POLITICA ECONOMICA I Primo parziale: 26-04 Testi: vari Ricevimenti prof.ssa Colombo: da definire 01/03/2004
LA POLITICA ECONOMICA E I FALLIMENTI DEL MERCATO La politica economica prende in esame l’azione economica compiuta dall’autorità pubblica, in ambito sia macroeconomico che microeconomico; infatti, l’intervento pubblico nell’economia in termini allocativi è giustificato dalla presenza di fallimenti di mercato. I teoremi dell’economia del benessere I teoremi dell’economia del benessere si basano su un sistema economico perfettamente concorrenziale e sono 2: il primo teorema dell’economia del benessere afferma che l’Equilibrio Economico Generale di perfetta concorrenza è Pareto-efficiente, perciò non possono esistere ulteriori scambi tra gli agenti che siano vantaggiosi per entrambi. Di conseguenza, si parla di efficienza allocativa ma non si garantisce equità. Secondo questo teorema, poi, la soluzione ottimale sarebbe quella dello stato minimale (di stampo neoclassico) visto che il mercato, lasciato a sé stesso, è in grado di raggiungere uno stato di efficienza non ulteriormente migliorabile; i l secondo teorema dell’economia del benessere afferma che ogni posizione di ottimo paretiano può essere realizzata come E.E.G. perfettamente concorrenziale, previa un’opportuna redistribuzione delle risorse che crei un minimo di equità sociale. Di conseguenza, lo Stato dovrebbe attuare delle politiche redistributive (come quelle di bilancio), usando strumenti come imposte progressive e trasferimenti, lasciando poi la funzione allocativa al mercato.
02/03/2004 Esistono molte situazioni in cui non sono rispettate le condizioni richieste per la validità del I° teorema dell’economia del benessere, e sono i “fallimenti del mercato”. Essi sono principalmente 3: • presenza di “mercati non perfettamente concorrenziali”; • presenza di “esternalità”; • presenza di “beni pubblici”. I mercati non perfettamente concorrenziali In questi mercati gli agenti non sono “price taker”, bensì sono “dotati di potere di mercato” e, pertanto, sono in grado di influenzare il prezzo di vendita del prodotto: ciò porta ad un’inefficienza allocativa. In questo caso, gli interventi dello stato possono esser di 2 tipi: a) la regolamentazione del mercato, per cui esistono 2 modi diversi di intervenire: a. con una legislazione antimonopolistica (antitrust); b. tramite il controllo dei prezzi, come ad esempio la fissazione di un prezzo massimo; b) l’istituzione di imprese pubbliche, a sostituzione di quelle private. P,MC,AC,D La politica del controllo dei prezzi non è applicabile in caso di “monopolio naturale”; infatti, se si impone al monopolista di vendere al prezzo PC, egli avrà profitti negativi (Π < 0). PM La soluzione migliore sarebbe P R, dove P = AC e dove, di conseguenza, il monopolista coprirà i costi di produzione ed PR AC avrà profitti nulli (Π = 0). PC MC L’istituzione di imprese pubbliche è auspicabile se si vende al MR D prezzo PC e si copre poi la perdita con le entrate fiscali. qM qR qC q 1
Le esternalità Le esternalità esistono quando le azioni di un agente influenzano direttamente (e non attraverso altri meccanismi, come il meccanismo dei prezzi) il consumo (se l’utilità di un consumatore è direttamente influenzata dalle azioni di un altro consumatore o di un’impresa) o la produzione di un altro agente (se le possibilità produttive di un’impresa sono direttamente influenzate dalle azioni di un’altra impresa o di un consumatore). Le azioni, poi, possono essere: - positive, se influenzano (direttamente) positivamente l’utilità di un altro agente; - negative, se influenzano (direttamente) negativamente l’utilità di un altro agente. Le funzioni di utilità (e di produzione) Le caratteristiche delle funzioni di utilità (che valgono anche per quanto concerne la produzione) nel sistema economico sono le seguenti: a) so n o in ter dipendenti, ossia sono espresse con la seguente espr essio n e Ui = Ui(x1,x2,…,xi,…,xn), dove xi è il proprio consumo e tutti gli altri sono il consumo degli altri agenti; b) le utilità marginali (MU) dipendono dagli altri agenti, e non solo dalle proprie preferenze e dai prezzi. Tuttavia, esiste il problema per cui per molti beni il mercato non esiste e, di conseguenza, non esistono i prezzi; tuttavia, esistono delle istituzioni che imitano il mercato o che ne migliorano l’efficienza. Un esempio pratico di esternalità negativa della produzione Prendiamo in esame il caso di 2 imprese: 1) l’impresa siderurgica (S), che influisce su 2 variabili: o l’output di acciaio (s); o l’inquinamento (x); 2) l’impresa ittica (F), che influisce solamente sulla variabile pesce (f) e che subisce gli effetti derivanti dall’inquinamento dell’impresa siderurgica. Impresa siderurgica: CS(s, x) MCS = δCS(s,x) ≤ 0 + – δx Impresa ittica: CF (f, x) MCF = δCF(s,x) > 0il costo marginale dell’impresa F aumenta (CF↑) + + δx all’aumentare dell’inquinamento (x↑) MCS Concorrenza perfetta prezzi dati MCF S: Max ΠS = ps·s – cS(s,x) MCF s,x È un punto Pareto-efficiente
F: Max ΠF = pf ·f – cF(f,x) , ma non può controllare x f
Per l’impresa S, massimizzare per x significa andare al livello xs* in cui MCS = 0 = ps , ossia in cui si tiene conto solo dei “costi privati”, e non dei costi sociali; MCS infatti, tale livello di inquinamento è troppo alto rispetto all’ottimo sociale x w*. xw* xs* x In caso di fusione tra S e F, l’esternalità non è più tale perché viene “internalizzata”, e ciò porta a doverne tener conto in entrambe le attività (mentre prima l’impresa S poteva anche disinteressarsene, visto che per lei non era un costo). Difatti, per l’impresa W, nata dalla fusione di S e F, vale la seguente formula di “massimizzazione sociale”: Max ΠS = ps·s + pf ·f – cS(s,x)– cF(f,x) |δCS(s,x)| + |δCF(f,x)| = MCW = 0 s,f,x | δx | | δx | ciò deriva dal fatto che MCF = MCS . Inoltre, ciò porta al “livello di inquinamento socialmente ottimo” x w*, che è un livello Pareto-efficiente perché spostarsi da quel punto giova ad un’impresa ma danneggia l’altra. 2
I rimedi alle esternalità Le esternalità possono essere corrette con: 1) misure di controllo diretto del livello d’inquinamento prodotto; 2) una “tassa di Pigou”, basata sull’inquinamento prodotto e dello stesso importo del costo sociale creato dall’inquinamento, ma proprio per la sua necessaria corrispondenza con il costo sociale è difficile da applicare; 3) i “diritti di proprietà”, che sono norme che regolano l’utilizzo delle proprie proprietà da parte degli individui e che esistono in quanto manca il mercato delle esternalità (ES: le quote di inquinamento); 4) il “teorema di Coase”, per cui se le parti riescono a contrattare a costi nulli (impossibile da realizzare nella realtà, ma avvicinabile da costi molto bassi, soprattutto per quanto riguarda l’inquinamento) e vantaggio di entrambe, l’esito dell’accordo sarà efficiente, indipendentemente dai termini; 5) la “fusione di imprese”, favorita da alcuni elementi nel mercato, come nell’esempio delle imprese F e S, per cui ΠS + ΠF ≤ ΠW . I beni pubblici Un bene pubblico è un bene che deve esser fornito nella stessa quantità a tutti i consumatori e, perciò, ha le seguenti caratteristiche: • “non escludibilità”, in quanto il suo consumo da parte di un individuo non esclude gli altri consumatori dal suo consumo; • “non rivalità” (oppure non riducibilità), in quanto il suo consumo da parte di un individuo non riduce la quantità consumabile da ogni altro consumatore. Al contrario: un bene privato è rivale ed escludibile; un bene di club è escludibile ma non rivale (ES: la pay-tv); un servizio pubblico è non escludibile ma rivale (ES: i posti su un autobus). I problemi dei beni pubblici Le caratteristiche dei beni pubblici fanno però sorgere 2 problemi: a) a causa della “non rivalità” dei beni pubblici, i costi marginali devono essere nulli (MC = 0) perché per soddisfare un utente aggiuntivo non si sostengono nuovi costi; b) a causa della “non escludibilità” dei beni pubblici, il consumatore ha interesse a mentire sulla propria disponibilità a pagare il bene, visto che se gli altri non mentono per acquistarlo, egli ne può comunque usufruire. Quest’ultimo problema è detto di “free riding” (corsa gratis), e porta a queste conseguenze: o se tutti sono dei “free rider”, allora il bene pubblico non viene offerto; o se tanto sono dei “free rider”, allora il bene pubblico viene offerto, ma in quantità inferiore rispetto all’ottimo. La “tassa di Clarke” è una tassa pagata dai free rider, e corrisponde al costo sociale dovuto alla ridotta offerta di bene pubblico. Generalmente, il bene pubblico è offerto dallo Stato e la quantità ottima è decisa: a. autoritariamente, in caso di dittatura; b. mediante il voto, che può essere: o diretto, se si utilizzano i referendum; o indiretto, come nel caso di rappresentazione in Parlamento.
03/03/2004
ASPETTO MACROECONOMICO L’aspetto macroeconomico dell’intervento pubblico nell’economia nasce da Keynes (le cui idee sono state dominanti per tutti gli anni ’50 e ‘60), il quale credeva nell’utilità di un intervento statale a sostegno del mercato, per garantire una maggiore equità sociale e per sostenere la domanda quando essa è carente. I “problemi” affrontati dalla macroeconomia sono i seguenti: la disoccupazione, che è un problema di breve periodo; l’inflazione, che è un problema di breve periodo; gli squilibri della bilancia dei pagamenti, che è un problema di breve periodo; 3
la crescita economica e il sottosviluppo, che sono di lungo periodo. La teoria normativa della politica economica (di Tinbergen) La teoria normativa della politica economica descrive come l’autorità pubblica avrebbe dovuto agire nell’economia, ed è composta da 3 elementi fondamentali: • identificazione degli “obiettivi” da perseguire; • individuazione degli “strumenti” da utilizzare, che di solito hanno però dei vincoli all’applicazione; • utilizzazione del “modello macroeconomico di riferimento”, che descrive il funzionamento del sistema economico (ossia il legame esistente tra obiettivi e strumenti) e, quindi, il meccanismo di influenza del sistema (ES: il modello IS-LM). Identificazione degli obiettivi da perseguire Gli obiettivi da perseguire sono decisi dall’autorità di politica economica e dovrebbero rispettare le preferenze degli elettori (in democrazie), oltre a dover risolvere i problemi macroeconomici di cui sopra. Gli obiettivi sono di 2 tipi: a) “fissi”, ossia dei valori prefissati che le variabili devono raggiungere grazie alla politica economica (ES: u = u*, se si fissa un tasso di disoccupazione, oppure π = π*, se si fissa l’inflazione). Gli obiettivi previsti nel modello di Tinbergen sono di questo tipo; b) “flessibili”, ossia viene fissata una “funzione di benessere sociale”, che rappresenta le preferenze della collettività riguardo alle variabili macroeconomiche (u e π) e che è simile alla funzione di utilità. π La “funzione di benessere sociale” può essere descritta con una “mappa di curve d’indifferenza”, che migliora avvicinandosi all’origine, visto che π e u sono dei “mali”. Quindi, in questo caso non si fissa un valore, bensì si opera una “massimizzazione vincolata” del benessere. u Individuazione degli strumenti (o politiche) da utilizzare Per esser considerata uno strumento di politica economica, una variabile deve avere 3 caratteristiche: 1) “controllabilità” da parte dell’autorità di politica economica, che deve poterne determinare il valore; 2) “efficacia”, ossia deve poter agire sull’obiettivo preposto; 3) se ci sono più strumenti, essi devono essere “distinti”, ossia “separati e indipendenti”. Le politiche che si possono utilizzare sono di 2 tipi: “politiche quantitative”, con cui si modifica l’ammontare di una variabile-strumento; “politiche qualitative”, con cui si introducono nuovi strumenti. -
Inoltre, gli strumenti possono dividersi in: “strumenti di controllo diretto”, se viene imposto un certo comportamento (come ad esempio un “contingentamento”, con cui si fissa il quantitativo massimo che si può importare di determinati beni); “strumenti di controllo indiretto”, se si inducono gli operatori ad adottare un certo comportamento (ad esempio, il “dazio”, che è una tassa sulle importazioni).
Infine, in un sistema ci possono essere: “misure discrezionali”, qualora gli strumenti siano manovrati a discrezione dell’autorità monetaria; “regole automatiche”, che sono prefissate (ES: la “stabilizzazione automatica” derivante dalle imposte sul reddito in forma progressiva). Il modello macroeconomico di riferimento Il modello macroeconomico di riferimento può essere di 2 specie: un “modello di economia politica”, utilizzato per “interpretare” la realtà economica; un “modello di politica economica”, usato per “descrivere” il legame tra strumenti e obiettivi. All’interno di un modello si trovano: 1. “variabili esogene”, che sono fissate al di fuori dal modello e che si dividono in: o dati; o strumenti di politica economica; 2. “variabili endogene”, che sono determinate all’interno del modello e che si dividono in: 4
o obiettivi di politica economica; o variabili irrilevanti per il problema sotto esame. Un modello è composto dalla “forma strutturale”, che presenta i legami tra le grandezze economiche y = f(x,y) dove x = variabili esogene e y = variabili endogene. a) b) c) d) e)
Nelle forme strutturali si trovano diversi tipi di applicazioni: “equazioni di equilibrio”; “equazioni di definizione” (ES: moneta = circolante + depositi ); “equazioni di comportamento” (ES: il consumo in funzione del reddito disponibile); “equazioni tecniche” (ES: la funzione di produzione); “equazioni di tipo istituzionale” (ES: le riserve bancarie dipendono dai depositi).
Per quanto riguarda il MODELLO ORIGINALE DI TINBERGEN, siccome esso è “a obiettivi fissi” (y1 = y1) si deve sapere il valore dello strumento da fissare (x1) per raggiungere l’obiettivo (y1). Per far ciò, è necessario trasformare la “forma strutturale” nella “forma ridotta”, dove le variabili endogene sono espresse in funzione delle sole variabili esogene, per poi trasformarla a sua volta nella “forma ridotta inversa”, dove si ha lo strumento in funzione dell’obiettivo prefissato. In definitiva, si passa da un “modello di economia politica” ad un “modello di politica economica”. Forma strutturale y = f(x,y) Forma ridotta y1 = g (x1) Forma ridotta inversa x1 = g–1(y1) ESEMPIO: MODELLO KEYNESIANO DI BASE, in cui la forma strutturale è data da 5 equazioni: AD = C + I + G equazione di definizione C = c · Y equazione di comportamento I=I Y = AD equazione di equilibrio Y = Π · N (reddito · occupazione) equazione tecnica Successivamente identifichiamo l’obiettivo fisso, che supponiamo sia l’occupazione (N = N); poi, ci occupiamo dello strumento, per cui indichiamo la spesa pubblica (G). Sostituendo la quarta e la seconda nella prima, otteniamo Y = c·Y + I + G da cui si può arrivare a N = 1 · 1 · (I + G) , che è la FORMA RIDOTTA. Π 1–c Da qui possiamo, poi, ottenere la FORMA RIDOTTA INVERSA G = [N · Π · (1 – c)] – I .
08/03/2004 Dati gli obiettivi y 1 e y2 , espressi mediante l’utilizzo delle funzioni y 1 = g1(x1,x2) a1·x1 + a2·x2 e y2 = g2(x1,x2) b1·x1 + b2·x2 , se fissiamo gli obiettivi avremo un sistema di “funzioni ridotte inverse”, da cui si evince il valore degli strumenti (x 1 e x2) necessario per ottenere gli obiettivi prefissati:
{ xx == hh (y(y ,y,y )) 1
1
1
2
2
2
1
2
Per Tinbergen, un problema di politica economica può essere risolto solamente se si verificano alcune delle “condizioni necessarie”, tra cui spicca la golden rule per cui, in caso di “obiettivi fissi”, deve essere soddisfatta la condizione n° strumenti (m) = n° obiettivi (n) . Difatti: a) se m = n , allora si ha un “sistema determinato”, che porta ad “una sola soluzione”; b) se m < n , allora si ha un “sistema sottodeterminato”, che porta a “nessuna soluzione”; c) se m > n , allora si ha un “sistema sovradeterminato”, che porta a “molte soluzioni” (m – n gradi di libertà). Nel caso a) è anche necessario che gli strumenti siano “separati e indipendenti”, e questo è dimostrato dal sistema y1 = a1·x1 + a2·x2 x1 = (y1 – a2·x2) / a1 x1 si ricava sostituendo y2 = b1·x1 + b2·x2 y2 = b1· [(y1 – a2·x2) / a1] + b2·x2 x2 = a1·y2 – b1·y1
{
{
{
5
dove a1·b2 – a2·b2 ≠ 0 .
a1·b2 – a2·b2
Infatti, se tali strumenti non fossero separati e indipendenti, come nel caso in cui a2 = 2a1 e b2 = 2b1 , avremmo un sistema y 1 = a1·x1 + 2a1·x2 per cui a 1·b2 – a2·b2 ≠ 0 VERO y2 = b1·x1 + 2b1·x2 2a1·b1 – 2a1·b1 ≠ 0 FALSO . Da ciò si deduce che x1 e x2 non rappresentano 2 diversi strumenti a disposizione dell’autorità perché hanno “effetti simili”.
{
{
Un esempio del caso b) si ha quando y1 = a1·x1 da cui, siccome troviamo che soluzione. y2 = b1·x1 x1 = y2 / b1
{
{
n = 2 e m = 1 , per cui si ha che x 1 = y1 / a1 , non si arriva ad alcuna
ESEMPIO: consideriamo di avere 2 obiettivi, ossia il calo del 2% dell’inflazione (ΔΠ = –2%) e la stabilità dell’output (ΔQ = 0), e uno strumento, ovvero la politica monetaria (ΔM). Il modello sarà dato da ΔQ = a2·ΔM , dove al crescere della moneta (M↑) aumenta l’output (Q↑) ΔΠ = b2·ΔM , dove al crescere della moneta (M↑) aumenta l’inflazione (Π↑)
{
/a {ΔMΔM= ΔΠ= ΔQ /a
e tale modello diventa obiettivi
2
2
per questo, non si possono raggiungere entrambi gli
fissi, poiché entrambi sono influenzati da ΔM. Pertanto, va detto che l’obiettivo “ΔQ = 0 non può esser realizzato”.
Visto che non si possono raggiungere entrambi gli obiettivi, si può però esprimere un “legame tra gli obiettivi”, che rappresenta un “vincolo all’attuazione della politica monetaria” e che è dato da ΔΠ = ΔQ , ossia da ΔΠ = b2 ·ΔQ . b2 a2 a2 La “funzione di perdita sociale” descrive il costo, in termini di benessere, che la società subisce quando i valori si discostano ΔΠ dagli obiettivi. È data da L = (ΔQ – ΔQ*)2 + α0· (ΔΠ – ΔΠ*)2 , dove:
.
ΔQ Bliss point (punto di massimo benessere) Punto di ottimo
ΔQ – ΔQ* è lo scostamento dell’output; α0 è il peso relativo attribuito agli scostamenti: o se α0 = 1 , gli scostamenti hanno lo stesso peso; o se α0 > 1 , gli scostamenti dell’inflazione (ΔΠ) hanno più peso rispetto a quelli dell’output (ΔQ); o se α0 < 1 , gli scostamenti dell’inflazione (ΔΠ) hanno meno peso di quelli dell’output (ΔQ); ΔΠ – ΔΠ* è lo scostamento dell’inflazione.
Questo grafico cambia: - se α0 = 1 , allora le curve di indifferenza sono dei “cerchi concentrici”; - se α0 ≠ 1 , allora le curve di indifferenza sono delle “ellissi” (come in questo caso).
L’obiettivo è quello di “minimizzare la funzione di perdita”, ossia determinare quella variazione della moneta (ΔM) che minimizza, tenendo conto del “vincolo” (che rappresenta il modello) che intercorre tra gli obiettivi. Il “punto di tangenza” tra il vincolo e le curve d’indifferenza rappresenta la scelta ottima, in cui si minimizza la funzione di perdita; tale scelta è un “compromesso”, in quanto non si riesce a raggiungere il “bliss point” (in cui sono raggiunti gli obiettivi) e si cerca di individuare la miglior situazione possibile.
09/03/04
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RIPASSO: IL MODELLO IS-LM IN ECONOMIA CHIUSA Il modello IS-LM mostra l’equilibrio macroeconomico come “equilibrio simultaneo” sui mercati reali, rappresentati dalla curva IS (che è determinata dall’incontro tra domanda e offerta aggregata) e sui mercati finanziari, rappresentati dalla curva LM. La curva IS I mercati reali (dei beni) sono caratterizzati dall’equazione Y = C + I + G , dove: C = c0 + c1 · (Y – T) , per cui il consumo è formato da una parte fissa e da un’altra proporzionale al reddito disponibile; I = I + d 1·Y – d2·i , per cui gli investimenti sono formati da una parte fissa (I) e da una che dipende (positivamente) dal livello del reddito e (negativamente) dagli interessi; G = G , per cui le spese pubbliche sono da considerarsi esogene. Da questa “forma strutturale”, otteniamo che Y = c 0 + c1 · (Y – T) + I + d1·Y – d2·i + G in cui si possono portare tutti i termini in Y a sinistra, il che porta ad avere Y = c0 – c1·T + I – d2·i + G . 1 – c1 – d1 Successivamente, si procede a fissare A = c0 + I – c1·T + G , dove: c0 + I rappresentano le “variabili esogene”; G – c1·T rappresentano gli “strumenti di politica monetaria”. Z Y=Z Detto ciò, si può dire che Z = A + c1·Y + d1·Y – d2·i , dove: ZZ0 (domanda A – d ·i è l’intercetta verticale della domanda aggregata; 2 aggregata) (c + d )·Y è l’inclinazione della domanda aggregata ZZ; 1 1 A–d2·i0 ZZ1 Da questa espressione, poi, si può dedurre che al crescere del A–d2·i1 reddito (Y↑) cresce anche la domanda aggregata (Z↑). Y0
Y1
Y
i i1 i0
IS Y0
Y1
Y
Pertanto, si può notare come la crescita del tasso di interesse (i↑) da i0 ad i1 (con i0 < i1) porti ad una diminuzione dell’intercetta (dovuta al calo degli investimenti, I↓) e, di conseguenza, ad uno spostamento verso il basso della curva di domanda aggregata (Z↓). Tutto ciò porta ad un nuovo livello di reddito più basso del precedente (Y↓), in quanto Y0 < Y1 ; la curva IS è “inclinata negativamente” proprio perché al crescere del tasso di interesse cala il livello di reddito.
In definitiva, la forma strutturale di curva AS è data da Y =
A – d2·i . 1 – c1 – d1 1 – c1 – d1
La curva LM Nei mercati finanziari ci sono 2 alternative di investimento, ossia “la moneta e i titoli”, per cui se c’è equilibrio nel mercato dei titoli c’è anche in quello della moneta, e viceversa. Ogni mercato finanziario è in equilibrio quando “domanda di moneta = offerta di moneta” . L’offerta di moneta Ms è “esogena” per via del fatto che è l’autorità di politica monetaria ad occuparsi di fissare la quantità di moneta in termini reali Ms / P . L a domanda di moneta dipende dal tasso di interesse e dal reddito Md / P = L (Y, i) = f1·Y – f2·i , il che indica: + –
-
che un incremento del tasso di interesse (i↑) porta ad una diminuzione della domanda di moneta (Md↓); che la “domanda di moneta a scopo transattivo” (rappresentata dal termine f1·Y ) fa sì che, al crescere del reddito (Y↑), crescano le transazioni e, di riflesso, la domanda di moneta (Md↑). Ms / P Equilibri del mercato 7
della moneta i1
LM i1
Md / P (Y1) i0
i0 Md / P (Y0) M/P
Y0 Y1
Y d
Siccome l’equilibrio è raggiunto con l’incontro tra domanda (M / P) e offerta di moneta (M / P), si può evincere la “forma strutturale” della curva LM, partendo da Ms / P = f1·Y – f2·i per poi arrivare alla forma Y = Ms + f2·i . f1·P f1 d
I grafici dimostrano quanto detto prima a proposito dei movimenti del tasso di interesse e della loro influenza sulla quantità di moneta in circolazione.
L’equilibrio macroeconomico i LM (Ms / P) Per trovare la soluzione del modello, ossia il “simultaneo equilibrio nei mercati reali e in quelli finanziari”, è necessario risolvere la IS o la LM per i e sostituire poi le soluzioni nell’altra curva. i E
IS (A) YE
{
Quindi, sarà necessario risolvere la seguente forma ridotta: Y = m1 · (Ms / P) + m2 · A Y = m3 · (Ms / P) + m4 · A
Y
La forma ridotta si preoccupa di evidenzare le “variabili endogene (Y e i)” in funzione delle “variabili esogene (Ms / P e A , poiché sono dati rispettivamente nella LM e nella IS)”. In questa forma ridotta, m 1, m2, m3, m4 sono parametri che rappresentano il passaggio dalla forma strutturale a quella reale, e sono chiamati “moltiplicatori della politica monetaria e della politica fiscale”. i LM iE IS YE Y*
ESEMPIO: l’unico obiettivo delle autorità è quello di fare in modo che Y = Y* , ossia che la produzione (o il reddito) sia quella di pieno impiego, partendo da un sistema descritto dal grafico.
Y
Le autorità hanno a disposizione 2 strumenti, per cui il sistema si dice “sovradeterminato”: - la politica monetaria espansiva: - la politica fiscale espansiva: i LM LM iE LM’ iE IS’ IS IS YE =Y* Y
YE =Y*
Y
Visto che con questi 2 metodi si finisce per avere un tasso di interesse (i) o troppo basso o troppo alto, la soluzione ottimale è quella ibrida, qualora si voglia mantenere perlopiù stabile il tasso di interesse. i LM iE LM’ IS IS’ 8
YE =Y*
Y
10/03/2004 Il problema dell’assegnazione Il problema dell’assegnazione deriva dal fatto che le diverse autorità non sono coordinate e, pertanto, bisogna tener conto della “efficacia relativa di ogni strumento”, in quanto uno strumento ha un’influenza maggiore su un obiettivo rispetto ad un altro. Mundell sosteneva il principio della classificazione efficiente dei mercati, in quanto pensava che fosse meglio attribuire ad ogni obiettivo uno strumento, poiché quest’ultimo agisce con efficacia maggiore nei confronti di quell’obiettivo; in questo modo, si minimizzano gli “effetti indesiderati” derivanti dal mancato coordinamento delle autorità separate. Nell’esempio, si ha che: politica monetaria (strumento) contenimento dell’inflazione (obiettivo); politica fiscale (strumento) mantenimento del livello del reddito (obiettivo). Il problema delle scelte in condizioni di incertezza Finora abbiamo analizzato soltanto un modello deterministico; nel caso che sarà preso in analisi, però, non si conoscono perfettamente gli effetti delle varie decisioni di politica economica. Difatti, l’incertezza genera 2 tipi di problemi: • l’incertezza sulla “corretta specificazione dei parametri del modello”, per la cui soluzione servono delle indagini econometriche. A tal proposito, è rilevante la critica di Lucas, in quanto egli era d’accordo con queste affermazioni, ma contestava la “costanza dei parametri”, definendola (a ragione) irrealistica; • l’incertezza sulla “velocità con cui si realizzano gli effetti” delle politiche economiche, che deriva dalla presenza di “ritardi” (che possono essere variabili, prolungati,…); • l’incertezza negli “effetti degli strumenti di politica economica”, che deriva dagli “shock esogeni” a cui è sottoposto il sistema economico e per cui le autorità possono fare ben poco. L’analisi di Poole Con particolare riguardo all’ultimo punto, il problema della scelta dello strumento più idoneo per il raggiungimento di un obiettivo è stato oggetto dell’analisi di Poole. i LM OBIETTIVO mantenimento del livello di reddito di pieno impiego i* (Y*) IS STRUMENTI 1) l’autorità può fissare Ms per far sì che la LM passi per il punto di equilibrio; Y* Y 2) l’autorità può fissare un i*. In questa situazione, si distinguono 2 ipotesi: se non ci fosse incertezza, allora usare l’uno o l’altro strumento è del tutto indifferente; quando c’è incertezza, invece, la scelta tra uno strumento e l’altro è differente, in quanto ci sono degli shock esogeni. In tal caso, l’esito della politica economica è impossibile da prevedere con precisione e, quindi, l’obiettivo sarà formulato in termini di “scostamenti attesi dal valore prefissato”, che dovranno essere “minimizzati” min L = (Y – Y*)2 . In questa sede si procede ad esaminare il secondo caso, dividendo gli shock esogeni in base alla loro natura (da cui dipende la scelta ottimale): a) shock di natura reale, che modificano la posizione della curva IS; b) shock di natura finanziaria, che modificano la posizione della curva LM. SHOCK REALI Data A = c0 + I – c1·T + G + α , abbiamo che α rappresenta uno shock esogeno: se α > 0 , allora la curva IS si sposta verso l’alto; se α < 0 , allora la curva IS si sposta verso il basso. IPOTESI: gli shock reali possono spostare la IS tra IS’ e IS” 9
i
LM” Analizziamo l’efficacia dei 2 strumenti a disposizione: LM 1. se si fissa Ms, e quindi si fissa la curva LM, il livello di LM’ output cambia a seconda che lo shock esogeno sia: a. positivo (IS IS’) l’output sta tra Y* e i* YM ; b. negativo (IS IS”) l’output sta tra IS’ YL e Y*. IS Quindi, nel complesso l’output sta tra YL e YM ; IS” 2. se si fissa i*, e quindi si deve spostare la LM, il livello di output cambia a seconda che lo shock esogeno sia: YC YL Y* YM YD Y a. positivo (IS IS’) l’output sta tra Y* e Di conseguenza, se si prefissa i* (situazione 2)Yle fluttuazioni sono maggiori, mentre se si vogliono D ; minimizzare le variazioni, allora “conviene prefissare M s”. SHOCK MONETARI Data Md / P = f1 · Y – f2 · i + β , abbiamo che β rappresenta uno shock esogeno: se β > 0 , allora aumenta M d (Md↑) e, a parità di M s e Y, avremo un aumento del tasso di interesse (i↑), che genererà uno spostamento della curva LM verso sinistra; se β < 0 , allora decresce Md (Md↓) e, a parità di Ms e Y, avremo un calo del tasso di interesse (i↓), che genererà uno spostamento della curva LM verso destra. IPOTESI: gli shock reali possono spostare la LM tra LM’ e LM” i LM’ Analizziamo l’efficacia dei 2 strumenti a disposizione: LM 1. se si fissa Ms, l’output cambia a seconda che lo shock sia: LM” a. positivo (LM LM’) l’output sta tra YA e Y*; i’ b. negativo (LM LM”) l’output sta tra Y* e i* YB. i” Quindi, nel complesso l’output sta tra YA e YB ; 2. se si fissa i*, l’output non cambia anche in caso di shock: IS a. positivo (LM LM’) i’ > i* Ms↑ si torna indietro (LM si sposta verso destra, LM’ LM); YA Y* YB Y b. negativo (LM LM”) i” < i* Ms↓ si torna indietro (LM si sposta verso sinistra, Di conseguenza, se “si prefissa i* ” non ci sono fluttuazioni e perciò è la situazione ottimale. Se si subiscono shock di natura diversa, bisogna calcolare quali sono i più frequenti e comportarsi di conseguenza (prefissando i* oppure Ms). Ms e i* sono gli “obiettivi intermedi” e sono influenzati dagli strumenti diretti utilizzati dalla Banca centrale, la quale, tramite essi, punta a raggiungere “obiettivi finali”.
15/03/2004
LA MONETA La moneta è il bene che viene accettato come “mezzo di pagamento”, accrescendo l’efficienza degli scambi; inizialmente, il valore della moneta dipendeva dal valore dei materiali di cui era fatta, ma poi si è tenuto conto solo del valore nominale e convertibile in oro (o metalli preziosi). Successivamente, il valore nominale è stato (ed è tuttora) garantito dall’autorità pubblica. M = Cu + D
Moneta = Circolante (current) + Depositi
La Banca centrale controlla la “base monetaria” (o moneta ad alto potenziale, BM) detenuta dal settore privato (sotto forma di circolante) e dal settore bancario (sotto forma di riserve): BM = Cu + RE
Base Monetaria = Circolante + Riserve
Le riserve sono “una percentuale dei depositi” che le banche detengono sotto forma liquida (in parte presso la Banca centrale e in parte presso le filiali delle banche private) per 2 ragioni: - bisogna poter dare i soldi ai correntisti che li prelevano; 10
-
è necessario “tutelare il risparmio”, per cui le banche non possono investire tutto.
Le riserve, poi, sono di 2 tipi: “riserva obbligatoria”, sotto la quale le banche non possono scendere e nata dall’esigenza di tutelare il risparmio; “riserve libere”, le cui dimensioni sono soggette alla discrezionalità delle banche. Canali di creazione e/o distruzione di base monetaria I canali di creazione e/o distruzione di base monetaria sono le vie attraverso cui la Banca centrale opera sulla base monetaria, e sono: 1) “operazioni di mercato aperto”, con cui la Banca centrale acquista (creando moneta dal nulla) e vende titoli (per ritirare base monetaria); 2) “canale estero”, attraverso cui la Banca centrale vende (ritirando BM) o acquista (creando BM) riserve in valuta estera; 3) “canale bancario”, per cui la Banca centrale effettua prestiti alle banche ordinarie attraverso lo sconto di cambiali tramite il TUS (Tasso Ufficiale di Sconto), che è un tasso d’interesse di riferimento poiché, alzando il TUS (TUS↑), si crea un innalzamento dei tassi di interesse (i↑) che genera una diminuzione degli investimenti (I↓) e, di conseguenza, un incremento della liquidità (BM↑). Vale anche il viceversa; 4) “canale del Tesoro” (era molto utilizzato in Italia), che era un finanziamento diretto fatto dalla Banca centrale al settore pubblico mediante l’acquisto diretto di titoli di Stato, finanziando i deficit di bilancio con l’emissione di moneta (“monetizzazione del debito pubblico”). BILANCIO DELLA BANCA CENTRALE Attività Passività Titoli Riserve valutarie Presiti alle imprese di credito
Base monetaria
Il moltiplicatore monetario La quantità di moneta non viene determinata direttamente dalla Banca centrale, bensì dall’interazione con le banche ordinarie e con i privati; difatti, la Banca centrale controlla solo la Base Monetaria. Le banche, come intermediari finanziari, raccolgono i depositi e concedono prestiti ai privati; tuttavia, “non possono utilizzare tutto l’ammontare dei depositi”, in quanto devono tenere delle riserve. Il rapporto tra le riserve e i depositi è indicato con re = RE / D . I privati hanno delle “abitudini di pagamento”, che determinano quanta moneta è tenuta sotto forma di circolante e quanta ne detengono sotto forma di deposito; per descrivere tali abitudini usiamo cu = Cu / D. Partendo dal rapporto M = Cu + D , otteniamo che M = cu + 1 M = BM · cu + 1 , dove BM Cu + RE BM cu + re cu +re il termine che moltiplica BM è chiamato moltiplicatore monetario. Questo nome gli deriva dal fatto che fa sì che M > BM : ciò deriva dal fatto che il moltiplicatore è sempre maggiore di 1, visto che cu + 1 > cu + re re < 1 , il che è dovuto al fatto che le riserve sono sempre una (bassa) percentuale dei depositi. Di conseguenza, la quantità di moneta (M) sarà un “multiplo” della base monetaria (BM), e perciò si avrà una creazione endogena di moneta. Se cu e re sono abbastanza stabili, allora il moltiplicatore è una costante, il che permette la creazione di uno “stretto legame tra M e BM”; quindi, la Banca centrale può agire su BM conoscendo con una certa precisione gli effetti che avranno le sue azioni su M.
16/03/2004
LA DIMOSTRAZIONE SUL MOLTIPLICATORE BANCARIO NON È QUI INSERITA PER ECCESSIVA LUNGHEZZA Le funzioni della moneta nel sistema economico 11
Le 3 funzioni della moneta nel sistema economico sono le seguenti: a) mezzo di scambio; b) unità di conto (legata alla funzione di mezzo di scambio), ossia di “numerario del sistema economico”, visto che i prezzi sono fissati in unità di moneta; c) riserva di valore, ossia consente di “trasferire risorse dal presente al futuro”. Per esser tale, la moneta ha 2 caratteristiche: o mantiene il suo valore nominale nel tempo (in certi casi può però esser dominata da altre attività); o ha costi di conservazione trascurabili. I motivi che giustificano la detenzione di moneta I motivi per cui gli operatori detengono moneta sono: 1) un motivo transattivo (o delle transazioni), che è il più considerato da tutte le scuole di pensiero; 2) un motivo precauzionale, per cui si detiene moneta per far fronte a pagamenti imprevisti; 3) un motivo speculativo, legato alla moneta come riserva di valore, ossia all’investimento delle risorse finanziarie.
17/03/2004 1) Domanda di moneta a scopo transattivo Analisi di Baumol-Tobin L’analisi di Baumol-Tobin tiene in considerazione il fatto che la moneta è detenuta per effettuare i pagamenti e si preoccupa di cercare di definire la quantità ottimale di moneta da detenere. Semplificando, supponiamo che l’operatore possa detenere moneta sotto forma liquida o depositarla in un deposito a risparmio. In tal caso, l’operatore dovrà fare un “trade-off” tra 2 elementi: 1. gli interessi, per cui: o + deposito + interessi; o + moneta – interessi ; 2. la disponibilità e i costi, per cui: o il deposito comporta dei costi per la trasformazione in moneta liquida; o la moneta comporta disponibilità immediata. Le ipotesi su cui si fonda questo modello sono realistiche, in quanto si trattano casi con: entrate discontinue (come lo stipendio mensile) YN ; spese continuative, che in un mese sono uguali alle entrate e, pertanto, non permettono di risparmiare. ESEMPIO 1: un prelievo iniziale Z, con YN = Z M Si preleva tutto all’inizio in una volta e, quindi, si avrà che M = Z = YN , perché è la “media di moneta detenuta nel 2 2 periodo”.
YN = Z
1 mese t ESEMPIO 2: due prelievi, uno all’inizio e uno a metà mese M Z = YN 2 ½
Si preleva metà all’inizio e metà alla fine e, quindi, si avrà che la “media di moneta detenuta nel periodo è data da M = YN · 1 = YN 2 2 4 1 mese
Di conseguenza, abbiamo dimostrato che la quantità di moneta dipende molto dal numero di prelievi (n): M = YN / 2·n . 12
Ora il problema sta nel minimizzare i costi complessivi (in base al numero di prelievi), e ciò è definito da min C(n) = tc · n + i · (YN / 2·n) , dove: n tc · n rappresenta il prodotto tra “costo di transazione” (o trasformazione, tc) e numero di prelievi (n); i · (YN / 2·n) rappresenta gli “interessi persi”, ossia il prodotto tra il tasso di interesse (i) e la quantità di moneta detenuta. Questa espressione, perché sia minimizzata deve rispettare una condizione necessaria (C’n = 0) e una condizione sufficiente (C”nn > 0); in particolare, tale condizione necessaria porta ad ottenere l’uguaglianza Beneficio marginale = costo marginale , data da tc = (i · YN) / 2·n2 , da cui si ricava che n* = √ (i · YN) / (2· tc) e, siccome M* = YN / 2·n* si ottiene che M* = √ (tc · YN) / (2·i) . Costo marginale
Beneficio marginale
n*
n
Va detto che n* è il “numero ottimale di prelievi”, attraverso cui si può determinare la quantità ottimale di moneta da detenere (M*) e che corrisponde al punto d’incontro tra costi marginali e benefici marginali.
Quindi, M* dipende da: 1. tc , in modo direttamente proporzionale; Se aumenta il costo di transazione (t c↑), passando da tc’ a tc’’ (con tc’’> tc’’), allora il numero ottimale di prelievi passerà da n* a n** (dove n** < n*), diminuendo (n*↓).
tc’’ tc’
Ciò porterà gli operatori a detenere più moneta (M*↑). n** n*
n
2. i , in modo inversamente proporzionale; Se aumenta il tasso d’interesse (i↑), allora il numero ottimale di prelievi passerà da n* a n** (dove n**> n*), aumentando (n*↑). Ciò porterà gli operatori a detenere meno moneta (M*↓).
tc n* n**
n
3. YN , in modo direttamente proporzionale. Se aumentano le entrate mensili (Y N↑), allora il numero ottimale di prelievi passerà da n* a n** (dove n**> n*), aumentando (n*↑). Tuttavia, siccome M* = YN / 2·n* , aumenta sia il reddito che il numero di prelievi.
tc n* n**
n
Alla fine, ciò porterà gli operatori a detenere più moneta (M*↑), perché “l’effetto del reddito supera l’effetto del numero di prelievi”.
2) Domanda di moneta a scopo precauzionale Nella domanda di moneta a scopo precauzionale si fa riferimento alla “incertezza sui pagamenti futuri” (ovvero sulle spese impreviste), e la domanda di moneta deriva, analogamente al caso transattivo, da costi e benefici che si hanno nel detenerla: gli interessi, per cui: o + deposito + interessi; o – deposito – interessi ; la disponibilità e i costi, per cui: o il deposito impedisce di far fronte immediatamente alle spese impreviste; 13
o la moneta comporta disponibilità immediata. Anche qui, analogamente a quanto accade nel caso transattivo, si cerca di “minimizzare i costi” (in base al numero di prelievi), che però sono “costi attesi” min EC(M) = i · M + q · p , dove: n - EC sta per expected cost; - i · M (tasso di interesse x quantità di moneta) rappresenta la “perdita degli interessi”; - q è un parametro che indica i “costi derivanti dall’illiquidità”, tra cui si trovano costi psicologici (che sono legati al non potere far fronte subito alle spese impreviste) e costi di liquidazione di altre attività finanziarie; - p rappresenta la “probabilità di trovarsi in situazioni di illiquidità”, la quale dipende da: o dalla quantità di moneta M , in modo inversamente proporzionale (se M↑ p↓ , e viceversa); o dall’incertezza σ , in modo direttamente proporzionale (se σ↑ p↑ , e viceversa). Anche questa espressione, perché sia minimizzata deve rispettare una condizione necessaria (EC’n = 0) e una condizione sufficiente (EC”nn > 0); tale condizione necessaria porta ad ottenere l’uguaglianza data da Costi marginali = benefici marginali i = 2σ2q / M3 , da cui si deriva che M* = 3√2σ2q / i .
22/03/2004 i i’’ i’
Costo marginale
M*
M**
Se aumenta il tasso di interesse (i↑, i’ i’’), allora si avrà una nuova scelta ottima (M* M**), dove la nuova quantità di moneta ottimale è superiore a quella precedente (M** > M*).
Beneficio marginale più moneta si detiene e meno si incorre in “rischi di illiquidità” M
i
i’
Costo marginale Beneficio marginale
Se aumenta l’incertezza (σ) o il costo derivante dalla situazione di illiquidità (q), allora la curva del beneficio marginale si sposta verso destra e si avrà una nuova scelta ottima (M* M**), dove la nuova quantità di moneta ottimale è superiore a quella precedente (M** > M*).
M* M** M Un altro filone di ricerca Esiste anche un altro filone di ricerca per la domanda di moneta a scopo precauzionale, ed è quello di Miller-Orr, che pensarono di identificare una somma superiore e una inferiore che, se raggiunte, facessero sì che gli operatori effettuassero una transazione di titoli per ritornare in mezzo alla “banda di oscillazione” (che è determinata in maniera ottimale). 3) Domanda di moneta a scopo speculativo Questo tipo di domanda tiene conto della “funzione di riserva di valore” della moneta e ci si pone il problema di come allocare la ricchezza (“scelte di portafoglio”) nelle varie attività finanziarie disponibili. La moderna teoria delle scelte di portafoglio A partire dagli anni ’50 si è sviluppata la moderna teoria delle scelte di portafoglio, grazie al lavoro di Tobin, secondo cui le decisioni vengono prese tenendo conto di 2 problemi: a) la “massimizzazione del rendimento” delle attività finanziarie; b) la “rischiosità dell’investimento finanziario”, che dà importanza all’attitudine degli operatori al rischio (che è soggettiva). 14
Uno dei risultati fondamentali ottenuti da questa teoria è che non conviene agli operatori investire in un’unica attività, bensì è meglio diversificare il proprio portafoglio per ridurre la rischiosità (per coloro che sono avversi al rischio): da qui emerge una domanda di moneta, in quanto è un’attività finanziaria sicura, anche se ha un rendimento pressoché nullo. Quindi: il portafoglio è determinato secondo un “trade-off tra rischio e rendimento”; “la moneta è un’attività finanziaria sicura”, che riduce la rischiosità complessiva ma che è dominata da altre attività finanziarie sicure che hanno un rendimento maggiore (ES: titoli di Stato a breve termine). L’allocazione dipende anche dalla ricchezza complessiva dei soggetti. La teoria quantitativa della moneta La teoria quantitativa della moneta descriveva la domanda di moneta prima dell’analisi keynesiana e considerava la “funzione transattiva della moneta” (ossia la intendeva come mezzo di pagamento). Secondo la cosiddetta equazione degli scambi di Fisher (teoria classica) la moneta è utilizzata come mezzo di pagamento per tutti gli acquisti ed è data da P·Y = M·V , dove: - M·V (quantità di moneta x velocità di circolazione) tiene conto del fatto che, siccome la moneta circola nel sistema economico, la stessa quantità di moneta viene usata per effettuare più pagamenti; - P·Y (prezzi x produzione) rappresenta il valore complessivo di beni e servizi presenti nel mercato. Siccome il sistema deve esser in “equilibrio di pieno impiego”, fissiamo Y e V (in quanto dipendono da fattori istituzionali o da abitudini) ed otteniamo che P = (V / Y) · M , da cui abbiamo ricavato la “teoria di determinazione del livello dei prezzi”, secondo la quale: 1. la moneta ha il solo compito di determinare i prezzi (è un “velo”); 2. l’inflazione è determinata soltanto dalla quantità di moneta. __________________________
ESEMPIO: visto che V = (P·Y) / M e che, nel modello di Baumol-Tobin abbiamo M/P = √(tc·Y) / 2·i , avremo che V = √(2i·Y) / t c e che, quindi, la velocità di circolazione non è costante, bensì è influenzata dal tasso di interesse (i) e dal reddito/produzione (Y). La scuola monetarista A partire dagli anni ’60, sono stati ripresi questi risultati dalla scuola monetarista (della quale Milton Friedman è il principale esponente), che si contrappone all’analisi keynesiana e che sostiene che: • gli effetti di “lungo periodo” dei fenomeni monetari sono meglio riflessi dalla teoria quantitativa, con la quale si raggiunge l’equilibrio; • la politica monetaria “non ha un ruolo efficace come politica anticiclica”, in quanto agisce in ritardo e perché ha effetti solo nominali. Quindi, bisogna far crescere la quantità di moneta (M) a tasso costante per avere un’inflazione bassa.
23/03/2004
IL LEGAME TRA OFFERTA DI MONETA E VINCOLO DI BILANCIO Un “deficit di bilancio” va finanziato, e ciò può avvenire in 2 modi: 1) con “titoli del debito pubblico”, acquistati dal settore privato; 2) con “monetizzazione del debito”, in cui i titoli di debito pubblico sono acquisiti, prima dell’emissione, direttamente dalla banca centrale emettendo moneta e, quindi, senza passare per il mercato (poiché in tal caso si tratta di un’operazione di mercato aperto). Nell’ultimo caso, di conseguenza, il settore pubblico effettua le sue spese “gratuitamente”, visto che DIS/P = ∆M/P , dove: • DIS/P è il “disavanzo in termini reali”; • ∆M/P è il potere d’acquisto aggiuntivo immesso nel sistema con la creazione di moneta, anche detto “signoraggio”. Quest’ultimo è perciò una quota di reddito reale di cui il governo si appropria, in virtù del potere di stampare moneta (che prima era del signore, da cui deriva il nome), al fine di compiere gli acquisti di beni e servizi da parte del settore pubblico. È formato da ∆M/P = ∆M/M · M/P , dove: o ∆M/M è il “tasso di crescita della quantità di moneta”; o M/P è lo “stock reale di moneta” (anche detto saldo monetario reale). 15
I deficit di bilancio sono per lo più finanziati con emissione di titoli del debito pubblico; quindi, anche per via dell’ampio grado d’indipendenza della Banca centrale (che in precedenza era limitato), l’influenza del signoraggio è abbastanza contenuta. Difatti, il debito pubblico ha iniziato a crescere molto nel momento del “divorzio” tra Banca centrale e Ministero del Tesoro, divenendo così più indipendente (anni ’80); fino a quel momento, il signoraggio era stato molto utilizzato, ma ciò aveva portato ad avere un’elevata inflazione (la cosiddetta “iperinflazione”), principalmente causata da: - l’incremento della quantità di moneta emessa con la monetizzazione del debito pubblico; - deficit di bilancio pubblico molto alti. Dividendo entrambi i membri dell’equazione ∆M/P = ∆M/M · M/P per il reddito Y, ottengo questa equazione: ∆M/P = ∆M · M/P , dove rapporto il signoraggio al livello del reddito e da cui si Y M Y può notare che se [(M / P) / Y ] si riduce, per ottenere lo stesso livello di signoraggio [(ΔM/P)/Y ] si dovrà incrementare più che proporzionalmente la quantità della moneta (∆M/M ↑), il che porta ad un’inflazione elevata. Considerando che il signoraggio dipende dalla domanda di moneta del settore privato Md/P = L(Y,i) , in caso di elevata inflazione bisogna però anche tener conto del suo legame con il tasso d’interesse, - + il quale tende a crescere per via della richiesta di copertura dell’inflazione: i = r + πe (dove r è il tasso di interesse nominale e πe è l’inflazione attesa). Ciò porta ad avere una domanda di moneta del settore privato M d/P = L(Y, r+πe) che, al calare della inflazione attesa (πe↓) si riduce (Md/P ↓), facendo così diminuire anche la domanda di saldi monetari reali ((M/ P)/Y ↓). Quindi: nel tratto 0A per aumentare il signoraggio basta aumentare il tasso di ∆M crescita della moneta (∆M/M ↑), in quanto la domanda di moneta (M / P)/Y P_ resta costante; Y dalla A in poi l’inflazione generata va ad influenzare i tassi di interesse (i↑), B il che fa calare la domanda di moneta ((M/P)/Y ↓) e fa divenire “sempre A meno efficace” l’aumento del tasso di crescita della moneta (∆M/M); dal punto B in poi l’aumento di ∆M/M diventa inutile, in quanto la domanda di moneta decresce ((M / P)/Y ↓) e, assieme agli elevati deficit di bilancio, si 0 ∆M/M crea una situazione di “iperinflazione”.
24/03/2004
EFFICACIA DELLE POLITICHE MACROECONOMICHE Con questa analisi si tenta di quantificare la capacità delle politiche macroeconomiche di modificare il livello dell’output che si determina nell’equilibrio di breve periodo. Modello di domanda-offerta aggregata (AD-AS) Il modello AD-AS consente di determinare l’equilibrio macroeconomico su 3 mercati: il mercato finanziario (della moneta); il mercato dei beni; il mercato del lavoro (come fattore produttivo). • •
Il modello AD-AS è formato da: la curva di domanda aggregata (AD), che rappresenta l’equilibrio simultaneo sul mercato dei beni e sul mercato della moneta; la curva di offerta aggregata (AS), che rappresenta l’equilibrio sul mercato del lavoro.
La curva AD La curva AD si ottiene dal modello IS-LM, dove l’ipotesi chiave è quella di “prezzi fissi”. i LM” (Ms / P2) Fissiamo P0 come livello dei prezzi iniziale, per poi: LM (Ms / P0) - diminuirlo (P0 P1, dove P0 > P1), il che crea uno LM’ (Ms / P1) spostamento verso il basso della curva LM (LM LM’); - aumentarlo (P0 P2, dove P0 < P2), il che crea uno spostamento verso l’alto della curva LM (LM
16
IS Y2 Y0 Y1
Y
P P2 P0 P1
E2 E0 E1 AD Y2 Y0 Y1
Y
P
La forma ridotta del modello IS-LM, e cioè Y = m1 · (M / P) + m2 · A (dove A = c0 + I – c1·T + G), può essere considerata come l’espressione della curva AD, in quanto descrive l’andamento del reddito (Y) in funzione del prezzo (P). In più, in questa espressione ci sono M, T e G , e ciò significa che la curva AD è “influenzata dalle politiche economiche”: a) politiche economiche (monetarie e fiscali) espansive la AD si sposta verso destra; b) politiche economiche (monetarie e fiscali) restrittive la AD si sposta verso sinistra. Per semplicità, adotteremo dei “modelli lineari” mediante un’approssimazione secondo cui, anziché misurare i livelli delle variabili, verranno misurati i “logaritmi dei valori”; bisogna perciò tener conto che le lettere minuscole misurano il logaritmo delle lettere maiuscole (ad esempio g = log G , dove G è la spesa pubblica e rappresenta le politiche fiscali).
ADb) AD ADa) Così facendo, M / P può esser indicato con log M – log P Y m – p ; da qui possiamo dare l’espressione analitica della curva AD, ossia La curva AS y = δ·(m – p) + θ·g . Scuole diverse danno formulazioni diverse della curva AS: non ce n’è una univoca. Il modello neoclassico (o pre-keynesiano) Secondo questo modello, il mercato del lavoro è in “concorrenza perfetta” e l’equilibrio si trova “nel punto d’incontro tra domanda (delle imprese) e offerta di lavoro (delle famiglie)”. La curva dell’offerta di lavoro (Ns) è positivamente inclinata, in quanto N s = Ns (W / P) , dove W/ P rappresenta il salario reale e per cui l’offerta di lavoro cresce al crescere del salario reale. +
La curva della domanda di lavoro (Nd) è negativamente inclinata, in quanto N d = Nd (W / P) , dove W/ P rappresenta il salario reale e per cui la domanda di lavoro cresce al calare del salario reale.– w–p Anche in questo caso utilizzeremo dei “modelli lineari”: ns • l’offerta di lavoro ns = c + d·(w – p) (c è una costante); • la domanda di lavoro nd = a – b·(w – p) (a è una costante). (w–p)* Mettendo a sistema le due curve si otterrà l’equilibrio; va detto che il sistema “converge sempre verso l’equilibrio (n*, (w – p)*)”, e ciò è garantito dalla “flessibilità del salario reale”.
d
n n*
n
Tale flessibilità deriva dal sistema tra domanda e offerta di lavoro a – b· (w – p) = c + d· (w – p) a – c = (b + d) · (w – p) (w – p)* = (a – c) / (b + d) da cui, sostituendo questa soluzione nella espressione della domanda o dell’offerta di lavoro, si ottiene che n* = cb + ad . b+d w–p Esaminiamo una situazione tipo, partendo dall’equilibrio dato dal ns punto (n*, (w0 – p0)*): se si abbassano i prezzi (p↓) da p0 a p1 (dove p0 > p1), allora si avrà che w0 – p1 > w0 – p0 (ossia che (w – p)↑).
(w0–p0)*
Quindi, nel mercato del lavoro si passa da w 0 a w1, dove w1 < w0 (w↓), e ciò porta ad avere w1 – p1 = w0 – p0 (il che è dovuto dal fattodachey (w – p)↓). Vale anche di il viceversa (con da n*), La funzione di produzione aggregata è data = τ·n e, in corrispondenza y* (che deriva n*
nd n
si avrà una condizione di “pieno impiego”. P Detto questo, si può affermare che, per i neoclassici, “le politiche AS economiche non hanno alcun effetto sul livello dell’output”, e P2 ciò accade grazie alla “concorrenza perfetta nel mercato del lavoro” ed alla “flessibilità del salario reale”; pertanto, avremo una curva AS verticale.
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P0 P1
AD Y*
Y
30/03/2004 Il modello keynesiano Il modello keynesiano tiene conto della “rigidità del salario nominale” (in netta contrapposizione con la flessibilità sostenuta dalla teoria neoclassica) e della “flessibilità dei prezzi”; quindi, tale modello tiene conto della presenza di “disoccupazione”. La domanda di lavoro (con w fisso) nd = a – b·(w – p) , determina il livello di occupazione, in quanto l’offerta di lavoro ns non conta più. Pertanto, data la funzione di produzione y = τ · n , si avrà che la curva AS sarà data dall’equazione y = τ · [a – b·(w – p)] AS: y = (τa – τbw) + τbp . P Detto questo, si può affermare che la curva AS è “positivamente inclinata” AS per via di τbp , visto che al crescere dei prezzi (P↑), dato un salario nominale fisso, il salario reale cala (W/P↓), così le imprese aumentano la domanda di lavoro (nd↑) e, quindi, aumenta l’occupazione. AD y P AS p** p* AD AD’ y* y**
In caso di politica monetaria o fiscale espansiva, si ha che p* p** e che y* y** ; quindi, siccome sia il livello dei prezzi (p↑) che il livello dei redditi cresce (y↑), possiamo dire che “le politiche macroeconomiche sono efficaci”.
y
P Un caso particolare del modello AD-AS keynesiano è quello in cui vi sono “prezzi fissi”; difatti, in questo caso la curva AS è orizzontale (ha inclinazione zero).
AS AD y
La curva di Phillips Negli anni ’60 è stata contestata l’ipotesi di salari nominali fissi, e si è introdotto il “lento adeguamento dei salari nel tempo” grazie al contributo di Phillips, che sosteneva che dai dati emergeva una “relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari nominali e il tasso di disoccupazione”. Dato il tasso di variazione dei salari nominali (Wt – Wt-1) / Wt-1 ≈ log Wt – log Wt-1 wt – wt-1 e il tasso di disoccupazione u = (FL – N) / N ≈ log FL – log N fl – n (dove fl n*) , si avrà che: wt – wt-1 = – f (fl – n) . Quindi, avremo una curva AS: w – w-1 = f (n – n*) . Partendo dall’ipotesi che il livello dei prezzi è fissato come un “mark-up” dei costi di produzione, si ha che P = W · (1 + m) p = log (1 + m) + w. Considerando che per misurare l’inflazione è necessario fare la differenza tra i prezzi di due periodi successivi, ci troveremo ad avere che “l’inflazione è uguale alla variazione dei salari nominali”: p – p-1 = log (1 + m) – log (1 + m) + w – w-1 p – p-1 = w – w-1 . Dato il sistema tra queste 3 equazioni, si ottiene una “relazione positiva tra il livello di produzione e il livello dei prezzi”: p – p-1 = w – w-1 p – p-1 = f (n – n*) y=τ·n n=y/τ p – p-1 = f (y – y*)
{
{
18
wt – wt-1 = – f (n* – n)
n* = y* / τ
τ
Da questa equazione, poi, si può ricavare la relazione inversa y = y* + β (p – p-1) , dove β = τ / f (β > 0) e da cui si ricava che la curva AS AS è “positivamente inclinata”.
P
AD
Se p ≠ p-1 , allora la curva AS si sposta: ad esempio, se y* > y** , allora avremo che y* – y** > 0 , il che porterà a p – p -1 > 0 , per cui il livello dei prezzi cresce (p↑). Vale anche il viceversa.
y** y* y Quindi, c’è un “lento meccanismo automatico di aggiustamento” che porta al livello di pieno impiego; tuttavia, se tale meccanismo è troppo lento, allora il sistema permane in una situazione di disoccupazione, per cui conviene correggere questa situazione tramite la “politica economica”, che agisce sulla curva AD (spostandola) e che è più rapida del meccanismo. La curva di Phillips aumentata per le aspettative Successivamente, si accese un dibattito tra l’analisi keynesiana e l’analisi monetarista: i monetaristi (capeggiati da Friedman) contestano la curva di Phillips, sostenendo che i lavoratori sono più interessati al “livello del salario reale” che a quello nominale, e che ciò dipende anche dalle “aspettative sui prezzi” che i lavoratori hanno, in quanto ne tengono conto nel fare le richieste salariali. Da ciò si evince che la nuova curva di Phillips aumentata per le aspettative sarà sostanzialmente data da: wt – wt-1 = f (n – n*) + Πe wt – wt-1 = f (n – n*) + (pe – p-1) , dove pe è il livello di prezzi atteso e Πe è il tasso di inflazione atteso. Dato il sistema suddetto, si ottiene una “relazione positiva tra il livello di produzione e il livello dei prezzi”, ma con la variante dei prezzi attesi: p – p-1 = w – w-1 p – p-1 = f (n – n*) + (pe – p-1) y=τ·n n=y/τ p = pe + f (y – y*) wt – wt-1 = f (n – n*) + (pe – p-1) n* = y* / τ τ
{
{
Da questa equazione, poi, si può ricavare la relazione inversa (β > 0) e da cui si ricava che: •
•
y = y* + β (p – pe)
se pe = p , ovvero se gli agenti hanno fatto buone previsioni, avremo che y = y* P e, quindi, una curva AS “verticale”. Ciò accade di frequente nel lungo periodo, e porta alla “inefficacia delle politiche economiche. Inoltre, in corrispondenza dell’output di pieno impiego (y*) abbiamo il NAIRU (o “tasso naturale di disoccupazione”), che tiene conto della disoccupazione volontaria e di quella “frizionale” (cioè di quella dovuta al naturale funzionamento del mercato P del lavoro): ciò significa che “non c’è disoccupazione volontaria”; se pe ≠ p , ossia nel caso di previsioni errate, avremo y ≠ y* e, di conseguenza, una curva AS “positivamente inclinata”. In tal caso “le politiche economiche sono efficaci” e si ha un trade-off tra output e inflazione. Ciò accade di frequente nel breve periodo, in quanto è difficile fare giuste previsioni.
, dove β = τ / f AS
y
AS (Pe) y
02/04/2004 Determinazione delle aspettative di prezzo Le 3 regole Il problema dell’ultimo modello esaminato è quello della descrizione del processo di determinazione delle aspettative di prezzo. All’inizio degli anni ’70 si crearono delle regole: • “aspettative estrapolative” (poco usate), per cui i prezzi attesi derivano da quelli del periodo precedente più una parte dell’aumento subito nel periodo prima xet = xt-1 + α · (xt-1 – xt-2) , con 0 < α < 1; • “aspettative adattive”, che si fondano soltanto sui valori passati della variabile (perciò sono anche dette “aspettative backward looking”) xet = xet-1 + λ · (xt-1 – xet-1) , con 0 < λ < 1 e da cui deriva che xet = λ·xt-1 + (1 – λ) · xet-1 , con xet-1 = λ·xt-2 + (1 – λ) · xet-2 e xet-2 = λ·xt-3 + (1 – λ) · e e 2 x t-3 : tutto questo porta all’equazione x t = λ·xt-1 + (1 – λ) · λ·x t-2 + (1 – λ) · λ·xt-3 + (1 – λ)3 · λ·xt-4 …… che sta ad indicare che “gli errori del passato sono sempre meno influenti”; 19
•
“aspettative statiche”, che sono un “caso particolare delle aspettative adattive”, visto che si tratta del caso in cui λ = 1 , che porta ad avere xet = xt-1 . Nel caso delle “aspettative adattive”, gli errori sono tenuti sempre in considerazione, anche se sono sistematici.
P
Ad esempio, se fino al tempo t0 il prezzo è costante in P0 e poi passa a P1 (linea in grassetto nero), l’adeguamento dei salari ai prezzi sarà molto lento (linee tratteggiate blu); tutto questo è dovuto al fatto che “il set informativo è composto solamente dal passato andamento”.
P1 P0 t0
Ciò genera un “errore sistematico” (area colorata in grigio), in quanto: - le aspettative sono ferme fino a t0; t - da t in poi si adeguano lentamente, generando l’errore sistematico. 0
Le aspettative razionali Nella prima metà anni ’70, poi, le aspettative adattive finiscono per esser criticate e sostituite con le “aspettative razionali”, derivate dalla nuova macroeconomica classica di Lucas (però erano state inventate da John Muth nel 1961). Tale concezione si basa sulla “razionalità degli agenti”, che tentano di “massimizzare la loro funzione obiettivo” (utilità o profitto); quindi, essendo una risorsa scarsa, “l’informazione sarà utilizzata al meglio”, in quanto il set informativo viene ampliato con tutte le informazioni a disposizione degli agenti. xet = E (xt-1 | I) Con questa espressione si indica che l’aspettative è il “valore atteso” (o migliore previsione, E) della variabile, condizionato dal “set informativo” (I) degli agenti, il quale include: 1) il “valore di tutte le variabili rilevanti” fino al tempo t-1 ; 2) il “modello tecnico rilevante”, ossia il modello economico che spiega la determinazione delle variabili; 3) le “proprietà statistiche degli shock”. Le aspettative razionali “non portano necessariamente a previsioni perfette”, perché ci possono esser degli “errori di previsioni”, dovuti alla mancanza di informazioni perfette; tuttavia, va detto che gli errori “non sono sistematici” per via del fatto che gli agenti utilizzano tutte le informazioni disponibili nel loro set informativo. Implicazioni delle aspettative razionali Per quanto concerne questo dibattito sull’efficacia delle politiche economiche, le aspettative razionali portano ad avere, in caso di shock dal lato dell’offerta aggregata: s e curva AS y = y* + β · (p – p ) + u , dove u è lo shock e per cui E(u) = 0, ossia il valore medio dello shock è zero; d curva AD y = δ · (m – p) + θ · g yd = δ · m – δ · p + θ · g yd = α · z – δ · p , dove α · z = δ · m + θ · g , che raggruppa lo strumento di politica fiscale (θ · g) con lo strumento di politica monetaria (δ · m). Per passare dalla forma strutturale del modello ad una forma (quasi) ridotta, si parte da y = yd e si prosegue facendo y* + β·p – β·pe + u = α·z – δ·p p = β·pe – u – y* + α·z (1) , in cui p è in funzione di variabili esogene e aspettative (“forma ridotta per p”). β+δ s
Sostituisco p nella AD y = α·z – δ · β·pe – u – y* + α·z = αβz + αδz – βδpe + δu + δy* – αδz (2) che è la “forma ridotta per y”. β+δ β+δ Considerando pe nella forma ridotta per p (1) E (p | I) = α · E(z|I) + β · E(p|I) – Eu – y* , dove: α è moltiplicato per le aspettative su z; β+δ β è moltiplicato per le aspettative su p; Eu rappresenta l’aspettativa su u , che è zero. 20
Moltiplicando entrambi i membri per il denominatore del secondo membro (β + δ) , si può notare che β·E (p | I) + δ·E (p | I) = α·E(z|I) + β·E(p|I) – Eu – y* E (p | I) = α·E(z|I) – y* . δ e Da qui, sostituendo p con E (p | I) nella (2) y = αβz – βδ·[(α·E(z|I) – y*) / δ] + δu + δy* , si ottiene che y = αβ · [z – E(z | I)] + (β + δ) · y* + δu . β+δ β+δ β+δ β+δ In definitiva, si può concludere dicendo che, siccome y = y* + αβ · [z – E(z | I)] + δu , il livello del reddito dipende da: β+δ β+δ • il “livello reddito di pieno impiego” (y*); • la “differenza tra la politica economica realizzata (z) e le aspettative presenti sulla politica economica (z – E(z|I))”. Di conseguenza, è realizzata la proposizione di inefficacia di Sargent e Wallace, per cui “è rilevante solo ciò che non è previsto dagli agenti”, ossia la parte inaspettata della politica economica. Pertanto, “ciò che è previsto non ha effetto reale”; • gli “shock imprevisti” dal lato dell’offerta (u). -
ESEMPIO: z t = k·zt-1 + s·y t-1 – t·pt-1 + vt , dove la politica economica () dipende da: la componente inerziale della politica economica k·zt-1 ; la reazione al reddito precedente, mediante la politica anticiclica s·yt-1 ; la reazione al livello dei prezzi precedente t·pt-1 ; la componente inattesa (shock) vt .
Tenendo conto del fatto che gli agenti possono prevedere i valori delle prime 3 variabili, l’unica parte inattesa sarà data dallo shock E(vt) , che rappresenterà il termine indicante la differenza tra la politica eco n o mica r ealizzata e le as pettative pres enti s ulla politica econ o mica αβ · [z – E(z | I)] e che, peraltro, “tende a zero”. β+δ
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