ADM - Architettura Design Materiali - marzo 2007
Ai confini della sedia Quali sono i confini di una sedia? Dove finisce una sedia e inizia una chaiselongue? È una sedia la semisferica Bubble Chair di Eero Aarnio? E il fantozziano Sacco di Gatti, Paolini e Teodoro? Insomma, esiste o no una sedia-archetipo, l’idea platonica di sedia, che al di là delle multiple varianti e degli infiniti modelli raccolga in sé l’essenza della sedia? E se sì, esistono modelli che si avvicinano di più all’essenza? In altre parole: tutte le sedie sono uguali, oppure alcune sono più sedie di altre? Urge una definizione. Scomponendola nelle sue parti, perché una sedia sia una sedia sembrano, a prima vista, irrinunciabili almeno lo schienale, o la spalliera, e il sedile. Delle gambe si può fare a meno, se degnamente sostituite (e una sedia può anche essere sospesa), dei braccioli ancor di più. Dev’essere a un posto, meglio se mobile: una sedia inchiodata è uno strumento che non sa seguire l’utilizzatore. Ma un buon inizio per definire un oggetto potrebbe anche essere dire ciò che esso non è. In un recente libro sull’Estetica degli oggetti, Ernesto Francalanci ha marcato la distanza, specchio di una differenza antropologica, tra il diwan orientale, ispiratore del nostro divano, e il tappeto dei nomadi, da un lato, e la rigidità della sedia occidentale, dall’altro. Tra l’inginocchiarsi dei giapponesi o la posizione buddhista del fiore di loto e la posizione geometrica, artificiosa e costrittiva della seduta: gli angoli retti, le gambe piegate esattamente a metà. Simbolo dunque di sedentarietà e stanzialità (paradossalmente, visto che è il più mobile dei mobili) la sedia conquista la scena con l’ascesa dei salotti borghesi, si afferma con l’affermarsi della borghesia. Basti pensare al fiorire ottocentesco di una ritrattistica borghese «seduta», ben rappresentata dal Manzoni di Hayez. Come la borghesia che vi si accomoda la sedia è sobria, di eleganza discreta, poco incline alle mollezze del secolo precedente, vagamente ascetica. La pruderie vittoriana di fine secolo finirà per rivitalizzare la metafora spenta delle «gambe» delle sedie: sconvenienti, se nude, come tutte le altre gambe, e dunque da «coprirsi» con pudiche decorazioni, con riccioli e svolazzi che spengano di nuovo la metafora e impediscano ogni ricordo sconveniente. Ma la decorazione che nasconde pericolose analogie, può nascondere anche l’essenza della sedia. Dunque il rinvenimento dell’essenza passa attraverso il confronto irresolubile tra estetica e funzione, tra aspetto e performance.
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ADM - Architettura Design Materiali - marzo 2007
Un nuovo approccio razionalista rimette al centro l’antropometria. La sedia si spoglia, in nome dei due principi: comodità di chi siede e semplicità di costruzione. La traduzione in pratica è all’insegna del pragmatismo: sedile elastico, ma senza imbottitura, e inclinato per favorire l’appogio della coscia, spalliera piuttosto che schienale, leggera inclinazione del busto. Il prototipo potrebbe essere la sedia realizzata nel 1923 da Marcel Brauer nel laboratorio del mobile del Bauhaus, in acero trattato e rivestimento in crine. Ma lo stesso Brauer semplificherà ulteriormente, con una essenzialissima combinazione di legno e compensato leggero. L’essenza sembra apparire in molte varianti: dalla sedia rossoblu di Gerrit Rietveld (1917) alle altre di Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe. Less is more vale anche e soprattutto per le sedie: funzionalità antropometrica e semplicità delle forme, ecco la cultura progettuale che sa cogliere, apparentemente, l’idea archetipica. Seguirà, invece, a smentita del severo platonismo, un’anarchico susseguirsi di varianti strutturali e posturali, con relativi risultati in fatto di comodità: radical, new e post design frantumano il freddo archetipo bauhausiano polemizzando con ogni rigidità definitoria. Dunque, una definizione è impossibile? La sedia è ciò che è fatto per sedersi, si direbbe. Ma una sedia defunzionalizzata, una sedia su cui non ci si può più sedere, non è più una sedia? Più semplicemente: ognuno sceglie quella che più gli aggrada. A ciascuno il suo, allora, finché le sedie interattive, figlie della rivoluzione tecnologica, non prevarranno.
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