2004 Dicembre

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pro manuscripto

Gr u b e r stava correggendo i compiti degli scolari al debole chiarore di una lucern a . “ Bi sogna invent are qualche cosa di nuovo per la messa di mezzanotte, un canto semplice che accompagnerai con la chitarra. Qui ho scritto le parole: sta a te vestirle di musica... Ma in fretta mi raccomando!” Uscito padre Mohr, Gruber prese subito in mano la chitarra e dopo aver scorso il testo lasciatogli dal prete cominciò a cercare tra le corde le note più semplici. A mezzanotte in punto, del 24 dicembre 1818, la chiesa parrocchiale traboccava di fedeli. L'altare maggiore era tutto sfolgorante di lumi e di candele accese. Padre Mohr celebrava la S. Messa. Dopo aver proclamato il vangelo di Luca che narra la nascita del Salvatore si avvicinò, con il maestro Gruber al presepio e con la voce tremante intonarono: “Stille Nacht, Heilige Nacht (Notte silenziosa, Notte santa) ... ”. Dalle navate si persero nel silenzio le ultime parole del canto. Un attimo dopo l'intero villaggio le ripeteva davanti a Gesù, come la schiera degli angeli del vangelo di Luca. E da allora non si è più smesso di cantarlo, non solo ad Obendorf ma in tutto il mondo. È diventata una delle musiche più care del Natale. E di padre Mohr e di Franz Gruber che ne è stato? Nessuno dei due ha avuto il tempo di rendersi conto di quanto hanno donato al mondo senza aver avuto in cambio nulla.

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace! Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione dall'ignoranza e dall'indifferenza, dalla discriminazione e dall'intolleranza. Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi, liberandoci dal peccato. Sei Tu il vero ed unico Salvatore, che l'umanità spesso cerca a tentoni. Dio della pace, dono di pace per l'intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia. Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen!"

(Madre Teresa di Calcutta)

Anno VII - Dicembre 2004 - n. 12

Bollettino Mensile della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria - Silvi Marina www.gioiaesperanza.it

Un maestro fiorista, in una dimostrazione tenuta a dei colleghi, invitava a disporre nella vetrina tutto quanto di meglio e di più appariscente avessero in negozio, per indurre i clienti ad entrare e spendere. Per contro giornali e telegiornali per catturare “l’audience” sembra che debbano proporre tutto quanto di peggio e di catastrofico accade a questo mondo. A noi sembra invece, più logico mettere insieme, tutti gli avvenimenti, le cose accadute nella comunità, quanto ci siamo detti nelle catechesi, nei colloqui amichevoli e fraterni, in queste nostre riflessioni, per entrare nel mistero della vita, all’incontro con Dio attraverso tutte le porte possibili. Attraverso ciò che è bello si, ma anche del vero, piacevole o meno, sottolineando ciò che buono e

giusto e condannando le ingiustizie. Il nostro intento? Guadagnare anche noi; ma anime a Dio, offrendo speranza e gioia pur rimanendo nella verità. Nulla va omesso perché tutto concorre al bene se si desidera l’amore di Dio. A un cristiano è richiesto d’ individuare, tra

luci ed ombre dell’umana esistenza, il filo d’oro che lega tra loro tutte le vicende e le tiene strettamente unite al fine ultimo dell’esistenza. Ogni fatto ci pro-voca, ossia

ci chiama a rendere ragione della speranza; non si può “stare a guardare” sotto la croce, come ci siamo già detti nella solennità di Cristo Re dell’Universo. “Chi non raccoglie con me disperde” dice Gesù. Quando facciamo la spesa, quando acquistiamo un vestito, quando studiamo, quando assolviamo ai nostri doveri civici, quando sce-

gliamo un programma; in tutto noi esprimiamo la sacralità della nostra persona e del creato! Dividere ciò che crediamo da ciò che viviamo quotidianamente, dividere l’anima dal corpo, non rende né utile né

accettabile il messaggio cristiano. Non esiste il sacro e il profano ma tutto ciò che Dio ha creato è “cosa buona”. Per questo la nostra “vetrina” alla vigilia delle festività natalizie vorrebbe essere ricca! Ogni dono ne richiama un altro e apre verso la profondità e l’autenticità dell’esistenza. Una delle cose belle che stiamo vivendo da quasi due mesi è la presenza di Andrea, un seminarista che nella nostra comunità trascorre il suo anno di esperienza pasto-

rale; è un segno di speranza, il Signore continua a chiamare sacerdoti per essere lampade sul moggio! Noi lo cresciamo un po’ come figlio e un giorno sarà egli a fare da padre nella fede; evidentemente non in forza di età, o

di esperienza, o di particolari attitudini, ma grazie a un dono che Dio fa a lui e che si diffonde se verrà mandato a servire una parrocchia. Se il Vescovo lo riterrà opportuno, conferendogli l’autorità (da augere ossia far crescere) di operare in sua vece, dovrà condurre a Dio i fratelli di una comunità come meglio gli sia possibile umanamente; con fede, facendo anche l’impossibile. Coinvolti nel cammino di Andrea forse ci verrà da guardare con più profondità, con maggior entusiasmo e gratitudine, la presenza stabile e fedele del sacerdote che serve la nostra parrocchia. Troppo spesso riduciamo il parroco

al funzionario di un’agenzia di servizi, o a un cerimoniere! Il Signore è in mezzo a noi con una chiesa, un edificio che ci permette di riunirci e di pregarlo; con una guida, che c’incoraggia, ci ammaestra, ci corregge, ci ammonisce, celebra quotidianamente i Sacramenti con noi; e questo ci fa

Chiesa. Senza tutto questo non potremmo vivere! Lo sapevano bene i martiri di Abitene che nel 300 d.C. morirono per… vivere! “Senza domenica non possiamo vivere” disse Emerito, uno di loro rispondendo all’accusa di aver violato il divieto di riunirsi e celebrare. E per domenica non intendeva un giorno tra gli altri , il fine settimana, ma dominicus, Dominus, il Signore che desiderava ardentemente incontrare, nel tempo, da passare insieme ai fratelli di fede, in un luogo per celebrarlo e viverne la presenza nel Suo vero Corpo e Sangue. Già così il racconto, ascoltato in una delle ultime catechesi per adulti, ci ha riempiti di fervore, ci ha commossi; ma è ancor più bello poter sperimentare che queste pagine di vangelo continuano a essere scritte; segno che Gesù è vivo. Se una cristiana rinuncia alla gita scolastica più ambita, per celebrare la settimana santa nella sua comunità parrocchiale e prova anche far sì che i suoi compagni,

ricevere il perdono di tutti i peccati attraverso il sacramento della penitenza, l’unzione concede il perdono di tutti i peccati. L’unzione degli infermi, come ogni sacramento, costituisce anche un impegno per ogni singolo cristiano e per tutta la Chiesa: “I malati hanno nella Chiesa una missione da compiere e una testimonianza da offrire: quella di ricordare a noi tutti che ci sono beni duraturi da tenere presenti e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e salvare questa nostra vita mortale. Il malato deve lottare contro la malattia, ma insieme a lui anche i medici e tutti coloro che sono addetti al servizio degli infermi senza tralasciare nulla di quanto deve essere fatto, tentato sperimentato, per recare sollievo a chi soffre. Così facendo si mettono in pratica le parole del Vangelo in cui Cristo raccomanda di visitare i malati, ma riferendosi al malato, Cristo intende l’uomo nella sua integralità di essere umano; chi visita il malato deve recargli sollievo nel fisico e conforto nello spirito.

Nel piccolo paese di Obendorf, in Austria, un giovane sacerdote, padre Mohr, stava dando le ultime istruzioni ai bimbi e ai piccoli pastori per provare il canto da eseguire nella notte di Natale. Tra le navate silenziose si spandeva l' eco di un vocio allegro e di piccole risatine. “Buoni, silenzio! Incominciamo!”. Ma come padre Mohr appoggiò il dito sulla tastiera dall' interno dell' organo uscì uno strano rumore, poi un altro e un altro ancora. “Strano”, pensò il

giovane prete. Aprì la porticina dietro l' organo e dieci, venti topi schizzarono fuori inseguiti da un gatto. Povero padre Mohr. Si voltò a guardare il mantice: completamente rosicchiato e fuori uso. “Pazienza”, pensò, “faremo a meno dell' organo”. Ma anche i piccoli cantori all' apparire dei topi e del gatto si erano scatenati in una furibonda caccia. Ed ora non c' era più nessuno. Con l' organo in quelle condizioni e il coro dileguato dietro ai topi, addio canto di Natale. Fu un momento di grande sconforto per padre Mohr. Mentre, davanti all' altare maggiore si chinava nella genuflessione gli venne in mente l' amico Franz Gruber il maestro elementare che, oltre ad essere un discreto organista, se la cava bene nel pizzicare le corde della chitarra. Quando padre Mohr giunse a casa sua,

sono sempre state fra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l’uomo fa l’esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farci intravedere la morte”. Questi interrogativi assillano da sempre l’umanità e la ragione umana non è in grado di trovare una risposta soddisfacente. La Bibbia si fa interprete di questi dubbi e del successivo cammino della rivelazione per giungere ad una risposta di fede. Il libro della Genesi presenta il male come conseguenza del peccato, il libro di Giobbe fa un passo ulteriore, presentando la sofferenza del giusto come una prova di fedeltà; Giobbe, infatti, pur essendo giusto viene privato di tutti i suoi beni, salute fisica compresa, nonostante ciò non viene meno la sua fiducia in Dio. Neppure questa risposta soddisfa pienamente perché mal si concilia con la bontà di Dio. L’unica risposta plausibile non è razionale: si trova nell’evento pasquale di

Gesù, il giusto che muore sulla croce per rivelare agli uomini l’amore gratuito di Dio. La croce non è un crudele castigo inflitto da Dio, ma uno strumento per manifestare la nostra capacità di dono, di comunione, di solidarietà; se di fronte ad una sofferenza la prima reazione umana è quella di pensare ad un castigo per qualche colpa, il Cristo crocifisso ci ricorda che la croce è lo strumento attraverso cui noi siamo chiamati a rivelare la forza dell’amore facendo dono di noi stessi. Cristo è risorto distruggendo la morte, con la sua morte ci ha donato la vita, prendendo sopra di se le nostre infermità e scegliendo un’esistenza che è croce e martirio, egli ci ha rivelato il valore del dolore e della morte, facendo diventare la sofferenza fonte positiva di bene. E’ nel contesto di questa rivelazione che si inserisce il sacramento dell’unzione degli infermi già praticata dai primi discepoli di Gesù per annunciare la presenza del regno di Dio e la salvezza per quanti lo accolgono. L’unzione degli infermi non è il sacramento dei moribondi, ma il sacra-

mento che attraverso l’unzione unisce la sofferenza dell’uomo a quella di Cristo in croce perché assuma un valore infinito per la redenzione del mondo. I malati che ricevono questo sacramento, unendosi spontaneamente alla passione ed alla morte di Cristo contribuiscono al bene del popolo di Dio. La Chiesa celebrando questo sacramento nella comunione dei Santi intercede per il bene del malato e l’infermo, a sua volta, per la grazia di questo sacramento, contribuisce alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini per i quali la Chiesa soffre e si offre per mezzo di Cristo a Dio Padre. Inoltre, se il malato è in condizioni da non poter

testimonianza di una ragazza di 20 anni tratta da un giornale dell’Azione Cattolica

magari meno consapevoli non ne siano privati, vuol dire che non può vivere altrimenti. E ciò può essere solo in forza della presenza vitale di Gesù Via, Verità e Vita. Ritrovare in queste scelte di vita un filo d’oro da seguire, quando nell’attesa imminente del Natale anche a Silvi, (abbiamo saputo con amarezza), ci verrà proposta una novena di mercato e di acquisti, fino a tarda notte della vigilia, domenica compresa , vuol dire non farsi rubare il Natale, come ci siamo detti lo scorso anno. Magari ci verrà la tentazione di comprare l’ultimo regalo di domenica, o prima di arrivare tardi e frettolosamente alla celebrazione dell’Eucaristia; ricordiamoci che non c’è festa se non con intima e abbondante compagnia del Festeggiato. San Pio da Pietrelcina diceva che solo dall’alto si vedrà il ricamo che Dio ha tessuto nella nostra vita, con i punti che, dalla terra, sembrano un intreccio sconnesso. E comunque ricordiamoci che è il dono più bello che possiamo fare alle persone che amiamo; condividere la vita in santità con tutte le cose belle che il Signore ci dona! E magari, attraverso il nostro bollettino, l’invito a gioire!

Loreto per me è stata un’esperienza straordinaria. A Loreto ho incontrato persone che condividono i miei ideali, i miei impegni, le mie difficoltà, ed è bello pensare che anche se non posso vederli, tanti amici sparsi per l’Italia mi pensano e mi vogliono bene. Ho visto l’AC in quei giorni, l’AC come la vorrei e non è un miraggio, è possibile! A volte pensiamo che l’AC sia solo un nome o il motivo per spendere dei soldi a dicembre per ricevere un pezzo di carta. Per me non è così. Per me quel pezzo di carta da ora in poi avrà tanti volti e porterà i nomi delle persone che ho incontrato e che incontrerò. La mia tessera non sarà più un oggetto e basta, sarà la mia mano…da stringere con allegria a tutte le persone che conoscerò, sarà il mio cuore…quando dovrò prendere delle decisioni, sarà la mia mente…..quando penserò a cosa fare domani. Questa splendida t e st i m o n i a n za riassume i sentimenti di tutto il nostro gruppo che sta ripartendo per un nuovo anno associativo, ricco di novità, tra le quali quella dell’elezione dei nuovi responsabili parrocchiali, diocesani. Preghiamo la Santa Madre che ci guidi in questo cammino e chiediamo a tutta la comunità di pregare per noi affinché la nostra testimonianza sia sempre coraggiosa e limpida in tutti gli ambienti.

Ci si continua ad incontrare, ogni mese in una famiglia diversa di Silvi, per la “Parola di Vita”. Si legge e si medita una frase del Vangelo, commentata da Chiara Lubich (fondatrice del Movimento dei Focolari) con il proposito di metterla in pratica nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto ci si dona quello che la Parola vissuta ha operato nell’anima, comunicandosi le esperienze di vita concreta. Questo “raccontarsi” non vuole assolutamente essere un modo per mettersi in mostra, anzi a volte bisogna vincere la propria timidezza e superare le barriere umane per mettere a nudo la propria anima. Lo spirito è quello di aiutarsi a cresce-

re nella fede, testimoniare quanto Dio può operare in ciascuno di noi se solo gli apriamo il cuore e ci sforziamo, pur tra le difficoltà, di vivere LA PAROLA. . Questi incontri ci aiutano a vivere, insieme alla fede personale, una fede comunitaria, caratteristica della spiritualità del Movimento dei Focolari ed attuale nella realtà della Chiesa. Il papa, infatti, nel suo ultimo libro “Alzatevi, Andiamo !”

parla di “scambio di esperienze”…. “ e di “incontro per confidarsi gioie e preoccupazioni” che, come poi affermato nella Lettera Apostolica “Novo Millennio Ineunte” aiuta-

no a conservare una “ spiritualità di comunione” fondamentale per la Vita stessa della Chiesa. Ogni mese non finiamo mai di stupirci nel constatare quanti sono i frutti prodotti dal Vangelo vissuto. Ecco un’esperienza: “Mentre l’aereo si apprestava ad atterrare all’aeroporto piangevo disperata; di lì a poco avrei rivisto i miei parenti, la comunità… e la bara di mio fratello ucciso nella guerra che insanguina da anni, il mio povero paese in Africa. Da quando avevo avuto la terribile notizia, non riuscivo più a pregare, mi sentivo arida, avevo smesso di scrivere sul mio diario in cui appuntavo le meditazioni e i miei pensieri: l’ultima parola

scritta era stata “perchè?”. Mio fratello, il primo, stava per sposarsi: una festa attesa, dopo la scomparsa dei nostri genitori, ed invece tutto finito ! All’arrivo ho incontrato la mia famiglia, la comunità religiosa accorsa per testimoniarmi la sua vicinanza e tanti altri e mi sono sentita amata. Quel mese si viveva la Parola di Vita “Aumenta la nostra Fede” e Chiara ci diceva che bisognava pregare tanto per far sì che Dio ci ascoltasse: era quello forse il momento di pregare più forte perché la mia fede facesse un

salto di qualità. Da una preghiera quasi meccanica, automatica ad una con il cuore, completamente abbandonata alla sua volontà, anche se tanto dolorosa. Ho pregato, ho chiesto la forza di testimoniarlo in quei giorni in cui sarei rimasta lì a casa e piano piano questa forza è arrivata. La preghiera e l’amore che tanti mi avevano dimostrato, sono stati la risposta a quel mio “perché”. Di nuovo in aereo, con tanta pace nel cuore, verso un paese che non è il mio…o forse sì, perchè è il posto dove posso continuare ad amare i fratelli ed in essi Dio”.

Di fronte alla malattia e al deperimento fisico ognuno di noi sperimenta la fragilità

e la precarietà dell’ esistenza su questa terra. Un’esperienza che costringe a cambiare i propri progetti, il proprio stile di vita e che condiziona le nostre attività. La malattia, la vecchiaia, l’infermità, costituiscono una situazione in cui ogni uomo ed ogni donna prende coscienza di non essere padrone assoluto della propria vita. Non solo, ma di fronte alla sofferenza e alla morte sono numerosi ed atroci i dubbi che sorgono nel nostro cuore. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “La malattia e la sofferenza

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