale che interessa tutta la parete, la parete diventa ischemica poi infine necrotica e l’evoluzione verso poi la necrosi e la cicatrizzazione di quella porzione di muscolo che non funzionerà più e si creerà una porzione morta di muscolo che durante il funzionamento del cuore verrà trascinata e porterà un’evoluzione in senso dilatativo del cuore, e questo porterà nel tempo alla comparsa di uno scompenso cardiaco. Se invece la necrosi non è completamente transmurale ma interessa solo parte della parete, (ricordatevi che l’ischemia e la necrosi parte sempre dal subendocardio) avremo una necrosi che interessa solo il sub-endocardio e se rimane del tessuto sano questo fa si che il cuore comunque non si dilati; questa zona non si contrarrà ma non avrà evoluzione in senso dilatativo e difficilmente quel paziente evolverà verso lo scompenso. Quindi la prognosi è sicuramente migliore. Nell’infarto acuto non sopraslivellato l’ ECG ci mostrerà alterazioni aspecifiche e non sappiamo se il paziente ha avuto solo angina o infarto. Quindi al quadro clinico con dolore toracico di più di 30 minuti dobbiamo andare a dosare gli enzimi sierici. La necrosi completa l’abbiamo in 6 ore. 53

ONDA Q Distinguiamo infarti Q e NON Q. L’onda Q è l’identificazione della necrosi. Quando comprare abbiamo già necrosi transmurale. L’onda negativa è legata al fatto che non c’è più attività elettrica. Il concetto è che noi possiamo avere onde Q patologiche e non. Se è piccola ed è meno di 1/3 del QRS non è patologica, magari è legata alla posizione del paziente o dell’elettrodo. L’onda Q di necrosi deve essere ampia e profonda (è indicata come significativa); deve avere una durata superiore ai 0,04s, e la profondità deve essere almeno 1/3 rispetto all’altezza dell’onda R nello stesso complesso QRS. Poichè la derivazione aVR occupa una posizione unica sul piano frontale, essa normalmente presenta una profonda onda Q, pertanto essa non dovrebbe essere considerata nella valutazione di un possibile infarto. Perchè si forma l’onda Q? Quando una regione di miocardio muore diventa elettricamente silente, non è più in grado di condurre corrente elettrica. Come risultato tutte le forze elettriche del cuore saranno dirette lontano dalla zona d’infarto. Un elettrodo sovrastante l’area dell’infarto registrerà pertanto una deflessione negativa profonda, che è l‘onda Q. Se troviamo l’onda Q associata ad un sopraslivellamento, potrebbe essere che il paziente ha avuto un pregresso infarto in quella zona non completo e quindi c’è un’ischemia sopra una zona che era già parzialmente necrotica.

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COMPLICANZE DELL’IMA Quando abbiamo una parete necrotica si possono formare, ovviamente a seconda delle sedi, degli aneurismi, cioè delle zone morte all’interno del cuore in cui può ristagnare il sangue e si possono formare anche dei trombi, che essendo nel cuore sinistro possono andare in circolo e pertanto sono molto pericolosi, in quanto tendono ad instradarsi verso i tronchi sovra-aortici e c’è il rischio che diano un ictus. La rottura di cuore e l’evoluzione verso il tamponamento cardiaco costituiscono la seconda causa di morte. Vi è una prevalenza che va dall’1 al 6% degli infarti con il tratto ST sopraslivellato. Avviene entro le 24 o entro una settimana dall’infarto (quest’ultimo accade nella maggior parte dei casi). Colpisce soprattutto gli ipertesi, gli anziani, le donne, i pazienti che usano cortisonici e che non fanno riperfusione. La rottura di cuore è pericolosa perché porta al tamponamento cardiaco. Rottura di cuore: quando il cuore diventa transmurale, la parete diventa necrotica. Questo può succedere soprattutto nel paziente anziano; è più tipico nella donna e in pazienti che assumono terapie immunosoppressive e cortisoniche, perché il cortisone tende a ridurre la capacità di cicatrizzazione e quindi, il fatto di non evolvere verso una cicatrice, fa sì che questa parete che è necrotica, perciò più fragile, possa rompersi. Il resto del cuore continua a contrarsi, perciò essendoci delle forze di trazione sulla porzione di cuore necrotica, quest’ultima può rompersi e può venirsi a formare una breccia. La rottura di cuore è molto pericolosa perché il sangue può andare nel pericardio e dare il tamponamento cardiaco, cioè riempire rapidamente il sacco pericardico e andare a comprimere il cuore. Se non si interviene molto rapidamente il paziente muore, difatti questa complicanza porta nella maggior parte dei casi alla morte del paziente. Il tamponamento cardiaco è dovuto al sangue che va riempire il pericardio, il quale è formato da foglietti distensibili. Il liquido presente a livello pericardico va a comprimere il cuore. Le camere che più risentono di questo fenomeno sono le camere a bassa pressione, cioè il cuore destro e, in particolare, l’atrio destro, che riceve il sangue dal circolo sistemico, per cui la pressione è molto bassa (la pressione nell’atrio destro è di 3 al massimo 4 mmHg perché il sangue altrimenti non riuscirebbe ad arrivare dal circolo venoso sistemico). Quindi, se aumenta la pressione all’interno del pericardio l’atrio destro viene compresso; il cuore destro non riesce più a distendersi, non riesce più a ritornare il sangue dal circolo venoso sistemico e 57

questo porta appunto al tamponamento cardiaco e alla morte del paziente se non si interviene. Se abbiamo bisogno di vedere tutti questi fenomeni in maniera più dettagliata, oggi è possibile utilizzare anche l’ecografia tridimensionale.

L’evoluzione classica è verso la fibrosi. Si avrà quindi un rimodellamento del cuore: il cuore ha una determinata forma, ma, nel momento in cui vi è una zona necrotica, le forze di trazione sulle altre pareti aumentano e il cuore tende a dilatarsi. L’evoluzione, quindi, degli infarti di grandi dimensioni è verso una cardiopatia dilatativa post-infartuale che porta ad uno scompenso cardiaco. Abbiamo anche complicanze aritmiche che possono essere di due tipi:  Le complicanze tachiaritmiche. In una zona necrotica si creano dei “cortocircuiti”; in realtà sono delle zone in cui c’è ischemia intorno alla necrosi, per cui la conduzione elettrica è più lenta e questo favorisce dei fenomeni di rientro. In sostanza, il segnale elettrico si automantiene in una zona circoscritta del ventricolo e innesca tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare. Una quota importante di pazienti ha una tachiaritmia ventricolare che spesso si rende responsabile della morte improvvisa degli stessi.  Bradiaritmie. Nel cuore c’è un sistema di conduzione elettrico che permette all’impulso, che dagli altri si diffonde ai ventricoli, di propagarsi in maniera uniforme attraverso delle vie di conduzione preferenziale: fascio di His, la branca sinistra e la branca destra. L’ischemia, quando interessa alcune porzioni del cuore, per esempio il setto, oppure l’occlusione della coronaria sinistra o destra, può dare delle complicanze, perché è un’ischemia che interessa le vie di conduzione più alte (fascio di His e nodo atrioventricolare), e può dare dei blocchi atrioventricolari, ossia il segnale elettrico non passa più dagli atri ai ventricoli.

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BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE

I blocchi atrioventricolari sono di tre tipi: - PRIMO GRADO: Il primo tipo è solo un ritardo della conduzione, quindi si allunga il tratto PR di 0,2s (dalla depolarizzazione degli atri ai ventricoli c’è un tempo più lungo). Solitamente è asintomatico e non necessita di trattamento. - SECONDO GRADO: Nel secondo grado abbiamo ogni tanto un battito che non viene condotto ai ventricoli, quindi abbiamo l’onda P e poi manca la conduzione ai ventricoli; questo si divide a sua volta in:  Tipo di Mobiz I dove abbiamo l’allungamento progressivo dell’intervallo PR fino a quando viene a mancare un comlesso QRS  Tipo di Mobiz II in cui i complessi QRS vengono a mancare senza allungamento dell’intervallo PR Non è necessario alcun trattamento, a meno che il blocco non determini bradicardia; a questo punto il trattamento consiste nell’impianto del pacemaker. - TERZO GRADO: Nel terzo grado, detto anche blocco completo, abbiamo le P che non conducono ai ventricoli, perciò alla fine l’attività elettrica del ventricolo è garantita solamente da dei pacemaker ventricolari spontanei, che hanno però una frequenza di depolarizzazione molto bassa, intorno ai 20-30 battiti al minuto; il paziente può avere infatti una sincope. Questi tipi di problematiche vengono trattate con un impianto di pacemaker: viene posizionato un elettrocatetere nel cuore e il pacemaker riprende a dare il battito indipendentemente dalla conduzione atrioventricolare.

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DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL DOLORE TORACICO Ci sono tanti tipi di dolore toracico che possono essere o meno di origine cardiaca. Quelli di origine cardiaca abbiamo visto quali sono; questi sono prevalentemente ischemici, ma ci sono anche quelli di origine non ischemica, come le pericarditi o la dissezione aortica. Nella dissezione aortica si crea un distacco della tonaca intima dalla media e si crea una fessurazione dove entra il sangue; quindi il sangue va ad infilarsi nei vari strati della parete e a dissecare la parete dell’aorta. Anche questo dà dolore toracico ed entra in diagnosi differenziale con l’infarto acuto del miocardio, questo perché alle volte si può associare ad un’ischemia cardiaca (dipende ovviamente da che tipo di dissezione abbiamo; ad esempio può accadere se la dissezione avviene nel primo tratto ascendente perché può interessare anche gli osti delle coronarie). Ancora, si può creare una rottura del primo tratto del bulbo aortico che porterà ad un’insufficienza aortica acuta. I dolori di origine non cardiaca sono diversi: abbiamo quello gastroenterico, quello psicogeno, quello pleuro-polmonare, quello mediastinico e quello neuromuscolare.

DOLORE GASTROENTERICO Quello gastroenterico è sicuramente il più frequente ed è spesso legato al reflusso gastro-esofageo, una patologia molto comune, per questo può creare un problema nella diagnosi differenziale. La parete dell’esofago ha un epitelio differente rispetto a quello dello stomaco, per cui non sopporta l’acidità presente all’interno dello stomaco che, a livello esofageo, crea un danno alla mucosa esofagea; questa fa sì che si creino delle ulcerazioni, anche con degli spasmi dell’esofago sofferente. Dà spesso un senso di costrizione, un dolore intenso, soprattutto quando vi è la compresenza di un’ernia iatale, cioè una parte dello stomaco che va ad erniare verso il torace, perciò lo iato esofageo inferiore sarà spostato e parte dello stomaco risale all’interno del torace superando il diaframma. Tale fenomeno favorisce ulteriormente il reflusso gastro-esofageo perché lo sfintere esofageo inferiore non ha un corretto funzionamento dal momento che si trova dislocato all’interno del torace. Tra i sintomi troviamo: bruciore, che in genere è presente; il paziente, inoltre, ha dei rigurgiti, delle 61

eruttazioni, la scialorrea (aumentata salivazione), la disfagia, l’odinofagia (dolore a deglutire). Inoltre, se dolore è legato al reflusso gastro-esofageo il paziente riferirà che esso comprare la notte, perché ovviamente la posizione supina dopo cena favorisce il reflusso, che ci sono anche degli alimenti e sostanze irritanti (alcol, bevande calde, fredde, pasti abbondanti); anche l’esercizio fisico impegnativo può scatenare quel tipo di problematiche. Il paziente ci dirà “mi metto in piedi, bevo un po’ d’acqua, assumo gli antiacidi e mi passa” e questo ci aiuta sicuramente a fare la diagnosi. La diagnosi di questa patologia viene effettuata con qualsiasi esame che vada a misurare il PH all’interno dell’esofago. Alle volte ci possono essere le due patologie, la cardiopatia ischemica e il dolore esofageo, che possono sia coesistere che influenzarsi: se un paziente presenta la malattia da reflusso gastro-esofageo da tanti anni ha anche una soglia del dolore più alta e quindi tende a sottovalutare il dolore ischemico. A livello terapeutico si utilizzano i nitrati: vanno somministrati sotto la lingua e danno sollievo al paziente ischemico; sono in grado anche di dare una risoluzione in caso di spasmo esofageo perché vanno ad agire sulla muscolatura liscia dell’esofago. Perciò, anche se il dolore passa con i nitrati, non sempre si tratta di dolore cardiaco, ma può trattarsi anche di uno spasmo esofageo che migliora con l’assunzione di questi ultimi.

EMBOLIA POLMONARE Altra patologia che entra in gioco nella diagnosi differenziale è l’embolia polmonare. L’embolia polmonare è una patologia legata al fatto che dei trombi, che si formano a livello periferico e più frequentemente negli arti inferiori, embolizzano e vanno così ad occludere dei grossi vasi a livello polmonare. Si tratta di una quantità di trombi che è in grado di occludere almeno un terzo dell’albero arterioso polmonare. Questo crea un’improvvisa ostruzione al flusso a livello polmonare, quindi un sovraccarico pressorio sul cuore destro, il quale non riesce più a mandare sangue verso i polmoni perché, appunto, trova i vasi ostruiti, e tende perciò a dilatarsi e scompensarsi acutamente. Abbiamo dolore toracico perché si crea anche un’ischemia a causa della sovradilatazione del cuore destro. È una patologia a volte di difficile diagnosi, che alle volte può esordire anche con la sincope, ossia il paziente sviene improvvisamente poiché l’occlusione improvvisa del circolo polmonare fa sì che arrivi meno sangue al cuore sinistro e crea un calo di pressione sistemica. 62

INFARTO POLMONARE Anche l’infarto polmonare può dare dolore toracico. Più frequentemente abbiamo però anche dei dolori della parete toracica, come i dolori pleurici o le nevralgie intercostali, le costocondriti, dolori da fratture, dolori da osteoporosi, dolori legati ad uno sforzo eseguito dal paziente o dolore dovuto ad una bronchite acuta. Tutte queste tipologie di dolore hanno una caratteristica che dobbiamo andare a cercare: si modificano gli atti del respiro, la pressione sul torace, la postura. Possiamo, inoltre, notare che il paziente che effettua un’inspirazione profonda presenta un dolore più intenso. Tutto questo ci aiuta a capire che non si tratta di un dolore ischemico cardiaco, ma di un dolore della parete toracica.

ALTRI TIPI DI DOLORI

Ancora, abbiamo i dolori infiammatori e infettivi (es. herpes zooster), che possono dare un interessamento toracico accompagnato da dolori talvolta intensi. Vi sono anche i dolori psicogeni. Alle volte può trarci in inganno anche un attacco di panico: un paziente ansioso, che ha un attacco di panico, può presentarsi al Pronto Soccorso con un senso di oppressione al petto e con un senso di fastidio, per cui avrà dispnea e dolore. Ovviamente non è facile da distinguere, bisogna capire se è un paziente ansioso, che magari ha una storia di depressione o ansia. In ogni caso la diagnosi differenziale si fa con gli esami strumentali, quindi l’ECG, che sarà negativo, l’ecocardiografia, anch’essa negativa, e gli esami ematochimici.

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DOMANDA E OFFERTA DI O2 L’ischemia è data da uno squilibrio della domanda e dell’offerta di ossigeno. Aumenta il consumo di ossigeno in relazione ad un’attività, c’è una stenosi cononarica che riduce l’offerta di ossigeno e quindi abbiamo l’ischemia. La domanda di ossigeno è condizionata da diversi fattori:  dalla contrattilità del cuore;  dalla frequenza cardiaca (più aumenta la frequenza, più aumenta il consumo di ossigeno);  dallo stress di parete, quindi dal post carico e dal pre-carico. Il post-carico non è altro che la forza che il cuore deve cercare di vincere per mandare il sangue nell’aorta; si tratta, quindi della pressione sistemica, perciò se il paziente ha una pressione molto alta, cioè una crisi ipertensiva, il cuore per spingere il sangue in aorta deve farlo contro una resistenza molto alta. Ciò vuol dire che le resistenze periferiche sono molto alte e abbiamo una vasocostrizione sistemica. All’aumentare del post carico aumenta il consumo di ossigeno e di conseguenza la fatica che il cuore deve fare. Il pre-carico del cuore corrisponde a quanto sangue arriva al cuore stesso ogni battito cardiaco: più sangue gli arriva, più le fibre muscolari si distendono e più il cuore è in grado di dare energia. Questi sono i due sistemi su cui il cuore di regola per mantenere la gittata cardiaca. Il precarico è un sistema che serve al cuore per regolare la gittata cardiaca. Le fibre muscolari sono fatte in modo che, più vengono distese e più sono in grado di generare energia. Più è disteso il cuore, più aumenta la forza di contrazione e più aumenta il consumo di ossigeno. Aumentare il pre-carico e aumentare il post-carico sono due condizioni che aumentano il consumo di ossigeno. In un paziente che ha avuto un infarto acuto del miocardio, per cui una parte del cuore non si contrae più, ha un cuore che nel tempo tende a dilatarsi, in quanto quest’ultimo, per recuperare quelle fibre che non funzionano più e mantenere la gittata cardiaca che aveva in precedenza, userà il pre-carico. Quindi, fa sì che gli arrivi più sangue creando una vasocostrizione maggiore del sistema venoso; in questo modo arriva più sangue al cuore, che è in grado così di mantenere la stessa gittata anche se parte di esso non funziona più. 64

Questo è un fattore negativo perché il cuore continua a dilatarsi, fino a che si arriva ad un limite oltre il quale la sua stessa dilatazione ha un effetto negativo e quel punto si scompensa. Questo concetto è importante per quanto riguarda le cardiopatie ischemiche, perché su questi fenomeni agiscono i farmaci da noi utilizzati. In sostanza, i farmaci utilizzati in cardiologia cercano di agire su questi fenomeni fisiopatologici, cercando così di controbilanciare sulle modificazioni del cuore durante un evento acuto o cronico. L’offerta nella cardiopatia ischemica è ridotta perché possiamo avere una stenosi, uno spasmo coronarico e quindi ci sono tutta una serie di fenomeni che agiscono per ridurre il flusso. In caso di cardiopatia ischemica con la terapia dobbiamo cercare di ridurre gli episodi di angina, dobbiamo migliorare la tolleranza all’esercizio fisico, cercare di migliorare la sopravvivenza del paziente e ridurne la mortalità.

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VALVULOPATIE Sono patologie che colpiscono le valvole cardiache e possono portare con il passare del tempo allo scompenso cardiaco. Vedremo principalmente le patologie della valvola aortica e della valvola mitrale perché le valvole del cuore destro si trovano in un circolo a bassa pressione e quindi hanno un danneggiamento minore e un’insorgenza di patologie è più rara. La valvola mitrale è una valvola atrioventricolare che può essere alterata da un restringimento e quindi una stenosi, o può essere un’insufficienza e quindi una chiusura non funzionale e perciò un’insufficienza mitralica. La stenosi mitralica è la meno frequente ed è il restringimento dell'ostio valvolare mitralico, perciò si verrà a creare un ostacolo durante la diastole e quindi alla fase di riempimento del ventricolo sinistro. Nel 99% dei casi è causata dalla malattia reumatica. Le altre cause sono congenite, di tipo infiammatorio come il LES (lupus eritematoso sistemico) o l’artrite reumatoide. La mitrale “a paracadute “che è un’alterazione congenita dei muscoli papillari sarà legata ad un solo un muscolo papillare assumendo il tipico aspetto a paracadute. Un’infezione della valvola, un mixoma atriale sinistro, trombi di grandi dimensioni possono occludere parzialmente l’atrio sinistro e infine calcificazione dell’anello.

MALATTIA REUMATICA ed EDEMI

La malattia reumatica ha maggior prevalenza nelle donne e negli anni ha avuto una progressiva decrescenza fino a scomparire. È causata principalmente da infezione di streptococchi di tipo A che causa una reazione autoimmune che porta all’insorgenza di questa patologia. Gli auto anticorpi vanno ad attaccare i lembi valvolari causandone un’erosione, un deposito di fibrine e piastrine e quindi porta ad una guarigione caratterizzata da una fibrosi della valvola stessa che non riesce più ad aprirsi adeguatamente. La malattia reumatica è una conseguenza di un’infezione streptococcica mal trattata. Perciò con l’avvento degli antibiotici le probabilità di incorrere a questa complicanza sono diminuite drasticamente. Possiamo vedere ancora casi di questo tipo in paesi in via di sviluppo. Dal punto di 66

vista strutturale, questa patologia porta ad un ispessimento dei lembi e ad una calcificazione degli stessi in fase avanzata, alla fusione delle commissure e quindi ad un insufficiente apertura della valvola. Rimane un orifizio di piccole dimensioni con la fusione delle corde tendinee e quindi ad una stenosi vera e propria. Cosa succede di fatto ad un paziente affetto da questa patologia? Al ventricolo sinistro arriva poco sangue in quanto la valvola ha un’apertura insufficiente e quindi una riduzione della gittata cardiaca. Ciò porta ad una sensazione di astenia e affaticamento proprio perché il cuore non riesce a mandare in circolo un volume adeguato di sangue. Ci sono dei sintomi legati al fatto che nell’atrio le pressioni tendono ad aumentare poiché il sangue non riesce a passare e perciò l’atrio tende a dilatarsi e le pressioni si scaricano sul polmone e perciò il sangue proveniente da esso, non riuscendo a passare, tende ad accumularsi causando dispnea che inizialmente è da sforzo e in stadio avanzato anche a riposo. Inoltre, l’accumulo di liquidi nel polmone dà luogo a infezioni, abbiamo fibrillazione atriale (è strettamente legata alle dimensioni dell’atrio sinistro che in questo caso diventa di grandi dimension)i. Questo fa precipitare la situazione in quanto questo tipo di complicanza fa perdere la contrazione atriale e consente solo il riempimento ventricolare passivo, fenomeno che viene difficilmente in caso di stenosi mitralica. Ciò avviene anche in caso di cardiopatia ipertensiva importante. Questi pazienti quindi in fase avanzate tendono ad avere problemi anche nel cuore destro proprio perché si hanno conseguenze anche al livello polmonare. Perciò, a lungo andare anche il cuore destro tenderà a scompensarsi. In questo caso si dice che la stenosi mitralica si “tricuspideralizza”. In seguito a ciò aumenta la congestione venosa sistemica e perciò il paziente sarà affetto da cianosi, edemi declivi, turgore delle giugulari, epatomegalia, ascite etc… La dispnea in questo tipo di paziente si evolverà in ortopnea, dispnea parossistica notturna (i pazienti durante la notte in seguito all’aumento del ritorno venoso al livello centrale avranno un accumulo di liquidi al livello polmonare che porterà ad una dispnea importante. L’edema derivante è peribronchiale e ha bisogno di 15/20 minuti per regredire) fino all’edema polmonare (da edema peribronchiale ha un’evoluzione fino all’alveolare). Gli edemi possono essere periferici, pleurici, addominali con un essudato che porta all’ascite. Può insorgere in alcuni pazienti anche l’emottisi per via della rottura di piccole vene bronchiali (per le aumentate pressioni al livello del microcircolo polmonare). Ancora possiamo avere un embolismo sistemico dato dallo scompenso improvviso della fibrillazione atriale. Questo embolismo sistemico è 67

dato dal fatto che nella stenosi mitralica essendoci un ingrandimento degli atri, e una difficoltà di riempimento ventricolare si ha un ristagno di sangue al cui interno si formano dei trombi. E questi trombi possono embolizzare nel circolo sistemico e ciò è estremamente pericoloso soprattutto al livello periferico (i tronchi sovra aortici in primis). La fibrillazione atriale è responsabile di questo fenomeno, in quanto è il momento di maggior stasi (Il 30% dei casi di ictus è causato dal FA).

La diagnosi della stenosi mitralica si effettua attraverso: -auscultazione ed esame obiettivo (presenza di soffi cardiaci) -test imaging (ecocardiogramma). Attraverso la misurazione dei gradienti tra atrio sinistro e ventricolo sinistro possiamo valutare il livello della stenosi ed eventualmente verificare se ci sia bisogno di un intervento chirurgico. La sostituzione della valvola mitralica viene effettuata attraverso le protesi meccaniche o protesi biologiche. Le protesi meccaniche hanno la caratteristica di durare tutta la vita previa assunzione a vita di terapia anticoagulanti. Le protesi biologiche (spesso valvola suina) vengono scelte per quei pazienti che non possono assumere terapia anticoagulante (donne in gravidanza, paziente anziano). Queste protesi non durano più di 10 anni.

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INSUFFICIENZA MITRALICA

È una valvulopatia molto frequente legata al fatto che la valvola mitrale non si chiude perfettamente durante la sistole e quindi abbiamo un rigurgito di sangue dal ventricolo all'atrio sinistro. Questo avviene perchè durante il ciclo cardiaco la valvola mitrale si apre e il ventricolo sx si riempie, il ventricolo entra in pressione e tende a spremere il sangue per mandarlo verso il circolo sistemico, si apre la valvola aortica e il sangue dovrebbe andare verso il circolo sistemico. Quest'ultimo però ha una sua pressione, quindi il cuore deve spingere il sangue verso il circolo sistemico, e il post carico che il cuore deve vincere è dato dalle resistenze periferiche. L'atrio sx (si trova a monte dove il sangue non dovrebbe tornare indietro perchè la valvola mitrale è chiusa) è una camera vuota a bassa pressione. È quindi ovvio che se la valvola non chiude, in sangue tende a tornare indietro anziché andare avanti dove vi sono resistenze. Eziologia: È legata ad una alterazione di una qualsiasi tra le componenti della valvola ossia lembi mitralici, anello fibroso (struttura che sorregge la valvola), corde tendinee (anche queste sorreggono la valvola e fanno si che la valvola non si ribalti al contrario), muscoli papillari (a cui sono legate le corde tendinee), alterazione del miocardio parietale (è una dilatazione che fa si che il miocardio non sorregga la valvola). Cause: È degenerativa (legate all'invecchiamento), su base ischemica, funzionale, reumatica, congenita oppure legata a infezioni. Le corde tendinee possono essere allungate congenitamente (per malattie del collagene ad esempio) e ciò può portare al prolasso della valvola mitrale nell'atrio sx. I pz che hanno un prolasso mitrale e quindi hanno le corde tendinee più lunghe sono più inclini ad avere rottura delle corde tendinee. Altre cause della rottura delle corde possono essere una dilatazione acuta del ventricolo sx, infezione della valvola che può danneggiare le corde, un trauma e altre patologie che interessano il collagene come osteogenesi imperfetta o policondriti. Un'altra causa è la cardiopatia ischemica, infatti se abbiamo un'ischemia che interessa il muscolo papillare che sorregge la valvola, vuol dire che quel muscolo papillare non si contrae più, e la valvola non si chiude e si genera un'insufficienza. Una dilatazione dell'anello legata a una dilatazione del ventricolo sx può portare a una dislocazione del muscolo papillare, ad uno stiramento della valvola mitrale che non chiude più perchè è stirata e questo porta a insufficienza mitralica. 70

VALVULOPATIE CRONICHE

Vi sono le cosiddette valvulopatie croniche, ossia una valvulopatia che si instaura lentamente nel tempo e quindi i sintomi sono assenti perchè il cuore si adatta. Possiamo avere delle forme lievi e crescere nel tempo: questo fa si che il sangue che torna verso l'atrio, fa si che l'atrio subisca un sovraccarico di volume perchè all'atrio arriva sia il sangue dal ciclo polmonare, sia il sangue che torna dal ventricolo sx. Questo sovraccarico cronico di sangue sull'atrio sx fa si che l'atrio si dilatI nel tempo. Anche se l'insufficienza peggiora troverà un atrio che cresce piano nel tempo e le pressioni all'interno dell'atrio non salgono in maniera improvvisa (infatti il cuore ha una buona compliance) e quindi i sintomi insorgono gradualmente: i primi sintomi sono astenia, dispnea perchè aumentano i liquidi a livello del polmonare e si inizierà con una lieve dispnea fino alle forme avanzate di insufficienza severa dove avremo una dispnea a riposo. Quando abbiamo un'insorgenza in forma acuta, per esempio per rottura di corda tendinea improvvisa, si hanno dei problemi più seri perchè all'atrio sx arriverà una grande quantità di sangue che troverà un atrio piccolo e quindi con bassa compliance. Questo fa si che aumentano le pressioni sull'atrio sx e sul circolo polmonare e questo può portare a edema polmonare, a ipotensione, a shock cardiogeno perchè il cuore non è preparato a questo evento improvviso. La conferma l’avremo con l'ecografia: non è invasivo e ci permette di vedere la valvola, sia l'eziologia dell'insufficienza, come corda tendinea rotta, o disfunzione di muscolo papillare. Oltre all'eziologia ci permette di visualizzare una serie di parametri che servono per classificare il pz quindi identificare le dimensioni del ventricolo, dell'atrio; monitoriamo la funzione del ventricolo sx nel tempo perchè la valvulopatia evolve nel tempo verso lo scompenso cardiaco. Inoltre, ci permette di dare delle informazioni al chirurgo perchè nelle forme più gravi la correzione chirurgica è l'unico trattamento utile per alcune valvulopatie (il timing chirurgico si decide in base a tutti questi parametri, dall'eziologia alla conformazione della valvola, allo stato del ventricolo sx, alla comparsa dei sintomi e quindi si decide il momento giusto per trattare il pz).

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PROLASSO DELLA VALVOLA MITRALE

Può essere alla base di un'insufficienza mitralica. È una patologia che interessa il 3% della popolazione generale, interessa più il sesso femminile, ed è legato al fatto che la valvola sia costituita da tessuto un pò più fragile ossia tessuto mixomatoso con infiltrazione di mucopolisaccaridi ed è frequentemente associata a malattie del tessuto connettivo. L'aspetto della valvola: i due lembi saranno ridondanti con le corde tendinee allungate e sottili e la valvola avrà un movimento anomalo ossia avrà una protrusione, durante la sistole, di uno o entrambi i lembi oltre il piano valvolare. Ovviamente che sia un lembo o entrambi a prolassare condiziona le anomalie della valvola stessa. L'insufficienza si genera a seconda della ridondanza dei lembi, delle corde tendinee, della dilatazione dell'anello. Questi pz hanno rottura spontanea delle corde tendinee, ma più spesso hanno un'infezione della valvola e questo può portare un danno alla valvola stessa con un'insufficienza secondaria. I sintomi in questi pz sono legati alle aritmie che si generano per stiramento della valvola e corde tendinee e quindi i pz accusano: palpitazioni (queste palpitazioni non sono legate sempre ad aritmie), astenia, esauribilità durante lo sforzo, e poi possono sentire dolore toracico atipico ma che non è molto significativo. Possono avere vertigini e lipotimia. Per quanto riguarda la sincope, è rara, in caso è legata ad aritmie più importanti o anche legata al fatto che sulla valvola ridondante si possono formare dei trombi piastrinici che possono embolizzare. La diagnosi si fa con l'ecografia, vedremo lo spostamento della valvola oltre il piano valvolare (di oltre 2 mm) e questo ci permette di fare la diagnosi. Esistono diverse forme. Le forme lievi sono le più importanti (90%). Le caratteristiche: all'auscultazione si sentono dei ''click sistolici'' (quando la valvola tende a protrude verso l'atrio sx si sentono dei rumori particolari detti click sistolici). Possiamo avere un rigurgito valvolare che può essere lieve. Nelle forme lievi non vi sono aritmie in genere. Nelle forme moderate la prognosi è meno favorevole, aumenta l'insufficienza, aumentano le aritmie perchè si è visto che la valvola ha una torsione verso l'atrio sx e ciò crea un'alterazione cronica della parete valvolare che tende a prolassare; crea attorno alla base valvolare un'area di fibrosi, e quest'area può essere l'innesco di aritmie importanti. Le forme gravi sono associate ad insufficienza valvolare grave, spesso sono legate 72

a rottura di piccole corde tendinee secondarie e, in genere, quando abbiamo queste forme abbiamo già una dilatazione del ventricolo sx e dell'atrio e un'evoluzione rapida verso lo scompenso cardiaco, e la prognosi ovviamente è meno favorevole. In questi casi l'approccio è chirurgico, e se la valvola non è molto alterata (soprattutto quando il prolasso riguarda una parte della valvola e non tutta) il chirurgo la ripara, tagliando la parte eccessiva della valvola e quindi aggiustarla senza sostituirla. Questo intervento consiste nell’inserimento della protesi a vita.

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INSUFFICIENZA AORTICA

A differenza dell'insufficienza della valvola mitralica, questa patologia è caratterizzata da un rigurgito di sangue dall'aorta verso il ventricolo sx. Mentre il rigurgito di sangue dal ventricolo sx all'atrio sx porta a dilatazione dell'atrio e scompenso del ventricolo sx che avviene tardivamente perchè è più l'atrio a venir danneggiato e solo dopo il ventricolo sx, in questo rigurgito dall'aorta al ventricolo sx crea un sovraccarico cronico di volume a carico del ventricolo sx. Il ventricolo sx cercherà di mettere in atto fenomeni di rimodellamento per bilanciare quest'insufficienza. Le cause possono essere multifattoriali legate patologia primitiva dei lembi o a patologia alla parete dell'aorta. La valvola aortica è costituita da 3 cuspidi che possono essere alterate cioè lacerate, retratte o perforate. La parete dell'aorta se abbiamo una dilatazione dell'anello possiamo avere un mancato collabimento diastolico dei lembi stessi, quindi durante la diastole quando la valvola di deve chiudere, non si chiude perchè l’anello è dilatato. Questa patologia porta ad un rimodellamento importante del ventricolo, ciò vuol dire che il cuore si altera perchè viene sottoposto ad un sovraccarico cronico di volume: abbiamo il sangue che torna dall'aorta verso il ventricolo sx e poi il sangue che arriva dall'atrio sx quindi dal circolo polmonare; ad ogni diastole avremo un'eccessiva quantità di sangue che raggiunge il ventricolo sx e lo fa dilatare perchè il sovraccarico cronico porta ad aumento di tensione di parete, il cuore cerca di contrastare ciò con un'ipertrofia del ventricolo sx, in questo caso si dice ipertrofia di tipo eccentrico perchè il cuore si dilata e si ipertrofizza, i sarcomeri si replicano non in parallelo ma in serie e quindi abbiamo un aumento progressivo delle dimensioni del cuore, dello spessore della parete fino a un punto cruciale in cui il cuore è eccessivamente dilatato e non ce la fa più a dilatarsi. Quando si arriva in questo punto, non avremmo più un'ipertrofia adeguata e compare la disfunzione del ventricolo sx e compare lo scompenso cardiaco.

I sintomi insorgono gradualmente negli anni, possono essere assenti per molti anni e quando compaiono abbiamo la debolezza, l'affatticabilità, la dispnea e nelle forme avanzate la dispnea sarà maggiore, comparirà per forzi lievi fino all' ortopnea dove il pz si deve sedere per ridurre il ritorno venoso e respirare meglio. In questi pz, vi è un sintomo tipico ossia l'angina pectoris detta "emodinamica". 74

Guardando un'immagine di taglio dell'aorta, vediamo che il bulbo aortico è il punto dove c'è l'imbocco delle due coronarie. Il cuore viene perfuso durante la diastole, perchè si chiude la valvola aortica, la colonna di sangue tende a tornare indietro. L'aorta, che ha una parete elastica, rende la forza di contrazione che il cuore ha dato durante la sistole per mantenere la perfusione anche durante la diastole di tutto l'organismo; quindi durante la diastole questa colonna di sangue tende a perfondere le coronarie e quindi a irrorare anche il muscolo cardiaco. Però durante la diastole, se abbiamo un'insufficienza aortica importante la colonna di sangue tende a tornare verso il ventricolo sx e avrà difficoltà a incunearsi verso gli osti coronarici perché si creerà un effetto di risucchio del sangue dagli osti coronarici e la perfusione delle coronarie sarà ridotta, perciò, il pz può avere un'ischemia cardiaca perché il sangue non riesce ad entrare nelle coronarie. L'angina non è legata a stenosi delle coronarie ma a questo fenomeno emodinamico. L'insufficienza può anche insorgere acutamente, la valvola può improvvisamente diventare insufficiente; questo è un fenomeno che non avviene frequentemente però può avvenire in caso di infezione della valvola come per un'endocardite batterica. I sintomi insorgono improvvisamente e anche qui troveremo il ventricolo sx che ha una ridotta compliance come l'atrio che può dilatarsi se questo fenomeno avviene rapidamente fino a un certo punto ma poi si scompensa. Quindi un'insufficienza aortica può portare anche qui a edema polmonare acuto, shock cardiogeno e quindi il pz deve essere subito sottoposto a intervento chirurgico. Un'altra causa di insufficienza aortica acuta è la dissecazione aortica ossia rottura improvvisa della parete aortica che porta alla perdita del supporto della valvola stessa. Diagnosi: -Rx torace: troveremo un cuore di grandi dimensioni; -Ecografia: ci fa vedere la struttura della valvola, l'eziologia e si identifica il grado di insufficienza. Anche qui in base a una serie di informazioni, si decide il timing chirurgici migliore.

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STENOSI AORTICA

Patologia importante, che ha una frequenza non bassissima, può essere legata a diverse cause come alterazioni della valvola stessa in genere degenerativa, ma possiamo avere cause congenite come stenosi sopravalvolari che interessano l'aorta stessa, alterazioni dell'aorta congenite o stenosi sottovalvolari per ostruzione del tratto di deflusso del ventricolo sx. Anche la malattia reumatica può interessare la valvola aortica. Le cause degenerative sono le più frequenti, cioè che la valvola diventi stenotica per un processo di invecchiamento. È una patologia dell'anziano in cui raramente abbiamo un'insufficienza aortica associata però spesso ci può essere un'alterazione della valvola mitrale con delle calcificazioni e spesso in questi pz ci sono patologie associate essendo anziani. Dal punto di vista eziologico, è importante la bicuspidia aortica: l'aorta normalmente ha 3 cuspidi però una quota della popolazione nasce con 2 cuspidi. Ciò favorisce una maggiore turbolenza del flusso a carico dell'aorta e ciò tende a danneggiare la valvola che tende a diventare fibrotica e calcifica. La stenosi aortica compre tra 40/50 anni in questi pz. Qui abbiamo un sovraccarico di pressione cronico, cioè la valvola si apre male e quindi il cuore deve vincere questa resistenza all'eiezione e quindi, come tutti i muscoli, tende a ipertrofizzarsi. In questo caso parleremo di ipertrofia concentrico; a differenza di prima, abbiamo un aumento dello spessore di parete, ipertrofia dei sarcomeri in parallelo e un ventricolo sx che diventerà grosso. L'ipertrofia al ventricolo sx non è mai un fattore positivo: essa si associa non solo ad aumento della dimensione del muscolo ma anche aumento della fibrosi e questo fa si che il ventricolo sia più rigido e quindi avrà più difficoltà a riempirsi e si avrà una disfuzione diastolica importante. I sintomi sono 3: dispnea, angina pectoris e sincope. Anche qui compaiono tardivamente. La dispnea è il primo sintomo che compare perchè abbiamo un ventricolo ipertrofico che ha una diastole difficoltosa, le pressioni elevate all'interno del ventricolo sx si scaricano sull'atrio e poi sul polmone: quindi si avrà una congestione venosa polmonare che porta a dispnea, prima da sforzo e poi anche a riposo e all'ortopnea. La sincope è legata al fatto che il cuore durante la sistole genera una certa forza: ci sono dei barocettori all'interno del ventricolo sx che servono a controbilanciare il post-carico rispetto alle pressioni all'interno del ventricolo sx. Quando le pres77

sioni all'interno del ventricolo sx salgono in maniera importante a causa della stenosi, abbiamo una vasodilatazione periferica per favorire l'eiezione del ventricolo sx. Però alla vasodilatazione periferica non segue un aumento della portata cardiaca perchè c'è una stenosi aortica, quindi improvvisamente abbiamo un calo di pressione a livello cerebrale che determina una sincope. L'angina pectoris perchè all'ipertrofia non segue un aumento della circolazione dei vasi, quindi non aumenta la densità dei vasi, il sangue che arriva al muscolo cardiaco ipertrofico non è sufficiente e questo fa si che si generi ischemia. Quando compaiono i sintomi, improvvisamente precipita la prognosi e la sopravvivenza. Essendo un problema meccanico, non esiste alternativa alla chirurgia che risulta essere il trattamento più efficace ossia la sostituzione di valvola. È una patologia dell'anziano, quindi sostituire la valvola aortica con un intervento con circolazione extracorporea in un pz ultra 80enne, spesso non è fattibile, perchè in questi pz ci sono una serie di comorbilità che fanno si che aumenti la mortalità in modo drastico. In questi ultimi anni prima si è cercato di risolvere la problematica con strategie meno invasive facendo una valvola-plastica aortica, come quella che abbiamo visto per la mitrale, cioè l’inserimento di un pallone che sale per l'aorta, va a spaccare la valvola stenotica per far si che il flusso possa aumentare. Questa procedura ha un elevato rischio perchè va a spaccare una valvola calcificata, quindi c'è un elevato rischio di embolizzazione di questo calcio soprattutto a livello dei tronchi sovraortici importante, si crea un'insufficienza aortica importante e poi la valvola diventava stenotica nel giro di 1 o 2 anni. Negli ultimi anni sono state inventate delle nuove valvole che possono essere impiantate per via percutanea, cioè sono valvole adese a una struttura metallica e possono essere depositate a livello aortico. Come vengono messe? Si sale con un catetere dall'arteria femorale fino alla valvola aortica, con un pallone si va a schiacciare la valvola alla parete e viene messo uno stent che tiene la valvola aortica calcifica schiacciata alla parete; all'interno dello stent c'è una nuova valvola che si apre come si esce col pallone. Questa procedura si fa nei pz a maggior rischio operatorio. Questa procedura può essere fatta entrando dalla femorale oppure nei pz che hanno un'aorta piena di calcio e trombi che possono embolizzare, si può passare facendo un buco sull'apice del ventricolo sx facendo un intervento mini-invasivo. Ultimamente sono state messe valvole percutanee simili a questa anche per la mitrale. 78

ECG È un'esame che in cardiologia viene considerato di primo livello perchè è facile da eseguire e dalla sua identificazione è uno degli esami che viene usato come primo approccio al pz cardiopatico perchè ci da una serie di informazioni sia morfologiche sia funzionali a livello cardiaco. L 'elettrocardiogramma viene definito a 12 derivazioni elettrocardiografiche e nella porzione inferiore vediamo una traccia più lunga che è sempre una derivazione D2 lunga. Cosa sono le onde che vediamo nel tracciato elettrocardiografico? La prima onda è detta onda P, e viene generata dalla diffusione (polarizzazione) dell'attività elettrica miocardio degli atri; dopodiché abbiamo il tratto PR la cui durata è legata alla tempo che impiega l'attività elettrica a passare dagli atri ai ventricoli; abbiamo poi il complesso QRS che è legato alla diffusione elettrica al miocardio dei ventricoli; a seguire abbiamo il tratto ST e poi l'onda T che è legata alla ripolarizzazione del miocardio elettrico ventricolare e quindi al recupero elettrico del miocardio ventricolare. Dal punto di vista morfologico il QRS, che è appunto dato da depolarizzazione dei ventricoli, può avere diverse forme. L 'onda Q è la prima deflessione negativa che può essere piccola e quindi viene scritto con un q piccolo seguito da un R grande; si ha quindi un utilizzo di maiuscolo e minuscolo per identificare la dimensione delle onde ad esempio: Qr vuol dire che l'onda Q è grande mentre r è un'onda piccola. L'onda S è la seconda deflessione negativa cioè se segue R viene chiamata S possiamo avere un RS oppure un rs oppure possiamo avere tutte e 3 QRS. Quando non abbiamo l'onda R viene chiamato complesso QS; quando abbiamo 2 onde R abbiamo Rsr'. 79

L'attività elettrica si origina all'interno nel nodo seno-atriale, si diffonde agli atri in maniera uniforme perchè esiste un sistema di conduzione come se fossero dei fili che diffondono l'attività elettrica negli atri. L'attività elettrica può essere trasmessa anche da cellula a cellula senza usare un tessuto di conduzione; però la trasmissione da cellula a cellula è una trasmissione lenta quindi se non ci fosse un sistema di conduzione cosa succederebbe? La diffusione dell'attività elettrica averebbe lentamente ma poi averebbe in maniera disincrona cioè averebbe prima la depolarizzazione dell'atrio dx e solo successivamente la depolarizzazione dell'atrio sx man mano che l'onda di depolarizzazione arriva all'atrio sx; il fatto che ci sia un sistema di conduzione fa si che l'attività elettrica arrivi uniformemente in entrambi gli atri e poi gli atri si contraggono in maniera sincrona, insieme. Lo stesso concetto avviene per i ventricoli: infatti l'attività elettrica poi arriva al nodo atrio-ventricolare, da qui al Fascio di His e alle due branche, la branca destra e la branca sinistra che a sua volta si divide in fascicolo del setto, fascicolo aneriore sx e fascicolo posteriore sx che vanno a costituire a loro volta le fibre del Purkinje e fanno si che l'onda di depolarizzazione avvenga in maniera uniforme nei 2 ventricoli. Quando questo non avviene perchè una di queste branche è interrotta o alterata avremo una depolarizzazione che avviene da cellula a cellula con un tempo di contrazione che si allunga. Possiamo riassumere l'attività del ventricolo come se fosse un vettore.

REGISTRAZIONE DELLE ONDE -Un’onda di depolarizzazione che si muove verso un elettrodo positivo provoca una deflessione positiva sull’ECG. - Un’onda di depolarizzazione che si allontana da un elettrodo positivo provoca una deflessione negativa sull’ECG. -Un’onda di depolarizzazione che si muove perpendicolarmente rispetto ad un elettrodo positivo provoca un’onda bifasica. La deflessione negativa dell’onda bifasica precede la deflessione positiva. -Quando l’onda l’onda raggiunge raggiunge l’elettrodo, l’elettrodo, le le cariche cariche negative negative ee positive positive sono sono bilanciabilanciate e si annullano a vicenda, per qui l’ECG ritorna alla linea basale.

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TRIANGOLO DI EITHOVEN e LE 12 DERIVAZIONI Le derivazioni che noi vediamo nell'ecg non sono altro che punti di vista differenti di uno stesso fenomeno e questo fa si che noi possiamo trarre tutta una serie di informazioni. Il cuore è un organo tridimensionale, e anche la sua attività elettrica deve essere interpretata in modo tridimensionale. Il cuore si trova all'interno del torace come se fosse un dipolo, si può pensare che il cuore si trovi all'interno di un triangolo detto triangolo di Eithoven; considerando che il torace viene visto come volume conduttore omogeneo e la somma delle forze elettriche prodotte in un certo istante o la media di queste forze durante il ciclo cardiaco possono essere considerate come se prendessero origine all'interno di un dipolo situato al centro del cuore. Per preparare il paziente all’effettuazione di un ECG a 12 derivazioni, si posizionano due elettrodi sulle gambe e due sulle braccia, oppure mettendo direttamente 2 elettrodi a livello delle spalle e 1 in basso addome. Questi forniscono la base per le 6 derivazioni degli atri, che includono:  3 derivazioni standard: I, II, III (o D1, D2, D3)  3 derivazioni aumentate: aVR, aVL, aVF  6 derivazioni precordiali: V1, V2, V3, V4, V5, V6 Le 6 derivazioni periferiche esplorano il cuore in un piano verticale chiamato piano frontale; è come se stessimo misurando l'apice di un triangolo equilatero, seguendo un movimento che va dall’alto verso il basso e da destra a sinistra. Per produrre le 6 derivazioni, ciascuno degli elettrodi è variamente designato come positivo o negativo (questo viene fatto automaticamente dall’elettrocardiografo). Le 3 derivazioni standard, D1, D2 e D3, vengono calcolate nel modo seguente:  La I si ottiene rendendo il braccio sx positivo e quello destro negativo. Il suo angolo di orientamento è di 0°.  La II derivazione si ottiene rendendo le gambe positive e il braccio destro negativo. Il suo angolo di orientamento è di +60°.  La III derivazione si ottiene rendendo le gambe positive e il braccio sinistro negativo. Il suo angolo di orientamento è di +120°.

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Le 3 derivazioni aumentate, aVR, aVF e aVL, si ottengono rendendo positivo un solo elettrodo; tutti gli altri sono negativi, ed è la loro media a costituire l’elettrodo di riferimento. Sono chiamate derivazioni aumentate perchè l’elettrocardiografo deve amplificare i tracciati per ottenere una registrazione adeguata:  La derivazione aVL si ottiene rendendo il braccio sinistro positivo e le altre parti negative. Il suo angolo di riferimento è -30°.  La derivazione aVR si ottiene rendendo il braccio destro positivo e le altre parti negative. Il suo angolo di riferimento è -150°. È l'unica derivazione negativa.  La derivazione aVF si ottiene rendendo le gambe positive e le altre parti negative. Il suo angolo di riferimento è +90°. DERIVAZIONI DERIVAZIONI INFERIORI: INFERIORI: D2, D2, D3, D3, aVF aVF DERIVAZIONI DERIVAZIONI LATERALI LATERALI SINISTRE: SINISTRE: D1, D1, aVL aVL DERIVAZIONE DERIVAZIONE DESTRA: DESTRA: aVR aVR

Le 6 derivazioni precordiali sono disposte sul torace su un piano orizzontale; registrano i movimenti delle cariche elettriche in direzione anteroposteriore. Sono: V1: 4° spazio intercostale sulla linea margino-sternale dx (sopra ventricolo dx) V2: 4°spazio intercostale sulla linea margino-sternale sx (sopra ventricolo sx) V3: in posizione intermedia tra V2 e V4 (sopra il setto); alcuni lo mettono nella 5° costa) V4: 5° spazio intercostale sulla linea emiclaveare sx (sopra apice del ventricolo sx) V5: 5° spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore sx (tra V4 e V6; sopra parete laterale) V6: 5° spazio intercostale sulla linea ascellare media di sx (sopra parete laterale)

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ONDE ONDA ONDA P: P: ÈÈ piccola piccola ee di solito positiva nelle derivazioni laterali sinistre e inferiori. Spesso Spesso èè bifasica bifasica in in D3 D3 ee V1, V1, mentre mentre èè più più negativa negativa in in aVR. aVR. ONDA ONDA Q: Q:Non Non visible, visible, negativa negativa in in D1, D1, aVL, aVL, V5, V5, V6. V6. ONDA ONDA R: R: Aumenta Aumenta sempre sempre nelle nelle precordiali; precordiali; in in V3 V3 bifasica, bifasica, in in aVR aVR negativa. negativa. ONDA ONDA S: S: In In aVR aVR negativa, negativa, in in aVL aVL positiva, positiva, in in V3 V3 bifasica. bifasica. ONDA ONDA T: T: Rappresenta Rappresenta la la ripolarizzazione ventricolare. È importante perchè si altera tera in inpresenza presenzadidiischemia. ischemia.Normalmente Normalmentepossiamo possiamoavere averedelle delleonde ondeT Tnegative negatinelle prime derivazioni V1 eV1 V2,e mentre è positiva nelle nelle derivazioni con alte ve nelle prime derivazioni V2, mentre è positiva derivazioni cononde alte R. Se R. è negativa nelle derivazioni lateralilaterali sicuramente vi è qualcosa di patologionde Se è negativa nelle derivazioni sicuramente vi è qualcosa di paco. Tuttavia, T è variabile. tologico. Tuttavia, T è variabile. COMPLESSO COMPLESSO QRS: QRS: D1/aVF D1/aVF positiva, positiva, D3 D3 bifasico. bifasico. Il segmento PR ci dice quanto tempo passa tra la depolarizzazione dell'atrio e depolarizzazione dei ventricoli. Può allungarsi in presenza di un blocco atrio- ventricolare di 1° grado quindi quando c'è un blocco della conduzione tra atri e ventricoli. Il segmento ST può alterarsi in presenza di ischemia, infatti il segno tipico dell'infarto del miocardio transmurale è il sopraslivellamento del tratto ST. L'infarto del miocardio si divide in - con ST sopra; – con ST non sopra; quando è presente ST sopra la diagnosi è certa e si può mandare subito il pz in sala di emodinamica per essere trattato. Però il sopraslivellamento del ST non è sempre facile da identificare. Ci sono altre patologie che possono alterare il tratto ST come patologie infiammatorie come la pericardite che porta a sottoslivellamento del tratto ST che però ha caratteristiche particolari: anziché essere un sottoslivellamento rigido, è a ciotola verso l'alto, non ha una localizzazione specifica nelle derivazioni e quindi è diffuso in tutto l'ecg quindi è difficile che il pz abbia un infarto con chiusura di tutte le coronarie anzi è impossibile. Queste informazioni quindi la morfologia del ST e la localizzazione delle alterazioni ci aiutano a fare diagnosi. ST si può alterare anche nell'ipertrofia ventricolare sinistra: anche qui bisogna vedere bene le caratteristiche, la simmetria dell'onda T.

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BLOCCO DI BRANCA Il termine blocco di branca si riferisce a un blocco di conduzione nella branca destra, sinistra o del fascio di His. Viene diagnosticato guardando la larghezza e la configurazione del complesso QRS. BLOCCO DI BRANCA DX: La depolarizzazione ventricolare dx viene ritardata; non inizia fino a quando il ventricolo sinistro non è completamente depolarizzato.  Il complesso QRS dura più di 0,12s  Si forma il complesso RSR’ nelle derivazioni V1 e V2 (orecchie di coniglio) con depressione del segmento ST e inversione dell’onda T (non confondere con infarto). BLOCCO DI BRANCA SX: Nel blocco di branca sinistra è la depolarizzazione ventricolare sinistra ad essere ritardata.  Il complesso QRS dura più di 0,12s  Mancherà l'onda R in V1  In V5 e V6 manca la prima onda Q  In V5, V6, D1 e aVL l’onda R sarà ampia o dentellata con salita prolungata con depressione del segmento ST e inversione dell’onda T (non confondere con infarto).

Una cosa importante da ricordare è che i blocchi di branca spesso mascherano le ischemie e le altre alterazioni perchè la depolarizzazione avviene lentamente e si creano delle alterazioni importanti del tracciato dell'ECG.

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RITMI CARDIACI Il ritmo cardiaco normale si chiama sinusale perchè è dato dal nodo del seno: quindi abbiamo un'onda P normale, con PR normale con una frequenza cardiaca tra i 60 e i 100 bpm; sotto i 60 si parla di bradicardia sinusale, sopra i 100 si parla di tachicardia sinusale. Possiamo avere anche un'aritmia sinusale, normalmente abbiamo un ritmo costante cioè la costanza dei complessi QRS è costante nel tempo quindi è un ritmo regolare. Quando il complesso QRS ha una distanza diversa ma le P sono tutte uguali siamo di fronte a un'aritmia sinusale (è tipica dei bambini che tende a scomparire man mano che si va avanti nella vita e non è quindi una condizione patologica). Andare a studiare l'onda P è importante perchè possiamo avere tutta una serie di alterazioni: possiamo avere un ritmo che parte non più dal nodo del seno ma anche da altre sedi degli atri. Possiamo avere per esempio delle extrasistoli: dei battiti che si originano da altre zone degli atri e quindi avremo improvvisamente un'onda P diversa da quelle che vediamo nel tracciato e sarà anticipata: si chiamo extrasistoli sopraventricolari. Possono essere isolate o in coppia, oppure si innescano delle aritmie importanti a livello dell'atrio soprattutto possono creare dei ritmi sopraventricolari anomali come il flutter o la fibrillazione atriale. Questi si creano come conseguenza di dilatazione dell'atrio sx o fibrosi dell'atrio sx quindi come conseguenza di patologie che interessano l'atrio come una stenosi mitralica o insufficienza mitralica quando diventa importante la dilatazione dell'atrio ma in casi rari non abbiamo alterazioni strutturali alla base di questi ritmi sopraventricolari.

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ARITMIE SOPRAVENTRICOLARI

-Nel flutter atriale la depolarizzazione delle cellule avviene in maniera ripetitiva e continua. Abbiamo una frequenza di depolarizzazione dell'atrio che è intorno ai 300 bpm però il nodo atrio-ventricolare fa da filtro cioè non fa passare tutti i segnali che arrivano dagli atri e quindi in genere il flutter atriale ha una conduzione non piu di 2 a 1, può essere anche di 3 a 1 o 4 a 1 quindi essere più lento. Quando è 2 a 1 avremo una frequenza degli atri che sarà 300 e una frequenza dei ventricoli che sarà la metà quindi intorno ai 150 di FC reale. Se passassero tutte le depolarizzazioni degli atri avremo una frequenza dei ventricoli di 300 bpm e ciò è incompatibile con la vita cioè il cuore non fa in tempo a riempirsi battendo così veloce. Le caratteristiche di questa aritmia sono ONDE A DENTE DI SEGA che sono date dalla depolarizzazione continua degli atri. -Fibrillazione atriale: in questo caso la depolarizzazione sarà anche irregolare, continua. L'atrio fibrillerà con una frequenza di 300/400 bpm ed è quindi come se fosse fermo. Non vediamo onde P, vediamo solo delle alterazioni della linea di base quindi della traccia. La caratteristica principale è l'irregolarità del battito: abbiamo gli atri che si depolarizzano con una frequenza altissima, tra i 180-200 bpm; oppure ci sono pz che hanno un filtro atrio- ventricolare molto alto e possiamo avere delle bradiaritmie da fibrillazione atriale con una depolarizzazione anche di 30 o 20 bpm che possono richiedere impianto di pacemaker.

BRADIARITMIE BRADIARITMIE Esistono anche le bradiaritmie: Esistono anche le bradiaritmie:  Con PR più lungo abbiamo un blocco di 1°grado:  Con PR più lungo abbiamo un blocco di 1°grado:  Con PR più lungo e improvvisamente un'onda P che non conduce il QRS e  Con PR più lungo e improvvisamente un'onda P che non conduce il QRS e quindi salta un battito → blocco 2° grado quindi salta un battito → blocco 2° grado  Quando i battiti saltati sono più di 1 → blocco 3°grado  Quando i battiti saltati sono più di 1 → blocco 3°grado L’attività degli atri è disgiunta da quella degli atri → blocco complesso (questa deve L’attività degli atri è disgiunta da quella degli atri → blocco complesso (questa deessere sempre tratta con impianto di pacemaker perchè il ritmo cardiaco può esseve essere sempre tratta con impianto di pacemaker perchè il ritmo cardiaco può re estremamente lento e quindi pericolosa per la vita del pz). essere estremamente lento e quindi pericolosa per la vita del pz). 90

FIBRILLAZIONE ATRIALE La fibrillazione atriale è un'aritmia sopraventricolare innescata da impulsi elettrici provenienti da cellule muscolari miocardiche presenti a livello della giunzione tra le quattro vene polmonari e l'atrio sinistro. Nella fibrillazione atriale l'attività elettrica degli atri è completamente disorganizzata e non corrisponde a un'attività meccanica efficace. Le onde P, sono di piccola ampiezza e hanno una frequenza molto elevata (400-600 impulsi al minuto). In queste condizioni il nodo atrioventricolare (NAV) riceve dall'atrio molti più impulsi di quanti sia in grado di condurne, esercitando quindi una funzione di filtro che trasmette ai ventricoli un numero di battiti non eccessivamente elevati: numerosi impulsi penetrano, infatti, solo parzialmente nel NAV e si bloccano al suo interno. Questa variabilità della conduzione atrioventricolare fa sì che i ventricoli si contraggano in maniera irregolare. Gli aspetti elettrocardiograficamente salienti della fibrillazione atriale saranno quindi la presenza di onde P e l'irregolarità dei battiti. Dal punto di vista clinico la fibrillazione atriale si suddivide in:  Parossistica: quando gli episodi si presentano e si risolvono spontaneamente in un tempo inferiore a una settimana.  Persistente: quando l'episodio aritmico non si interrompe spontaneamente ma solo a seguito di interventi terapeutici esterni.  Permanente: quando non siano ritenuti opportuni tentativi di cardioversione, o gli interventi terapeutici si siano dimostrati inefficaci. L'INTERRUZIONE DI ALCUNI TIPI DI ARITMIA PUÒ AVVENIRE SPONTANEAMENTE, ENTRO POCHE ORE DALL'INSORGENZA; IN TAL CASO SI PARLA DI CARDIOVERSIONE SPONTANEA

Chi colpisce e come si manifesta? La maggior parte dei pazienti affetti ha quindi più di 65 anni; gli uomini sono generalmente più colpiti rispetto alle donne. In alcuni casi si presenta in assenza di apparenti condizioni favorenti, ossia in assenza di una cardiopatia strutturale o di condizioni sistemiche (come l'ipertiroidismo) che la possano determinare. Si parla quindi di fibrillazione isolata e rappresenta in genere meno del 30% dei casi. 91

Vi sono anche condizioni che possono favorire la fibrillazione atriale: ipertensione arteriosa (presente in circa il 50% dei casi), insufficienza cardiaca, diabete mellito, patologie delle valvole cardiache, esiti di chirurgia cardiaca. La fibrillazione atriale è spesso associata a sintomi; i più frequenti sono: palpitazioni, dispnea, debolezza o affaticabilità, raramente sincope, dolore toracico. In alcuni casi è asintomatica o se sono presenti sintomi non vengono riconosciuti dal paziente, che si limita ad adeguare il proprio stile di vita. Un esempio è la riduzione della tolleranza allo sforzo. Oltre ai sintomi, talvolta invalidanti, la fibrillazione atriale mette a rischio di eventi trombotici, poiché l'immobilità meccanica degli atri favorisce la formazione di coaguli che possono in seguito migrare nel circolo cerebrale e provocare ischemie e ictus cerebrale. La mortalità cardiovascolare è aumentata nei soggetti interessati da fibrillazione atriale e la qualità della vita è ridotta. Inoltre, la persistenza della fibrillazione atriale determina un rimodernamento degli atri, che assumono caratteristiche elettriche, anatomiche e strutturali (dilatazione, fibrosi) tali da favorire il perpetuarsi dell'aritmia.

Gli strumenti diagnostici sono:  Elettrocardiogramma,  Holter ECG 24 ore, che integrano una visita aritmologica. In alcuni casi, se non sono sufficienti esami semplici come quelli suddetti, si possono eseguire indagini più approfondite quali ad esempio lo studio elettrofisiologico endocavitario.

Trattamenti Nel percorso terapeutico della fibrillazione atriale va valutata la modalità di presentazione (parossistica, persistente, permanente), la presenza di una cardiopatia strutturale o di altre condizioni favorenti. È necessario inoltre riconoscere il momento di insorgenza e la presenza di una grave condizione di instabilità secondaria alla fibrillazione atriale.

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A seguito di queste valutazioni si deciderà riguardo ad un tentativo di ripristino del ritmo sinusale: In genere al primo episodio si procede a cardioversione farmacologica, indipendentemente dai sintomi. Se l'episodio ha un'insorgenza databile a meno di 24-48 ore è possibile la cardioversione con farmaci antiaritmici come AMIODARONE (eventualmente accompagnati da terapia anticoagulante nei pazienti a rischio). In presenza di instabilità emodinamica dovuta alla fibrillazione si opta in genere per una cardioversione elettrica immediata. La cardioversione elettrica è una procedura in grado di interrompere l'aritmia con una sorta di "reset" del battito. Se l'insorgenza non è recente o non è databile e l'aritmia è ben tollerata, in genere si rimanda la cardioversione (generalmente elettrica) dopo un periodo di terapia anticoagulante di almeno 3-4 settimane. In base a eventuali recidive o alla presenza di cardiopatia si può intraprendere una profilassi farmacologica antiaritmica. Nei casi di inefficacia della cardioversione, in base ai sintomi, all'età e al contesto clinico generale, si può valutare l'eventuale passaggio a metodiche terapeutiche invasive (ablazione transcatetere/chirurgica). La procedura di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale è complessa in quanto richiede il passaggio del catetere ablatore dalle sezioni destre del cuore (cui si arriva per via venosa) a quelle di sinistra. Tale accesso si ottiene mediante una puntura della membrana del setto interatriale con un ago dedicato. Raggiunto poi l'atrio sinistro si procede all'isolamento elettrico delle quattro vene polmonari con abolizione dei punti responsabili dell'innesco della fibrillazione atriale.

Prevenzione La fibrillazione atriale talora è secondaria all'ipertensione arteriosa o ad altre cardiopatie, quali ad esempio scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica. È quindi necessario, per quanto possibile, effettuare dei controlli regolari del profilo pressorio e, quando presenti, impostare un corretto iter terapeutico delle cardiopatie al fine di prevenire le ricorrenze dell'aritmia.

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ARITMIE VENTRICOLARI I ritmi ventricolari sono caratterizzati da una depolarizzazione che avviene a livello dei ventricoli, in questo caso vedete una extrasistole ventricolare cioè un battito che si origina nei ventricoli ma che cade anticipatamente rispetto a come dovrebbe cadere il battito normale, il battito successivo cade nel punto dove doveva cadere anche quello precedente. La caratteristica dei battiti ventricolari è un QRS slargato perchè se abbiamo una extrasistole ventricolare che si origina nel cuore sx si comporterà come un blocco di branca dx perchè si depolarizza prima il cuore sx e poi solo dopo il cuore dx perchè un battito prematuro non cade nel sistema di conduzione e quindi la depolarizzazione avverrà da cellula a cellula e quindi se è del cuore sx la morfologia sarà come quello di blocco della branca dx. Se invece si origina nel cuore dx sarà tipo blocco di branca sx con QRS slargato. Poi ci sono i battiti di scappamento quando ci sono le pause eccessive; tutte le cellule del cuore sono in grado di depolarizzarsi spontaneamente però più si scende dal nodo seno-atriale fino ai ventricoli più la frequenza di depolarizzazione dei ventricoli scende cioè il nodo seno-atriale è quello che di depolarizza più frequentemente quindi è quello più veloce ed è quello che ha il comando del ritmo invece i ventricoli si depolarizzano spontaneamente solo se manca la depolarizzazione degli atri.

Ritmi ventricolari gravi:  Flutter ventricolare: è incompatibile con la vita  Fibrillazione ventricolare: è incompatibile con la vita Sono tutti ritmi che si possono innescare improvvisamente come conseguenza dell'ischemia che crea un cortocircuito a livello del ventricolo sx. Un ventricolo che fibrilla di fatto non si sta contraendo quindi bisogna intervenire subito con un massaggio cardiaco ma per interromperlo bisogna usare un defibrillatore per ripristinare il ritmo di base. È importante avere dei defibrillatori nei posti più affollati come supermercato, stadi e cosi via perchè può salvare il pz in caso di arresto cardiaco.

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ENDOCARDITE e PERICARDITE Sono due patologie del cuore diverse che hanno in comune il fatto di avere infiammazione ed infezione delle sierose che in un caso avvolgono il cuore, quindi le pericarditi (infiammazione delle membrane che avvolgono il cuore esternamente), e le endocarditi che invece interessano la membrana sierosa dell'endocardio, cioè la membrana che si trova e fa da interfaccia tra il flusso ematico e il muscolo cardiaco.

PERICARDITE Il Pericardio é una sierosa che riveste il cuore esternamente che si riflette a formare un sacco pericardico. Si riflette nel senso che é una membrana che ha una continuità, e che riflettendosi su sé stessa va a formare un doppio strato, creando un "sacco" che riveste il cuore. Il pericardio viscerale, quello più esterno, e il pericardio parietale è invece quello adeso al muscolo cardiaco. All'interno del Sacco pericardico c'è un liquido, che é il liquido pericardico, di circa 30-50 ml. Questo liquido serve per far sì che durante i movimenti del cuore i due foglietti scivolino bene tra di loro. La funzione del pericardio è quella di proteggere il cuore dalle strutture esterne del mediastino e di non creare degli attriti durante le fasi di movimento del cuore. Le patologie che interessano questi foglietti possono portare a delle variazioni del volume del liquido pericardico, che appunto può influenzare fortemente la funzione cardiaca. Proprio perché appunto un'infezione, un'infiammazione, dei foglietti pericardici può portare alla formazione di un essudato all'interno dei foglietti e alla variazione di volume aumenta la pressione all'interno dei foglietti. Diciamo che i foglietti sono indistensibili, come la maggior parte delle strutture del cuore, o almeno lo sono nel breve periodo. Questo vuol dire che se noi abbiamo uno stravaso acuto di liquido all'interno dei foglietti pericardici la pressione, a minime variazioni di volume, sale notevolmente. Se il liquido invece si forma all'interno del sacco pericardico lentamente allora i foglietti possono 100

distendersi. Quindi, se questo fenomeno avviene lentamente possiamo avere l'accumulo anche di grandi quantità di liquido senza che la pressione all'interno del Sacco pericardico aumenti notevolmente. Quindi è un fenomeno importante perché come vedremo dopo dal punto di vista clinico un accumulo di liquido all'interno del Sacco pericardico porta ad una variazione di pressione che può essere pericolosa. Se le pressioni all'interno del Sacco pericardico aumentano notevolmente, questo può portare ad un fenomeno che viene chiamato TAMPONAMENTO CARDIACO. Questa è un'emergenza cardiologica che se non trattata rapidamente può portare alla morte. Quali sono le forme più frequenti di pericarditi? Quelle di tipo virale. Vengono anche chiamate idiopatiche, spesso è difficile trovare una causa vera e propria; sono circa l'80%. Anche un banale virus dell'influenza può dare un'infezione delle vie aeree superiori dando delle volte anche una polmonite, ma può dare anche una pericardite. Poi c'è il restante 20% di cause che sono diverse: possono esserci forme batteriche, per accumulo di acidi urici come per esempio in pazienti predisposti come quelli in dialisi; possono esserci forme tubercolari; forme neoplastiche, in genere per localizzazioni metastatiche; forme traumatiche, a seguito di trauma per incidente stradale per esempio, tipicamente il paziente sbatte sul volante provocandosi un trauma sternale, arrivando ad essere traumatizzato anche il cuore con un'infiammazione o anche uno stravaso ematico all'interno del Sacco pericardico nel caso in cui il trauma sia stato particolarmente importante; ne esistono poi alcune che sono legate alla cardiopatia ischemica: queste sono di 2 tipi, e sono post-infartuali. La prima è legata a quando abbiamo un infarto transmurale, che interessa tutta la parete e non riusciamo a rivascolarizzare il paziente. La zona va incontro a necrosi rapidamente: il foglietto pericardico che si trova al di sopra della zona necrotica é ovviamente in stretta continuità con la zona infiammata. Quindi, la zona necrotica sottostante si può infiammare dando luogo ad una pericardite chiamata EPISTENOCARDICA. Quindi è una delle complicanze dell'infarto transmurale. Poi possiamo avere delle altre forme tardive dopo l'infarto miocardico che compaiono alcuni mesi dopo, e sono la Pericardite di DRESSLER o quella POST CARDIOTOMICA. Queste sono legate a degli autoanticorpi che si generano e possono dare un’infiammazione del pericardio, quindi di tipo immunologico.

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Classificandole in generale le dividiamo in PERICARDITI ACUTE e PERICARDITI CRONICHE. Le pericarditi acute sono legate all'infiammazione dei foglietti, ma oltre a questa, che può comparire anche da sola, ci può essere anche un versamento del Sacco pericardico, mentre la complicanza peggiore che dicevamo prima è il tamponamento cardiaco. Le pericarditi croniche invece sono infiammazioni croniche dei foglietti, recidivanti, che possono portare a dei versamenti cronici all'interno del Sacco pericardico: formandosi lentamente nel tempo possiamo avere degli accumuli anche di grandi quantità di liquido all'interno del Sacco pericardico anche di alcuni litri. Una complicanza evolutiva delle pericarditi croniche è la pericardite COSTRITTIVA. In questo caso i foglietti che si infiammano iniziano a creare delle aderenze tra di loro, quindi non scorrono più tra di loro e si iniziano a creare delle calcificazioni, delle fusioni dei foglietti tra di loro, finché andando avanti nel tempo i due foglietti sono fusi tra di loro. Il sacco pericardico diventa come un guscio attorno al cuore. Il fatto che il cuore sia rivestito da un guscio anelastico è una complicanza grave: la funzione del cuore avviene grazie solo alla sua capacità di potersi riempire distendersi e potersi contrarre. Il tipo di versamento che si può trovare all'interno durante la pericardite è legata anche alla causa.

TIPI DI VERSAMENTO: -Liquido sieroso nelle forme da scompenso cardiaco da ipoalbuminemia, secondario a terapia radiante, come in quei pazienti che hanno dei tumori e che fanno una terapia radiante del mediastino; oppure anche pericarditi virali classiche danno un accumulo di liquido sieroso. -Liquido siero emorragico tipicamente nelle forme neoplastiche, quando abbiamo delle metastasi nel sacco pericardico, oppure nel caso di traumi come dicevamo prima negli incidenti stradali. -Liquido siero fibrinoso quando abbiamo forme batteriche. -Liquido emorragico, post chirurgico, post infartuale, da traumi toracici penetranti o tumori vascolari che si vanno a rompere all'interno del Sacco pericardico. -Liquido chiloso per le forme appunto da funzione linfatica, quindi per l'accumulo di materiale linfatico all'interno del Sacco pericardico. 102

Poi possiamo avere il versamento pericardico: può non essere presente nelle prime fasi del dolore toracico in fase di comparsa della patologia. Tipicamente quando compare il versamento pericardico e quindi i foglietti si scollano perché si accumula liquido, scompaiono gli sfregamenti perché appunto non sfregano più tra di loro, e si riduce quasi scomparendo anche il dolore toracico.

DIAGNOSI Quella che fondamentalmente e particolarmente dovete ricordare è LA CLINICA. La clinica della pericardite è abbastanza tipica ed è importante perché è una delle patologie che entra in diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica. Il sintomo fondamentale della pericardite è il dolore toracico. Consideriamo:  ANAMNESI: la localizzazione e il tipo di dolore, l'influenza dei movimenti toracici, la durata, la reazione allo sforzo fisico, l'influenza con la postura, la presenza di fenomeni neurovegetativi  ECG: sopraslivellamento ST in tutte le derivazioni, concavo verso l’alto

INFEZIONE: Associato al dolore toracico ci sono dei sintomi accessori che ci possono aiutare a fare la diagnosi: essendo un'infezione, il paziente sarà febbrile, avrà astenia, spesso tachicardia e in alcuni casi avrà anche dispnea e tosse non produttiva, tipica delle infezioni virali. Altra caratteristica tipica di questi pazienti è il fatto che, quando i foglietti sono infiammati, sono edematosi e quindi sfregano tra di loro. AUSCULTAZIONE: Questo sfregamento durante il ciclo cardiaco è quello che dà il dolore toracico ma crea anche dei rumori: andando ad auscultare con un fonendoscopio il paziente si sentono questi sfregamenti che sono abbastanza tipici e vengono descritti come un rumore di cuoio che sfrega, si modificano con gli atti del respiro e anche con la posizione del corpo. In genere per sentirli bene bisogna far chinare il paziente in avanti in maniera che i due foglietti si accollino bene tra di loro.

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ECG: Le alterazioni dell'elettrocardiogramma sono abbastanza tipiche: in questi pazienti è importante ricordare che questa patologia entra in diagnosi differenziale con l'infarto acuto del miocardio perché, ve l'ho accennato quando abbiamo visto l'elettrocardiogramma, le alterazioni ECG della pericardite sono il sopraslivellamento del tratto ST. Il sopraslivellamento del tratto ST é un segno tipico dell'infarto acuto del miocardio. Il fatto che una patologia infiammatoria possa dare questo tipo di alterazione ci rende più complicata appunto la diagnosi. La differenza è che il sopraslivellamento del tratto ST da pericardite è leggermente diverso. ST é concavo verso l'alto, al posto di essere rettilineo e sopraslivellato, e poi un'altra caratteristica importante che ci deve far pensare ad una diagnosi differenziale è che è diffuso e lo troviamo in tutte le derivazioni. É impossibile che ci sia una occlusione di tutte le coronarie contemporaneamente, quindi che ci sia un sopraslivellamento diffuso in tutto l'elettrocardiogramma. DOLORE TORACICO: Cosa dovreste ricordare? Soprattutto la diagnosi differenziale del dolore toracico, prima di tutto la localizzazione: la localizzazione tipica della pericardite è sempre precordiale ma è spesso irradiata al margine sinistro del muscolo trapezio. È più difficile avere l'irradiazione tipica dell'infarto acuto del miocardio. Viene riferito più un dolore trafittivo, più un dolore acuto pleuritico, raramente un dolore oppressivo, descritto più come delle fitte all'interno del torace. Un'altra caratteristica importante che vi deve portare sempre a chiedere al paziente é se il dolore si modifica con i movimenti del torace. Questo perché il dolore è legato all’ischemia. Nella pericardite il dolore si modifica per esempio con gli atti del respiro. RESPIRO: Tipicamente questi pazienti sembrerà che abbiano dispnea, ma in realtà hanno un respiro superficiale facendo tanti piccoli respiri superficiali. Questo perché quando fanno un respiro più profondo e hanno quindi dei movimenti della gabbia toracica aumenta il dolore. Quindi cercano di ridurre il dolore facendo dei respiri superficiali. DURATA: Nella pericardite il dolore non dura minuti o ore, ma dura dei giorni! Il paziente arriva e ci dice che ha dolore da due giorni per esempio, e questo è difficile che avvenga nell’infarto acuto del miocardio. Per quanto riguarda lo sforzo fisico, non c'è nessuna relazione con la pericardite mentre invece nelle forme di angina stabili può comparire in seguito ad uno sforzo fisico (anche nell'infarto in genere non c'è relazione). 104

POSTURA: Un’altra caratteristica che distingue due tipi di dolore è la postura: questo perché ci sono delle posizioni tipicamente antalgiche nella pericardite. Il dolore nei pazienti con pericardite si allevia inclinando il torace in avanti. Invece il dolore aumenta quando il paziente tende a coricarsi. Nella cardiopatia ischemica la posizione non ha nessuna influenza sul dolore toracico. FENOMENI NEUROVEGETATIVI: Ultima caratteristica sono i fenomeni neurovegetativi che sono anche questi tipici della cardiopatia ischemica. Tipicamente il paziente con cardiopatia ischemica ha spesso sudorazione profusa, senso di morte imminente, può avere nausea e vomito, mentre tutte queste caratteristiche non sono presenti nella pericardite.

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L'ENDOCARDITE È una patologia che interessa la sierosa che riveste internamente il muscolo cardiaco, l'Endocardio. È un'infezione di tipo batterico, a differenza della pericardite che é invece virale. L'incidenza di questa patologia è cambiata negli ultimi decenni. Questo perché ci sono tutta una serie di categoria a rischio che possono avere questo tipo di patologia ma anche altre patologie come la malattia reumatica, della STENOSI MITRALICA che favorisce il danno delle valvole e favoriva quindi l'esposizione alle infezioni. Però abbiamo molti più pazienti sottoposti a interventi chirurgici con il posizionamento di dispositivi intravascolari e questo facilita le infezioni dalle valvole cardiache. A differenza della pericardite che è una patologia benigna, ha una elevata mortalità. 1/4 di pazienti muore! Questo nonostante la terapia antibiotica. Interessa più gli uomini che le donne (rapporto 2:1). Interessa un po' tutte le età, ovviamente un po' più rara nei giovani se non sono immunodepressi. Le categorie a rischio sono tutti quei pazienti che hanno già una alterazione delle valvole: questo perché la presenza di una valvulopatia aortico mitralica, con una insufficienza oppure con una turbolenza del flusso a carico della valvola, fa sì che la turbolenza del flusso crei delle microlesioni sull' endocardio. Su queste microlesioni si possono creare dei microtrombi piastrinici che servono appunto per far guarire le microlesioni ma sui quali possono attecchire dei germi circolanti. Normalmente infatti il flusso ematico è sterile, però possiamo avere tutta una serie di condizioni, delle batteriemie, che possono appunto andare a localizzarsi nell' endocardio. Quindi valvulopatie ma anche pazienti con cardiopatie congenite. Quindi i pazienti con alterazioni del cuore ho ancora i portatori di protesi valvolari, quindi che hanno delle protesi che possono essere infettate. Anche i tossicodipendenti sono una categoria a rischio. Infatti, vanno ad iniettarsi in circolo direttamente molto spesso germi non utilizzando quasi mai delle siringhe sterili. Ancora tutti i pazienti con valvulopatia reumatica, ma anche altre patologie che possono appunto creare un danno alla struttura valvolare. Da ricordare anche i pazienti che sono portatori di stimolatori cardiaci endocavitari quali pacemaker o cateteri venosi centrali, quindi tutte condizioni che fanno sì che ci siano dei corpi estranei all'interno del cuore che possono quindi infettarsi. 106

L’endocardite su valvola nativa apparentemente normale é molto rara. Esistono diversi tipi di forme: se si tratta di infezione a valvola nativa oppure su protesi. La protesi può infettarsi o subito dopo l'intervento, poiché c'è stata una contaminazione durante l'intervento chirurgico, oppure a distanza. Nei tossicodipendenti magari le forme sono un po' diverse, perché in genere sono dei germi un po' più aggressivi che possono andare a interessare anche la parte destra del cuore, situazione che è molto più rara nelle persone "normali". In questi tre tipi di categorie che vedete, l'infezione un po' diversa. Fondamentalmente quello che dovete ricordare è che le infezioni sono tipicamente da streptococchi o da stafilococchi. Poi ci sono delle forme un po' più rare da gram negativi, da miceti. Come vedremo dopo la differenza delle forme cliniche è legata proprio al tipo di germe poiché l'aggressività dei germi è diversa.

PATOGENESI Per quel che riguarda la patogenesi, noi abbiamo una lesione endoteliale che crea l'esposizione del collagene sul quale appunto si forma un trombo sterile tendendo a guarire quel tipo di lesione. Se noi abbiamo una batteriemia, che creiamo noi, ad esempio a seguito di una procedura odontoiatrica, come l'estrazione di un dente, se abbiamo un’infezione in corso, andiamo comunque a mettere in circolo i germi! Le procedure odontoiatriche sono quelle più incriminate, ma anche altre condizioni come il parto, gli aborti, le tonsillectomie, le adenoidectomie, drenaggi di ascessi e comunque tutte quelle condizioni in cui abbiamo un'infezione che però può passare in circolo. Ovviamente questa batteriemia se lieve per esempio possiamo averla anche quando ci laviamo i denti con una certa energia. Quindi in realtà il rischio di un'infezione può esserci anche senza necessariamente una procedura chirurgica vera e propria che sicuramente mette in rischio ma non resta l'unico rischio. Se la batteriemia trova un terreno fertile può andare a localizzarsi lì, andare a proliferare, e a formare quella che viene chiamata VEGETAZIONE. Quindi una vegetazione che può andare a formarsi sopra una valvola. Le due forme tipiche di endocardite sono la forma acuta e la forma subacuta. 107

FORMA ACUTA: come tutte le forme acute è un'infezione particolarmente aggressiva caratterizzata da dei germi particolarmente aggressivi, gli STAFILOCOCCHI. Gli stafilococchi crescono molto rapidamente e danno un'infezione acuta di una valvola del cuore caratterizzata da febbre elevata e tutti i segni tipici di una infezione acuta in atto. FORMA SUBACUTA: è data dagli STREPTOCOCCHI. Per subacute si intende quelle forme che sono meno aggressive e nelle quali i germi si formano molto lentamente. caratteristica di queste forme è che non è più una infezione tipica. Abbiamo una febbricola mai elevata, il paziente sta abbastanza bene a parte questa febbricola. La patologia può protrarsi per dei mesi. Quindi il primo segno della patologia può essere dato direttamente da una complicanza della patologia stessa. La sede dell'infezione è ovviamente molto importante. Se si tratta di una valvola nativa, oppure di una protesi che può complicarsi è portare ad un malfunzionamento o al distacco della stessa protesi. Importante anche il fatto dell'interessamento di più valvole. Resta fondamentale anche il luogo esatto in cui è stata presa questa infezione. Se è avvenuta in ambito ospedaliero, i germi in tal caso sono gia selezionati: sono i più aggressivi e i piú resistenti. Queste vegetazioni possono essere anche molto voluminose e quindi possono embolizzare alla periferia: vuol dire che si possono staccare e tendenzialmente questi emboli possono creare delle lesioni e delle infezioni metastatiche. Questi emboli possono andare a localizzare a livello cerebrale, dando luogo per esempio ad ictus. Ma non solo ictus, bensì possono dare anche degli ascessi a livello cerebrale, o a livello di altri organi come a livello epatico o a livello splenico, quindi a livello della periferia. Il sospetto quindi dobbiamo porcelo quando abbiamo una Febbre persistente o recidivante, che non riusciamo a trattare. Questo tipo di infezioni sono molto difficili da debellare e quindi poi la febbre si ripresenterà; attenzione agli antibiotici! Sempre più spesso le persone tendono a prendere gli antibiotici senza prescrizione, e questo aggrava la situazione, oltre che rendere più difficile la diagnosi. Se c'è una condizione predisponente come una cardiopatia o se il paziente è portatore di una protesi, dobbiamo comunque sospettarlo. Ancora di più se è tossicodipendente e poi ovviamente dalla clinica: se abbiamo un soffio di nuova insorgenza, caratteristica tipica di infezione delle valvole native. Infatti, i germi tendono a danneggiare le valvole bucandole, possono portare anche alla 108

rottura delle corde tendinee. Quindi un soffio di nuova insorgenza con una valvulopatia acuta ci deve far pensare a questo tipo di problematica. Dal punto di vista degli esami di laboratorio sono quelli tipici di un esame per infezione acuta, se appunto abbiamo un’infezione acuta.

ESAMI LABORATORISTICI: Nella forma subacuta potremmo avere dei segni molto sfumati, segni aspecifici di infiammazione, anche con una leucocitosi neutrofila lieve che non ci dà nessuna informazione rendendo difficile la diagnosi. La diagnosi la facciamo fondamentalmente con un esame chiave che è l'emocoltura. Andremo a prelevare dei Campioni di sangue con una procedura abbastanza tipica, facendo tre prelievi di sangue venoso effettuati nell'arco di 24 ore quindi uno ogni 8 ore. Altra caratteristica importante dell'emocoltura è che va fatta da una sede Venosa diversa. Questo perché quando facciamo un’emocoltura potremmo essere noi a contaminare il campione localmente facendo il prelievo e quindi potremmo trovare un germe in un’emocoltura e un germe diverso nell'altra emocoltura. Questo ci farà capire che siamo stati noi a contaminare. Se invece ci troviamo in più campioni diversi lo stesso germe che cresce allora li possiamo fare la diagnosi. In genere il prelievo viene fatto al momento del brivido, al momento del rialzo della febbre. Il problema è che le emocolture spesso sono negative perché gli stessi pazienti o i medici di famiglia, tendono a dare in presenza di febbre subito una terapia antibiotica. In quel caso potremmo avere dei germi che non crescono nell'emocoltura proprio perché il paziente é stato trattato già con antibiotici da alcune settimane o perché magari sono dei germi difficili da coltivare e quindi può essere difficile identificarli. Quando riusciamo ad identificare il germe ovviamente facciamo la diagnosi ma è comunque fondamentale l'emocoltura perché possiamo fare su quel germe anche l'antibiogramma. Andremo quindi a vedere qual è l'antibiotico migliore per cui quel germe è sensibile dando quindi una terapia mirata ed efficace. Nelle endocarditi vedremo le vegetazioni che si presenteranno come delle masse adese alla valvola. Ovviamente, quando sono di grandi dimensioni, le possiamo identificare facilmente, ma alle volte può essere difficile farlo se sono di piccole dimensioni. Quando c'è un sospetto di endocardite infatti bisognerebbe sempre fare un ecocardiogramma trans esofageo. Si tratta di un’ecografia fatta con una sonda transesofagea che è una sonda simile ad un gastroscopio che al posto di 109

avere una telecamera sulla punta ha una sonda ecografica. Quindi noi introduciamo una sonda nell'esofago e andiamo a guardare il cuore dall'esofago. Come sappiamo l'esofago si trova esattamente dietro l'atrio sinistro e quindi dall'esofago noi andiamo a vedere il cuore con una definizione e una qualità delle immagini molto superiore rispetto a quando noi andiamo a farla attraverso il torace. Riusciamo quindi a vedere con maggiore dettaglio le valvole ed eventualmente la presenza di una vegetazione che potremmo non riuscire a vedere con l'esame transtoracico. Con l'ecocardiogramma riusciamo ad identificare tutta una serie di complicanze come la presenza di ascessi e la presenza di alterazioni delle valvole o anche la presenza di un’insufficienza di nuova insorgenza, ma anche rottura di corde tendinee, perforazioni delle valvole e quindi tutte quelle complicanze che si associano appunto alla endocardite. La profilassi é un discorso un po' più complicato. Nelle ultime raccomandazioni la profilassi antibiotica é indicata unicamente nei pazienti ad alto rischio. Quindi per esempio i portatori di protesi che fanno degli interventi importanti. Sottoporre un paziente ad una profilassi antibiotica alla cieca viene sconsigliato.

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LO SCOMPENSO CARDIACO o INSUFFICIENZA CARDIACA

É definito come una sindrome clinica complessa risultato di ogni disordine cardiaco strutturale o funzionale che causa un ostacolo del riempimento o dello svuotamento ventricolare. Il cuore non è in grado di pompare una quantità di sangue adeguata alle richieste metaboliche dell'organismo e può essere in grado di farlo solo a discapito di pressioni di riempimento ventricolare elevate. Questo a lungo andare può portare a scompenso cardiaco. Le cause dello scompenso cardiaco sono tante e sono diverse, però possono portare la fine a quella che è definita insufficienza cardiaca. L’insufficienza cardiaca può essere di due tipi: ACUTA o CRONICA.

-INSUFFICIENZA CARDIACA ACUTA: È caratterizzata da due forme, due emergenze cardiologiche classiche che sono l'edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno. -INSUFFICIENZA CARDIACA CRONICA: In questo caso abbiamo una progressiva alterazione della funzione cardiaca che evolve poi verso un’insufficienza cardiaca cronica. L'incidenza arriva fino al 2% della popolazione europea. Essendo la prima causa di ospedalizzazione di disabilità si parla quindi di grandi numeri: 5 milioni di pazienti affetti negli Stati Uniti e addirittura si arriva ad una prevalenza dal 6 al 10% se si va a vedere la popolazione ultrasessantenne con una prevalenza di 20 individui su 1000 con incidenza di 2 casi ogni 1000 casi annui. Ovviamente se andiamo a vedere la distribuzione per fasce di età si potrà osservare che la maggior parte si trovano nelle fasce di età dai 70 anni in poi, 80% dei casi. Un terzo di questi pazienti necessiterà di un nuovo ricovero ospedaliero annualmente con una degenza media intorno ai 12 giorni. È una degenza molto importante se andiamo a considerare il fatto che la degenza per l'infarto miocardico acuto è di circa 9 giorni. Si parla ovviamente anche di costi a questo punto per questa patologia. È una patologia che incide per circa il 2% della spesa sanitaria totale quindi un grosso impatto sulla spesa sanitaria di cui ovviamente il 60 70% di questa spesa sarà dovuta poi all'ospedalizzazione di questi pazienti. Dal punto di vista 111

prognostico, nonostante gli importanti farmaci che abbiamo, sappiamo che la metà di questi pazienti morirà comunque entro cinque anni, e il 30% di questi pazienti rischia una riospedalizzazione entro i tre mesi per scompenso. Per capire cosa succede a livello cardiaco parleremo dei meccanismi che sono alla base del rimodellamento cardiaco e dell'adattamento delle fibre muscolari cardiache. Quali sono quindi questi meccanismi di adattamento? Ad esempio il meccanismo di FRANK-STARLING, l'attivazione dell'ipertrofia miocardica e del rimodellamento cardiaco, una ridistribuzione della gittata cardiaca (l'organismo cerca di ripristinare la gittata cardiaca favorendo la perfusione degli organi vitali come cuore e cervello - con una vasocostrizione, sfavorendo invece gli organi meno importanti che stanno appunto alla periferia, come la cute); ci sono poi quindi tutta una serie di meccanismi neuroormonali che vengono messi in campo per cercare di controbilanciare le necessità dell'organismo. Altro concetto importante è che il cuore lavora in base a queste tre funzioni fondamentali: pre-carico e post-carico e la sua contrattilità intrinseca. Infatti, la contrattilità è una proprietà intrinseca del cuore e delle fibre muscolari cardiache e può essere stimolata con una stimolazione adrenergica: possiamo aumentare la contrattilità delle fibre muscolari o anche deprimerla con appunto anche dei farmaci specifici. E ci sono comunque tutta una serie di patologie che possono influenzare la contrattilità dei miociti. Ma sono anche importanti il pre-carico e post-carico. Il pre-carico è il volume telediastolico del ventricolo sinistro, quindi é la quantità del sangue che arriva al cuore. Il cuore è una pompa e deve mandare in circolo il sangue che gli arriva. Più sangue gli arriva e più sangue deve mandare in circolo. Quindi, più aumenta il precarico e più il cuore deve cercare di generare energia per cercare di mandare una quantità superiore di sangue in circolo. Entra in gioco il MECCANISMO DI FRANK STARLING. Il post-carico non è altro che la pressione sistolica in aorta. Quindi è la forza che deve vincere il cuore per cercare di mandare il sangue nella periferia. Questo è regolato soprattutto dalle resistenze periferiche. Più aumentano le resistenze periferiche e più il cuore dovrà aumentare la forza per mandare il sangue in aorta. Più abbiamo una vasodilatazione periferica e più facile sarà per il cuore mandare sangue in aorta.

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Questi due fattori quindi influenzano fortemente la funzione del cuore. Il precarico gioca appunto sul meccanismo di FRANK STARLING. È la relazione tensionelunghezza delle fibre. Infatti, le fibre muscolari più noi le stiriamo e più sono in grado di generare energia. Quindi più la fibra è allungata e più è in grado di generare forza. Questo è il pre-carico, cioè il fatto che il cuore cerca di dilatarsi allungando di più le proprie fibre per cercare di generare più forza quando ovviamente è in una condizione di aver meno forza. Un esempio é dopo un infarto acuto del miocardio dove si ha una perdita delle fibre muscolari e il cuore tende a rimodellarsi nel senso dilatativo proprio per cercare di mantenere la giusta gittata cardiaca. Quindi cerca di generare più forza riempiendosi di più e mantenendo quindi la stessa gittata cardiaca. La forza di contrazione del ventricolo sinistro, in funzione della lunghezza del muscolo cardiaco alla fine della diastole, a sua volta é stata correlata al volume ventricolare. Quindi il cuore attinge al pre-carico per cercare di migliorare la propria gittata cardiaca, a parità ovviamente di post-carico. Quindi il cuore ha una riserva di precarico che cerca di utilizzare nelle condizioni in cui ha bisogno di aumentare la gittata cardiaca. Il cuore scompensato ha una riduzione della propria attività, ma si adatta a questo con un aumento del pre-carico (Meccanismo Frank Starling) fino a quando esaurisce questa possibilità. Ovviamente come in tutte le cose anche in questo caso c'è un limite e il cuore oltre una certa lunghezza delle fibre non può più aumentare la sua forza di contrazione. Quindi quando é esaurita la riserva del pre-carico anche una piccola variazione del post-carico fa aumentare le pressioni all'interno del ventricolo sinistro. Perché possiamo avere un aumento del post-carico? Per esempio in una condizione in cui aumentano le resistenze periferiche, oppure il paziente che cerca di fare uno sforzo fisico e quindi deve aumentare l' attività cardiaca e una volta finito il pre-carico aumenta il post-carico e va ad aumentare la pressione all'interno del ventricolo sinistro. Avrà quindi dispnea. Il Cuore Sano e più sensibile al pre-carico. Invece il cuore scompensato è molto più sensibile al post-carico, perché ha già esaurito la riserva del pre-carico. Abbiamo in genere un evento iniziale che crea un danno cardiaco, il quale danno porta all'attivazione di una riduzione della funzione con una serie di meccanismi di compenso fino a che non compaiono i sintomi, quando appunto il compenso non ce la fa più. 113

Dal punto di vista fisiopatologico ci sono tutta una serie di situazioni che il cuore mette in campo in presenza di danni cronici sul muscolo cardiaco (cardiopatia ischemica, cardiopatia ipertensiva, infezioni virali - pericarditi, endocarditi o miocarditi quindi tutto il muscolo). Quindi abbiamo tutta una serie di attivazioni neurormonali che vengono attivate per cercare di controbilanciare la perdita di contrattilità che sono date appunto dall'attivazione del sistema simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone che agiscono sia sulla vasocostrizione periferica, sia sull'aumentare del pre-carico, tutte condizioni che a breve termine sono efficaci per mantenere la portata cardiaca, ma che a lungo termine portano ad una progressiva riduzione della contrattilità. I ventricoli quindi tendono a rimodellarsi in seguito a tutta una serie di condizioni meccaniche di sovraccarichi di volume o di pressione con ipertrofia di tipo concentrico o eccentrico. Concentrico in cui le fibre si replicano in parallelo, eccentrico quando invece le fibre si replicano in serie. Sono appunto quelle condizioni che abbiamo visto nelle valvulopatie, quindi nella stenosi aortica come esempio tipico dell'aumento cronico del post-carico, perché abbiamo un'ostruzione meccanica e quindi un’ipertrofia concentrica; un’ipertrofia eccentrica invece di sovraccarico di volume tipico dell'insufficienza invece aortica. Ma la possiamo avere anche in altre patologie come nella cardiopatia ipertensiva: pazienti con un’ipertensione arteriosa quindi pressioni elevate in aorta (quindi post- carico elevato in aorta), deve cercare di vincere questa resistenza in maniera cronica. Se noi non trattiamo la pressione arteriosa, il cuore si adatta e rimodella creando un’ipertrofia di tipo concentrico. Come vi ho già accennato quando vi ho parlato della valvulopatia, della stenosi aortica ma anche dell'ipertensione arteriosa, l'ipertrofia di tipo concentrico è comunque dannosa per il cuore perché il cuore ipertrofico diventa più rigido e non riesce più a riempirsi in maniera adeguata senza riuscire a sfruttare il pre-carico in maniera adeguata. Ci sono anche degli altri meccanismi molecolari che si associano al rimodellamento cardiaco. Infatti, quando il cuore inizia a scompensarsi possiamo avere una perdita di miociti che appunto vanno incontro a necrosi con accumulo di collagene e di matrice interstiziale. Questo può essere legato a fenomeni di ischemia, all'eccessiva produzione di catecolamine, che alla lunga porta ad una condizione di fibrosi del ventricolo sinistro. Si creano delle alterazioni del rapporto contrazione-eccitazione legate alla modificazione dei flussi intracellulari del calcio che alla lunga portano ad un ulteriore malfunzionamento del sistema. 114

Il cuore poi tende ad esprimere delle forme alterate di proteine contrattili: per esempio le proteine contrattili del cuore sono l'actina e la miosina e il cuore tende ad esprimere delle forme fetali di miosina che consumano meno ossigeno. Ovviamente queste forme di miosina non hanno la stessa efficacia delle forme dell'adulto e quindi alla lunga anche questo meccanismo porta ad un’alterazione ulteriore. Il cuore scompensato poi ha anche un alterata produzione di energia, ridotta produzione di ATP che alla lunga può creare dei problemi e anche una ridotta espressione dei recettori. Di fatto, nel muscolo scompensato ci sono dei rimodellamenti ma ci sono anche dei meccanismi neurormonali che vengono messi in campo. Vengono attivati tutta una serie di assi (meccanismi neurormonali) che ci servono per controbilanciare lo scompenso cardiaco. Il primo è il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Questo si attiva in seguito alla riduzione della gittata cardiaca. Viene attivato soprattutto dal rene il quale ha un ruolo centrale nella gestione dell'omeostasi del liquido all'interno dell'organismo. La dilatazione dell'arteria renale afferente quando si viene a ridurre in conseguenza di una ridotta gittata cardiaca produce il rene una maggiore quantità di renina. La renina si trasforma in angiotensina, angiotensina 1 angiotensina 2, aldosterone, che hanno degli effetti sistemici. Infatti, l'attivazione di questo asse crea una vasocostrizione perché l'angiotensina 2 é un potente vasocostrittore periferico e serve appunto per far salire la pressione sistemica. L'aldosterone ha un'azione molto potente nella riduzione dei liquidi, mantenendo più liquidi all'interno dell'organismo in modo da aumentare il pre-carico. Questo asse viene attivato proprio per aumentare il pre-carico e il post-carico e quindi cercare di migliorare l'efficienza del sistema. Viene attivato anche il sistema nervoso adrenergico per aumentare le catecolamine circolanti e questo perché le catecolamine circolanti aumentano in maniera indiretta la contrattilità del cuore. Aumenta il post-carico però hanno anche degli effetti negativi: aumentano il rischio di aritmie, viene aumentata la produzione di vasopressina. Però, se noi abbiamo una riduzione della portata cardiaca abbiamo una riduzione della perfusione renale e viene attivato l'asse renina-angiotensina-aldosterone che porta la ritenzione idrosalina (l'aldosterone), la vasocostrizione (l'angiotensina); viene poi attivato anche l'asse neuro-ormonale del sistema nervoso simpatico che appunto porta all'aumento della vasocostrizione e della contrattilità. Tutti questi fenomeni hanno delle azioni anche negative nel lungo termine. Perché aumentare il post-carico e il pre-carico ci fa aumentare la contrattilità, ma se c'è una causa sottostante che ha portato alla riduzione della 115

contrattilità, l'aumento del pre-carico del post-carico aumenta il consumo di energia del muscolo. Alla lunga questo porta ad un'ulteriore perdita di miociti, e ad una ulteriore riduzione della funzione ventricolare. In periferia inoltre abbiamo visto prima una modificazione della cessione dell'ossigeno, con una riduzione della gittata cardiaca per favorire appunto gli organi Nobili. Tutti questi meccanismi che vengono attivati hanno un'azione a breve termine. La ritenzione di sodio e acqua serve appunto ad aumentare il pre-carico ed a aumentare la contrattilità, ma porta a lungo termine alla congestione polmonare. Si avrà quindi un accumulo di liquidi un po' in tutto l'organismo che poi potrebbero diventare un problema. La vasocostrizione che abbiamo visto essere utilizzata per aumentare il postcarico mantiene la pressione di perfusione ma alla lunga va a peggiorare la funzione della pompa. Aumenta la spesa energetica del cuore che tende progressivamente ad esaurirsi. E anche la stimolazione simpatica a breve termine aumenta la frequenza cardiaca, però anche qui aumenta il consumo energetico del cuore e quindi tende progressivamente ad esaurirsi. Quindi sono tutti i sistemi che vengono attivati dal cuore scompensato che all'inizio servono per cercare di mantenere lo status quo però alla lunga portano appunto all'insufficienza cardiaca e ai segni e sintomi appunto dell'insufficienza cardiaca. Si arriverà all'interessamento di tutti gli organi e per esempio avremo un peggioramento della funzionalità renale, dove il rene tenderà a danneggiarsi e ad essere meno perfuso, ma avremo anche accumulo di liquidi sul polmone che tenderà ad alterarsi è passivamente in maniera retrograda sul fegato che tenderà progressivamente a dilatarsi e ad aumentare di dimensioni. Quindi la funzione cardiaca rimane stabile per anni poi la progressione è inizialmente lenta per accelerare quando abbiamo esaurito i meccanismi di compenso. Il ventricolo andrà a dilatarsi, diminuirà il rapporto tra lo spessore parietale e la cavità, aumenta lo stress di parete del miocardio fin quando alla fine si scompensa. Quindi il cuore si rimodella progressivamente e anche dal punto di vista geometrico cambia la sua forma in una forma più sferica. Questa nuova forma porta ulteriormente ad un peggioramento della funzione perché il cuore sfrutta la sua forma geometrica per cercare di funzionare meglio.

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In pre-carico, cioè il riempimento del ventricolo sinistro, più il cuore si riempie e più il grado di generare forza, quindi cercherà di sfruttare questo meccanismo per cercare di generare una placca cardiaca maggiore; agirà sul post carico per dilatare la periferia, quindi ridurre le resistenze periferiche e quindi il carico da vincere ogni ciclo cardiaco. Questo lo fa utilizzando dei meccanismi neuroromonali, che sono legati alla ridotta perfusione renale che si viene a creare nella riduzione della placca cardiaca e quindi l’attivazione dell’asse renina-angiotensina-aldosterone, che agiscono su questi fronti, cioè l’aldosterone crea una ritenzione idrosalina e quindi trattiene liquidi all’interno dell’organismo e aumenta il pre-carico; l’angiotensina seconda agisce aumentando le resistenze periferiche per cercare di ridistribuire il flusso verso gli organi mobili. Poi viene attivata anche l’asse del sistema nervoso simpatico e quindi adrenalina e noradrenalina, per cercare di aumentare la contrattilità intrinseca del cuore e per agire sulla circolazione periferica. Aumenta però il consumo di ossigeno; aumenta il lavoro che il cuore deve fare e questo porta ad un ulteriore perdita di cellule; la formazione di una fibrosi e quindi l’irrigidimento del cuore e quindi alla lunga, un’ulteriore riduzione della funzione ventricolare, cioè un circolo vizioso che comunque sul breve periodo è positivo ma sul lungo periodo è negativo. Quello che succede in questi pazienti è l’inizio di una acidosi sistemica con l’effetto di modificare la liberazione di ossigeno nella periferia per poter dare più ossigeno agli tessuti periferici, visto che c’è una riduzione della gittata cardiaca. Come vi dicevo abbiamo una ritenzione idrosalina di sodio e acqua per aumentare il precarico, però questo alla lungo porta ad una congestione e quindi all’accumulo di liquidi eccessivo, cioè congestione polmonare e anche sistemica. Abbiamo la vasocostrizione, che serve per mantenere la pressione di iperfusione agli organi vitali, però alla lunga peggiora la funzione di pompa aumentando la spinta energetica cardiaca e poi abbiamo la stimolazione simpatica che serve per aumentare la frequenza cardiaca, la contrattilità ma anche questo alla lunga è negativo.

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FARMACI

Questi fenomeni sono importanti perché sono i punti chiave su cui noi dobbiamo agire con i farmaci; i farmaci per lo scompenso cardiaco sono farmaci mirati per cercare di controbilanciare l’accumulo di liquidi: - I Diuretici; i farmaci che bloccano l’asse renina-angiotensina-aldosterone che ci aiutano a far star meglio il paziente ma anche i farmaci che - BETA-BLOCCANTI: bloccano la circolazione simpatica, che quindi riducono e ribilanciano il sistema e sono positivi per il paziente con scompenso cardiaco.

Un che ilil cuore, cuore, essendo essendo una una pompa pompa alal centro centrodel delsisiUn altro altro concetto concetto importante importante èè che stema, il polmostema, èè certamente certamente interconnessa interconnessacon conanche anchegliglialtri altriorgani: organi:quindi quindicon con il polne, infatti avete visto che l’accumulo di liquidi si scarica sul polmone e questo lavomone, infatti avete visto che l’accumulo di liquidi si scarica sul polmone e questo rerà peggio, sarà sarà congesto; sul rene che che attiverà questi assi assi grazie alla alla ridotta perlavorerà peggio, congesto; sul rene attiverà questi grazie ridotta fusione renale, maggiore produzione di renina mama allaalla lunga avremo un un danno reperfusione renale, maggiore produzione di renina lunga avremo danno nale; mamaanche scaricherà sul sul fegato fegatoche che renale; ancheununeffetto effettodella dellacongestione congestioneche che poi poi si si scaricherà andrà incontro aa epatomegalia. epatomegalia. Quindi Quindi in in questi questi pazienti pazienti con con andrà progressivamente progressivamente incontro scompenso fatto la la funzione funzione cardiaca cardiaca può può rimanere rimanere stabile stabile per per anni, anni, scompenso cardiaco cardiaco di di fatto questi anni, inizialmente la progresquesti sistemi sistemi possono possonoaiutare aiutarea acontrobilanciare controbilanciareper per anni, inizialmente la prosione versoverso lo scompenso è lenta, peròperò poi poi ad un certo punto accelera e sie va ingressione lo scompenso è lenta, ad un certo punto accelera si va contro adad episodi di scompenso. Il ventricolo, sfruttando il pre-carico, tende proincontro episodi di scompenso. Il ventricolo, sfruttando il pre-carico, tende gressivamente a dilatarsi, diminuisce il rapporto tratra lo lo spessore della parete progressivamente a dilatarsi, diminuisce il rapporto spessore della paretee ela cavità, quindi amplifica lo stress sulsul muscolo e questo fa sifache il cuore si rimodelli, la cavità, quindi amplifica lo stress muscolo e questo si che il cuore si rimoperda la sualaforma e diventi sferico e tutto questo peggiora ulteriormente la fundelli, perda sua forma e diventi sferico e tutto questo peggiora ulteriormente la zione, poiché la forma del del cuore è una forma che che gli permette di funzionare mefunzione, poiché la forma cuore è una forma gli permette di funzionare glio e che serve perper mantenere la funzione in maniera efficace. La geometria del meglio e che serve mantenere la funzione in maniera efficace. La geometria ventricolo sinistro è molto importante proprio perché la la disposizione delle del ventricolo sinistro è molto importante proprio perché disposizione dellefibre ficardiache fanno si che funzioni grazie a quella geometria. bre cardiache fanno si che funzioni grazie a quella geometria.

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Quali sono le cause principali di insufficienza cardiaca? Come vedete la prima causa è legata alla cardiopatia ischemica, cioè i pazienti che hanno avuto un evento ischemico, quindi una perdita di cellule miocardiche, alla lunga possono andare incontro ad uno scompenso cardiaco; ma ancora altre patologie come la cardiomiopatie, patologie primitive del muscolo cardiaco di origine genetica, come la cardiomiopatia dilatati o ipertrofica; l’ipertensione polmonare, un’altra patologia che non è frequentissima ma quando è presente è una patologia grave; e le valvulopatie che abbiamo visto, quando ve ne ho parlato, le insufficienze, le stenosi valvolari, creano un sovraccarico di pressione sul cuore che alla lunga portano a scompenso cardiaco. Quindi i 2/3 dei pazienti che va incontro a scompenso cardiaco, in realtà ha poi una cardiomiopatia. Ricordatevi che la cardiomiopatia ischemica è la prima causa di morte ma anche lo scompenso cardiaco di fatto è una patologia importante come prima causa di ospedalizzazione. Le cause non ischemiche sono diverse, le abbiamo viste e accennate, ma ce ne sono altre come un’evoluzione della cardiomiopatia ipertensiva in un paziente che ha una ipertensione arteriosa ma controllata per tanti anni, alla lunga può andare incontro a: fibrosi, ipertrofia, aumento della rigidità del ventricolo sinistro e poi progressivamente verso uno scompenso cardiaco con il passare degli anni. Ma ancora oltre alle cardiomiopatie e alle valvulopatie di cui abbiamo già parlato, anche farmaci e TOSSINE possono portare ad uno scompenso cardiaco; farmaci che utilizziamo noi, come per esempio uno dei problemi che si sta verificando maggiormente sono i pazienti con scompenso cardiaco secondari a trattamenti oncologici: i farmaci oncologici sono sempre più efficaci proprio perché si stanno scoprendo nuovi farmaci sempre più efficaci verso il tumore, quindi i pazienti oncologici che sopravvivono alla neoplasia sono sempre di più, però molti di questi farmaci oltre a distruggere il tumore, hanno effetti tossici sul cuore e quindi il paziente magari sopravvive alla neoplasia ma va incontro allo scompenso cardiaco o ad un danno miocardico. Ancora tossine, gli alcolici, la droga, la cocaina o altre tossine come l’arsenico e il mercurio, possono danneggiare il muscolo cardiaco. Malattie endocrine come l’ipo e l’ipertiroidismo; ma anche infezioni come le miocarditi possono essere responsabili di un danno a carico del miocardio.

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TIPI DI INSUFFICIENZA CARDIACA Di fatto quando parliamo di insufficienza cardiaca, abbiamo visto le cause dal punto di vista eziologico, ma possiamo classificare l’insufficienza cardiaca sulla base del meccanismo che sta alla base dell’insufficienza cardiaca, infatti si può avere un’insufficienza cardiaca anterograda o retrograda: cioè parliamo di insufficienza cardiaca anterograda quando abbiamo una riduzione della gittata cardiaca, cioè il cuore non riesce a mandare il sangue necessario in circolo; retrograda invece è una aumentata rigidità del muscolo cardiaco che fa si che il cuore non riesce a riempirsi in maniera efficace, aumentano le pressioni di riempimento del cuore e quindi le pressioni si scaricano a monte, prima nei polmoni e poi sul cuore destro, e quindi di fatto abbiamo l’insufficienza cardiaca. Poi possiamo distingue l’insufficienza cardiaca in insufficienza del cuore sinistro e del cuore destro; l’insufficienza del cuore sinistro riguarda il ventricolo sinistro che è danneggiato e alla lunga determina congestione polmonare, nel senso che il sangue si accumula nel polmone e il primo segno è la dispnea; l’insufficienza cardiaca destra è tipica dei pazienti con ipertensione polmonare in cui abbiamo primitivamente un’alterazione del circolo polmonare,;aumentano le resistenze dei vasi arteriosi polmonari, e quindi dal cuore destro il sangue non riesce a passare al cuore sinistro poiché c’è un ostacolo a livello del circolo polmonare e quindi il cuore destro si dilata e deve esercitare, ad ogni battito, una forza maggiore; quindi il sinistro è sano e il destro è alterato e determina uno scompenso del cuore destro che determinerà, non una congestione polmonare poiché sangue arriva anche meno, ma una congestione sistemica, quindi edemi del circolo sistemico e un aumento delle pressioni sistemiche. Ancora possiamo distinguere uno scompenso di tipo diastolico o sistolico, di fatto lo scompenso sistolico è un deficit di pompa in cui il cuore non riesce a mandare il sangue in circolo; mentre nello scompenso di tipo diastolico, che è uno scompenso di cui ci siamo resi conto solo recentemente della sua importanza, la rigidità del ventricolo sinistro porta ad un aumento delle pressioni del ventricolo sinistro, alla lunga uno scompenso cardiaco anche se la funzione sistolica del cuore è normale; è una forma in aumento perché è una patologia tipica dell’anziano, la fibrosi del ventricolo sinistro e la rigidità del ventricolo sinistro porta a questo tipo di problema. Si è visto che rappresenta il 30-40% del totale degli scompensi cardiaci ed 120

è sicuramente più difficile da trattare perché è una forma data dalla rigidità del ventricolo sinistro e abbiamo pochi farmaci per poterla trattare. Dal punto di vista eziologico abbiamo le forme acute e le forme croniche: le forme acute possono essere con o senza insufficienza miocardica e quindi con o senza disfunzione ventricolare sinistra, e possono essere quelle da sovraccarico acuto di pressione e tipica è la crisi ipertensiva o l’ipertensione maligna, cioè un improvviso aumento delle resistenze periferiche in modo incontrollato, che porta ad una capacità del cuore di mandare sangue in circolo e si scompensa acutamente con insorgenza di edema polmonare. L’embolia polmonare, data dall’embolizzazione degli emboli dalla periferia verso il circolo polmonare, che crea un’ostruzione acuta del circolo polmonare e quindi uno scompenso del ventricolo destro; l’ipertensione polmonare invece cronica è una forma cronica. Possiamo avere ancora un sovraccarico del volume, che possiamo avere quando abbiamo una valvulopatia acuta come la rottura di una cuspide aortica, una endocardite di una valvola che porta ad un’improvvisa insufficienza aortica e quindi un sovraccarico del ventricolo sinistro che il cuore non riesce a gestire. Possiamo avere le forme acute con insufficienza miocardica, queste sono tipiche della perdita improvvisa di funzione e quindi tipiche dell’infarto acuto del miocardio, cioè un infarto di grande dimensioni fa si che una grossa fetta del muscolo cardiaco viene a mancare e il cuore non riesce a mandare più sangue in circolo e quindi si va incontro a shock cardiogeno; questo può avvenire anche per una infezione virale acuta del muscolo cardiaco, tipica nei giovani, che è una complicanza di una infezione cardiaca, così come possiamo avere una polmonite, possiamo avere anche una miocardite. La miocardite può essere anche molto grave, con una perdita grave di funzione del muscolo cardiaco che può portare allo shock cardiogeno e molte volte l’unico trattamento per questi pazienti, può essere il trapianto cardiaco. Ancora le forme croniche con e senza insufficienza miocardica; quando non hanno insufficienza miocardica in genere sono forme legate ad alta portata cioè a un iper lavoro del cuore e possiamo averlo per una tireotossicosi cioè una iperproduzione di ormoni tiroidei da parte della tiroide; oppure fistole arterovenose che legano sistema venoso e sistema arterioso e che portano ad un sovraccarico acuto di volume sul circolo arterioso. Ancora le forme di alterato riempimento e queste sono forme che irrigidiscono in maniera importante il cuore come le cardiopatie restrittive, che sono forme che fanno si che il cuore si restringa, diventa molto molto rigido, non riesce a riempirsi e si scompensa. Quelle da insufficienza miocardica sono forme da bassa gittata, cioè l’evoluzione finale di tante patologie come la car121

diopatia ipertensiva, le valvulopatie in stadio terminale, cardiopatie dilatative di vario origine, cioè cuori che alla lunga hanno un deficit di funzione molto importante che portano il paziente allo shock cardiaco. Quando parliamo di insufficienza cardiaca parliamo di una famiglia di patologie che di fatto sono tante le forme che possono portare a insufficienza cardiaca di tipo acuto e di tipo cronico, e di fatto è una patologia molto importante e anche di elevata prevalenza.

I sintomi: quand’è che dobbiamo sospettare l’insufficienza cardiaca? Uno dei primi sintomi è la dispnea, che è legata principalmente all’accumulo di liquidi e ad un sovraccarico di pressione che si scarica sul polmone quando il cuore diventa insufficiente; inizialmente sarà un’insufficienza da sforzo, cioè il paziente quando fa uno sforzo fisico aumentano le pressioni a monte, il cuore non riesce a pompare una quantità di sangue che gli viene richiesta quando aumentano le esigenze e questo porta ad aumentare le pressioni sul polmone e ad una dispnea da sforzo; progressivamente con l’andare avanti della patologia la dispnea aumenterà con sforzi minori fino ad avere una dispnea a riposo per sforzi minimi. Il paziente con uno scompenso più avanzato inizia ad avere anche l’ortopnea, cioè la dispnea nello stare in clinostatismo, cioè il paziente si corica e determina il ritorno venoso sul cuore, ma la pompa non riesce a gestire l’aumento di sangue che arriva verso il cuore, e quindi quando il paziente si corica, il paziente affanna e vedrete che cercherà di stare seduto o comunque col torace sollevato perché altrimenti aumenta la congestione e non riesce a respirare. Possiamo avere la dispnea parossistica notturna, anche questa legata ad una ridistribuzione del flusso legata alla notte, il paziente va a dormire, si corica e aumenta il ritorno venoso legato al clinostatismo e la ridistribuzione del flusso fa si che progressivamente aumentino le pressioni sul polmone, si crea un progressivo edema a livello peribronchiale e perialveolare, e improvvisamente il paziente non riesce più a respirare come si sveglia ha una dispnea acuta, si deve alzare in piedi per cercare di riuscire a respirare in maniera efficace, però l’edema che si è creato a livello peribronchiale e quindi alveolare, non passa immediatamente ma ci impiega 20-30 minuti per ritornare a respirare in maniera efficace; è un sintomo che il paziente lamenta con grande distress poiché viene svegliato durante la notte, non respira bene e non passa subito ma deve rimanere in piedi per un tempo abbastanza lungo per riuscire a stare di nuovo bene. Altri segni che ci devono far pensare ad uno scompenso cardiaco, sono la comparsa degli edemi, che sono la congestione di cui abbiamo parlato prima. Il fatto di avere un’aumentata ritenzione idrosalina per cercare di aumentare il precarico, alla 122

lunga porta alla comparsa degli edemi periferici. I pazienti poi avranno oliguria, cioè urineranno meno, poiché nel paziente scompensato si riduce anche la funzione renale e ci sarà una maggiore ritenzione di liquidi. Altri sintomi tipici sono: astenia, debolezza, la comparsa di palpitazioni che possono essere segni di aritmie associate a queste patologie che portano ad uno scompenso. Dal punto di vista clinico possiamo notare sul paziente segni abbastanza tipici, cioè: l’aumento della pressione venosa centrale, che possiamo vedere dalle giugulari, i vasi del collo saranno turgidi e ingranditi proprio perchè abbiamo un aumento delle pressioni venose centrali. Ma ancora nel torace possiamo sentire i rumori da stasi polmonare, cioè possiamo sentire delle crepitazioni facendo respirare il paziente, legate all’aumento di liquidi a livello polmonare. Ma poi il liquido non si accumula solo in periferia, a livello delle gambe, quello che vediamo immediatamente visitando il paziente, ma il liquido quando abbiamo anche edemi periferici, lo possiamo trovare a livello della pleura: quindi versamenti pleurici; a livello di altre sierose e a livello addominale, l’ascite. Il paziente con disfunzione ventricolare severa, sarà pallido, freddo, perché la perfusione periferica è ridotta dovuta alla vasocostrizione per ridistribuire il flusso verso gli organi nobili; il paziente avrà anche una sudorazione fredda, tipica di questi pazienti. Sarà inoltre tachicardico, la tachicardia legata all’attivazione neurormonale che appunto troveremo in quanto anche questo è un meccanismo di compenso. Interrogando il paziente si vedrà che il paziente con scompenso presenta molteplici fattori di rischio: storia di ipertensione, diabetico, fumatore e quindi che giustificano la presenza di cardiopatie ischemiche o altre patologie a livello cardiovascolare; anche la familiarità è importante da verificare poiché molto spesso il paziente presenta una storia di cardiopatia ischemica, valculopatia o altre. bisogna verificare la predisposizione a farmaci; pregresse chemioterapie che possono averlo portato allo scompenso cardiaco; l’assunzione di alcol o droghe o infezioni o malattie del connettivo che possono aver creato un danno al muscolo cardiaco. La dispnea è uno dei sintomi cardine, ne abbiamo già parlato e parliamo di dispnea da sforzo alla ortopnea, cioè il fatto che quando il paziente si corica dopo 1 o 2 minuti ha una fame d’aria importante, ma anche la dispnea parossistica notturna che, come vi ho detto, è legata ad un accumulo di liquidi più lento che procede molto più len123

tamente. Nelle fasi avanzate dello scompenso cardiaco abbiamo il paziente con dispnea a riposo, può essere legata a una disfunzione polmonare e cioè all’accumulo di liquidi a livello polmonare, con aumento delle resistenze nelle vie aeree. Ovviamente mentre un paziente con dispnea a riposo deve essere ospedalizzato, rischia di andare incontro a edema polmonare acuto che è un evento improvviso, più grave, che può portare a morte il paziente se non viene trattato immediatamente, è un’emergenza medica poiché il paziente ha un improvviso accumulo di liquido a livello polmonare, con una quantità di liquidi che si accumulano a livello degli alveoli e che porta a edema della membrana alveolo capillare, che non riesce più a scambiare e quindi il liquido aumenta, si interpone tra alveolo e capillari, non abbiamo più scambi poiché gli alveoli non funzionano e i liquidi si riversano negli alveoli. Il paziente con edema polmonare arriverà con schiuma alla bocca, i liquidi li vedremo con schiuma alla bocca rosata tipica di paziente con edema polmonare, quindi il paziente è come se stesse affogando, cioè non riesce più a respirare e sarà estremamente sofferente, tachipnoico, tachicardico, con estremità fredde e sudate. Altri sintomi accessori possono essere legati alla patologia di base come il dolore toracico che può essere presente se magari la causa principale è la cardiopatia ischemica e anche se c’è un’embolia polmonare possiamo avere un dolore toracico. Le palpitazioni che possono essere legate alle aritmie e anche ad una tachicardia sinusale, cioè al fatto che il paziente ha una frequenza cardiaca aumentata; la debolezza, l’astenia, l’intolleranza all’esercizio fisico legata alla perfusione dei muscoli periferici e oliguria e nicturia. L’oliguria è tipica dello scompenso terminale, c’è una bassa perfusione renale e quindi il paziente urinerà di meno ma anche legata alla ritenzione idrosalina; la nicturia è invece legata al fatto che il paziente con deficit di pompa la notte, quando sarà in posizione supina, avrà una migliore perfusione renale e quindi avremo un aumento della diuresi rispetto alle ore diurne in cui il paziente è in ortostatismo.

Nelle fasi avanzate possiamo avere anche sintomi da iperperfusione cerebrale con confusione mentale, disturbi della memoria, ansia, insonnia, psicosi, allucinazioni di vario tipo soprattutto nel paziente anziano. Riassumiamo i segni che troviamo nel paziente cardiaco: abbiamo il turgore delle giugulari; la cianosi periferica che vediamo nel viso e nella periferia del paziente; pallore e molte volte anche l’ittero perché avremo una epatomegalia con aumento delle pressioni, un aumento del volume di liquidi a livello epatico e quindi il fegato tenderà ad ingrandirsi e a funzio124

nare male; possiamo avere ascite, edemi declivi e negli stadi più avanzati terminali avremo una cachessia del paziente. Ci sono tutta una serie di sintomi che possono essere notati nel paziente dal punto di vista obiettivo, sono sintomi tipici della patologia di base che possono essere sia a livello cardiaco che a livello polmonare; già alla prima visita dobbiamo notare epatomegalia, edema a livello periferico.

ESAMI LABORATORIO: Dal punto di vista del laboratorio è necessario fare degli esami importanti, il paziente con scompenso cardiaco avrà una serie di alterazioni che possono essere legate alla patologia di base che l’ha portato allo scompenso: per esempio se esegue una tireotossicosi possiamo vedere un aumento degli ormoni tiroidei, ma abbiamo a disposizione un esame di laboratorio che ci può dare un idea sul fatto che il paziente ha uno scompenso cardiaco ed è il dosaggio del BNP, o del suo precursore il pro-bnp, che è il peptide natriuretico atriale, cioè un peptide che aumenta la sua concentrazione quando aumentano le pressioni di riempimento del cuore quando il cuore si dilata. A cosa serve? Ha un effetto diuretico molto importante ed è un altro ormone che utilizza il cuore per ridurre le pressioni di riempimento quando il cuore si riempie in maniera eccessiva; è un ormone che nel paziente scompensato troviamo aumentato, quindi un paziente che arriva in ps con edema, il livello di bnp ci può dare un’idea su quale può essere la diagnosi; se troviamo un bnp normale, è molto verosimile che il paziente non abbia uno scompenso cardiaco ma magari ha una polmonite o altra patologia che gli ha determinato dipnea. Quando il bnp è aumentato sappiamo che abbiamo un sovraccarico del volume di pressione sul cuore però magari quella dispnea non è solo legata al cuore, quindi se è basso non è il cuore, mentre se è alto abbiamo sicuramente pressioni aumentate ma non necessariamente quella dispnea è cardiogena; questo perchè il paziente con scompenso, cioè un paziente che ha cardiopatia post ischemica anche quando è ricompensato, cioè quando sta bene, comunque il bnp è alto e rimarrà alto cronicamente e non ci permette di fare una diagnosi, però sicuramente è uno strumento utile poiché il paziente che non ha una cardiopatia di base ci può permettere di distinguere il paziente con scompenso cardiaco rispetto a quello che non è scompensato. Quindi il BNP è peptide composto da 32 amminoacidi che viene liberato dal miocardio ventricolare e atriale e la sua liberazione è direttamente proporzionale al sovraccarico di volume di pressione ventricolare e quindi ci può aiutare a fare la diagnosi. 125

ESAMI STRUMENTALI: Altri esami strumentali sono quelli di cui abbiamo già parlato e che utilizziamo anche nelle altre patologie, partiamo sempre da quello meno invasivo, quello più semplice da fare: l’elettrocardiogramma che ci può già dare delle informazioni e quindi mettere in evidenza se ci sono alterazioni di base; l’RX torace che ci farà vedere i segni di sovraccarico e l’ecografia fondamentale che ci fa vedere la patologia di base, le dimensioni del cuore e effettivamente se c’è una problematica a livello cardiaco. L’RX torace che ci fa vedere la presenza di epatomegalia, congestione polmonare, eventuali versamenti pleurici, e ci permette di escludere altre cause di dispnea come la polmonite. L’ecografia è sicuramente un esame che non può mancare poiché vediamo direttamente il cuore in maniera rapida, i volumi e la presenza della funzione, le pressioni di riempimento che possiamo andare a misurare e quindi riusciamo a capire se il responsabile di quel quadro clinico è il cuore. Poi sono selezionati gli esami di approfondimento che ci servono per capire meglio, in un determinato paziente, cosa c’è e cosa possiamo fare: angiografia coronarica, risonanza magnetica, la tac delle coronarie, la scintigrafia, una biopsia miocardica se sospettiamo una miocardite. Sono importanti, nel paziente con scompenso, i test di valutazione funzionale sono il test del cammino e il test cardiopolmonare. Il test del cammino è molto semplice che viene utilizzato per la sua semplicità e può essere utilizzato da chiunque anche non cardiologi che possono fare una valutazione funzionale del paziente, e di fatto si fa camminare il paziente per 6 minuti, viene fatto anche in un corridoio di una certa lunghezza e si fa passeggiare il paziente avanti e indietro per sei minuti, la distanza che il paziente percorre senza fermarsi ci darà una indicazione della capacitò fisica, ovviamente stiamo prendendo in considerazione pazienti con una ridotta capacità fisica e quindi non riescono a fare tutti i 6 minuti senza fermarsi. Un test molto più specifico è il test cardio-polmonare in cui facciamo fare un esercizio fisico al paziente in genere con una cyclette e durante l’attività misuriamo i gas che il paziente respira e quindi il consumo di ossigeno e siamo in grado di avere tutta una serie di informazioni importanti su quel paziente che ci dicono come funziona il sistema cardiovascolare di quel paziente. Misurare il volume di ossigeno massimale è importante per rilevare uno scompenso cardiaco avanzato e per capire se ha l’indicazione per il trapianto cardiaco oppure no. 126

Vengono misurati tanti parametri legati alla CO2 emessa, alla soglia anaerobica che siamo in grado di misurare e quindi ci dà tante informazioni sulla funzione cardiovascolare e sul sistema. Il parametro più importante però è il consumo di O2 che cambia in relazione alla funzione cardiovascolare. Viene fatta anche negli atleti poiché ci permette di misurare la soglia anaerobica il test cardiopolmonare che cambierà in base al tipo di atleta, c’è uno shifting poiché i nostri muscoli producono quando si passa da un metabolismo muscolare aerobico a uno anaerobico, inizia a produrre acido lattico che possiamo andare a valutare. La soglia anaerobica quando abbiamo lo shift, cioè quando il consumo di ossigeno e produzione di energia anaerobica ci dice lo stato di allenamento. Questa Questa èèuna unaclassificazione classificazioneimportante, importante,lala“New “NewYork Yorkheart heartassociation”, association”,che checicidice diin lo stadio clinico del paziente, è molto semplice e ci dàe un’idea della della ce4instadi 4 stadi lo stadio clinico del paziente, è molto semplice ci dà un’idea condizione condizione del delpaziente: paziente:stadio stadio11ililpaziente pazientesta stabene, bene,non nonhahanessuna nessunalimitazione limitazione all’attività non causa debolezza, palpitazioni, dispnea all’attività fisica, fisica,l’attività l’attivitàfisica fisicaordinaria ordinaria non causa debolezza, palpitazioni, disepnea quindi non causa la classe è il primo scompenso in cui abbiamo e quindi non sintomi; causa sintomi; la 2classe 2 è ilstadio primodistadio di scompenso in cui solo una lieve all’attività all’attività fisica mentre l’attività ordinaria abbiamo solo limitazione una lieve limitazione fisica mentrefisica l’attività fisicacausa ordinaria astenia, palpitazioni e dispnea; classe 3 abbiamo marcata difficoltà nell’attività causa astenia, palpitazioni e dispnea; classe 3una abbiamo una marcata difficoltà fisica, non abbiamo sintomi a riposo ma basta unama lieve attività averli;fisica la nell’attività fisica, non abbiamo sintomi a riposo basta unafisica lieveper attività classe 4 è uno stadio4più avanzato cuiavanzato abbiamoin sintomi a ripososintomi e anchea un per averli; la classe è uno stadioinpiù cui abbiamo riposo e minimo movimento crea sintomi al sintomi paziente.al paziente. anche un minimo movimento crea Un fatto importante è che queste patologie vanno incontro a ospedalizzazioni successive, questi pazienti hanno ricoveri successivi, uno dietro l’altro e sempre più ravvicinati man mano che va avanti la patologia, di fatto ci sono tutta una serie di fattori precipitanti e aggravanti della patologia: al primo posto la mancata collaborazione del paziente, il paziente anziano magari riesce a stare in una fase di compenso grazie alla terapia che gli diamo ma magari si dimentica o si riduce la terapia perchè magari, secondo lui, prende troppe pastiglie (ci sono pazienti che prendono 12 ma anche 15 pastiglie al giorno) e quindi possono tendere a farsi degli sconti e togliere dei farmaci, uno che tolgono facilmente è il diuretico che serve per ridurre la congestione, però per il paziente sicuramente non è il farmaco più comodo poiché li fa urinare in maniera abbondante e magari non riescono ad uscire di casa la mattina e non la assumono con grande desiderio e tendono a ridurselo e andare incontro a congestione; ma anche il controllo della pressione arteriosa può far precipitare la situazione, se non si ha un buon controllo questa aumenta e il precarico sarà aumentato e il paziente si scompensa, oppure in estate una eccessiva disidratazione che può portare il paziente a scompenso. 127

Tra i fattori precipitanti e aggravanti ci sono anche patologie concomitanti, cioè il paziente banalmente si fa un’influenza, ha febbre e astenia che possono far precipitare la situazione. Si consiglia di fare il vaccino antinfluenzale ogni anno, proprio perché sono questi i pazienti che durante l’inverno a causa di un’influenza possono morire, perché è una condizione di equilibrio già labile che può far precipitare la situazione; ma anche l’anemia, diabete mal controllato, disfunzione renale, alterazione della tiroide o anche un eccessivo stress fisico che può portare ad una precipitazione.

TRATTAMENTO: Di fatto il trattamento dello scompenso cardiaco si divide in scompenso cardiaco cronico e acuto; -In quello acuto sono spesso emergenze in cui si deve cercare di trattare la causa che ha scatenato lo scompenso, se ha preso un’infezione, un’embolia polmonare, per cercare di ripristinare la situazione. I farmaci più utilizzati quando il paziente viene ospedalizzato sono i diuretici perché all’inizio il paziente avrà un sovraccarico importante di liquidi; in genere si utilizzano diuretici dell’ansa per via endovenosa e sono fondamentali per ridurre e ricompensare il paziente. Nelle fasi più avanzate i farmaci non riescono più a stabilizzare il paziente e possono essere necessari interventi accessori meccanici, esistono delle Device che aiutano la funzione di pompa. -Il trattamento cronico è cercare di far star meglio il paziente e far durare i periodi di stabilità clinica e ridurre quindi la progressione della malattia, si parte da un cambiamento dello stile di vita, al trattamento farmacologico efficace e negli stadi più avanzati ai dispositivi impiantabili che possono aiutare a far durare la sopravvivenza. Sicuramente si passa inizialmente da un trattamento non farmacologico, con cambiamento dello stile di vita, ridurre il sale, gli alcolici e il peso corporeo e abolire i fattori che possono peggiorare la situazione abolire la sigaretta, fare i vaccini ma anche la riabilitazione cardiaca; si è visto che l’esercizio fisico non ha un effetto negativo su questi pazienti, anzi, fare un programma di riabilitazione può far migliorare la situazione. Infine i farmaci che possono bloccare quei sistemi che sono alterati: sistema renina-angiotensina, quindi ace-inibitori e sartani; l’asse simpatico e quindi betabloccanti e diuretici, che vanno dai diuretici dell’ansa fino agli antagonisti dell’aldosterone e vasodilatatori; gli ido farmaci inotropi invece non vengono quasi mai utilizzati poiché hanno un effetto a lungo termine negativo; gli anticoagu128

lanti in pazienti con cuori marcatamente dilatati sono importanti per evitare trombosi endoventricolari. Uno dei Device che viene utilizzato più spesso in paziente con scompenso avanzato è il defibrillatore, il paziente con scompenso avanzato che ha una funzione inferiore al 35%, la frazione di funzione normale è intorno al 60% e quando scende sotto la metà, intorno al 35%, la funzione di pompa del cuore aumenta il rischio di morte improvvisa, cioè legata ad aritmie maligne improvvise e quindi questi pazienti hanno l’indicazione all’impianto di un defibrillatore che viene impiantato sotto cute come il pacemaker, e se il paziente ha una aritmia mortale la riconosce e defibrilla il paziente e gli salva la vita. La risincronizzazione del cuore, cioè il fatto di utilizzare e sincronizzare i due ventricoli, quando lo scompenso è molto avanzato in genere i due ventricoli si contraggono in maniera sincrona e quindi risincronizzandoli migliora la funzione; e ancora la terapia chirurgica trattando il paziente con rivascolarizzazione, trattando le valvole può aiutarci a risolvere scompensi creati dalle valvulopatie e trattamenti di supporto di circolo che vengono utilizzati nelle prime fasi: pulsatole portico, cioè un pallone che si gonfia in aorta e migliora la perfusione periferica e delle coronarie. Nelle fasi terminali della malattia la pompa non ce la fa più e quello che sta cambiando negli ultimi anni è il fatto che abbiamo a disposizione dei Device di assistenza di circolo, cioè pompe che vengono impiantate e che favorisco la circolazione e la funzionalità cardiaca e queste pompe sono sempre più efficaci.. Infine, il trapianto cardiaco che è una soluzione efficace che può essere definitiva, ovviamente ci possono essere indicazioni e limitazioni specifiche perché il paziente non può essere troppo anziano, non deve avere patologie di altri organi poiché ci potrebbe essere una bassa probabilità di sopravvivenza.

La prognosi dello scompenso cardiaco: dovete ricordare che la malattia è progressiva, non sempre la prognosi è prevedibile però sappiamo che quando il paziente non ha congestione, l’80% riesce a sopravvivere un anno ma scende fino al 50% quando sono pazienti con sintomi refrattari, cioè quando la terapia è inefficace e la sopravvivenza è un anno solo nella metà dei pazienti; quando la funzione è molto depressa, la prognosi peggiora notevolmente e questi sono casi di elevata mortalità. 129

LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA E L'EMBOLIA POLMONARE

Patologia che interessa il distretto venoso. Il sistema venoso periferico viene definito un apparato di CAPACITANZA questo perchè il 70% del volume totale del sangue si trova appunto qui, nel sistema venoso, il quale si costringe durante gli stati di ipovolemia e cerca di contrastare gli effetti gravitazionali legati alla distribuzione del sangue legati appunto al fatto che passiamo buona parte del nostro tempo in posizione eretta. Distribuzione del sangue nell'organismo: nei polmoni circa il 15% di sangue, nel sistema arterioso il 10%, nel letto capillare un 10% e il 70% si trova nel distretto venoso. Il sangue nel sistema cardiocircolatorio parte dal cuore e va in periferia attraverso il distetto arterioso e qui avvengono gli scambi periferici e poi ritorno al cuore attraverso il sistema venoso per essere riossigenato.

Come torna il sangue al cuore? Essendo un sistema a bassa pressione esistono dei meccanismi che vengono utilizzati per cercare di favorire il ritorno del sangue al cuore. I sistemi principali sono la pompa respiratoria (quando noi respiriamo creiamo un gradiente di pressione all'interno del torace NEGATIVO che favorisce il ritorno del sangue verso il cuore), la pompa muscolare e la pompa plantare che spingono il sangue verso il cuore grazie a un sistema valvolare che fa in modo che il sangue non torni indietro e che venga bloccato appunto dall'azione delle valvole. Il ritorno del sangue al cuore dx è un "problema" perchè quando noi siamo in posizione eretta il sangue è come se dovesse risalire e farlo non è cosi semplice ed è per questo che viene aiutato dalla pompa muscolare che è quella che ha il ruolo più importante in assoluto. La presenza della fascia muscolare costringe muscoli e vasi in uno spazio ben ristretto e quando i muscoli si contraggono vanno a schiacciare le vene e spingono il sangue verso l'alto il quale non tenderà a tornare verso il basso perchè bloccato dal sistema valvolare. Il sistema arteriso 130

invece avendo un'elevata pressione non è comprimibile. Avviene inoltre una risposta tonica della parete vasale la quale possiede una tonaca muscolare che in generale non è molto efficace ma il linea di massima aiuta nella risalita del sangue al cuore dx. Anche la sistole fa in modo che i vasi venosi vengano schiacciati e quindi anche il sistema arterioso, attraverso la sistole, aiuta nella risalita del sangue al cuore dx. La pressione venosa si modifica con i cambi di postura (pressione in posizione seduta di 50/60 mmHg, 100 mmHg in posizione eretta). Questo sistema è predisposto alla stasi perchè è comunque molto legato al fatto che noi ci muoviamo e quindi al fatto che la pompa muscolare funzioni. Se noi non dovessimo muoverci ovviamente una buona parte del volume ematico resterebbe in periferia e quindi negli arti inferiori provocando un aumento della pressione idrostatica e della pressione oncotica e così il sangue finirebbe per stravasare verso l'interstizio.

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LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA (TVP) Si formano dei trombi all'interno dei vasi e questo può essere legato a uno squilibrio dei fattori pro trombotici e trombo resistenti dell'organismo ma fondamentalmente i fattori pro trombotici sono legati anche alla stasi stessa e quindi al fatto che ci sia un evento emodinamico che crei un rallentamento critico del sistema. Possono esserci quindi cause coagulative o cause strutturali o anche a causa del sistema fibrinolitico endogeno. I trombi tendono a formarsi principalmente in presenza di stasi e quindi quando non c'è un buon movimento del sangue e si formano principalmente a livello delle cuspidi dove il sangue si accumula. Ovviamente quando le dimensioni del trombo si fanno importanti, questo crea un occlusione del vaso venoso e fa si che il vaso venoso stesso si alteri in quanto si dilaterà e tenderà a danneggiare le valvole in quella zona. Il danneggiamento valvolare farà si che il sangue non verrà bloccato a modo e questo causerà un insufficienza venosa in quanto il sangue non riuscirà a tornare al cuore dx in modo adatto. Il fatto che si formino i trombi a livello periferico è collegato allo stato del flusso ematico, del sistema di coagulazione e del sistema fibrinolitico.

Quando possiamo avere questo tipo di alterazioni? Effettivamente ci possono essere condizioni anatomiche funzionali che possono favorire il processo di coagulazione. Per prima cosa l'ostacolo al flusso ematico; ci sono delle strutture anatomiche nell'organismo (soprattutto a livello delle arterie iliache, dove incrociano gli ureteri, a livello del legamento inguinale e nelle arterie femorali o a livello del polpaccio nel legamento tendineo del soleo) o anche la presenza di varici, di incontinenza venosa che possono favorire la stasi periferica e ridurre quindi il ritorno venoso. Da non sottovalutare anche il poco movimento perchè anche questo, come gia detto precedentemente, può favorire la stasi periferica. Bisogna stare attenti ai pz allettati i quali non utilizzano la pompa muscolare perchè non si muovono e spesso hanno anche una riduzione dell'inspirazione toracica e ventilano in maniera non efficace sia da coricati che da seduti e per 132

questo incorrono più facilmente in una condizione di stasi. Ci sono anche delle condizioni di ipercoagulabilità che possono essere legate a difetti congeniti/familiari di alcune proteine del sistema di coagulazione. Un altro fattore da tenere in considerazione che può favorire la coagulazione è la presenza di infezioni o della gravidanza.

Esistono patologie che influiscono sulla condizione di ipercoagulabilità come ad esempio le neoplasie. Si è visto che il pz neoplastico tende ad avere più frequentemente una trombosi venosa profonda e incorre maggiormente nel rischio di avere un embolia polmonare ovvero quando i trombi si staccano e vanno nel circolo polmonare. Le cause sono diverse: è sia dovuto a una compressione meccanica che crea stasi (un tumore e quindi una massa che si forma nell'organismo può andare a comprimere dei vasi e impedire il reflusso del sangue verso il cuore) oppure un'attivazione diretta dei meccanismi di coagulazione. Si producono infatti tutta una serie di preoteasi che attivano la trombina, vengono liberate sostanze trombo plastiche e attivazione del sistema infiammatorio con macrofagi e monociti che hanno attività pro coagulante. Quindi fondamentale ricordare che il pz neoplastico è un paziente ad alto rischio di trombosi venosa profonda e embolia polmonare. La gavidanza è un fattore di rischio in quanto l'utero gravidico può andare a comprimere il sistema venoso a livello addominale e favorire la stasi. Vengono attivati fattori che modificano il sistema di coagulazione perchè la donna si deve preparare al parto e quindi a uno shock emorragico e quindi l'organismo si prepara a non avere una emorragia eccessiva. L'alto rischio di trombosi venosa profonda e embolia polmonare nelle donne gravide è strettamente legato all'età e al fatto che abbiano altre patologie come l'ipertensione arteriosa. Altri fattori come i contraccettivi orali possono favorire l'iper coagulabilità, aumentano la viscosità del sangue, riducono la disponibilità delle emazie. Il pz con insufficienza cardiaca o che ha avuto un infarto e che quindi ha una ridotta perfusione periferica può aumentare il rischio trombotico e anche soprattutto se il pz si muove poco o comunque di meno. Fondamentalmente la stasi e 133

l'immobilizzazione favoriscono la formazione di trombi piastrinici. Un'altra condizione a cui bisogna prestare attenzione è quella del pz chirurgico il quale è particolarmente soggetto a questi eventi trombotici post intervento. Soprattutto se tratta di un pz chirurgico neoplastico o in età avanzata in quanto l'intervento e la manipolazione chirurgica dei tessuti favorisce un danno al sistema venoso e quindi favorisce la formazione di trombi. Nella fase post operatoria vengono dati farmaci anti coagulanti e vengono messe delle calze anti trombo per comprimere i vasi e evitare che si formi una stasi periferica, in questo modo si riduce al minimo il rischio di incorrere in queste patologie fino a ora citate. Patologie renali, epatiche e malattie autoimmuni possono favorire anch'esse la iper coagulabilità.

Qual'è il problema della trombosi venosa profonda? I trombi che si possono formare in periferia danno un danno periferico che possiamo riconoscere (ad esempio negli arti inferiori avremo edema, dolorabilità dell'arto, ingrossamento e arrossamento dell'arto) ma spesso non è così semplice induviduarli, soprattutto se i trombi si formano a livello dei vasi addominali. In questi casi il rischio è rappresentato da quella che è la complicanza maggiore ovvero l'EMBOLIA POLMONARE. Nel momento in cui il pz viene rimobilizzato è possibile che questi trombi formatisi si stacchino e vadano ad occludere le arterie polmonari.

DIAGNOSI: Quando la trombosi venosa è a livello degli arti inferiori la diagnosi si fa con un ecografia dove andiamo a vedere la presenza del trombo. Con la sonda ultrasonora si vanno a vedere i vasi venosi e si prova con la sonda a comprimere il vaso. I vasi venosi sono facilmente comprimibili, se non si riesce a comprimerli vuol dire che c'è il trombo al suo interno. Un altro dato da ricordare è che dal punto di vista laboratoristico quando abbiamo una trombosi venosa profonda e un'embolia polmonare, abbiamo un aumento del DIDIMERO. Il didimero lo si può misurare con gli esami del samgue e lo si può avere aumentato in tante altre patologie croniche come quelle renali ma quando questo valore è negativo sicuramente esclude la presenza di trombosi venosa o embolia polmanre. 134

EMBOLIA POLMONARE E' la patologia più grave che si orirgina da trombosi venosa profonda. I fattori di rischio e l'eziologia sono identica a quella della trombosi. Questa patologia è legata all'occlusione acuta di un'arteria polmonare e la gravità a livello clinico sarà data dalle dimensioni di questo trombo: se i trombi sono piccoli e occludono pochi vasi a valle del circolo polmonare il circolo polmanre riesce comunque a sopportare una perdita del flusso; se l'occlusione è a livello dei grossi vasi polmonari abbiamo una situazione più importante. L'incidenza è bassa e la mortalità alta in quanto spesso è difficile diagnosticare questa patologia. La metà dei pz hanno una TVP pelvica o comunque prossimale e asintomatiche e per questo è più difficile fare la disgnosi. Nei pz con embolia pomonare abbiamo un occlusione che determina una riduzione importante del flusso sanguigno e un aumento delle resistenze arteriose polmonari, questo fa si che il cuore dx troverà un'aumentata resistenza e non riusirà più a spingere il sangue verso il circolo polmonare. Questa situazione fa si che il ventricolo dx si dilati e questa dilatazione crea problemi in quanto la parete del ventricolo dx è piu sottile di quella del ventricolo sx e non è quindi in grado di generare grande forza di contrazione in modo rapido e veloce. In questi pazienti avremo un aumento degli MP e l'aumento del volume del cuore dx sarà a discapito del cuore sx, infatti questo verrà schiacciato e non riuscirà più a riempirsi, gli arriverà meno sangue e questo causerà una riduzione improvvisa della gittata sistolica e quindi un improvviso scompenso biventricolare. Per poter fare la diagnosi al pz è necessario tenere in considerazione il fatto che quest‘ultimo possieda una malattia venosa, se sia stato rimobilizzato, se ha un insufficienza cardiaca o polmonare cronica, anche se una parte di pz non ha nessuna di queste condizioni predisponenti. Esistono diverse forme cliniche legate all'embolia polmonare acuta che si può risolvere spontaneamente o con terapia, in questo caso si ha un embolia massiva e questa se non trattata ha un alta mortalità e alle volte possono subentrare 135

complicanze come l'infarto polmonare. Quando si hanno embolie ricorrenti e non massive il quadro clinico può non essere riconosciuto e questi pz possono evolvere verso un cuore polmonare cronico cioè una parte del circolo venoso resta ostruito, il pz guarisce ma in maniera incompleta, aumentano quindi le pressioni a carico del cuore dx e alla lunga andrà incontro a uno scompenso dx.

-SINTOMI: I sintomi di questa patologia sono dispnea, cianosi, dolore toracico, può esordire con la sincope (il pz sviene perche gli emboli occludono il circolo venoso, il cuore dx si dilata a discapito del sx, crolla la pressione sistemica). Le forme di gravità intermedia che presentano spesso dolore toracico ci consentono di avere più tempo per fare la diagnosi.

-DIAGNOSI: La diagnosi si fa tenendo conto della storia del pz, l'ECG e l'emogas analisi che ci fa vedere un'alterazione della pressione dell'ossigeno a livello alveoloarterioso. Identificare un trompo in periferia ovviamente aiuta nella diagnosi e anche l'ecografia del cuore può farci vedere la dilatazione del cuore dx, lo schiacciamento del cuore sx e alle volte si possono vedere anche i trombi. Quando non si ha la dilatazione del ventricolo dx la diagnosi si fa con un angiotac che ci fa vedere il circolo arterioso polmonare e i difetti. La scintigrafia polmonare infusionale ventilatoria è un esame che ci consente di vedere la ventilazione degli alveoli, la perfusione degli alveoli e le differenze, cioè vedremo zone ventilate ma non perfuse. Se invece alla base del danno c'è una patologia polmonare avremo delle zone non ventilate e non perfuse.

-TERAPIA: La terapia è rappresentata fondamentalmente da anticoagulanti come l'eparina; nelle forme più massive la trombolisi che ci permette di sciogliere in trombo. Ultimamente si è visto che anche le forme croniche possono essere trattate chirurgicamente.

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