Argentina Military History 1700-1824

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Virgilio Ilari

STORIA MILITARE DELL’ARGETIA

I. DA CEVALLOS A YRIGOYE (1758 - 1917)

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IDICE I - LA DIFESA DELLA COLONIA SPAGNOLA (1631-1810)

1. La colonia spagnola del Plata (1536-1810). - 2. Il fronte brasiliano (16801763). - 3. La spedizione di Cevallos, la milizia e la minaccia inglese (1764-83). - 4. La frontiera interna (1777-96). - 5. L’invasione inglese (1796-1807). - 6. La caduta del governo vicereale (1808-10). - Bibliografia.

II - LA DIFESA DELLA RIVOLUZIONE (1810-1817)

1. L’offensiva rivoluzionaria (1810-11). - 2. Le campagne di Asuncion e di Montevideo (1810-11). - 3. La Patria en peligro (1811-12). 4. La vittoria di Tucuman (1812) - 5. Il nuovo ordinamento dell’esercito (1813). - 6. La fallita offensiva su Lima e la presa di Montevideo (1812-14). 7. Il fronte del Pacifico (1814). 8. - La caduta di Alvear e la sconfitta di Sipe-Sipe (1815). - 9. La guerra contro Artigas e l’invasione portoghese (181617).

III - LA LIBERAZIONE DEL CILE E DEL PERU (1817-1824)

1. La preparazione dell’offensiva andina (1814-16). - 2. La liberazione del Cile (1817-19). - 3. L’implosione dell’Argentina (1817-24). - 4. La liberazione del Peru (182024). Bibliografia del II e III capitolo.

IV - PROVINCE DISUNITE E DIFESA DELLE FRONTIERE (1825-1847)

1. L’esercito della Provincia di Buenos Aires (1820-25). - 2. L’Ejército 2acional e la guerra contro il Brasile (1825-28). - 3. La guerra civile e la vittoria federale (1826-31). 4. La politica militare del generale Rosas (1829-34). - 5. L’occupazione inglese delle Malvine, la guerra contro la Bolivia, la difesa della frontiera indiana e il conflitto con la Francia (1831-39).

V - LA DIFESA DELLA CONFEDERAZIONE (1840-50)

1. L’invasione dei fuoriusciti (1840-41). 2. L’assedio di Montevideo e la sconfitta di Rivera (1842-44). 3. L’intervento anglo-francese e la vittoria di Rosas e Urquiza (184550).

VI - LA QUESTIONE PORTEGNA (1848-61)

1. La battaglia di Monte Caseros (1851-52). - 2. La secessione bonearense (185259). - 3. La guerra di unità nazionale (1859-63). Bibliografia del IV-VI capitolo.

VII - LA GUERRA DEL PARAGUAY (1865-70)

3 1. La Triplice Alleanza (1864-65). - 2. La Sebastopoli del Sudamerica (1866-67). 3. Il fronte interno (1866-67). 4. L’offensiva alleata e la ritirata paraguaiana (1867-68). - 5. La vittoria mutilata (1869-70).

VIII - LA CONQUISTA DELLE FRONTIERE E LA FEDERALIZZAZIONE DI BUENOS AIRES (1870-80)

1. La difesa dell’unità nazionale. - 2. La conquista del deserto. - 3. La federalizzazione di Buenos Aires. - 4. Le frontiere naturali.

IX - L’EJERCITO E L’ARMADA DA ROCA A ROCA (1881-1902)

1. Le riforme militari degli anni Ottanta. - 2. La politica degli anni 2ovanta. 3. Pace armata sulle Ande. 4. La parità navale col Cile.

X - LA POLITICA MILITARE DEL REGIME CONSERVATORE (1900-1916)

1. Da Roca ad Yrigoyen. - 2. La politica estera e militare. - 3. Lo Stato maggiore. 4. Le truppe. - 5. Marina ed aviazione. Bibliografia del VII-X capitolo.

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I - LA DIFESA DELLA COLOIA SPAGOLA DEL RIO DE LA PLATA (1631-1810)

SOMMARIO: 1. La colonia spagnola del Plata (1536-1810). - 2. Il fronte brasiliano (1680-1763). - 3. La spedizione di Cevallos, la milizia e la minaccia inglese (1764-83). - 4. La frontiera interna (1777-96). - 5. L’invasione inglese (1796-1807). - 6. La caduta del governo vicereale (1808-10). - Bibliografia.

1. LA COLONIA SPAGNOLA DEL PLATA La Provincia di Buenos Aires (1536-1778) La Plata, esplorata nel 1516 da Juan Diaz de Solis e poi battezzata da Sebastiano Caboto, fu colonizzata una prima volta da Pedro de Mendoza, sbarcato il 2 marzo 1536 nel posto dove sarebbe sorta Nuestra Segnora de Buenos Aires. La spedizione, trasportata da 14 vascelli, contava 76 cavalli, 150 tedeschi e fiamminghi e 2.500 “spagnoli” (tra cui l’alfiere cagliaritano Leonardo Grifeo e un membro della famiglia patrizia genovese Centurione, perito nell’impresa). La spedizione fu accolta ostilmente dagli indios, provocando una spedizione punitiva, tornata in maggio decimata e demoralizzata. Respinto il 15 giugno un primo assalto, il 24 gli spagnoli finirono accerchiati e costretti a spostarsi in un fortino appena costruito nelle vicinanze (Corpus Christi). In settembre Mendoza ne impiantò un secondo (Buena Esperanza), ma nell’aprile 1537, già gravemente malato, si imbarcò per la Spagna, che non fece in tempo a rivedere. Rimasto al comando, Juan de Ayolas utilizzò Buenos Aires come base per l’esplorazione del Paranà e del Paraguay e per la fondazione di Asuncion, dove nel 1541 trasferì i superstiti della colonia bonearense. Nei decenni successivi da Asuncion si irradiò una nuova colonizzazione fluviale, con la fondazione di Santa Fe. Nel 1573 una spedizione guidata da Juan de Garay impiantò i primi insediamenti permanenti e, nel 1580, riedificò Buenos Aires, un pugno di casupole attorno ad un fortino, per difendersi contro gli indios e i corsari inglesi. Nel 1588, su proposta del governatore Ramirez de Velasco, la zona andina di Cuyo (Mendoza) fu separata dalla Capitania General del Cile e resa autonoma (fino al 1703, quando fu annessa alla provincia di Cordoba del Tucuman). Nel 1617 fu separata da Buenos Aires la nuova provincia del Guayrà (Paraguay). Quella del Plata continuava tuttavia a comprendere i territori di

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Santa Fe, Gran Chaco, Corrientes, Entre Rios, Misiones Jesuiticas e Banda Oriental del Uruguay. In termini puramente geografici, la colonia del Plata sembrava destinata a diventare il porto più importante dei domini sudamericani della Spagna, il principale emporio degli scambi commerciali tra gli schiavi importati dall’Africa e l’argento estratto dalle miniere dell’Alto Perù (l’odierna Bolivia). Ma in tal modo il nuovo insediamento rioplatense rischiava di contendere il monopolio di Lima-El Callao, capolinea del traffico atlantico proveniente da Siviglia e Cadice (si sbarcava il carico a Portobello e lo si trasportava via terra fino a Panama dove veniva reimbarcato. Di qui le navi scendevano la costa del Pacifico e, fatto scalo a Guayaquil, raggiungevano il Callao). Per rafforzare i privilegi di Lima, nel 1623 il viceré del Perù proibì l’uso del denaro a Buenos Aires e istituì una dogana secca in una località argentina dell’interno, Cordoba, dove le merci bonearensi pagavano un dazio del 70 per cento per proseguire fino alle regioni andine e al litorale del Pacifico. Questa “cortina dell’argento” segnò la prima frattura tra le due coste, atlantica e pacifica, del Sudamerica, annettendo l’intera regione andina all’area del Pacifico. La separazione tra le due corone iberiche vi aggiunse nel 1668 la nuova cortina brasiliana, che minacciava non solo i collegamenti marittimi con i domini caraibici, ma anche quelli fluviali con le regioni settentrionali della colonia. Furono però soprattutto la crescente minaccia anglo-olandese nei Caraibi e la strategia dell’attacco indiretto alle risorse americane per logorare la potenza militare spagnola sui fronti europei e mediterranei ad imporre di concentrare il traffico transatlantico in un’unica rotta. La cosiddetta Carrera de Indias - preclusa in luglio e in inverno dagli uragani e dalle tempeste e infestata da pirati e corsari - era tuttavia anche l’unica che le ridotte forze oceaniche della Spagna (le 3 Armadas de Barlovento, del Mar Océano e del Mar del Sur) potessero sorvegliare con la Flota de la Guardia e difendere con la piazzaforte dell’Avana (Antemural de las Yndias) e con la rete delle altre 12 “chiavi” (llaves) del Golfo del Messico (San Augustin, Veracruz e Campeche) e dei Caraibi (Puerto Rico, Trinidad, Cumanà, Maracaibo, La Guaira, Cartagena, Portobelo, Chagre e Panamà). Tutti questi fattori geoeconomici e geostrategici spiegano il lentissimo sviluppo demografico di Buenos Aires: nel 1610, quando Potosì, la quasi contemporanea capitale dell’argento, contava già 160.000 abitanti, Buenos Aires ne aveva appena 1.100, triplicati soltanto nel 1655 (con 10 italiani) e quintuplicati nel 1680, quando, per fronteggiare il minaccioso espansionismo portoghese, si concesse al porto di Buenos Aires di ricevere due vascelli spagnoli all’anno. Ma a porre le premesse di un primo sviluppo economico fu il trattato di Utrecht del 1713, con la concessione agli inglesi, per trent’anni, del monopolio della tratta degli schiavi africani con il Sudamerica, sviluppatasi alla fine del Seicento a seguito della catastrofica diminuzione della popolazione indigena. Ciò incrementò infatti l’allevamento del bestiamo (ganaderia), perchè nel viaggio di ritorno le navi negriere imbarcavano il cuoio ricavato dalla pampa, estesa per 430.000 chilometri quadrati. A sua volta il commercio del cuoio accelerò la transizione, attorno al 1750, dalla fase della pura e semplice vaqueria (spedizione armata in territorio indiano per la cattura del bestiame cimarron, cioè allo stato brado) a quella delle

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grandi estancias (raccolta organizzata di bestiame manso, cioè addomesticato, in fattorie rudimentali) mantenutasi per oltre mezzo secolo come la principale attività economica bonearense, fino allo sviluppo dell’industria della carne secca e salata. Questo primo sviluppo economico della sponda atlantica erose la cortina dell’argento, favorendo il contrabbando rioplatense verso i territori andini e del Pacifico. In riconoscimento della crescente importanza di Buenos Aires, fin dal 1707 il Correo Mayor de Indias organizzò un servizio postale mensile con Lima e in seguito tutta la corrispondenza sudamericana con l’Europa fu concentrata a Buenos Aires per essere imbarcata a Montevideo. E nel 1720 i commercianti peruviani denunciavano Buenos Aires come “la porta per cui fugge il commercio e la finestra da cui si getta il Perù”. In realtà i veri concorrenti dei modesti commercianti limegni erano i grandi commercianti catalani trapiantati a Cadice, che stavano acquisendo il monopolio del commercio tra le Indie e la Penisola ed erano interessati a sviluppare la nuova ruta gaditana sudatlantica impiantando agenzie a Buenos Aires - ma anche nella nuova piazzaforte marittima di Montevideo, fondata nel 1725. Ciò spiega l’incremento demografico di Buenos Aires, più che raddoppiata in meno di quarant’anni (1740-78 da 10.000 a 24.255 abitanti). In particolare si rafforzarono le comunità dell’Europa borbonica, non soltanto peninsulares e francesi, ma anche gli italiani - soprattutto genovesi associati ai catalani - saliti da una decina ad un centinaio. Il Viceregno del Plata (1778-1810) Immancabilmente, il mutamento delle rotte e dei flussi commerciali finì per rendere obsolete anche le vecchie frontiere amministrative. Già il 12 gennaio 1771 la difficoltà dei collegamenti tra Potosì e Lima indusse il Fiscal della Real Audiencia di Charcas a proporre la separazione della regione andina dal Viceregno del Perù, passandola sotto la giurisdizione di Buenos Aires, elevata al rango vicereale. Tuttavia la decisione fu presa soltanto sei anni dopo, per ragioni esclusivamente militari, quando, come diremo più avanti, la Spagna spedì 10.000 uomini a difendere il confine orientale della Plata contro le mire portoghesi. Con Real Cédula del 1° agosto 1776, Carlo III nominò infatti il comandante della spedizione, tenente generale Pedro de Cevallos, “viceré, governatore e capitano generale” delle province di Buenos Aires, Paraguay (Chuquisaca) e Charcas (Tucuman, Potosì e Santa Cruz de la Sierra). Nasceva così il Viceregno del Plata, quarto ed ultimo dell’America spagnola, nominalmente esteso dal Capo Horn alla selva amazzonica su un territorio, in gran parte ancora inesplorato, di 5 milioni di chilometri quadrati, corrispondente alle attuali Argentina (2.8 milioni di chilometri quadrati), Uruguay, Paraguay e Bolivia, più uno sbocco sul Pacifico (Puno e Arequipa, ceduti nel 1796 al Perù, e più a Sud Antofagasta, in seguito ceduta dalla Bolivia al Cile). Nel 1782, ancora una volta per ragioni militari (rivolta di Tupac Amaru nell’Alto Perù), furono istituite 8 Intendencias provinciali: Buenos Aires, Asuncion del Paraguay, San Miguel del Tucuman (poi Salta), Santa Cruz de la Sierra (poi Cochabamba), La Paz, Mendoza (poi incorporata nella nuova intendenza di Cordoba del Tucuman), La Plata e Potosì. La super-intendenza di Buenos Aires includeva i governatorati di Montevideo e delle Isole Malvine (istituito nel 1767) e si estendeva alla Patagonia fino alla Terra del

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Fuoco. Benchè determinata da contingenti ragioni militari, l’istituzione del nuovo viceregno era coerente con le riforme del 1778-82 che liberalizzarono il commercio tra le Indie e la madrepatria rompendo il monopolio gaditano a favore di un nuovo ceto mercantile in grado di affrontare i rischi elevati di una spregiudicata speculazione commerciale. La Spagna ne ricavò un forte incremento delle entrate fiscali, trasformandosi in intermediario delle esportazioni verso le economie industriali europee, mentre il patriziato creolo fu emarginato dalla nuova immigrazione di commercianti peninsulari. Tra l’inizio e la fine del Settecento le rendite ricavate dalle Indie spagnole triplicarono da 6 a 18 milioni di pesos all’anno e la popolazione crebbe a 13 milioni, metà dei quali nel Messico. Nel 1795 il Viceregno del Plata ne contava già 850.000, per due terzi distribuiti sull’asse preandino MendozaJujuy. La popolazione delle intendenze di Buenos Aires, Cordoba e Salta, corrispondenti all’odierna Argentina, contava 275.000 abitanti. Buenos Aires ne contava ormai 35.000, che raddoppiavano includendovi la campagna, Santa Fe ed Entre Rios. Qui l’elemento europeo o criollo (45.000 individui) predominava nettamente su meticci, indiani e mulatti (25.000) ma il rapporto si invertiva nel resto del territorio: a Cordoba, ad esempio, gli spagnoli erano 25.750 contro 52.250 delle altre razze. La popolazione bonearense era addensata nella capitale, dove, mescolata quasi indistintamente ad una larga massa di schiavi africani e mulatti liberi (saliti dal 16 al 25 per cento nel 1744-78) sopravviveva una vasta plebe creola e meticcia senza impiego, refrattaria alle durissime condizioni di vita delle campagne e in parte dedita alla malavita. La conseguente scarsità della mano d’opera agricola la rendeva relativamente molto costosa, contribuendo ad impedire lo sviluppo delle esportazioni agricole. Rigidamente compartimentati su basi razziali, etniche e sociali, alla fine del secolo i rapporti sociali erano caratterizzati da un crescente risentimento del patriziato creolo - americanos - per i privilegi, lo strapotere e i monopoli commerciali accordati ai funzionari spagnoli e agli immigrati peninsulares, ma anche da un netto contrasto tra la società mercantile e marittima dei portegni e quella agro-pastorale e feudale degli arribegni, cioè gli abitanti delle province interne. Nel 1796 l’amministrazione del Viceregno costava circa 1 milione di pesos, poco meno del valore raggiunto quell’anno (ma in via eccezionale) dalle esportazioni della sola provincia bonearense. Queste ultime consistevano soprattutto nel cuoio, mentre ancora marginale - 60.000 pesos - restava l’esportazione di carne secca o salata in Brasile e a Cuba, divenuta invece preponderante sul cuoio nel ventennio successivo. Il grosso delle esportazioni rioplatensi era però ancora rappresentato dai metalli preziosi dell’Alto Perù, 1.4 milioni di oro e ben 2.6 milioni di argento.

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2. IL FRONTE BRASILIANO Il presidio veterano e la milizia dei Sette Villaggi (1631-73) Il carattere periferico e marginale della piccola colonia rioplatense spiega perchè nel suo primo secolo di vita (1580-1680) la sua sicurezza fu minacciata quasi esclusivamente dalle popolazioni indigene. I guaranì furono presto evangelizzati dai francescani e dai gesuiti, diventando anzi il perno della difesa militare della regione dei grandi fiumi. Nel 1594 la comparsa di John Drake, fratello del più famoso corsaro Francis, indusse ad iniziare l’erezione del forte di Buenos Aires. Catturato dagli indios charruas, Drake cadde poi in mano degli spagnoli, che lo condussero a Santa Fe e di qui ad Asuncion e Lima. Una relazione del 1598 segnala che a Santa Fe si fabbricavano archibugi e spade rudimentali, “sino haberlo visto fazer sino por relacion”. Ma nel 1599 il governatore bonearense Valdez segnalava di avere appena 40 uomini atti alle armi, con 20 libbre di polvere e 3 cannoni senza munizoni. A Buenos Aires il presidio permanente spagnolo fu istituito soltanto nel 1631, con la forza di 3 compagnie e 200 veterani. Ma gli indios dell’interno frenarono la colonizzazione della pampa. Nel 1630-37 l’insurrezione dei calchaquies devastò la provincia di Tucuman e nel 1658-66 una seconda insurrezione si estese da Tucuman a Santa Fe, al Chaco e Corrientes, mentre nel 1673 gli indigeni della regione andina trucidarono il gesuita e geografo italiano Nicola Mascardi, che aveva tentato di evangelizzarli. Buenos Aires non risentì invece contraccolpi dalla lunga guerra ispanoolandese per il controllo del Basile settentrionale (1623-61) - alla quale parteciparono, nel 1625, anche la Escuadra de 2apoles comandata dal marchese di Cropani e 880 soldati napoletani del tercio di Carlo Andrea Caracciolo marchese di Torrecuso (1584-1646), la più antica unità militare italiana impiegata in Sudamerica (soldati napoletani continuarono a combattere anche contro la spedizione di Maurizio di Nassau: nel 1646 ne restavano in Brasile ancora 600). Ma, dopo la separazione della corona portoghese da quella spagnola (1668) si aggiunse la nuova minaccia costituita dall’espansionismo portoghese verso il Paraguay. Buenos Aires poteva opporre il presidio veterano - salito nel 1663 a 300 uomini - e la milizia, composta nel 1674 da 50 santafesini, 200 correntini e 400 portegni, questi ultimi ordinati su 8 compagnie: .3 spagnole (guardia del gobernador, carabineros e infanteria de Buenos Aires); .2 di lancieri creoli (una di Matanza e Magdalena, l’altra di Monte Grande e Las Conchas); .3 di lancieri di casta (Pardos, Indios e Morenos);

Ma il nerbo della difesa erano 3.000 indios delle sette reducciones fondate dai gesuiti al posto di quelle distrutte dai bandeirantes brasiliani e poste sotto il protettorato spagnolo. I cosiddetti Sete Povos, situati nella parte

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occidentale dell’attuale stato del Rio Grande do Sul e abitati da circa 30.000 persone, costituivano non soltanto una fiorente impresa economica, ma anche la principale riserva militare a disposizione della Spagna nel lato atlantico del Sudamerica. Armata di archi e lance, ma con aliquote di moschettieri e archibugieri, la milizia dei Sette Popoli era organizzata in compagnie soggette a regolare addestramento da parte di istruttori europei, talora gli stessi padri gesuiti (per lo più italiani, inglesi e tedeschi). Le prime spedizioni sulla Colonia di Sacramento (1680 e 1704-05) Nel 1680 una spedizione portoghese comandata da Manuel Lobo installò un forte con 300 uomini, 18 cannoni e 6 petrieri a Sacramento, sulla costa dirimpetto a Buenos Aires, con l’intento di dominare l’accesso ai grandi fiumi rivieraschi del Plata e di difendere la penetrazione nella Banda Oriental dell’Uruguay. Il cabildo portegno autorizzò il governatore José de Garro ad arruolare 10 compagnie di milizia con 300 cavalieri e 500 fanti , non più della metà creoli e senza negri né meticci, posti al comando del maestro di campo Vera Mujica assieme a 120 moschettieri veterani e 10 ufficiali della scorta del governatore e alla milizia dei Sette Villaggi. Il 7 agosto 1680, dopo un mese d’assedio, i portoghesi dovettero arrendersi, dopo aver perso 117 uomini contro 5 morti e 13 feriti spagnoli e 29 morti e 83 feriti indigeni. Il trattato provvisorio del maggio 1681 restituì il forte al Portogallo, ma fino al 1750 la Spagna non riconobbe la sovranità portoghese sulla sedicente Colonia di Sacramento, che fu nuovamente assediata dagli spagnoli durante tre delle cinque grandi guerre “mondiali” del Settecento, vale a dire le guerre di successione spagnola (1700-1713) e polacca (173338) e la guerra dei Sette anni (1756-63). Nel 1702 i Sette Villaggi fornirono 2.000 guerrieri al maestro di campo Alejandro Aguirre per schiacciare gli indios confederati alleati dei portoghesi. Nel 1704 ne misero in campo 4.000, armati di archibugi, lance e frecce per prendere parte alla nuova spedizione contro Sacramento allestita dal governatore Alonso Valdés Inclan. Il 17 ottobre il colonnello Baltazar Garcia Ros lasciò il campo di San Domingo Soriano con 200 cavalieri e 280 fanti portegni, santafesini e correntini e ai primi di novembre 10 pezzi spagnoli iniziarono a battere la fortezza. L’assalto fu sferrato il 14 marzo 1705. Fu respinto, ma durante la notte i 500 difensori si reimbarcarono su una squadra navale di soccorso, dopo aver dato alle fiamme case e fattorie. Nel 1705 la difesa di Buenos Aires contava su 821 veterani e 900 miliziani, un terzo dei quali “di casta”, mentre il colonnello Balthasar Garcia Ros difendeva Sacramento con gli indigeni, veterani e milizie di Corrientes, Santa Fe, Cordoba e Tucuman. Anche stavolta, però, la pace di Utrecht (1714) impose alla Spagna di restituire la Colonia al Portogallo, che elevò il presidio a 1.000 uomini e 80 pezzi d’artiglieria. L’Escuadra del Rio de la Plata e la piazzaforte di Montevideo (1714-48) Nel 1714, soppressa la Junta de Guerra de Indias, la pianificazione difensiva delle colonie americane e l’Ispettorato generale delle Tropas de Indias passarono alle dirette dipendenze della Secreteria de guerra spagnola. Nel 1717 alla Flota de América erano assegnati 8 vascelli su 31 (più 2 nelle

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Canarie) e 4 delle 15 fregate formavano l’Escuadra del Rio de la Plata. In quegli anni furono inoltre ammodernate le fortificazioni americane, incluso il Forte di Buenos Aires, terminato nel 1720 dall’ingegner Bermudez, sargento mayor de la plaza. Munito di 4 bastioni e di un ponte levatoio, il piccolo quadrilatero comprendeva l’alloggio del governatore ed appositi edifici per la Real Audiencia, la Real Hacienda, i magazzini e l’armeria. Ma la misura più rilevante relativa alla provincia rioplatense fu la creazione di una vera piazzaforte a Montevideo e di una batteria di 10 pezzi pesanti 100 chilometri più ad Oriente, a Punta del Este, sia per imbastire l’antemurale atlantico del Perù sia per interrompere i collegamenti tra la Colonia di Sacramento e le lontane basi brasiliane di Santa Caterina e Rio Grande. La piazzaforte e la batteria, impiantate nel 1725 dal governatore Bruno Mauricio de Zavala, prevedevano una guardia di 100 veterani distaccati da Buenos Aires, eventualmente rinforzati da 1.000 indigeni delle reducciones gesuite. Malgrado ciò il minuscolo presidio rioplatense non fu aumentato. Si riduceva infatti a poche compagnie fisse, meno di 500 uomini, alimentate in misura insufficiente dai vagabondi (vagos) e condannati (destinados) spediti ogni tanto dal deposito generale (Bandera general de América) di Cadice e presto decimati dalle diserzioni e dalle malattie. Anche quando fu autorizzato ad arruolare complementi creoli, il presidio non bastava per i distaccamenti alle fortificazioni di Montevideo e Punta del Este e ai fortini della Frontiera indiana. Ma il cabildo di Buenos Aires non consentiva di ricorrere alla milizia, sostenendo che in base agli statuti poteva essere mobilitata soltanto in presenza del nemico. L’intervento ad Asuncion e il terzo assedio di Sacramento (1735-37) Nel 1717 la rivolta degli encomenderos di Asuncion, danneggiati dalla politica indianista dei gesuiti ma anche dal protezionismo bonearense, offerse al presidio un nuovo impegno. Su mandato vicereale i gesuiti avevano marciato su Asuncion con la milizia indiana, messa in fuga però dai criollos e dagli spagnoli comandati dal governatore ribelle José Antequera. A stroncare la ribellione intervenne allora Zavala. Antequera si arrese senza combattere e fu mandato prigioniero a Lima, dove più tardi, nel 1731, venne ucciso. Non senza aver fatto in carcere dei proseliti propugnando il diritto dei “comuni” di governarsi da soli, anche contro la volontà del re di Spagna. Uno di costoro, Fernando de Mompox, evase dal carcere, raggiunse dopo lunghe peripezie il Paraguay e riaccese la guerra che dal nome delle giunte governative locali insediate al posto dei governatori di nomina vicereale, si chiamò dei comuneros. Mompox, tradito, fu consegnato dalle autorità fedeli al re, e si salvò fuggendo in Brasile. I suoi compagni continuarono la lotta uccidendo il governatore di Asuncion, ma nel gennaio 1735 furono sconfitti a Tapaby dalle truppe di Zavala, integrate da 8.000 indios delle reducciones. I capi della rivolta furono squartati in pubblico o costretti all’esilio, le loro case date alle fiamme e i loro beni confiscati a vantaggio della corona. L’ordine di allestire una nuova spedizione contro Sacramento arrivò a Buenos Aires nell’agosto 1735 e il 10 novembre il governatore Miguel de Salcedo iniziò l’assedio con 450 veterani, 850 miliziani e mulatti, 3.000 indios e due batterie con 14 pezzi pesanti. A dicembre la breccia era già

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aperta, ma il comandante portoghese Antonio Vasconcellos riuscì a ripararla in tempo per impedire l’assalto finale. Ai primi del 1736 fu poi rifornito da una squadra di soccorso, ricevendo 830 rinforzi, seguiti in aprile da altri 300 e in settembre da altri ancora al comando di José de Silva Pàez e Andrés Riveiro Continho. Le continue sortite portoghesi e il congedamento degli indios, sospettati di tradimento, costrinsero Salcedo a ritirarsi. L’assedio riprese poche settimane dopo, una volta sbarcati anche i rinforzi spagnoli (220 veterani del Reggimento Cantabria), ma si trascinò stancamente fino alla pace di Parigi del 15 marzo 1737 che ovviamente lasciò il forte al Portogallo. La Colonia non fu tuttavia coinvolta dalla guerra anglo-ispana (1739-48) e dalla guerra di successione austriaca (1740-48). La minaccia inglese sullo stretto di Magellano (1740-49) Tuttavia nel 1740-41 l’ammiraglio George Anson violò per la prima volta il “santuario” militare spagnolo dei Mari del Sud, riuscendo a doppiare il Capo Horn con 4 delle sue 7 navi, mentre la squadra inseguitrice (Pizarro) dovette desistere dopo aver perduto uno dei suoi 5 legni, affondato nello stretto di Magellano. Rifornitosi alle Isole Juan Fernandez, Anson potè catturare 3 mercantili e distruggere un villaggio sulla costa cilena, senza essere intercettato dalla piccola Armada del Mar del Sur (4 unità) accorsa dal Callao. Nel 1742 Anson fece vela sulle Ladrones (Marianne) e poi su Macao, e nel 1743 riuscì a catturare il galeone dell’argento sulla rotta Manila-Acapulco. Nel 1744, sfuggito alla caccia francese, l’unico vascello rimasto ad Anson potè finalmente rientrare a Spithead. La Spagna non si preoccuò eccessivamente dell’impresa di Anson, ritenendo che non modificasse la relativa sicurezza della costa del Pacifico. Diversa fu invece la valutazione dell’Inghilterra, che nel 1749, appena conclusa la pace di Aquisgrana, cercò di stabilire una base strategica nel desolato e innominato arcipelago ad Est dello stretto di Magellano, al quale i francesi avrebbero poi dato, nel 1764, il nome di Malvine. Gli inglesi dovettero però rinunciarvi per non rischiare di riaprire il conflitto con la Spagna, la quale rivendicò la sovranità dell’Arcipelago in base al criterio stabilito dal trattato di Tordesillas del 1494. La frontiera della pampa (1726-52) In questo periodo l’unica vera minaccia contro la colonia rioplatense veniva dal deserto della Patagonia. Per fronteggiarla furono costituite piccole colonie militario di volontari a cavallo (blandengues) reclutati fra i vecinos e armati con le tipiche armi dei gauchos, lancia, lazo e bolas, che si trasferivano con le famiglie nei primi rudimentali fortini impiantati a poche decine di chilometri dalle città. In particolare il 18 agosto 1726 l’erario provinciale assunse in carico il mantenimento di 200 Blandengues che il governo di Santa Fe non era riuscito a reclutare sul posto per mancanza di volontari. Nel 1737 e 1740, per la prima volta, gli indigeni pampas, aucas e serranos si spinsero oltre il Rio Colorado razziando bestiame e distruggendo fattorie fin quasi alle porte di Buenos Aires. Per fronteggiare questa minaccia nel

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1745 si stabilì la prima linea di fortini, presidiati da picchetti mobilitati a rotazione dalla milicia rural. Ma l’embrionale organizzazione della milizia non era in grado di assicurare l’effettivo rispetto dei turni di servizio, gravosi, rischiosi e non retribuiti, per cui nel 1750 i fortini erano quasi tutti abbandonati. Così nel 1752 il cabildo autorizzò il governatore José de Andonàegui a creare anche alla frontiera di Buenos Aires (Lujan, Salto e Magdalena) uno squadrone di milicia rural o blandengues simile a quello santafesino, decisone ratificata dalla Real cédula 10 luglio 1753. La demarcazione della frontiera brasiliana (1752-54) La controversia sul confine orientale fu apparentemente risolta col Trattato di permuta del 13 gennaio 1750, che avvantaggiava fortemente il Portogallo. La Spagna gli cedeva infatti i Sete Povos in cambio della Colonia del Sacramento. Il trattato, che risentiva già del nuovo clima politico appena inaugurato a Lisbona dal marchese di Pombal, accordava ai gesuiti tre anni di tempo per spostare le missioni ad ovest dell’Uruguay. Furono però gli indigeni a opporre una imprevista resistenza, sfociata nel 1752 in una rivolta spontanea. I vertici della Compagnia si adoperarono per riportare la calma e riuscirono a convincere alcune famiglie a trasferirsi nei nuovi insediamenti. Ma questi furono subito evacuati di fronte alla reazione dei selvaggi indigeni charrua. Intanto le due commissioni iniziarono la delimitazione dei confini, partendo dalla costa per risalire fino al territorio delle missioni. Della commissione portoghese, diretta dal genovese Michelangelo Blasco, facevano parte altri 8 tecnici italiani, tre ingegneri (Enrico Antonio Galluzzo, Giuseppe Maria Caragna e poi anche Francesco Tosi Colombino) e cinque astronomi (Panigai veneziano, Pincete genovese, Bramiere piacentino, Brunolli bolognese, Michele Antonio Ciera padovano). Anche il chirurgo, Polianni, era piemontese. Nel maggio 1753, quando la commissione cominciò a demarcare la pampa limitrofa alle pinete dei Sette Popoli, un’assemblea di capi indigeni, istigata dai gesuiti locali che si sentivano traditi dai vertici della Compagnia, deliberò di fare un nuovo tentativo per indurre la Spagna ad un ripensamento. Issata la bandiera spagnola, gli indios scrissero al governatore Juan Echevarria protestandosi sudditi fedeli e vantando il sangue due volte versato per riconquistare Sacramento; in loro sostegno i missionari affermarono che era impossibile trovare nuove aree di insediamento per 29.000 persone. Ma intanto gli indigeni presero le armi e un loro reparto intimò alla commissione di sospendere la demarcazione, abbattendo poi i cippi già collocati. I vertici della Compagnia di Gesù spedirono un visitatore apostolico, che nell’agosto 1753 convocò i missionari ordinando loro di sospendere la fabbricazione di polvere da sparo e lance e di sgombrare le missioni nel termine di un anno. Ma l’ordine fu disatteso: gli indigeni impedirono ai missionari di andarsene e interruppero ogni comunicazione attraverso l’Uruguay, intercettando tutti i messaggi, anche quelli nascosti nelle merci. La guerra guaranitica (1754-56) Le autorità coloniali decisero allora un’offensiva congiunta, degli spagnoli

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lungo l’Uruguay e dei portoghesi, comandati da Gomes Freire de Andrade, via terra partendo dal Jacuì. Precedendo il nemico, il 29 aprile 1754 tre squadroni indigeni con 4 cannoncini attaccarono la base portoghese, il forte Jesus Maria José sul Rio Pardo, all’estremità settentrionale della Lagoa dos Patos. L’attacco frontale fu schiacciato facilmente dalla superiore artiglieria portoghese e gli indigeni dovettero ritirarsi con fortissime perdite, lasciando molti prigionieri che furono condannati al remo sulle galere del Rio Grande. La colonna spagnola, forte di 2.000 regolari e 2 compagnie di milizia a cavallo ma disorganizzata e mal rifornita, dovette però arrendersi alle impreviste difficoltà logistiche che le costarono centinaia di uomini e quadrupedi nelle infernali paludi dell’Uruguay. Soltanto ai primi di settembre potè muoversi Andrade, con 1.600 uomini, 10 cannoni, 6.000 cavalli e un migliaio di buoi. Due settimane dopo incontrò l’armata indigena schierata sul Jacuì dietro una rudimentale palizzata. Benchè gli indios fossero terrorizzati dal superiore armamento portoghese, Andrade non osò attaccarli perchè le piogge avevano bagnato le polveri. Dopo quasi due mesi di trattative, il 14 novembre 1754 Andrade firmò un accordo che consentiva agli indigeni di restare nelle reducciones, limitandosi a consegnare soltanto le terre situate a Nord. Ma i governi europei rifiutarono la ratifica dell’accordo e nel dicembre 1755 Andrade e il governatore spagnolo di Montevideo mossero nuovamente contro gli indios alla testa di 1.800 ispano-portoghesi. Superata la pianura Jaguarì, la sera del 6 febbraio 1756 gli alleati si scontrarono con l’avanguardia nemica nel Campo dos Milhos (Piana del Mais). Alla prima scarica gli indios fuggirono, lasciando sul terreno 7 morti, incluso il grande capo Sape (Tiaraju). Il 10 febbraio, a Caibaté, gli alleati incontrarono il grosso dell’avanguardia, forte di circa 2.000 indios, con bandiere, tamburi e rudimentali cannoncini ricavati da tronchi d’albero legati con strisce di cuoio. Andrade intimò la consegna delle missioni, accordando una breve dilazione per consentire agli indigeni di consultarsi con i loro preti. Scaduto il termine, Andrade fece impartire l’assoluzione alle truppe. Poi le sue batterie apersero il fuoco uccidendo subito il comandante nemico, mentre la cavalleria spagnola caricava il fianco sinistro nemico e quella portoghese, sostenuta da una compagnia di granatieri, quello destro. Gli indigeni furono inseguiti e massacrati fino alle gole retrostanti, dove tentarono di resistere con le frecce finchè non ne furono snidati da ripetute scariche di moschetto. In meno di un’ora furono massacrati circa 1.400 indigeni e 127 catturati: gli alleati ebbero appena 3 morti e 26 feriti. Dopo la carneficina di Caibaté gli alleati traversarono il Jacuì, con l’ordine di radere al suolo le aldeias e gli insediamenti e di passare per le armi sia gli indios che i padri. Quello di San Luis si sottomise, ma quello di San Miguel, ultrasettuagenario, rispose fieramente di essere disposto a morire. L’avanzata proseguì in marzo attraverso fattorie e villaggi deserti. Restavano in armi ancora 4.000 indigeni a cavallo, ma in un ultimo scontro fuggirono dopo otto salve, lasciando sul terreno altri 50 morti. Il 17 maggio Andrade raggiunse la missione più grande, San Miguel, abbandonata e data alle fiamme dagli indigeni. Ma nelle settimane successive i missionari degli altri villaggi cominciarono ad arrendersi uno dopo l’altro. L’ultimo fu l’anziano capo, il grifagno e inselvatichito padre Lourenço Baldo, che Andrade apostrofò trattandolo da “traditore”. L’8 giugno, occupate ormai tutte e sette le missioni, i comandanti indigeni giunsero a cavallo per compiere l’atto di

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sottomissione. Le nuove reducciones sopravvissero anche all’espulsione dei gesuiti, decretata nel 1767 da tutti i territori soggetti alle Corone borboniche riunite nel Patto di Famiglia, ma in una progressiva decadenza economica e demografica accentuata dai vani sforzi della nuova gestione, affidata a funzionari laici coadiuvati da cappuccini e domenicani, di europeizzare le antiche Misiones. Nel 1769 un amico di Andrade e testimone oculare, José Basilio da Gama, dedicò alla guerra guaranitica un poema epico, O Uraguai. Il poema, teso a celebrare la grandezza della missione civilizzatrice del nuovo Portogallo illuminato, contrapponeva però l’innocenza, la moralità e il coraggio degli indigeni, vittime di una profonda ingiustizia, alla perversa perfidia dei gesuiti, considerati gli unici responsabili della dolorosa guerra. Diamentralmente opposta, ma non meno irrispettosa della verità storica, l’enfasi ideologica con la quale la vicenda è stata di recente rivisitata dal film inglese The Mission con Robert De Niro (di Roland Joffé, 1986, palma d’oro a Cannes e Oscar per la fotografia). La guerra dei Sette anni e la prima spedizione di Cevallos (1758-63) A salvare i gesuiti dalla vendetta fu il nuovo governatore del Plata, don Pedro de Cevallos, convinto che, sia pure con qualche limitata eccezione, avessero cercato di impedire la rivolta degli indigeni. Fu lui che alla fine, nell’agosto 1758, effettuò lo spostamento degli indigeni sulla riva occidentale dell’Uruguay. Ma questa misura - adottata quando era già scoppiata la guerra dei Sette anni (1756-63) - insospettì la commissione portoghese di confine, la quale si rifiutò di prendere possesso delle sette missioni finchè gli indigeni restavano accampati sulla sponda spagnola. Di conseguenza i portoghesi si rifiutarono di consegnare a loro volta la colonia del Sacramento, annullando il trattato di Madrid, che dovette essere rinegoziato. La permuta fu annullata dal nuovo trattato del Pardo, firmato il 12 febbraio 1761, che restituì le reducciones alla Spagna e Sacramento al Portogallo, ma più tardi Madrid riprese le ostilità. Cevallos iniziò i preparativi nel gennaio 1762, dissimulandoli come diretti a fronteggiare un eventuale sbarco inglese. In autunno la spedizione contava 859 veterani, 1.100 miliziani di cavalleria provinciale, 1.200 indios e un moderno treno d’artiglieria d’assedio appositamente spedito dalla madrepatria. Il bombardamento della piazza difesa da 880 veterani, 400 miliziani e 112 pezzi - iniziò il 5 ottobre. Aperta la breccia, il 26 Cevallos decise l’assalto e il 29 la piazza si arrese con gli onori di guerra. Agli spagnoli l’assedio era costato soltanto 11 morti e 15 feriti, contro 20 e 18 portoghesi. Giunta troppo tardi, il 24 dicembre 1762 la squadra anglo-portoghese tentò di riprendere la piazza, ma fu sbaragliata. L’ammiraglio inglese fu ferito e la sua nave affondò con quasi tutto l’equipaggio, mentre l’equipaggio di un altro legno inglese fu decimato. Demolite le fortificazioni portoghesi e lasciati 700 uomini a Sacramento, Cevallos si concentrò a Maldonado per distruggere la linea dei fortini portoghesi. Il 19 aprile 1763 assaltò e prese il forte di Santa Teresa, poi quello di San Miguel, obbligando l’avversario a evacuare il Rio Grande e catturandogli 4 bandiere, 69 cannoni e centinaia di prigionieri. Ma nel maggio 1763 gli pervenne notizia della pace firmata a

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Parigi il 10 febbraio. Ancora una volta Colonia tornava portoghese, ma restavano in mano spagnola Santa Teresa, il Rio Grande e e la costa a Sud del Yacuy.

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3. LA SPEDIZIONE DI CEVALLOS, LA MILIZIA E LA MINACCIA INGLESE

La creazione delle milizie e i rinforzi dalla Spagna (1764-65) Cevallos apprese inoltre che il suo periferico successo non aveva potuto bilanciare la cocente umiliazione dell’Avana, arresasi agli inglesi l’11 agosto 1762, dopo due mesi d’assedio, benchè le epidemie avessero dimezzato le truppe nemiche. Cuba e Manila furono restituite dalla pace di Parigi, ma la Spagna perse la Florida e tutto il territorio ad Est e Sud-Est del Mississipi. Inoltre dovette restituire al Portogallo la colonia di Sacramento, ottenendo in cambio il Rio Grande, nel quale gli spagnoli avevano cominciato ad infiltrarsi fin dal 1736. L’esperienza della guerra modificò radicalmente il sistema difensivo delle colonie americane, secondo le indicazioni di una Junta de Generales costituita il 28 marzo 1763 per riorganizzare la difesa di Cuba e trasformatasi poi in un organo consultivo permanente del ministero delle Indie. Uno dei tre membri della commissione era Alejandro O’Reilly, futuro direttore della fanteria e ispiratore della radicale riforma dell’esercito spagnolo attuata da Carlo III con le Reali Ordinanze del 1768. In particolare il Regolamento per le milizie di Cuba dettato nel 1764 da O’Reilly divenne il modello di riferimento per le analoghe disposizioni attuate nelle altre colonie americane. La creazione delle milizie era però un modesto compromesso tra l’esigenza di rinforzare i presidi, del tutto insufficienti, e l’insostenibile sforzo finanziario di moltiplicare le truppe veterane permanenti. Infatti un reggimento di milizia cubana costava appena un ottavo di uno veterano (11.952 pesos all’anno contro 89.190) poichè le paghe degli ufficiali e sergenti di milizia erano inferiori a quelle delle unità regolari e la truppa veniva pagata soltanto per i giorni di effettivo servizio prestato (in tempo di pace, soltanto in occasione delle adunate per l’istruzione, che O’Reilly prevedeva a cadenza bimestrale). Anche nel Plata la milizia provinciale, già reclutata da Cevallos, fu riorganizzata dalle Reali Istruzioni del 28 novembre 1764, mentre dalla Spagna arrivarono 3 nuclei di istruttori (asembleas) di fanteria, dragoni e cavalleria (3 sergenti maggiori, 3 aiutanti, 29 tenenti e numerosi caporali e sergenti). L’obbligo di milizia riguardava sia i nativi (vecinos) sia gli spagnoli immigrati (forasteros) da altre province (americanos) o dalla Spagna (peninsulares). Gli immigrati costituirono un battaglione di 800 Forasteros o Voluntarios Espagnoles. Aliquote di forasteros e vecinos presero parte nel 1765 alla seconda spedizione alle Missioni, condotta dal governatore Andonaegui con le truppe veterane, temporaneamente sostituite nei presidi da unità di milizia comandate da Agustin Fernando de Pinedo, e soprattutto con 1.500 rinforzi giunti dalla Spagna (Regimiento de Infanteria de Mallorca e Batallon de infanteria ligera Voluntarios de Catalunya). Il 15 dicembre 1765 Cevallos comunicava che la milizia della provincia

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ammontava a 8.410 effettivi, così distribuiti: .800 fanti (inclusi 80 granatieri) spagnoli (peninsulares e americanos) con 37 ufficiali; 1.200 cavalieri (inclusi 100 carabineros) spagnoli (peninsulares e americanos) con 100 ufficiali; . 1.168 cavalieri “di casta” (168 negros libres, 300 indios guaranies, 300 indios ladinos, 400 pardos); . 1.978 cavalieri della “campagna di Buenos Aires” (695 Costa y Concha, 632 Lujar, 380 Arrecifes e Pergamino, 271 La Matanza) con 63 ufficiali; . 3.104 cavalieri degli altri territori (180 Montevideo, 600 campo di Montevideo, 1.524 Santa Fe e Rio Pardo, 500 Corrientes, 300 San Domingo Soriano, Vivoras e Rosario); . 160 Artilleria Provincial (100 artiglieri e 60 maestranze).

La cavalleria della campagna di Buenos Aires era già stata mobilitata per la spedizione del 1762-63, distinguendosi nella presa della Colonia di Sacramento e nelle campagne di San Tomé e Rio Grande. Venivano considerate parte integrante della milizia anche le 3 compagnie di 54 blandengues costituite il 7 settembre 1760 alla Frontiera di Buenos Aires. A differenza della normale cavalleria miliziana, i reparti di cavalleria “di casta” - soppressi nel 1772 - non dovevano provvedersi di armi e cavallo a proprie spese, ma li ricevevano dallo Stato. La principale differenza tra le unità di miliziani bianchi e quelle di meticci e negri, riguardava la scelta degli ufficiali. Il colonnello dei bianchi era scelto dal governatore in una terna di facoltosi e influenti cittadini sottopostagli dalle autorità locali e una volta scelto il colonnello nominava gli ufficiali delle compagnie scegliendoli con criteri esclusivamente sociali e familiari. Le unità di colore erano invece inquadrate da ufficiali di carriera, tra i quali il governatore sceglieva anche il colonnello Il contrasto anglo-spagnolo sulle Malvine (1763-74) Nel 1763, umiliata dalla cessione del Canada e della Louisiana, la Francia tentò di rifarsi nell’Atlantico meridionale a spese della Spagna, malgrado la storica alleanza delle Due Corone borboniche fosse stata appena rafforzata dal Patto di Famiglia. Dopo una lunga sosta a Montevideo, il 2 febbraio 1764 la spedizione francese, comandata da Antoine Louis de Bougainville, sbarcò nella parte orientale dell’Arcipelago ad Est di Capo Horn, battezzandolo “Iles Malouines” in onore dei marinai di Saint Malo che ne avevano data notizia, e il 15 aprile ne prese formalmente possesso in nome del re, lasciandovi un piccolo presidio (Fort Saint-Louis). In giugno arrivò nell’Atlantico del Sud una spedizione inglese che cercava di localizzare le leggendarie e inesistenti Isole Pepys. Dopo una sosta a Puerto Deseado, il comandante John Byron fece vela sulle Isole avvistate nel 1600 dall’olandese Seebald de Weert. Dissuaso ad occuparle dalle proteste spagnole, Byron si diresse finalmente sulla parte occidentale delle Malvine, dove sbarcò l’11 gennaio 1765 ribattezzandole “Falklands” ed erigendovi Fort Egmont. Intanto arrivava a Fort Saint Louis una seconda spedizione francese reduce dall’aver esplorato lo stretto di Magellano.

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Versailles tentò invano di placare le ire della sua alleata inviando Bougainville ad offrire un indennizzo pecuniario. Madrid spedì l’Escuadra del Rio de la Plata ad incrociare nelle acque dell’Arcipelago e alla fine, col trattato di San Ildefonso del 4 ottobre 1766, ottenne la cessione di Fort Saint Louis. L’esecuzione fu concordata a Buenos Aires tra Bougainville e il governatore Francisco de Paula Bucarelli (di famiglia fiorentina trapiantata in Andalusia: un altro Bucarelli, Antonio Maria, fu viceré della Nuova Spagna nel 1771-79). Il 28 febbraio 1767 la flotta franco-ispana salpò per le Malvine con a bordo il primo governatore spagnolo, Felipe Ruis Puente. Il 1° aprile la bandiera spagnola sventolava sul forte, ribattezzato Fuerte Soledad, e il 27 la guarnigione francese si reimbarcava. Relativamente a Fort Egmont fu invece necessario ricorrere alla forza. Nel maggio 1770 il piccolo presidio inglese si arrese dopo breve resistenza alla squadra del capitano Juan Ignacio de Madariaga spedita da Bucarelli. Tuttavia a seguito delle proteste inglesi la Spagna accettò di restituire il forte, riconsegnato il 21 ottobre all’incaricato John Burt dal tenente colonnello Francisco de Ordugna, con la tacita intesa che gli inglesi l’avrebbero a loro volta sgomberato per autonoma decisione. Ciò avvenne però soltanto quattro anni dopo, il 20 maggio 1774, formalmente nel quadro di una generale riduzione delle spese militari inglesi. Il rafforzamento del presidio regolare di Buenos Aires (1771-72) La prova di forza sulle Falklands espose per la prima volta la colonia rioplatense al rischio di una ritorsione inglese e, soprattutto allo scopo di rinforzare la difesa costiera, nel 1771 giunsero dal deposito di Cadice reclute di cavalleria e artiglieria per costituire due nuove unità veterane permanenti, il Reggimento Dragoni e il distaccamento del Cuerpo Real de Artilleria (compagnia e maestranze), in grado di organizzare una batteria da campagna (tren volante) su 4 cannoni e 2 obici. In tal modo le forze veterane salirono a 3.100 effettivi: .1.384 fanti “pronti a imbarcarsi” (978 del R. I. Mallorca, 406 del B.I.L.Vol. de Catalunya); 1.116 presidiari (526 del Batallon Tropa Antigua; 424 del Batallon Moderno de Buenos Aires; 166 di 3 compagnie distaccate a Santa Fe); .507 dragoni; .144 artiglieri e maestranze.

Cevallos riordinò queste truppe secondo lo schema peninsulare, formando un Regimiento de Infanteria su 2 battaglioni di 9 compagnie (8 fucilieri e 1 granatieri) e uno di Dragones su 4 squadroni di 3 compagnie. I due reggimenti contavano rispettivamente 56 e 47 ufficiali. Gli organici prevedevano complessivamente 2.096 sergenti, caporali e soldati (14 guastatori, 146 granatieri, 1.215 fucilieri e 720 dragoni). Inoltre il personale anziano fu posto fuori organico, passando a costituire un corpo di invalidos impiegato in servizi sedentari. Rientrato in Spagna, Cevallos assunse la capitania generale di Madrid. A

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Buenos Aires gli subentrò Juan José de Vértiz y Salcedo, che il 15 marzo 1772 riordinò anche la cavalleria provinciale in reggimenti di 47 ufficiali e 720 dragoni, sopprimendo le unità di casta. Il conflitto del Rio Grande e la spedizione di Cevallos (1773-77) La questione delle Malvine non fu tuttavia l’unica preoccupazione militare dei primi anni Settanta. Infatti i portoghesi ne approfittarono per rimettere in questione la cessione del Rio Grande stabilita dal trattato di Parigi del 1763. Nel 1767 forze portoghesi si impadronirono della parte settentrionale del Rio Grande de San Pedro. Da qui le incursioni lusitane si intensificarono nel 1769-70, culminando nel 1773 con l’abbattimento di mezzo milione di capi di bestiame e la razzia di 7.000 famiglie di indios, brutalmente deportate nel territorio del Minas Geraes quale mano d’opera schiavile. Quando i portoghesi varcarono il rio Yacuy prendendo il forte di Tabatingay, Vértiz accorse a ricacciarli con 1.000 veterani e, giudicando troppo arretrati i due fortini di Santa Teresa e San Miguel, il 5 febbraio 1774 ne stabilì un terzo a Santa Tecla, punto di passaggio obbligato per i nuovi insediamenti delle missioni gesuitiche. Intanto giunsero 1 fregata e il Reggimento Galicia, portando le forze del Plata a 4 fregate e 3.165 veterani: effettivo subito intaccato dalle 224 diserzioni verificatesi nel solo Reggimento Galicia. Nel 1775 metà delle forze (1.450) era distaccata nel Rio Grande e il presidio dei tre fortini impegnava 229 regolari. Santa Tecla era custodita da 80 blandengues della compagnia santafesina, rinforzati da un picchetto di milizia e da 400 indigeni militarizzati delle missioni. Nel febbraio 1776 nove navi da guerra portoghesi fallirono un’incursione contro le 4 fregate spagnole di picchetto all’entrata del Rio della Plata, ma il generale Boehm varcò la frontiera con 6.000 uomini e a fine marzo ottenne la resa di Santa Tecla. Demolita e data alle fiamme, fu poi recuperata dal governatore militare di Yapeyù, capitano Juan de San Martin, padre del Libertador, accorso col suo distaccamento di 40 indigeni militarizzati. Carlo III di Spagna richiamò allora il tenente generale Cevallos e il 1° agosto 1776 lo nominò “viceré, governatore e capitano generale” delle province di Buenos Aires, Paraguay e Charcas, con il compito di condurre un corpo di spedizione di 9.510 uomini e 42 pezzi: .4 brigate con 12 battaglioni (2° Saboya, 2° Sevilla e 2° Princesa; 1° e 2° Zamora e 1° Primero R. I. Ligera de Catalunya; 1° e 2° Cordoba e 2° Toledo; 1° Hibernia, 2° Guadalajara e 2° Murcia); 4 squadroni di diversi Reggimenti (Rey, Sagunto, Numancia e Lusitania); .16 cannoni di battaglione, 24 pesanti e 2 mortai.

La spedizione partì il 13 novembre da Cadice, su un convoglio di 96 trasporti e una scorta di 20 unità da guerra (6 vascelli, 9 fregate, 2 bombarde, 2 paquebotes e 1 brigantino) comandata dal tenente generale marchese de Casa Thilly. Il 20 febbraio 1777 Cevallos raggiunse l’Isola di Santa Caterina, 1.100 chilometri a Nord-Est di Montevideo, sbarcandovi nella notte sul 23 le

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compagnie granatieri e il battaglione leggero catalano, che la notte seguente occuparono il forte di Punta Grossa e il mattino del 25 quelli di Santa Cruz e Ratones, evacuati dal nemico. Il presidio, rifugiatosi sulla terraferma, si arrese poco dopo, con un bottino di 3.816 prigionieri, 195 cannoni e 4.000 fucili. Cevallos si reimbarcò il 27 febbraio, dando appuntamento a Vértiz a Rio Grande - 600 chilometri a Sud-Ovest di Santa Caterina e 500 a Nord-Est di Montevideo. Ma un’improvvisa tempesta disperse le navi costringendole a convergere su Montevideo, dove, rinviando l’operazione su Rio Grande, Cevallos preparò l’attacco contro la Colonia di Sacramento, nel frattempo bloccata dal corpo d’osservazione rioplatense. Il 27 maggio Cevallos raggiunse Vértiz sotto Colonia, aprendo la trincea la notte sul 31. Gli spagnoli erano 5.000 con 32 bocche da fuoco, i portoghesi appena 700 (Reggimenti Oporto, Pernambuco, Gama e Auxiliar) sia pure con 140 pezzi. Il 1° giugno il governatore della piazza cercò di negoziare la resa. Cevallos respinse la richiesta, accordando 48 ore prima dell’assalto generale. Il 3 giugno Colonia si arrese senza condizioni. Cevallos panificò allora di attaccare Rio Grande dalla costa, spostando le truppe a Maldonado per via fluviale. Ma il movimento era appena iniziato quando arrivò la notizia che in giugno le due corti avevano sottoscritto una tregua, poi ratificata il 1° ottobre 1777 a San Ildefonso dal trattato preliminare dei confini (limites). Il Portogallo rinunziava alla navigazione della Plata e dell’Uruguay e ad ogni diritto sulle Filippine e Marianne e cedeva alla Spagna la Colonia del Sacramento e l’Isola di San Gabriele, ottenendo in cambio la restituzione del Rio Grande e dell’Isola di Santa Caterina, a condizione di non utilizzarla o lasciarla utilizzare per operazioni contro i domini spagnoli. Il 27 ottobre 1777 Madrid ordinò a Cevallos di reimbarcarsi con le truppe e di trasferire i poteri vicereali al governatore Vértiz. Nella colonia rimasero di rinforzo 47 artiglieri e il 2° Saboya (che dette il cambio al Reggimento Galicia) nonchè 930 fanti e dragoni che accettarono volontariamente di restare a Buenos Aires passando a servire nei due reggimenti fissi. La sentinella sudatlantica tra Camerun e Patagonia (1777-84) La spedizione di Cevallos riconobbe al nuovo Viceregno sudatlantico una vitale importanza strategica quale sentinella del Capo Horn e Antemurale della costa del Pacifico. Non soltanto la piazzaforte di Montevideo venne potenziata nel 1777 da una stazione navale permanente (Apostadero), ma all’Escuadra del Rio de la Plata fu assegnato, sia pure solo in prospettiva, il compito di sorvegliare anche la sponda africana dell’Atlantico meridionale. Infatti sempre nel 1777 le Isole di Fernando Poo e Annobon, basi spagnole di fronte alle coste del Camerun e del Gabon, furono assegnate alla giurisdizione di Buenos Aires. Tuttavia, a causa dell’ingente spesa (600.000 dollari) Vértiz convinse il re a soprassedere al progetto di Cevallos di erigere a Maldonado, approdo 100 chilometri ad Est di Montevideo, una vera fortezza per 300 uomini con autonomia di 4 mesi, limitandosi a piazzarvi prima 1 e poi 3 batterie (due in terraferma e una sull’isola Gorriti).

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In compenso ne impiantò un’altra (2. S. de las Mercedes) all’Ensenada de Barragan, 50 chilometri a Sud di Buenos Aires, unico punto del Rio della Plata con fondali abbastanza profondi da consentire l’approdo dei vascelli oceanici. Inoltre, recuperata la Colonia del Sacramento, Vértiz ordinò all’ingegner Bernard Lecocq di impiantarvi una batteria di 4 pezzi pesanti e di effettuare una ricognizione all’Isola di Martin Garcìa (che domina entrambe le foci del Paranà e dell’Uruguay) dove fu temporaneamente stabilito un presidio di 200 uomini. Infine nel 1780 costituì a Montevideo una seconda compagnia di artiglieria veterana. Inoltre Vértiz organizzò l’esplorazione del Rio Negro, compiuta dall’ufficiale di marina Felix de Azara e dal pilota Basilio Villarino, i quali consigliarono di occupare l’isola fluviale di Choele Choel. Intanto il tenente Pedro Garcia (con 6 legni, 5 ufficiali e 232 soldati e marinai) colonizzò la costa della Patagonia, dove nel 1779-80 furono impiantati un forte (2. S. del Carmen) alla foce del Rio Negro e tre insediamenti (batteria di Bahia Blanca, Puerto Deseado e fortino di San Julian, quest’ultimo con 38 militari e 22 civili). Tuttavia, a causa delle grandi difficoltà logistiche e dello scarso rendimento, il 1° agosto 1783 Madrid ordinò al viceré marchese di Loreto di evacuarli. L’ordine fu annullato appena sei mesi dopo, l’8 febbraio 1784, in considerazione dell’incremento delle attività dei pescherecci inglesi, ma ormai Deseado e San Julian erano già stati smantellati. La fattoria di Deseado fu ripristinata nel 1790, ma col trattato del 28 ottobre la Spagna dovette concedere ai sudditi inglesi il diritto di navigazione e pesca nei Mari del Sud e nell’Oceano Pacifico, con facoltà di approdo per la salatura e conservazione del pescato. Fu comunque conservata una presenza militare nelle Malvine, che nel 1792 consisteva in 3 batterie (San Carlos, Santiago e San Felipe) e 1 pattugliatore costiero. La guerra anglo-ispana del 1779-83 Nel maggio 1779, approfittando dell’intervento francese nella guerra di indipendenza nordamericana, anche la Spagna iniziò una guerra parallela contro l’Inghilterra, sia per riprendere con la forza la Florida, Mahon e Gibilterra, sia per prevenire un eventuale tentativo inglese di compensare la perdita delle Tredici Colonie ribelli con nuove conquiste nell’America spagnola. Complessivamente giunsero nel Golfo del Messico e nei Caraibi 16 reggimenti peninsulares (20.500 uomini) e con Real Cédula del 24 luglio 1779 i viceré e governatori ricevettero l’ordine di assumere a loro discrezione le opportune iniziative contro l’Inghilterra. Dal canto suo Vértiz ordinò l’arruolamento nella milizia degli uomini validi dai 14 ai 60 anni, la caccia ai disertori e il richiamo dei distaccamenti regolari. In tal modo completò i corpi veterani e nel 1779-81 formò nuove unità di milizia (1 battaglione e 1 reggimento di cavalleria anche a Montevideo e a Cordoba e 1 secondo battaglione a Buenos Aires) portando il totale a 240 compagnie (4 di granatieri, 35 di fucilieri e 201 di cavalleria) così distribuite: .4 battaglioni di fanteria: blancos (1° Buenos Aires e Montevideo), morenos libres (2° Buenos Aires) e pardos (Cordoba del Tucuman) 3 compagnie di fanteria autonome (Mendoza, San Juan e San Luis);

22 .7 reggimenti di cavalleria su 4 squadroni (Buenos Aires, Montevideo, Cordoba, Sauce, Tìo, 1° e 2° Rio Seco) .117 compagnie di cavalleria autonome (45 della campagna di Buenos Aires, 15 di Mendoza, 17 di San Juan, 18 di San Luis e 22 de La Rioja) .4 compagnie di artiglieria: 2 di 100 uomini a Buenos Aires, 1 di 150 a Montevideo e 1 di 50 a Mendoza.

Vértiz fece poi parte, nel 1786-95, della Junta de Generales incaricata di pianificare la difesa delle piazzeforti e dei domini d’America, organo collegiale consultivo del ministero delle Indie. Tuttavia il suo governo si caratterizzò anche per varie iniziative sociali (pavimentazione delle strade, ospizio di mendicità, casa degli esposti), economiche (liberalizzazione del commercio) e culturali (collegio di San Carlo, Imprenta de nignos expòsitos e Casa de comedias). Durante la crociera scientifica da Cadice alle Filippine allestita dal ministro della Marina e delle Indie Antonio Valdés y Bazan ed effettuata nel 1789-94 via Montevideo, Malvine e Capo Horn dalle corvette Descubierta e Atrevida, il comandante della spedizione - lo sfortunato capitano parmense Alessandro Malaspina (1754-1810) poi travolto dagli intrighi di corte contro il favorito della regina Manuel Godoy - annotò perspicaci e dettagliate osservazioni sulla colonia rioplatense (Malaspina rilevava le radicali contraddizioni socioeconomiche tra la regione costiera e le province dell’interno e denunciava l’anarchia e il malgoverno dei funzionari, “uccelli di passo” che fornivano alla Corona notizie e statistiche di fantasia oppure deformate dai loro interessi particolari).

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4. LA FRONTIERA INTERNA Il controllo della frontiera indiana (1777-1796) Il 27 ottobre 1777, non appena concluso il secolare conflitto ispanoportoghese, gli indios pehuenches e ranqueles sferrarono una nuova grande incursione contro la frontiera meridionale. Cent’anni prima del ministro Alsina e del generale Roca, Vértiz meditò di effettuare una grande spedizione nel deserto con 10 o 12.000 miliziani, ma, abbandonato il progetto, decise la costruzione di una linea fortificata, incaricando del progetto il comandante dell’artiglieria, tenente colonnello Francisco Betbezé. Le sue proposte, approvate nel 1779, prevedevano di costruire un baluardo presso la laguna di Los Ranchos (oggi General Paz), 100 chilometri a Sud di Buenos Aires, avanzandovi il fortino meridionale del Zanjon (oggi San Vicente). Il fortino di Los Ranchos fu completato nel 1781, assieme a quello di Mercedes (oggi Colon) 240 chilometri a N-O di Buenos Aires. In tal modo Buenos Aires fu circondata da 5 fortini avanzati (Melincué, Mercedes e Areco a N-E, Navarro e Lobos a SE) e 6 forti arretrati (Rojas, Salto, Guardia di Lujan, Monte, Ranchos e Chascomùs). I fortini erano posti di allarme avanzato, semplici quadrilateri protetti da una palizzata di guandubay e da un profondo fossato, con rastrello, ponte levatoio e baluardi per l’artiglieria, con al centro la torretta di guardia, il pozzo e gli edifici per il comando, gli alloggi, la polveriera, l’armeria e i magazzini. Erano custoditi da picchetti di milicia rural (12-16 uomini) distaccati a turno dalle compagnie della campagna. Queste ultime avevano sede nei 6 forti o comandancias, in pietra e di maggiore capienza, dove risiedevano anche i blandengues con le loro famiglie. Più ad Ovest il Rio Cuarto, confine con gli indios ranqueles e pampas, era già custodito da 2 fortini, il più antico dei quali (El Sauce) era a La Carlota, 200 km a S-E di Cordoba. Nel 1779 il comandante del settore, l’ufficiale di milizia Francisco Amigorena, aggiunse il forte Asuncion a Las Tunas e altri 3 fortini a Saladillo, San Fernando e Rio Cuarto. Ancora più ad Ovest, verso le Ande, Amigorena arretrò l’unico fortino preesistente a San Lorenzo del Chagnar (300 km a N di San Luis e 200 a N-O di Cordoba) e ne impiantò altri due a San José del Bebedero (poco a S di San Luis) e San Carlos (100 km a S di Mendoza). Questi ultimi due furono in seguito abbandonati, ma nel 1786 furono ripristinati con presidi di 50 uomini forniti a turno dalla locale cavalleria provinciale. Nel 1785 il viceré marchese di Loreto condusse una spedizione di 2.000 miliziani alle frontiere bonearense, santafesina e cordobese. Nel 1796 l’intendente di Cordoba, marchese de Sobremonte, delegò all’alfiere Ambrosio Mitre, comandante generale della frontiera, il compito di infittire

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la linea andina inserendovi 4 nuovi fortini a San Rafael (200 km a S-E di Mendoza), Sampacho (150 km ad O di La Carlota), El Zapallar (Loreto) e San Carlos. La Frontiera Nord di Santa Fe contava inizialmente 4 fortini (India Muerta, Pavon, Rosario e Almagro di Coronda). Se ne aggiunsero in seguito altri 9, uno (El Tio) ad O verso Cordoba, gli altri (Sunchales, La Pelada, Soledad, Salado, Saladillo, Cululù, San Juan Nepomuceno, Feliù) a N-O, N e N-E della capitale provinciale. Erano presidiati dalla compagnia blandengues e dalla cavalleria provinciale santafesine. Nel 1796 il settore fu ulteriormente potenziato, stabilendo una linea da San Jeronimo fino all’arroyo Pavon e al settore di Cordoba. Complessivamente alla fine del XVIII secolo i presidi della frontiera indiana erano 37. La ribellione di Tupac Amaru (1780-1782) L’allarme costiero cessò nel 1782, con la fine delle ostilità contro l’Inghilterra, ma negli ultimi due anni le truppe rioplatensi furono duramente impegnate dalla sollevazione contadina degli altipiani capeggiata dal cacique José Gabriel Condorcanqui, un latifondista e imprenditore che vantava una discendenza non riconosciutagli da Tupac Amaru, capo dell’ultima resistenza indigena, del quale Condorcanqui volle assumere nome e titolo. La rivolta degli indiani - esasperati dalla deportazione nelle miniere e dall’obbligo di acquistare merce inutile e scadente (sistema dei repartimientos) - scoppiò il 4 novembre 1780, genetliaco di Carlo III, nella comarca di Tinta, col sequestro del corregidor Arriaga, processato formalmente “in nome del Re” e impiccato il 10 nella piazza di Tungasuca senza alcuna reazione della locale milizia. In poco tempo la rivolta dilagò in un raggio di 500 chilometri da Cuzco a La Paz, coinvolgendo anche i distretti rioplatensi tra la costa del Pacifico e il lago Titicaca e contando anche qualche iniziale simpatia e connivenza nella borghesia creola del Cuzco. Pur accentuandone il radicalismo sociale, Tupac Amaru riprendeva l’ideologia incaista di Juan Santos Atahualpa, che nel 1742-52 aveva già sollevato la Sierra peruviana contro la dominazione spagnola. Ma di fatto la sollevazione del 1780-82 fu una tipica insurrezione di contadini e pastori indigeni contro la crudeltà e lo sfruttamento dei latifondisti spagnoli, con forti venature anarchiche, comuniste e anche razziste. Particolarmente controproducenti furono le feroci matanzas di spagnoli, creoli, meticci, mulatti, negri, zambos e indios rivali compiute in dicembre dalle tribù quechua. I ribelli erano regolarmente pagati con la soldada e inquadrati da capitani generali e comandanti locali. L’arma più micidiale degli insorti era la fionda: avevano però anche fucili e non pochi cannoni. Formavano battaglioni e squadroni disciplinati, con bandiere bianco-gialle, uniformi e perfino bande musicali, ma il loro vero punto di forza era la guerriglia (con incursioni, imboscate, incendi, inondazioni, sabotaggi, spionaggio e propaganda). La guerra fu breve. Raccolti a Tungasuca 10.000 indios e 1.000 meticci, Tupac Amaru marciò su Cuzco e il 18 novembre sorprese a Sangararà una colonna di 1.500 civici (spagnoli, creoli, meticci e indios fedeli) che avevano

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improvvisato una maldestra spedizione punitiva su Tinta. I miliziani cercarono di arroccarsi nella chiesa e nel cimitero, ma furono travolti dopo un fuorioso combattimento di otto ore e tutti i bianchi superstiti furono fatti a pezzi. Contando erroneamente di poter prendere la vecchia capitale grazie all’insurrezione dei creoli, l’Inca si volse allora a Sud, in soccorso degli insorti di Arequipa. Fin dal 29 novembre il viceré di Lima, Augustin de Jauregui y Aldecoa, spedì a Cuzco 200 pardos a cavallo con 400 fucili per la milizia civica. Il 7 dicembre, appresa la strage di Sangararà, mossero altri 300 veterani e miliziani con 6 cannoni, al comando del maresciallo di campo José del Valle. Il 23 dicembre anche Vértiz spedì da Buenos Aires 600 veterani scelti (Fijo, 2° Saboya e Dragones de la Expedicion), rinunciando a condurli personalmente nel timore di un imminente attacco inglese su Montevideo. L’avanzata di del Valle convinse Tupac Amaru a mutare direzione, varcando il confine rioplatense per sollevare l’Alto Perù. Espugnati Ayaviri, Lampa e Azangaro, fu tuttavia fermato dall’accanita resistenza del corregidor di Puno, il creolo Joaquin de Orellana. Solo allora, cedendo alle pressioni della moglie e dei luogotenenti, Tupac Amaru accettò di marciare contro Cuzco, nel frattempo rinforzata dalla colonna limegna e dai quechua fedeli. Ingrossato strada facendo da migliaia di famiglie indigene attratte dalla speranza del saccheggio, il 2 gennaio 1781 l’Inca forzò il ponte di Urubamba, tenacemente difeso da negri e indios fedeli, e il giorno seguente si accampò presso Cuzco con 5.000 fucili, 12 cannoni e una massa di 40-60.000 uomini e donne. Il 4 gennaio gli indios e i pardos limegni respinsero l’assalto generale alla quebrada di Cayra e l’Inca ordinò il bombardamento di Cuzco, fidando di poter convincere i suoi simpatizzanti a consegnargli la città. L’artiglieria dei ribelli, piazzata sulle alture dominanti, era superiore a quella dei difensori. Ma l’Inca l’aveva affidata a Juan Antonio Figueroa, uno spagnolo che al momento decisivo lo tradì sparando con alzo troppo elevato per colpire gli obiettivi. Col pretesto di ripararli, Figueroa sabotò inoltre i fucili del reparto scelto che l’8 gennaio tentò invano di espugnare il caposaldo del cerro Picchu per tagliare i collegamenti con Lima. Finalmente, avendo compreso di non poter far conto sulla “quinta colonna”, l’11 l’Inca tolse l’assedio, provocando così la demoralizzazione e lo sbandamento del suo esercito. Riordinate le forze a Tinta, l’Inca si dedicò ad una feroce rappresaglia contro Paruro e Cotabambas, consentendo così a del Valle di radunare al Cuzco 6.000 miliziani (metà dei quali negri e meticci) e 12.000 quechua comandati dai cacicchi fedeli, tra i quali spiccava per doti militari Mateo Garcia Pumacahua. Lasciati 1.000 miliziani a Cuzco e 1.846 a Umbamba e Calcaylares, del Valle marciò al Sud con 700 veterani del Reggimento Real de Lima, 950 miliziani a piedi, 1.620 a cavallo e 12.000 indios divisi in sei colonne. Il 22 marzo, a Pucocasa, Tupac Amaru respinse la colonna principale provocando la defezione di alcuni cacicchi, ma il 23 le altre colonne distrussero 10.000 ribelli sul rio Salca, espugnando poi Combapata e Tinta. Tradito, il 6 aprile Tupac Amaru fu catturato a Langui e il 14 giunse a Cuzco in catene. Il 15 maggio furono emesse 18 condanne capitali, inclusi il primogenito, uno zio e la sposa dell’Inca, la valorosa Micaela Bastidas Puyucahua. Morì per garrota il 18 maggio, prima del marito, mal squartato da quattro cavalli e infine decapitato.

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Il comando passò a Diego Cristobal Tupac Amaru, fratello dell’Inca, il quale, dopo essere sfuggito a vari rastrellamenti, perse molti uomini a Condorcuyo. Ma intanto erano scoppiate nuove insurrezioni antispagnole, mentre Diego Cristobal potè nuovamente stringere la morsa attorno a Puno. Sconfitti, il 26 maggio del Valle e Orellana dovettero evacuare la cittadina e affrontare una durissima marcia in mezzo alle continue imboscate, per raggiungere finalmente Cuzco il 5 luglio, con meno di diecimila superstiti (1.449 militari e 8.000 civili). Anche La Paz fu assediata due volte dal caudillo autonomo Julian Apaza, ma fu soccorsa in tempo dalle colonne di Buenos Aires, Charcas e Arequipa. Finalmente l’indulto vicereale del 12 settembre 1781 convinse Diego Cristobal ad intavolare negoziati di pace. Nel gennaio 1782 il cacique si arrese con la maggior parte dei suoi seguaci (più tardi, accusandolo di un nuovo complotto, riuscirono comunque a giustiziarlo). Ad avere ragione degli ultimi ribelli fu infine l’abile impiego dei fortini che li strinsero gradualmente in una rete impenetrabile. La rivolta si concluse nel giugno 1782 con lo sterminio delle ultime bande (montoneras) di Puno e La Paz, seguito da un’amnistia generale. Ma la regione limitrofa fu ancora scossa dalla sollevazione della milizia della Rioja, dai disordini di Jujuy capeggiati da José Quiroga e dall’invasione dei matacos sopra Salta. I governatorati militari e la Sub-inspeccion de Tropas (1782-83) La negativa esperienza del Perù impose drastiche riforme militari. In primo luogo emerse l’esigenza di decentrare il comando militare. Su proposta di Vértiz, con Real Orden del 29 luglio 1782 il territorio rioplatense fu ripartito in 8 governatorati militari (Intendencias de Ejército y Provincia) tre corrispondenti all’attuale Argentina (Buenos Aires, Cordoba del Tucuman, Salta), uno al Paraguay (Asuncion), tre alla Bolivia (Potosì, OropesaCochabamba, La Paz) e uno (Puno) alla zona compresa fra il Titicaca e la costa del Pacifico (il 1° gennaio 1796 quest’ultimo passò sotto la giurisdizione vicereale di Lima). Le loro competenze militari (ramo de la guerra) erano regolamentate dagli articoli 220-272 delle Ordinanze Militari di Carlo III, integrate dai Reales Ordines complementarios per i domini d’Oltremare e le Indie del 28 gennaio 1782 Al decentramento territoriale si accompagnò quello delle competenze militari del viceré. In base a Real Orden del 21 febbraio 1783, l’8 novembre venne infatti istituita la Sub-inspeccion general di tutte le Truppe del Viceregno, incarico attribuito al brigadiere Antonio Olaguer Feliù unitamente al “Comando generale di campagna della Banda Settentrionale delle Province del Rio della Plata”. Il sotto-ispettore doveva in particolare: a) curare la disciplina delle truppe veterane e delle milizie, ad eccezione del corpo reale d’artiglieria e degli ingegneri, i quali continuavano a dipendere dai loro particolari ispettorati; b) prendere nota dei meriti e dei servizi prestati dagli ufficiali, della loro condotta morale e capacità professionali; c) controllare i ruoli delle compagnie; d) ispezionare personalmente le unità della capitale e i presidi dell’interno con periodicità almeno triennale informando il viceré delle risultanze; e) preparare i piani difensivi da sottoporre all’approvazione reale o da eseguirsi direttamente in caso di emergenza.

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L’accrescimento delle truppe veterane (1782-89) L’altra riforma del sistema difensivo riguardava il trasferimento della sicurezza interna dalla milizia provinciale alle truppe veterane, resosi necessario per la cattiva prova data dalla milizia peruviana durante la ribellione tupamarista, ad eccezione delle unità di pardos e morenos e di quelle organizzate a proprie spese dai commercianti (milicias de comercio). Per tre anni, sino al 1785, l’area della rivolta fu presidiata da 2 battaglioni peninsulari, il 2° Soria nella parte limegna (Cuzco e Arequipa) e il 2° Extremadura in quella rioplatense (3 compagnie a La Paz, 2 a Oruro e le altre 4 a Potosì, Salta, Puno e La Plata del Charcas). Inoltre nel 1784 l’unico battaglione peninsulare di stanza a Buenos Aires (2° Saboya) fu sostituito da un Reggimento su 2 battaglioni (Burgos). I governi vicereali dovettero inoltre accrescere le truppe veterane fisse, pagate sui bilanci locali, compensando la maggiore spesa con tagli all’addestramento della milizia disciplinada. Per questa ragione nel 1782 fu ridotto il numero degli istruttori e alcuni di costoro, come il capitano graduado Juan de San Martin, tornarono in Madrepatria sulla fregata La Santa Balbina. Sciolta l’asamblea dei dragoni, ne rimasero soltanto due, quella di fanteria con 31 effettivi (1 sergente maggiore, 4 aiutanti maggiori, 6 sergenti, 12 caporali, 4 tamburi e 2 pifferi) e quella di cavalleria con 41 (aveva un numero doppio di sergenti e caporali ma era priva di tamburi e pifferi). Vértiz suggeriva di completare la truppa veterana con reclute peninsulari anzichè locali, per la maggiore propensione di queste ultime a disertare (“la experiencia me ha manifestado que el reclutamiento en este pais es de ninguna utilitad: lejos de ser conveniente, es perjudicial pues el que entraba desertaba al instante llevandose la ropa provista”). E del resto l’arruolamento forzato dei vagabondi locali (vagos criollos) non bastava a mentenere gli organici esistenti né a costituire i 2 nuovi battaglioni previsti (3° Real de Lima e 3° de Buenos Aires). Il suggerimento di Vértiz fu recepito dal Real Orden del 21 febbraio 1783 che autorizzava i due reggimenti portegni a “levantar bandera” nella Penisola, ossia a costituire le rispettive banderas de recluta a La Corugna e a Malaga. Nel 1784 assieme al Reggimento Burgos giunsero dalla Spagna anche 450 reclute forzate (vagos de leva honrada) assegnate al Fijo (347) e ai Dragones (103). Tuttavia soltanto nel 1789, quando il Reggimento Burgos fu rimpatriato, una parte dei soldati semplici fu trattenuta per costituire il 3° Buenos Aires, portando l’organico reggimentale a 84 ufficiali e 2.065 uomini (21 guastatori, 219 granatieri e 1.824 fucilieri). L’unico corpo a reclutamento locale era quello dei blandengues, salito il 28 giugno 1779 a 5 compagnie e 270 effettivi e riordinato con real cédula 7 ottobre 1783 su 6 compagnie di 3 ufficiali, 1 cappellano e 100 uomini (4 sergenti, 8 caporali, 2 guide, 1 trombettiere e 85 soldati). Inoltre il 3 luglio 1784 il corpo fu trasferito dalla categoria delle milizia a quella delle truppe veterane. Autonoma era la compagnia santafesina, con 5 ufficiali e 100 uomini.

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La riforma della milizia rioplatense (1784-1797) La vicenda tupamarista e la contemporanea sollevazione dei comuneros nella Nuova Granada, fecero emergere che la milizia provinciale, perno del sistema difensivo coloniale adottato nel 1765, poteva diventare un azzardo politico. Il 12 marzo 1783 Vértiz raccomandava al governatore intendente di La Paz, colonnello Sebastian de Segurola, di riunire le compagnie locali in uno o due reggimenti in modo da poterle controllare più direttamente. Più drastico il parere negativo espresso da Feliù il 10 febbraio 1784 sul progetto di riordinare la milizia di La Paz su 1 battaglione e 1 squadrone, più 1 compagnia assoldata nella città di Tarija e uno squadrone in ciascuno dei 10 partidos della provincia. Secondo Feliù era preferibile mantenere la popolazione delle province a Nord di Jujuy “sin conocimiento del manejo de las armas de fuego”, dal momento che i bianchi se ne erano andati quasi tutti e non si poteva fare affidamento sulla fedeltà delle altre razze (indios, cholos, mestizos e zambos). La milizia si doveva pertanto mantenere soltanto dove era assolutamente indispensabile, vale a dire soltanto alla Frontera con Indios Barbaros (Cinti, Tomina, Tarija e Chicas). Lo stesso Vértiz, nell’Instruccion reservada alla Giunta di Stato dell’8 luglio 1787, pur confermando l’utilità e anzi la necessità delle milizie per la difesa contro le invasioni esterne, avvertiva che erano poco adatte a compiti di sicurezza interna, come del resto, in virtù della loro crescente “americanizzazione”, stavano diventando le stesse truppe veterane fisse. Entrambe le aliquote dell’esercito erano infatti composte e quasi integralmente comandate da americani (naturales), gente educata fin dalla nascita “con maximas de oposicion y envidia a los europeos” e legata in vario modo ai “paysanos y castas”. Con Real Orden 22 agosto 1791 la milizia fu suddivisa in due categorie, l’urbana e la disciplinada (o reglada). La differenza era che le unità regolarizzate erano comandate e addestrate da ufficiali di carriera: ma nel 1799 le due asambleas di fanteria e cavalleria del Plata contavano ancora gli stessi effettivi del 1782, sufficienti appena per la sola milizia bonearense. Nel 1793, a seguito di una delle periodiche ispezioni delle unità di milizia, il quarto viceré, generale Nicolas de Arredondo (1789-95), propose di estendere alla milizia rioplatense il regolamento cubano di O’Reilly. Il suo successore, Pedro Melo de Portugal y Villena (1795-97), che aveva creato la cavalleria paraguayana, convinse la Corona ad adottare invece il regolamento santafesino, sostenedo che era una versione migliorata di quello cubano.

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5. L’INVASIONE INGLESE La guerra con l’Inghilterra e la difesa costiera (1796-1805) Nell’agosto 1796, un anno dopo aver concluso la pace separata con la Repubblica Francese, il governo di Manuel Godoy stipulò l’alleanza con Parigi e dichiarò guerra all’Inghilterra. Le forze navali in America Settentrionale includevano 7 vascelli e 4 fregate, più 11 e 7 nelle Antille e 15 e 12 nell’Atlantico. I rinforzi spediti dalla Spagna il 3 agosto non bastarono ad impedire, il 18 febbraio 1797, la resa di Trinidad e l’incendio delle navi rimaste bloccate, ma la valorosa resistenza opposta in aprile da Puerto Rico impedì agli inglesi di scardinare il sistema difensivo dei Caraibi. Pur senza ricevere rinforzi, anche le coste sudamericane furono poste in allarme e vari piani difensivi furono discussi nel 1794 e 1796. Deceduto Melo nel 1797, a succedergli fu designato il maresciallo di campo Feliù (1797-99), il quale lasciò al marchese de Sobremonte il sotto-ispettorato delle truppe del Plata e formnò una Junta de guerra per definire il piano difensivo. La proposta formulata dalla giunta il 17 luglio 1797 e approvato dal re il 4 maggio 1798, prevedeva di concentrare tutte le risorse sulla piazzaforte di Montevideo, unica città murata del Sudamerica, ritenendo non difendibile Buenos Aires. Il piano prevedeva di potenziare le difese di Maldonado e della Frontera di Montevideo (Santa Teresa, San Miguel e Rio Grande) completando l’organico del corpo di 800 blandengues orientali costituito il 7 dicembre 1796 e trasferendovi, se necessario, anche i 720 blandengues bonearensi (che si potevano sostituire con la milizia di campagna). In caso di attacco si poteva sbarrare il porto di Montevideo con un cordone di cannoniere. Se il nemico sbarcava a Maldonado o Colonia, si doveva attendere l’attacco sotto il cannone della piazza. In caso di evacuazione, la milizia della campagna orientale doveva continuare la resistenza con azioni di guerriglia. In base al piano, nel 1798 Feliù attribuì al subinspector Sobremonte il comando generale della Banda Oriental, distaccando a Montevideo un reparto del Fijo bonearense. Sobremonte riorganizzò la milizia orientale e nel marzo 1799 effettuò manovre a Punta Brava, a 4 chilometri dalla piazzaforte, ripetendole nel 1801 anche con sbarchi di fanteria. Il 24 novembre 1796 il comandante dell’artiglieria rioplatense, tenente colonnello Francisco de Arce y Alvada, fu incaricato di costituire 2 compagnie di artiglieria a cavallo per servire le batterie da campagna (tren volantes), ciascuna su 4 cannoni e 2 obici da 4 o 8 libbre. Le batterie impiegavano muli per il traino dei pezzi e cavalli per il trasporto dei serventi. Solo questi ultimi appartenevano all’artiglieria, mentre il resto della manodopera era fornito da miliziani indios e negri. Nel 1799 ne fu costituita una terza batteria, giudicando che l’artiglieria a cavallo fosse la “fuerza principal y de mayor confianza en la constitucion de este pais”. E’ interessante osservare che nel 1799-1801 un quinto degli ingegneri militari assegnati alle colonie americane - 1 colonnello e 7 ufficiali su un totale di

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una quarantina - lavoravano alla piazzaforte di Montevideo e alle altre fortificazioni rioplatensi, mentre a Lima c’era un solo colonnello e in Cile nessuno. Le capacità difensive erano però limitate dalla mancanza di veri arsenali. A Buenos Aires esistevano soltanto la piccola Armeria Real del Forte (8 armieri e peones) e il laboratorio pirotecnico, appaltati alle ditte Manuel Rivera e Francisco Velazquez & figlio, nonchè un minuscolo parque d’artiglieria con magazzino, polveriera, falegnameria e fabbrica di armi bianche (lance, spade e sciabole). Piuttosto limitata era anche la capacità dell’Apostadero del Plata, che oltre alle lance armate e alle galere di tipo mediterraneo-baltico adatte alla navigazione fluviale, poteva contare soltanto su 3 o 4 fregate oceaniche. La milizia di Feliù e Sobremonte (1800-01) Il nuovo regolamento per la milizia disciplinada proposto da Sobremonte nel 1799 e approvato il 5 aprile 1800, introduceva per la prima volta l’aggiornamento annuale delle liste, mediante arruolamento per classi di età ed estendeva le esenzioni, compensando però il minor gettito con l’arruolamento obbligatorio dei soldati dai 16 ai 45 anni già congedati dalle truppe veterane. A costoro erano riservati i posti di sottufficiale istruttore nonchè quelli a carattere amministrativo dello stato maggiore (Plana Mayor) reggimentale, mentre l’ufficialità restava interamente miliziana. Ciascun miliziano doveva provvedersi a proprie spese di un’arma da fuoco omologata e riceveva 20 cartucce per ciascuna delle 3 esercitazioni a fuoco che ogni compagnia doveva tenere ogni anno. In occasione della Grande assemblea reggimentale, che si teneva a Pasqua, le autorità fornivano a ciascun miliziano 10 cariche a palla. Il regolamento fu modificato il 14 gennaio 1801, aumentando le esenzioni e anticipando il congedamento al 40° anno di età. Nel 1800, quando Buenos Aires raggiungeva i 40.000 abitanti, nei ruoli della milizia del Plata erano iscritti 14.141 uomini: .320 granaderos (100 pardos e 60 morenos libres a Buenos Aires: altrettanti a Montevideo); 1.388 voluntarios de infanteria su 2 battaglioni con 18 compagnie (694 Buenos Aires: 694 Montevideo); .11.682 voluntarios de caballeria su 15 reggimenti con complessivi 46 squadroni (724 Buenos Aires: 1.204 Frontera de Lujar: 301 Santa Fe: 724 Montevideo: 362 Plaza de Maldonado: 362 Colonia de Sacramento: 180 Rio Negro: 625 Corrientes: 2.400 Paraguay 1° e 2°: 1.200 Cordoba: 600 Mendoza: 600 San Luis y su Frontera; 1.200 Salta: 600 San Miguel del Tucuman; 600 Cochabamba) .776 artilleros provinciales ripartiti in 9 compagnie (150 Buenos Aires, 230 Montevideo 1a e 2a, 100 Maldonado, 80 Colonia, 54 Mendoza, 62 Potosì, 100 Paraguay 1a e 2a).

Non sono compresi nel totale gli effettivi degli altri reparti di milizia urbana, vale a dire le 6 compagnie assegnate ai 6 forti della Frontera de Buenos Aires e istruite dagli ufficiali dei Blandengues, 2 compagnie autonome (100 commercianti della città di Potosì e 100 granatieri della Plata

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del Charcas), il battaglione di Santa Cruz de la Sierra (8 compagnie) e quello della città di La Paz (9 compagnie e 450 uomini) ed i 3 reggimenti di cavalleria (di forza variabile) della Frontera de Indios Barbaros (Tomina, Cinti e Tarija). A titolo di raffronto, ricordiamo che per il 1799 gli organici delle truppe veterane delle colonie americane si possono stimare a circa 27.000 teste, distribuite in 12 reggimenti e 6 battaglioni fissi, 3 reggimenti e 2 squadroni dragoni e una cinquantina di reparti minori, per un totale di 407 compagnie (334 di fanteria, 40 di dragoni, 15 di blandengues e 18 d’artiglieria con 40 ingegneri). Peraltro va sottolineato che la forza effettiva era notevolmente inferiore: nel viceregno rioplatense erano in servizio soltanto 2.800 uomini, cioè il 62 per cento dell’organico (4.536) e nel 1810 in tutte le colonie americane servivano soltanto 16.000 veterani, pari al 59 per cento degli organici. Ai veterani si aggiungevano, ancor più sulla carta, circa 82.000 miliziani “disciplinati” (uno ogni 1.500 abitanti), senza contare le milizie urbane, di entità precisata solo nel caso peruviano (450 compagnie con 30.299 iscritti). Gli effettivi (in alcuni casi stimati in base al solo numero di unità, congetturando il relativo organico, non sempre indicato dagli elenchi amministrativi del 1799 e 1801) erano così distribuiti:

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2. B. 2el 1806 la 2uova Granada aveva 3.573 veterani e 7.740 miliziani.

La difesa del Plata all’inizio dell’Ottocento (1800-05) La realtà era tuttavia più modesta. Lo stesso Sobremonte, in una memoria del 5 agosto 1801, riconosceva che le milizie erano prive di uniformi e che, pur essendovi sufficienti quantità di polvere, le armi bastavano per due soli reggimenti. Non migliore era la situazione delle truppe veterane, cronicamente sotto organico. Nel 1802 i quattro corpi principali contavano soltanto 2.509 effettivi, con una deficienza di ben 1.796 unità rispetto ai nuovi organici prefissati: Organico

Effettivi

Deficienza Regimiento de Infanteria de Buenos Aires 2.065 Regimiento de Dragones de Buenos Aires 136 Blandengues de la Frontera de B. A. 86 Blandengues de la Frontera de Montevideo 800

876

1.187

720

584

720

637 412

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Malgrado ciò nel 1802 l’esercito stabilì 21 posti militari per assicurare la corrispondenza tra Colonia, Montevideo e Maldonado, mentre nel 1803 la frequenza della posta per Lima fu triplicata con tre corrieri mensili. Morto

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Del Pino all’inizio del 1804, gli successe l’intendente di Cordoba, marchese de Sobremonte. Tra i provvedimenti militari, nel 1802 fu completata la batteria dell’Ensenada de Barragan che proteggeva l’unico approdo sulla sponda occidentale del Plata e nel 1804 fu potenziata anche l’artiglieria veterana della sponda orientale, riordinandola su 2 brigate di 2 compagnie, con un effettivo di 20 ufficiali, 20 sergenti e 312 artiglieri. Una delle brigate era addetta alla piazzaforte di Montevideo e alle batterie costiere, l’altra alle 2 batterie “volanti” (8 cannoni e 4 obici). In compenso il 29 aprile 1804 le compagnie di artiglieria provinciale dell’interno furono sciolte, passando il personale alla fanteria. Rimasero soltanto 4 compagnie di 100 artiglieri a Buenos Aires, Montevideo, Maldonado e Colonia. Tuttavia nel maggio 1805 gli organici dell’artiglieria di Montevideo furono nuovamente accresciuti di 24 veterani e 100 provinciali, riducendo a 60 effettivi la compagnia provinciale di Colonia e ristabilendo 100 artiglieri provinciali in Paraguay e 60 a Mendoza. Inoltre il comandante dell’artiglieria, colonnello Francisco de Ordugna, fece un nuovo sopralluogo a Maldonado. Il comandante dell’apostadero di Montevideo segnalò a sua volta la debolezza dell’Ensenada de Barragan, proponendo di abbandonarla, ma Sobremonte, ora viceré, preferì invece rinforzarla con artiglieri veterani, blandengues e cavalleria provinciale. Infine i servizi interni nelle città di Buenos Aires e Montevideo vennero attribuiti alla milicia urbana de comercio (6 compagnie in ciascuna città) istituita sul modello degli analoghi reparti di Potosì, La Paz e Santa Cruz della Sierra. La Loggia di Buenos Aires, avanguardia della Royal 2avy Le misure liberalizzatrici del 1778-82, attuate nel viceregno del Plata da Arredondo, svilupparono il movimento del porto di Buenos Aires. Sotto Vértiz si era limitato ad una quindicina di navi all’anno, ma già nel 1794 era salito a 103 navi, di cui 35 da Cadice e 32 da Barcellona: ne arrivavano però anche dai porti nordamericani, anseatici e perfino ottomani. E ciò nonostante le nuove restrizioni imposte agli armatori e commercianti rioplatensi relativamente alla tratta di schiavi (1791 e 1793) e al commercio con le colonie straniere (1795), con la Penisola (1796) e con i paesi neutrali (1797). L’incremento del commercio favorì la nascita di una aristocrazia intellettuale formata soprattutto dai creoli, confinati all’esercizio delle professioni liberali. Sotto l’ottavo viceré, Joaquin del Pino (1801-04), apparvero i primi periodici locali: nel 1801 il reazionario Telégrafo mercantil, diretto dal colonnello F. A. Cabello, sostituito però nel 1802 dal Semanario de agricoltura y comercio, di tendenza liberale, curato da Hipolito Vieytes e Cervigno, direttore della scuola di nautica aperta nel 1799 - assieme alla scuola di geometria, disegno e architettura di J. A. Hernandez - per iniziativa del Consolato del commercio, di cui era segretario uno dei 92 oriundi italiani di Buenos Aires, l’avvocato Manuel Belgrano (1770-1820). Tutti futuri esponenti della rivoluzione del maggio 1810. Finalmente, nel 1804, Buenos Aires superò gli esami di maturità guadagnandosi la sua brava loggia massonica, tipico strumento di assimilazione culturale e cointeressenza affaristica dei ceti dirigenti indigeni, che i marinai e i commercianti inglesi disseminavano da mezzo secolo in

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tutti i principali porti stranieri, fedeli al principio che “le frontiere dell’Inghilterra sono i porti del nemico”. La loggia, che si riuniva alla fonda de los Tres Reyes, fu rapidamente scoperta e disciolta dalle autorità, ma il coinvolgimento di importanti personaggi peninsulari - come il commerciante Manuel Arroyo y Pinedo, il funzionario del monopolio dei tabacchi Gregorio Gomez e forse lo stesso generale Martinez - consigliò di archiviare il caso senza conseguenze, una tolleranza di fatto che ormai costituiva la regola di tutti i governi europei, incluso quello pontificio. Il 71st Highlanders a Buenos Aires (25 giugno-12 agosto 1806) Il 21 ottobre 1805, a Trafalgar, la flotta inglese dell’ammiraglio Orazio Nelson distrusse quella franco-ispana degli ammiragli Villeneuve e Gravina, assicurando all’Inghilterra il dominio incontrastato degli Oceani e tagliando in due tronconi, l’americano e il peninsulare, il sistema difensivo spagnolo. Naturalmente l’Inghilterra cercò di trarne il massimo profitto, al duplice scopo di logorare la resistenza napoleonica e di espandere il proprio impero coloniale. Il primo obiettivo non era però l’America, ma l’India. A tal fine, con una rapida azione di forza, nel gennaio 1806 il generale sir David Baird riprese possesso del Capo di Buona Speranza, che il trattato di Amiens del 1803 aveva restituito all’Olanda. Sir Home Popham, commodoro della squadra navale del Sud Atlantico, chiese allora al comandante terrestre di cedergli 800 scozzesi (il 71st Highlanders del brigadiere William Beresford) per sbarcare a Buenos Aires, sollevare i creoli contro il giogo spagnolo e privare la Spagna delle rendite del Nuovo Mondo. Presumibilmente le conversazioni avute con membri del governo avevano indotto l’impulsivo commodoro a contare sulla loro approvazione, mentre Baird si lasciò convincere dal negriero nordamericano Wayne, il quale millantava di conoscere bene i creoli rioplatensi e di poter garantire che sarebbero insorti. Dopo una puntata in Giamaica per imbarcare un altro battaglione, la squadra di Popham si rifornì all’Isola di Santa Caterina, violando il trattato ispano-portoghese del 1777, e alla fine di giugno comparve nella Plata. In precedenza il sub-inspector general, colonnello Pedro de Arce, aveva organizzato una forza mobile con 100 blandengues, 500 voluntarios di cavalleria della Frontiera bonearense e 3 cannoni. Il 22 giugno, avvistate le vele inglesi, Sobremonte mobilitò altri 860 fanti (600 veterani, un terzo dei quali montati, 160 granaderos pardos e morenos e 100 granaderos bonearensi detti del Rey) e 600 cavalieri (100 blandengues, 250 voluntarios a cavallo di Buenos Aires e 250 distaccati da Cordoba e San Luis), senza contare una riserva di 400 fanti e 1.400 cavalieri, teoricamente pronti a marciare al primo avviso. Ovviamente Sobremonte si aspettava lo sbarco alla Ensenada de Barragan e lì infatti concentrò la sua colonna, lasciando Arce a coprire la capitale. Invece Popham la doppiò e la sera del 25 giugno si fermò più a Nord, traghettando 1.650 uomini e 4 cannoni a Quilmes, sobborgo meridionale della capitale. Il mattino seguente, alla Reduccion, 800 massicci highlanders travolsero il tentativo di resistenza abbozzato dal colonnello Arce e il 27 forzarono l’ultima ridotta al ponte di Galvez sul Riachuelo, entrando in città. Lo stesso giorno Sobremonte si ritirò a Lujan con i suoi 1.500 uomini.

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Frattanto Popham intimava con toni arroganti il pagamento di un esoso tributo di guerra. Ma i gattopardi bonearensi adottarono la stessa strategia dei loro cugini palermitani: “chinati juncu cha passa ‘a chiena”. Così il cabildo, strumento dell’aristocrazia peninsulare, riconobbe con sbalorditiva docilità la sovranità del re d’Inghilterra e supplicò Sobremonte di consegnare a Popham la cassa vicereale (1.086.203 dollari e uno scrigno di gioielli) per evitare la tassazione dei patrimoni individuali. Ancor più sbalorditivo è che il viceré abbia acconsentito alla richiesta, nell’esclusivo interesse dell’oligarchia che aveva appena tradito il sovrano da lui rappresentato. Così il tesoro rioplatense fu consegnato agli inglesi e imbarcato per Londra. Il 20 settembre 1806, prima di depositarlo nella Banca d’Inghilterra, un picchetto di marinai lo scortò trionfalmente per le strade di Londra, su otto carrette con le scritte Treasure e R.M. (Royal Money). Santiago de Liniers e la “Reconquista” del 12 agosto Ma Popham e Beresford avevano sottovalutato l’avversione dei creoli e della plebe, acuita dall’acquiescenza dell’odiata oligarchia peninsulare. Inoltre avevano trascurato Montevideo e dell’Ensenada di Barragan, ancora controllate dai due capitani di vascello della Real Armada Pascual Ruiz Huidobro, comandante dell’Apostadero, e Santiago de Liniers y de Bremond (1753-1810), un ufficiale di nazionalità francese, veterano della spedizione di Cevallos e degli assedi mediterranei di Mahon e Gibilterra, che alla vigilia dello sbarco inglese aveva lasciato il governatorato interinale di Misiones per assumere il comando della batteria costiera sulla sponda occidentale del Plata. Ai primi di luglio Liniers attraversò il Plata col presidio e i pezzi e dal Sacramento raggiunse Montevideo, dove Huidobro gli mise a disposizione mille uomini (528 veterani, 252 miliziani orientali, 120 mignones catalani di Bofarull e alcuni avventurieri di varia nazionalità). Il 22 luglio la colonna partì per riprendere Buenos Aires e il 31 raggiunse Colonia, dove la attendevano i corsari del francese Mordeille per trasportarla sulla Banda Occidentale del Plata. Qui, intanto, Juan Martin de Pueyrredon (1776-1850) e il comandante dei blandengues Antonio Olavarria avevano riunito la milizia paesana (husares) della zona di Perdriel, ad una ventina di chilometri dalla capitale: circa 500 lancieri con 5 cannoni. Avutane notizia, il 1° agosto Beresford li attaccò di sorpresa con 550 scozzesi e 6 cannoni, disperdendoli. Ma la notte del 3 agosto Liniers attraversò la Plata e il mattino del 4 prese terra a Las Conchas, dove fu rinforzata da 73 corsari e 300 marineros locali guidati da Juan Gutierrez. Il 5, a San Isidro, incorporò anche Olavarria con 200 superstiti di Perdriel, attestandosi poi ai Corrales de Miserere, dove apprese che Sobremonte stava arrivando da Cordoba con altri 1.300 uomini (550 paraguaiani, il resto di Corrientes, Tucuman e San Luis). Nell’intento politico di non cedere il comando al viceré e fidando sull’insurrezione dei portegni, Liniers decise di attaccare da solo e il 10 si presentò a Nord della capitale con 1.500 uomini e 8 pezzi navali (4 carronate e 2 petrieri), intimando la resa a Beresford. Nel pomeriggio, rinforzata da 2 cannoni terrestri recuperati al Parque, la colonna attaccò l’avamposto del

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Retiro, costringendo il nemico a ripiegare in città lasciando sul terreno 30 uomini e 1 cannone. Preceduto dalle incursioni dei migueletes e dei corsari, il mattino del 12 si scatenò l’attacco generale, sostenuto dall’insurrezione cittadina. Dopo un’ultima resistenza sulla piazza del Forte, a mezzogiorno Beresford si arrese, restando prigioniero fino al luglio 1807. L’onore di ammainare la bandiera inglese issata sul forte spettò al cabo 1° Vicente Gutierrez. La battaglia era costata 200 perdite rioplatensi contro 300 inglesi (165 del solo 71st). La sconfitta inglese venne sfruttata dalla propaganda napoleonica e lo stesso imperatore dispose l’invio di un carico di fucili, nonchè di 200 decorazioni della legion d’onore da distribuire ai più valorosi. La seconda spedizione inglese (ottobre 1806) Apparentemente l’obiettivo strategico della spedizione inglese, quello di sollevare i creoli contro il dominio spagnolo, era clamorosamente fallito. Ma la fiera insubordinazione di Liniers contro Sobremonte - che tra l’altro scaricava sul viceré fuggiasco anche le colpe dell’oligarchia portegna avviava comunque il processo politico che di lì a quattro anni avrebbe portato all’autonomia e poi anche alla formale indipendenza delle province rioplatensi. Per la prima volta, infatti, il cabildo di Buenos Aires, abierto anche al patriziato creolo, rivendicò il diritto di eleggere una Junta de guerra per scegliere il governatore militare della piazza. Naturalmente il congreso general del 14 agosto acclamò Liniers, il quale rifiutò poi di ricevere Sobremonte. Sobremonte oppose qualche timida resistenza, facendo rilevare il rischio di armare la popolazione e la necessità di sottoporre la deliberazione del cabildo al tribunale della Real Audiencia. Ma quest’ultimo non osò sconfessare l’ipocrita ingratitudine del cabildo e anzi dichiarò Sobremonte decaduto dalle funzioni vicereali. Poco prima dell’invasione inglese era giunta notizia che il re aveva modificato i criteri per la supplenza delle funzioni vicereali, non più attribuita al presidente dell’Audiencia bensì al militare più elevato in grado. In base a questo criterio l’ufficio spettava a Huidobro, più anziano di Liniers. Ma a Liniers fu riconosciuto il comando, formalmente subordinato ma di fatto autonomo, della piazza di Buenos Aires, con il compito di armare e organizzare una forza di difesa locale. Queste misure d’emergenza erano del resto giustificate dal permanere della minaccia inglese. Infatti, pur sconfessando l’iniziativa di Popham che aveva agito senza ordini e disponendo di truppe destinate ad altro impiego, il governo aveva ceduto alle pressioni dei mercanti londinesi interessati ai nuovi mercati ed allestito due corpi di spedizione di 1.630 e 4.350 uomini (brigadieri Crawford e sir Samuel Auchmuty) per invadere il Messico e conquistare il Cile. Tuttavia, non appena conosciuta la resa di Beresford, il governo dirottò quelle truppe su Montevideo. Primo a sbarcare a Maldonado e Gorriti, il 14 ottobre, fu però il colonnello Backhouse, partito dal Capo con altri 1.400 uomini, incluso un battaglione del 60th (Royal Americans) reclutato a forza tra i militari stranieri del disciolto presidio olandese (400 mercenari del principato di Waldeck e 200 ex-prigionieri austriaci e ungheresi venduti dai francesi). Il 2 dicembre Backhouse respinse una sortita dei difensori, uccidendo il capitano di fregata

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Abreu. La nuova milizia rioplatense (settembre-novembre 1806) La piazzaforte di Montevideo, rinforzata da 500 volontari bonearensi, era munita di 166 pezzi, con difese avanzate (Baluarte del Norte e Forte di San José alla plaza del Cerro) e 3 batterie esterne (Santa Barbara, Pegna de Bagres e Isla del Puerto). Ben più debole era Buenos Aires, dove Liniers fece trasportare anche i cannoni pesanti delle batterie costiere di Colonia ed Ensenada. Tra i voluntarios rioplatensi servivano numerosi soldati e statisti della futura Indipendenza argentina, Medrano, Alberti, Diaz Vélez, Chiclana, Lezica, Irigoyen, Montes de Oca. Primo segno delle latenti tensioni politiche destinate ad esplodere nel 1809, fu che, diversamente dai vecchi corpi di milizia, i 10 battaglioni di fanteria costituiti tra il 13 settembre e il novembre 1806 erano distinti per gruppo etnico, separando i residenti (vecinos) originari della capitale (detti patricios, vale a dire hijos de la patria) non soltanto dai “nativi” (indios) e dalle “caste” (pardos e morenos) ma anche dagli immigrati provenienti dalle province dell’interno (detti forasteros o arribegnos) e dai peninsulari, a loro volta distinti in 5 tercios etnicoregionali (gallegos, andaluces, catalanes, vizcainos e montagneses). In ottobre, dopo il secondo sbarco inglese, tutti i veterani rimasti a Buenos Aires furono trasferiti di rinforzo a Montevideo e Liniers decise di accasermare una parte della milizia di fanteria, circa 2.000 uomini, gravando così le finanze pubbliche di un costo rilevante ma redistribuendo ricchezza a vantaggio della plebe disoccupata, alla quale si offriva un inatteso e cospicuo introito. L’accasermamento escludeva i tercios peninsulari, in gran parte commercianti che non potevano distogliersi dai loro affari privati. Costoro formarono la riserva, alla quale fu concesso di limitare l’addestramento alla sola mattina della domenica. In ogni modo l’offerta si rivelò insufficiente a colmare gli organici, calcolati in rapporto all’esorbitante numero di quadri già nominati. A tal fine, sollecitato dai comandanti di corpo, il 20 novembre il cabildo proclamò l’obbligo del servizio militare per i vecinos dai 16 ai 50 anni. Tuttavia con scarsi effetti, dal momento che il 5 febbraio 1807 i comandanti sollecitarono un nuovo bando. Alla fine, per attirare i volontari, Liniers fu costretto ad aumentare la paga base a 14 pesos mensili contro gli 8 spettanti alla truppa veterana. Ai caporali del nuovo esercito ne spettavano 18 e 20 ai sergenti. Le paghe degli ufficiali reggimentali erano differenziate per arma: 25, 30, 35 e 20 pesos per i sottotenenti dei fucilieri, granatieri, dragoni (alfieri) e artiglieria, 50, 60, 80 e 90 per i capitani, 200, 240 e 250 ai colonnelli delle tre armi. Cappellano e chirurgo ne percepivano 30, il brigadiere 333. Intanto Hipolito Vieytes pubblicò sul Semanario del 14, 21 e 28 gennaio 1807 un progetto per istituire un scuola di formazione per gli ufficiali, mentre José de Maria pensò addirittura di armare gli schiavi, ammassando a tale scopo 500 lance e 150 dozzine di coltelli da distribuire in caso di attacco inglese (un Cuerpo de Escalvos è in effetti menzionato il 16 febbraio 1807). La nuova milizia rioplatense fu passata in rassegna il 15 gennaio al campo di Barracas. Formava una massa di circa 8.500 uomini, inclusi 1.200

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ufficiali e sottufficiali eletti dalle compagnie fra persone di bassa condizione sociale. Munita di un vasto assortimento di armi da fuoco omologate e di ben 148 cannoni (49 da campagna e 99 da piazza), era la milizia più numerosa fino ad allora mobilitata in Sudamerica, quasi un quinto della popolazione portegna. L’ordinamento era il seguente: a) 12 battaglioni di fanteria (88 compagnie) .2 di veterani spagnoli (Antinguo Infanteria e Antiguo Dragones) entrambi su 4 compagnie; 3 di patricios (Cornelio Saavedra, Esteban Romero e José D. Urien) con 23 compagnie e 1.350 effettivi; .1 di forasteros o Arribegnos (Juan Pio Gana, biscaglino) su 9 compagnie e 540 effettivi; .1 di 2aturales, Pardos y Morenos (José Ramon Baudriz) su 9 compagnie e 540 effettivi (inclusi 250 ex-granatieri); .5 tercios di peninsulares: 600 galiziani (Antonio Pedro Cevigno), 440 andalusi (José Merelo), 520 catalani (mignones: Jaime Nadal y Guarda, poi Olaguer Reynolds), 400 baschi, navarresi, asturiani e castigliani (Prudencio Murguiondo) e 200 montagneses o cantabros de la amistad (José de Oyuela e Pedro Andres Garcia). In tutto 2.160 su 37 compagnie, inclusa 1 di granaderos gallegos; .2 compagnie autonome, una di 107 granaderos bonearensi (Juan Florencio Terrada) e una di 85 cazadores correntini (N. Murguiondo poi Juan José Blanc) aggregata al Tercio de cantabros de la amistad;

b) 15 squadroni di cavalleria .4 del Regimiento Dragones de Buenos Aires (ten. col. Florencio Nugnez) 2 con 268 Blandengues de la Frontera (ten. col. Esteban Hernandez e Benito Chaim) .3 con 615 husares (1° Pueyrredon, 2° Lucas Vivas, 3° Pedro Ramon Nugnez); .1 di 200 cazadores Correntinos (4° husares o Infernales, Diego Herrera: il 2 ottobre trasformato in batallon de infanteria ligera o de cazadores de Carlos IV); .2 di reclute (quinteros) tratte dai labradores (Antonio Luciano Ballester) licenziati il 5 febbraio 1808; .3 reclutati a spese di privati (221 della Real Maestranza de Artilleria, Manuel Rivera Indarte; 219 Carabineros de Carlo IV, Lucas Fernandez; Migueletes de Caballeria, Alejo Castex e José Diaz);

c) 16 compagnie di artiglieri ausiliari .395 Artilleros Voluntarios Patriotas de la Union: 7 compagnie di creoli reclutati da Martin da Alzaga e pagati con fondi municipali, con ufficiali spagnoli, aggregate all’artiglieria da campagna (col. Gerardo Esteve y Llach, catalano); 100 artilleros de milicia provincial (José Maria Pizarro); .426 Indios, Pardos y Morenos su 8 compagnie (Francisco Agustin e alfiere di marina Domingo de Ugalde) aggregati all’artiglieria da fortezza per compiti di manovalanza .

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La resa di Montevideo e lo scontro del Miserere (2 febbraio - 2 luglio 1807) Un rinforzo di 500 volontari bonearensi non fece in tempo a raggiungere Montevideo. La piazza si arrese infatti ad Auchmuty il 2 febbraio 1807, dopo una fiera resistenza che costò le gambe al valoroso tenente colonnello Vassall del 38th Foot (1st Staffordshire) e valse un battle honour sulla bandiera del 95th (The Rifle Corps). Huidobro fu spedito prigioniero in Inghilterra e soltanto 130 marinai spagnoli poterono imbarcarsi per Buenos Aires, dove formarono un Batallon de Marina. La notizia della resa giunse a Buenos Aires il 6 febbraio, quando già la Junta de guerra stava cercando il modo meno traumatico per destituire Huidobro dando il comando generale a Liniers. Il 2 marzo la milizia fu mobilitata con paga ridotta a 12 pesos mensili e distribuita di guardia alla costa tra Olivos e Quilmes. Ma gli inglesi temporeggiavano, aspettando il comandante in capo, tenente generale John Whitelocke, giunto finalmente a Montevideo il 10 maggio 1807, con il capo di stato maggiore J. Cewison Gower, 1.630 rinforzi e un distaccamento d’artiglieria. In tal modo le forze inglesi arrivarono a 9.800 uomini - 9 reggimenti a piedi, 3 di dragoni montati e 1 brigata d’artiglieria: .1a colonna (2.550): 5th (2orthumberland), 38th (1st Staffordshire) e 87th (Prince of Wales’s Irish) Foot; 2a colonna (2.000): 17th Light Dragoons, 38th e 88th (Connaught Rangers) Foot; .3a colonna (1.700): 95th (The Rifle Corps) e 3rd/60th (Royal Americans) Foot; .4a colonna (1.650): 6th (Inniskilling) Dragoons, 9th Light Dragoons, 40th (2nd Somersetshire) e 45th (2ottinghamshire) Foot; .5a colonna (1.150): dragoni appiedati; .3rd Brigade, Royal Artillery (750).

Liniers approfittò dell’inazione inglese per spedire il colonnello spagnolo Francisco Javier de Elio (1767-1822) a riprendere la Colonia di Sacramento, ma l’8 giugno fu sconfitto a San Pedro, riuscendo a stento a reimbarcarsi. Così Whitelocke potè raggiungere Colonia, dove si imbarcò con Gower e metà delle sue forze (8 mezzi battaglioni, 8 compagnie leggere reggimentali, 6th e 17th Dragoons e 21 pezzi). Sbarcato il 29 giugno all’Ensenada de Barragan e proseguì poi per Quilmes e Paso Chico senza incontrare alcuna resistenza. Liniers lo attendeva infatti 4 chilometri a Sud della città, con le spalle al Riachuelo, schierato su 3 forti brigate (Izquierda, Centro e Derecha) al comando di colonnelli regolari, gli spagnoli Bernardo Velazco e F. J. de Elio e l’italiano Cesare Balbiani, già ufficiale del presidio cileno e aiutante di campo di Liniers. Juan Gutierrez de la Concha comandava la riserva e José de Figueroa l’artiglieria, ben 52 pezzi in 11 batterie disposte a semicerchio davanti al Riachuelo e intervallate da 14 battaglioni e 6 squadroni (di forza pari a quella, ridotta, delle corrispondenti unità inglesi). Il nemico spuntò al mattino del 2 luglio. Era Gower con l’avanguardia (4 battaglioni, 2 squadroni e 2 cannoni) che, sfilando davanti all’intero esercito nemico, passò il Riachuelo più a monte. Paralizzato dalla mancanza di informazioni, Liniers abbozzò un tardivo attacco contro il fianco destro di

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Gower e, abbandonate le batterie, lo inseguì con tutto l’esercito fino ai Corrales del Miserere, dove il fuoco metodico dei veterani inglesi inchiodò l’assalto tumultuario delle milizie bonearensi. La disfatta inglese (5-7 luglio 1807) A difendere Buenos Aires erano rimasti meno di 200 soldati, quelli che Liniers aveva lasciato in città. Ma la decisione di resistere ad ogni costo, mobilitando i civili, fu imposta al riluttante cabildo dall’energico alcalde Martin de Alzaga y Olavarria (1756-1812), capofila dei commercianti peninsulari. Per tre giorni la popolazione fortificò gli avamposti del Retiro e della Residencia ed eresse batterie sotto la direzione del colonnello di marina Juan Bautista Azopardo (1774-1848). Inoltre sbarrò il centro della città con barricate e case fortificate: un’area di un chilometro quadrato, a ridosso del lungomare tra le chiese di San Francisco e della Merced, che includeva il collegio dei gesuiti, la rancheria, il palazzo del cabildo, il forte e la cattedrale. Intanto, lasciati di riserva a Quilmes 2 reggimenti (40th Foot e 17th Dragoons) e 200 marines con 5 cannoni, Whithelocke raggiunse Gower al Matadero del Miserere, ponendo il quartier generale a casa de White, e all’alba del 5 luglio si schierò verso il lato occidentale della città con 10 mezzi battaglioni (24 compagnie fucilieri, 8 leggere, 4 di rifles e 4 di carabinieri), il 6th Light Dragoons e 16 pezzi. Ma i due avamposti nemici apparvero talmente deboli che Whitelocke rinunciò a cannoneggiarli. Alle 6 e mezza del mattino gli inglesi avanzarono a raggera. Il tenente colonnello Guard (45th Foot e 2 cannoni da tre libbre) prese l’avamposto meridionale (La Residencia) mentre Crawford entrava in città col resto dell’ala destra (16 compagnie leggere, rifles e carabinieri), raggiungendo la Piedad, la casa della Virreina e il convento di San Domenico, trecento metri a Sud del Forte. Intanto la 2nd Brigade di Lumley (88th e 36th) attaccava il lato settentrionale del ridotto nemico, tra la chiesa di San Miguel e la casa del Socorro, mentre più a Nord il tenente colonnello Davie (5th Foot) espugnava il Parque e Las Catalinas e il resto della 1st Brigade di Auchmuty (87th e 38th) attaccava l’avamposto settentrionale del Retiro e la batteria Abascal accerchiando i difensori a Plaza de Toros. Ma a quel punto crollò la disciplina degli attaccanti, caso non raro nella storia militare. Credendosi già vincitori, i soldati si sbandarono per saccheggiare, stuprare e ubriacarsi. Non ancora sconfitti, i patrioti ne approfittarono per bersagliarli dalle finestre e dagli incroci e per intrappolarli con nuove barricate. Decimati, separati e imbottigliati in strade sconosciute, i reparti nemici furono costretti a combattere alla cieca, casa per casa e in tutte le direzioni, ignorando la propria posizione e cercando disperatamente di segnalarla con le bandiere piantate sui tetti delle case e i campanili delle chiese, come fece il maggiore Henry King del 5th Foot. A mezzogiorno il Tercio de Andaluces e una colonna di formazione accerchiarono Crawford nel convento di San Domenico. Demoralizzate, le varie sacche cominciarono ad arrendersi, prima la brigata Lumley, e alle 3 e mezza del pomeriggio Crawford, con 960 uomini. La vittoria era costata 1.600 perdite bonearensi, contro 800 morti e feriti e 2.000 prigionieri inglesi. Whithelocke manteneva ancora i due capisaldi periferici, ma aveva perso

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2.800 uomini contro 1.600. Dopo un giorno di incertezza, fu lo stesso comandante inglese a chiedere di poter negoziare un’umiliante ritirata. L’accordo del 7 luglio lo impegnava infatti a sgombrare anche Montevideo in cambio del rilascio dei 3.300 prigionieri in mano nemica (inclusi i 1.300 catturati il 12 agosto dell’anno precedente). Eseguite le clausole dell’accordo, il 23 luglio la milizia fu smobilitata, ad eccezione del 1° squadrone husares de Pueyrredon e di 10 compagnie scelte, una per ciascun battaglione, riunite temporaneamente in un Cuerpo Voluntario del Rio de la Plata che agli ordini di Elio e Prudencio Murguiondo si recò a riprendere possesso di Montevideo. La corte marziale giudicò Whitelocke “totally unfit and unworthy to serve His Majesty in any military capacity whatever” e il re gli revocò la colonelcy dell’89th Foot, unico caso durante le guerre napoleoniche. Al contrario, la figura di Liniers fu esaltata anche in Europa, le città dell’Alto Perù gli spedirono trofei d’oro massiccio e il 16 ottobre 1807 il reparto dei granatieri bonearensi, elevato a battaglione di 240 uomini, fu intitolato al suo nome. In ogni modo il secondo sbarco inglese a Buenos Aires finì ugualmente per raggiungere il suo scopo principale, vale a dire imporre l’apertura della colonia alle merci inglesi. Infatti a Montevideo era rimasto un grande stock di merci pregiate, soprattutto tessili. Le autorità vicereali ne vietarono la vendita minacciando pene gravissime, ma naturalmente non poterono impedirla. La vendita sottocosto provocò il desiderato effetto dumping, assestando un colpo mortale alle rozze manifatture rioplatensi. E i commercianti londinesi, rappresentati da Alexander Mackinnon, si insediarono a Buenos Aires avviando anche attività industriali che già nel marzo 1810 suscitavano l’allarme e le proteste del consolato.

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6. LA CADUTA DEL GOVERNO VICEREALE La fronda catalana, la secessione di Montevideo e il progetto carlotista (1808) Nei mesi successivi, furente per l’umiliazione, l’Inghilterra decise una terza spedizione di 8.000 uomini al comando del tenente generale Arthur Wellesley (1769-1852), il futuro duca di Wellington. Dovette però sospenderla a seguito dell’occupazione francese del Portogallo, avvenuta in novembre con l’avallo spagnolo. Messa in salvo dalla flotta inglese, la famiglia reale portoghese raggiunse Rio de Janeiro all’inizio del 1808. Temendo un attacco anglo-portoghese, Alzaga, presidente della Junta de guerra, si recò a Montevideo per concordare i preparativi di guerra, ma la corte portoghese si limitò ad affidare un messaggio per Liniers al brigadiere Curado. Tuttavia quest’ultimo non riuscì a raggiungere Buenos Aires, perchè Elio lo trattenne a Montevideo col pretesto di inconcludenti conversazioni dilatorie - che gli consentirono comunque di guadagnarsi il sostegno anglo-portoghese quando, pochi mesi dopo, la Spagna insorse contro l’occupazione francese invocando l’intervento inglese. Fra le truppe che sbarcarono alla Corugna nel maggio 1808 c’erano anche 800 regolari spagnoli catturati sedici mesi prima a Montevideo e internati come prigionieri in Inghilterra. Designato in giugno Buenos Aires, ma detto anche dei colorados a causa delle giacche rosse britanniche, il battaglione fu aggregato all’esercito del generale Cuesta e decimato il 14 giugno alla battaglia di Medina de Rioseco. Venne però ricostituito e nel gennaio 1812 era ancora segnalato in Galizia. Nel maggio 1808, ricevuta l’investitura a conte di Buenos Aires e la nomina a “viceré interinale”, Liniers affrontò la crisi economica - determinata dall’interruzione del commercio con la Spagna e dal dumping inglese inviando a Rio de Janeiro il cognato Lazaro de Rivera, funzionario di dubbia reputazione, per negoziare l’apertura dei porti brasiliani alle merci rioplatensi. Questa mossa consumò la definitiva rottura con il cabildo, dominato dalla fazione di Alzaga e dai mercanti catalani, timorosi di perdere il monopolio commerciale a vantaggio degli amici di Liniers. Soltanto alla fine di luglio Buenos Aires apprese che Napoleone aveva imposto al re Carlo IV di revocare l’abdicazione a favore dell’Infante Ferdinando, che il 2 maggio Madrid era insorta contro il presidio francese e che il 6 giugno Bonaparte aveva trasmesso la corona di Spagna al fratello Giuseppe. Due settimane più tardi sbarcò a Buenos Aires il marchese di Sassenay, spedito dall’imperatore ad assicurarsi della fedeltà di Liniers al nuovo sovrano spagnolo. Sapendo che a Siviglia una giunta di governo conduceva la resistenza nazionale in nome del re prigioniero Ferdinando VII, Liniers dette risposte evasive, commettendo però l’errore di sottolineare la sua origine francese nel messaggio per Napoleone. Questo passo falso, unitamente alla nomina di ufficiali francesi nei reggimenti di cavalleria creati da Liniers nelle province interne, dette spunto ad una campagna diffamatoria scatenata dal cabildo in preparazione di un ricorso all’Audiencia, invitata a pronunciare la decadenza

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di Liniers dall’incarico vicereale a seguito di violazioni disciplinari e cospicue malversazioni da parte del viceré e dei suoi più stretti collaboratori. Il cabildo intendeva sostituire Liniers con Huidobro, nel frattempo liberato dagli inglesi a seguito del rovesciamento delle alleanze e tornato a Buenos Aires con la nomina a viceré rilasciatagli dalla giunta di Galizia. Ma l’Audiencia, temendo di venir esautorata dal cabildo, trasmise a Siviglia il ricorso contro Liniers e dichiarò invalida, per difetto di potere, la nomina galiziana di Huidobro. Liniers pensò allora di reintegrarlo nel comando di Montevideo, che Elio esercitava in modo del tutto autonomo, forte del sostegno anglo-portoghese. Ma Elio rifiutò di rimettergli il comando e fece legittimare la sua insubordinazione dal cabildo locale, il quale proclamò la secessione da Buenos Aires nominando una giunta di governo sul modello di quella sivigliana. Nel suo rapporto del 14 settembre alla giunta sivigliana, il suo rappresentante presso il viceregno del Plata, brigadiere Manuel José de Goyeneche, suggeriva di sostituire Liniers e di licenziare l’esercito, improvvisato e pletorico, che assorbiva ormai quasi tutte le entrate del viceregno senza alcun vantaggio per le casse peninsulari. Il 20 settembre gli “italiani” Belgrano, Juan Manuel Beruti e Juan José Castelli, con Vieytes e Saturnino Rodriguez Pegna, si rivolsero alla sorella di Ferdinando, Carlota Joaquina di Borbone, regina del Portogallo e Infanta di Spagna, offrendole la reggenza delle Indie. Avversi ai funzionari spagnoli ma leali alla corona, i futuri rivoluzionari del 1810 sostenevano che la Spagna era un’unione personale di regni indipendenti, che di conseguenza le Indie dovevano essere governate dagli americani e non dai peninsulari, accusandoli anzi di tramare un progetto repubblicano e dipingendo Alzaga come un feroce giacobino. Lasciate cadere le insinuazioni sull’asserita propensione filonapoleonica di Liniers, Alzaga lo accusò adesso di simpatie per il progetto carlotista, e si rivolse anch’egli all’Infanta supplicandola di sconfessarlo, prima che sfociasse in una rivoluzione “repubblicana”. L’Infanta sembrò seguire quel consiglio, dal momento che di lì a poco denunciò alle autorità rioplatensi il suo stesso agente, il medico inglese Diego Paroissien, che nel 1816-17 sarebbe stato uno dei principali consulenti tecnici del generale San Martin. Nondimeno il progetto restava in piedi, se il 16 novembre Felipe Contucci redasse per conto del ministro Rodrigo de Souza Coutinho una lista di 123 personaggi rioplatensi considerati filo-portoghesi (tra costoro 35 ecclesiastici, 18 funzionari, 13 avvocati, 4 ufficiali veterani, 23 dei nuovi reggimenti e 7 di milizia). La sconfitta del cabildo e la caduta di Liniers (1° gennaio - 26 agosto 1809) Il 17 ottobre si sparse la voce che la fazione di Alzaga stava per scatenare un colpo di stato in combutta con Elio, e il 31 i comandanti dei reggimenti creoli (tra cui Saavedra, Martin Rodriguez e Terrada) ma anche di alcuni corpi peninsulari o misti (come Garcia dei montagneses ed Esteve y Llach degli artilleros de la Union) indirizzarono a Liniers un memorial rinnovandogli la loro fedeltà e il giuramento di combattere fino alla morte contro qualunque movimento sovversivo. In vista del rinnovo del cabildo, Liniers ordinò l’acquartieramento delle

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truppe. La notte del 31 dicembre, vigilia del rinnovo, il viceré ricevette nella residenza vicereale del Forte una deputazione guidata Alzaga che gli intimava la rinuncia e il trasferimento dei suoi poteri ad una giunta di governo. Liniers cercò di prendere tempo, ma al mattino del 1° gennaio comparvero sulla piazza alcune centinaia di seguaci di Alzaga e di miliziani del tercio catalano (mignones) inscenando una manifestazione gridando “la giunta come in Spagna, abbasso il francese Liniers!”. Ma poco dopo furono contenuti e dispersi dall’intervento del colonnello Saavedra (1759-1829). con i patricios e gli andaluces. Tuttavia, per evitare uno scontro, Liniers accettò di rimettere ogni decisione al cabildo, il quale nominò una junta di governo dominata dai peninsulari, con due soli americanos, l’avvocato Mariano Moreno (1778-1811) e Juan de Leiva. Ma Saavedra si ribellò, dichiando l’intenzione di reagire contro l’illegale deposizione del viceré e alla fine i suoi sostenitori lo convinsero a ritirare le dimissioni estortegli con un atto di forza. Alla sconfessione della giunta nominata dal cabildo seguì l’arresto dei capi golpisti e la loro deportazione in Patagonia, dove presto riguadagnarono la libertà riparando a Montevideo. Furono sciolti inoltre 3 dei 5 reggimenti peninsulari, non solo quello dei mignones catalani che si era apertamente ammutinato, ma anche altri due considerati meno fedeli (vizcainos e gallegos). Segno dell’odio tra americani e peninsulari fu che Liniers dovette emanare specifico divieto di inscenare pubbliche canzonature (burla publica) contro i soldati dei reggimenti disciolti. L’8 febbraio 1809 l’esercito epurato giurò fedeltà alla giunta di Siviglia. Ma la fronda catalana covava sotto le ceneri e alla secessione di Montevideo seguì in maggio quella della provincia di Charcas. Qui i magistrati creoli avevano inizialmente aderito al progetto carlotista per scalzare l’odiato governatore Pizarro, ma quando quest’ultimo tentò di scavalcarli dichiarandosi a favore dell’Infanta, lo destituirono formando una giunta legittimista in nome di Fernando VII. Intanto, tempestata dai contrastanti memoriali di Alzaga, Elio e Liniers, la giunta di Siviglia aveva nominato viceré il capitano di vascello Baltazar Hidalgo de Cisneros e conferito ad Elio il più alto incarico militare della colonia, vale a dire la Sub-inspeccion de Armas, col mandato di liquidare l’esercito di Liniers. Il passaggio delle consegne fu particolarmente laborioso. Sbarcato a Montevideo il 25 maggio, Cisneros dovette fermarsi a Colonia, perchè Pueyrredon e Belgrano ma soprattutto i colonnelli dei nuovi reggimenti, incitavano alla ribellione contro le decisioni della giunta sivigliana. Alla fine, per rimuovere la resistenza bonearense, Cisneros dovette disattendere uno degli ordini della giunta revocando il sotto-ispettorato delle armi ad Elio e attribuendolo al brigadiere Vicente Nieto, che lo aveva accompagnato dalla Spagna. A questa condizione Liniers accettò di passare le consegne a Cisneros e a tal fine il 26 agosto si recò a Colonia con tutti i comandanti di reggimento. L’intervento in Alto Perù e la riforma militare di Cisneros La repressione della rivolta creola di Charcas e di quella meticcia scoppiata il 16 luglio 1809 a La Paz, fu concordata tra Cisneros e il viceré di Lima,

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destinandovi rispettivamente il moderato Nieto (con i patricios di Saavedra) e lo spietato Goyeneche. Non poterono tuttavia intervenire contro la cospirazione di aristicratici creoli che in agosto depose il presidente intendente di Quito sostituendolo con un governo senatorio. l’11 settembre Cisneros approvò una riforma militare molto meno drastica di quanto auspicavano gli avversari di Liniers, limitandosi a sciogliere soltanto 2 battaglioni (III de patricios e cazadores de Carlos IV) e 4 squadroni (2° e 3° husares, carabineros e migueletes) e a ribattezzare con nomi monarchici le unità intitolate a Liniers e Pueyrredon (granaderos de Fernando VII e husares del Rey). In compenso costituì la milizia civica (cuerpo de comercio) riammettendovi gli ufficiali epurati in gennaio da Liniers. L’ultimo ordinamento militare della colonia spagnola del Plata prevedeva: a) tropa veterana .2 Regimientos (de Infanteria e de Dragones) de Buenos Aires; 2 Cuerpos de Blandengues de la Frontera (de Buenos Aires e de Montevideo) e compagnia santafesina; .1 distaccamento del Real Cuerpo e della Real Maestranza de Artilleria.

b) milicias disciplinadas .1 Batallon de granaderos su 6 compagnie (de Fernando VII , ex-de Liniers)(Juan Florencio Terrada); 5 Batallones de infanteria su 1 compagnia granatieri e 8 fucilieri (N. 1 e N. 2 ex-cuerpo de patricios, N. 3 ex-tercio de montagneses, N. 4 ex-tercio de andaluces, N. 5 ex-batallon de arribegnos); .1 Batallon de artilleria volante su 6 compagnie (ex-voluntarios de la Union); .1 Batallon de castas su 6 compagnie (formato con i due corpi di Indios, Pardos y morenos.) .1 Escuadron Husares del Rey su 3 compagnie di 50 uomini (ex-1° Husares de Pueyrredon) (Domingo French)

c) milicias urbanas .3 batallones urbanos su 1 compagnia granatieri e 8 fucilieri (N. 6, N. 7 e N. 8, ex-cuerpo de comercio)

L’apertura al commercio inglese e la rivoluzione di maggio Il 25 marzo 1810, su 40.000 abitanti, la città di Buenos Aires contava ancora 3.000 militari accasermati, un costo insostenibile che aveva portato l’uscita annuale del viceregno a 3 milioni di pesos contro 1.2 milioni di entrate, quasi esclusivamente doganali. Fallito un tentativo di ottenere un prestito dai commercianti peninsulares e acquisiti i pareri del cabildo, del

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consolato e degli agricoltori creoli (gremio de hacendados y labradores) rappresentati da Mariano Moreno, Cisneros dovette rassegnarsi ad aprire il porto al commercio inglese, provvidenziale decisione che in un anno quintuplicò le entrate doganali a 5.200.000 pesos. Ma il 17 maggio 1810 giunsero a Buenos Aires catastrofiche notizie dalla Spagna. Dopo l’occupazione francese dell’Andalusia, anche la Junta di Badajoz, succeduta a quella di Siviglia, si era rifugiata a Cadice sotto la protezione inglese e si profilava ormai la definitiva sconfitta della Spagna. Nel tentativo di prevenire un pronunciamiento indipendentista come quello verificatosi il 19 aprile a Caracas, il 18 maggio Cisneros pubblicò un manifesto con la promessa di consultare i rappresentanti della capitale e delle province. Ma il 20 maggio Saavedra gli comunicò che non poteva più contare sul sostegno dell’esercito e il partito americano, che durante l’inverno aveva dato vita ad una società segreta e ad un nuovo periodico diretto da Belgrano, il Correo de comercio, impose all’alcalde Lezica di convocare per il 22 maggio un cabildo abierto. Vi intervennero soltanto 244 dei 450 convocati, un decimo ecclesiastici, un altro decimo giuristi e il resto negozianti, agricoltori e ufficiali. Il vescovo Lue sostenne che anche in caso di sconfitta totale della Spagna la direzione politica della colonia spettava ai peninsulares, mentre Saavedra e Castelli rivendicarono ai creoli il diritto all’autogoverno. Alla fine, con una risicata maggioranza, l’assemblea delegò al cabildo la designazione di una junta provvisoria che doveva governare al posto del viceré sino all’arrivo dei rappresentanti. Ma il giorno seguente il cabildo ristretto approvò un capzioso emendamento dei pensinsulares che atribuiva la presidenza della junta a Cisneros. Per due giorni la capitale fu percorsa dall’agitazione patriottica, culminata il mattino del 25 maggio con una manifestazione di piazza organizzata dal comandante degli ussari Domingo French. I manifestanti erano forse appena un migliaio, tutti appartenenti alla plebe, ma con loro fraternizzarono i granaderos de Fernando VII, il cui comandante Terrada era affiliato alla società segreta di Belgrano. Così la folla poté irrompere nella sala capitolare del cabildo e imporgli di affidare la presidenza della giunta provvisoria di governo allo stesso capo militare dei patricios, colonnello Saavedra e di mettere in minoranza la componente spagnola (due membri su nove) rispetto a quella patriottica, rappresentata da Belgrano, Moreno, Castelli, Paso, Alberti e Azcuénaga. La rivoluzione incruenta del Veinteycinco de Mayo, definibile in termini giuridici una “emancipazione” dall’amministrazione spagnola più che una secessione dalla Spagna, non mise ancora in questione né la forma monarchica dello Stato né la nominale autorità di Ferdinando VII. Né ottenne il riconoscimento internazionale, perchè fu impugnata dalla fuga di Cisneros a Montevideo (ancora controllata dal colonnello Elio) e dall’intervento armato delle forze vicereali del Perù. Nondimeno essa concluse l’epoca coloniale del Plata, dando inizio al processo dell’indipendenza nazionale argentina. Liniers confermò la sua lealtà alla corona spagnola tentando di organizzare la resistenza legittimista a Cordoba. Sconfitto, il 26 agosto 1810 venne fucilato dall’esercito che egli stesso aveva fondato quattro anni prima a Buenos Aires.

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II - LA DIFESA DELLA RIVOLUZIOE (1810-16)

SOMMARIO: 1. L’offensiva rivoluzionaria (1810-11). - 2. Le campagne di Asuncion e di Montevideo (1810-11). - 3. La Patria en peligro (1811-12). 4. La vittoria di Tucuman (1812) - 5. Il nuovo ordinamento dell’esercito (1813). - 6. La fallita offensiva su Lima e la presa di Montevideo (1812-14). 7. Il fronte del Pacifico (1814). 8. - La caduta di Alvear e la sconfitta di Sipe-Sipe (1815). - 9. La guerra contro Artigas e l’invasione portoghese (181617).

1. L’OFFENSIVA RIVOLUZIONARIA (1810-11) La spedizione su Cordoba e l’Alto Peru (14 giugno 1810 - 11 gennaio 1811) La difesa militare della rivoluzione argentina (1810-16) presenta uno schema analogo a quella della rivoluzione francese contro la Prima Coalizione (1792-97), con l’unica, ma importante differenza che in Argentina la fase iniziale dell’offensiva rivoluzionaria si sovrappose, quasi precedendola, all’emigrazione controrivoluzionaria. Lo spodestato viceré Cisneros fece appena a tempo a sfuggire all’arresto rifugiandosi a Montevideo, dove il colonnello Elio assunse le funzioni e il titolo di viceré. Già autoesiliatosi a Cordoba, l’ex-viceré Liniers ebbe invece il tempo di organizzare un tentativo di resistenza con le locali milizie del colonnello Allende. Ma già il 25 maggio 1810, lo stesso giorno della sua proclamazione, la giunta governativa bonearense decretava una spedizione di 500 uomini, al comando del colonnello Ortiz de Ocampo, in appoggio agli elementi rivoluzionari dell’interno, finanziandola con gli stipendi del viceré e dei tribunali della Real Audiencia e con i proventi del monopolio dei tabacchi. Il 14 giugno l’Ejército Expedicionario de Auxilio a las Provincias del Interior lasciò il campo di Lujan al comando di Ocampo, affiancato dal parigrado Antonio Gonzalez Balcarce (1777-1819), dai commissari di governo Hipolito Vieytes e di guerra Antonio Del Pino e dall’auditore di guerra, il noto avvocato Feliciano Antonio Chiclana. Raddoppiato rispetto alla previsione iniziale, l’Ejército de la Libertad includeva 1.150 uomini: .1 battaglione di 8 compagnie (2 dei reggimenti N. 1 e N. 2 Patricios, 6 dei regg. N. 3, N. 4 e N.5); 1 squadrone misto (Dragones, Husares e Blandengues);

49 .1 sezione su 2 cannoni da campagna; .1 servizio sanitario (2 chirurghi, 1 farmacista, 1 praticante e 2 flebotomi).

Il 5 agosto Ocampo entrò trionfalmente a Cordoba. Subito inseguiti, Liniers, il colonnello Allende, il vescovo e gli altri capi ribelli furono catturati, ma, pressati dagli appelli del notabilato locale, Ocampo e Vieytes disobbedirono all’ordine di fucilarli sul posto, preferendo inviarli a Buenos Aires. Ma a mezza strada la scorta dei prigionieri incontrò Castelli, il giovane ideologo del partito rivoluzionario mandato dalla giunta a sostituire l’irresoluto Vieytes, che il 26 agosto li fece fucilare alla Cabeza del Tigre, ad eccezione del vescovo, spedito nelle carceri della capitale. Come gesto di conciliazione, il governo conferì il grado di Allende al nipote Tomas, in premio del suo lealismo rivoluzionario. Chiclana rimase a Tucuman quale governatore intendente, lasciando l’uditorato di guerra a Norberto del Signo, e Ocampo, caduto in disgrazia, fu sostituito da Balcarce alla testa dell’esercito, ribattezzato Ejército Auxiliar a las Provincias del 2orte e rinforzato dalle milicias regladas e da 1 compagnia di alabarderos tucumani. Intanto altre giunte rivoluzionarie furono proclamate il 20 luglio a Bogota, il 24 luglio ad Asuncion e il 18 settembre a Santiago. Il comandante realista dell’Alto Perù, generale José Cordoba y Rojas, era attestato al confine di Tupiza, trincerato con 1.300 uomini e 10 cannoni nella posizione di Cotagaita. Il 27 ottobre Balcarce lo attaccò invano, per quattro ore, con appena 300 uomini e 2 cannoni, ritirandosi poi senza essere inseguito. Soltanto alcuni giorni dopo, raggiunto dal maresciallo Nieto, Cordoba mosse a cercare il nemico con 1.000 uomini e il 7 novembre individuò i 500 uomini di Balcarce, accampato oltre il guado del Suipacha. Ingannati da una finta ritirata, i realisti furono attaccati in mezzo al guado e sbaragliati in mezz’ora. Cordoba e Nieto, che la Gaceta del 6 settembre aveva definito “sudicio, incivile, indecente vecchio immondo”, furono catturati e fucilati sul posto, assieme a Saenz, altro protagonista della repressione del 1809. Il 15 novembre, nella pampa di Arohuma, 2.000 insorti di Cochabamba, male armati e mal montani, sconfissero 450 fanti e 150 dragoni veterani del colonnello Pierola. Due giorni dopo Balcarce e Castelli entrarono a Potosì, dove il 29 novembre Balcarce proclamò la completa pacificazione dell’Alto Perù. Intanto accresceva le sue forze con il materiale catturato al nemico (inclusi 4 cannoni presi a Suipacha) e formava 2 nuovi reggimenti di fanteria (2. 6 di Tucuman e 2. 7 di Cochabamba) e 1 di cavalleria (Dragones Ligeros del Peru). Ingrossato dalla cavalleria miliziana (Reggimenti di Tucuman, Canelones e Cochabamba) la forza dell’esercito dell’Alto Perù salì fino a 9.000 uomini. Ma il governatore intendente di La Paz segnalava che il popolo pretendeva di essere armato e che gli indiani rifiutavano di pagare il loro tributo fino all’arrivo dei soldati bonearensi. Riconoscendo l’importanza strategica della popolazione indigena, che tra l’altro forniva i servizi ausiliari dell’esercito (indiada) la giunta incoraggiò la convinta politica indianista di Castelli e il 10 gennaio 1811 dispose l’elezione di un rappresentante indigeno in ogni intendenza provinciale, eccettuate però quelle di Cordoba e Salta, dove i

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contraccolpi sociali sarebbero stati maggiori. L’alto comando (25 maggio - 6 dicembre 1810) Fin dal 25 maggio 1810 il presidente della giunta, Cornelio Saavedra, aveva assunto il comando general de Armas col grado di brigadiere, mentre il 28 il capo della fazione giacobina, Mariano Moreno, era stato nominato segretario del Dipartimento di governo e di guerra. Poco a poco la fazione moderata ispirata da Saavedra prevalse su quella giacobina di Moreno, che tentò invano di opporsi all’incorporazione nella giunta dei rappresentanti delle province e fu costretto a dimettersi. La nuova giunta fu proclamata il 18 novembre. Pur essendo ormai a netta prevalenza federale e conservatrice (15 membri contro 5) la giunta attuò un giro di vite nei confronti degli oppositori e dei peninsulari. Il decreto del 21 novembre impose la lettura della Gaceta dai pulpiti delle chiese, intimò ai vescovi di fornire la lista dei parroci e curati e requisì come caserme il collegio di San Carlos e l’edificio attiguo alla cappella della Cabeza. Inoltre intimò al vescovo di Buenos Aires, mons. Benito de Lue y Riega, di approvare, nella sua qualità di teniente vicario general del Ejército, una lista di candidati cappellani militari stilata dal governo. La circolare del 3 dicembre riservò ai soli americani il conferimento di nuovi impieghi civili e militari. Ma anche il potere personale di Saavedra fu ridimensionato, perchè il decreto del 6 dicembre sulla soppressione degli onori gli sottrasse il comando militare attribuendolo collegialmente alla giunta. Le fabbriche di fucili e il polverificio militare (14 giugno 1810 - 25 gennaio 1811) Per armare l’esercito la giunta decretò, il 14 giugno e l’8 agosto, la requisizione di armi private e incaricò Moreno di acquistare armi all’estero. Sospettando che fosse un pretesto per allontanarlo dal potere, Moreno passò l’incombenza al fratello Manuel in coppia con Tomas Guidos, che non seppero conseguire alcun risultato. Il 2 settembre la giunta autorizzò inoltre l’appalto di due fabbriche di fucili a Buenos Aires e Tucuman. Il 29 settembre il primo appalto fu assegnato a Francisco Tarragona, sotto la direzione di Domingo Matheu, membro della giunta: la fabbrica consisteva però in un miserabile appartamento e l’artigiano Tomas Heredia doveva costruire i meccanismi di sparo dentro l’ex-cucina. Il 5 novembre la direzione dello stabilimento tucumano fu attribuita a Clemente Zaboleta, ma con scarsi risultati per mancanza di tecnici e di macchinari (il 25 gennaio 1811 Zaboleta fece ingaggiare una squadra di artigiani diretta dal mastro biscaglino Francisco Joaquin de Eguren, che secondo Belgrano era però soltanto “un praticon, sin entender palabra de mecànica”). Il 1° novembre fu inoltre impiantato un polverificio militare a Cordoba, nella quinta di Micaela de la Quintana. Tuttavia il gestore, tenente colonnello graduado José Arroyo, fu costretto a rinunciare ad un incarico che richiedeva cognizioni chimiche superiori alla sua empiria.

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L’“americanizzazione” e il riordinamento dell’esercito e della milizia (29 maggio 1810 - 16 marzo 1811) Il 26 maggio un bando della giunta comminava varie pene contro l’istigazione dell’odio tra americani e peninsulari, il che non impedì, nei giorni successivi, di affrettare l’“americanizzazione” dell’esercito. Il Proclama y Reglamento de las Milicias del 29 maggio stabiliva che “mision del ejército” era “salvaguardar los mas altos intereses de la 2acion” e che in ogni cittadino era necessario “reconocer un soldado”. Il proclama fissava inoltre un obiettivo di forza di circa 10.000 uomini elevando 6 battaglioni (1 granaderos e 5 di linea) al rango di Reggimenti, ciascuno su 2 battaglioni e 1.116 “teste”. A tal fine disponeva il richiamo alle armi dei militari congedati, ad eccezione degli addetti a pubblici servizi e degli artigiani, e ordinava una “leva rigorosa” dei vagos e disoccupati dai 18 ai 40 anni. La leva, affidata a partidas reclutadoras, fu condotta con sistemi inefficienti e arbitrari: il 21 agosto la giunta lamentava che le carrette delle reclute fossero lasciate incustodite consentendo ai peones di svignarsela e reiterava il divieto di reclutare persone addette a pubblici servizi. Il colonnello Domingo French, regista della manifestazione popolare del 25 maggio, reclutò tuttavia compagnie di “patrioti” che l’8 giugno ricostituirono su basi “americane” l’ultimo reggimento “peninsulare” - il 5° di linea derivato dal tercio de Andaluces - ribattezzato perciò América o Estrellas. Con lo stesso decreto granatieri e ufficiali indios e di casta passarono ai Reggimenti N. 2 e N. 3. Per compensare la scarsa professionalità di ufficiali e cadetti della guarnigione portegna, il 3 agosto la giunta ordinò ai comandanti di corpo di istruirli mediante conferenze quotidiane di un’ora e mezza e il 19 agosto istituì nell’edificio del Consolato una scuola di matematica tenuta dal tenente colonnello Felipe Santenach. Sotto la stessa data sergenti e caporali idonei e meritevoli furono ammessi ai posti di ufficiale, ma assai pochi furono effettivamente promossi. L’esercito fu riordinato con decreto del 3 novembre 1810. I reggimenti Fijo e 2. 5 furono assorbiti dal Reggimento América (2. 5) e il comandante della guarnigione portegna, tenente colonnello Juan José Viamonte (1774-1843), fu spedito in Alto Perù a costituire il 2. 6, con quadri portegni e 2 battaglioni reclutati a Tucuman e Santiago del Estero. Si formarono poi altri due reggimenti altoperuviani, Dragones ligeros del Peru e Cochabamba 2. 7 (costituito il 21 novembre con le partidas di Arohuma, al comando del governatore intendente Francisco Rivero). Inoltre il i Dragones de Buenos Aires e gli Husares de Carlos IV vennero fusi a formare il Reggimento Dragones de la Patria su 4 squadroni di 3 compagnie di 120 uomini (1.080). A loro volta i Blandengues de la frontera furono ribattezzati Voluntarios de caballeria de la Patria e gli Husares di Martin Rodriguez sostituirono l’appellativo del Rey con quello di Patricios. A seguito di questi provvedimenti l’esercito risultò ordinato su 12 reggimenti (17 battaglioni e 11 squadroni): .Reg. de Granaderos de Fernando VII - ten. col. Juan Florencio Terrada (incompleto); .Reg. 2. 1 de Patricios - brigadiere Cornelio Saavedra, interinale ten. col. Esteban Romero;

52 Reg. 2. 2 de Patricios (+ 1 compagnia de Indios) - ten. col. Esteban Romero; .Reg. 2. 3 (ex-Arribegnos + 1 compagnia de Indios) - int. ten. col. Juan Bautista Bustos; Reg. 2. 4 (ex-Montagneses) - col. Pedro Andres Garcia (frontiera indiana); .Reg. América 2. 5 - col. Domingo French; .Reg. 2. 6 (Alto Perù) - ten. col. Juan José Viamonte e José Bolagnos; .Reg. de Cochabamba 2. 7 (Alto Perù) - col. magg. Eustaquio Diaz Vélez; .Bat. de Pardos y Morenos patricios (presidio di Buenos Aires) - ten. col. Miguel Estanislao Soler; .Reg. de Dragones de la Patria (4 squadroni) - col. José Rondeau; .Reg. de Dragones Ligeros del Peru (4 squadroni) -

???;

.Reg. de Voluntarios de Caballeria de la Patria (2 squadroni. 1812: de la Frontera); .Esc. de Husares Patricios - ten. col. Martin Rodriguez; .Cuerpo de la Real Artilleria - capitani Angel Monasterio, Manuel Herrera e Mauricio Berlanga; .Bat. R.. de Artilleria Volante (poi Regimiento de Artilleria Ligera) - ten. col. Francisco Xavier de Viana.

Questo riordino implicava una nuova epurazione dell’esercito. Ne fecero le spese anche i colonnelli Agustin e Ambrosio de Pinedo, figli dell’exgovernatore del Paraguay e presidente del Charcas, il primo dei quali si rifugiò a Montevideo (ma suo figlio, omonimo, continuò a servire nell’esercito rioplatense diventando poi colonnello e generale). Nel gennaio-marzo del 1811 le milizie bonearensi furono riordinate su 8 reggimenti (uno negro di fanteria e sette bianchi di cavalleria): .1 civico de morenos y pardos libres, milizia bonearense; 1“Guardia 2acional” (9 compagnie e 560 uomini) formato il 16 marzo 1811 al cuartel de Patricios di Buenos Aires con gli individui delle 4 compagnie di patrioti reclutate per ordine del governo da Manuel de Luzuriaga (vice Mauricio Pizarro); .6 di milicias de caballeria de la campagna di Buenos Aires (di guarnigione a Chascorus, Ranchos, Montes e Lobos) riorganizzati per ordine della Junta 21 gennaio 1811 dal sergente maggiore Carlos Belgrano, comandante di Las Conchas.

Altri 3 battaglioni di patricios locali furono organizzati nelle province di Cordoba, Salta e Jujuy, i primi due al comando del serg. magg. Juan Gregorio de Las Heras (1780-1866) e del colonnello Juan José Cornejo.

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2. LE CAMPAGNE DI ASUNCION E MONTEVIDEO (1810-11) La spedizione di Belgrano in Paraguay (4 settembre 1810 - 9 marzo 1811) La facile avanzata su Cordoba e l’Alto Peru, indusse la giunta bonearense a “rivoluzionare” anche le altre due province orientali del Viceregno, cominciando dal Paraguay. A deguito della risposta interlocutoria data al suo emissario dal cabildo di Asuncion, il 4 settembre la giunta destinò a piegare la provincia riottosa uno dei due principali esponenti dell’opposizione democratica, l’avvocato Manuel Belgrano (1770-1820), affiancandogli un tecnico come Machain come “maggior generale” (cioè capo di stato maggiore) e il ricco gaucho José Gervasio Artigas (1764-1850), che intendeva sollevare la nativa Banda Oriental. Altri ufficiali superiori della spedizione erano il colonnello Rocamora, i tenenti colonnelli Benito Alvarez (2. 1 de patricios), Ignacio Warnes (2. 3 de arribegnos) e Miguel Estanislao Soler (pardos y morenos) e il maggiore Celestino Vidal. Promosso brigadiere, con giurisdizione su Santa Fe, Corrientes, Asuncion e Montevideo, il 18 settembre Belgrano si mise in marcia con 6 cannoni e meno di 400 uomini (100 arribegnos, 100 pardos e morenos, 100 granatieri e 60 ex-blandengues), contando sul rinforzo della milizia santafesina e correntina e sull’insurrezione democratica di Asuncion e della campagna orientale. Invece, lungi dall’accogliere Belgrano come un liberatore, il partito criollo di Asuncion sfogò il proprio secolare risentimento antiportegno accorrendo in massa alla chiamata alle armi disposta dal governatore spagnolo Velasco. A metà dicembre, rinforzato da 1 compagnia di cavalleria santafesina, Belgrano accampò alla Candelaria, sulla sponda destra dell’Alto Paranà. Nella notte sul 19 dicembre, attraversato il fiume su barche e canoe, i bonearensi sloggiarono il picchetto di 40 paraguaiani di guardia al Campichuelo, proseguendo per la selva. Dopo una scaramuccia a Maracanà (6 gennaio 1811) Belgrano incontrò l’esercito di Velasco accampato 50 chilometri a Sud Ovest di Asuncion, presso il villaggio di Paraguary. Malgrado la superiorità di forze (800 fanti, 16 pezzi e 6.000 miliziali a cavallo contro 380 fanti, 120 cavalieri e 6 cannoni) Velasco non osò attaccare. Lo fece invece Belgrano la notte sul 19 gennaio. La sorpresa sbaragliò il centro nemico: 5 pezzi furono conquistati e Velasco fuggì togliendosi perfino l’uniforme. Ma alla luce dell’alba entrarono in azione le ali e gli altri 11 pezzi paraguaiani e Belgrano dovette ritirarsi. Rinforzato da 312 cazadores correntini (253 a cavallo e 59 a piedi) a metà febbraio Belgrano raggiunse il Tacuary. All’alba del 9 marzo fu attaccato di sorpresa, ad entrambe le ali, da 2.500 paraguaiani al comando di Manuel Atanasio Cabagnas. Dopo una iniziale resistenza, con 6 pezzi smontati dal tiro nemico, Belgrano si attestò con 500 uomini sul cerrito detto poi “de los Portegnos” e negoziò una resa onorevole, impegnandosi a lasciare il Paraguay. I paraguayani scortarono i portegni fino alla Candelaria, fraternizzando e discutendo di politica e suscitando i sospetti di Velasco, il quale si rifiutò di siglare l’accordo del Tacuary.

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La sconfitta della flottiglia fluviale (18 dicembre 1810 - 5 aprile 1811) Mentre Belgrano risaliva a piedi la destra del Paranà, la giunta aveva armato a San Nicolas una flottiglia fluviale per bloccare il commercio con Asuncion. Questo primo armamento navale argentino venne però limitato dalle scarse risorse finanziarie, dalla penuria di marinai e soprattutto dalla netta ostilità degli armatori privati, danneggiati dal blocco commerciale. Comandata dal capitano di vascello Hipolito Bouchard (1783-1837), alla data del 18 dicembre 1810 la flottiglia allineava comunque due squadriglie, con 12 legni, 72 cannoni e meno di 400 marinai: .1a Escuadrilla: brigantino Veinteicinco de Mayo (Hipolito Bouchard e Manuel Suarez) goletta Invencible (Juan Bautista Azopardo) e palandra América (Angel Hubac) rispettivamente con 18, 15 e 3 cannoni e 108, 66 e 26 uomini; .2a Escuadrilla: brigantino Hiena (Tomas Taylor), sumaca Santo Domingo (H. Bouchard) e goletta 2uestra Segnora del Carmen (A. Hubac) da 15, 12 e 8 cannoni; 6 unità litoranee (1 chapman, 1 cannoniera, 1 feluca, 1 lancia ausiliaria e 2 petriere).

L’11 febbraio la giunta estese il blocco navale anche alla Banda Oriental proibendo ogni commercio con Montevideo e Belgrano spiccò i pardos y morenos patricios del tenente colonnello Miguel Estanislao Soler (17831849) ad impiantare una batteria a Soriano, alla confluenza del Rio Negro nell’Uruguay. Per proteggere alle spalle la posizione portegna, il 28 febbraio Pedro Viera e Venancio Benavidez formarono sulla sponda dell’arroyo Asencio la prima banda a cavallo orientale, con un centinaio di contadini della valle del Rio Yì. A rimuovere il blocco provvide però la divisione navale spagnola di Montevideo, comandata da Romarate, che, risalito il Paranà, piombò il 2 marzo sulla base di San Nicolas, catturando il grosso della flottiglia portegna. Romarate si recò poi a stappare anche la foce dell’Uruguay e il 5 aprile bombardò Soriano, sgombrando il Rio Negro sino a Mercedes. Infine tornò alla fice del Paranà a porre a sua volta il blocco a Buenos Aires. Tuttavia il mercantile comandato dal diciassettenne Francesco Saguì, nipote del ricco armatore orientale Juan José Seco, continuò ugualmente ad assicurare i collegamenti clandestini con i rivoluzionari di Montevideo. Il colpo di stato di Saavedra (5-6 aprile 1811) La giunta Saavedra reagì al disastro di San Nicolas ordinando a Belgrano di marciare su Montevideo e per rappresaglia decretò l’espulsione di tutti gli spagnoli celibi, circa 4.000 persone. Tale iniqua misura, rimasta peraltro inapplicata, fu presa a pretesto dalla fazione giacobina per intensificare la polemica antigovernativa e cercare alleanze tattiche per rovesciare la giunta. Allontanati Belgrano e Moreno - perito in mare il 4 marzo mentre, incaricato di una missione diplomatica, veleggiava verso l’Inghilterra - il controllo del club giacobino era passato al colonnello Domingo French. Tra gli 83 soci figuravano infatti 40 ufficiali, di cui 17 appartenenti ai due reggimenti comandati da French (7 degli ussari e 10 dell’América 2. 5).

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Ma Saavedra controllava ancora i patricios e in una lettera del 15 gennaio 1811 confidava a Chiclana di essersi già allertato con opportune contromisure. La polemica sul decreto antipeninsulare convinse il capo della giunta che era tempo di prevenire il colpo di stato ordito da French. A tale scopo orchestrò una manifestazione popolare per imporre, tramite il cabildo, l’estromissione dal potere della minoranza giacobina. Il mattino del 5 aprile un migliiao di vecinos dei suburbi, base di reclutamento dei patricios, inscenarono una manifestazione sotto il palazzo del cabildo e, dopo aver fraternizzato con le truppe comandate dal colonnello degli ussari Martin Rodriguez, presentarono un elenco di 17 petizioni (ovviamente suggerite da Saavedra). La 16a reclamava l’adesione dei comandanti reggimentali. Furono convocati tutti tranne Saavedra e French e tutti sottoscrissero l’“appello del popolo”: Marcos Gonzalez Balcarce, Juan Ramon Balcarce, Juan Florencio Terrada, Francisco Fernandez de la Cruz, Juan Bautista Bustos, Francisco Pantaleon de Luna, Martin Rodriguez, Bernabé San Martin, Ignacio Alvarez Thomas e Francisco Pico. Costretto a recepire le petizioni del popolo e dell’esercito, il cabildo le trasformò in formali intimazioni al governo: espulsione dalla giunta dei 5 membri oppositori, richiamo di Belgrano per rispondere delle accuse a suo carico e affidamento del comando di tutte le milizie della capitale e delle province al presidente Saavedra. A sostituire Belgrano fu designato il colonnello José Rondeau (1773-1845). Inoltre, approfittando delle divergenze tra French e il tenente colonnello Antonio Beruti, entrambi morenisti, contro il sargento mayor Alejandro Medrano, la nuova giunta saavedrista dette il comando del Reggimento América a Marcos Gonzalez Balcarce. Il primo assedio di Montevideo (9 aprile - 12 agosto 1811) Intanto, eseguendo l’ordine della giunta, Belgrano guidava l’Ejército Oriental attraverso il territorio entrerriano e il 9 aprile raggiunse la destra dell’Uruguay a Concepcion, sostandovi dieci giorni. Entrata il 19 nella Banda Oriental, il 21 l’avanguardia portegna catturò una partida realista al Paso del Rey e il 25-26 prese contatto con la guerriglia di Benavides a San José, dove furono presi 2 cannoni. Intanto Artigas sollevava la campagna orientale, la cui popolazione non superava i 10.000 contadini ma che gli mise a disposizione ben 4.000 guerriglieri, praticamente tutti i maschi atti alle armi. Il 14 maggio i giovani ufficiali paraguayani presero il potere ad Asuncion, deponendo il governatore spagnolo Velasco. Neutralizzarono così una possibile roccaforte realista, ma, lungi dall’aderire alla rivoluzione portegna, aderirono al programma autonomista che l’8 giugno portò all’elezione di una giunta provvisoria dominata da José Gaspar Rodriguez de Francia. Intanto Rondeau raggiunse l’Ejército Oriental al quartier generale di Mercedes e il 18 maggio, al Molino de las Piedras, la cavalleria orientale di Artigas aveva annientato una forte colonna spiccata dal viceré Elio per approvvigionare Montevideo, infliggendole 97 morti, 61 feriti e 482 prigionieri, incluso il comandante, colonnello Posadas. Il 21 maggio Rondeau assunse il comando, il 23 decampò da Mercedes con 1.183 uomini, inclusi reparti di milizia orientale ed entrerriana (Milicianos Patricios del Uruguay, 2aturales de Infanteria de Yapeyù e Milicias patrioticas de Entre Rios) e il 1° giugno si attestò di fronte alle fortificazioni

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terrestri di Montevideo. Ma la divisione navale spagnola dominava incontrastata le comunicazioni fluviali e marittime e da Rio de Janeiro la regina Carlotta del Portogallo, sorella di Fernando VII, concesse al viceré Elio rifornimenti e truppe portoghesi, che furono peraltro contrastate dagli insorti di Maldonado capeggiati da Juan Antonio Lavalleja (1784-1853). Il blocco terrestre di Montevideo, impropriamente definito “assedio”, si protrasse fiaccamente per poco più di due mesi. Gli unici scontri si ebbero il 7 giugno al Cordon, dove la 2a Division patriota (capitano Agustin Sosa) tese un’imboscata a una colonna di 300 realisti (generale Vigodet) e il 15 luglio all’isolotto davanti al porto (Isola de las Ratas), preso con 75 incursori dal capitano Juan José Quesada. Intanto il capitano di vascello Manuel de Clemente risaliva il Paranà con 5 navi realiste, effettuando dimostrazioni e bombardamenti costieri. Il 19 luglio tentò anche uno sbarco a Corrientes, respinto dalle milizie del capitano Elias Galvan. Ma furono le gravissime conseguenze politiche e strategiche della sconfitta subita presso il lago Titicaca il 20 giugno a porre fine all’assedio. Avviati negoziati con Elio, il 12 agosto Rondeau firmò un armistizio, impegnandosi a sgombrare la Banda Oriental e la parte meridionale del territorio entrerriano in cambio del ritiro delle truppe portoghesi e della fine del blocco navale sul Paranà. Ma l’infelice accordo, che scontentava il governo portoghese e i settori realisti più reazionari, fu interpretato come un tradimento da Artigas, il quale si ritirò nel territorio delle missioni gesuitiche con le milizie orientali e i quattro quinti della popolazione contadina.

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3. LA PATRIA E2 PELIGRO (1811-12) La sconfitta di Huaqui e la ritirata a Salta (11 aprile - 20 giugno 1811) Perdute le miniere di Potosì e Cochabamba, il generale realista Goyeneche si era arroccato con 8.000 uomini nell’estremo angolo nord-occidentale dell’altipiano peruviano, dietro il Lago Titicaca e il suo emissario Desaguadero, accorciando la linea di rifornimento e sbarrando la strada per Lima. Accampato presso la riva meridionale del Titicaca, Balcarce lo fronteggiava con 2.500 regolari (2. 6 tucumano e 2. 7 cochabambino), 2.200 truppe collettizie, 1.000 irregolari cochabambini e 17 pezzi. Ma la coesione dell’esercito era minata dall’inframmettenza del commissario politico Castelli nelle decisioni militari e dal rilasciamento della disciplina, mentre le requisizioni militari, la spocchia portegna e le forzature democratiche e indianiste dei liberatori avevano raffreddato l’iniziale entusiamo rivoluzionario della borghesia creola, memore della catastrofe provocata trent’anni prima dalla rivolta incaista di Tupac Amaru. Grazie all’efficiente servizio informazioni, il comandante realista, generale Goyeneche, conosceva le difficoltà dei patrioti e tentò di sfruttarle con una vigorosa spallata oltre il Desaguadero. L’11 aprile un picchetto di 12 ussari bonearensi respinse una ricognizione nemica sulle alture di Huaqui (dominanti la quebrada di Yuraicoragua ed entrambi i ponti dell’emissario) e il 3 maggio una intera divisione realista fallì per poco una sorpresa a Chiquiriya. Insicuro delle proprie forze, il 16 maggio Balcarce firmò una tregua di quaranta giorni, che il suo avversario seppe sfruttare meglio di lui. Castelli ne approfittò per proclamare, il 25 maggio tra le rovine di Tihuanaco, la fine della schiavitù indigena. Rompendo la tregua, il 6 giugno la Vanguardia realista del colonnello Picoaga (500 uomini e 2 pezzi) tentò invano di impadrirsi della quebrada, vigilata da 100 regolari portegni. Castelli decise allora di prevenire altre sorprese dell’infido nemico e per il 20 giugno ordinò l’offensiva. Il suo piano, che fu la principale causa della sconfitta, prevedeva di convergere sul ponte dell’Inca su due colonne parallele separate dalle alture di Huaqui: Balcarce ad Est, tra la quebrada e il lago, con le divisioni collettizie (Centro e Reserva); i colonnelli Viamonte ed Eustaquio Diaz Velez (1782-1856) ad Ovest, tra le alture e l’emissario, con quelle regolari (Derecha e Izquierda). La cavalleria irregolare cochabambina doveva passare più a valle il ponte Nuevo, per poi aggirare l’ala destra nemica comandata dal generale Ramirez. Fu una classica battaglia d’incontro, perchè anche Goyeneche aveva preso l’offensiva e precedette il nemico sboccando dal ponte dell’Inca. Ma, all’opposto dell’inesperto Castelli, il generale realista aveva opportunamente diviso le sue forze in tre colonne, anzichè in due, e quella centrale del colonnello Pio Tristan, forte di 1.000 uomini, si impadronì subito delle alture, separando e dominando entrambe le colonne patriote. Attaccati frontalmente e di fianco, alle 9 del mattino i reparti di Balcarce si sbandarono ritirandosi in disordine. Il reggimento cochabambino di Diaz

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Vélez (2. 7) resisteva validamente a Ramirez, quando sul suo fianco destro piombarono dalla collina di Huaqui le colonne vittoriose di Goyeneche e Tristan. Senza soccorrere il collega, Viamonte manovrò inutilmente col suo reggimento tucumano (2. 6) finchè non fu il suo turno. La cavalleria irregolare comparve a battaglia finita, alle 4 del pomeriggio. Sul campo i patrioti lasciarono appena 52 morti, 2 feriti e 1 prigioniero. Ma anche tutta l’artiglieria (4 pezzi d’artiglieria distrutti e 13 catturati) e il loro esercito si disintegrò e l’Alto Peru fu perduto per sempre. I realisti rioccuparono le ricche miniere di Potosì, e la sconfitta repubblicana determinò l’immediato voltafaccia della popolazione. I vescovi predicarono la guerra santa contro i rivoluzionari, che, fuggendo in disordine, furono trucidati in gran numero dalle popolazioni rurali dell’altipiano. Tuttavia 15 pueblos indigeni continuarono la resistenza alle spalle dei realisti, insidiando le loro retrovie con la guerriglia. Soltanto una piccola colonna di 800 superstiti, riorganizzata alla meglio da Diaz Vélez, riuscì a sfuggire alla catastrofe ritirandosi da Potosì al comando di Pueyrredon, presidente del Charcas, il quale riuscì se non altro a salvare il tesoro e l’armamento, raggiungendo Tucuman il 25 agosto. Castelli, destituito e deferito al tribunale di guerra, morì mentre attendeva il processo. Il Triumvirato esecutivo e lo stato maggiore militare (23 settembre - 16 novembre 1811) Di fronte all’emergenza, la giunta bonearense cercò disperatamente di fare appello alla riconciliazione nazionale. Il 1° settembre concesse gli alimenti ai confinati e il pagamento dello stipendio maturato dagli ufficiali epurati. Il proclama del 4 settembre sulla “patria en peligro” enfatizzava la guerra, la virtù guerriera e l’educazione militare come scopo supremo del governo e stato naturale del cittadino. Infine, il 23 settembre, tolse ogni funzione esecutiva al presidente Saavedra, intitolandosi “giunta conservatrice” e trasferendo i propri poteri di governo ad un “triumvirato esecutivo” composto dai moderati Chiclana e Sarratea e dal democratico Juan Estéban de Paso, con tre segretari, José Julian Pérez, Vicente Lopez e Bernardino Rivadavia (1780-1845), figlio di un opulento commerciante gallego, già incaricato di missioni diplomatiche in Europa e studioso delle teorie politiche di Benjamin Constant e delle dottrine economiche liberiste di Bentham e Stuart Mill. Sottolineando la sua ispirazione liberale e nazionale, il 1° novembre il triumvirato soppresse il tributo indigeno, il 7 dichiarò sciolta la giunta conservatrice e il 22 promulgò uno statuto provvisorio, prima carta costituzionale argentina, assumendo il titolo di “governo superiore provvisorio delle province unite del Rio della Plata” e convocando un’assemblea legislativa composta non più soltanto dal cabildo portegno, ma anche dai rappresentanti delle province e da un certo numero di notabili eletti direttamente dai cittadini della capitale. Con decreto 16 novembre il triumvirato istituì inoltre il primo vertice tecnico dell’esercito, l’estado mayor militar. Ne mise a capo il comandante del battaglione d’artiglieria da campagna, il colonnello orientale Francisco Xavier de Viana, con un secondo segretario aiutante di fanteria e cavalleria,

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il tenente colonnello Ignacio Alvarez Thomas (1787-1857), 2 segretari aiutanti del genio e di artiglieria (capitani Angel Monasterio e Juan Marcos Rojas) e un ausiliario delle Finanze Reali nonchè primo ufficiale del commissariato di guerra (José Gomez Fonseca). Il 12 gennaio 1812 al capo di stato maggiore furono attribuite anche le funzioni ispettive (Inspeccion de Armas). L’epurazione dei saavedristi e la sollevazione dei patricios (6 ottobre -7 dicembre 1811) Uno dei primi atti del triumvirato fu, il 6 ottobre, il richiamo di French al comando del Reggimento América 2. 5. Inoltre, annunciando tempesta sul capo degli ufficiali saavedristi, sulla Gaceta del 17 ottobre un anonimo “patriota” scrisse che gli ufficiali stavano perdendo lo spirito civico e si stavano trasformando in una casta altezzosa e separata dai concittadini (paesanos). L’epurazione dei saavedristi seguì il 13 novembre, quando la fanteria della capitale fu contratta su 3 soli reggimenti, accorpando i due di patricios nel nuovo 2. 1 e i due di nel nuovo 2. 2. Questa misura consentì inoltre di riabilitare anche Belgrano e Ocampo, che ne furono nominati comandanti (ma il comando tecnico dei patricios restò al tenente colonnello graduado Gregorio F. Perdriel) Tuttavia gli ufficiali epurati reagirono sobillando i sottufficiali e i soldati delle compagnie scelte (3 di granaderos e 1 di artilleros) dei patricios, che la notte del 6-7 dicembre si ammutinarono in caserma. Contrastati dagli ufficiali e dalla maggioranza degli altri soldati, i sediziosi rifiutarono gli appelli rivolti dai vescovi di Buenos Aires e di Cordoba, ma bastò un quarto d’ora di fuoco per indurli alla resa. A seguito dell’ammutinamento, Saavedra e i membri delle prima giunta governativa furono mandati in esilio. I caporioni, 6 sottufficiali e 4 soldati, furono passati per le armi ed i loro cadaveri furono esposti in Plaza Mayor, mentre altri 20 furono condannati al servizio di frontiera. Le 4 compagnie ammutinate furono sciolte, ma si conservò in vita il reggimento, in riconoscimento della fedeltà dimostrata dagli ufficiali e dalla maggior parte della truppa. Tuttavia per punizione il 10 dicembre gli furono tolti l’uniforme e l’appellativo speciale di patricios (riconosciuto a tutti i reparti dell’esercito, inclusi husares e pardos y morenos) e il 30 dicembre fu retrocesso al 2. 5. Di conseguenza al reggimento di French fu assegnato il 2. 3, lasciando vacante il 2. 1 (che gli ex-patricios riacquistarono però il 20 luglio 1812, in premio per il loro comportamento alla battaglia della Bajada di Paranà). Artiglieria, acquisto di fucili, fonderie e polverificio Il 1° gennaio 1812 furono epurati anche i vari corpi d’artiglieria, unificati in un solo reggimento di 12 compagnie, il cui comando fu attribuito allo stesso capo di stato maggiore Viana. Il materiale da campagna includeva cannoni da quattro, sei e otto libbre e mortai, in genere da tredici pollici. I pezzi e marciavano col parco alla testa dell’esercito e in battaglia venivano generalmente schierati a semicerchio, in modo da creare un campo di tiro incrociato, disposti alle ali e negli intervalli tra i battaglioni.

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La giunta saavedrista aveva spedito Juan Pedro Aguirre negli Stati Uniti col mandato di acquistare 10.000 fucili, 4.000 carabine, 2.000 paia di pistole, 8.000 spade e sciable e 1 milione di pietre focaie, con facoltà di acquistare sino a 41.000 fucili. In realtà Aguirre riuscì ad acquistare, per 15.000 pesos, soltanto 1.000 fucili e 300.000 pietre focaie dalla ditta Miller e Wambor. Il triumvirato scelse invece un colonnello austriaco, Edoardo Kaillitz barone von Holmberg, per riorganizzare l’artiglieria e il genio dell’esercito di Salta. Holmberg impiantò a Jujuy una fonderia per cannoni, mortai e obici, presto però travolta dalla ritirata su Tucuman. Nel giugno 1812 il tenente colonnello Angel Monasterio ne impiantò un’altra nella capitale, che produsse, fra altri lavori, 3 mortai da 12 pollici. Il primo, battezzato Tupac Amaru, venne fuso il 22 luglio e fu poi utilmente impiegato nell’assedio di Montevideo. All’inizio del 1812 il poliedrico chirurgo e farmacista Diego Paroissien, uno dei futuri tecnici della spedizione cilena di San Martin, riuscì finalmente ad avviare la produzione del polverificio cordobese, inizialmente manuale e poi incrementata con un mulino ideato dal vicedirettore dello stabilimento, tenente José Antonio Alvarez de Condarco, futuro capo del servizio topografico di San Martin.

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4. LA VITTORIA DI TUCUMAN (1812) La Sociedad Patriotica e l’arrivo di San Martin (13 gennaio - 9 marzo 1812) Il 13 gennaio 1812 numerosi dignitari civili, militari ed ecclesiastici inaugurarono solennemente la Sociedad Patriotica, animata dall’avvocato tucumano Bernardo Monteagudo ed erede del club democratico di French. I membri più importanti della Sociedad Patriotica, centro di aggregazione dell’opposizione ma anche tendenzialmente il partito unico della classe dirigente argentina, appartenevano all’influente loggia segreta Lautaro (ne custodiva la lista il tenente colonnello José Matias Zapiola (1780-1874), che in vecchiaia la consegnò al generale Mitre). Modellata sulle logge di tipo massonico costituite nelle guarnigioni peninsulari e tra i circoli degli esuli spagnoli a Londra, la loggia era stata esportata a Buenos Aires da due giovani e ambiziosi parigrado di Zapiola, José de San Martin (1778-1850) e Carlos Maria de Alvear (1789-1853), entrambi ufficiali dell’esercito spagnolo, veterani della guerra Peninsulare e membri delle logge militari di Cadice. Nato in Paraguay da genitori spagnoli, figlio del colonnello Juan, governatore militare di Misiones, San Martin aveva servito nel Reggimento Murcia e il 15 luglio 1799 era stato catturato dagli inglesi a bordo della fregata Dorotea, affiliandosi durante la breve prigionia alla massoneria di obbedienza inglese e aderendo agli ideali liberali. Citato all’ordine del giorno per il valore mostrato nel 1808 alla battaglia di Bailen, era rimpatriato il 13 marzo 1812, non soltanto per difendere la rivoluzione rioplatense, ma soprattutto col proposito di inserirla nel quadro di una più vasta rivoluzione ispanoamericana, repubblicana e indipendentista. L’esperienza, il valore e il prestigio del giovane volontario peninsulare non potevano non impressionare la classe dirigente portegna, che ben si rendeva conto della scarsa professionalità degli ufficiali americani, in maggioranza provenienti dalle milizie rivoluzionarie e scelti con criteri politici. Così non stupisce che il 16 marzo, appena tre giorni dopo essere sbarcato a Buenos Aires, San Martin ottenesse il comando di uno squadrone di cavalleria scelta (granaderos a caballo), da organizzarsi “secondo i principi e le manovre della nuova tattica francese di cavalleria”. Una delle modifiche apportate al sistema spagnolo (ancora recepito dal regolamento rioplatense del 20 dicembre 1811) era la riduzione del numero delle compagnie da 3 a 2 per ciascuno squadrone. Fece ottima impressione che San Martin scegliesse personalmente non soltanto i 10 ufficiali, ma anche i singoli soldati, selezionandoli fra gli indios di migliore complessione fisica. Lo squadrone, montato ed equipaggiato mediante una pubblica sottoscrizione, fu alloggiato al Cuartel de la Rancheria, sede dei Dragones de la Patria. Alvear fu invece incaricato di addestrare la fanteria secondo i criteri francesi.

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La crisi del triumvirato e la congiura di Alzaga (31 dicembre 1811 - 11 settembre 1812) Il clima di apparente concordia nazionale fu presto dissolto dalla crisi politica e finanziaria. Nel dicembre 1811, sbarazzatosi dei saavedristi, il triumvirato dette un giro di vite anche contro il radicalismo democratico e contro la fronda peninsulare, istituendo l’Intendenza di polizia. Il 31 dicembre ridusse provvisoriamente gli stipendi dei pubblici funzionari e dei militari (di un decimo da 450 a 700 pesos, di un sesto da 700 a 1.000, di un quarto da 1.000 a 2.000, riducendo a 1.500 quelli superiori a 2.000) e ridusse il descuento a due sole aliquote, un decimo oltre i 600 pesos e un sesto oltre i 1.500. Il 4 febbraio 1812 dimezzò il soldo agli impiegati civili e militari non in servizio attivo e il 14 aprile la mezza paga fu estesa anche agli ufficiali, sergenti e caporali eccedenti i nuovi organici reggimentali e aggregati agli stati maggiori di piazza (eccettuati però gli artiglieri). Infine il triumvirato impose ai commercianti due prestiti forzosi di 150.000 pesos al 5 per cento, uno nel dicembre 1811 e l’altro nell’aprile 1812, quest’ultimo gravante anche sugli stranieri. Il 5 luglio fu scoperta una vasta congiura realista capeggiata da Alzaga, accusata di progettare lo sterminio della classe dirigente rivoluzionaria in concomitanza con il previsto arrivo dell’esercito realista del generale Goyeneche, il quale, schiacciata la ribellione di Cochabamba, stava ormai per lanciare l’offensiva decisiva sul fronte saltegno. La reazione del triumvirato, che aveva inizialmente cercato un modus vivendi con i realisti, fece impallidire il ricordo della furia giacobina di Moreno e Castelli. Plaza mayor fu teatro di numerose esecuzioni - inclusa quella del docente militare di matematica, tenente colonnello Santenach - e più di un migliaio di peninsulari furono precauzionalmente deportati nell’inospitale frontiera di Lujan sotto la guardia dei blandengues e della milizia. Per rinforzare la sorveglianza nella capitale, l’11 settembre 1812 furono costituiti due nuovi squadroni, uno di milizia (lanceros civiles) e uno regolare (2° granaderos a caballo). Il 7 dicembre fu costituito anche il 3° granaderos, elevando il corpo al rango di Reggimento e il grado di San Martin a colonnello. La vittoria di Tucuman (17 dicembre 1811 - 8 ottobre 1812) Nel dicembre 1811 il triumvirato aveva formalmente riconosciuto a Pueyrredon il comando dell’Ejército del 2orte - vale a dire dei 1.800 uomini che a Salta fronteggiavano le forze realiste dall’Alto Perù. L’ex-presidente del Charcas ne curò in particolare l’addestramento mediante appositi corsi di aggiornamento professionale per i quadri - academia per ufficiali ed escuela per graduati - tenuti dai colonnelli Toribio de Luzuriaga e Ignacio Warnes. Il 17 dicembre il tenente colonnello Manuel Dorrego (1787-1828) saggiò le posizion nemiche sloggiando un picchetto realista trincerato nelle fattorie del villaggio di Sansana, ma l’effimera vittoria gli costò l’intero reparto (16 morti, 2 feriti e 16 prigionieri su 40 uomini impiegati). Più tardi, appreso che Cochabamba, non più presidiata dai realisti, era nuovamente insorta sotto la guida del colonnello Arce, Pueyrredon vi distaccò Diaz Vélez, che, respinto a Yavi il colonnello realista Picoaga, il 12 gennaio 1812 raggiunse il Rio Nazareno. Mentre lo attraversava, una piena improvvisa impedì alla fanteria

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di seguire la cavalleria, la quale fu messa in fuga dal nemico, lasciando sul terreno 27 morti e 107 feriti. Diaz Vélez potè riorganizzarsi a Humahuaca, ma l’episodio convinse Pueyrredon a chiedere di essere sollevato dall’incarico. Il triumvirato designò allora Belgrano, che strada facendo venne rinforzato dal battaglione di pardos y morenos della milizia cordobese comandato dal tenente colonnello José Superì. Giunto a Rosario, il 27 febbraio il brigadiere inalberò una bandiera bianco-celeste (un simbolo dellaVergine), salutata dalle salve della batterie Libertad e Independencia. Questo accostamento di richiami patiottici e religiosi, che intendeva forzare la politica rioplatense verso il programma indipendentista sostenuto dal radicalismo democratico, contrariò il triumvirato, entrando però nell’epopea nazionale argentina. D’altra parte quel gesto di devozione mariana rese poi più facile a Belgrano rimuovere l’incomodo vescovo di Salta e spedirlo al confino nella capitale con l’accusa di attività controrivoluzionaria. Nondimeno la situazione militare restava gravissima. Il 24 maggio il generale Goyeneche forzò Los Altos de Pocona e il 27, vinto un estremo tentativo di resistenza al cerro di San Sebastian, occupò e saccheggiò Cochabamba. Consolidate le retrovie, i realisti poterono così riprendere l’offensiva su Salta, con un’avanguardia di 3.000 uomini e 15 pezzi comandata dal generale Pio Tristan (battaglioni Real de Lima, Fernando VII, Abancay, Cochabamba, Paruro-Chicas e squadrone Tarija). Su ordine del governo, Belgrano sgombrò la fonderia di Jujuy e il 23 agosto evacuò anche Salta, iniziando il cosiddetto éxodo jujeno, una marcia forzata di 250 chilometri in cinque giorni tra le colonne nemiche, che il 26 agosto e il 3 settembre, a Cobos e Las Piedras, inflissero gravi perdite alla retroguardia di Diaz Vélez. Alla fine della marcia Belgrano si attestò a Tucuman con 4 pezzi e 1.800 uomini - battaglioni cazadores de infanteria (Warnes), 2. 6 de linea (Carlos Forest) e pardos y morenos cordobeses (Superì) e 3 squadroni di milizia tucumana e saltegna (Juan Ramon Balcarce, Diego Gonzalez Balcarce e José Bernaldes Pollego). Belgrano disobbedì all’ordine del triumvirato di proseguire la ritirata, ritenendo che in tal caso la maggior parte dei soldati avrebbe disertato per non allontanarsi dalle province natali. Attese dunque il nemico a Tucuman e la vigilia della battaglia rinnovò il solenne giuramento sulla bandiera del Paranà aggiungendovi la consacrazione dell’esercito alla Madonna della Mercede. All’alba del 24 settembre si schierò con le spalle alla città, lungo il camino di Santiago del Estero, con i 3 squadroni alle ali e in riserva e i 4 pezzi intervallati ai 3 deboli battaglioni. Un’incredibile leggerezza del comandante nemico aiutò la vittoria. Convinto che Tucuman fosse già stata evacuata, Tristan spedì infatti il parco d’artiglieria in città, dove fu subito catturato. Fece però in tempo a schierare la fanteria parallela al camino antiguo del Peru, con le spalle al Manantial. La fanteria di Balcarce attaccò frontalmente, alla baionetta, mentre gli squadroni dei due Balcarce penetravano tra lo squadrone realista e il battaglione di sinistra provocando il crollo del dispositivo nemico. Perduti 7 cannoni, il treno, 400 morti e 600 prigionieri, Tristan riuscì a riannodare una parte delle sue truppe 5 chilometri più indietro, intorno ad un reparto di riserva. Il giorno seguente Belgrano avanzò intimandogli la resa, senza però forzarlo a battaglia e così durante la notte Tristan poté levare il campo e

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tornare a Salta, dove si trincerò fortemente. I realisti tennero anche Jujuy, dove l’8 ottobre respinsero un assalto dell’avanguardia argentina. Il colpo di stato della loggia “Lautaro” e la costituente di Alvear (8 ottobre 1812 - 30 gennaio 1813) L’annunzio della vittoria di Tucuman giunse a Buenos Aires il 4 ottobre, quando già il triumvirato traballava sotto la dura opposizione della Sociedad Patriotica e della loggia Lautaro, la quale propugnava l’immediata proclamazione dell’indipendenza e della sovranità nazionale. L’opposizione democratica sostenne che il merito della vittoria era esclusivamente di Belgrano, il quale aveva opportunamente trasgredito gli ordini contraddittori del triumvirato. Il colpo di stato democratico ricalcò il medesimo schema di quello conservatore del 5-6 aprile 1811, ma con una maggiore enfasi “militare”, segno dell’accresciuto potere dell’esercito. L’8 ottobre 1812 il popolo riempì le piazze, reclamando un cabildo abierto e marciando sul palazzo capitolare assieme ai principali reggimenti della guarnigione, incluso San Martin alla testa dei suoi granaderos. Rimarcando implicitamente che stava soltanto cedendo alla forza, il cabildo volle ricevere i colonnelli per rimettere a loro la responsabilità di designare il nuovo governo. Ma i militari sventarono questa astuzia legalistica, replicando che l’esercito interveniva soltanto per difendere i diritti del popolo e che toccava al cabildo designare il nuovo triumvirato (ovviamente, però, scegliendo gli uomini discretamente suggeriti dagli stessi colonnelli). In tal modo fu confermato Juan Estéban de Paso, che il 19 giugno 1815, dopo la caduta di Alvear, sarebbe divenuto asesor y auditor general de guerra, mentre gli altri due triumviri furono sostituiti dal brigadiere Nicolas Rodriguez Pegna (1775-1853) e da Antonio Alvarez de Jonte, futuro uditore di guerra con San Martin (1814 Ejército del 2orte, 1816 de los Andes, 1820 Libertador del Peru). Nella stessa occasione fu convocata un’assemblea costituente, la cui prima sessione si tenne la sera del 30 gennaio 1813. Era dominata dal partito repubblicano: infatti su 34 membri ben 25 erano iscritti alla loggia Lautaro e 10 di costoro erano anche ammessi alle sessioni ristrette in cui venivano prese le decisioni politiche. Tra costoro c’era anche il ventitreenne Alvear, designato dalla Loggia a presiedere l’assemblea. Quel consesso di solidi massoni si rifletteva bene nella rassicurante personalità di Alvear, il quale concepiva la politica in termini di mero potere personale, clientele e accordi interfamiliari, garantendo la classe dirigente dal pericoloso idealismo e dalle grandiose visioni strategiche del suo collega e rivale San Martin. L’assemblea soppresse il nome di Fernando VII dalla formula del giuramento pubblico, dalle preghiere religiose per le autorità delle Province Unite e infine dal nome del Reggimento dei granaderos, ribattezzato de infanteria, come pure la sua effige sulle monete, sostituendola con il proprio simbolo, tipicamente repubblicano: due mani che si stringono sotto il berretto frigio. Per alcuni mesi l’assemblea rese obbligatorio calzarlo in pubblico, sotto minaccia di severe sanzioni. Inoltre aumentò la pensione alla vedova di Mariano Moreno. Tuttavia si guardò da qualsiasi definitivo pronunciamento repubblicano o independentista.

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Alla fine dell’anno la scoperta di una nuova cospirazione realista produsse una nuova ondata di repressione e di terrore. Furono rafforzati i controlli di polizia istituendo commissariati decentrati e comminate nuove condanne a morte di presunti congiurati e nuove deportazioni precauzionali di pensinsulari, ai quali fu inoltre interdetto l’esercizio di alcune attività commerciali e artigianali. Inoltre il 7 febbraio 1813, applicando il concetto giacobino della “nazione” come selezione politica del popolo, la costituente istituì la “carta di cittadinanza”, concessa soltanto ai peninsulari che potessero dimostrare servizi resi alla causa patriottica. Il decreto consentiva alla classe dirigente di salvaguardare a propria discrezione - mediante dichiarazioni e testimonianze - i peninsulari con i quali aveva stabilito relazioni familiari, di amicizia o di affari, ma al tempo stesso anche di consumare vendette e di epurare i più ambiti impieghi governativi, ora riservati esclusivamente a quanti potessero esibire la carta. Il 5 marzo la costituente ridusse i gradi dell’esercito lasciando come grado pià elevato quello di brigadiere, con stipendio mensile di 333 pesos.

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5. IL NUOVO ORDINAMENTO DEL’ESERCITO (1813) Il controllo dello stato maggiore La fazione lautarina assunse anche il controllo dell’estado mayor militar. Nel settembre 1812 il vecchio triumvirato aveva spedito il capo di stato maggiore Viana presso il ricostituito Ejército Oriental di Rondeau, sostituendolo con Marcos Balcarce. Tra i due ufficiali era sorto un conflitto di attribuzioni, suscitato dalla pretesa di Viana di continuare ad ingerirsi anche nella gestione dello stato maggiore portegno e risolto dal vecchio triumvirato a favore di Balcarce. Ma il nuovo triumvirato se ne sbarazzò mandandolo in soccorso della rivoluzione cilena con una columna de auxiliares argentinos e mettendo a capo dello stato maggiore il neopromosso tenente colonnello Toribio Luzuriaga, già capitano dei granaderos a caballo di San Martin. Il 4 giugno Luzuriaga fu a sua volta sostituito da un uomo di Alvear, il colonnello Martin Rodriguez, e destinato invece a costituire il nuovo battaglione di linea (2. 7 de libertos) che si doveva reclutare attingendo al reggimento di milizia civica dei negri e mulatti liberi. In compenso, tornato a Buenos Aires, San Martin assunse il comando della guarnigione e il 28 agosto completò il suo reggimento con il 4° squadrone granaderos. Il 16 settembre la gendarmeria civica fu riorganizzata su 2 squadroni (husares de la Libertad e caballeria de la guardia civil). Le riforme militari della costituente La costituente approvò inoltre varie modifiche dell’ordinamento militare. Le due più rilevanti sotto l’aspetto politico furono l’attribuzione all’esecutivo del potere di cassazione (arreglo a ordenanza en ultimo grado) delle sentenze concernenti il fuero militar e la soppressione (decisa il 27 luglio) dell’avanzamento per anzianità, stabilendo che le promozioni si dovessero fare esclusivamente “per merito”. Eliminando le più importanti garanzie di equità e imparzialità della giustizia e della carriera militare a vantaggio degli ufficiali più giovani e politicizzati, queste disposizioni compivano inconsapevolmente un buon passo verso il caudillismo che nel gennaio 1820 avrebbe portato alla disintegrazione dell’esercito argentino. Su proposta di una apposita Commissione, composta da Monteagudo, Alvear e Anchoris, il 31 maggio la costituente creò un Istituto Militare per la formazione degli ufficiali, peraltro mai attivato. In compenso dal 1° gennaio aveva ripreso a funzionare il corso (academia) di matematica per ufficiali, tenuto ora da Pedro Cevigno. Nella stessa seduta la costituente creò anche il Cuerpo e l’Instituto Médico Militar, entrambi sotto la direzione del Primo medico e chirurgo maggiore dell’esercito Cosme Argerich (al cui nome è intitolato l’attuale Ospedale Militare di Buenos Aires). Il corpo medico prevedeva un regolare servizio sanitario d’armata (diretto da un

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capitano chirurgo) e reggimentale (con 2 subalterni e vari cadetti) ma non ancora un ospedale militare (i ricoveri avvenivano in corsie riservate (sala militar) presso gli ospedali civili convenzionati (quello betlemitico della capitale e i due minori di Cordoba e Salta). Infine il 29 giugno la costituente autorizzò l’esecutivo a nominare un vicario general castrense, designato però soltanto il 29 novembre nella persona di Diego Estanislao de Zavaleta, provveditore e governatore del vacante vescovado portegno. Costui introdusse il concorso pubblico per la nomina dei cappellani militari, ma di fatto questi erano designati dall’esecutivo e il vicario si limitava al formale conferimento delle facoltà ecclesiastiche. Uno di costoro era l’orientale padre Figueredo, emigrato nel 1812 da Montevideo e fervente seguace di Alvear. La centralizzazione del reclutamento Il 1° gennaio 1813 era stato istituito nella Casa del Seminario, già caserma dei tercios civicos peninsulari (1807-09), un cuartel general (deposito) delle reclute, diretto dal tenente colonnello Prudencio Murguiondo, già comandante del vecchio tercio de vizcainos. Qui una asamblea di istruttori provvedeva all’addestramento formale, al manejo de armas e al tiro a fuoco. Il 26 marzo l’esecutivo decretò la centralizzazione del reclutamento, vietando ai comandanti di corpo di ammettere reclute non provenienti dal deposito bonearense. Disposizione però difficilmente applicabile, dato il decentramento della maggior parte delle truppe. Alla fine dell’anno il deposito fu classificato come unità di emergenza della guarnigione della capitale e il 13 dicembre fu disciolto, passando gli ufficiali al 2. 7 e la truppa ai granaderos de infanteria, tornati in settembre da Montevideo e riorganizzati nella capitale al comando del nuovo colonnello José Moldes. Polverificio, fonderia di cannoni e fabbriche di fucili e armi bianche Nel marzo 1813 il polverificio di Paroissien e Condarco fu trasferito da Cordoba ad El Bajo del Pucarà (dove fu distrutto da un incendio il 10 aprile 1815). Il 23 gennaio, col ritiro di Zabaleta, la fabbrica di fucili di Tucuman aveva cessato la propria attività. La riprese però nel febbraio 1814 per impulso di San Martin, con la nomina del nuovo direttore Leonardo Pacifico, continuando la produzione di fucili sino al 1819. Alvear sembra aver avuto qualche interesse personale nella piccola industria militare portegna. Appartenevano infatti al suo clan sia il direttore della fonderia, Monasterio, sia il vicedirettore della fabbrica di fucili, Salvador Cornet, che il 12 dicembre 1813 subentrò al direttore Matheu, trasferito al commissariato del vestiario. In ogni modo Cornet migliorò la produzione ingaggiando due armaioli tedeschi, Johan Georg Fringe e Ferdinand Lamping. Il fabbisogno di sciabole per i granaderos a caballo di San Martin garantì un contratto anche all’armero mayor Manuel Rivera, il vecchio appaltatore della piccola fabbrica vicereale di armi bianche (armeria) che nel 1807 aveva costituito a proprie spese lo squadrone civico degli artigiani della Real Maestranza de Artilleria. Il 25 novembre 1813 i modelli furono approvati e Rivera impiantò la fabbrica a Caroya, a 50 chilometri da Cordoba. Tuttravia,

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a causa di gravi inconvenienti economici, il 18 gennaio 1815 l’esecutivo chiuse la fabbrica ordinando a Rivera di imballare macchinari e utensili e rientrare nella capitale. Il governo cordobese valutò, rinunciandovi, l’opportunità di acquistare l’attrezzatura. Il nuovo regolamento dell’amministrazione militare Importante modifica delle Ordenanzas di Carlo III del 1768, ancora in vigore, fu il regolamento del servizio amministrativo dell’esercito, che istituiva nella capitale una Comisaria general de guerra, con dipendenti commissari di guerra distaccati presso gli Ejércitos de la Patria e nelle città capoluoghi di intendenza o con guarnigioni di due o più reggimenti. Nelle guarnigioni minori l’amministrazione delle truppe era invece lasciata ai locali funzionari (ministros de Hacienda) affancati da ufficiali incaricati (comisarios accidentales de guerra). Il regolamento stabiliva che beni e servizi dovessero essere approvvigionati mediante appalto (asiento) per asta pubblica e talora anche a tariffa fissa, sotto controllo e collaudo del commissario di guerra e con l’intervento del governatore intendente o del comandante de Armas nonchè del colonnello più anziano dell’arma competente per il tipo di bene o servizio da approvvigionare. Naturalmente era vietato al commissario, sotto la blanda e del tutto teorica pena della rimozione dall’ufficio, ricevere o farsi promettere gratifiche, regali, diritti, emolumenti o gages sia dai comandanti che dagli appaltatori (asentistas), cosa che si può ben immaginare costituisse anche nell’Argentina di quell’epoca - come del resto in tutti i tempi e sotto tutti i cieli - prassi abituale e ovviamente “fisiologica” delle forniture pubbliche, specialmente militari. Come in tutti gli eserciti gli approvvigionamenti erano ovviamente finanziati mediante ritenute fisse o variabili sulla paga del soldato, pari a 14 pesos mensili. Fisse erano le ritenute per il vestiario ordinario (1 peso e 2 reales) e la razione di pane (2 pesos). Diversamente dalla maggior parte degli altri eserciti, quello argentino forniva anche una razione giornaliera di 60 grammi di carne, ma siccome il costo era variabile la ritenuta si faceva sul prest, vale a dire sulla quota della paga che - in teoria - si doveva corrispondere direttamente al soldato e che invece, nella maggior parte degli eserciti veniva sequestata e intascata con pretesti vari, sempre per il bene del soldatino ignorante, dal commissario, dal capitano e dal bettoliere di compagnia. Almeno in questo più fortunati di molti loro commilitoni stranieri, il governo procurava però ai soldati argentini (naturalmente con altre ritenute forzose sul prest) anche tabacco nero e sigari del Paraguay senza i quali nessun reggimento aveva la forza di marciare, nonché, al posto del vinaccio annacquato e inacidito somministrato dai bettolini militari europei, yerba per l’infuso di mate, la bevanda nazionale. Siccome i soldati argentini oziavano poco (praticamente non avevano caserme, al massimo baracche, e stavano sempre in marcia) il regolamento del 20 gennaio 1813 fissava una frequenza del cambio del vestiario superiore alla media europea (ogni 14 mesi anziché ogni 24 per il corredo ordinario, ogni 28 mesi per il cappotto). Il corredo ordinario, del valore tariffario di 16 pesos, includeva casacca, cappello e giacchetto di panno, 2

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pantaloni, 2 chalecos, 2 crovattini, 2 camiciotti, 1 gorra da caserrma e 1 da parata (di suola con 2 cordini e scudo) e 1 mochile di lana, 2 paia di scarpe, 2 di calze e, per la cavalleria, un paio di stivali forti. Naturalmente questa era la teoria. In realtà a causa della crisi finanziaria, il soldo veniva corrisposto con grande irregolarità e alla fine per niente, costringendo i soldati, come era avvenuto del resto nelle Armate della Rivoluzione francese e nei corpi di spedizione di tutti gli stati europei, a girare scalzi, sporchi e seminudi. E gli eserciti a vivere a spese del paese occupato, mediante tributi di guerra e requisizioni, con contorno di saccheggi, furti e rapine e con una rapida selezione naturale, soprattutto fra i generali e gli ufficiali, degli elementi moralmente peggiori, gli unici che riuscissero in qualche modo a sopravvivere e perfino ad arricchirsi. La ripartizione delle truppe nel 1812-13 Nel biennio 1812-1813 le truppe argentine furono distribuite in tre aliquote, i due Eserciti comandati dai brigadieri Rondeau e Belgrano (sostituito il 3 dicembre 1813 da San Martin) e la guarnigione di Buenos Aires (comandata dal luglio al novembre 1813 da San Martin). In queste tre aliquote si avvicendarono i seguenti reparti: A) Ejército Oriental (Rondeau) A-1 reparti bonearensi: .Regimiento Granaderos de Fernando VII - col. Juan Florencio Terrada (dal gennaio 1813); .Regimiento 2. 2 de linea (+ 2 compagnie de Indios) - col. Ortiz de Ocampo (dal giugno 1813 col. Carlos Maria de Alvear); .Regimiento América 2. 3 de linea (dal settembre 1812) - col. Domingo French; .Regimiento 2. 5 de linea (Patricios) (fino al settembre 1812) - ten. col. Gregorio F. Perdriel ); .Batallon de Pardos y Morenos 2. 6 de linea - ten. col. Miguel Estanislao Soler; .Regimiento Dragones de la Patria (4 squadroni) - brig. José Rondeau .Regimiento Granaderos a caballo (3 squadroni) - col. José de San Martin (febbraioluglio 1813); A-2 reparti orientali: .Batallon 2. 4 de linea (ex-blandengues orientali) - ten. col. orientale Ventura Vazquez; .Regimiento 2. 7 de linea - col. José Artigas; .Caballeria Oriental - comandante Vargas; .Milicias del Campo.

B) Ejército del 2orte (Belgrano) .Regimiento América 2. 3 de linea - col. Domingo French (da maggio a settembre 1812); Regimiento 2. 1(5) de linea (ex-Patricios) - ten. col. Gregorio F. Perdriel e Francisco Pico (dal settembre 1812. Il 30 gennaio 1814 incorpora il N. 6 e il comando passa al ten. col. Carlos Forest); .Regimiento 2. 6 de linea - ten. col. Juan José Viamonte, poi Ignacio Arnes, Miguel Aràoz e Francisco Pico. Il 24 novembre 1813 contratto a Battaglione, ten. col. Carlos Forest. Il

70 30 gennaio 1814 incorporato nel N. 1); .Batallon de cazadores de infanteria - ten. col. Ignacio Warnes, poi Manuel Dorrego (distrutto a Vilcapujo il 1° ottobre 1813); .Batallon de pardos y morenos cordobeses - ten. col. José Superì (distrutto a Vilcapujo il 1° ottobre 1813); .Batallon Alvarez del 2. 2 de linea - col. Benito Alvarez. 300 uomini a Tucuman dal 9 dicembre 1812, poi 2. 7, il 13 luglio 1813 2°/2. 8); .Batallon 2. 2 del Perù (indios dell’Alto Perù e Potosì) (il 13 luglio 1813 diviene I Bat. del N. 8); .Regimiento 2. 8 de linea - col. B. Alvarez. Costituito il 13 luglio e distrutto il 1° ottobre 1813 a Vilcapujo; .Batallon 2. 7 de Libertos - ten. col. Toribio Luzuriaga (dal 30 gennaio 1814); .Regimiento de Dragones del Peru (4 squadroni) - col. Zelaya (costituito . .1° e 2° Escuadron granaderos a caballo (dal gennaio 1814); .Batallon de Decididos (milizia di Salta); .Milicianos de Tucuman - col. Bernabé Aràoz e Geronimo Zelarrayan; .Regimiento de Dragones de Milicias Patrioticas (Tucuman);

C) Guarnigione di Buenos Aires .Regimiento Granaderos de Fernando VII - col. Juan Florencio Terrada (fino gennaio 1813); .Regimiento Granaderos de Infanteria - col. José Moldas (dal settembre 1813); .Regimiento Granaderos a caballo (3 squadroni) - col. José de San Martin (fino gennaio 1813 e poi dal luglio 1813. 4° Escuadron costituito il 28 agosto 1813); .Regimiento de Artilleria de la Patria (12 compagnie) - col. Francisco Xavier de Viana; .Cuartel general de Reclutas - ten. col. Prudencio Murguiondo (cost. 1° gennaio, sciolto 13 dicembre 1813); .Columna de Auxiliares Argentinos - col. Marcos Balcarce (cost. marzo 1813 poi trasferito in Cile sull’Itata); .Batallon 2. 7 de Libertos - ten. col. Toribio Luzuriaga (costituito 31 maggio 1813, il 3 dicembre a Salta); .Compagnia de zapadores - ten. col. von Holmberg (cost. 8 settembre - disc. 13 dicembre 1813); .Regimiento civico de morenos y pardos libres .Escuadron de Lanceros Civiles (sett. 1813 Caballeria de la Guardia Civil); .Regimiento Voluntarios de Caballeria de la Frontera (2 squadroni); .Regimientos 2. 1- 2. 6 de caballeria de milicia de campagna.

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6. LA FALLITA OFFENSIVA SU LIMA E LA PRESA DI

MONTEVIDEO

(1812-14) La riapertura del fronte orientale e la battaglia del Cerrito (20 novembre 1811 - 31 dicembre 1812) Dopo estenuanti scaramucce diplomatiche col governatore realista Vigodet, il 20 novembre 1811 il primo triumvirato portegno aveva ratificato l’armistizio di Montevideo, cercando di rabbonire Artigas con la nomina a governatore di Yapeyù (capoluogo delle missioni gesuitiche) e con l’invio di un commissario di governo (Sarratea) e del 4° squadrone dragoni al campo correntino di Ayuì. Ma, obbedendo alle direttiva politiche di Rio de Janeiro, Vigodet aveva di fatto rinviato sine die l’esecuzione della clausola relativa al ritiro delle forze portoghesi e infine, nell’aprile 1812, aveva dichiarato esplicitamente che tali forze sarebbero rimaste nella Banda Oriental per impedire alle forze di Artigas di portarsi sul fronte di Salta in soccorso di Belgrano. Il 26 aprile il triumvirato aveva risposto mandando in rinforzo di Artigas il colonnello Rondeau, con gli altri 3 squadroni dragoni e 1 battaglione del 2. 2. Il 6 maggio i portoghesi avevano aperto le ostilità attaccando senza successo l’avamposto correntino di Santo Tomé (sull’Uruguay) e il 9 una loro squadriglia fluviale aveva anche tentato di sbarcare truppe al Rincon. Tuttavia l’offensiva realista, la ritirata di Belgrano da Salta e poi la scoperta della congiura di Alzaga avevano sconsigliato di impegnarsi anche su un fronte ormai secondario come quello orientale. E in settembre, a causa dell’ulteriore peggioramento della situazione militare nell’Alto Peru, il triumvirato aveva ordinato a Sarratea di muovere su Tucuman con 8 pezzi (7 cannoni e 1 obice), 2 battaglioni (2. 4 ex-blandengues orientales e 2. 6 de pardos y morenos patricios) e 2 reggimenti (dragones de la patria e cavaleria oriental di Vargas). Ma la sconfitta dei realisti e il colpo di stato di Buenos Aires mutarono di colpo la situazione strategica e il nuovo triumvirato, ridesignate le forze oltre il Paranà Vanguardia del Ejército Oriental, ordinò loro di marciare immediatamente su Montevideo, promettendo solleciti rinforzi. Le truppe si misero in marcia il 20 ottobre, attestandosi pochi giorni dopo al Cerrito presso Montevideo, in attesa dei rinforzi. Nel frattempo Vigodet, ben informato sui dissidi politici e personali tra Sarratea e Artigas, aveva spiccato il brigadiere Muesas, con 3.000 uomini, a cercare le due colonne nemiche e tentare di batterle separatamente. Tornato a Montevideo, la notte sul 31 dicembre Muesas tentò di sorprendere il Cerrito e all’alba espugnò gli avamposti tenuti dagli orientali, catturando il comandante Vargas. Riuscì poi a sloggiare i morenos di Soler dalla cima della collina e a respingere un primo contrattacco. Ma, caduto Muesas, i realisti cedettero la cima fuggendo in disordine e finendo sciabolati dai

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dragoni di Hortiguera. La riconquista di Salta (9 dicembre 1812 - 20 febbraio 1813) Anche sul fronte settentrionale l’anno era iniziato sotto i migliori auspici. Ricevuti il 9 dicembre 3 battaglioni portegni (due di ex-patricios e uno del 2. 2), nel gennaio 1813, incurante delle torrenziali piogge estive, Belgrano era partito da Tucuman con 3.000 uomini e 16 pezzi per andare a riprendere Salta, dove Tristan si era attestato con 3.400 uomini e 10 cannoni (6 battaglioni e 1 squadrone). Il 14 febbraio l’avanguardia di Diaz Vélez prese il forte di Cobas, che sbarrava il passo del Portezuelo poco ad Est della città, dietro il quale due grosse batterie realiste attendevano i patrioti. Convinto che la stagione avrebbe impedito qualsiasi itinerario alternativo, Tristan non aveva disposto vedette avanzate sulle alture di San Bernardo. In tal modo non poté accorgersi che l’intero esercito patriota lo stava aggirando da Nord per la quebrada di Cachapoyas, guidato dal capitano Apolinario Saravìa, saltegno ed esperto dei luoghi. In tal modo Belgrano tagliò le comunicazioni tra Salta e Jujuy, obbligando Tristan a dare battaglia a fronte rovesciato su posizioni non predisposte. La sera del 19 Belgrano si accampò all’hacienda di Castagnares, 40 chilometri a Nord di Salta. Al mattino del 20 febbraio, cessata la pioggia, l’esercito avanzò al campo de la Cruz e verso mezzogiorno si schierò su 5 battaglioni (Cazadores Dorrego, Morenos Superì, 2°/2. 6 Pico, 2°/2. 1 Forest, 2. 2 Alvarez) con 12 pezzi inframmezzati e 4 squadroni alle ali. Mentre le batterie aprivano il fuoco, Dorrego attaccò la sinistra nemica. Respinto, intervenne lo squadrone di Zelaya, a sua volta caricato da quello nemico. Fermato da Alvarez un attacco della destra realista, Dorrego tornò all’assalto sbandando l’altra ala. Tristan fece allora intervenire i 2 battaglioni di riserva del marchese di Yavi, ma questi furono travolti dal cedimento del centro. La destra realista ripiegò combattendo fin quasi alla città, dove si arrese. Tristan tentò un’ultima resistenza dietro le palizzate di Salta, combattendo poi casa per casa finchè, abbandonato dai suoi uomini, si arrese. Le perdite dei realisti ammontavano a 500 morti, 117 feriti e oltre 2.000 prigionieri, ma, nell’intento di favorire una soluzione politica della guerra, Belgrano commise la generosa ingenuità di conceder loro la libertà, sulla parola - presto violata - di non impugnare mai più le armi contro le Province Unite. In ogni modo a Salta i patrioti conquistarono un vero arsenale: 120 bocche da fuoco e oltre 2.000 fucili, più il parque e la maestranza dei realisti. Il 27 marzo Buenos Aires ratificò la formazione reggimentale della cavalleria di Zelaya, che il 23 aprile venne ufficialmente denominata Dragones del Peru. Lo scontro di San Lorenzo e il blocco terrestre di Montevideo (14 gennaio 8 settembre 1813) Benchè rinforzato in gennaio da altri 5 battaglioni (1°/2. 1, 1°/2. 2, 1° e 2°/América 2.3 e granaderos de Fernando VII) Rondeau aveva appena 10 bocche da fuoco, insufficienti per un vero assedio di Montevideo. L’esercito

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sitiador dovette quindi limitarsi a tagliare le comunicazioni terrestri nel tentativo di affamare il nemico. Ma gli effetti erano abbastanza limitati, dal momento che la marina spagnola dominava ancora il mare e l’intero sistema fluviale. Intanto il 14 gennaio i capitani José Luna e Gregorio Samariengo fecero un’incursione sulla sponda entrerriana dell’Uruguay, catturando 3 imbarcazioni e 5 cannoni al Bellaco di Gualeguaychù. Non poterono però impedire alla flottiglia spagnola di Romarate, forte di 3 unità maggiori e 6 minori, di risalire il Paranà minacciando uno sbarco sulla riva destra. La difesa costiera mobile venne affidata a San Martin, con 125 granaderos a caballo (su 384 effettivi) dei primi due squadroni già costituiti. Il 31 gennaio la flottiglia spagnola dette fonda davanti al convento di San Lorenzo, presidiato da 100 miliziani del picchetto del Rosario, sbarcando il comandante Zabala con 250 soldati e marinai e 2 cannoncini. Meno veloce della flottiglia nemica, la cavalleria portegna aveva uno svantaggio di due giorni. Ma il nemico non attaccò subito la posizione e con marce forzate al trotto e galoppo San Martin potè raggiungere San Lorenzo nascondendosi dietro il convento. All’alba del 3 febbraio i due squadroni caricarono dai due lati. Sorpreso mentre bivaccava, dopo breve resistenza il nemico corse verso la flottiglia, i cui cannoni non potevano coprirlo a causa della riva fortemente scarpata. In un quarto d’ora Zabala perse 40 morti, 14 feriti e prigionieri, i cannoncini, 50 fucili e una bandiera, presa dall’alfiere Hipolito Bouchard a prezzo della vita. I granatieri Cabral e Baigorria caddero per salvare San Martin, disarcionato in mezzo al nemico. Il giorno seguente gli argentini concessero viveri freschi richiesti dal nemico per i propri feriti. L’impresa consolidò la fama del reggimento di San Martin, che in maggio fu elevato a 664 effettivi. Il provveditorato dell’Ejército sitiador fu naturalmente appaltato all’erede di Juan José Seco (deceduto nel 1812), mentre suo nipote Francisco Saguì continuò a curare gli interessi e la persona della vedova rimasta a Montevideo, nonché a forzare il blocco delle marine spagnola e portoghese. In maggio la costituente istituì un contributo sulle principali attività artigianali e accrebbe l’imposta sul valore aggiunto da 8.200 a 20.000 pesos, nonostante la diminuzione del volume commerciale. La direzione dei lavori d’assedio fu attribuita a von Holmberg, che in agosto ottenne, su sua richiesta, il titolo ufficiale di ingeniero. Tuttavia il barone austriaco non si recò sul posto, dove sembra abbiano operato altri ufficiali (Monasterio, Manuel Herrera e Mauricio Berlanga). In ogni modo a dirigere le batterie e i lavori rimasero i capitani Mathias Yrigoyen e Jaime Martì de Jaume. Non esistendo ancora specifici reparti del genio, i lavori furono effettuati dai soldati di fanteria e soprattutto da manovali (peones a jornal). L’8 settembre, su proposta di San Martin, fu costituita nella capitale 1 compagnia di 100 zappatori, comandata da von Holmberg e dal capitano Martì de Jaume, con i subalterni José Maria de La Oyuela e Mariano Antonio Duran. Tuttavia non raggiunse l’esercito assediante, perché in dicembre fu utilizzata per ripianare le perdite dei granaderos de infanteria rientrati da Montevideo. Qui tuttavia Rondeau formò un’altra unità zappatori con i morenos fuggiti dalla piazzaforte, che raggiunse la forza di 1 battaglione di 457 uomini su 3 compagnie.

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Nel frattempo anche il Paraguay sfuggì definitivamente alla sovranità rioplatense. Il 30 settembre il congresso costituente di Asuncion proclamò la Repubblica e la rottura con la giunta di Buenos Aires e il 14 ottobre Francia fu eletto dittatore supremo, carica che tenne vitalizia sino al 1840. La fallita offensiva su Lima e la sostituzione di Belgrano con San Martin (19 giugno 1813 - 30 gennaio 1814) Sul piano strategico della guerra contro il viceré di Lima, la vittoria argentina di Salta fu bilanciata dal contemporaneo sbarco realista nel Cile meridionale e dalla riconquista di Talcahuano, Concepcion e Chillan, favorita dalla predicazione controrivoluzionaria dei francescani. Sopravvalutando le proprie forze e contando sulla ribellione indiana e sulla defezione dei reggimenti americani dell’esercito realista, Belgrano decise allora di sferrare una grandiosa offensiva finale su Lima, attraverso l’altipiano. Primo obiettivo era Potosì, dove si trovava Goyeneche col grosso dei realisti. Il 19 giugno, a Condor Condo, Zelaya avvistò l’armata nemica in ritirata verso Oruro, mentre a Pequereque le pattuglie avanzate si scontrarono con la retroguardia realista. Il 21 Potosì accoglieva nuovamente i liberatori. A Potosì Belgrano pianificò la seconda fase dell’offensiva, accordandosi con il cacicco Càrdenas, al quale conferì il grado di colonnello e il comando di una forza ausiliaria di 2.000 indios. Il 13 luglio formò un nuovo reggimento (2. 8) col battaglione portegno di Benito Alvarez e uno peruviano (2. 2 del Peru). Ma intanto l’inazione minava la disciplina delle truppe e favoriva la propaganda disfattista, mentre i realisti, destituito Goyeneche e affidato il comando al generale Joaquin de la Pezuela, in settembre ripresero l’iniziativa battendo gli indios ad Ancaicato e impadronendosi della corrispondenza di Belgrano, dalla quale appresero in dettaglio il piano offensivo avversario. Prevenendo il nemico, Pezuela marciò contro Belgrano, accampato nella pampa di Vilcapugio con 6 battaglioni (cazadores, morenos, 1° e 2°/2. 6, 1° e 2°/2. 8), 4 squadroni e 8 cannoni. La notte sul 1° ottobre i realisti valicarono le alture circostanti convergendo sul campo dei patrioti. Colto di sorpresa, Belgrano riuscì comunque a schierarsi e ad aprire il fuoco, caricando poi frontalmente a sciabola e baionetta. Verso mezzogiorno la linea realista cominciava a cedere, quando sul fianco della sinistra patriota piombò una colonna aggirante nemica, mentre all’ala opposta i dragoni sospesero l’attacco rientrando nelle linee. Nella fanteria si sparse il panico e i fuggiaschi travolsero la riserva. Perduta l’artiglieria e fallito ogni tentativo di rannodare le file, Belgrado dovette ritirarsi con poche centinaia di superstiti. Non inseguito da Pezuela, Belgrano potè ricostituire l’esercito a Potosì, con 1.000 veterani, 2.000 reclute e 6 cannoni leggeri e alla fine del mese spinse in ricognizione il tenente colonnello Gregorio Aràoz de Lamadrid (17951857). In questa occasione avvenne il famoso episodio dei “sergenti di Tambo Nuevo” - tre soldati (Gòmez, Albarracin e Salazar) promossi sottufficiali per aver catturato da soli un picchetto di 12 realisti.

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Convinto di poter ancora battere Pezuela, Belgrano decise di attenderlo nella pianura di Ayohuma, per schiacciarlo con il fuoco delle batterie e una carica frontale una volta sboccato da un passaggio obbligato. Era una mossa classica nelle guerre sudamericane dell’epoca, la stessa adottata da Tristan a Salta: ma, come Tristan, Belgrano commise l’errore di trascurare le vedette e soprattutto di occupare il cerro alla sua destra. Così il 14 novembre, mentre i patrioti caricavano frontalmente il nemico sboccato in pianura, furono colti sul fianco dalla colonna aggirante scesa dal cerro trascurato, secondo lo schema d’attacco già sperimentato da Pezuela a Vilcapugio. Coperti dalle cariche di Zelaya, scamparono soltanto 400 fanti e 80 dragoni, che dopo una marcia estenuante, con Dorrego in retroguardia, raggiunsero Salta. La notizia del disastro dette ad Alvear l’occasione per sbarazzarsi di tutti i suoi rivali attuali o potenziali. Manovrando attraverso la Loggia Lautaro sia la costituente che il secondo triumvirato, fece richiamare Belgrano e lo fece spedire in Europa assieme a Rivadavia, con la missione ufficiale di presentare a Ferdinando VII i reclami degli Americani contro gli abusi dei viceré e con l’istruzione segreta di negoziare con l’Inghilterra gli aiuti necessari al mantenimento dell’indipendenza. Il comando dell’esercito del Nord fu invece assegnato a San Martin, il quale partì il 3 dicembre col nuovo Batallon 2. 7 de Libertos (reclutato da Luzuriaga fra gli ex-schiavi portegni e comandato dal colonnello Celestino Vidal) e da 250 granaderos (i primi due squadroni, lasciando gli altri due, con Zapiola, disposizione di Alvear). Il 14 gennaio 1814, prima dell’arrivo di San Martin, Belgrano dette il suo ultimo ordine, disponendo l’evacuazione di Salta e la ritirata a Tucuman, dove, il 30 gennaio, trasmise il comando al suo successore, che lo salutò con un caldo abbraccio di stima e solidarietà. La strategia di Alvear (3 dicembre 1813 - 1° giugno 1814) Come in un gioco a incastri, la rimozione di Belgrano aveva consentito ad Alvear di sbarazzarsi anche di San Martin, facendogli assegnare il periferico e sfortunato comando di Salta, in modo da togliergli quello, politicamente decisivo, della guarnigione della capitale, con la quale Alvear intendeva marciare su Montevideo rilevando il comando di Rondeau e assicurando a stesso la gloria di conquistare l’ostinata rivale di Buenos Aires. Ma per poterlo fare Alvear doveva premunirsi contro eventuali colpi di palazzo e rompere il blocco navale ispano-portoghese. La prima condizione venne realizzata facilmente nel gennaio 1814, facendo approvare dalla costituente una modifica dello statuto provvisorio che sostituiva il triumvirato con un unico “direttore esecutivo” e facendo eleggere a tale ufficio suo zio Gervasio Antonio Posadas, un notaio ecclesiastico di sentimenti realisti ma considerato erroneamente “morenista”, comunque abbastanza insignificante per non fare ombra alle ambizioni politiche del giovane nipote. Con l’occasione furono istituiti per la prima volta i “ministeri” degli interni, de hacienda e di guerra e marina, attribuiti a Nicolas de Herrera, Juan Larrea (1782-1867) e Francisco Xavier de Viana, già capo di stato maggiore e comandante dell’artiglieria. Ceduto il comando del 2. 2 al colonnello graduado Ventura Vazquez,

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durante l’inverno Alvear organizzò nella capitale le forze destinate alla spedizione su Montevideo, tra l’altro ordinando a Monasterio di fondere 4 cannoni pesanti e costituendo 4 nuove unità con volontari di milizia, schiavi espropriati (rescatados) ai padroni peninsulari e le truppe orientali di Artigas: .Escuadron de caballeria ligera (guardia nacional di Buenos Aires dai 16 ai 50 anni) .Batallon 2. 8 de Esclavos Rescatados (3 febbraio) - ten. col. Matias Balbastro; .Batallon 2. 9 (3 marzo) - ten. col. José Vicente Pagola; .Batallon 2. 10 - col. Manuel Artigas (proposto il 20 febbraio e sciolto il 28 aprile).

Il 1° giugno fu anche costituito 1 squadrone escolta del direttore supremo (husares de la guardia). L’alleanza tra clan familiari, vera base del potere alvearista, viziava col sospetto e l’arbitrio anche la disciplina e la coesione dell’esercito. In marzo un modesto accenno di ammutinamento in una compagnia granatieri scontenta di imbarcarsi per Montevideo fu represso con insolita durezza, fucilando tre caporioni e passando tutti gli altri sotto un giro di bacchetta. Ma il comandante Fernandez, che in un accesso d’ira aveva ucciso un sergente di fronte al suo accampamento, sfuggì al castigo grazie alle sue relazioni familiari. Invece French, che pure era imparentato sia con Alvear che con Posadas, fu confinato sotto forte scorta, per decisione insondabile del direttore Posadas. La distruzione della flottiglia spagnola (10 gennaio - 17 maggio 1814) Per rompere il blocco nemico Alvear fece concedere numerose patenti corsare, specialmente a capitani nordamericani, e incaricare Guillermo Brown (1777-1857), un residente irlandese che aveva servito nella Royal 2avy, di ricostituire da zero la marina rioplatense noleggiando mercantili armati o da trasporto (come quello del diciannovenne Francisco Saguì, che invece di diventare corsaro fu ingaggiato da Martin Thompson nella regolare marina da guerra argentina). Malgrado la scarsa collaborazione degli armatori e i pochi mezzi finanziari, in meno di due mesi furono allestiti 9 velieri: .2 corvette (l’ammiraglia Hércules e il Cefir); 2 golette (Julia e Fortuna); .1 sumaca (Trinidad); .1 cannoniera (América); .2 feluche (San Martin e San Luis); .1 palandra (Carmen).

Brown salpò l’8 marzo, diretto ad impadronirsi dello strategico isolotto di Martin Garcia, che domina nel raggio del cannone l’accesso al Paranà e all’Uruguay. Fallito un primo tentativo l’11 marzo, riuscì quello del 19 e il giorno seguente Brown mise il blocco a Montevideo, fallendo il 28

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un’azione navale all’arroyo de la China. Il 14 maggio quattordici unità spagnole forzarono il blocco. Non potendo affrontarle nel raggio delle batterie terrestri, Brown si ritirò per attirare il nemico in mare aperto, ma un’improvvisa bonaccia rinviò lo scontro al 16, all’altezza del Buceo, dove si arresero 3 navi spagnole. Ripresa l’azione all’alba del 17, altre 2 unità furono consegnate dagli equipaggi ammutinati e una sesta fu catturata. Seguì infine lo scontro finale, concluso con la distruzione delle 10 maggiori unità spagnole (4 corvette, 3 brigantini e 3 golette). La presa di Montevideo e lo scontro con Artigas (7 giugno - 4 ottobre 1814) Distrutta da Brown la flottiglia nemica, il 7 giugno Alvear marciò per Montevideo con 2 battaglioni (2. 8 e 2. 9), 2 squadroni di granaderos a caballo (Zapiola) e 1 di cavalleria leggera bonearense. La piazzaforte era già allo stremo della resistenza, logorata meno dall’assedio quanto dal blocco dei rifornimenti e Alvear intavolò un negoziato di resa con Vigodet al quale fece promesse magnanime. Ma Artigas, sentendosi nuovamente tradito, abbandonò l’assedio tornando nel territorio entrerriano con la cavalleria orientale. Sospettando un segreto accordo con Vigodet, Alvear decise di forzare la situazione e il 23 giugno scatenò l’assalto generale, un gesto che gli valse la gloria militare che ancora gli mancava ma nondimeno contrario agli usi di guerra. Ad offuscare la vittoria restava però il grave problema di Artigas, la cui influenza politica su Santa Fe e il territorio ad Est del Paranà si era ulteriormente rafforzata dopo la sconfitta di una spedizione punitiva portegna, battuta alla Cruz de Aguapey e a Gualeguaychù ed Espinillo. E Artigas aggravò la tensione mandando il suo luogotenente Otorgues, alla testa di 800 cavalieri, ad intimare la consegna di Montevideo. Una sortita di Alvear massacrò un quarto della cavalleria orientale, ma durante l’estate il contrasto politico si acuì e in settembre Alvear e Dorrego cercarono di riprendere il controllo dell’interno con una manovra a tenaglia, conclusa il 4 ottobre a Marmarajà, dove la cavalleria di Dorrego disperse le forze di Otorgues infliggendogli 71 perdite. In ogni modo la presa di Montevideo aveva consentito di riarmare e completare l’esercito rioplatense. Il bottino includeva infatti 7.000 uomini, 500 bocche da fuoco, 9.000 fucili, 99 imbarcazioni e immenso materiale bellico. Una parte dei prigionieri fu incorporata nella nuova guarnigione argentina, formata dal Batallon 2. 6 de pardos y morenos patricios (tenente colonnello Anacleto Martinez) e dal nuovo Batallon 2. 10. Quest’ultima unità fu costituita il 9 agosto aggregando al battaglione de zapadores del tenente colonnello von Holmberg le 3 compagnie di indios (una santafesina e le 2 aggregate al 2. 2). Il 4 ottobre 1814 il Regimiento de artilleria de la Patria, riequipaggiato con il materiale di Montecideo, fu suddiviso in 2 battaglioni su 6 compagnie (1 volante, 3 a piedi, 1 d’assedio e 1 di maestranze) uno dei quali distaccato nella piazzaforte.

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7. IL FRONTE DEL PACIFICO (1814) Il fronte del Pacifico da Chillan a Cochabamba (23 febbraio - 12 agosto 1814) Malgrado la sconfitta, la rivoluzione cilena e l’offensiva di Belgrano su Lima avevano ormai definitivamente superato la dimensione regionale altoperuviana della guerra di liberazione rioplatense, unificando, sotto il profilo geostrategico, un vero e proprio fronte del Pacifico, incluso negli assi Lima-Talcahuano e Lima-Salta. Per questa ragione già nel giugno 1813 il triumvirato portegno aveva opportunamente spedito in soccorso della rivoluzione cilena una columna di auxiliares argentinos al comando di Marcos Balcarce e del sergente maggiore Juan Gregorio Las Heras. Aggregati alla Divisione cilena del generale Juan Mackenna, gli auxiliares si illustrarono sul fronte del Rio Itata, tra Chillan e Talcahuano. Il 23 febbraio 1814 un centinaio di argentini, comandati da Las Heras, respinsero l’imboscata delle partidas realiste sbucate dall’hacienda di Cucha Cucha e nel pomeriggio del 20 marzo l’intero battaglione contribuì a respingere l’assalto realista contro le ridotte del campo trincerato di Membrillar. Ma il 3 maggio le ostilità furono apparentemente interrotte dal trattato di Lircay, che impegnava il generale realista Gabino Gainza a reimbarcarsi e il Cile a riconoscere la sovranità di Fernando VII e ad inviare deputati alle Cortes. Appresa la notizia, il 1° giugno il direttore Posadas ordinò a Balcarce di ripassare le Ande e raggiungere Mendoza. Intanto a Tucuman San Martin riorganizzava l’esercito del Nord su 2 battaglioni (2. 1 ex-patricios e 2. 7 de libertos), 2 squadroni granaderos (1° e 2°), 1 reggimento dragones e le milizie tucumane dei colonnelli Bernabé Aràoz e Geronimo Zelarrayan. Ma quest’ultimo bastione della rivoluzione portegna era in realtà efficacemente protetto dai due focolai di resistenza rimasti alle spalle nel nemico e dalla guerriglia gaucha che isolava e affamava la guarnigione realista di Salta impedendole di proseguire l’offensiva su Tucuman. Infatti nel Nordovest resistevano ancora le republiquetas di Santa Cruz de la Sierra e Cochabamba, al comando di Ignacio Warnes e del governatore intendente José Alvares de Arenales (1798-1862), che il 4 febbraio sconfisse a San Pedrillo una partida realista di 360 uomini. L’11 aprile, forzato il passo di Las Horcas, 800 realisti occuparono Santa Cruz de la Sierra, ma Warnes potè riunirsi ad Arenales, che il 24 maggio annientò nella valle della Florida la colonna nemica, uccidendone il comandante, colonnello Blanco. Colpito da ben 14 proiettili, il prode Arenales sopravvisse e, promosso brigadiere, il 4 luglio sterminò a Poster Valle una partida nemica di 200 uomini (ne scamparono appena 3). Intanto il grosso dell’armata realista era bloccato a Salta dalle piogge

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stagionali e affamata dalla guerriglia condotta fino alle porte della città da Martin Miguel Guemes (1785-1821), un ricco hacendado discendente in linea materna dal fondatore di Jujuy, con 800 infernales saltegni, armati alla gaucha con lancia, lazos e bolas e organizzati in piccole bande a cavallo di una ventina di uomini. Il 29 marzo Guemes annientò al Juncal de Velarde la controbanda realista del comandante Castro (45 perdite su 80 uomini). Ma sei settimane dopo trovò un avversario del suo calibro nel colonnello Marquiegui, uscito da Salta per vettovagliare la guarnigione e distruggere gli infernales, che dal 15 al 22 giugno subirono quattro sconfitte a Yavi, Fuerte del Valle, Pitos e Rio Pasaje. Finalmente il 26 Guemes riuscì a localizzarlo ad Anta, costringendolo a ritirarsi ad Ovest di Santa Victoria e il 4 luglio ne distrusse la retroguardia. Marquiegui tornò a Salta senza i viveri sperati, ma con importanti notizie sulla consistenza e dislocazione del nemico. Così Pezuela decise di effettuare un nuovo tentativo di riaprire i collegamenti e il 12 agosto sconfisse i patrioti a Samapaita, favorito dal dissidio tra Arenales e Warnes. Tuttavia, indebolito dalle perdite, Pezuela non poté rioccupare Santa Cruz e decise di evacuare Salta. Complessivamente le vane offensive nel Nordovest costarono ai realisti ben 1.500 perdite. Guemes, promosso colonnello in ettembre, fu il primo a rientrare a Salta liberata. La decisione strategica di San Martin: da Tucuman a Mendoza In una lettera a Rodriguez Pegna, San Martin gli confidò la decisione di non muoversi da Tucuman e di non tentare alcuna operazione. Sul quel fronte sosteneva - si poteva fare soltanto una guerra “puramente difensiva”, per la quale però bastavano “i valorosi gauchos di Salta con due buoni squadroni di veterani”. Pensare di “far altro” era “buttare uomini e denaro in un pozzo senza fondo”. Del resto “il (suo) segreto già lo conosce(va)”: “un esercito piccolo e ben disciplinato a Mendoza per passare in Cile e farla finita là con i godos, sostenendo un governo solido di amici. Alleando le forze passeremo per mare a prendere Lima; quella è la strada, non questa”. Poco dopo, il 27 aprile 1814, San Martin chiese il trasferimento dal governatorato tucumano a quello, privo di forze regolari, della provincia andina di Cuyo, che includeva Mendoza, San Luis e San Juan. Concessogli il trasferimento, in agosto Rondeau gli subentrò al comando dell’esercito settentrionale. Immune al sentimentalismo incaista di Castelli e Belgrano, San Martin non soltanto non credeva nella possibilità di convertire alla rivoluzione i contadini dell’altipiano peruviano, ma nemmeno lo auspicava, perchè avrebbero intralciato la rivoluzione liberale e cosmopolita intrapresa dalle élites illuminate della costa. Il fallimento delle due offensive patriote del 1811 e 1813 e delle controffensive realiste dimostrava che la guerra non poteva risolversi sull’impervio fronte altoperuviano. Con tutta evidenza l’esercito regio dell’Alto Perù non era un pericolo in sé, ma soltanto in cooperazione con quello del Cile, che, una volta sconfitti i rivoluzionari e rinforzato con i veterani della guerra peninsulare spediti dalla Spagna, avrebbe potuto varcare le Ande tagliando la ritirata all’Ejército del 2orte e marciando poi su Buenos Aires. Di conseguenza il perno strategico della difesa non era Salta, ma Mendoza, chiave dei valichi andini e dei rifornimenti alle forze repubblicane cilene.

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Ma Mendoza non aveva soltanto valore difensivo. Essa consentiva di spostare la direttrice delle operazioni dall’altipiano al Pacifico, consentendo di sfruttare il sostegno inglese, soprattutto navale, all’indipendenza sudamericana. Tenendo un piede in acqua e un piede a terra, l’esercito repubblicano avrebbe potuto coprire grandi distanze in breve tempo, trasportato e rifornito dalle forze navali, puntando direttamente su Lima, capitale vicereale ed epicentro della resistenza spagnola nell’intero Sudamerica. Una volta guadagnata la superiorità navale sulla debole squadra spagnola, si poteva cooperare con le forze colombiane di Simon Bolìvar (1783-1830) per interrompere i rifornimenti marittimi del nemico e infine sferrare da Nord e da Sud l’offensiva finale congiunta su Lima. E’ chiaro che a questo disegno strategico corrispondeva una concezione geopolitica molto più ampia di quella di Belgrano e del partito indipendentista bonearense. Costoro miravano essenzialmente a mantenere l’unità del vecchio Viceregno del Plata a spese di quello del Perù: per questo avevano cercato di stroncare le tendenze centrifughe delle tre province settentrionali, concentrando il massimo sforzo sulle miniere dell’Alto Perù. San Martin era invece disposto a sacrificare gli interessi economici portegni al mantenimento dell’unità politica del Sudamerica ex-spagnolo. La riconquista spagnola del Cile e della 2ueva Grenada Fernando VII cominciò a governare la Spagna nel maggio 1814. Sciolte le Cortes e ristabilito l’assolutismo, si sbarazzò degli incomodi veterani della resistenza mandandone 15.000 a domare la ribellione liberale sudamericana, al comando del generale Pablo Morillo (1877-1838). In aggiunta ai 16.000 veterani che presidiavano le colonie nel 1810, fino al 1821 la Spagna inviò complessivamente altri 27.000 uomini: i due arrivi più consistenti avvennero nel 1813 e nel 1815, con 6.580 e 14.041 uomini. Nel 1817 ne arrivarono 1.220 e 1.950 nel 1818. Naturalmente a questi 41.000 peninsulari vanno aggiunti almeno altrettanti coscritti e volontari realisti reclutati sul posto. Inizialmente destinate a riprendere Montevideo e Buenos Aires, nel 1815 le truppe di Morillo furono dirottate sul Venezuela e la Nueva Grenada per piegare l’insurrezione bolivariana. Ma un’avanguardia di 600 (550 fanti del Reggimento Talavera e 50 artiglieri) raggiunse Lima già nel 1814 e di qui, il 13 agosto, sbarcò a Talcahuano, sbloccando l’esercito realista assediato a Chillan e costringendo quello repubblicano a ripiegare a Rancagua, dove fu annientato il 2 ottobre dal colonnello Mariano Osorio, il quale rioccupò tutta la costa meridionale del Pacifico e bloccò i passi andini per impedire il ritorno degli esuli, rifugiati a Mendoza. Pochi mesi dopo anche Bolivar fu sconfitto a Santa Marta da 12.000 veterani di Morillo, rifugiandosi in Giamaica e successivamente ad Haiti. A Mendoza arrivarono complessivamente 3.000 soldati ed esuli cileni, guidati dall’ex- presidente José Manuel Carrera y Verdugo (1785-1821) e dal generale sconfitto Bernardo O’Higgins (1778-1842). Il loro arrivo creò problemi non solo logistici, ma anche politici, sia per le rivalità tra gli esuli (il 21 novembre don Luis Carrera, fratello dell’ex-presidente, uccise in duello il generale Juan Mackenna) sia per la pretesa di Juan Miguel di esercitare i suoi poteri presidenziali anche nella provincia cuyana, che un tempo aveva appartenutio al Regno del Cile. I 708 veterani cileni furono

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presto allontanati, aggregandoli all’Ejército del 2oroeste oppure alle guarnigioni di Santa Fe e Buenos Aires (dove furono trasferiti i 300 dragoni cileni). Legatosi a O’Higgins, San Martin si liberò presto anche di Carrera, prima confinandolo a San Luis e poi spedendolo a Buenos Aires, dove l’ex presidente si adoperò invano per convincere il governo argentino ad appoggiare un suo progetto di riconquista del Cile, respinto su parere contrario dello stesso San Martin, che lo giudicava prematuro e sconsiderato.

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8. LA CADUTA DI ARTIGAS E LA SCONFITTA DI SIPE-SIPE

(1815) L’ammutinamento di Rondeau e l’elezione di Alvear al direttorato supremo A Buenos Aires la nuova minaccia spagnola aveva contribuito ad aggravare la crisi del regime direttoriale, spingendolo a trovare un modus vivendi con i realisti e ad affidarsi sempre più strettamente al protettorato britannico, dando così nuove armi ai suoi oppositori. E il 6 agosto, per rinforzare la sicurezza interna, furono create nella capitale 2 compagnie ausiliarie di patriotas (capitani José Aguirre e Pedro Lobos), poste agli ordini di Manuel Belgrano (tornato dalla missione europea) per i servizi di ronda e altri concernenti la pubblica utilità. Alvear approfittò della rinuncia di San Martin per togliere di mezzo anche Rondeau, l’ultimo capo militare della prima generazione rivoluzionaria. Dopo il trionfale ritorno a Buenos Aires, l’eroe di Montevideo, insignito formalmente del titolo di “benemerito della patria”, si fece accordare il comando dell’Ejército del 2orte e in novembre partì per Salta con rinforzi tratti da Montevideo (2. 6 de pardos y morenos patricios) e Buenos Aires (1.100 uomini del 2. 2). Lo accompagnavano gli husares de la guardia e il colonnello Martin Rodriguez, il quale lasciava l’incarico di capo di stato maggiore per sostituire Rondeau anche nel suo comando reggimentale, quello dei dragones del Peru. L’inviato svedese J.A. Graaner scriveva che Rondeau si era installato come “un satrapo orientale”, tra donne di tutti colori, e che gli ufficiali dell’Ejército del 2orte erano “petimetres”, di costumi sregolati, insubordinati, privi di talento militare, capaci soltanto di maltrattare i loro soldati, approfittando in modo oltraggioso della loro incredibile docilità e rassegnazione - mai la minima protesta, benchè fossero in credito di tre anni di paga (3 o 4 reales al giorno) e andassero in giro laceri e scalzi. Fatalmente il ruolo svolto dall’esercito nelle vicende della rivoluzione sudamericana aveva prodotto un pernicioso spirito di casta. La “presuncion” degli ufficiali argentini (“como si fueran de diferente raza”) fu segnalata anche nel 1818 dall’inviato statunitense Brackenridge (pur riconoscendo che restavano “repubblicani”). Le cronache di quegli anni registrano episodi di cittadini, rei di non portare la coccarda rivoluzionaria, insultati e picchiati da ufficiali e di due preti schiaffeggiati, uno dal brigadiere Soler per avergli rivolto la parola senza togliersi il cappello, l’altro dal comandante Ramon Correa per aver sparlato del suo reggimento. Rondeau era troppo debole per ribellarsi al volere di Alvear, ma gli ufficiali dell’armata erano decisi ad opporsi con tutti i mezzi alla radicale epurazione annunciata dalla sostituzione del comandante. Tuttavia, circostanza paradossale e anche un po’ sospetta, a promuovere la sedizione fu proprio un

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uomo di Alvear, il colonnello José Vicente Pagola, comandante del 2. 9, uno dei nuovi reggimenti creati dall’ambizioso brigadiere per il fronte orientale e spedito in settembre di rinforzo a Salta. Infatti fu Pagola a convincere Rondeau a disobbedire al governo direttoriale, avanzando l’esercito 100 chilometri a Nord di Jujuy, alla quebrada di Humacahua, nella media valle del Rio Grande. E il 17 dicembre 1814, allegando pretese ingiustizie ai danni di “ufficiali distinti e meritevoli”, fu Rondeau a sfiduciare Posadas, provocandone le dimissioni e la crisi di governo. Benchè non si possa dimostrare che si sia trattato di una manovra politica concordata tra Pagola e Alvear, è indubbio che l’ammutinamento di Rondeau abbia fatto in definitiva il gioco di Alvear, consentendogli, il 9 gennaio 1815, di subentrare allo zio nel direttorato supremo. Il controllo dell’esercito (13 gennaio - 22 febbraio 1815) Infatti, lungi dal punire Rondeau, il nuovo direttore si affrettò a riconfermargli il comando dell’esercito del Nordovest, che il 13 gennaio fu riclassificato II Cuerpo de Ejército. Sotto la stessa data anche l’Ejército Oriental e la poderosa guarnigione portegna furono ridesignati III e I C. de E., rispettivamente al comando del colonnello maggiore Soler e dello stesso direttore supremo. Non era un puro mutamento di nome, perchè a ciascun corpo d’armata venne attribuita una determinata giurisdizione territoriale, sovraordinando i comandanti ai governatori intendenti delle province incluse in tale giurisdizione. Naturalmente quella più ampia e importante fu attribuita al corpo d’armata al diretto comando di Alvear: includeva infatti l’interno (Cordoba e Santa Fe), il Litorale (Entre Rios e Corrientes) e la provincia andina di Cuyo, ponendo così San Martin alle dirette dipendenze di Alvear, che tra l’altro era amico personale di Carrera e di conseguenza prevenuto nei confronti di O’Higgins. Ben comprendendo il significato politico della subordinazione di Mendoza al I C. de E., il 20 gennaio San Martin chiese di essere esonerato dal comando, allegando pretestuose ragioni di salute. Alvear si affrettò ad accontentarlo, mandando a sostituirlo il comandante degli ex-patricios, colonnello Gregorio Perdriel. Mendoza lo accolse però ostilmente e il cabildo abierto del 16 febbraio reclamò la riconferma del governatore dimissionario. Il 22 Alvear cedette, autorizzando San Martin ad esercitare il suo ufficio nei limiti consentitigli dal suo stato di salute. Meno sottile e dissimulato fu il braccio di ferro con il fiero Guemes, che Alvear intendeva non soltanto porre in subordine a Rondeau, ma anche sostituire con il colonnello Hilarion de la Quintana, nominato governatore intendente di Salta. I rinforzi portati da Alvear a Salta erano rimasti agli ordini di Rondeau. La bassa forza del 2. 2 venne incorporata nel 2. 9 di Pagola, mentre gli ufficiali, tornati a Buenos Aires, ricostituirono il reggimento su 2 battaglioni, sulla base del 3°/2. 2, rimasto nella capitale agli ordini del tenente colonnello Pedro Conde. Alvear ne dette il comando al colonnello Juan Bautista Bustos, l’uomo che nel gennaio 1820 avrebbe promosso l’esiziale alzamiento di Arequito. Nel gennaio 1815 Alvear spostò la guarnigione - circa 6.000 uomini - dalla

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capitale al campo di Olivos, al duplice scopo di riorganizzarla e di sottrarla all’influenza dei suoi avversari politici. La misura accrebbe il malcontento dell’esercito, già innescato dal ribasso generale del soldo dei militari e dei pubblici impiegati decretato il 31 dicembre da Posadas. A Olivos furono costituiti, il 15 e il 28 gennaio, altri 2 squadroni della guardia direttoriale. Il conflitto con Artigas e la caduta di Alvear (10 gennaio - agosto 1815) Intanto la spedizione punitiva nella parte nord-occidentale della Banda Oriental era terminata in un disastro. Stanco di attendere l’arrivo della colonna Valdenegro, Dorrego aveva attaccato da solo, con 800 uomini, le forze riunite dei due luogotenenti artiguisti Bauzà e Rivera, vale a dire 1.200 cavalieri. Il 10 gennaio, a Guayabos, con varie cariche e finte gli orientali riuscirono a separare la cavalleria direttoriale dalla linea della fanteria per poi gettarsi su quest’ultima massacando 200 uomini. Nel disperato tentativo di risospingere Artigas ad Est dell’Uruguay, Alvear acconsentì a cedergli la piazza di Montevideo, evacuata il 24 gennaio, richiamando ad Olivos anche il Batallon 2. 10 del colonnello Francisco Antonio Pinto. Ma questa prova di debolezza ottenne l’effetto contrario, facendo precipitare la situazione anche ad Ovest del Paranà. Infatti il 19 gennaio il colonnello Bustos, accorso da Cordoba, dovette respingere un attacco di cavalleria entrerriana e santafesina contro la posta di Herradura. Deciso a stroncare la dissidenza provinciale, ai primi di aprile Alvear marciò su Santa Fe con la sua guardia personale (gli husares, ribattezzati de la Union, e le guias de la escolta del capitano Antonio Diaz) e una parte delle truppe di Olivos. Ma, giunto a Fortezuela con l’avanguardia, il colonnello Ignacio Alvarez Thomas si ammutinò, denunciando gli abusi del direttore. Alvear mandò a domare la ribellione la Divisione del fedelissimo Viana, ma gli ufficiali defezionarono unendosi ai ribelli. Il direttore spese i suoi ultimi giorni di potere in un larvato conflitto col cabildo portegno, ottenendo alla fine, anche con minacce, una condanna esplicita della dissidenza federalista capeggiata da Artigas. Ma il cabildo gli tenne testa accusandolo infine di tirannia, e a vibrargli il colpo di grazia fu Soler, che il 12 aprile sollevò anche i granaderos de infanteria. Dopo un ultimo tentativo di rimettere soltanto il comando militare conservando quello politico, Alvear cedette e il 17 aprile lasciò l’Argentina a bordo di un legno inglese. Al direttorato esecutivo fu eletto Rondeau, il quale, avendo appena iniziato una nuova offensiva dal campo di Humahuaca, delegò il direttorato interinale ad Alvarez Thomas, che il 21 aprile assunse il comando militare e il 6 maggio, giurato lo statuto provvisorio, anche quello politico. Il direttore interinale sostituì il capo di stato maggiore Rodriguez col suo segretario, l’italiano Antonio Berruti, rimasto in carica sino al 1817. Il comando generale delle armi venne però attribuito al brigadiere Belgrano, il cui aiutante di campo era l’italiano Emilio Salvigni. Fu congedato, per le sue compromissioni politiche con Alvear, anche il colonnello Monasterio. Gli subentrò alla direzione della fonderia militare il tenente José Maria Rojas, il quale provvide a riequipaggiare con un nuovo modello di cannone da 4 libbre l’artiglieria da campagna dell’esercito del Nord e poi anche quello delle Ande costituito nel 1816 agli ordini di San Martin.

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L’8 giugno il cabildo portegno decretò la costituzione di milicias civicas de imaginaria, chiamata in caso d’emergenza con la campana a martello (somaten) e il segnale “la patria se halla en peligro” (una bandiera rossa issata sulla torre del cabildo). Reclutata e comandata dal brigadiere Miguel de Azcuénaga, la civica contava 500 cavalieri e 3 battaglioni (ciascuno con 2 cannoni). La guerra gaucha, la sconfitta di Sipe-Sipe e la resistenza india gennaio 1815 - 14 settembre 1816)

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Nel Nordovest la campagna del 1815 si era aperta il 26 gennaio con l’infausta cattura del colonnello Martin Rodriguez, sorpreso con 40 uomini al campo del Tejar. L’11 marzo il maresciallo realista Ramirez aveva inoltre sconfitto al Valle de Santa Rosa, sulle rive del Rio Llalli, l’esercito indio del brigadiere Mateo Garcia Pumakahua. All’inizio di aprile Rondeau riapriva le operazioni con 4.000 uomini e il 17, lo stesso giorno del ritiro di Alvear, l’avanguardia del colonnello Francisco Fernandez de la Cruz catturava 100 realisti all’avamposto del Marques. Fu tuttavia l’unico successo della campagna, presto arenatasi per l’alto tasso di diserzioni e le carenze logistiche. Comunque Rondeau riuscì a raggiungere Cochabamba, dove le forze di Arenales furono regolarizzate col nome ufficiale di Regimiento 2. 12 de linea, mentre Warnes scorreva il territorio occupato dal nemico. Ma l’autorità di Rondeau non era riconosciuta a Salta, dove il cabildo aveva già esautorato il governatore Quintana e in maggio, appresa la caduta di Alvear, aveva conferito a Guemes il comando politico e militare della provincia, costringendo Rondeau a dichiaralo fuorilegge. Abbandonando Rondeau e Arenales alla propria sorte, Guemes riorganizzò la difesa della provincia esclusivamente con forze locali, aggiungendo agli infernales 2.000 provinciali di linea e 5.000 miliziani gauchos. Giunto ad un massimo di 334 ufficiali e 7-8.000 uomini (su una popolazione provinciale di 50.000 abitanti), l’Ejército gaucho di Guemes finì per operare su un fronte di 800 km tra Tarija e Tucuman e comprendeva le seguenti unità: 7 Reggimenti di gauchos: Salta (5 squadroni); Jujuy (più piccolo del precedente): Oran; Quebrada de Humahuaca; Frontera del Rosario; Santa Victoria; San Andres y la Puna; Guardias de Guemes: 3 squadroni scelti distaccati dai gauchos di Salta, Oran e della Frontera; Infernales de caballeria de linea de Salta: bande irregolari di Bermejo, San Lorenzo e Salinas; Regimiento Partidario (=partigiano) Veteranos de Salta; Regimiento granaderos a caballo de Salta; 3 unità di milizia (Escuadron de Saltenos: Coraceros de Salta: Dragones de Vanguardia); Regimiento de Decididos; Batallon Peruano (1.000); Compagnia Coronela (di guarnigione a città del Salta);

86 Artilleria de Salta; 7 unità “corsarias” (La Coronela, La Corsaria, Valor, Pirata, 2azareno, Guemes, Carmen, Gobernador).

In settembre il governo direttoriale pianificò una spedizione navale contro il Callao, per costringere le forze realiste del Cile e dell’Alto Peru a mantenersi sulla difensiva. Ma in ottobre Pezuela riprese l’iniziativa marciando su Cochabamba. Il 20 ottobre Rodriguez - liberato da un scambio di prigionieri e tornato alla testa dell’avanguardia argentina (350 fanti e 150 dragoni di Lamadrid) - tentò di sorprendere a Villa y Media 2 battaglioni realisti comandati dal famoso colonnello Olagneta, un’azione avventata che gli costò tutta la fanteria. Inseguito dai realisti, Warnes dovette cessare ogni operazione in territorio altoperuviano e il 27 novembre dovette riconquistare, con uno scontro a Santa Barbara, anche la sua base di Santa Cruz de la Sierra, che durante la sua assenza era stata occupata dal realista Altolaguirre. Intanto Pezuela vibrava il colpo decisivo puntando su Sipe-Sipe, a 16 chilometri da Cochabamba, dove era accampato Rondeau con 8 reggimenti e 6 squadroni. Ripetendo la manovra attuata ad Ayohuma contro Belgrano, il 28 novembre Pezuela fissò il nemico con un attacco frontale, mentre la colonna aggirante lo sorprendeva sul fianco destro dalla costa di Viluma, annientando 2 battaglioni di negri portegni (2. 6 de pardos y morenos patricios e 2. 7 de libertos) e 2 reggimenti locali (2. 11 tucumano e 2. 12 cochabambino). Pur con forti perdite gli altri 4 reggimenti poterono rannodarsi a Chuquisaca, salvati dalle furiose cariche degli squadroni granaderos di Manuel P. Rojas (1792-1857) e Mariano Necochea (17921849). Iniziò poi la penosa ritirata, coperta dai dragoni peruviani di Lamadrid e dagli indios del cacicco Camargo, che il 31 gennaio e il 2, 3,12 febbraio e 27 marzo1816 sostennero vari scontri con l’avanguardia realista del brigadiere Alvarez, a Culpira, alla quebrada di Uturango, a Cinti, sulla riva del San Juan e ad Aucapunima, attestandosi poi a Tarija. Non trovando ospitalità a Salta, Rondeau dovette proseguire la ritirata fino a Tucuman, dove il colonnello Carlos Forest (2. 1 de Patricios) cospirò per deporlo. Ma Pagola (2. 9), che pure aveva espresso dure critiche contro il comandante, rifiutò la sua adesione, mentre Bustos (2. 2) e French (América 2. 3) rimasero fedeli a Rondeau, consentendogli di destituire Forest e sciogliere il suo reggimento, incorporandone la truppa nel 2. 9. Nell’Alto Peru continuarono a resistere le guerriglie indie di Ildefonso Escolastico de las Mugnecas (ucciso il 27 marzo a Cololo dal colonnello Camarra) e di Manuel Asensio Padilla, che, attaccato il 3 marzo al pueblito del Villar e sconfitto il 28 maggio a Yauparaez dal colonnello La Hera, l’11 luglio lo bloccò a Chuquisaca, continuando a combattere sino al 14 settembre, quando venne sorpreso dal colonnello Javier Aguilera e decapitato insieme alla moglie, la valorosa Juana Azurduy, alla quale Pueyrredon aveva concesso il grado di tenente colonnello.

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9. LA GUERRA CONTRO ARTIGAS E L’INVASIONE PORTOGHESE

(1816-17) La campagna santafesina e l’elezione di Pueyrredon (aprile - ottobre 1816) Nell’aprile 1816 il governatore santafesino Tarragona, che si reggeva sul presidio portegno comandato dal generale Viamonte, fu espulso da una sollevazione militare iniziata dalle truppe della frontiera santafesina, nelle quali serviva come alfiere il futuro caudillo Estanislao Lopez (1786-1838), subito rinforzate dai partigiani di Artigas sbarcati dall’altra sponda del Paranà, che si impadronirono della città dopo alcuni giorni di combattimento e di saccheggio. Il brigadiere Belgrano spedì a riprendere Santa Fe il colonnello Diaz Vélez, il quale venne però a patti con gli insorti, firmando il 6 aprile, a Santo Tomé, una convenzione che prevedeva le dimissioni di Belgrano e dello stesso Alvarez Thomas. Travolto dall’indignazione popolare, il direttore interinale dovette dimettersi, e così pure il suo successore Balcarce, sostituito a sua volta da una commissione provvisoria di governo composta da Francisco Antonio Escalada e Miguel de Irigoyen. Finalmente, nel maggio 1816, il congresso interprovinciale di Tucuman elesse direttore provvisorio Juan Martin de Pueyrredon, richiamato da San Luis, dove era stato confinato nel 1812. Prima dell’arrivo di Pueyrredon (che assunse i poteri il 29 luglio) la commissione di governo ordinò a Diaz Vélez di vendicare l’affronto di Santo Tomé. Il 12 luglio Diaz Vélez invase la provincia cordobese con 1.500 uomini e, disperse le montoneras, rioccupò Santa Fe, saccheggiandola per un mese e prendendo ostaggi fra i peninsulari per costringerli a pagare il tributo di guerra. Ma le forze artiguiste, guidate dal correntino Mariano Vera, attraversarono il Paranà e il 31 agosto Diaz Vélez si risolse a reimbarcarsi. L’occupazione portoghese di Montevideo e la difesa di Buenos Aires (18 settembre 1816 - 20 gennaio 1817) Sotto il profilo politico, il bilancio dell’operazione fu assolutamente catastrofico, dando il pretesto ad Artigas di proclamarsi “jefe de los Orientales y protector de los Pueblos Libres”, vale a dire le tre province del Litorale (Entre Rios, Corrientes e Montevideo), sottoposte ad un regime di vergogna e di terrore dalle sue feroci milizie personali, reclutate tra gli indios guaranies delle Missioni gesuitiche e comandate da José Eusebio Heregnù, “Andresito” (Andrés Cuacurari) e Fernando Otorgues, quest’ultimo poi sostituito dal più duttile Miguel Barreiro. Però proprio i metodi degli indios raffreddarono la propensione autonomista delle altre province rappresentate al congresso di Tucuman. Così l’8 ottobre la fedeltà delle milizie cordobesi e del picchetto veterano consentì al maggiore Francisco Sayos di soffocare sul nascere il tentativo del federalista Bulnes di sollevare Cordoba. Inoltre, proprio mentre Artigas pianificava una grande offensiva

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interprovinciale contro l’odiata capitale portegna, il governo portoghese spedì il generale Federico Lecor, con 5.000 uomini, ad occupare la Banda Oriental, ridesignata dai portoghesi “capitania Cisplatina”. Il 18 settembre Lecor occupò Maldonado, mentre il generale Curado rastrellava la zona circostante. Alla fine di settembre il colonnello Abreu costringeva le forze artiguiste del Rio Grande, comandate da Pantaleon Sotelo, a rifugiarsi sulla sponda entrerriana dell’Uruguay. Pochi giorni dopo Sotelo ripasssò il fiume per unirsi ad Andresito, che aveva accerchiato il vice di Curado, colonnello Chagas, ma il 5 ottobre fu intercettato a San Borje da Abreu, che gli inflisse 500 perdite. Un analogo tentativo del capo artiguista Verdun venne bloccato il 19 ottobre a Ibiracahy dal colonnello Menna Barreto. Intervenne allora lo stesso Artigas, con la sua riserva strategica di 1.200 uomini scelti, ma il 27 ottobre ne perse 400 a Corumbe nel vano tentativo di avvolgere la forza del brigadiere d’Oliveira Alvarez, che subì soltanto 70 perdite. Resosi conto della superiorità militare portoghese, Artigas stimò più conveniente approfittare della debolezza militare e politica del governo argentino per coalizzare tutte le forze federaliste dell’Interno e vibrare il colpo finale alla supremazia bonearense, lasciando José Fructuoso Rivera (1790?-1854) con 1.000 uomini e Andresito con 500 a contrastare l’avanzata portoghese verso l’Uruguay e la piazzaforte di Montevideo. Ma il 19 novembre la forza di Rivera fu annientata a India Muerta dai 900 uomini del brigadiere Sebastian Pinto de Araujo. Artigas, che aveva concentrato 6.000 uomini in territorio santafesino, mosse ugualmente sulla capitale, dove il 16 dicembre fu disposta una leva di 2.000 schiavi dai 15 ai 60 anni, reclutati fra quelli residenti nel pomerio della capitale, inclusi stavolta anche quelli di proprietà degli hijos del pais, per costituire una Brigada de auxiliares argentinos su 4 battaglioni (1° Benito Lynch, 2° Miguel Riglos, 3° Manuel Luzuriaga e 4° Felipe Pereyra Lucena) al comando del brigadiere Antonio Gonzalo Balcarce. Intanto il governatore di Santiago del Estero fu rovesciato dal colonnello Juan Francisco Borges, che rifiutava di riconoscere l’autorità di Belgrano, al quale Pueyrredon aveva conferito il comando dell’Esercito del Nordovest. Sconfitto da Lamadrid il 27 dicembre a Pitambale, Borges venne fucilato ai primi di gennaio. Questo episodio, assieme alle misure difensive adottate a Buenos Aires e ai rapidi successi portoghesi, indusse Artigas a fare un estremo tentativo di scongiurare l’occupazione di Montevideo. Il 3 gennaio 1817, a Arapey, Abreu inflisse altre 80 perdite ad Artigas e il giorno dopo il maggior generale artiguista, colonnello Latorre, fallì una sorpresa a Catalan, lasciando i portoghesi padroni della strada per Montevideo. Il marchese di Alegrete rastrellava la parte occidentale della Cisplatina, distaccando Chagas per compiere una spedizione punitiva sulla riva dell’Uruguay. Annientati il 19 gennaio 500 indios di Andresito, Chagas saccheggiò e distrusse uno dopo l’altro Santa Cruz, Yapeyù, Santo Angel de la Guardia, Santo Tomé, Concepcion, Santa Maria e Martinez, lasciandosi dietro oltre 4.000 cadaveri. Intanto, il 20 gennaio, Lecor entrava trionfalmente in Montevideo. La crisi economica e finanziaria di Buenos Aires Costretto a sguarnire la capitale per alimentare l’offensiva strategica

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pianificata da San Martin, Pueyrredon dovette accettare un tacito modus vivendi con le province ribelli e subire, limitandosi a qualche minaccia verbale, l’occupazione portoghese di Montevideo. Infatti la situazione finanziaria, semplicemente catastrofica, non lasciava margini oltre lo sforzo compiuto per mantenere l’esercito di Tucuman (di fatto trasformato in forza di sicurezza interna) e consentire a quello di Mendoza di portare la guerra oltre le Ande, contando che San Martin riuscisse poi a farlo vivere esclusivamente sulle risorse locali. Ridotta al minimo indispensabile, l’amministrazione centrale sopravviveva a colpi di aumenti doganali e prestiti forzosi straordinari imposti ai commercianti: nel dicembre 1815 il consolato portegno dovette anticipare 10.000 pesos per acquistare le armi sbarcate all’Ensenada de Barragan. Nel gennaio 1816, per la prima volta, anche gli inglesi furono assoggettati al prestito di 200.000 pesos, ma in giugno furono esentati dalla nuova tassa mensile sul commercio, suscitando l’indignazone del consolato, che pronosticava ormai, non senza buone ragioni, la completa rovina delle imprese nazionali. Così in ottobre, in occasione di un nuovo prestito forzoso di 150.000 pesos, Pueyrredon ripartì il carico per quote etniche: 40.000 sugli inglesi, 60.000 sui peninsulari e il resto sugli americani. Per finanziare l’enorme debito pubblico, il governo emise ovviamente obbligazioni “a pace conclusa e ordine restaurato”, che certo potevano essere scontate subito, ma con un aggio che il mercato obbligazionario fissava attorno al 40 per cento, segno eloquente di scarsa fiducia nella tenuta e nella solvibilità dello stato rioplatense. Ad alleviare il disastro economico contribuirono le prede fatte dai corsari di Brown durante l’audace incursione del 1816 sulle coste peruviane ed ecuatoriane e la temporanea diminuzione della concorrenza inglese (le importazioni scesero dalle 476.653 sterline del 1814 alle 311.658 del 1816) determinata dal progressivo innalzamento dell’imposta doganale, salita nel 1817 addirittura al 33 per cento. Ma era una misura di dubbia efficacia, perchè l’aumento delle entrate fu inferiore alle aspettative a causa della riduzione della domanda e dell’ulteriore incremento del contrabbando, mentre le importazioni dall’Inghilterra risalirono già nel 1817 a 548.689 sterline, raggiungendo le 730.908 nel 1818. Fu l’effetto di una nuova linea liberista inaugurata dal governo direttoriale, il quale, grazie al forte incremento delle esportazioni portegne di cuoio, poteva adesso permettersi di importare manufatti pregiati dall’Europa a spese delle arretrate e rozze industrie arribegne, già penalizzate dall’interruzione delle esportazioni verso l’Alto Perù. Naturalmente questo successo dell’economia portegna ebbe in contropartita negativa la diffusione di un sordo spirito di rivolta dalle province secessioniste del Litorale anche a quelle dell’interno. La politica militare di Pueyerredon (1816-17) Il 20 gennaio 1816 Alvarez Thomas aveva approvato l’apertura di un’accademia di matematiche e arte militare, diretta da Felipe Senillosa. Potevano esservi ammessi cadetti, ufficiali volontari e privati di età non inferiore a 15 anni, purchè in grado di leggere e scrivere e con qualche nozione elementare di matematica. Tuttavia le domande furono troppo poche per poter avviare i corsi.

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Il primo provvedimento militare di Pueyrredon fu il riordino dei due alti comandi periferici. Come meglio diremo nel prossimo paragrafo, il 1° agosto 1816 San Martin fu promosso colonnello maggiore e le truppe che aveva nel frattempo riunito e addestrato a Mendoza furono designate Ejército de los Andes (per le relative vicende organiche v. infra). Il 24 luglio Pueyrredon aveva inoltre disposto la sostituzione di Rondeau con Belgrano. Anche stavolta alcuni ufficiali dell’Ejército del 2orte, capeggiati dal colonnello French, pensarono di opporsi alla sostituzione, come avevano fatto due anni prima, con successo, contro Alvear, ma il colonnello Bustos, che aveva spostato il suo reggimento (2. 2) al campo di Las Troncas, si adoperò per far rientrare i propositi sediziosi. In ogni modo i colonnelli French e Pagola lasciarono l’esercito insieme a Rondeau e nel febbraio 1817 furono anzi mandati al confino - assieme a Moreno e ad un altro famoso soldato politicante, l’avvocato-colonnello Chiclana - per aver criticato la sostanziale arrendevolezza di Pueyrredon nei confronti dell’invasione portoghese. Il reggimento di French (América 2. 3) passò al comando del colonnello Blas José Pico e quello di Pagola (2. 9) fu incorporato nel 2. 10 di Pinto. Il 3 settembre 1816 furono anche amalgamati i dragoni (de la Patria e del Peru) assegnati all’esercito di Tucuman, formando il reggimento Dragones de la 2acion al comando di Lamadrid. In ottobre si aggiunse però 1 squadrone di husares de Tucuman, mentre il 26 febbraio 1817 fu costituito un reggimento di cazadores a caballo su 4 squadroni. Il 21 ottobre 1816 fu approvato il Reglamento para Exercicio y Maniobras de la Infanteria En los Exércitos de las Provincias de Sud America, redatto da una Comision de guerra composta da Miguel de Azcuénaga, Ignacio Alvarez, Juan Ramon Balcarce, Eduardo Holmberg, Nicolas Vedio, Blas José de Pico, Manuel Pinto e José Olaguer Feliù. Per la cavalleria restava invece in vigore il Reglamento y ordenanza de S. M. para el exercicio, evoluciones y maniobras de la caballeria y dragones montados. Il decreto 21 ottobre 1816 ordinava la fanteria in 12 reggimenti di 2 o più battaglioni, ciascuno su 6 compagnie (1 di granatieri, 4 di fucilieri e 1 di cacciatori) con 5 ufficiali e 120 effettivi. La compagnia scelta del battaglione cacciatori era designata “carabinieri”. Ma il 13 novembre i Reggimenti furono ridotti a 2 (N. 1 de Patricios e 2. 2) mentre le altre unità rimasero su un solo battaglione. Il 26 marzo 1817 Pueyrredon istituì a Buenos Aires l’Estado Mayor General, allo scopo di riordinare le singole armate (“los Ejércitos de la Patria”) e ciascun corpo delle varie armi secondo criteri e procedure uniformi. A capo dell’E. M. G. era posto il brigadiere Antonio Gonzalo Balcarce, in funzione dal 1° aprile, con il compito di coordinare i capi degli EE. MM. Particulares assegnati alle singole Armate. Alle sue dirette dipendenze erano poste le scuole militari, il Commissariato generale di guerra e gli arsenali e stabilimenti militari. Gli articoli 1 e 2 del capo II del Regolamento costituzionale provvisorio del 1816 dichiaravano “soldados del Estado”, dai 15 ai 60 anni, gli americani, i peninsulari con carta de ciudadano, gli stranieri con diritto di suffragio nonchè gli africani e i pardos residenti nelle città e nei villaggi (esclusi, cioè, i braccianti delle estancias e delle aziende agricole). La legge li assoggettava al reclutamento nella milicia nacional reglada de infanteria e de caballeria,

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mentre il capo III autorizzava la costituzione di milicias civicas, formate dai residenti (vecinos) con finca o con proprietà non inferiore a 1.000 pesos, oppure padroni di bottega al dettaglio (tienda abierta). La legge poneva la civica alle dirette ed esclusive dipendenze del rispettivo cabildo, ad eccezione di quella della capitale, che era subordinata anche al director del Estado. Altri provvedimenti militari del direttorio erano collegati con il progetto di estendere la frontiera bonearense, allo scopo di fronteggiare la gravissima carestia di trigo, farina e carne salata colonizzando altre porzioni di pampa fino a raddoppiare l’estensione del terreno produttivo. Così il 6 dicembre 1816 la cavalleria di frontiera riprese ufficialmente le funzioni e il nome di Blandengues. Nell’estate 1817 il brigadiere Juan Ramon Balcarce fu nominato comandante generale della frontiera e, con decreto del 22 luglio, il direttorio invitò gli ufficiali licenziati per riduzione quadri a trasferirsi nei nuovi insediamenti di frontiera, promettendo loro assegnazioni preferenziali di terra nonchè la copertura delle prime spese di impianto della loro azienda agricola.

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III - LA LIBERAZIOE DEL CILE E DEL PERU (1816-24)

SOMMARIO: 1. La preparazione dell’offensiva andina (1814-16). - 2. La liberazione del Cile (1817-19). - 3. L’implosione dell’Argentina (1817-23). - 4. La liberazione del Peru (1820-24).

1. LA PREPARAZIONE DELL’OFFENSIVA ANDINA (1814-16) La base di Mendoza (agosto 1814 - gennaio 1816) A Mendoza San Martin aveva trovato appena 28 blandengues in pessimo arnese e i 200 auxiliares argentinos richiamati dal governo il 1° giugno 1814 e riportati oltre le Ande da Las Heras. In ottobre era giunto però, col tenente colonnello José Maria Rodriguez, un piccolo rinforzo di 240 esclavos rescatados del 2. 8 e 50 artiglieri con 4 cannoni e il 23 novembre Posadas aveva incaricato Las Heras di costituire a San Juan, sulla base degli auxiliares di Balcarce, un battaglione cui fu dato il 2. 11. Alla fine del 1814, grazie ad una leva provinciale dei maschi tra i 14 e i 45 anni, 4 delle 6 compagnie del 2. 11 erano già costituite, portando i regolari di Mendoza a 900, senza contare le milizie di cavalleria di Mendoza (1.200, generale José Albino Gutierrez), San Luis (1.800 su 15 compagnie) e San Juan (1.200). Il 13 marzo 1815 San Martin chiese a Rondeau di restituirgli il 1° e 2° squadrone granaderos. Il 26 luglio partì da Buenos Aires anche Zapiola con gli altri 220 granaderos a caballo (3° e 4° squadrone, capitano Victor Soler e tenente Juan Lavalle) e un treno di uniformi, polvere, munizioni e armi (200 fucili e 8 cannoni di nuova produzione). Così alla fine dell’anno San Martin disponeva di 1.543 regolari (300 del N. 8, 655 del N. 11, 415 granaderos, 30 blandengues e 143 artiglieri con 17 cannoni) e 4.344 miliziani. Il capitano Soler fu poi destinato a comandare il nuovo 5° squadrone granaderos, che formava la scorta del comandante in capo. Il 5 novembre 1815, ammirato dalle sue qualità, San Martin nominò il “geniale” francescano mendosino Luis Beltràn (1785-1827), già tenente dell’artiglieria repubblicana cilena, direttore della maestranza y laboratorio dello stato di Mendoza, il cui regolamento fu steso dallo stesso governatore. Ad Uspallata venne impiantata una fonderia di metalli ottenuti dalle miniere della Cordigliera e si fusero cannoni e si fabbricarono fucili, pietre focaie e una grande varietà di attrezzature militari di bronzo e di ferro. Meno fortunato fu invece il polverificio stabilito nella casa ceduta a tal fine da Tomas Godoy Cruz e diretto dal maggiore Alvarez Condarco, allievo del chirurgo e polverista Diego Paroissien. La polvere fabbricata era di

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eccellente qualità, ma le locali riserve di salnitro erano insufficienti, né fu possibile ottenerne dalla capitale. Pertanto la fabbrica diminuì la produzione fino a cessare l’attività nel settembre 1816. Inizialmente il chirurgo maggiore fu il capitano cileno Juan Isidro Zapata, che organizzò un ospedale da 200 letti e nel febbraio 1816 fece chiedere tramite San Martin materiale sanitario per 6.000 uomini (il governo ne mandò soltanto per 2.000). Il 24 settembre l’incarico di jefe del servizio sanitario passò al maggiore chirurgo Diego Paroissien e Zapata divenne subjefe, responsabile dell’ospedale civile e militare di Mendoza. Oltre a costoro, il servizio includeva altri 6 chirurghi (aiutante Angel Candia, 2 frati assistenti e 3 frati empirici), 7 farmacisti (1° José Mendoza, 2° Blas Tello, 5 praticanti) e 36 subalterni (6 infermieri capi, 20 inservienti di sala, 2 rancieri, 2 lavandai, 4 aiutolavandai, 2 polizia di sala). Nel gennaio 1816 San Martin istituì una segreteria di guerra diretta da José Ignacio Zenteno e il 2. 11 di Las Heras fu elevato al rango di reggimento su 2 battaglioni. Ma il 21 giugno, da Cordoba, Pueyrredon ordinò di trasformarli in battaglioni autonomi e San Martin trasformò il 2°/2. 11 in battaglione cazadores, detti poi de los Andes, al comando del tenente colonnello Rudecindo Alvarado (1792-1872). In tale reparto si arruolarono volontari anche un certo numero di residenti stranieri, incluso il colonnello inglese William Miller (1795-1861), che fu addetto allo stato maggiore di San Martin, nonché 100 “chasseurs” britannici al comando del capitano John Young. Tra costoro c’erano numerosi ex-prigionieri catturati nelle fallite spedizioni del 1806-07 che, una volta liberati, avevano preferito andare all’Ovest in cerca di fortuna (anche il colonnello Guemes aveva accolto nel suo esercito guerrigliero alcuni mercenari inglesi catturati a Salta). Tra rinforzi e nuove leve locali, nell’aprile 1816 San Martin aveva 1.773 regolari, saliti a 2.300 ai primi di settembre.

L’attacco del Callao e lo scontro di Guayaquil (20 gennaio - 16 febbraio 1816) Isolato dalla caduta del suo amico Alvear e dall’ammissione del suo rivale O’Higgins nella potente loggia Lautaro, a metà novembre 1815 Carrera lasciò Buenos Aires con 15.000 pesos ricavati dalla vendita dei gioielli della moglie e con l’intenzione di recarsi negli Stati Uniti per armare una squadra da guerra contro il governo realista cileno. Intanto, come abbiamo già accennato, l’ammiraglio Brown salpava con l’ammiraglia Hercules e 3 corsari argentini per ripetere l’impresa compiuta nel 1740-41 dall’ammiraglio inglese George Anson. Anche a Brown, come già ad Anson, doppiare il capo Horn costò una delle sue navi, e fu anche più sfortunato perchè un temporale gli impedì di raggiungere le Isole di Juan Fernandez, dove intendeva liberare i patrioti cileni deportati dai realisti. Ma il 20 gennaio 1816 comparve davanti al Callao e, coperto dalle batterie navali, penetrò nel porto con una flottiglia da sbarco, ritirandosi poi indenne. Il 21 avanzò a tiro delle batterie realiste colando a picco la fregata Fuente Hermosa e il 23 ne catturò un’altra, la

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Consequencia, ribattezzata Argentina e affidata al comando di Hipolito Bouchard. Il 30 Brown lasciò il Callao per dare la caccia al traffico spagnolo lungo le coste peruviane ed ecuatoriane e il 9 febbraio piombò sulle batterie realiste che difendevano l’estuario del Rio Guayaquil, inchiodando e smontando i cannoni. Dopo aver sbarcato truppe al villaggio di Guayaquil ed essersi avvicinato a tiro di pistola dal forte di San Carlos, uno dei corsari di Brown, con a bordo l’ammiraglio, si arenò per una repentina bassa marea. La nave fu subito abbordata dal nemico e Brown fatto prigioniero. Ma la comparsa dell’Hercules e dell’altro corsaro (Halcon) risolse l’increscioso episodio con uno scambio di prigionieri e il 16 gennaio Brown volse la prua verso Sud, tornando a Buenos Aires incolume, e con un ricco bottino. Il congresso di Tucuman e la dichiarazione di indipendenza (9 luglio 1816) Il congresso nazionale, convocato da Alvarez Thomas per riassorbire la dissidenza federalista, si riunì a Tucuman nel gennaio 1816. I 33 delegati (7 portegni, 5 cordobesi, 4 di Chuquisaca, 3 tucumani, 2 saltegni, 2 mendosini, 2 santiaguegni, 2 di Catamarca e 1 per ciascuna delle province di La Rioja, San Luis, San Juan, Mizque, Cochabamba e Jujuy) rappresentavano due razze, due civiltà, due progetti politici radicalmente diversi e contrapposti. Da un lato portegnos e cuyanos, bianchi ed europeisti, che sostenevano un progetto “unitario” e “monarchico”. Dall’altro gli arribegnos, nativi e coloniali delle province del Nord, da Cordoba a Salta, che sostenevano una formula “federalista” e “repubblicana” a tutela della propria autonomia. Inoltre la stessa legittimazione democratica del Congresso era debole. Le province più vicine all’influenza di Artigas e Francia (Corrientes, Entre Rios, Santa Fe) non avevano voluto partecipare al congresso, mentre a Salta, che resisteva eroicamente contro gli spagnoli, l’elezione dei due deputati si era svolta al grido mueran los portegnos. Infine nella stessa capitale, culla della rivoluzione liberale, la partecipazione politica era ristretta all’oligarchia e il suffragio era solo nominalmente universale: soltanto nelle elezioni del 1817, per la prima volta, i votanti superarono le mille unità. Senza contare che votarono tutti nello stesso modo, plebiscitando all’unanimità i candidati indicati dal governo. Non a caso il nuovo presidente Pueyrredon, membro della Loggia Lautaro, mantenne al suo posto il capo, odiato ma temuto, dell’efficiente polizia politica, cioè il ministro dell’interno Gregorio Tagle, nominato da Alvarez Thomas. L’unico atto veramente storico del congresso fu, il 9 luglio, la formale dichiarazione d’indipendenza delle Province Unite del Sudamerica. La dichiarazione ebbe un preciso e voluto effetto strategico, quello di legittimare il sostegno argentino all’indipendenza cilena e quindi di consentire la spedizione di San Martin, considerata obiettivo strategico prioritario da Pueyrredon e già pianificata per il gennaio 1817. Ma non risolse il nodo costituzionale, pur avendo acclamato l’ingenua proposta mediatrice di Belgrano di stabilire sì una monarchia, come volevano i bonearensi, ma spostando la capitale al Cuzco e dando la corona ai discendenti degli inca anzichè ad una dinastia europea. Infatti gli unitari portegni proseguirono i loro tentativi - tutti però sabotati dalla diplomazia inglese - di affidare la corona ad un principe europeo (tra le varie

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candidature ricordiamo quella di Carlo Ludovico di Borbone Parma e del duca d’Orléans Luigi Filippo, futuro “re dei francesi”). Nel 1817, trasferitosi a Buenos Aires, il congresso poté finalmente elaborare un “regolamento provvisorio”, trasformato nella carta costituzionale degli “Stati Uniti del Rio de la Plata o Repubblica Argentina”, sanzionata e promulgata l’11 maggio 1819. Una costituzione di modello inglese, moderatamente liberale e temperata da principi aristocratici (composizione del senato e sistema elettivo indiretto), ma troppo unitaria e centralista per essere accettata anche dalle province e, secondo i repubblicani, anche troppo “monarchica”. Il servizio informazioni di San Martin Intanto San Martin impiantava in Cile un efficiente e capillare servizio di informazione e controinformazione (o de zapa) formato da qualche dozzina di emigrati cileni, inclusi alcuni seguaci di Carrera che San Martin aveva finto di esiliare allo scopo di accreditarli presso il nemico come apostati della causa repubblicana. Il servizio, diretto da Manuel Martinez, si avvaleva di un complicato cifrario redatto dallo stesso San Martin e di un formidabile agente doppio, il baqueano Justo Estay, il quale, fingendosi spia del governatore spagnolo di Santiago, maresciallo di campo Francisco Casimiro Marcò del Pont, gli dava false informazioni mediante lettere predisposte dallo stesso San Martin che recavano la firma (autentica) di una ignara spia spagnola, il peninsulare esiliato Castillo Alba. Per soprammercato don Francisco Casimiro faceva spesso alloggiare don Justo nelle caserme realiste, dandogli così modo di memorizzare dati di rilevante interesse militare, puntualmente riferiti al comandante argentino. Non volendo, come diceva, “marchar a la hotentote”, San Martin effettuò anche una sistematica raccolta di dati topografici desunti da rilevazioni cartografiche, ricognizioni dirette e resoconti di emigrati, viaggiatori, guide e mulattieri (arrieros). Il 31 maggio 1816, alla vigilia della dichiarazione di indipendenza che era implicitamente una dichiarazione di guerra al governo spagnolo del Cile, il neopresidente Pueyrredon, non ancora entrato in carica, chiese a San Martin informazioni sui piani difensivo e offensivo della sua provincia. Il 16 giugno il governatore cuyano rispose di non poter trasmettere il piano offensivo, dal momento che mancavano ancora sei mesi all’inizio dell’offensiva e che nel frattempo il nemico poteva mutare la dislocazione delle sue forze. Aggiunse però di aver ormai ristretto la scelta a due soli itinerari distanti fra loro 60 leghe, quello principale di Uspallata e Los Patos (Aconcagua) diretto per Santiago e quello secondario del Planchon, che conduce a Curicò e San Fernando, a Sud della capitale cilena. Entrambi consentivano infatti di occupare subito le province più fertili e popolose e di attaccare il nemico al centro dopo averlo separato dalle sue ali e averlo costretto a disperdere le forze per presidiare i passi andini e le città retrostanti, che al momento opportuno dovevano essere liberate dai guerriglieri cileni oppure “conmovidas” dall’insurrezione repubblicana. Per effettuare la ricognizione della Cordigliera di Olivares e Iglesia, del passo del Portillo e di Valle Hermoso, che sovrastano le province cilene di Coquimbo e Aconcagua, fu istituita una apposita commissione presieduta dal maggiore Antonio Alvarez Condarco, che San Martin mandò poi a

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riconoscere anche il versante cileno affidandogli, come copertura, l’inutile incarico di notificare a don Marcò del Pont la dichiarazione di indipendenza argentina. Condarco partì infatti il 2 dicembre 1816 - quasi cinque mesi dopo la dichiarazione e cinque settimane prima dell’offensiva - percorrendo la strada più lunga per Santiago, quella settentrionale, che passava per Los Patos e la valle del Putaendo. Confermando il pronostico di San Martin, il governatore spagnolo, fatto bruciare il documento dal boia, rispedì ingenuamente il latore a Mendoza per la strada più breve, quella per Los Andes e Uspallata, dandogli così modo di esplorare anche quella. Il 21 dicembre Condarco era di ritorno con tutte le informazioni memorizzate, che consentirono di decidere definitivamente a favore della strada più lunga, meno esposta alla reazione nemica, e di perfezionare gli schizzi degli itinerari assegnati a ciascuna colonna. L’Ejército de los Andes (agosto - dicembre 1816) Il 1° agosto San Martin fu promosso coronel mayor, con soldo annuo di 600 pesos, e le truppe al suo comando furono ufficialmente designate Ejército de los Andes. Il Congresso di Tucuman gli conferì titolo e prerogative di “capitano generale”, nomina sanzionata il 17 ottobre e riconosciuta il 30, ma San Martin rifiutò la promozione a brigadiere, impegnandosi formalmente a non accettare alcuna promozione per tutta la durata della sua carriera militare. Il comandante in capo era dunque inferiore di grado non soltanto ad O’Higgins, ma anche al suo capo di stato maggiore, brigadiere Miguel Estanislao Soler. Con decreto 20 agosto San Martin stabilì la comisaria de guerra, formata dal commissario Juan Gregorio Lemos (1764-1822), dal primo ufficiale Valeriano Garcia e dal provveditore generale Domingo Perez. Poichè la produzione alimentare della provincia cuyana non bastava a mantenere la forza prevista, San Martin potenziò il sistema di irrigazione e le comunicazioni per strada e su acqua. Inoltre impiantò una embrionale industria tessile, impiegando manodopera femminile per confezionare le uniformi e una manifattura di ferri da cavallo. E’ da notare che la ferratura dei quadrupedi non si usava in pianura ma era indispensabile per consentire alla cavalleria e ai rifornimenti di valicare le Ande. Si individuarono le tappe e le località dove, al momento della partenza, si dovevano stabilire i magazzini e depositi principali (Los Manantiales, Tambillos, Yalguaraz e Uspallata) e 2 secondari (Leiva e Los Patos) di viveri e foraggi sotto il controllo della milizia, calcolando 14 razioni giornaliere per 5.300 uomini e 14.000 quadrupedi: in tutto 35 tonnellate di charquican, 700 bestie da macello, 600 reses di galletta, frumento, farina di mais, più formaggio, aglio, cipolle, aguardiente e 1 bottiglia di vino per ogni uomo. La scarsità delle risorse idriche del versante argentino fu ovviata suddividendo l’esercito in numerose colonne di poche centinaia di soldati, che dovevano marciare a intervalli di 24 ore l’una dall’altra, in modo da consentire ai pozzi di riempirsi. L’artiglieria di Mendoza (3° battaglione) contava 6 compagnie: 2 a piedi, 2 volanti, 1 da assedio e 1 di maestranza. Pur non potendo formare unità del genio, San Martin selezionò i minatori di Mendoza e San Juan per trarne 90

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guastatori e minatori (barreteros de minas) necessari per sorvegliare i passi andini con trinceramenti e ridotte contro una possibile offensiva spagnola e aprire la strada per Uspallata e Los Patos. L’armata disponeva inoltre di attrezzi da fortificazione e di un ponte di maromas completo, della lunghezza di 65 varas. Alla fine di settembre, quando l’esercito si trasferì al campo di istruzione di Plumerillo, contava 3.000 uomini. A Plumerillo l’istruzione teorica e pratica degli ufficiali riguardava i regolamenti delle Armi. Zapiola esaminò gli ufficiali di cavalleria, ma concesse ai non idonei di ripetere l’esame un anno più tardi. Ai primi di novembre il 1° e 2° squadrone granaderos si trasferirono da San Luis al Plumerillo, portando la forza a 3.500 uomini e alla fine di dicembre giunse anche il resto del Regimiento 2. 8, altri 900 morenos libres, exschiavi espropriati (rescatados) ai residenti spagnoli. Forse diffidando del comandante, colonnello Celestino Vidal, San Martin lo tolse di mezzo sdoppiando anche il 2. 8 in due battaglioni autonomi, dando al I il 2. 8 e al II il 2. 7 (in omaggio alla memoria del battaglione di Libertos che nel dicembre 1813 l’aveva accompagnato a Tucuman ed era stato distrutto due anni dopo a Sipe-Sipe). Ne dette il comando ai tenenti colonnelli Pedro Conde (1785-1821) e Ambrosio Cramer, un francese veterano delle guerre napoleoniche, considerato il miglior esperto di tattica dell’esercito argentino. Il piano strategico realista e l’offensiva abortita da Tupiza su Mendoza (19 settembre 1816 - marzo 1817) Sulla carta la forza dell’esercito delle Ande (3.819 regolari, 17 pezzi e 1.200 ausiliari) era leggermente inferiore a quella del nemico. L’Armata realista del Cile contava infatti 4.550 regolari, per quattro quinti cileni, più 2.000 miliziani di Concepcion. Spagnoli erano 700 fanti (battaglione Talaveras) e 400 dragoni, cileni altri 2.800 fanti (battaglioni Concepcion, Chillan, Chiloé e Valdivia), 260 Carabineros de Abascal, 140 Husares de la Concordia e 250 artiglieri con 16 pezzi. Ma le forze realiste non potevano sfruttare la propria superiorità, perchè non conoscevano la direttrice d’attacco e non erano in grado di concentrarsi più rapidamente del nemico, essendo vincolate al terreno dalle incursioni delle guerriglie repubblicane (montoneras) comandate dal leggendario Manuel Rodriguez ed esposte al piano insurrezionale che doveva scattare in tutti i centri abitati al momento in cui l’esercito di San Martin avesse iniziato la discesa sul versante cileno. Tuttavia, nel quadro del piano strategico definito a Lima, all’armata realista del Cile era affidato un compito strettamente difensivo. Dovevano infatti resistere allo sbocco dei passi andini facendo da incudine al grande martello che doveva abbattersi sulle retrovie cuyane partendo dall’Alto Peru. Il comando dell’operazione era stato affidato all’energico generale José de La Serna (1770-1832), futuro protagonista dell’ultima tenace resistenza nel cuore del Peru. L’operazione era eccessivamente ambiziosa, perchè si trattava di coprire in territorio impervio e ostile una distanza immensa - 1.300 chilometri in linea d’aria fra la base di partenza (Tupiza) e Mendoza. Non era però assurda,

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perchè sfruttava abilmente la frammentazione politica delle province argentine e il contrasto tra Guemes e Rondeau. Senza attaccare le roccaforti di Salta e Tucuman, La Serna doveva sfilare ad occidente col fianco destro coperto dalla Cordigliera e quello sinistro dal presidio di Tarija e da due diversioni su Jujuy e a Sud di Salta, che doveva essere occupata preventivamente per attirarvi le temibili forze saltegne. La diversione su Jujuy, difesa con 800 gauchos dal vice di Guemes, Campero, venne affidata al colonnello Antonio Pedro Olagneta che il 16, 19 e 23 settembre 1816 a Colpaio, Tilcara, Huacalera e Santa Victoria, ebbero i primi scontri con lo squadrone gaucho di Santa Victoria-La Puna (Antonio Ruiz). Il 15 novembre Olagneta riuscì a sorprendere Campero a Yavì, catturandolo con 300 gauchos ed entrò a Jujuy il 6 gennaio 1817 - nelle stesse ore in cui a Mendoza San Martin dava rapporto finale ai comandanti di colonna e distaccamento. Più contrastata fu la diversione del colonnello Marquiegui a Sud di Salta, che dal 13 al 22 gennaio dovette sostenere scontri a Oran, Rio de las Piedras, Sora-Sora, Rio San Lorenzo, Rio Negro e Sierra di Zapla per poi raggiungere Jujuy, dove i realisti furono bloccati dagli infernales del maggiore Juan Antonio Rojas (che il 6 febbraio, a San Pedrito, decimò 200 cavalieri usciti a foraggiare) e poi dallo stesso Guemes con 17 compagnie locali (squadroni de la Corte, La Quintana, Carrillo e Iramain). Intanto a metà gennaio, mentre le avanguardie di San Martin iniziavano la marcia verso le Ande, il grosso di La Serna aveva occupato Humacahua, chiave dell’omonima quebrada a Nord di Jujuy, lasciandovi un piccolo presidio di 130 uomini e 7 cannoni, bloccato dai 3 squadroni gauchos della vallata (Prado, Pastor e Belmonte). Alla fine di febbraio, appresa la notizia della sconfitta di Chacabuco e del reimbarco di Marcò del Pont, La Serna abbandonò l’offensiva iniziando la ritirata verso Tupiza. Nel tentativo di tagliargli la ritirata, il 1° marzo Manuel Arias riprese Humacahua col 1° squadrone di Oran e due giorni dopo Lamadrid mosse da Tucuman su Tarija. Dopo aver catturato importante corrispondenza realista, il 14 marzo Lamadrid intimò la resa al presidio, che, sotto la minaccia di essere “pasado a cuchillo”, si arrese con 330 uomini, armamento e munizioni. Il giorno dopo, a Jujuy, Guemes ricacciò una rabbiosa sortita del colonnello Jerònimo Valdéz mentre, al pascolo dell’Alto de la Quintana, 40 infernales di Juan A. Rojas piombarono su 85 fanti del battaglione Gerona che custodivano la mandria di bovini e ovini destinata al vettovagliamento nemico. Il 19 Lamadrid catturò altri 50 realisti a Cachimayo e il 21 marzo attaccò invano La Serna, trincerato a Chuquisaca, senza potergli impedire di raggiungere Tupiza ai primi di maggio. Anzi, il 6 giugno, Lamadrid fu sorpreso da La Hera a Supachuy, perdendo molti prigionieri e una bandiera e tornando a Tucuman. In ricordo della campagna fu coniata una medaglia e Guemes, pienamente riabilitato da Pueyrredon, fu promosso brigadiere. Dopo di allora, da Yavì, i colonnelli realisti Olagneta, Valdéz, Antonio Vigil e Ramirez sferrarono soltanto offensive limitate, saccheggiando due volte Jujuy (14 gennaio 1818 e 28 maggio 1820) e due volte anche Salta (31 maggio 1820 e 7 giugno 1821), sempre però ricacciati dalla guerriglia gaucha (uno degli episodi più famosi avvenne il 2 febbraio 1818 ad Acoyte, dove 20 gauchos di Antonio Ruiz passarono al deguello 40 soldati del reggimento Extremadura).

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2. LA LIBERAZIONE DEL CILE (1817-19) L’ordine di battaglia di San Martin (24-31 dicembre 1816) Trascurando l’offensiva realista su Jujuy, il 24 dicembre 1816 Pueyrredon spedì le istruzioni per San Martin, in 59 articoli relativi ai “rami” di guerra, politica e hacienda. Le istruzioni contenevano il regolamento provvisorio dello S. M. particolare dell’Esercito delle Ande, ripartito in 4 “tavoli” (mesas): 1° artiglieria e genio, 2° fanteria e cavalleria, 3° intendenza e sanità: 4° amministrazione e contabilità e così ordinato: .Cuartel General: 1 comandante in capo e capitano generale (San Martin); 1 segretario di guerra (Zenteno); 1 segretario particolare (cap. S. Iglesias); 1 uditore (Antonio Alvarez de Jonte); 1 cappellano (fray L. Guiraldes); 3 edecanes (col. Hilarion de la Quintana, ten. col. chirurgo Diego Paroissien, magg. Alvarez Condarco); 2 aiutanti (cap. Manuel Escalada e ten. J. O’Brien); 1 direttore del Parque (magg. cileno Picarte); Estado Mayor: 1 quartiermastro e maggior generale (brigadiere Soler); 1 primo aiutante e sottocapo (colonnello Antonio Beruti); 2 capitani aiutanti (Aguirre e Acosta); 3 ufficiali d’ordinanza (Marigno, Francisco Meneses e F. A. Novoa), 1 colonnello cileno aggregato (J. M. Portus); .nucleo ufficiali cileni (Segunda Division): 1 comandante (brigadiere O’ Higgins), 1 colonnello aggregato (Francisco Calderon), 4 capitani aiutanti (J. M. de la Cruz e Domingo Urrutia) e aiutanti aggiunti (M. Saavedra e L. Ruedas);

Il 31 dicembre 1816 l’Esercito delle Ande contava 5.200 uomini, di cui 4.026 combattenti, inclusi 3 generali, 21 ufficiali superiori, 208 ufficiali e 16 assimilati: . 2.928 fanti (inclusi 9 ufficiali superiori e 124 ufficiali) su 4 battaglioni: N. 7 (Ambrosio Cramer), N. 8 (Pedro Conde), N. 11 (Juan G. de Las Heras) e cazadores de los Andes (Rudecindo Alvarado); 801 granaderos a caballo (inclusi 4 ufficiali superiori e 55 ufficiali) su 4 squadroni (Matias Zapiola, Medina, Melian e Mariano Necochea) più 5° Escolta de San Martin (Victor Soler); . 288 artiglieri (inclusi 1 ufficiale superiore e 16 ufficiali) con 21 cannoni, inclusi 9 da montagna da 4 libbre (3° battaglione Artilleria de la Patria - ten. col. Pedro Reglado de la Plaza - su 2 compagnie).

Un decimo dei regolari era assente per diserzione, malattia, congedo o invalidità, ma furono in parte compensati da 200 complementi. In definitiva i regolari che presero effettivamente parte alla campagna erano 3.819, esclusi 90 guastatori e 1.200 miliziani addetti ai servizi logistici, nonchè 500 volontari cileni e 150 miliziani aggregati ai 4 distaccamenti incaricati di ingannare il nemico sull’effettiva direzione di marcia del corpo principale. I regolari erano tutti argentini: gli unici cileni erano il brigadiere O’Higgins, i colonnelli Calderon, Hermidia e Dios Vidal e altri 27 ufficiali e graduati del

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corpo de reserva, destinati ad inquadrare i reparti che si prevedeva di reclutare oltre le Ande per formare il nucleo del nuovo esercito repubblicano. Le salmerie, comandate dal colonnello cileno Hermidia, contavano 1.200 mulattieri e zappatori d’artiglieria con 1.200 cavalli (tutti ferrati) dei granaderos, degli stati maggiori e del quartier generale e 13.000 muli (7.359 da sella, 1.922 da basto e 2.719 per i distaccamenti). L’alto numero dei muli da sella dipendeva dalla decisione di risparmiare quanto più possibile le forze fisiche della truppa, in modo da consentirle di combattere una volta scesa in piano. I muli erano calcolati nella seguente proporzione: 3 da sella e 1 da basto ogni due ufficiali, 3 da sella ogni due granaderos o artilleros e 6 ogni cinque fanti, più 5 da soma per ciascuna compagnia. La piccola armata includeva infine 1 ospedale da campo, 1 compagnia di artificieri e operai, 1 parco e 1 treno d’artiglieria da campagna con 110 palle per ciascun pezzo, con un equipaggio da ponte e una riserva di mezzo milione di cartucce per la fanteria (altrettante erano distribuite ai reparti, in media 270 per ogni fucile). Il treno contava 180 carri con armi di riserva e viveri per 15 giorni (carne bovina, grano indiano tostato, biscotto, formaggio, aglio e cipolle). La marcia ai passi andini (4-31 gennaio 1817) Il 4 gennaio i guerriglieri cileni di Manuel Rodriguez iniziarono le operazioni preparatorie conquistando il villaggio di Melipilla, poco a SudOvest di Santiago. Il 5 gennaio la bandiera argentina, ricamata dalla signora cilena donna Dolores Prats de Huici e da signorine mendosine, fu solennemente benedetta, consegnata all’Ejército de los Andes, consacrata alla Virgen del Carmen e salutata da 21 salve di cannone. San Martin tenne rapporto ai comandanti di colonna e distaccamento nel campo del Plumerillo, informandoli solo allora, con appena 72 ore di anticipo, dei rispettivi compiti, in modo da limitare al massimo il rischio di fughe di notizie. In realtà gli spagnoli erano completamente all’oscuro delle intenzioni del nemico e dovevano limitarsi a pattugliare i passi per poter dare l’allarme. Per trarli in inganno e costringerli a disperdere ulteriormente il proprio schieramento, San Martin fece trapelare la notizia di un suo abboccamento “segreto” con gli indios peuhenches di San Carlos, dando così a intendere di voler scendere sopra Chillan, attaccando Santiago da Sud anzichè da Nord. Inoltre spiccò 4 distaccamenti dimostrativi - con complessivi 750 uomini (80 regolari, 26 blandengues, 150 miliziani e circa 500 volontari cileni) - a compiere diversioni nelle province di Atacama, Coquimbo e Colchagua - le prime due a Nord e l’altra a Sud dell’Aconcagua e di Santiago, vera direttrice d’attacco: .1° da Chilecito (comandante Davila e maggiore Francisco Zelada: 12 regolari e 200 cileni) per il passo di Come Caballos (5.160 m.) sulla provincia di Atacama (Copiapò) (20 gennaio - 12 febbraio); 2° da San Juan (comandante Juan M. Cabot e Ceballos: 60 regolari, 120 miliziani e 200 cileni) per Pismanta, Cordigliera di Olivares, passo di Azufre (3.600 m.), passo di Agua Negra e capanna di Los Patos sulla provincia di Coquimbo (La Serena) (20 gennaio - 14

101 febbraio); .3° dal Melocoton (capitano Lemus: 26 blandengues e 30 miliziani) per il passo del Portillo de Los Pinquenes, sulla provincia di Coquimbo (El Yeso) (27 gennaio - 6 febbraio); .4° da Mendoza (capitano Ramon Freyre: 100 regolari e 100 cileni) per Lujan, Carrizal, Rio Atuel, sorgenti del Tinguririca, costa della Cordigliera e passo del Planchon de Curicò (4.090 m.) sulla provincia di Colchagua (Rio Colorado, Rio Claro, Cumpeo, Curicò e Talca) collegandosi con i guerriglieri di Rodriguez (14 gennaio - 12 febbraio).

I primi movimenti ebbero inizio il 9 gennaio, quando il 1° distaccamento dimostrativo lasciò La Rioja per raggingere la base di partenza di Chilecito. Il 12 Rodriguez prese San Fernando (Colchagua) costringendo il presidio realista a ritirarsi a Rancagua e sgombrando il passo al 4° distaccamento, partito dal Plumerillo il 14. Il 15-16 gennaio i cavalli degli stati maggiori e dei granaderos furono spediti al deposito dei Manantiales in tre scaglioni di 400, per provvedere alla loro ferratura. Il 18 il bestiame da macello fu avviato alle varie tappe (Jahuel, La Higuera, Las Cuevas, Yalguaraz, Uretilla) per predisporre il vettovagliamento delle colonne. Lo stesso giorno partì dal Plumerillo la colonna Las Heras (800 fanti del 2. 11, 30 granaderos, 1 squadrone della milizia di San Luis e 20 artiglieri con 2 cannoni comandati dal capitano cileno Picarte) seguita il 19 dal treno da campagna comandato da fra Beltran. Fatta tappa a Canota, il 20 Las Heras raggiunse Uspallata, salendo all’avamposto che fin dal 1814 guarniva l’omonimo passo (5.021). Il suo compito era di coprire il fianco sinistro del grosso mentre marciava verso Nord-Ovest per raggiungere Valle Hermoso e il passo di Los Patos (3.565 m.). La scarsità delle risorse idriche aveva imposto di suddividere il grosso (2.745 regolari, 7 cannoni da montagna e 3.750 muli) in sei piccoli scaglioni (Melian, Alvarado, O’ Higgins, Cramer, Zapiola e San Martin), che partirono dal 19 al 25 gennaio, con 24 ore di intervallo l’uno dall’altro, per dar tempo ai pozzi di riempirsi. Il 20 partirono, da Chilecito e San Juan, anche i distaccamenti 1° e 2°. Il capo di stato maggiore Soler partì il 22 per prendere la testa della Vanguardia, formata dai primi due scaglioni (gli altri, comandati da O’Higgins, formavano il Centro). Il 24 gennaio un disguido del provveditore ai viveri (che portò i rifornimenti a Villavicencio anzichè alla tappa di Jahuel) determinò un giorno di ritardo sulla tabella di marcia. Il 25, mentre partiva l’ultimo scaglione, San Martin fece una breve visita a Mendoza per salutare gli amici e la famiglia. Trasferito il governo interinale della provincia cuyana al fedele colonnello Toribio Luzuriaga, lasciò poi la città salutato dal rombo delle campane, dalle autorità e dall’intera popolazione. Ultimo a partire fu, il 27 gennaio, il minuscolo distaccamento del capitano Lemus. Fu la colonna Las Heras a sostenere la prima scaramuccia con i realisti del maggiore Marquelli (250 uomini di Talaveras e Chiloé). Fin dal 17 la vedetta del posto di Uspallata, situata a Picheuta, aveva avvistato una pattuglia nemica. Il 24 Marquelli sorprese i 13 miliziani della vedetta, ma fu contrattaccato dal maggiore Enrique Martinez (1779-1870) con 83 fucilieri e dal tenente José Félix Aldao con 30 granaderos e costretto a ritirarsi a Los Andes con 17 perdite contro 11 feriti argentini.

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Il 31 gennaio, mentre i distaccamenti settentrionali di Davila e Lemus sorprendevano i posti di guardia realisti sulla Cordigliera sopra Atacama e Coquimbo, tutti gli scaglioni del grosso erano riuniti ai Manantiales e Las Heras, ripresa la marcia il 29, aveva raggiunto l’arroyo di Santa Maria. Il passaggio delle Ande e l’avanzata su Santiago (1° - 11 febbraio 1812) Il 1° febbraio, dopo una marcia nottura di 22 chilometri in 5 ore a quote tra 2.800 e 3.800 metri, Las Heras giunse al Paranillo de las Cuevas ai piedi della cumbre e l’avanguardia del grosso (1a Divisione Soler) valicò su 3 colonne la Portezuela del Valle Hermoso, accampandosi a sera alla Horqueta. In tal modo l’avanguardia e la colonna Las Heras convergevano da Nord e da Sud sulla città di Los Andes (60 chilometri a Nord di Santiago). Nei giorni seguenti valicarono le Ande, sempre intervallati di 24 ore, anche il Centro (2a Divisione O’Higgins), la Reserva (con 300 granaderos e gli ospedali) e il Parque, ma, nonostante la ferratura, l’itinerario si rivelò troppo arduo per i cavalli, che dovettero restare ai Manantiales. Tuttavia il colonnello Lucio Mansilla (1786-1871) poté ugualmente stabilire una linea di posti di corrispondenza, ciascuno con 1 ufficiale e 8 granaderos. Il 4 febbraio il distaccamento meridionale di Freire espugnò di sorpresa Las Vegas di Cumpeo, mentre, sulla strada di Uspallata, Martinez e Aldao sloggiavano alla baionetta una pattuglia nemica arroccata a Guardia Vieja sopra Los Andes. Quella stessa sera giunse a Santiago la notizia che gli argentini avevano varcato le Ande e stavano scendendo per la valle del Putaendo. Il 5 il maggiore Antonio Arcos e il tenente Juan Bautista Lavalle (1793-1841) penetrarono nel Valle Hermoso, occupando Ciénago e Achupilas e inseguendo per 10 chilometri un pattuglione nemico. Il 6 i granaderos di Necochea e Soler sbucarono dalla valle del Putaendo su San Felipe de Aconcagua. Durante la notte accorse da Los Andes il colonnello realista Atero, con 550 uomini e 2 cannoni, ma il mattino del 7, a Las Coimas, 200 carabineros cileni furono caricati a sciabolate da 140 granaderos di Necochea, perdendo 21 morti e 5 prigionieri. Lo stesso giorno San Martin sboccò sul versante cileno: il suo esercito aveva percorso 500 chilometri, attraversando quattro cordigliere a quote sino a 5.000 metri, le più alte mai registrate dalla storia militare. L’8 febbraio la 1a Divisione occupò San Felipe, dove a sera giunsero anche O’Higgins e San Martin, che subito spedì a fra Beltran l’ordine di raggiungerlo a tappe forzate con l’artiglieria da battaglia. Nelle stesse ore Las Heras entrava a città delle Ande, già evacuata dai realisti e saccheggiata dai guerriglieri. Nell’informativa per Pueyrredon, redatta l’8 febbraio a San Felipe, San Martin calcolava di non poter dare battaglia prima del 14, dovendo attendere l’arrivo dei cavalli dai Manantiales e del treno da campagna da Uspallata. Intanto spedì le sue spie a riconoscere le posizioni nemiche, in particolare José Antonio Cruz e Justo Estay, il quale, travestitosi da mendicante, si appostò al ponte di Cal y Cuanto, sopra Mapoco, punto di passaggio obbligato delle truppe realiste che da Santiago accorrevano a sbarrare il baluardo naturale del Chacabuco, in modo da poterne riconoscere qualità e

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quantità. Il 9 febbraio, preceduto dai guerriglieri di Martinez, il grosso passò l’Aconcagua sui ponti di Villaroel e del Colorado, scendendo la vallata fino a Curimon, alle falde settentrionali del Chacabuco, dove a sera giunse anche la colonna Las Heras. Così, lasciato l’ospedale a Los Andes, tutto l’esercito riunito si accampò allo sbocco della quebrada di San Vicente, nei potreros a Nord del cerrillo delle Monache, dove fu abbondantemente rifornito dalle volontarie e gratuite contribuzioni della popolazione locale, le quali consentirono anche di rimontare i granaderos senza attendere l’arrivo dei cavalli argentini. Dal 9 all’11 gli ingegneri Arcos e Condarco fecero accurate ricognizioni topografiche levando lo schizzo del terreno. Nel primo pomeriggio dell’11 Estay informò San Martin che Santiago era nel massimo allarme, che gli insorti controllavano tutto il territorio dal Maule a Cachapoal e che tutte le truppe nemiche a Nord del Maule si stavano concentrando a Santiago per marciare al Chacabuco, dove si stava già dirigendo la guarnigione santiaguegna. Secondo Estay entro il 13 tutte le forze realiste, circa 4.000 uomini, sarebbero state in linea. Sulla base di queste esatte informazioni, San Martin decise di anticipare di due giorni la battaglia, rinunciando ai cannoni pesanti di Beltran e accontentandosi dei soli 9 pezzi da montagna che aveva sottomano (capitani Frutos e Fuentes). La battaglia di Chacabuco (12 febbraio 1817) La strada maestra per Santiago (camino real) era sbarrata da 1.327 realisti: 327 fanti spagnoli (Talaveras), 700 cileni (Chiloé e Valdivia), 230 carabineros, 50 husares e 20 artiglieri con 2 cannoni. La sera dell’11 febbraio ne assunse il comando il brigadiere Rafael Maroto. Convinto che il nemico non potesse attaccare prima del 14, Maroto pose il quartier generale nelle case della fattoria di Chacabuco, attestandosi con il grosso sulle alture sovrastanti, tra il Cerro Guanaco (detto poi della Vittoria) e il Morro del Chegue, dominando con 7 cannoni lo sbocco del camino real nel Valle de la Hacienda. Per difendere la posizione, Maroto distaccò sulla sua destra un avamposto al cerro delle Tortore Cuyane, che si erge assai ripido, con un tortuoso sentiero di accesso, sulla vallata dell’Aconcagua. Trascurò tuttavia ogni precauzione sull’altro fianco, giudicando sufficientemente protetto dall’impervia Cuesta Nueva di Chacabuco. Evitando ovviamente il camino real per non cadere sotto il tiro incrociato delle due batterie nemiche, San Martin ripartì l’esercito in due aliquote: la minore (2a Divisione O’Higgins, con 2 cannoni da montagna) per fissare il nemico scalando l’avamposto delle Tortore Cuyane e attaccando frontalmente la posizione retrostante: e l’aliquota maggiore (1a Divisione Soler e capitano Frutos con 7 cannoni) per aggirarlo sul fianco sinistro e tagliargli la ritirata. Quest’ultima, pur col vantaggio di restare nascosta alla vista del nemico dalla Cuesta Nueva, doveva però percorre la strada più impervia, scalando la Cumbre de la Cuesta (quota 1286) e sboccando nella vallata di Chacabuco dall’impervia valletta laterale (quebrada del Infernillo), all’altezza delle case della fattoria. Per attaccare posizioni dominanti entrambi i battaglioni di testa (il 2. 7 di Conde e i cazadores di Alvarado) dovevano avanzare in “divisioni” di due compagnie, una delle quali in formazione “bersaglieri” (en tiradores o en guerrilleros).

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L’esercito si mise in marcia all’alba del 12 febbraio. Scalata la Cumbre, soltanto alle 11 Soler cominciò a scendere dai cerros Corral de Pircas e Morteros, seguendo il letto dei torrenti e prendendo come punto di riferimento il Cerro del Hornito. In quel momento il cannone lo avvertì che la battaglia era cominciata, ma dovette fermarsi di fronte ad un ostacolo imprevisto (un ponte rotto). Anche O’Higgins era partito all’alba, con 844 soldati e 111 troperos, inerpicandosi per l’impervio sentiero che conduceva alla cima delle Tortore Cuyane, tenuta dal maggiore Mijares con appena 200 uomini. La salita gli era costata i suoi unici 2 cannoncini, precipitati a valle, ma le compagnie Corbalan e Ramallo del 2. 7 avevano preso la cima, costringendo Mijares a ripiegare nel retrostante portezuelo, dove erano accorsi di rinforzo i carabineros di Quintanilla. Disobbedendo agli ordini di San Martin, che in quel momento aveva appena iniziato la salita alla cima, O’Higgins decise di attaccare senza attendere l’arrivo di Soler. Così i granaderos di Melian scesero dalla cima in fila indiana, riordinandosi a 400 metri dalle posizioni nemiche, e metà attaccarono en tiradores, bloccati però da una imprevista quebrada. Caricarono allora, alla baionetta, i rescatados del 2. 7, sloggiando i realisti anche dal portezuelo, che offerse poi agli argentini un buon riparo contro i 2 cannoni nemici che sparavano a mitraglia dalla posizione principale. Dopo aver atteso un’altra mezz’ora per dar tempo a Soler di avvicinarsi, O’Higgins caricò nuovamente con 850 baionette, ma fu ancora bloccato da un’altra quebrada. Seguì per un’ora un intenso scambio di fucilate tra gli opposti reparti di tiratori, finchè gli argentini tornarono alle posizioni di partenza senz’essere inseguiti dal nemico, il quale subì la perdita del colonnello Elorreaga, comandante dell’ala destra. Giunto in quel momento sul campo di battaglia, San Martin temette che la giornata fosse compromessa e mandò a Soler l’ordine di attaccare al più presto il fianco del nemico. Finalmente, dopo mezzogiorno, l’avanguardia di Soler (170 cazadores di Salvadores e 165 granaderos di Necochea) si attestò nella vallata, sbarrando la ritirata al nemico. Alle 13, consultatosi con Cramer, O’Higgins decise di rischiare un attacco frontale, adottando la tattica francese in colonna. San Martin arrivò appena a tempo per prendervi parte alla testa del 1° e 2° granaderos appiedati, con Zapiola, Medina e Melian. A 400 metri i granatieri sopravanzarono la fanteria, penetrando nell’intervallo tra Talavera e Chiloé, uccidendo gli artiglieri nemici e infine caricando da tutti i lati l’odiato ma valoroso battaglione spagnolo. I carabineros cileni, in riserva dietro l’arroyo delle Margaritas, caricarono a loro volta i granaderos ma furono subito travolti e soltanto 80 trovarono scampo nella fuga. Intanto la colonna di O’Higgins e Conde (2. 7) scalava il Morro del Chegue, caricando poi alla baionetta il Chiloé e mettendolo in fuga disordinata. Il valoroso maggiore San Bruno, che aveva tentato un’estrema resistenza tra le case della fattoria coi resti del Talavera, fu preso prigioniero e fucilato pochi giorni dopo a Santiago, assieme al sergente Villalobos. Alle due del pomeriggio la battaglia era finita e la strada per Santiago era libera. Le perdite realiste ammontarono a 7 cannoni, 1.000 fucili, 3 bandiere incluso lo stendardo del Chiloé, 500 morti e 600 prigionieri (inclusi 32 ufficiali). San Martin perse soltanto 110 uomini: 12 morti (inclusi 3 cileni arruolatisi

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tra i granaderos) e 98 feriti. La presa di Santiago e Valparaiso, l’arresto di Carrera e il triumvirato lautarino 14 febbraio - 1° dicembre 1817) Evacuata Santiago, i resti dell’esercito realista riuscirono a raggiungere Valparaiso, dove il governatore si imbarcò per il Callao con 1.600 militari e civili, inclusi donne e bambini, abbandonando sulla spiaggia un migliaio di soldati e civili che non potevano trovare posto sulle imbarcazioni stracariche. Tra l’11 e il 12 febbraio, mentre si combatteva a Chacabuco, i distaccamenti di Atacama e Colchagua avevano già occupato di sorpresa Copiapò, Curicò, Talca e San Fernando. Quello di Coquimbo, sconfitti i realisti nella pianura della Salala, entrò alla Serena il 14. Nelle stesse ore San Martin e O’Higgins entravano a Santiago, acquartierandosi a San Pablo (artiglieria), all’Università (granaderos), al Congresso (2. 7) e a San Francisco (2. 8). Il 19 i cazadores di Alvarado occuparono Valparaiso. Il 16 febbraio San Martin, proclamato direttore del Cile, ricusò l’onore a favore di O’Higgins e tornò a Buenos Aires per riferire a Pueyrredon. Uno degli scopi della missione di San Martin a Buenos Aires era di sventare le iniziative dell’ex presidente Carrera. Il 9 gennaio 1817 Carrera era infatti arrivato a Buenos Aires con 4 mercantili (fregate Cliffton e Devey e brigantini Salvaje e Regente) armati in guerra a Baltimora da una società nordamericana che aveva fornito attrezzature belliche al governo argentino. Sulla base delle informative di polizia, Pueyrredon aveva rifiutato di riceverlo e, dopo negoziati infruttuosi per convincerlo a cedere le sue navi al nuovo governo cileno o almeno a quello argentino, l’aveva fatto arrestare. San Martin andò a visitarlo in prigione, proponendogli invano un compromesso. Evaso dal carcere, Carrera si rifugiò a Montevideo, dove prese contatti con gli altri esuli politici cileni, come Diego José Benavente, e argentini, come Carlos Alvear, che lo aiutarono a pubblicare la Gaceta de un pueblo del Rio de la Plata, edita dall’Imprenta Nacional diretta dai nordamericani William P.Griswold e John Sharp. Anche i suoi fratelli Luis e Juan José, che avevano tentato di rimpatriare via terra per differenti itinerari, furono arrestati, tradotti a Mendoza sotto custodia di Luzuriaga e infine incriminati dalla procura cilena per cospirazione e tradimento. Tolti di mezzo i fratelli Carrera e tornato a Santiago, San Martin vi fondò una filiale della Loggia bonearense Lautaro, il cui statuto impegnava i membri eletti a cariche supreme di governo a sottoporre qualunque decisione di rilievo al parere dei confratelli. In tal modo la direzione strategica della guerra sudamericana veniva di fatto trasferita ad un triumvirato segreto composto da Pueyrredon, San Martin e O’Higgins. Argentini erano Zenteno, ministro di guerra e marina, e il colonnello Luis de la Cruz, che il 10 dicembre 1817, quando O’Higgins partì per il fronte, assunse il direttorato interinale. L’esercito e la marina cileni Intanto il nucleo di ufficiali cileni aggregato all’Ejército de los Andes aveva impiantato a San Felipe il centro di costituzione del nuovo Ejército de Cile, che il 4 marzo contava già 466 fanti e 329 artiglieri comandanti dal

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colonnello Dios Vidal e dal tenente colonnello Joaquin Prieto (1786-1854), futuro presidente cileno. Con decreto 28 marzo fu anche istituita una academia o escuela militar per ufficiali, sergenti e caporali cileni, diretta inizialmente dai maggiori Antonio Arcos e Mariano Necochea, poi sostituiti dal cileno Manuel Labarca e dal francese Georges Beauchef, un giovane veterano delle campagne napoleoniche. Dodici posti di cadetto erano riservati a giovani della provincia di Cuyo (uno dei quali fu Jerònimo Espejo, futuro generale argentino). I due squadroni di escoltas assegnati ai due eserciti di San Martin e O’Higgins furono ridesignati cazadores a caballos (de los Andes e de Chile) e il 1° ottobre quello cileno fu elevato al rango di reggimento (lanceros de Chile) su 4 squadroni, con ufficiali argentini e truppa cilena. Le truppe alleate, salite a quasi 8.000 uomini, restarono suddivise in due Ejércitos - de los Andes a Santiago e de Chile a Concepcion - rispettivamente comandati da San Martin e O’Higgins, entrambi a composizione mista. Il 30 novembre le unità cilene dei due eserciti includevano 4.765 uomini (3.630 fanti, 270 cavalieri, 705 artiglieri e 160 della scuola militare). Circa la metà erano assegnati all’Ejército de Chile, il quale contava 3.726 effettivi su 4 battaglioni (2. 1 e Arauco 2. 3 de Chile, 2. 7 e 2. 11 de los Andes), 7 squadroni (2 granaderos e 1 cazadores argentini e 4 lanceros cileni) e 2 brigate d’artiglieria cilene (Blanco Encalada e Borgogno). La prima unità da guerra cilena fu il brigantino spagnolo Aguila (220 tonnellate e 16 cannoni), sequestrato nel marzo 1817 nel porto di Valparaiso dove, ignaro del reimbarco realista, era arrivato pochi giorni dopo Chacabuco. Posto al comando di Raimundo Morris, un irlandese che serviva nell’artiglieria repubblicana, la sua prima missione fu di riportare a casa i patrioti deportati nelle Isole Juan Fernàndez. In seguito l’Aguila (ribattezzato Pueyrredon) tagliò le comunicazioni tra le basi spagnole del Callao e di Talcahuano catturando il trasporto spagnolo Perla, e più tardi a Valparaiso se ne allestirono altri due (brigantino Rambler e fregata Maria), senza contare il primo corsaro (2. S. de Las Mercedes o La Fortuna) seguito poi da altri cinque. La marcia su Concepcion e il blocco di Talcahuano (19 febbraio - 28 maggio 1817) Come si è accennato le province meridionali (Concepcion e Valdivia) erano ancora saldamente in mano dell’energico colonnello José Ordognez, che aveva un migliaio di regolari, sostenuti da 3 fregate o corvette (Venganza, Esmeralda e Minerva) e 1 brigantino (Potrillo) di base nella piazzaforte marittima di Talcahuano. Quest’ultima era stata fortificata nel 1816 dal famoso ingegnere Atero con due profondi fossati, uno trasversale tra le due rive del promontorio e l’altro perpendicolare, dal Morro (sul fianco sinistro della piazza) all’insenatura dell’isola di Reyes. Ordognez munì il fossato esterno di un ponte levatoio e di varie batterie e sulle alture retrostanti eresse 3 ridotte (Centinela, El Cura e Cabrera) con altri 10 cannoni. La difesa esterna contava la piazza costiera di Arauco, 4 fortini a cavallo del Rio BioBio, le montoneras realiste e le indiadas delle tribù araucane del Litorale (indios angolinos), prezzolate con la libertà di saccheggio. Il 19 febbraio Las Heras partì da Santiago con 800 uomini (2. 11 e

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squadrone Melian), 4 cannoni e 2 obici per marciare su Concepcion, già isolata dai 600 uomini del distaccamento di Ramon Freyre (1787-1851), il futuro successore di O’Higgins. Las Heras raggiunse Talca soltanto il 9 marzo, quando Freyre, stanco di attenderlo, aveva già varcato il Rio Maule. Inoltre Las Heras sostò a Talca due settimane e soltanto il 2 aprile poté riunirsi con Freyre sulla riva destra del Diguillin. Due giorni dopo i patrioti sostarono al mulino di Curapalihue, a 30 chilometri da Concepcion, e la notte sul 5 respinsero - con 11 perdite contro 17 - una sorpresa tentata dal colonnello Campillo col battaglione Concepcion. La sera Las Heras occupò il capoluogo - evacuato dai realisti che si erano chiusi a Talcahuano e nei fortini lungo il Rio Bio-Bio - e il 6 si attestò con 1.248 uomini e 6 pezzi sulle alture del Gavilan, bloccando la piazzaforte. Fin dalle prime ricognizioni, i patrioti si resero conto che le posizioni realiste erano molto più forti del previsto e che non potevano attaccarle con scarsa artiglieria, con l’inverno ormai incipiente e con le retrovie insidiate dai fortini e dalle montoneras. In attesa di O’Higgins, che stava marciando con ingenti rinforzi, Las Heras si limitò a qualche operazione di controguerriglia tra il Bio-Bio e il suo afflente Laja, recuperando 500 vaccine e 100 cavalli. Ma anche Ordognez attendeva rinforzi: 1.000 superstiti di Chacabuco, che il viceré del Perù, Joaquin de la Pezuela, non aveva fatto sbarcare al Callao e aveva rispedito a Talcahuano con un convoglio di 4 mercantili scortati dal brigantino armato Pezuela (exJustiniano). La notte sul 5 maggio, non appena avvistato il convoglio di soccorso, i realisti fecero una sortita contro il Gavilan e all’alba attaccarono su due colonne, Ordognez a destra lungo il Bio-Bio e Morgado a sinistra. Las Heras, che si attendeva il colpo, lo parò cambiando la posizione del N. 11 e facendo caricare i granaderos. Dopo aver ripiegato sul Cerro del Chepe, Ordognez attese l’assalto di Morgado, respinto da Freire con un contrattacco alla baionetta. Allora i realisti si ritirarono in buon ordine, lasciando sul campo 120 morti, 80 prigionieri, 58 feriti, 3 cannoni e 200 fucili, contro 6 morti e 73 feriti dei patrioti. Las Heras approfittò del successo per sloggiare i realisti dalla linea del BioBio. L’8 maggio la partida del capitano Cienfuegos prese Los Angeles e il 13 il fortino di Nacimiento, perdendo 20 uomini su 70. Con altri 300 Las Heras occupò anche San Pedro raggiungendo poi Cienfuegos a Santa Juana. I piccoli presidi realisti erano ripiegati ad Arauco, sulla omonima baia a Sud di Talcahuano, trincerandosi con 200 uomini e vari cannoni sulla sinistra del Rio Carampangue, già ingrossato dalle prime piogge invernali. Il 26 maggio O’Higgins, giunto nel frattempo a Concepcion, ordinò a Freyre di prendere Arauco. La notte sul 28, sotto una pioggia torrenziale, Freyre guadò il Carampangue con 50 cavalli, ognuno con due uomini in groppa, piombando di sorpresa sul fianco nemico. Perse 15 uomini, per lo più annegati, contro 45 morti e 40 prigionieri nemici e all’alba entrò nel villaggio. Gli assalti di Talcahuano e la ritirata di O’Higgins (23 luglio - 6 dicembre 1817) Coi rinforzi di O’Higgins l’esercito di Concepcion salì a 1.984 uomini, inclusa la Division volante di Freyre. Il 22 luglio, dopo altre settimane di

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scaramucce tra pattuglie, il direttore supremo tentò l’investimento di Talcahuano, ma le artiglierie del maggiore Manuel Borgogno (Burgoyne) furono subito smontate dal tiro di controbatteria della piazzaforte e un violentissimo temporale mise fuori uso un decimo dei patrioti e l’intera dotazione di cartucce da fucile (30.000). Resosi conto che non era possibile sfidare i rigori dell’inverno con appena 60 tende non impermeabili, il giorno seguente O’Higgins dovette rientrare a Concepcion. Da agosto a ottobre si intensificarono le incursioni dei guerriglieri realisti e dei loro alleati araucani. Il 5 e il 7 agosto contro Chillan e Tomé, difese da Pedro de Arriagada e Félix Bogado, poi soprattutto contro Arauco, difesa da Freire e poi dal capitano argentino Agustin Lopez, ma saccheggiata e incendiata il 17 settembre dai montoneros cileni di Manuel Pinuer e Vicente Benavides e da un migliaio di lancieri araucani - che assediarono il fortino, senza poter impedire al maggiore argentino Juan Ramon Boedo di entrarvi con una colonna di soccorso di 200 uomini. Il 19 Lopez e Boedo fecero una sortita ricacciando l’indiada nel suo nido, sulle colline di Tubul. Riuniti 500 uomini ad Arauco, Freyre marciò su Tubul e all’alba del 27 piombò su 100 guerriglieri e 500 indiani, facendone grande strage. Malgrado ciò O’Higgins gli ordinò di radere al suolo Arauco, ritenuta non difendibile. Ai primi di ottobre un’indiada di 200 guerriglieri e 2.000 araucani dilagò oltre il Bio-Bio occupando San Juan, varcando il Lajo e spingendosi a Nord fino alla riva sinistra del Rio Nuble per minacciare Chillan. Il 15 Lopez riprese San Juan con 120 uomini, mentre due colonne spiccate da Concepcion (capitano José Maria de la Cruz) e Chillan (tenente colonnello Pedro Ramon Arriagada) convergevano sull’Isola del Lajo e poi su Los Angeles per tagliare la ritirata all’indiada. Ma un’altra banda, rimasta sulla sinistra del Bio-Bio, attaccò Nacimiento, difesa dal vecchio colonnello Andrés de Alcàzar con un’indiada rivale reclutata fra gli araucani della zona andina. Soccorso da Arriagada e Lopez, il 18 Alcàzar liberò la piazza con una sortita, gettandosi poi all’inseguimento degli indiani che rimontarono il Bio-Bio dalla sponda destra, devastando Los Angeles, San Carlos, Santa Barbara e Tucapel. Il 23 Lopez li sorprese a Santa Barbara, facendone strage, recuperando 10.000 capi di bestiame razziato e ricacciandoli a Sud del fiume. Ma la banda di Nacimiento fece ancora a tempo ad attaccare il villaggio. A questa grande incursione, costata 250 morti ai guerriglieri e agli araucani del litorale, seguì subito dopo quella di una banda di briganti e araucani andini comandata da José Antonio Pinheiro. Scesa dalla Cordigliera, la banda piombò su Chillan, difesa da pochi regolari e dalla cavalleria miliziana di Cauquenes del colonnello Juan de Dios Urrutia. Ma anche stavolta i banditi furono messi in fuga seminando 43 morti, 64 prigionieri, 100 cavalli e molte armi. Ottenuti nuovi rinforzi da Santiago, il 25 novembre O’Higgins avanzò con 3.300 uomini a Cerro Perales, a tiro di cannone dalla piazza, difesa da 1.700 uomini con 40 obici e cannoni. Rinunciando al suo disegno di attaccare i due punti più vulnerabili, sul lato di San Vicente, il generale si era lasciato persuadere dal suo capo di stato maggiore - il francese Michel Brayer, vecchio generale napoleonico - ad attaccare il Morro, meglio difeso ma decisivo. Il 29 novembre, mentre O’Higgins e Brayer preparavano l’attacco, la fregata

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Minerva (una unità spagnola catturata ad Arica dal corsaro cileno La Fortuna) intercettò il brigantino spagnolo Santa Maria de Jesus, partito dal Callao il 5 per rifornire Talcahuano. I prigionieri rivelarono che al Callao si stava allestendo una grande spedizione con 3.000 veterani della guerra Peninsulare comandata dal brigadiere Mariano Osorio. Professore di matematica al Colegio Militar di Lima, Osorio si accingeva a ripetere l’impresa dell’agosto 1814, quando era sbarcato a Talcahuano e aveva schiacciato a Rancagua la prima repubblica cilena. Non appena informato, San Martin pensò a fortificare Valparaiso e riunire i due eserciti repubblicani, distanti tra loro 400 chilometri. Mentre ordinava ai suoi 4.000 uomini di spostarsi da Santiago a Las Tablas per marciare a Sud, spedì a O’Higgins l’ordine di sospendere l’attacco su Talcahuano e ritirarsi immediatamente oltre il Maule, lasciando al nemico terra bruciata. Quest’ordine raggiunse O’Higgins quando aveva già fallito il suo attacco contro Talcahuano. Approfittando del forte vento del Nord che impediva alle navi nemiche di uscire dal porto, la notte sul 6 dicembre la brigata Las Heras aveva attaccato il Morro e la ridotta del Cura, mentre la brigata Conde effettuava una diversione contro il centro e il fianco destro nemico. Il reparto di testa, comandato dal francese Georges Beauchef, era riuscito a penetrare di sorpresa nella linea nemica e a prendere il Morro, ma non ad abbassare il ponte levatoio dal quale doveva irrompere Freyre con la cavalleria. All’alba l’assalto contro la ridotta Cabrera era stato spezzato dal contrattacco della riserva realista ed erano entrate in azione anche le artiglierie navali. Così O’Higgins aveva dovuto ordinare la ritirata, dopo aver inchiodato i cannoni del Morro, lasciando sul campo 150 morti e 230 feriti (le perdite realiste furono leggermente inferiori). La spedizione di Osorio e la sorpresa di Cancha Rayada (10 gennaio - 19 marzo 1818) Osorio sbarcò a Talcahuano il 10 gennaio 1818. Dieci giorni più tardi O’Higgins raggiungeva Talca, completando la lenta ritirata su tre colonne parallele, dopo aver fatto terra bruciata davanti al nemico. I profughi di Concepcion furono fatti proseguire per Santiago e il 2 febbraio O’Higgins firmò a Talca la dichiarazione d’indipendenza e un manifesto alle nazioni straniere, retrodatandoli al 1° gennaio, da Concepcion. L’atto fu pubblicato a Santiago dieci giorni più tardi, nel primo anniversario di Chacabuco, e giurato in ginocchio da San Martin, dal direttore interinale colonnello de la Cruz e da tutte le autorità repubblicane. Lo stesso giorno giurò a Talca anche l’Ejército de Chile, inclusi i reggimenti argentini. Il 25 febbraio l’esercito di O’Higgins marciò incontro a quello di San Martin, sostando a Curicò dal 27 al 7 marzo, mentre Osorio varcava il Maule con 5.000 uomini e occupava Talca. Il 10 marzo i due eserciti alleati, in tutto 6.600 uomini, si riunirono a Chimbarongo e il 13 marciarono insieme verso San Fernando, con l’intenzione di avvolgere il nemicodal fianco orientale. Il 14 Osorio accampò a Camarico e si ebbero i primi scontri a Quechereguas e Lircay e sulle sponde del Talca. Intuita la manovra patriota, Osorio la frustrò ripiegando a Talca, mentre gli alleati accamparono a Cancha Rayada. Alle 20 del 19 marzo, appreso da una spia che Osorio era uscito da Talca

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con 3.500 uomini, San Martin cambiò lo schieramento. Ma soltanto 2.000 uomini - la 1a Division de Chile del colonnello argentino Hilarion de la Quintana, comandata interinalmente da Las Heras - ebbero il tempo di completare la manovra. Alle 21, infatti, comparve l’esercito realista, sfilando sotto le nuove posizioni cilene. Las Heras gli fece tre scariche causandogli 300 perdite, ma Osorio proseguì la marcia piombando sul grosso dell’esercito mentre stava ancora levando il campo e soltanto l’avanguardia di Alvarado poté sganciarsi e riunirsi a Las Heras, salvando così altri 1.500 uomini. Gli alleati persero soltanto 120 morti e 170 feriti, ma anche tutta l’artiglieria (26 pezzi e il parque) e tutte le provviste. Ferito ad un braccio, O’Higgins si ritirò disperato a Nord del Lircay e di lì a Santiago, mentre San Martin e Las Heras riordinavano circa 4.000 superstiti a Pelarco e Chimbarongo. Nonostante le cautele, il 31 marzo la notizia del disastro trapelò a Santiago, gettando nel panico i repubblicani, che si prepararono ad emigrare nuovamente, come avevano fatto nel 1814 dopo la disfatta di Rancagua. A Mendoza la portò un sottotenente d’artiglieria, seguito poco dopo da Bernardo de Monteagudo, il dispotico avvocato tucumano che nel 1812 aveva fondato la Sociedad Patriotica e nel 1817 aveva sostituito Zenteno quale segretario politico di San Martin. A farne le spese furono i due fratelli dell’ex-presidente cileno detenuti nel capoluogo cuyano. Dalle loro celle non avevano smesso di complottare, tentando di sollevare la guarnigione, mentre il loro fratello era fuggito dal carcere di Buenos Aires salvandosi a Montevideo, dove si accingeva a far vela su Santiago con la sua flottiglia personale. Credendo che a Cancha Rayada l’esercito alleato fosse stato interamente distrutto, il governatore Luzuriaga si preoccupò di togliere di mezzo i rivali di O’Higgins, potenziali referenti di una sollevazione nazionalista contro il proconsole della borghesia portegna che, per la seconda volta, sembrava aver condotto alla catastrofe l’indipendenza cilena. Luzuriaga fece fucilare i Carrera l’8 aprile, senza sentenza (“sin previa consulta”), sulla semplice base della requisitoria del fiscale cileno, rimaneggiata da Monteagudo per ordine dello stesso governatore interinale. Quella sera stessa giunse al galoppo un messaggero di San Martin con l’ordine di sospendere ogni procedura contro i Carrera e la notizia della splendida e decisiva vittoria riportata tre giorni prima a Maipù. La vittoria di Maipù (5 aprile 1818) Dopo la sorpresa di Cancha Rayada, San Martin si era ritirato alle porte di Santiago, formando un campo di istruzione. Il 2 aprile avanzò con 6.443 regolari e 21 cannoni pochi chilometri a Sud, fino al bivio per Melipilla e Lonquen, attestandosi sul ciglio meridionale della Loma Blanca (cerrillos di Maipo) che dominava le strade per Santiago e Valparaiso. Intanto O’Higgins, lottando con la febbre della ferita mal curata, fortificava Santiago, reclutando un esercito di riserva con 200 husares de la muerte e la leva in massa. Dopo una scaramuccia presso Rancagua coi granaderos del capitano Miguel Caxaraville, Osorio aveva passato il Rio Maipo al guado di Lonquén, obliquando poi a sinistra per la strada di Maipù e Valparaiso, con

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l’intento di aggirare il fianco destro di San Martin e cadere alle spalle della capitale. La sera del 4 aprile i realisti bivaccarono nel caserio dell’Espejo, 30 chilometri a Sud-Ovest dell’ignaro Ejército Unido. Soltanto all’alba del 5, domenica, San Martin apprese dalle avanzate di Freyre e José Antonio Melian che i realisti stavano per sfilare sul suo fianco destro e si affrettò a ruotare il fronte, avanzando di una decina di chilometri e schierandosi su due linee lungo il ciglione occidentale della Loma Blanca, con la cavalleria a l’artiglieria cilena alle ali e la batteria andina al centro e con una forte riserva (Quintana) 150 metri più indietro. La manovra nemica costringeva Osorio a mutare il suo piano, per non correre il rischio di essere colto sul fianco destro dall’intero esercito nemico. Dopo aver valutato l’opportunità di ritirarsi, all’ultimo momento decise di dare battaglia. Benchè inferiore di forze e soprattutto di cavalleria e artiglieria, fidava infatti nella superiorità qualitativa dei suoi reggimenti peninsulari (Infante don Carlos e Burgos), gli stessi che dieci anni prima, nel luglio 1808, avevano sconfitto i francesi alla battaglia di Bailen. Di conseguenza anche Osorio avanzò di una dozzina di chilometri sui cerrillos a Nord-Est del caserio, schierandosi di fronte al nemico. Le due alture, distanti dai 5 ai 3 chilometri, erano separate dalla hondonada del Llano di Maipo, dominato dai campi di tiro di entrambe le artiglierie avversarie (21 pezzi alleati e 14 realisti). L’Ejército Unido (San Martin e brigadiere Antonio Gonzalez Balcarce) contava 6.443 uomini (inclusi 372 ufficiali) su 3 Divisioni al comando dei colonnelli argentini Las Heras, Alvarado e Quintana: .1a Division o Derecha (Las Heras): 2.371 (135 ufficiali) con 3 battaglioni (2. 11 de los Andes, Cazadores de Coquimbo e Infantes de la Patria al comando di Guerrero, Isaac Thompson e Bustamante), 4 squadroni granaderos y escolta de San Martin (Zapiola, Necochea e Bueras) e 8 cannoni (1° grupo de Chile di Manuel Blanco Encalada); .2a Division o Izquierda (Alvarado): 2.351 (134 ufficiali) con 3 battaglioni (cazadores de los Andes; 2. 8 de los Andes; 2. 2 de Chile comandati da Sequeira, E. Martinez e I. B. Caceres), 4 squadroni (lanceros de Chile y escolta de O’Higgins, comandati da Freyre e Ramirez de Arellano) e 9 cannoni (2° grupo de Chile di Borgogno); .Division de Reserva (Quintana): 1.721 (103 ufficiali) con 3 battaglioni (2. 7 de los Andes, 2. 1 e Arauco 2. 3 de Chile al comando di Conde, Rivera e Lopez), 1 squadrone escolta (Pizarro) e 4 cannoni (artilleria de los Andes di Reglado de la Plaza).

Osorio aveva circa 5.000 uomini (un numero imprecisato di ufficiali e 4.670 sergenti e militari di truppa) su 3 brigate, comandate dal brigadiere José Ordognez e dai colonnelli José M. Baeza e Joaquin Primo de Rivera (capo di stato maggiore): .1a Brigada Derecha (Ordognez) con 2 battaglioni (2° Infante don Carlos e Concepcion), 1 compagnia zapadores, 3 squadroni (Lanceros del Rey, Dragones de Arequipa e de Chillan) e 4 cannoni (compagnia a caballo); .2a Brigada Centro (Baeza) con 2 battaglioni (2° Burgos e Arequipa), 2 squadroni (Dragones de la Frontera) e 4 cannoni (compagnia a pie); .Reserva o 3a Brigada Izquierda (Primo de Rivera) con 1 battaglione misto (le 8 compagnie scelte - granaderos e cazadores - dei 4 battaglioni di fanteria) e 4 cannoni.

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Grazie alle spie e alla ricognizione, entrambi gli avversari conoscevano perfettamente le reciproche posizioni e sapevano che quella che si apprestavano a combattere sarebbe stata la battaglia decisiva. Per un paio d’ore si fronteggiarono in silenzio, consapevoli dei rischi di un attacco e sperando che l’avversario facesse la prima mossa. I rischi peggiori li correvano i patrioti, perchè anche attaccando nel punto più vicino, dovevano comunque percorrere mille metri allo scoperto sotto il fuoco del nemico. Alla fine, poco prima di mezzogiorno, San Martin fece aprire il fuoco, per rilevare dalla risposta nemica l’esatta posizione delle sue batterie. Ciò gli consentì di comprendere che il punto più debole di Osorio era l’ala destra. Fece allora un diversivo dalla parte opposta, mandando all’attacco il 2. 11, che resse la carica della cavalleria realista (Morgado), a sua volta controcaricata dai granaderos di Zapiola. Intanto, all’altro capo del fronte, la fanteria di Alvarado retrocedevano sotto il fuoco della destra nemica. Ordognez provò a inseguirli con quasi tutta la fanteria realista (3.500), a sua volta accolta a mitraglia dalla batteria cilena di Borgogno. Quest’ultima fu attaccata dalla cavalleria realista, giunta fino ai pezzi ma subito volta in fuga dalla carica dei lanceros cileni di Freyre e Bueras, che venne ucciso. San Martin ordinò allora l’attacco generale, spiccando la riserva contro la sinistra e avanzando tutta l’artiglieria in appoggio a Las Heras e Alvarado per attaccare il centro e la destra nemici. Ma i 4 battaglioni di Baeza e Ordognez formarono i quadrati, sostenendo bravamente mitraglia, fucileria e cariche di lanceros. Lanceros cileni e cazadores andini travolsero le compagnie scelte nemiche, investendo poi con Alvarado il valoroso quadrato di Burgos. Alle 2 e mezza del pomeriggio Osorio fece suonare la ritirata. Decimata ma in ordine, tutta la fanteria realista ripiegò nel caserio, dove si trincerò fortemente, in attesa di potersi sganciare e ritirare col favore delle tenebre. Intanto protesse la ritirata di Osorio e della cavalleria. Benchè stremato, l’esercito patriota tallonò la fanteria nemica, avanzando tutta l’artiglieria, inclusa quella appena catturata. In quel mentre dalla capitale arrivò O’Higgins, in testa agli husares de la muerte e alle milizie di Aconcagua, Colchagua e Santiago, comandate dai colonnelli Tomas Vicugna, José Maria Palacios e Pedro Prado e seguite dai cadetti dell’Escuela Militar e da grande moltitudine di cittadini. Alle 17, dopo aver abbracciato il suo compagno d’armi cileno, San Martin ordinò l’attacco generale, che fu respinto. Intervenuta l’artiglieria, il secondo assalto ebbe successo. Poi fu matanza, casa per casa. Sul campo di battaglia i realisti lasciarono 1.300 morti e 2.289 prigionieri (inclusi 74 ufficiali), 12 cannoni, 4.000 fucili e 1.200 terzarole. Le perdite alleate ammontarono a 800 morti e 1.000 feriti. Il dominio del mare (21 maggio - 31 agosto 1818) Dall’Espejo scamparono soltanto 700 fanti e soltanto 90 arrivarono a Concepcion.Nello stesso tragitto anche la cavalleria realista perse 200 uomini in scontri di retroguardia, specialmente coi granaderos di

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Caxaraville. Ma c’erano ancora forti guarnigioni realiste a Talcahuano e Valdivia e nell’Arcipelago di Chiloé (colonnelli Francisco Sanchez, Hojo e Quintanilla) e le province meridionali erano ancora in maggioranza fedeli ai francescani e decise a combattere por la Virgen y por el Rey. Inoltre il 21 maggio, ancora ignaro di Maipù, era partito da Cadice un convoglio di 11 trasporti con 2.000 veterani spagnoli, scortato dalla poderosa fregata Maria Isabel (1.220 tonnellate e 44 cannoni). Tuttavia, giunto a Trinidad, uno dei trasporti si ammutinò, raggiungendo La Boca e consegnando al governo argentino le istruzioni del convoglio con l’elenco dei rendez-vous e il codice di segnalazione della marina spagnola, pervenuti a Santiago il 16 settembre. A Santiago si aveva perfettamente chiaro che per liberare le province meridionali e il Peru occorreva conquistare il dominio del mare. Durante la missione compiuta a Buenos Aires dopo Chacabuco, fallito il tentativo di impadronirsi delle 3 navi che Carrera aveva lasciato a Montevideo, San Martin aveva inviato un suo agente ad acquistarne altre negli Stati Uniti. Allo stesso scopo O’Higgins aveva spedito a Londra l’ingegnere Alvarez Condarco, che già nel gennaio 1818 stava ingaggiando alcune centinaia di marinai e ufficiali scozzesi, incluso l’audace Lord Thomas Cochrane (17751860), conte di Dundonald, radiato nel 1814 dal parlamento e dalla Royal 2avy per essersi schierato con l’opposizione e futuro campione dell’indipendenza cilena, peruviana, brasiliana e greca, che, tra le altre benemerenze militari, finanziò di tasca propria la costruzione della prima nave da guerra a vapore del Sudamerica (Estrella 2acional), consegnata al Cile nel 1822. Forzando il blocco spagnolo, il primo lotto di marinai inglesi era giunto a Valparaiso già nell’aprile 1818, con una fregata da 850 tonnellate e 46 cannoni (Windham, ribattezzata Lautaro) acquistata per 180.000 pesos da Alvarez Condarco e comandata da George O’Brien. L’ufficiale era perito il 27 aprile, alla prima missione, tentando di impadronirsi dell’Esmeralda, ammiraglia della squadra spagnola del Callao (presa in porto, due anni dopo, da Cochrane). Ma subito dopo la Lautaro aveva catturato in mare due milionari realisti di Santiago, costretti dal governo a pagare un riscatto di quasi mezzo milione di pesos, proprio la somma che occorreva per impiantare la marina cilena. Il governo ne spese infatti 263.000 per acquistare 3 mercantili, uno inglese (vascello da 1.300 tonnellate San Martin) e due nordamericani (corvetta Chacabuco e brigantino Araucano) armandoli con 64, 20 e 16 cannoni. Intanto Manuel Blanco Encalada organizzava la marina, impiantando l’Accademia dei guardiamarina e il Batallon de infanteria de marina comandato dal tenente colonnello Charles (caduto a Pisco il 12 novembre 1819). Nell’agosto 1818 la squadra di Valparaiso contava 2 unità maggiori (San Martin e Lautaro) e 3 minori (Chacabuco, Araucano e Pueyrredon) con 158 cannoni e 1.209 marinai e marinos: una forza già equivalente a quella della squadra spagnola del Callao comandata dal capitano di vascello Luis Coig (2 fregate da 44 cannoni, 2 corvette da 34 e 2 brigantini da 18 e 16). Alla squadra si aggiungevano 7 corsari cileni, uno dei quali (La Rosa de los Andes) scorreva la costa atlantica della Nueva Grenada.

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L’incursione navale su Talcahuano (23-28 ottobre 1818) A riprendere Talcahuano e Concepcion furono destinati Freire con 1.600 uomini e Blanco Encalada con 4 navi. Malgrado la chiusura dei porti decretata a scopo di sicurezza dal governo cileno, una goletta nordamericana fece in tempo ad informare El Callao dell’imminente spedizione navale da Valparaiso e Pezuela mandò subito a rifornire Talcahuano e riprendere Osorio, imbarcatosi l’8 settembre e arrivato al Callao il 23. Un mese più tardi, il 23 ottobre, Blanco Encalada doppiò Talcahuano e dette fonda nella baia di Arauco, dove intendeva intercettare il convoglio spagnolo in arrivo dal Capo Horn. Qui apprese di essersi lasciato sfuggire i primi 4 trasporti che avevano già sbarcato 600 rinforzi - e soprattutto la famosa fregata Maria Isabel, già ormeggiata al sicuro sotto il cannone della fortezza. Ma il 28 ottobre, coperto dal fuoco della San Martin e della Lautaro e con 50 marinos, il tenente Bell sorprese la guardia di 70 marinai spagnoli lasciata a bordo della fregata, respingendo poi per ore, in attesa del vento favorevole, ogni tentativo del nemico di riprenderla o incendiarla. All’alba del 29 Bell tagliò gli ormeggi raggiungendo incolume la squadra cilena. Nei giorni successivi, ingannandoli con la bandiera e le segnalazioni spagnole, Blanco Encalada catturò anche gli altri 5 trasporti - man mano che arrivavano al rendez-vous dell’Isola di Mocha - facendo prigionieri i militari spagnoli e le famiglie degli ufficiali. Nell’entusiasmo del successo, il senato cileno dette alla fregata predata il nome del direttore O’Higgins, a sua volta insignito del titolo di Gran Mariscal. Cochrane, arrivato in novembre a Valparaiso per assumere il comando in capo della marina cilena col grado di viceammiraglio, vi issò la propria insegna il 23 dicembre, lasciando il vascello San Martin al contrammiraglio Blanco Encalada, retrocesso a comandante in seconda. Nel frattempo la flotta si era arricchita di altri 2 brigantini inglesi - il trasporto Intrepido donato dal governo argentino e il Galvarino, da 18 cannoni, acquistato per 70.000 pesos dal rappresentante cileno a Buenos Aires salendo alla forza di 7 unità d’altura, con 220 cannoni e 1.600 uomini d’equipaggio. La riconquista di Concepcion (24 novembre 1818 - 17 febbraio 1819) Più lenta della squadra, la spedizione terrestre su Concepcion varcò il confine della provincia soltanto il 24 novembre. Rifiutata da Sanchez l’intimazione di resa, il 19 dicembre Freire avanzò con 1.600 uomini e 4 cannoni, occupando facilmente Chillan e infliggendo 50 perdite alla retroguardia realista. A temporeggiare era però soprattutto San Martin. In novembre i governi cileno e argentino avevano approvato la spedizione in Peru, ma, come meglio diremo più avanti, il piano strategico concepito dal capitano generale argentino puntava a logorare il nemico evitando battaglie campali e preparando il terreno per un accordo politico che conciliasse l’indipendenza dalla Spagna con il mantenimento dell’unità geopolitica del continente subamazzonico, possibilmente nel quadro di una monarchia sudamericana. Concepcion, dove la causa realista godeva di un forte sostegno popolare, era il terreno adatto per sperimentare la strategia concepita per il Peru. Per questo San Martin, dopo aver catturato Vicente Benavidez, il leggendario

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capo della guerriglia realista, l’aveva rimandato libero tra i suoi, sperando che mantenesse la promessa di seminare dissensi e raccogliere defezioni. Al contrario diffidava di Freire, troppo impaziente e settario per poter vincere senza combattere. Così San Martin convinse O’Higgins a metterlo in subordine a Gonzalez Balcarce, giunto a Chillan il 26 dicembre. Con i rinforzi portati dal fedele e flemmatico brigadiere argentino, l’esercito meridionale salì a 3.385 regolari, un terzo argentini (cazadores di Alvarado e granaderos di Manuel Escalada) e il resto cileni (2. 1 e 2. 3 de Chile, escolta directorial e 8 cannoni). Finalmente il 15 gennaio 1819 Balcarce si mise in marcia verso Santa Fe, distaccando 200 uomini con Freyre su Quellon e Yumbal. Alvarado e Escalada, che formavano l’avanguardia di Balcarce, arrivarono al Rio Laja troppo tardi per impedire alla forza d’osservazione nemica di guadarlo al Salto e quando occuparono Santa Fe e Los Angeles, i 2.000 realisti di Sanchez avevano già guadagnato la sinistra del Bio-Bio, pur lasciandosi dietro 5 cannoni, armi, munizioni, una parte del bagaglio e, soprattutto, i primi disertori. Balcarce attese il 29 per passare il Bio-Bio e occupare senza resistenza Nacimiento e infine Concepcion, consentendo a Sanchez di ritirarsi per le colline sulla sinistra del Vergara e rifugiarsi nelle reducciones degli indios angolinos. Arrivati in mille a Tucapel, il 6 febbraio i realisti tennero consiglio di guerra: Sanchez (in seguito disapprovato dal viceré Pezuela) scelse di ritirarsi a Valdivia con i profughi realisti e con quanti soldati volevano seguirlo, lasciando gli altri liberi di restare alla frontiera con Benavidez per darsi alla guerriglia. Convinto di aver esaurito il proprio compito, il 17 febbraio Balcarce ripartì per Santiago con i 2 reggimenti argentini, lasciando i cileni a Concepcion, Los Angeles e Yumbal.

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3. L’IMPLOSIONE DELL’ARGENTINA (1817-23)

Il crollo del “protettorato” artiguista del Litorale (26 dicembre 1817 - 22 gennaio 1820) La vittoria di Maipu e la fucilazione di fratelli Carrera, invano denunciata da José Miguel in un famoso Manifiesto a la América, ebbero contraccolpi indiretti anche nel Litorale rioplatense. La fedeltà delle milizie guaranies e il vessillo federalista impugnato da Artigas contro l’arroganza e l’egoismo della borghesia portegna non erano sufficienti per consolidare una vera confederazione politica fra le tre province “libere” del Litorale. Dopo l’occupazione portoghese di Montevideo, Artigas si era messo sulla difensiva, per conservare almeno il controllo di Corrientes, Entre Rios e Santa Fe tramite i suoi luogotenenti Andresito, Francisco Ramirez e Mariano Vera. Nella parte occidentale della provincia mesopotamica dominava però José Eusebio Heregnù, il quale non riconosceva l’autorità di Ramirez, pretendendo di dipendere direttamente da Artigas. Impressionato dai successi portoghesi, nel secondo semestre del 1817 Heregnù aveva avviato una trattativa segreta con Pueyrredon e in dicembre aveva chiesto anche una protezione militare. In aiuto di Heregnù era stato spiccato il colonnello Luciano Montes de Oca, ma, con abili negoziati dilatori, Ramirez lo aveva trattenuto il tempo necessario a ricevere rinforzi e il 26 dicembre lo aveva sconfitto completamente all’arroyo de Ceballos, consolidando la propria supremazia. Ma Artigas non gli consentì di estenderla anche alla parte occidentale del territorio entrerriano, preferendo mettervi a capo José Ignacio Vera, fratello del suo luogotenente santafesino. Fuggito a Buenos Aires, Heregnù tornò con le truppe di Balcarce e von Holmberg, sollevando le milizie comarcali di Gualegaychù e Gualeguay. Ma il 25 marzo 1818 Ramirez decimò i bonearensi a Saucesito, costringendoli a reimbarcarsi e assicurandosi il controllo totale della provincia. A questo punto il caudillo, pur restando formalmente alleato di Artigas, si rese del tutto indipendente, sostituendo i capi comarcali con i suoi ufficiali e organizzando un esercito ben più disciplinato delle milizie artiguiste e delle stesse truppe nazionali. Anche ad Entre Rios, come nelle altre province del Nordovest e del Litorale, il nerbo restava però la cavalleria miliziana: combattevano come i parti, con rapidi attacchi e finte ritirate per attirare la cavalleria regolare lontano dalla fanteria e dai cannoni e dividerla in piccoli reparti isolati da distruggere con le imboscate. Intanto, dalla Banda Oriental, il colonnello portoghese Chagas aveva invaso anche il “santuario” artiguista di Corrientes, penetrando fino alla riva sinistra del Paranà. Sconfitto a Nord della cittadina il 3 aprile 1818, Andresito vinse il 21 maggio e il 14 giugno a Queguay e Chapicuy (presso Guaviyù). Ma il 25 maggio la guarnigione veterana del capoluogo depose il governatore artiguista, iniziando un cauto riavvicinamento a Buenos Aires, subito troncato da una rapida incursione di guaranies capeggiata da Andrés

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Artigas. Sul fronte dell’Uruguay, il 4 luglio 100 irregolari riogradensi guidati dal generale portoghese Bentos Manuel occuparono di sorpresa il campo artiguista del Queguay Chico, dove il giorno dopo furono annientati da José Fructuoso Rivera. Il 3 ottobre toccò ai portoghesi respingere un analogo colpo di mano tentato da Rivera al Rabon. Il 15 giugno 1819 il colonnello Abreu catturò Andresito al passo di Hacurupì, sul Rio Camacuan, a Nord di San Borje. Invaso nuovamente il Rio Grande, il 14 dicembre Artigas sconfisse Abreu a Santa Maria (o Guirapita), infiggendogli 500 perdite e inseguendolo poi per 45 chilometri prima di essere ricacciato a Corrientes dai rinforzi portoghesi. Il conte di Figueiras varcò poi il confine con 3.000 uomini, fronteggiato da Andrés Latorre (che in assenza di Artigas comandava l’esercito orientale) con 2.000, battendolo in dicembre alla quebrada di Belarmino e il 22 gennaio, a Tacuarembò-Chico. Questa vittoria decisiva e la defezione del prestigioso Rivera (nominato dai portoghesi comandante generale di campagna), consentirono a Lisbona di proclamare, l’anno seguente, l’annessione della Provincia Cisplatina, conservata sino alla guerra del 1825. La guerra santafesina (8 ottobre 1818 - 12 aprile 1819) Nel luglio 1818 anche Santa Fe si emancipò dal protettorato di Artigas. Estanislao Lopez, ora colonnello e comandante delle truppe di frontiera santafesine, rovesciò infatti Mariano Vera, che si imbarcò sul Paranà con la sua fedele milizia di pardos y morenos. Eletto governatore, Lopez confermò tuttavia la completa autonomia santafesina dal governo direttoriale. Puerreydon, che gli osservatori inglesi qualificavano tory, aveva cercato di superare la crisi decretando la restrizione del corso legale, suscitando però l’immediata reazione della fazione whig, al punto che in agosto fu costretto a spedire al confino, assieme a Manuel Sarratea, anche Miguel Yrigoyen e Juan Pedro Aguirre, uno dei massimi esponenti del potere finanziario, custode di molti segreti della 2omenklatura portegna. Reagendo all’attacco della milizia cordobese, fedele al governo direttoriale, il 7 ottobre 1818 Lopez attaccò senza successo le forze del colonnello Juan Bautista Bustos a Fraile Muerto (odierna Bell-Ville), ma riuscì poi a fermare i rinforzi regolari spediti da Tucuman, impadronendosi della loro caballada. Lopez si volse poi a Sud, attestandosi al passo di Aguirre, per sbarrare la strada di Santa Fe alla colonna bonearense condotta da Balcarce. Quest’ultimo, aggirata la posizione, entrò nel capoluogo ribelle il 27 novembre: ma il giorno dopo Lopez sorprese e annientò 600 regolari del colonnello Rafael Hortiguera e mise il blocco alla città. Così il 4 dicembre, esausto e demoralizzato, Balcarce iniziò la ritirata. Nel gennaio 1819, a causa di un incidente domestico, Pueyrredon chiese un congedo provvisorio, lasciando il direttorato interinale al brigadiere Rondeau, il quale ordinò a Balcarce di tornare a Santa Fe. La marcia delle truppe direttoriali fu però ostacolata anche dall’armata autonoma dell’inglese Campbell, che il 26 gennaio 1819, a Pergamino, sconfisse il colonnello Francisco Pico. Finalmente, l’8 febbraio, Balcarce si congiunse a San Nicolas con la colonna di Viamonte, accorsa dalla capitale e, con un esercito di 2.400 uomini, respinse facilmente, a cannonate, l’attacco abbozzato dalla cavalleria santafesina. Lopez si volse allora su Cordoba,

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fallendo il 18 e 19 due attacchi contro il passo dell’Herradura, saldamente difeso da Bustos con 700 cordobesi. Intanto Viamonte avanzava da San Nicolas, distaccando 400 uomini con Hortiguera a ripulire la destra del Paranà dalle montoneras santafesine. Ma il 10 marzo Lopez lo intercettò a Carcaranà, obbligandolo a retrocedere a Rosario e determinando una situazione di stallo conclusa dall’armistizio di San Lorenzo del 12 aprile 1819. Il ritiro di San Martin a Mendoza (1819) Come abbiamo accennato, nel novembre 1818 il senato cileno approvò l’Expedicion Libertadora del Peru e il governo argentino si impegnò a coprire metà del costo finanziario, ottimisticamente stimato sul milione di pesos. Ma l’aggravamento della crisi economica e del dissesto finanziario rese presto evidente che Buenos Aires non era in condizione di onorare il suo impegno. Nell’aprile 1819 i devastanti effetti politici dell’armistizio di San Lorenzo si sommarono alla psicosi di uno sbarco spagnolo e alla “congiura dei francesi” scoperta a Buenos Aires, e finita con la fucilazione degli ufficiali Robert e Lagresse. Proprio in quel momento il governo argentino ricevette un rapporto allarmistico di San Martin sulla situazione economica cilena, nel quale il capitano generale sosteneva che mancavano le risorse per la spedizione militare in Peru e annunciava il suo prossimo rientro a Mendoza. A seguito di questo rapporto Pueyrredon ordinò il ritiro dell’Ejército de los Andes, un ulteriore colpo al Cile, ancora impegnato dalla resistenza realista nelle province meridionali. Il disimpegno argentino sembrava una pugnalata alle spalle, vibrata proprio mentre Cochrane, domato un ammutinamento sulla Chacabuco, bloccava e umiliava la squadra spagnola sotto i forti del Callao (10 febbraio - 8 maggio) e scorreva la costa del Peru e di Guayaquil, predando la goletta contrabbandiera Moctezuma, 10 mercantili e varie cannoniere con viveri e denaro. Il senato cileno reagì orgogliosamente, proclamando che l’esercito di O’Higgins e la marina di Lord Cochrane avrebbero liberato il Peru anche senza l’aiuto finanziario e militare di Buenos Aires. In realtà il ritiro delle truppe argentine era difficile, perchè erano ormai mescolate non soltanto le unità, ma anche i quadri e la truppa: gli argentini erano un terzo dell’Ejército de Chile, ma i cileni erano i due terzi dell’Ejército de los Andes. Alla fine rientrarono a Mendoza e San Luis soltanto i mille portegni e cuyani di Escalada e Alvarado (granaderos a caballo e cazadores de los Andes) reduci dalla spedizione di Balcarce su Concepcion, lasciando in Cile i 3 battaglioni di negri portegni (2. 7 e 2. 8) e reclute cuyane (2. 11) e i 4 squadroni di truppa cilena (cazadores a caballo de los Andes). La rivolta federalista e l’ammutinamento di Arequito (11 maggio 1819 - 10 gennaio 1820) L’11 maggio 1819 il congresso rioplatense votò la costituzione repubblicana. Dopo averla promulgata, considerando ormai esaurito il suo compito, Pueyrredon rassegnò formalmente il mandato. In giugno,

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disperando ormai della situazione politica, si dimise anche Belgrano, sostituito dal generale Francisco Fernandez de la Cruz. Ma i federalisti della province - che ora, per distinguersi da Artigas, preferivano definirsi “liberali” - insorsero contro la costituzione imposta dagli “unitari” portegni, accusandoli di tramare la restaurazione monarchica. L’11 novembre i comandanti della milizia tucumana deposero il governatore direttoriale de la Mota e imposero l’elezione del colonnello Bernabé Aràoz, il quale proclamò la Repubblica di Tucuman. Sempre in novembre Lopez e Ramirez strinsero alleanza e ripresero le armi, mentre Alvear e Carrera tornavano dall’esilio montevideano sbarcando a Gualeguaychù e mettendosi a disposizione di Ramirez. Per difendere il regime, Rondeau richiamò da Cordoba l’Ejército del 2orte, forte di 3.000 uomini. Il nuovo comandante de la Cruz era fedele al governo direttoriale, come pure i comandanti reggimentali (Moron del 2. 2, Blas José Pico del 2. 3, Francisco Antonio Pinto del 2. 10, Lamadrid dei dragones, Zelaya dei cazadores a caballo e Dominguez degli husares). Ma Bustos, promosso brigadiere per la difesa dell’Herradura, non aveva alcuna intenzione di perdere la posizione eminente che aveva raggiunto nella società cordobese per combattere in una incerta e selvaggia guerra civile tra la capitale e le province del Litorale. Nelle sue funzioni di capo di stato maggiore di Cruz, Bustos poté facilmente accordarsi con il colonnello Alejandro Heredia e con altri ufficiali superiori dei dragoni (José Maria Paz e Jiménez) e del 2. 2 (maggiore Castro) per sollevare l’esercito non appena partito da Cordoba. Un progetto al quale i congiurati aderirono con motivazioni differenti: molti per ambizione personale o interesse di partito, pochi per non combattere una guerra fratricida. Il piano scattò quando l’esercito, partito da Cordoba l’8 gennaio 1820, fece tappa al villaggio di Arequito. Alla mezzanotte del 10 gennaio de la Cruz e i sei comandanti reggimentali furono arrestati e sostituiti da Bustos e dai rispettivi vicecomandanti, mentre Heredia divenne capo di stato maggiore. Proclamatosi neutrale nella guerra civile, Bustos tornò a Cordoba col suo vecchio reggimento (2. 2) e con quello di Balcarce (2. 6) che sorvegliava la frontiera santafesina. Cruz proseguì invece la marcia su San Nicolas con 1.600 lealisti, finendo circondato dalle montoneras santafesine. Ad impedire lo scontro fu Heredia, tornato a proteggere i suoi vecchi compagni d’arme con la cavalleria ammutinata, il quale intimò ai santafesini di andarsene. Questa prova di cameratismo sgretolò gli ultimi scrupoli morali dei soldati lealisti, che passarono in massa con gli ammutinati, tornando con loro a Cordoba. Lo stesso de la Cruz legittimò la loro scelta rimettendo formalmente il comando a Bustos, prima di proseguire per San Nicolas con un pugno di ufficiali (tra cui Lamadrid, che tuttavia, cinque mesi più tardi, tornò anch’egli a Cordoba). Il 19 gennaio il cabildo abierto cordobese richiamò al potere José Javier Diaz, che aveva già governato nel 1815 per conto di Artigas. Bustos, vero uomo forte della provincia mediterranea, tentò anche, senza successo, di indire un congresso interprovinciale per stabilire un potere federale provvisorio. Inoltre, mandò Heredia a Tucuman e Salta ad offrire alleanza ad Aràoz e Guemes. Ma la missione fu un completo fallimento, perchè i due caudillos, che già rivaleggiavano ostilmente tra di loro, non avevano alcuna intenzione di sottomettersi a Bustos. E nemmeno San Martin e O’Higgins

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raccolsero le sue profferte di incondizionato sostegno nella guerra contro i realisti. L’ammutinamento di San Juan e il ritorno di San Martin in Cile gennaio - 5 agosto 1820)

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Il 9 gennaio, il giorno prima di Arequito, un sergente di colore aveva sollevato a San Juan anche il battaglione dei cazadores de los Andes, che non voleva tornare in Cile. Arrestati gli ufficiali e sconfitta la resistenza di una parte della milizia sanjuanina, i ribelli deposero il tenente governatore, il portegno de la Rosa, eleggendo suo cognato Mariano Mendizàbal (un capitano degradato ed espulso da San Martin per condotta immorale) il quale proclamò la Repubblica di San Juan. Dal canto suo Rondeau fece buon viso a cattivo gioco, acconciandosi a riconoscere la legittimità della sollevazione dei cazadores. Invece San Martin tornò subito in Cile per impedire che il contagio si estendesse alle truppe argentine rimaste a Rancagua. A Mendoza restava però Luzuriaga, il quale a sua volta spedì Alvarado a castigare il suo vecchio reggimento. La punizione venne però rinviata, non tanto per le suppliche del cabildo sanjuanino, quanto perchè a Luzuriaga giunse l’ordine di San Martin di raggiungerlo subito in Cile con i soli granaderos a caballo, cedendo il governo al cabildo mendosino e abbandonando al loro destino i cazadores ribelli. - Mendizàbal fu peraltro deposto dal suo vice, tenente Cono, che lo consegnò a Guemes (un anno e mezzo dopo, liberato il Peru, il caudillo saltegno lo spedì a Lima, dove Mendizàbal venne fucilato il 30 gennaio 1822). Quanto al battaglione, nel maggio 1820 marciò ostilmente su Mendoza, ma fu respinto dalla locale milizia del generale Cruz, che il 5 agosto lo annientò sul Rio San Juan. Intanto, dopo aver miracolosamente salvato dal naufragio la nave ammiraglia, Cochrane aveva attaccato le ultime basi spagnole del Cile meridionale. Nella notte sul 14 febbraio i maggiori Miller e Beauchef, con 75 marinos e 250 fanti scelti ceduti da Freire, avevano espugnato con incredibile audacia i poderosi forti di Valdivia, catturandovi il colonnello Hojo del Reggimento Cantabria. Miller era stato gravemente ferito il 19, perdendo 38 uomini nel vano tentativo di prendere anche il forte principale di Chiloé, difeso dal colonnello Quintanilla.

La fine del governo nazionale (1° febbraio - 19 aprile 1820) Le sollevazioni di Arequito e San Juan rovesciarono i rapporti di forza tra unitari e federalisti. Il 1° febbraio, a 40 chilometri ad Ovest di San Nicolas, 2.000 direttoriali schierati dietro la cagnada di Cepeda furono attaccati da 1.600 federali. La cavalleria di Lopez e Ramirez avvolse il nemico alle ali, costringendo Rondeau e Balcarce a mutare fronte e a combattere con le spalle alla palude. Perduta la cavalleria, la fanteria e l’artiglieria direttoriali ripiegarono a San Nicolas, ma passarono alcuni giorni decisivi prima che il regime di Rondeau avvertisse le fatali conseguenze politiche della sconfitta. Il 7 febbraio La Gaceta condannò “il partito dell’oppressione”. Il 10 l’esercito federale entrò a Oilar, spingendosi alle porte di Buenos Aires,

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difesa da Soler con appena 14 compagnie locali (tercios civicos 1°, 2° e 3°). Lo stesso giorno Soler e gli altri capi militari fecero sapere che per ottenere la pace era necessario abolire gli organi costituzionali unitari. Autodiscioltosi il congresso e dimessosi Rondeau, l’11 febbraio il cabildo portegno assunse il governo della provincia bonearense e Juan Pedro Aguirre, alcalde de 1° voto, potè finalmente restituire a Tagle e Pueyrredon la condanna all’esilio con la quale, un anno e mezzo prima, avevano cercato di eliminarlo dalla scena politica. Il 17 febbraio Soler, Lopez e Ramirez sottoscrissero l’armistizio di Lujan, in virtù del quale il federalista Manuel Sarratea era designato governatore interinale della provincia bonearense. Il 23, col trattato del Pilar, il cabildo riconobbe il principio federativo e quello repubblicano. Poi una legislatura provinciale di 12 membri confermò governatore Sarratea. Contro questa decisione si svolse il 6 marzo, nella capitale, una grande manifestazione popolare per reclamare le dimissioni di Sarratea e la nomina di Juan Ramon Balcarce. Il giorno seguente Carrera costituì alla Chacarita, presso la capitale, un proprio Ejército Restaurador, reclutato tra i prigionieri cileni catturati dall’Ejército de los Andes. Dopo qualche giorno di incertezza, il 12 la cavalleria entrerriana e santafesina entrò in città occupando piazza della Vittoria e rimettendo in carica Sarratea, che il 14 sciolse lo stato maggiore affidando a Soler gli affari militari. Il 25 marzo Alvear tentò invano di impadronirsi del Cuartel de Aguerridos, validamente difeso dal sergente maggiore Anacleto Martinez, fedele a Sarratea e Soler, rifugiandosi poi con Carrera in territorio santafesino e accampandosi al Rincon de Grondona. I militari coinvolti nel fallito colpo di stato furono inquisiti dall’uditore criminale ordinario Antonio Esquerrenea e giudicati da un tribunale straordinario presieduto dal colonnello maggiore Hilarion de la Quintana (l’uomo che Alvear aveva mandato nel 1815 a sostituire Guemes) e composto dal parigrado Nicolas de Vedia e dal colonnello Luis Veruti (Luigi Berruti). Ma il 19 aprile la truppa veterana si sciolse e il popolo saccheggiò l’armeria del Forte, mentre la civica sprecava munizioni sparando in aria. Guerra di caudillos a Buenos Aires ed Entre Rios 1820)

(14 giugno - 4 ottobre

Ottenuti gli obiettivi politici della guerra, Ramirez era rientrato nella provincia mesopotamica per ristabilirvi la propria autorità, minacciata dalle pretese di Artigas, che, dopo la vittoria portoghese, si era ritirato ad Entre Rios con 2.200 uomini. Rimasto da solo a controllare la situazione bonearense, Lopez pose la candidatura di Alvear al governatorato della provincia e per sostenerla il 14 giugno avanzò con 1.500 santafesini e cileni verso la capitale, ormai in preda all’anarchia. Da tempo malato, Belgrano morì il 20 giugno: ma quello passò alla storia come “il giorno dei tre governatori” (Ildefonso Ramos Mejia, il cabildo e Soler). Il 28 giugno Soler tentò di resistere alla cagnada della Cruz, ma l’ala sinistra del brigadiere French si impantanò nel punto più profondo dello stagno, cadendo prigioniera di Carrera senza aver sparato un solo colpo. Al

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centro, invece, Soler respinse Alvear, ma una carica dei dragoni santafesini lo costrinse a ritirarsi, lasciando sul terreno 200 morti, 200 prigionieri e 3 cannoni. Dimessosi Soler, i portegni elessero governatore Dorrego, mentre Lopez fece eleggere Alvear dal cabildo di Lujan. A contrastare questa mossa, che cercava di sfruttare l’antico risentimento della campagna bonearense contro la capitale, fu Juan Manuel Ortiz de Rozas, detto “Rosas” (1795-1877), proprietario dell’estancia “Los Cerritos”, una delle maggiori della provincia, il quale venne a rendere omaggio a Dorrego alla testa del reggimento di milizia di cui l’8 giugno Martinez l’aveva nominato colonnello. (A proposito del reggimento di Rosas vale la pena chiarire un equivoco piuttosto diffuso. Era il reggimento del distretto del Monte, il 2. 5 de colorados: un appellativo che poi lo rese famoso, ma che in realtà era comune anche agli altri reggimenti della campagna bonearense e che induce talora a confonderlo con il 2. 2 di Las Conchas, fondato nel 1810 da José Maria Vilela, uno dei futuri avversari unitari di Rosas. Fu il 2. 2 di Vilela, e non il 2. 5 di Rosas, a prendere parte alla guerra del 1826-28 contro l’Impero brasiliano. Quanto al nomignolo di colorados, indicava il tipico color ruggine della casacca e del copricapo dei gauchos, lo stesso dei camiciotti da fatica indossati dalla Legione Italiana che vent’anni dopo, al comando di Giuseppe Garibaldi, avrebbe difeso Montevideo contro le truppe di Rosas.) Dorrego poté così marciare contro Lopez, Carrera e Alvear alla testa di 3.000 uomini e il 1° agosto sorprese a San Nicolas 700 cileni e alvearisti, facendo 60 morti e 450 prigionieri. Il 12, all’arroyo del Pavon, sconfisse anche 500 santafesini. Lasciata la fanteria a San Nicolas, Dorrego proseguì le operazioni con 600 cavalieri, che furono però annientati da 1.000 santafesini il 2 settembre al Gamonal, perdendo 300 morti e 100 feriti. In tal modo, riequilibrati i rapporti di forza, Lopez e Dorrego conclusero un accordo, che tra l’altro prevedeva la consegna di Carrera. Il 26 settembre l’ex-presidente cileno, con gli ultimi 140 fedeli, si mise in salvo rifugiandosi nel deserto. A Buenos Aires l’accordo con Lopez e la fuga di Carrera provocarono la caduta di Dorrego, sostituito da Martin Rodriguez. Un’ennesima sollevazione militare, tentata il 1° ottobre da Manuel Vicente Pagola, fu schiacciata tre giorni dopo dall’intervento dei mille colorados di Rosas. Negli stessi mesi Ramirez riuscì a riprendere il controllo della provincia mesopotamica. Malgrado la dura sconfitta subita il 15 giugno a Las Guachas dai suoi 400 dragoni, Ramirez si rifece il 24 alla Bajada del Paranà, dove la sua cavalleria riuscì ad attirare quella artiguista sotto il fuoco della fanteria entrerriana. Decimato dalla tattica montonera e risospinto verso Corrientes, Artigas tentò tre volte di costringere l’avversario a battaglia: il 17 e 22 luglio e il 3 agosto, a Sauce de Luna, al Rincon de los Yuquerus e ad Abalos. Finalmente, il 23 settembre, Artigas dovette rassegnarsi a passare in territorio paraguayano, dove, internato dal dittatore Francia, rimase fino alla morte, avvenuta ad Asuncion nel 1850. La fine dei caudillos (24 novembre 1820 - 5 agosto 1823) Neutralizzato Artigas, il maggior ostacolo ad una convivenza pacifica delle

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province argentine restava la relativa potenza militare di Ramirez. Ma col trattato di Benegas del 24 novembre 1820 Buenos Aires e Santa Fe si coalizzarono per imporre il disarmo entrerriano e neutralizzare Alvear e Carrera. Quest’ultimo si era internato nel deserto fino alle squallide tolderias araucane del Rio Colorado. L’equilibrio stabilito dagli accordi del 1810 tra il colonnello Pedro Andrés Pérez e il cacicco Quinteleu era stato rotto nel 1817 dalla nuova ondata di colonizzazione decisa da Pueyrredon e Balcarce, e gli araucani videro nell’arrivo di Carrera l’occasione di una rivincita. Per questo Quinteleu accolse con entusiasmo l’ex-presidente cileno, acclamandolo Pichi-Rey. Dopo un violento malon sferrato su Lobos in novembre, il 2 dicembre 2.000 araucani e carrerini saccheggiarono il villaggio di Salto. Non potendo colpire gli araucani, il governo bonearense decise una spedizione punitiva contro gli indiani pampas e il 15 dicembre Martin Rodriguez partì con le truppe regolari e 500 colorados di Rosas (peraltro non convinto dell’utilità della spedizione). Il 15 gennaio 1821 fu attaccato a Porrol Nelu Leufù dal cacicco Pichiloncoy: l’artiglieria tenne a bada i lancieri indiani uccidendone 150. Tre giorni dopo, raggiunta Chapaleofù, la colonna tornò a Buenos Aires. Carrera decise allora di tornare in Cile e, uscito dal deserto, prese San Luis, accampandosi poi a Chajan (Cordoba) dove il 6 marzo respinse l’attacco tentato da Bustos con 600 cordobesi. Poi marciò di nuovo verso San Luis per affrontare i 700 puntani di José Santos Ortiz e l’11 marzo, alle Pulgas, massacrò il colonnello Videla con l’intero quadrato della fanteria puntana. Anche a Santa Fe il patto di Benegas suscitò il risentimento dei circoli oltranzisti, più ostili a Buenos Aires che a Ramirez. Una congiura militare fu denunciata da una guardia carceraria e Lopez ne approfittò per riprendere il controllo delle milizie facendo giustiziare vari ufficiali, senza però infierire sui congiurati “eccellenti” per non sfidare la solidarietà di classe dell’oligarchia santafesina. Ramirez spese allora la sua temibile cavalleria, che l’8 maggio, alle porte di Rosario, disperse quella bonearense di Lamadrid. Ripiegato all’arroyo del Medio e collegatosi con i santafesini, il 24 maggio Lamadrid piombò con 1.500 uomini sui 700 entrerriani accampati a Coronda, ma fu travolto dalle abili cariche di Ramirez. Con 300 superstiti Lamadrid potè comunque riunirsi ai 700 santafesini di Lopez, che il 26 maggio, ancora a Coronda, ottenne la rivincita attirando abilmente la cavalleria entrerriana sotto il fuoco della propria fanteria. La vittoria terrestre fu completata il giorno dopo da quella della flottiglia bonearense alla foce del Colastiné, dove il tenente Rosales, con 4 lancioni, abbordò la flottiglia entrerriana (1 brigantino, 2 golette e varie cannoniere) uccidendo il comandante Monteverde e catturando 1 goletta e 2 cannoniere. Ritiratosi a Desmochados con appena 400 uomini, Ramirez unì le forze ai 300 di Carrera. Il 16 giugno i due caudillos tentarono di prendere Cordoba, difesa da Bustos al passo della Cruz Alta con 200 fanti, 300 cavalli e 4 cannoni. Ma l’arrivo dei rinforzi di Lamadrid li convinse a ritirarsi su Fraile Muerto, dove si separarono. Ramirez morì il 10 luglio, a San Lorenzo del Chagnar, ucciso da una pallottola mentre fuggiva inseguito dal vicegovernatore cordobese Bedoya.

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Carrera fece ancora in tempo, il 23 giugno, a cogliere un’altra effimera vittoria sui cuyani, uccidendo il loro generale Bruno Moran. Poi rioccupò San Luis, ma, incalzato da cordobesi e riojani, si diresse verso Mendoza e San Juan per tornare in Cile. Fu sconfitto il 31 agosto, a Punta del Médano, dal generale José Albino Gutierrez e con lo stesso metodo usato tre mesi prima da Lopez contro Ramirez a Coronda: nascondendo la fanteria mendosina dietro la cavalleria, pronta ad aprirsi davanti alla carica di Carrera, in modo da attirarla sotto le scariche di fucileria. Consegnato dai suoi stessi uomini alle autorità di Mendoza, il 4 settembre il Pichi-Rey venne fucilato. Si era intanto conclusa anche la grande avventura di Guemes. Ai primi di aprile il caudillo saltegno, sostenuto anche dalla milizia santiaguegna, aveva fallito due spedizioni contro il suo rivale tucumano Aràoz, difeso dal capo jujegno Arias. E il 24 maggio dovette lasciare il campo del Chamical per riprendere il controllo di Salta, dove c’era stato un conato golpista. Ignorava che dall’Alto Perù, attraverso montagne impraticabili, una colonna realista al comando di Valdéz stava marciando su Salta. Nella notte del 7 giugno i realisti si infiltrarono in città e a mezzanotte freddarono un aiutante di Guemes nella piazza principale. Accorso agli spari, il caudillo venne mortalmente ferito, spirando nove giorni dopo al Chamical. Vendicatosi dell’uomo che per sei anni aveva umiliato l’esercito spagnolo, Valdéz abbandonò Salta il 14 luglio, dopo aver firmato un armistizio col cabildo. L’ultimo contraccolpo della guerra civile fu la congiura di Gregorio Tagle, l’ex-capo della polizia direttoriale, denunciata alla fine del 1821 dal colonnello Celestino Vidal. La scomparsa di Artigas, Ramirez, Carrera e Guemes consentì di ricostituire un minimo di unità nazionale intorno all’asse bonearense-santafesino, cui aderirono, col trattato del Quadrilatero del 25 febbraio 1825, anche Corrientes ed Entre Rios. Il 5 agosto 1823 anche Aràoz venne sconfitto e poi fucilato dal rivale Francisco Javier Lopez, che pose fine alla Repubblica tucumana. Le dimissioni di O’Higgins e i governi di Freire e Las Heras (1823-24) Anche il nuovo regime cileno attraversò una gravissima crisi politica. Nel novembre 1822 Ramon Freyre, intendente di Concepcion, dette avvio ad una vasta sollevazione militare contro O’Higgins, che nel gennaio 1823 fu costretto a dimettersi, lasciandogli il suo posto. Due mesi dopo toccò a Iturbide, costretto ad abdicare dalla ribellione del giovane generale Antonio Lopez de Santa Ana (1794-1876) e il Messico divenne Repubblica. Dal 1820 al 1824 si erano succedute a Buenos Aires le seguenti autorità di governo; il cabildo, Manuel Pagola e Carlos Maria de Alvear; poi i colonnelli Manuel Dorrego e Marcos Balcarce, Martin Rodriguez, il cabildo, ancora Rodriguez, ancora M. Balcarce, di nuovo Rodriguez, Juan José Viamonte, Rodriguez, Bernardino Rivadavia, Manuel José Garcia e il generale Francisco de la Cruz: poi nuovamente Rodriguez, i delegati Rivadavia e Garcia e ancora Rodriguez, affiancato da tre segretari: Rivadavia (esteri e interni), Manuel J. Garcia (finanze) e il generale Cruz (guerra e marina). Rodriguez assicurò un triennio di pace, garantita da una provvida amnistia

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(ley de olvido) e dalle leggi sulla libertà di stampa e di coscienza, l’habeas corpus e l’inviolabilità della proprietà e culminata nel 1824 con la convocazione di un congresso generale costituente che in maggio elesse un uomo gradito ai federalisti, il generale Las Heras, già compagno d’armi del nuovo direttore cileno Freyre. A fare le spese dell’accordo fu Rivadavia, costretto ad abbandonare il suo dicastero.

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4. LA LIBERAZIONE DEL PERU (1820-24) Il ripensamento di San Martin (1819-20) Nel corso del 1819, non sentendosi all’altezza dell’impresa confidatagli dal senato cileno, O’Higgins aveva fatto vari tentativi per convincere San Martin a tornare in Cile ad assumere il comando della spedizione liberatrice del Peru, mandandogli il comandante generale dell’artiglieria, José Manuel Borgogno (Burgoyne), con valutazioni più ottimistiche delle risorse cilene e della vulnerabilità del governo realista di Lima. Furono però i mutamenti strategici verificatisi in Sudamerica tra il giugno 1819 e il gennaio 1820 a modificare gradualmente la decisione di San Martin: in Argentina il ritiro di Pueyrredon e Belgrano e gli ammutinamenti antiportegni di San Luis e Arequito con la dissoluzione dell’esercito e dell’unità nazionale; nella Nueva Grenada l’epica marcia di Simon Bolivar (1783-1830) dal Venezuela, attraversando sette fiumi e le Ande, con la decisiva vittoria di Boyaca (7 agosto 1819), la presa di Bogotà e la proclamazione dell’indipendenza; in Cile l’impresa di Cochrane a Valdivia, l’esercito di ex-prigionieri cileni reclutato da Carrera a Buenos Aires e la scoperta a Santiago di una cospirazione “carrerina” ramificata tra i capitani dell’esercito cileno. Si aggiunsero poi gli immediati contraccolpi americani della rivoluzione spagnola: nel gennaio 1820 il giovane colonnello Rafael del Riego y Nugnez (1785-1823) aveva sollevato a Cadice le truppe di rinforzo destinate al Sudamerica e il 9 marzo il re Ferdinando VII aveva giurato fedeltà e ripristinato la costituzione liberale del 1812. Questo evento non soltanto vibrava un colpo decisivo alla capacità di resistenza delle ultime forze realiste in Sudamerica, ma ridava vigore al vecchio progetto “lautarino” di una monarchia liberale sudamericana legittimata dalle stesse Cortes spagnole, alle quali si poteva rimettere la designazione del sovrano. Lasciar ad O’Higgins la liberazione del Peru significava ridurla alla corta visuale del militarismo rivoluzionario e del nazionalismo cileno e, di fatto, lasciarne la direzione strategica a Cochrane, un vichingo che disprezzava la politica, la cui unica ossessione era di umiliare la flotta spagnola e ripetere al Callao l’impresa di Valdivia. Sconfitta o vittoriosa, una spedizione esclusivamente cilena in Peru avrebbe archiviato per sempre il vasto disegno sudamericano che, attraverso la Loggia Lautaro, San Martin aveva cercato di imporre - con l’ottimismo della volontà - al miope egoismo delle classi dirigenti di Buenos Aires e Santiago. Con Pueyrredon era venuto meno il pilastro argentino del progetto sudamericano, ma era a Lima che si giocavano le sorti, riaperte dalla rivoluzione liberale spagnola.

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Il 27 febbraio il governo ordinò a San Martin di rientrare a Buenos Aires per difendere l’autorità costituita. Ma San Martin rifiutò di obbedire con queste famose parole: “mi sable jamas saldrà de la vaina por opiniones politicas” e in aprile, con l’Acta de Rancagua, i comandanti e gli ufficiali gli riconobbero autorità suprema sull’Ejército de los Andes. Quando un emissario del governo bolivariano della Nueva Grenada giunse a Santiago a complimentare il governo cileno e a riscuotere 3 navi di aiuti finanziari e militari, San Martin accettò dal senato cileno la capitania generale della spedizione liberatrice, che solo nominalmente condivideva col direttore supremo O’Higgins. L’Ejército libertador del Peru (20 agosto 1820) Nel 1820 le spese militari ordinarie - 600.000 pesos per l’esercito, 400.000 per la marina e 60.000 per la maestranza - assorbirono due terzi del bilancio cileno (un milione e mezzo di pesos) e le due armi vantavano crediti per altri 400.000. L’Ejército Libertador del Perù, con bandiera esclusivamente cilena, venne costituito in agosto affidando a san Martin e O’Higgins il comando supremo congiunto dei due eserciti delle Ande (2.818 in organico e 2.313 effettivi) e del Cile (1.987 in organico e 1.805 effettivi), entrambi comandati da colonnelli argentini (Juan Antonio Alvarez de Arenales e Toribio Luzuriaga). In tutto 4.805 in organico e 4.118 effettivi, inclusi 308 ufficiali e 6 cappellani, con 5.000 moschetti, 2.000 sciabole e 35 pezzi d’artiglieria: .Ejército de los Andes (145 ufficiali, 4 cappellani, 305 graduati, 1.518 fanti, 701 cavalieri e 213 artiglieri) su 3 battaglioni (2. 7 Conde, 2. 8 Martinez e 2. 11 Deheza), 1 reggimento di cavalleria (granaderos di Alvarado), 1 squadrone escolta (cazadores di Necochea) e 1 battaglione d’artiglieria (maggiore Luna, 249 uomini); .Ejército de Chile (163 ufficiali, 2 cappellani, 176 graduati e 1.646 truppa) su 3 battaglioni di linea (2. 2, 2. 4 e 2. 5) e 1 d’artiglieria (301 uomini) più i quadri di 1 battaglione (2. 6) e 1 squadrone dragoni.

Argentino era anche il capo di stato maggiore, brigadiere Las Heras, con 22 aiutanti. Aiutante di campo di San Martin era il colonnello de Castillo. Monteagudo dirigeva la segreteria politica. L’artiglieria, comandata dal cileno Borgogno, contava 413 effettivi e 35 pezzi: 2 mortai, 2 obici, 10 cannoni da montagna e 21 da campagna (inclusi 4 da ventiquattro libbre, 2 da otto e 2 da sei pollici). Alla spedizione erano assegnati viveri per cinque mesi, un buon servizio di ambulanza e una tipografia per la propaganda, nonchè una riserva di altri 10.000 fucili e 4.000 uniformi per armare gli insorti peruviani. L’allestimento della flotta fu laborioso. Occorreva riparare l’avaria dell’O’Higgins, disincagliare l’Intrepido e sostituire gli equipaggi del vascello San Martin e della corvetta Independencia (acquistata negli Stati Uniti per 150.000 pesos) decimati da un’epidemia di chavalongo e quello della Chacabuco, ammutinatosi . Ma in agosto la squadra di Cochrane e Blanco Encalada contava 35 unità con 264 cannoni e 1.600 marinai, di cui 624 inglesi:

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.1 vascello da 64 cannoni (San Martin); 2 fregate da 44 e 46 (O’Higgins e Lautaro); .1 corvetta da 26 o 28 (Independencia); .3 brigantini da 14, 16 e 18 (Pueyrredon, Araucano e Galvarino); .1 goletta da 7 o 14 (Moctezuma); .16 trasporti (Dolores, Gaditana, Consequencia, Emprendedora, Santa Rosa, Aguila, Mackenna, Perla, Jeresana, Peruana, Golondrina, Minerva, Libertad, Argentina, Hercules, Potrillo); .11 lance cannoniere.

Sulla carta i realisti erano molto più forti dell’armata rivoluzionaria. Il viceré Pezuela disponeva infatti di ben 17.000 uomini, di cui 1.000 al Callao, 4.500 a Nord di Lima (tra Asnapuquio e Chancay) e 2.700 a Sud-Est (sulla Sierra di Cuzco). Altri 2.400 erano nelle province meridionali di Arequipa e Puno e 6.500 in Alto Perù, al comando dei generali Ricafort e La Serna. La squadra di Coig, ancorata sotto le batterie del Callao, contava 2 fregate da 44 e 42 (Esmeralda e Venganza), 1 corvetta da 28 (Sebastiana), 3 brigantini, 6 mercantili armati e 27 cannoniere. Senza contare la fregata Prueba, da 44 cannoni: l’unica delle 3 unità salpate da Cadice il 10 maggio 1819 che era riuscita a doppiare il Capo Horn e che in dicembre si era abilmente sottratta alla caccia di Cochrane risalendo l’insidiosa insenatura di Punà, nella costa settentrionale del Peru. Lo sbarco a Pisco, la spedizione alla Sierra e il blocco di Lima (8 settembre - 30 ottobre 1820) Salpato da Valparaiso nel pomeriggio del 20 agosto, l’8 settembre 1820 Cochrane sbarcò l’Ejército Libertador 280 chilometri a Sud del Callao, nella baia di Pisco, che gli spagnoli avevano evacuato dieci mesi prima dopo l’incursione effettuata il 12 novembre 1819 dal comandante Guise con la Lautaro e il Galvarino. Nei giorni seguenti l’esercito occupò Saa, mentre la tipografia stampava il materiale di propaganda e si requisivano per l’esercito 650 schiavi negri impiegati nelle haciendas di Pisco, con lo stesso metodo usato per reclutare i battaglioni di libertos e rescatados portegni. Intanto, appreso dello sbarco cileno, anche la giunta di Guayaquil dichiarava l’indipendenza dalla Spagna. Il 4 ottobre San Martin spiccò una colonna di 1.138 uomini (2. 2 Chile, 2. 11 Andes e 4 squadroni) e 4 cannoni al comando di Arenales e Lavalle per sollevare Huancavelica e Jauja e tagliare le comunicazioni tra Lima e la Sierra (Cuzco, Arequipa e La Paz) e in seguito gli mandò dietro altre due colonne (Bermudez e Aldao) di rinforzi e rifornimenti, con il materiale necessario per armare la guardia nazionale istituita nei villaggi via via attraversati. Sloggiati da Ica il 6 ottobre, perdute 2 compagnie passate al nemico e ridotti a 700 uomini, il 16 ottobre i realisti del colonnello Quimper persero altri 40 morti e 100 prigionieri a Nazca e Arenales poté iniziare la marcia alla Sierra. Nonostante la spedizione alla Sierra, la lunga sosta di Pisco esasperò

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Cochrane, le cui memorie stillano disprezzo per la pretesa “irrisolutezza” del capitano generale argentino. Finalmente il 29 ottobre le truppe si reimbarcarono, ma invece di sbarcare al Callao, come voleva Cochrane, San Martin prese terra ad Ancon, 20 chilometri più a Nord, per tagliare l’ultima linea di rifornimento terrestre del nemico. Cochrane rimase al blocco del Callao dove - senza informarne San Martin - aveva deciso di impadronirsi dell’Esmeralda (ammiraglia spagnola) e di un’altra nave sulla quale Pezuela aveva fatto caricare il tesoro vicereale - un milione di pesos (una precauzione contro eventuali insurrezioni o colpi di mano terrestri). L’incursione avvenne la notte del 30 ottobre. Forzato lo stretto passaggio tra le catene che sbarravano il porto, Cochrane penetrò in silenzio, con 11 lance cariche di 160 marinai e 80 marinos armati di pistola e machete. La sorpresa riuscì perfettamente, ma fu abbordata soltanto l’Esmeralda, dove si svolse una lotta ravvicinata e senza quartiere contro i marinai spagnoli che cercavano di resistere, sotto il fuoco delle batterie costiere che mitragliavano amici e nemici. Cochrane voleva rispondere coi cannoni di bordo, ma rimase ferito e il suo secondo Guise tagliò gli ormeggi prendendo il largo, alzando un segnale luminoso identico a quello che gli spagnoli avevano convenuto con due fregate neutrali (una nordamericana, l’altra inglese) le quali incassarono di conseguenza metà delle cannonate destinate all’Esmeralda. Cochrane la ribattezzò Valdivia, in ricordo della sua prima vittoria.

Il campo di Huacho e la dichiarazione di indipendenza (7 novembre - 29 dicembre 1820) San Martin rimase ad Ancon appena una settimana. Infatti il 7 novembre reimbarcò l’esercito sbarcandolo a Huacho, 100 chilometri più a Nord, e pose il quartier generale a Guauro, fortificandosi sulla linea del Rio Haura, in attesa della colonna Arenales, che marciava sulla Sierra seguita a notevole distanza dalle Divisioni La Serna e Ricafort, le quali disarmavano man mano i villaggi armati da Arenales. Sul Rio Mantaro il brigadiere Montenegro cercò di sbarrargli il passo con 1.000 uomini, ma l’11 novembre Arenales riuscì a forzare il ponte del Mayoc. Il 20 l’avanguardia di Manuel Rojas e Juan Lavalle entrò a Jauja e il 23 a Tarma, 160 chilometri a Nord-Est di Lima. Il 15 novembre Cochrane aveva nuovamente messo il blocco al Callao, rinnovando senza esito i suoi tentativi di stanare il resto della squadra spagnola. Sul fronte costiero i due eserciti si limitavano ad attività di ricognizione attorno all’avamposto realista di Chancay, a metà strada tra Huacho e il Callao, comandato dal colonnello Jerònimo Valdéz e composto da 3 battaglioni (2umancia, Arequipa e Infante don Carlos) e 2 squadroni di dragoni. Il 27 novembre questi ultimi sorpresero presso Chancay una pattuglia di 18 granaderos argentini e la intrappolarono nella caletta dei Pescatori. Il tenente Juan Pascual Pringles (1795-1831) si difese strenuamente finchè, perduti i due terzi degli uomini, corse a cavallo verso il mare, preferendo annegare piuttosto che arrendersi. Ammirato da tanto coraggio, Valdéz gli salvò la vita accordandogli il passo verso le linee patriote. Appreso che Arenales stava arrivando, Pezuela ordinò a Valdéz di ripiegare

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a Lima. Lasciati in retroguardia, il 3 dicembre i 650 colombiani del 2umancia piantarono in asso il colonnello Delgado passando in massa al servizio cileno e portando la forza dell’esercito di liberazione a 6.699 uomini (inclusi 746 cavalieri e 408 artiglieri). Il 6 dicembre Arenales catturò a Cerro de Pasco (150 chilometri a Nord-Est di Huacho) il brigadiere Diego O’Reilly con 350 dei suoi 1.000 uomini e Lavalle inseguì i superstiti per 100 chilometri. Tra i prigionieri realisti c’era anche il colonnello altoperuviano Andrés Santa Cruz (1792-1865), il quale passò poi nell’esercito patriota (nel 1825-39 fu dittatore della Repubblica di Bolivia e nel 1835-39 presidente della confederazione peruviano-boliviana ). Quando Arenales arrivò a Canta, San Martin gli mosse incontro fino a Retes. Cedendo alle pressioni del suo stato maggiore, Pezuela ordinò a La Serna di avanzare a sua volta su Retes, ma il suo avversario si sottrasse alla battaglia in campo aperto ripiegando celermente sulla posizione trincerata di Huacho. L’aggiornamento dell’offensiva su Lima rischiava comunque di nuocere allo scopo politico della spedizione peruviana. Per questo San Martin decise di far proclamare subito l’indipendenza peruviana dall’unica autorità esistente nel territorio controllato dai patrioti, vale a dire il governatore della provincia settentrionale di Trujillo, marchese de Torre-Tagle, che accettò di compiere l’atto il 24 dicembre e di riconoscere il titolo di Legion Peruana agli 800 volontari riuniti al campo di Huaraz. L’intento era di rassicurare l’opinione pubblica limegna sulle intenzioni dell’esercito di liberazione, ma soprattutto dissuadere le tentazioni imperialiste della borghesia cilena, incompatibili con il più vasto disegno geopolitico dell’unione sudamericana perseguito da San Martin. Anche la provincia (un tempo rioplatense) di Puno depose le autorità spagnole. Tuttavia il 29 dicembre Ricafort annientò a Huancay i 5.000 indios (di cui soltanto un decimo armati di fucile) organizzati da Bermudez e dal capitano Félix Aldao. Questo insuccesso e le epidemie che immobilizzavano un quarto dell’Ejército Unido erano buoni argomenti per temporeggiare tenendosi sulla stretta difensiva. Ma non il vero motivo.

Le spedizioni a Guayaquil e Arica e i colloqui con La Serna (29 gennaio 27 maggio 1821) Esasperati dall’indecisione di Pezuela, il 29 gennaio 1821 i suoi ufficiali - e in particolare i colonnelli Jerònimo Valdéz e José Canterac (1775-1835) - lo obbligarono a dimettersi trasferendo i propri poteri al prode José de La Serna (1770-1832), il quale nominò Valdés capo di stato maggiore e Canterac comandante della Divisione di Asnapuquio, ma si mantenne sulla stretta difensiva. In caso di offensiva nemica, il suo piano era di abbandonare la capitale, destinata a capitolare per fame, per guadagnare le risorse logistiche ed operative dell’immenso e ben conosciuto altipiano, naturalmente lasciando al Callao una guarnigione di sovranità al comando del generale José La Mar y Cortazar. Ancora impegnato nella liberazione del Venezuela, nel gennaio 1821 Bolìvar spiccò il suo luogotenente Antonio José de Sucre (1785-1830) con

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930 uomini (inclusi 100 volontari anglo-irlandesi) in soccorso di Guayaquil, difesa da 1.400 repubblicani contro 9.000 realisti attestati sulle Ande tra Quito e Pasto. Era il primo segnale di un grande disegno geopolitico speculare a quello di San Martin: e potenzialmente confliggente. Sembrava che il perno strategico della storia sudamericana continuasse dannatamente a sgusciargli di mano, su per la costa del Pacifico: l’aveva inseguito da Mendoza a Santiago a Lima e adesso lo vedeva rimbalzare da Bogotà a Guayaquil. E San Martin non poteva accorrervi di persona, obbligato a bloccare Lima senza poterla conquistare, se voleva trovarvi una legittimazione politica paragonabile con quella accordata da Bogotà al suo più fortunato emulo venezuelano. A Guayaquil spedì intanto Cochrane, esasperato dalla flemma della Real Armada, a sbarcarvi Santa Cruz con 1.200 fanti della Legion Peruana di Trujillo e 96 granaderos a caballo argentini. Blanco Encalada, col resto della squadra, condusse invece a Sud il tenente colonnello William Miller, con 600 fanti e 100 granaderos, sbarcandolo il 6 maggio alla foce del rio Sama, poco a Nord di Arica, occupata l’11 con breve scaramuccia. Di qui Miller iniziò la cosiddetta “campagna dei porti intermedi” per propagare l’insurrezione, distrarre le forze nemiche e tagliare le comunicazioni con Arequipa e Puno. Inoltratasi verso la Sierra, il 14 la colonna prese Tacna e il 20 Tarma. Il 22 e 24 si scontrò a Mirave e Moquega con 520 realisti di La Hera, uccidendone 80 e catturandone 100. Occupata Jauja il 23, il 26 Miller disperse alla Calera le truppe di Rivero (in parte passate con i patrioti) e il 27 entrò ad Huancayo. Già modificato dalla sostituzione di Pezuela con La Serna e dall’arrivo di Sucre a Guayaquil, il quadro politico della campagna peruviana fu ulteriormente influenzato dall’esempio del Messico, dove, il 24 febbraio 1821, il comandante delle forze vicereali Agustin de Itùrbide (1783-1824) e il capo dei ribelli Vicente Guerrero (1782-1831) concordarono il “piano” di Iguala - poi accettato dall’ultimo viceré col trattato di Cordoba - che trasformava il Messico in una monarchia costituzionale, indipendente sì dalla Spagna e basata su nuovi principi democratici (primo fra tutti l’uguaglianza tra le razze), ma governata dal medesimo sovrano della Spagna. La formula di Iguala rilanciava, almeno nei suoi aspetti costituzionali se non in quelli geopolitici, il grand dessein di San Martin. E La Serna gli offerse la grande occasione proponendogli di incontrarsi a Punchauca. Qui San Martin propose di riunire il Peru e l’Alto Peru sotto un’unica monarchia costituzionale, alla quale si dovevano poi aggregare anche il Cile e l’Argentina. La designazione del sovrano del Sudamerica sarebbe stata rimessa alle Cortes spagnole e in via transitoria il Regno del Peru sarebbe stato governato da un consiglio di reggenza presieduto dal viceré. Ma l’ostentata assenza di O’Higgins e dello stesso Las Heras dai colloqui manifestò che San Martin era politicamente isolato e che l’esercito e la marina cileni non gli avrebbero consentito di proporsi come l’Iturbide del Peru. Senza contare che gli aspetti geopolitici del piano di San Martin cozzavano contro la rivalità commerciale delle borghesie sudamericane, con le ambizioni egemoniche di Bolìvar e con gli obiettivi strategici dell’imperialismo britannico. Inoltre, accettando le condizioni di San Martin, La Serna avrebbe rischiato la sollevazione dell’ala reazionaria dell’esercito

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realista. Senza respingerle, il viceré chiese di poter consultare Madrid: mera mossa dilatoria, con un re prigioniero e una costituzione paralizzata dalle sollevazioni militari, dalle guerre locali e dagli opposti complotti dei reazionari, dei moderados e degli exaltados. In attesa della risposta spagnola, il viceré contropropose un mero armistizio sulla linea del Rio Chaucai, all’altezza di Reyes. Ma, per sua natura, l’offerta di San Martin non era negoziabile né rinviabile: solo l’immediata fusione dei due eserciti poteva dare qualche sostanza al progetto di una monarchia liberale sudamericana. Preso atto della non fattibilità, il capitano generale dichiarò chiuso il negoziato. Più tardi, pressato dal partito della pace, il viceré chiese un nuovo incontro nel sobborgo limegno di Miraflores, che, almeno ufficialmente, non ebbe miglior esito: per quanto gli sviluppi successivi della drole de guerre lascino supporre esattamente il contrario. L’occupazione di Lima e il protettorato sul Peru (6 luglio - 19 settembre 1821) Subito dopo Miraflores, San Martin ordinò l’investimento della capitale. (Era tempo: il 24 giugno Bolìvar concluse la liberazione del Venezuela con la grande vittoria di Carabobo e poté volgersi contro l’Armata realista di Quito). Lasciato Borgogno a presidiare il campo trincerato di Huacho, San Martin spiccò Arenales sulle posizioni settentrionali del nemico ed egli stesso si reimbarcò con la terza Divisione per bloccare Lima anche da Sud. Applicando il piano prestabilito, il 6 luglio La Serna delegò i suoi poteri al marchese di Montemira e ordinò alle forze mobili di seguirlo al Cuzco. Avutane notizia, San Martin modificò il piano decidendo di occupare subito il settore Mirones - La Legua per tagliare i collegamenti tra il Callao e la capitale, dove l’esercito patriota entrò il 9 luglio, quinto anniversario dell’indipendenza argentina. L’11 Arenales bloccò il Callao anche dalla parte di terra, ma nella notte tra il 12 e il 13 si fece sfuggire l’occasione di annientare la colonna di Canterac mentre usciva dalla piazzaforte per raggiungere la Sierra. San Martin fece solenne ingresso a Lima soltanto il 12, offrendo subito a Montemira un contingente per mantenere l’ordine pubblico e impegnandolo ad organizzare il pubblico giuramento dell’indipendenza peruviana, atto che si svolse solennemente il 28 luglio. Il 3 agosto si fece riconoscere il titolo di “Protettore del Peru”, assumendo il comando supremo politico e militare e insediando il suo segretario Monteagudo alla guida del governo provvisorio e del dicastero di guerra e marina. Fu lui a reclutare una Legion de la Guardia, nucleo del futuro esercito nazionale, e a darne il comando al peruviano Domingo Tristan, privo di esperienza militare e nominato brigadiere per meriti politici. Il 14 agosto i 1.600 difensori del Callao respinsero un violento attacco tentato da Las Heras con 1.200 uomini. E in seguito - forse col segreto consenso di San Martin - La Serna rimandò indietro Canterac, con 3.400 uomini, a riprendere il tesoro vicereale, rimasto a bordo delle navi bloccate al Callao. Disceso dalla Sierra e riattraversato il deserto, il 5 settembre Canterac giunse all’hacienda La Molina, sotto l’ala destra di Las Heras. Ma il Protettore ordinò di lasciarlo passare. Coprendosi il fianco destro con la cavalleria e 2 cannoni e sfilando sotto le posizioni nemiche, il 10 Canterac

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raggiunse il Callao, prelevò il tesoro e il 16 ritornò al Cuzco per lo stesso percorso, appena molestato in retroguardia dalla cavalleria di Miller. Il 19 settembre, conclusa l’operazione, La Mar alzò il segnale di resa sui forti del Callao e passò al servizio del nuovo governo peruviano.

La disfatta di Tristan e la vittoria di Pichincha (7 aprile - 18 giugno 1822) Proclamato imperatore del Messico dall’esercito, il 19 maggio 1822 Iturbide celebrò la propria autoinvestitura, forzando l’approvazione di un congresso riluttante. L’indipendenza brasiliana, proclamata dal principe reggente dom Pedro de Bragança (1798-1834), liberò San Martin da Cochrane, volato ad assumere il comando della squadra brasiliana e ad assediare Bahia, dove ancora garriva la bandiera portoghese. In Peru la stasi delle operazioni - sia pure interrotta il 7 dicembre dalla vittoria riportata a Cerro de Pasco dal colonnello realista Lòrida - si protrasse fino al marzo 1821, quando il Protettore, pressato dai suoi consiglieri, spedì Tristan, con 2.244 uomini, la tipografia e un arsenale di 4.000 fucili, ad occupare e armare le valli di Pisco e Ica - difese da appena 500 realisti del brigadiere Ramirez Orozco - allo scopo di tagliare i rifornimenti per il Cuzco. Ma la notte sul 7 aprile, alla Macacona, l’inetto brigadiere peruviano fu accerchiato dai 2.000 uomini di Canterac e dai 500 di Orozco, perdendo 1.130 prigionieri e 3.000 fucili e tornando a Lima con soli 600 superstiti. La notizia del disastro distrusse il declinante carisma personale di San Martin, accusato di essere il vero responsabile. Intanto Bolìvar marciava da Bogotà contro la sacca realista dell’altipiano equatoriano, dove i suoi luogotenenti Marino e Valdes avevano subito gravi sconfitte. Il 7 aprile lo stesso Libertador fallì l’attacco all’avamposto occidentale di Bombona, lasciando sul terreno 458 uomini e 1.500 armi. Ma il 14 Sucre marciò da Guayaquil col suo esercito multinazionale e il 21 forzò il guado del Rio Bamba, dove dragones colombiani e granaderos argentini uccisero 52 realisti e ne catturarono 40, con la perdita di 2 morti e 40 feriti. Il 24 maggio Sucre sboccò nella pianura di Tumbamba, alla periferia di Quito e, aggirando la forte posizione nemica, attaccò dalle pendici del vulcano Pichincha. Costretto a mutare fronte e battersi in terreno non fortificato, il generale Aymerich perse 400 morti e 200 feriti contro 91 e 67 di Sucre. Il 25 Quito si arrese. Il bottino ammontò a 1.260 prigionieri, 1.700 fucili e 14 cannoni. Nella battaglia fu decisivo l’intervento del Batallon Albion (ex-British Legion) ma il 18 giugno, dal quartier generale di Quito, Bolìvar riconobbe che gran parte della vittoria era dovuta alla Division Peruana, alla quale concesse la cittadinanza onoraria colombiana e il titolo di “benemerita in grado eminente”. Inoltre promosse Santa Cruz brigadiere dell’esercito colombiano e accordò allo squadrone argentino (qualificato nel decreto “granaderos del Peru”, anzichè “de los Andes”) il titolo onorifico di “granaderos de Rio Bamba”. L’incontro di Guayaquil e il ritiro di San Martin (14 luglio - 20 settembre 1822) Il 14 luglio San Martin si imbarcò per Guayaquil, andando ad incontrare

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l’uomo che gli aveva strappato lo scettro della rivoluzione sudamericana. Il contenuto dei loro colloqui del 26 e 27 luglio è ancora controverso. Quel che è certo, è che discussero di piani operativi. San Martin chiese a Bolìvar di unire i loro eserciti per sbarcare in forze ad Arica, prendere Arequipa e marciare al Cuzco, cuore e perno del dispositivo nemico. Per una operazione del genere occorrevano almeno 4.000 uomini: San Martin ne aveva soltanto 3.000 a Lima, anche se sperava di ottenere 1.000 rinforzi dal Cile e 500 dall’Argentina. Bolìvar non contestò il piano operativo, la cui attuazione fu invano tentata nell’ottobre-dicembre 1822 da Alvarado e nel maggiosettembre 1823 da Santa Cruz e Sucre. Ma Bolivar non volle condividere il comando supremo. Al massimo era disposto a prestare a San Martin 1.400 colombiani, ma con compiti e istruzioni autonome. Accettare quell’offerta significava accrescere il rischio di un catastrofico fallimento. C’era un solo modo per ottenere la riunione delle forze peruviane e colombiane: cedere il comando a Bolìvar. E’ possibile che San Martin abbia illustrato a Bolìvar anche gli aspetti geopolitici, e non soltanto geostrategici, della sua proposta operativa, nel tentativo di guadagnare il suo interlocutore al grand dessein sudamericano? Di certo non gli sarebbero mancati argomenti. I vecchi viceregni iberici d’America si erano già trasformati in tre grandi Stati indipendenti, unitari e costituzionali: due Imperi (il Messico di Iturbide e il Brasile di dom Pedro) e una Repubblica (la Gran Colombia di Bolìvar). Da Lima poteva irradiarsene un quarto: il Sudamerica di San Martin. Gran Colombia e Sudamerica avrebbero convissuto pacificamente, solidali nella comune rivalità col Brasile e reciprocamente garantiti dall’impenetrabilità dell’immensa selva amazzonica. Ma le Ande collegavano troppo bene Lima e Bogotà, le due future capitali, divise dall’opposta concezione dello stato e della società - una monarchica e conservatrice, l’altra repubblicana e liberale - e in fatale competizione per il dominio del Pacifico. Senza contare che il verdetto finale sul grand dessein non spettava a Bolìvar, ma alle banche britanniche, le quali l’avevano già pronunciato. Il 29 il Protettore si reimbarcò per Lima, nel frattempo insorta contro il suo segretario e ministro della guerra, il lunatico, dispotico e odiato Monteagudo. Presone atto, San Martin fece convocare un congresso nazionale al quale rimise i propri poteri il 20 settembre, imbarcandosi lo stesso giorno per Valparaiso, senza dare spiegazioni ufficiali del suo magnanimo gesto. Proseguì poi senza fermarsi per Santiago, Mendoza, Buenos Aires e l’Europa. Si ritirò a vita privata in Francia, lasciandola solo per brevi viaggi europei (soggiornò un mese anche a Roma, al Pulcin della Minerva, nel febbraio 1846). Morì il 17 agosto 1850, a Boulogne sur Mer. Le fallite spedizioni su Arequipa e l’arrivo di Bolivar(10 ottobre 1822 - 27 settembre 1823) Come successore di San Martin il congresso peruviano elesse Riva Aguero. Rimpatriato il contingente cileno, quello argentino, rimasto al comando del generale Cirilo Correa, fu contratto a 2 reggimenti - Granaderos a caballo e Rio de la Plata (formato dai battaglioni 2. 7 e 2. 8) - comandati dai brigadieri Mariano Necochea e Rudecindo Alvarado. Rimasero anche

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Miller, comandante della cavalleria peruviana, e fray Beltran, capo della maestranza di Tarija. Attuando il piano operativo studiato da San Martin, il 10 ottobre Alvarado salpò dal Callao con 3.859 uomini ma, rallentato da una sosta a Pisco e da una lunga bonaccia, potè sbarcare ad Arica soltanto il 3 dicembre, risalendo poi la costa fino ad Ilo, dove prese la strada di Arequipa. Ma i ritardi nella tabella di marcia avevano consentito al nemico di far convergere nel settore minacciato le Divisioni di Arequipa e dell’Alto Peru, comandate da Canterac e Olagneta. Alvarado li incontrò il 19 gennaio 1823 al passo di Torata, 160 chilometri a Nord-Ovest di Arica e dovette ripiegare con 500 perdite al passo di Moquega, dove il 21 fu nuovamente sconfitto da Canterac, con un attacco frontale e un doppio avvolgimento delle ali. Alvarado dovette ripiegare in disordine ad Arica e reimbarcarsi, dopo aver inutilmente perduto 1.700 uomini. Riva Aguero chiese allora rinforzi a Bolìvar, che gli mandò 6.000 uomini comandati dal generale colombiano Manuel Valdes e accompagnati da Sucre in missione diplomatica. Il nuovo piano operativo prevedeva una manovra a tenaglia su Arequipa, con due Divisioni convergenti da Nord e da Sud, in modo da obbligare il nemico a dividere le forze. Prima a muovere fu la Divisione meridionale di Santa Cruz, salpato a metà maggio dal Callao con 5.000 uomini e sbarcato il 15 luglio ad Iquique (180 chilometri sotto Arica), risalendo poi la costa verso Arica e Tacna. La Divisione settentrionale di Sucre e Miller partì il 20 luglio da Lima, marciando via terra. La Divisione Santa Cruz incontrò quella realista di Arequipa (J. Valdéz) il 25 agosto, a Zepita, ricacciandola con 100 morti e 180 prigionieri. Tuttavia, nonostante l’arrivo dei rinforzi di Gamarra, dovette retrocedere sotto la minaccia di La Serna. La Divisione di Sucre fu invece più fortunata, e il 30 agosto l’avanguardia di Miller, con in testa i granaderos di Isidoro Suàrez, obbligò il colonnello Ramìrez a sgombrare Arequipa. Ma La Serna - nel frattempo rinforzato da truppe di Olagneta - continuava a sbarrare il passo a Santa Cruz, il quale, valutata la disparità di forze, il 14 settembre rinunciò a dare battaglia, ritirandosi in disordine ad Iquique, dove si reimbarcò. Sucre che si trovava già 40 chilometri a Nord-Est di Arequipa - ritenne di non poter affrontare da solo lo scontro con La Serna e il 27 si reimbarcò egli pure, ad Ito. Intanto Canterac era avanzato su Lima, provocando il panico e l’esodo dei repubblicani, mentre il congresso si chiudeva al Callao con la scarsa guarnigione, che includeva il Regimiento Rio de la Plata. Canterac dovette però tornare indietro ad affrontare l’esercito meridionale di Santa Cruz che a sua volta marciava sul Cuzco, e il 1° settembre Bolìvar sbarcò al Callao, dove il 10 il congresso gli conferì i supremi poteri. Si spostò poi a Trujillo, 500 chilometri a Nord del Callao, dove fray Beltran aveva allestito un poderoso arsenale, per riorganizzare l’esercito, lasciando Alvarado a guardia del Callao e Miller, con 1.500 montoneros, a guardia del Cerro de Pasco, 150 chilometri a Nord-Ovest di Lima e 200 a Nord del nemico. Il Regimiento Rio de la Plata e l’ammutinamento del Callao (settembre 1822 - gennaio 1824) Nel frattempo, con legge bonearense del 29 luglio 1823 il governo della

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provincia portegna aveva dichiarato alle proprie dirette dipendenze i resti della Division de los Andes, senza però assumersene il carico finanziario. Alla fine dell’anno, dopo aver speso circa 250.000 pesos per mantenere i due reggimenti argentini, il governo peruviano non era più in grado non soltanto di pagarli, ma neppure di vettovagliarli. Il 2 gennaio 1824 una delegazione di ufficiali della Divisione Argentina fu ricevuta dai rappresentanti peruviani ma il generale Martinez ne fece arrestare tre. Appresa la notizia, la notte stessa il Reggimento Rio de la Plata si sollevò per liberare gli ufficiali. La rivolta fu però soffocata dallo stesso Alvarado, governatore della Fortezza, e dalle truppe peruviane e il capo fu passato per le armi. Tuttavia in seguito molti argentini disertarono calandosi dalle mura del castello. Una delegazione di 4 uomini inviata a Lima per spiegare le loro ragioni fu arrestata. Ma intanto gli argentini si erano segretamente accordati con i soldati realisti detenuti al Callao e il 4 febbraio consentirono loro di sollevarsi e prendere il controllo della fortezza al comando del generale Casariego, che il 29 febbraio la consegnò ad un distaccamento accorso dalla base realista di Chincha. I Granaderos a caballo da Junin e Ayacucho a Buenos Aires (1824-26) Nel marzo 1824 il viceré La Serna dominava dal Cuzco la parte meridionale del Peru, con 18.000 uomini su un asse di mille chilometri. L’ala settentrionale realista (Canterac e Rodil) minacciava la capitale peruviana con 5.000 uomini a Huancayo e 3.000 a Chincha, la prima oltre la Cordigliera Occidentale, 200 chilometri ad Ovest di Lima, l’altra sulla costa a Nord di Pisco, 200 chilometri a Sud del Callao, sulla cui fortezza, grazie alla ribellione del reggimento argentino, sventolava nuovamente il vessillo spagnolo. L’ala meridionale aveva 3.000 uomini ad Arequipa (J. Valdéz) e 6.000 (Olagneta) al confine con l’Alto Peru, il grosso trincerato al ponte dell’Inca sulla vecchia linea Titicaca-Desaguadero, e un terzo in colonne mobili. Ma il 20 giugno l’ala meridionale fu gravemente indebolita dalla ribellione del generale Olagneta, il quale, appreso che l’intervento della Quadruplice Alleanza europea aveva schiacciato le forze costituzionali spagnole e restaurato l’assolutismo, si ribellò all’autorità di La Serna lanciando un manifesto reazionario e proclamandosi difensore della religione e dell’assolutismo. Valdéz dovette quindi sguarnire Arequipa per domare la ribellione oltranzista della retroguardia realista e Bolìvar ne approfittò per vibrare il colpo decisivo contro l’Armata settentrionale. Alla fine di maggio Bolìvar aveva raggiunto Miller e a metà giugno 3 divisioni realiste si erano messe in marcia per riunirsi sull’altipiano del Cerro de Pasco. Il 3 agosto Bolìvar mosse da Pasco verso il lato orientale del lago di Junin per intercettare la ritirata di Canterac, il quale tuttavia, a causa di un breve ritardo degli alleati, riuscì a sfilarsi attestandosi a Tarma-Tambo, davanti al lago Lauricocha, con 6.500 fanti, 1.300 cavalieri e 8 cannoni. Bolivar divise allora le forze, seguendo egli stesso i 900 cavalieri di Miller e Necochea nella pianura verso Condorcancha per cadere alle spalle del nemico, mentre Sucre, con la fanteria, prendeva la strada di montagna per attaccare frontalmente Tarma Tambo. Il 5 agosto, appreso che la cavalleria nemica minacciava il suo campo base di Jauja, dalla parte opposta del lago,

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Canterac le spedì incontro la propria, affrettandosi a seguirla col resto delle truppe. Lo scontro tra le due cavallerie avvenne il 6 agosto, nella pianura di Junin. Durò appena tre quarti d’ora e furono usate soltanto armi bianche. I realisti caricarono Necochea appena sbucò dalla quebrada, senza dargli il tempo di schierarsi e, nella confusa ritirata, i due primi squadroni dei granaderos colombiani sbandarono anche i seguenti. Ma lo squadrone degli husares peruviani comandato dall’argentino Francisco Suarez rovesciò le sorti della battaglia caricando il fianco e la retroguardia del nemico, provocandone il panico e la fuga disordinata. Gli alleati ebbero 42 morti e 91 feriti, contro 364 morti e 80 prigionieri realisti. Stimando di non poter resistere, Canterac abbandonò la provincia ritirandosi a tappe forzate (80 chilometri al giorno nei primi due giorni) che gli costarono altre 2.500 perdite tra disertori, dispersi e vittime di incidenti e della fatica, raggiungendo il Cuzco con appena 5.000 uomini. Tagliato fuori dalla Sierra, al brigadiere José Ramon Rodil non rimase che chiudersi nella piazza del Callao. Lasciato il comando operativo a Sucre, il 7 ottobre Bolìvar tornò a Lima per sbrigare gli affari politici e assediare il Callao. La Serna decise invece di giocare il tutto per tutto, sfruttando la sua relativa superiorità numerica e richiamando anche Valdéz, impedendogli di sfruttare il successo ottenuto a Lava contro il ribelle Olagneta. Nominato Canterac capo di stato maggiore e lasciati 1.000 uomini al Cuzco, La Serna marciò su Lima con gli altri 9.310, tre grosse divisioni di fanteria (Valdéz, Monet e Villalobos) e una di cavalleria (Ferraz), in tutto 14 battaglioni e 12 squadroni, con 14 pezzi d’artiglieria comandati dal brigadiere Cacho. Privo di artiglieria, Sucre poteva opporgli soltanto 11 battaglioni (4 peruviani, 6 colombiani e 1 di rifles anglo-irlandesi) e 7 squadroni (4 di husares e granaderos colombiani, 2 di husares peruviani e 1 di granaderos argentini) anch’essi riuniti in 3 divisioni di fanteria - una peruviana (Gran Mariscal de La Mar) e due colombiane (Lara e Cordova) - e 1 mista di cavalleria (Miller). Il 3 dicembre Valdèz sloggiò la retroguardia patriota dalla quebrada di Corpahuaico, ma Sucre potè attestarsi nell’angusta strettoia di Ayacucho, ai piedi delle montagne di Condorcanqui, minacciando il fianco sinistro del nemico che scendeva dal Cuzco per la valle del Rio Apurimac. La posizione alleata era ben scelta, perchè la pampa di Ayacucho, incassata tra quebradas invalicabili, presentava un fronte di 1.600 metri e una profondità di 700, che impediva al nemico di far valere la propria schiacciante superiorità numerica. La battaglia si svolse il 9 dicembre, con uno scontro frontale. Nonostante il cedimento della loro ala sinistra, gli alleati presero subito il sopravvento alla destra e al centro, dove si distinsero i granaderos argentini di Alejo Bruix e gli husares peruviani (ora detti “de Junin”) di Suarez. In breve il centro spagnolo crollò, travolgendo anche le riserve ammassate troppo a ridosso. Il bilancio delle perdite fu di uno a cinque a favore degli alleati: 309 morti e 670 feriti contro 1.400 morti, 700 feriti e 2.584 prigionieri realisti. Lo stesso La Serna fu catturato mentre conduceva all’assalto il Batallon Fernando VII, e con lui 15 generali, 16 colonnelli e tutta l’artiglieria, mentre gli elmi di

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parata degli Alabarderos del Rey divennero un conteso souvenir dei patrioti. Canterac riuscì a riunire 500 superstiti, con i quali intendeva resistere al Cuzco, ma l’ammutinamento dei suoi uomini lo costrinse ad arrendersi il 24 dicembre. Il 1° gennaio 1825 l’Inghilterra riconobbe l’indipendenza dei paesi del Sudamerica. Intanto l’Argentina era tornata in campo, decretando il 14 luglio 1824 la costituzione di un Ejército de Linea nella provincia di Salta. Nel 1825 la divisione del colonnello Pérez de Urdininea, con i gauchos saltegni dell’Isla e del Cerro, conquistava il baluardo di Tupiza. Il 1° aprile, con gli ultimi reparti ancora fedeli, Olagneta marciò su Tumusla, dove si trovava il resto del suo stesso esercito che, sollevato dal colonnello Medinaceli, era passato alla causa patriota. Ma in battaglia le truppe di Olagneta si sbandarono, lasciandolo solo. Gravemente ferito, l’ultimo viceré spirò il giorno seguente. Il Callao, difesa per tredici mesi dal valoroso Rodil, fu l’ultima piazzaforte spagnola in Sudamerica ad arrendersi, il 22 gennaio 1826, undici giorni dopo Chiloé. All’atto della resa la bandiera del Reggimento ribelle degli exschiavi portegni fu nascosta da un sergente. Alla sua morte la moglie la consegnò al colonnello che la rimise al generale José Tomas Guido (17881866). Il 5 luglio 1826 costui la rimise a sua volta a Carlos Maria de Alvear, che nei vari rivolgimenti politici, era tornato al governo quale ministro della guerra e prossimo comandante in campo contro il Brasile. Congedati alla fine del 1825, i resti dei granaderos a caballo furono ricondotti in patria dal tenente colonnello Félix Bogado. Rientrati a Buenos Aires nel febbraio 1826, la maggior parte passarono a costituire l’Escolta Presidencial, lo squadrone d’onore di Rivadavia, primo presidente della Repubblica Argentina. Gli altri andarono invece ad inquadrare i nuovi reparti costituiti per la guerra contro il Brasile.

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