‘Abd al-Ra|mān al-Šāġūrī La vita Nato a Homs nel 19121, si trovò ben presto orfano e si trasferì con il fratello a Damasco dove, ancora bambino, iniziò a lavorare dapprima come garzone nella zona dei mercati nel centro della città, e poi come tessitore. Da piccolo non seguì alcun insegnamento sistematico, e raccontava di aver imparato a leggere e scrivere cercando di decifrare le insegne appese all’ingresso dei negozi. Solo più tardi cominciò a seguire alcuni tra i più famosi shuyukh (maestri, plurale di shaykh) damasceni che impartivano lezioni tradizionali di grammatica araba, di šar†‘a (la legge religiosa) e delle altre scienze religiose islamiche presso le moschee della città. Tra i suoi maestri si ricordano: ›usni al-Baġġāl, Mu|ammad Barakāt, ‘Ali al-Daqar, Isma‘īl al-¦ībī e Lutfi al-›anafī (Keller 1999: 1022). Il più determinante, però, fu lo shaykh Mu|ammad al-Hāšimī2, originario dell’Algeria e rappresentante della tariqa šādiliyya3 in Siria, dove era stato mandato dal proprio maestro, lo shaykh A|mad al-‘Alāwi4, probabilmente allo scopo di riallacciare i rapporti con i confratelli siriani (cfr. Michon 1998: 19). Già da tempo, al-Šāġūrī apparteneva alla tariqa tiÞāniyya, la stessa cui era affiliato il proprio maestro di scienze religiose, ‘Ali al-Daqr, ma l’incontro con lo shaykh al-‘Alāwī, avvenuto a Damasco nel 1932, era destinato a cambiare completamente la sua vita: Sheikh al-Alawi had sat in the Shamiyya Mosque after sunset to give a lesson, and the young weaver had looked askance at the sheikh’s socks, which were French, not of the plain-spun local manufacture. 1
Le fonti sulla vicenda biografica di al-Šāġūrī sono poche e divergono su alcuni punti, come ad esempio la data di nascita. Per compilare questo profilo abbiamo usato i testi seguenti: Izūlī 2002, Keller 2004, Keller 1999: 1022 e Geoffroy 2005: 494. 2 Per una trattazione estesa della figura dello shaykh al-Hāšimī (1881-1961) si veda Encyclopedia of Islam2 s.v. Hāshimī e soprattutto Michon 1998. 3 Originata nel 13° secolo dagli insegnamenti del maestro Abū al-›asan al-Šādilī, la tariqa šādiliyya è una delle maggiori confraternite sufi, particolarmente diffusa in Nord Africa e nel Medio Oriente anche tra gli esponenti dell’Islam ufficiale (cfr. Encyclopedia of Islam). Gli insegnamenti della tariqa šādiliyya sono spesso stati trasmessi sotto forma di allusioni, come nelle note ›ikam (Sentenze) di Ibn ‘Atā Allāh al-Iskandarī, scritte nel 14° secolo e tuttora insegnate e commentate in tutto il mondo islamico (cfr. Nuwya 1990: 34-35) , e nelle poesie scritte da numerosi maestri, come lo shaykh A|mad al-‘Alāwī, e cantate nelle riunioni di dikr e durante la |aÿra. Una trattazione esaustiva delle caratteristiche della tariqa šādiliyya si trova in Geoffroy 2005. 4 Lo shaykh al-‘Alāwī è ben noto al pubblico occidentale grazie allo studio pubblicato da Martin Lings Un santo sufi del XX secolo (Lings 1994).
Sheikh Abd al-Rahman told us: I said: Look at those socks. This man is supposed to be a sheikh? Then he began to speak on the aphorism of Sidi Ibn Ata Allah: Do not leave the invocation of Allah (dhikr)5 because of your lack of presence with Allah therein, for your heedlessness of invocations is worse than your heedlessness in invocation. It may well be that He raises you from invocation with heedlessness to invocation with attentiveness, and from invocation with attentiveness to invocation with presence of heart, and from invocation with presence of heart to invocation in which there is absence from anything besides the Invoked, and that is not difficult for Allah (Qur’an 14: 20)6. His commentary was something else. When he finished and the nightfall prayer (isha) came, Sheikh Abd al-Rahman smiled as he remembered, I said to myself, This sheikh can wear any kind of socks he likes! (Keller 2004)
Al-Šāġūrī chiese l’iniziazione alla tariqa šādiliyya, e cominciò a seguire conassiduità gli insegnamenti dello shaykh al-Hāšimī, del quale lo colpirono la grande conoscenza accompagnata da una non comune modestia, come descrive nell’elegia a lui dedicata: E’ un’autorità religiosa che tutti i cuori esaltano e magnificano, poiché non è superbo. (Dīwān: 144) Al-Šāġūrī diventò presto una figura di riferimento della tariqa come capo del gruppo dei cantori (munšidūn) dello shaykh; per stare costantemente vicino a lui e seguire i suoi insegnamenti, decise di lasciare la propria casa nel centro di Damasco e costruì con le proprie mani l’abitazione alle pendici del monte Qāsiyūn che diventò per tutta la sua vita il luogo in cui ricevette i suoi discepoli ed impartì gli insegnamenti per i quali era stato autorizzato dai suoi maestri. Nella Hamriyya oggetto di questo studio, al-Šāġūrī allude al fatto di aver scelto di vivere vicino al maestro nei versi “ringraziando poiché dopo la lontananza sono diventato vicino del coppiere” (Dīwān: 120, v. 8). In seguito alla morte dello shaykh al-Hāšimī nel 1961, al-Šāġūrī assunse infine la guida della tariqa, essendo stato autorizzato all’insegnamento spirituale dallo shaykh al-Kurdī (cfr. Izūlī 2002: 20). Nonostante l’impegno profuso nella vita spirituale, e nonostante gli impegni che gli derivavano dal suo ruolo all’interno della confraternita, al-Šāġūrī non interruppe mai la propria attività lavorativa, seguendo in questo la pratica inaugurata dal fondatore della tariqa, lo shaykh Abū al-›asan al-Šādilī, che dava grande importanza alla vita sociale e al lavoro (Ibn al-Sabbagh 1993: 7). Egli fu dapprima operaio ed in seguito caporeparto nel settore tessile, ma quando il governo siriano decise di nazionalizzare l’industria egli, benché vicino
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Nel doppio significato di ricordare Dio e di svolgere la pratica del dikr, e cioè la menzione del nome di Dio e di altre formule rituali. 6 Cfr. Ibn ‘Atā Allāh 1981: 47, Sentenza n. 44.
alla pensione, rassegnò le proprie dimissioni, dichiarando che la nazionalizzazione era da considerare un furto (Keller 2004). Il suo coraggio e le sue caratteristiche personali gli avevano guadagnato un’ampia stima, tanto che era stato eletto rappresentante degli operai tessili presso il Parlamento Siriano, e poi rappresentante per la Siria presso l’Unione Sindacale Araba. Lasciato il lavoro, si dedicò completamente all’insegnamento delle scienze religiose presso vari istituti e moschee di Damasco, e per lunghi anni guidò la preghiera del venerdì presso la moschea al-Hayyā¥ di Damasco, fino a quando, nel 1999, un’embolia lo condusse ad un lungo stato di coma, dal quale emerse quasi del tutto privo di forze e semi-paralizzato. Nonostante la debolezza fisica, continuò a ricevere tutti quanti volessero godere della sua compagnia ed a partecipare alla |aÿra7 che ogni venerdì raccoglie i discepoli nella moschea dedicata a Nūr al-Dīn al-Šahīd, nel centro storico di Damasco. La sua casa rimase aperta ogni martedì sera a tutti quanti volessero fargli visita, e non rifiutava inviti in case private se non impedito dalle proprie condizioni fisiche che lo costrinsero negli ultimi anni sulla sedia a rotelle, sempre servito amorevolmente dal figlio ‘Abdullāh e spesso accompagnato dal piccolo, ed amatissimo, nipote Wais. La morte lo raggiunse l’8 giugno del 2004. Il suo funerale si tenne presso la moschea in cui è sepolto Muhy al-Din Ibn al-Arabi, uno dei massimi maestri sufi di tutti i tempi. La preghiera funebre fu guidata da ‘Alī al-Ğifrī, una delle più significative personalità emergenti dell’Islam contemporaneo, giunto appositamente dallo Yemen. Vi partecipò una folla numerosissima, a testimonianza dell’amore che portavano per lui i damasceni e della stima guadagnata presso la comunità musulmana internazionale. Quanti lo hanno conosciuto, descrivono al-Šāġūrī come un uomo minuto, divenuto fragile negli ultimi anni, ma anche determinato e volitivo, sempre disponibile a soddisfare le richieste di chi lo interpellava ma poco incline a mettersi in mostra nelle occasioni pubbliche. Fino agli ultimi giorni della sua vita, benché ultra-novantenne, continuò a recitare i numerosi versi che aveva memorizzato fin da piccolo e che aveva cantato per il suo maestro, lo shaykh Mu|ammad al-Hāšimī, e ad ascoltare con piacere i munšidūn che cantavano per lui, correggendo con scrupolo e delicatezza ogni minimo errore di recitazione. L’aspetto che più colpiva in al-Šāġūrī, però, era la capacità di coniugare la profondità della riflessione filosofica ed esoterica con la freschezza del sorriso e con l’umorismo che esprimeva raccontando 7
La |aÿra è il rito estatico tipico della tariqa šādiliyya descritto in Molé 1963 che traduce il termine con “danza sacra”
innumerevoli storie con cui dilettava chi gli stava intorno e che, diceva con autoironia, gli derivava dall’essere originario della città di Homs8. Per quanto in gran parte sconosciuto al pubblico occidentale, al-Šāġūrī è noto ai musulmani in varie parti del mondo, dove conta molti discepoli e confratelli, e dove è considerato un’autorità in molti campi, dalla spiritualità alla poesia, dal canto alle scienze religiose. La sua casa, nel popolare quartiere MuhāÞirīn, è stata per lunghi anni un punto di riferimento dove trovare conforto, saggezza e serenità. La sua personalità multiforme ha trovato espressione in diversi campi:
i suoi insegnamenti spirituali hanno avuto un ampio seguito, e tra i suoi discepoli si trovano alcune delle figure più significative dell’Islam attuale, come Nuh Ha Mim Keller e Mu|ammad al-Ya‘qūbī9. Numerose personalità di fama internazionale, come ‘Umar ibn Hāfi©, fondatore del centro di studi religiosi Dār al-Mu¡¥afā di Tarīm (Yemen) e l’attuale Gran Mufti della Giordania Nu| ‘Alī Salmān al-Quda| gli hanno fatto visita per interpellarlo su questioni relative al sufismo;
nel suo ruolo di rappresentante degli operai siriani del settore tessile riuscì ad organizzare uno dei maggiori scioperi generali della Siria contemporanea, proponendo un modello di uomo di religione non avulso dal contesto sociale, che trova nella propria spiritualità le risorse per l’azione politica, raccogliendo in questo modo l’eredità trasmessa dai tanti sufi che si sono distinti per l’unione tra riflessione e azione, come Arslān al-Dimašqī (cfr. Geoffroy 2003) e ‘Abd al-Qādir al-ßazā’irī (cfr. Etienne 2003);
come munšid (cantore), ha lasciato una eredità cospicua nel panorama del canto tradizionale di Damasco: le sue melodie sono conosciute e cantate da molti tra i maggiori cantori della Siria, che hanno riconosciuto in lui un maestro, e confermano di dovere molta della loro arte a quanto appreso da lui;
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Gli abitanti di Homs sono noti in Siria per la loro naturale ingenuità -che però spesso cela arguzia e saggezzae sono pertanto i protagonisti, involontari, di numerose barzellette. 9 Cfr. Wikipedia e i siti indicati nella sitografia in fondo a questo studio.
infine, l’importanza della sua figura di poeta è confermata dal fatto che le sue poesie, raccolte in un Dīwān (raccolta poetica) nel 1998, erano già state da tempo antologizzate in varie collezioni di poesia mistica, pubblicate in Tunisia e in Siria10, e sono state oggetto di studio nella tesi di Magistero discussa da Raÿwān Izūlī presso l’Università Libanese di Beirut, intitolata Al-Š…Йr†: š…‘ir al-ta¡awwuf fī al-qarn al-
‘išr†n (Al-Š…Йr†: Poeta sufi nel XX secolo) e pubblicata a Damasco nel 2002. La sua poesia si inserisce nel solco della tradizione letteraria araba di cui riprende topoi e stilemi, ed unisce l’intensità dell’esperienza spirituale ad una particolare efficacia espressiva, presentando numerosi punti in comune con la poesia dei sufi più conosciuti del passato, come Ibn al-Fāriÿ, ‘Abd al-Ġanī al-Nābulusī e A|mad al-‘Alāwi. Il presente studio ha come oggetto il Muwašša| (canzone) n. 8 del Dīwān che si apre con l’emistichio “wa tarā al-qawma suk…ra” (E vedi un popolo di ebbri), per la prima volta presentato al pubblico occidentale: è la più famosa tra le sue hamriyyāt, gli “inni al vino” o “odi bacchiche” che nel repertorio dei poeti del sufismo esprimono le esperienze mistiche vissute nei momenti di rapimento estatico nella contemplazione di Dio, e quindi in uno stato di ebbrezza nel quale perde ogni contatto con la realtà che lo circonda. Di questo muwašša| esiste anche il commento, ancora manoscritto, che ne ha fatto Ma|mūd Mi¡rī11 sotto la direzione dell’autore, esplicitando alcuni dei significati più profondi. La traduzione e l’analisi della Hamriyya sono precedute da una breve biografia di al-Šāġūrī e da una introduzione alla sua esperienza mistica ed alla sua poesia.
La sua poesia, che si inserisce nel solco della tradizione letteraria araba di cui riprende topoi e stilemi, unisce l’intensità dell’esperienza spirituale ad una particolare efficacia espressiva, presentando più punti comuni con la poesia dei sufi più conosciuti del passato, come Ibn alFaridh, Abd al-Ghani al-Nabulusi e Ahmad al-Alawi.
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Cfr. ‘Alāwī 1986, al-Ha¥īb al-›asanī 1994 e Qabbānī 1998 che ha l’introduzione di due tra le massime autorità religiose siriane, Mu|ammad Sa‘īd Ramaÿān al-Bū¥ī e ‘Abd al-La¥īf øāli| al-Farfūr. 11 Ma|mūd A|mad Mi¡rī, nato nel 1961 a I‘zāz, nella provincia di Aleppo (Siria), è medico, e dal 1986 ha seguito gli insegnamenti spirituali di ‘Abd al-Ra|mān al-Šāġūrī, che lo ha autorizzato ad impartire gli insegnamenti spirituali della tariqa šādiliyya (cfr. Izūlī 2002: 349).
Le sue poesie sono state pubblicate in un Diwan, e sono state antologizzate in numerose pubblicazioni. Tra i suoi discepoli si annoverano alcune delle personalità più significative dell'Islam contemporaneo, come Shaykh Nuh Ha-Mim Keller e Shaykh Mahmoud al-Yaaqubi. Su di lui sono state scritte due monografie: Radwan Izzouli, “Al-Shaghouri, sa'ir sufi fi al-qar al-ashrin" (Al-SHaghouri poeta sufi nel XX secolo), Damasco, 2002. (E' la pubblicazione della tesi di Magistero sostenuta dall'autore presso l'Università Libanese di Beirut.) Fabio Pesaresi, "Un popolo di ebbri: la khamriyya di Abd al-Rahman al-Shaghouri (1912-2004)", Tesi di Laurea sostenuta presso la Facoltà di Lingue e Civiltà Orientali dell'Università di Urbino. Questo studio intende essere un ringraziamento a chi mi è stato vicino negli anni che ho trascorso in Medio Oriente, e mi ha guidato nella esplorazione della cultura arabo-islamica. I miei ringraziamenti vanno innanzi tutto ad Ismā‘īl al-Kurdī, che mi ha fatto conoscere lo shaykh ‘Abd al-Ra|mān al-Šāġūrī e i suoi insegnamenti, a Raÿwān Izūlī, che mi ha introdotto ai segreti della letteratura araba, a Haytam al-›ālabī, mia guida nel mondo della musica araba, a Abū øāli| al-›amwī, per la pazienza con cui mi ha aiutato a capire la cultura araba e damascena, e a tutti gli amici ad Irbid, ad Amman, a Damasco e in Tunisia che hanno condiviso con me il ¥arab e il waÞd, tra i quali ricordo ‘Izz al-Dīn, Mu|ammad Sa‘īd e ‘Abd al-Ra|mān al-Kurdī cui va il mio affetto fraterno. Un grazie speciale va ad ‘Abdullāh alŠāġūrī per tutte le volte che mi ha aperto la porta di casa ed introdotto alla presenza di suo padre. Infine, questo lavoro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto e la pazienza di mia moglie Nora, e delle mie due figlie, Maria e Asia. A loro la mia riconoscenza e il mio amore.
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