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PRINCIPALI DI UN,ONTOLOGIA ANALITICA
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Qui di seguito viene presentato un esempio di "progetto di lavoro" in ontologia con gli strumenti analitici, necessariamente sintetico e pogrammatico. Più che concentrarmi sulle coordinate storiche (che vengono soltanto accennate al punto 1) ho preferito esporre i nessi concettuali di un progetto del gengre, scèlta questa che, oltre a sembrarmi più interessante in sé, meglio riflette lo stile di lavoro in filosofìa analitica. I seguenti punti 1 e 2 rappresentano un chiarimento dell'espressione "afialitica", i punti 3-5 chiosano, invece, "ontologia".
l. Ridefinizione del senso di una costruzione di ontologia: da pseudoproblema (empirismo logico) e logica della parvenza (kantismo) od autentico problema filosofico. 1
Per procedere alla costruzione di un'ontologia analitica è necessario, innanzi tutto, ridefinire il senso di ontologia cui ci richiamiamo e le procedure che
adottiamo per elaborarla. È chiaro che, già irnpostando il nostro progetto, rigettiamo il veto carnapiano che condannava ogni riflessione in questa direziofie. La fìlosofia analitica viene ritenuta molto vicina al noempirismo logico (soprattutto a Carnap); eppure su questo punto c'è un evidente contrasto. Non è un caso che Carnap non comprendesse alcune espressione di Quine che giudicava fuorvianti. Nell'Appendice a Meaning ond lr{ecessity, ad esempio, pur
apprezzando l'idea di Quine di saldare l'ontologia alle variabili vincolate, Carnap si chiedeva se fosse il caso di parlare ancora di "ontologia"l. Ma I'in161
Paolo Valore
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comprensione era più grave di quel che Carnap sospettasse: non si trattava soltanto di una scelta terminologica. In questo rifiuto egli si msstrava fedele al manifesto dell'empirismo logico, che condannava come pseudoproblema ogni problema non risolvibile in una questione di logica o in una questione empiricà, secondo la nota distinzione tra analitico e sintetico. Tornava, ancora una volta a farsi valere l'idea kantiana dell'ontologia come manifestazione della "logica della parvenza". Banalmente, tutto ciò che non può essere risolto in un progetto di chiarifi cazione analitica (per quanto grandiosa e complessa) o in un'indagine che possa legittimamente essere collocata all'interno dei confini dell'esperietza, finisce per rappresentare soltanto "Metafisica", intendendo con ciò un catalogo di proposizioniprive di senso. Per Carnap le uniche questioni che possiamo legittimamente porre, quando parliamo di esistenza, sono le questioni interne, vale a dire le questioni in relazione con la struttura linguistica (linguistic framework), che è definita come un insieme di "convenzioni linguistiche" che determinano il modo in cui noi poniamo i problemi di esistenza di un certo ambito di entità. Un esempio di struttura linguistica potrebbe essere un sistema matematico assiomatizzato, in cui il problema dell'esistenza è posto solo dalla deduzione a partire dagli assiomi del sistema. Le questioni interne sono agli occhi di Carnap filosoficamente irrilevanti, in quanto si basano su convenzioni: mi posso chiedere se nel sistema Sr si danno numefi furazionali, se nel sistema Sz si danno numeri immaginari. Chiedere invece perché porre certe restrizioni o perché ammettere I'esistenza, poniamo, di numeri in generale piuttosto di una serie limitata di certi numeri ("esistono i numeri?"), è una questione filosofica generale, che esce dalla convenzione linguistica, che viene sempre presupposta. Porre una domanda del genere, l'unica interessante per l'ontologia, è illegittimo. Le questioni esterne sono, per Carnap, letteralmente senza senso. Un esempio che va proprio in direzione contraria è l'articolo a quattro mani di Quine e Goodman, Steps Tbward a Constructive l{ominalismZ, in cui si difende la sostituzione di certe variabili quantificate piuttosto che altre, rifiutando l'esistenza,anche in senso lato o con virgolette, alle entità astratte. L'articolo ben si presta ad evidenziarc che ciò di cui si tratta è un piano di entità (che nel caso specifico viene rifiutato), non un linguaggio più o meno efficace. Le osservazioni di Quine e Goodman sull'esistenza delle entità astratte erano squisitamente filosofiche, e nient'affatto logiche o matematiche. (Gli autori lo dichiarano fin dal principio: "any system that countenances abstract entities we deem unsatisfactory as a final philosoplty" ) e ancora: "Fundamentally this refusal is based on a philosophical intuition that cannot be justified by appeal to anything more ultimate"). Una necessità ontologica, filosofìca, non riducibile, dunque. Ancora in Empiricism, Semantics and Ontology, Carnap, invece, scriveva: "sostituiamo [...] le tesi ontologiche circa la realtà o l'irrealtà di certe entità, tesi che consideriamo come pseudo-tesi, con proposte o decisioni concernenti I'uso di certi linguag162
Come costruire ontologie su teorie. Punti principali di otn'ontologia analitica
gi"3.L'idea di "costruire ontologie su teorie" intende svincolarsi dai limiti, troppo ristretti, assegnati da Carnap. Il presupposto teorico di questo superamento è rappresentato anche dalla negazione della distinzione rigida di Carnap logico-linguistiche e questioni di fatto, che ha come espressione tr4t- qgeStioni tl rru palailigniatica là britica di Quine alla distinzione tra analitico e sintetico4.
' 2.i Oggatto e metodo nella filosofia analitica Un'ulteriore presupposto, oltre alf idea che le asseruioni metafisiche non siano in linea di principio insensate, è il chiarimento della restrizione "analinfilosofica analitica" . La filosofia analitica non è solo tica" nell'espressione analitica del liruguaggio, nonostante quell'area, soltanto relativamente omogenea, che viene definita "filosofia analitica" abbia generato ricerche assai sofisticate sul linguaggio, raccolte in una disciplina, abbastanza tecnica, chiamata "filosofia del linguaggio". E nonostante abbia anche generato, alcuni decenni fa, alcune tesi filosofiche che identificavano la filosofia analitica con laoofilosofia linguistica"s. Oggi abbiamo una filosofia analitica della religione, una filosofia analitica del diritto, ricerche analitiche di etica e di metaetica, e, tra le altre cose, un' ontologia analitica. Più che definita sulla base dell'oggetto della ricerca filosofica (il linguaggio,piuttosto che la logica), la filosofìa analitica può essere identificata con un certo metodo d'indagine, che preferisce affidarsi agli strumenti dell'argomentazione logicamente ordinata, del ricorso esplicito alla formalizzazione, del controesempio, del confronto con i risultati delle scienze fisico-matematiche, e così via. Quanto al privilegio del linguaggio, esso significa piuttosto la constatazione che il pensiero espresso non può non presentarsi in veste verbale (unitamente alla tesi per cui non possiamo che partire da ciò che abbiamo, così come ci si manifesta, cioè nelle sue espressioni, che non possono che essere espressioni di un linguagSio). Del resto, del linguaggio si è occupata un po' tutta la filosofia contemporanea, si è parlato addirittura di "svolta linguistica" del Novecento (penso agli esiti cassireriani del neokantismo marburghese, alle tesi di Heideggel, all'ermeneutica e cosi via); l'appello al linguaggio non può quindi essere sufficiente a ritagliare il concetto di filosofia analitica dal concetto pitr generale di filosofia contemporanea. Inoltre, se superiamo la rigida distinzione di Carnap tra questioni logico-linguistiche e questioni di fatto, è chiaro che non possiamo più pretendere di occuparci di questioni puramente linguistiche senza occuparci anche di questioni di fatto. 3. Ontologia e metafisicaÙ. L'accezione più diffusa di ontologia tende a sovrapporre la ricerca ontologica a quella metafisica (nel senso piil ampio), coinvolgendo entrambi gli 163
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.,ambiti nella nozione di Essere. Tra le diverse distinzioni possibili introdotte per circoscrivere l'ontologia all'interno della più generica "metafisica dell'essere", una soprattutto si piesta come la più conveniente per tracciare confini di ambito nel caso che qui ci interessa. Quella che chiamiamo "ontolo gia" può essere considerata una ricerca sull'essere e sull'esistenza in generale, mentte la natura (l'essenza) ditale essere (il suo significato ultimo, le sue note caratteristiche, ammesso che ve ne siano) restano oggetto d'indagine per la metafisica. Così, chiedersi se dobbiamo riconoscere i pensieri tra gli oggetti che chiamiamo "reali", è una domanda ontologica (amplia o riduce l'ambito che riconosciamo come "realtà", che può coincidere o meno con gli oggetti "materiali"); chiedersi quale sia la natura del pensiero, se spirituale, fisiologico-cerebrale o di qual§iasi altro genere, è una domanda che si pone già al di 1à dell'ontologia. Non possiamo, in altre parole, interrogarci sull'essenza del "pel_ siero", senza abbandonare l'ontologia per la metafisica. In alcuni casi, del resto, il confine tra i due ambiti non può essere tracciato in maniera cosi nitida, sia per ragioni estrinseche (per la diffusa sovrapposizione di ontologia e metafisica tradizionale) sia per ragioni intrinseche (di nesso effettivo tra i due piani). LJn esempio è costituito dall'esistenza dei numeri: sembra che non si possa discutere dall'ammissione di numeri nella nostra ontologia senza sollevare anche interrogativi sulla natura del numero. 4. Esistenza ordinaria ed esistenza reale
Ammessa questa accezione generale di "ontolo gia", resta ancora qualche consid eruzione da fare. Il campo della ricerca ontologica è stato rintracciato in relazione all'esistenza e all'essere, ma ciò può essere inteso in almeno due sensi: sia in rcLazione all'esistenza e all'essere in quanto tali, sia all'esistenza e all'essere reali (in opposizione all'esistenza ordinaria, o fenomenica). a. Nel primo caso, possono essere percorse due vie:
al. il plivilegio detsenso comune, quale comun denominatore delle differenti teoiie e come criterio ultimo della verità fattuale dei vari piani di oggettualità, oppure a2. ilriòonoscimento di diverse ontologie, in rapporto ad ambiti o teorie differenti, spesso con estrema tolleranza, anche della coesistenzadi ambiti oggettuali in aperto contrasto gli uni con gli altri. b. Nel secondo caso, si intende l'ontologia come ricostruzione del dominio di realtain sé, o anche solo di realtà autentica, al di là e spesso a fondamento del piano di oggettività dell'esperienza. Questa seconda sfumatura della ricerca ontologica difficilmente parla di ontologie al plurale e intende il lavoro in ontologia in modo molto simile ai tentativi di " fondazione" della fìlosofia tradizionàle. È chiaro che, nella prospettiva che si cercherà qui di analizzare, l'ontologia assume per lo piir il primo significato sia nel senso del privilegio 164
Come costruire ontologie su teorie. Punti principali di un'ontologia analitica
del piano di oggetti del senso comune, sia come ricostruzione degli oggetti che appartengono alle differenti sfere culturali o alle diverse teorie scientifiche e ai rispettivi linguaggi. Non è però assente neppure la seconda accezione, anche se ricorre soltanto occasionalmente e spesso in modo implicito: se è vero che ,rhod cUfchiamo 'oggetti speciali, nascosti al piano di oggetti riconosciuto dai diversi saperi o dal senso comune, è anche vero che rimane il compito di chiederpi cq§,a sjgnifìca essere un oggetto, essere reale, in definitiva "essere" qualcosa. Là'stessa metafìsica "descrittiva" di Strawson non si ferma alla superficie delle espressioni quotidiane, ma intende mettere in chiaro le trame concettuali che di tali espressioni sono alla base. In questo senso, l'ontologia è anche la ricostruzione del dominio autentico di realtà7 . 5. Assunzione oggettuale
di una teoria. Ontologia
e metaontologia.
Ma è soprattutto l'idea dell'ontologia come assunzione oggettuale di una il senso di "ontologia" più diffuso in area analitica. Si tratta del signifi-
teoria
cato che si può trovare, ad esempio, in Quine e che consiste nel chiedersi "che cosa c'è". In questa accezione, l'ontologia si risolve in un catalogo di ciò che
ammettiamo nelle nostre assunzioni oggettuali. Non si tratta, naturalmente, di un catalogo empirico, che consisterebbe nel rintracciare e registrare gli oggetti che via via si presentano, bensì nel chiarimento di principio di ciò che conta come oggetto. Si deve soprattutto a Van Inwagen aver chiarito che questa accezione nasconde in realtà almeno due piani, uno che potremmo chiamare propriamente ontologico e un altro che andrebbe definito metaontologico. Chiarendo che cosa assumiamo come oggetto e perché, forniamo delle indicazionianche su cosa signifìca essere un oggetto in generale. In sintesi, la distinzione è tra un approccio che si chiede "che cosa c'è" e un altro che si chiede "che cosa signifìca domandarsi'che cosa c'è"', mettendo a fuoco la nozione
di metaontologiaS. Assumere o rigettare un oggetto o un tipo di oggetto nella nostra ontologia signifìca esserc realisti o antirealisti nei confronti dell'entità in questione. Il termine "realismo" può essere assunto in senso innocuo, come semplice ammissione di un oggetto nel nostro catalogo del mondo, oppure in senso filosoficamente più impegnativo; in questo secondo caso, essere realisti nei confronti di un'entità significa riconoscere che tale oggetto esiste indipendentemente, può cioè essere carattefizzato come oggetto reale, indipendentemente dal nostra conoscenza del mondo e dal modo in cui lo organizziamÒ. In questo punto l'accezione di teoria dell'oggettualità si intreccia con l'accezione cui si èTatto riferimento al precedente pùnto 4;l'ontologia si occuperebbe dell'essere in sé, non dell'essere conosciuto (le categorie ontologiche non corrispondono, in altre parole, alle categorie gnoseologiche)e. Del resto, il signifìcato di ontologia come assunzione di oggetti indipendenti e quello di teoria dell'og165
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gettualità sono intimamente connessi, anche se non del tutto sovrapponibili. E infatti, che assumere un catalogo fiscalista del mondo, per cui esistono , -$iaro, '.solo oggbtti quadridimensionali nello spazio-tempo, significa assegnare ad oggetti d'altro tipo, come i numeri o le classi, lo statuto di entitàfittizie o mentftli,, rnentre extra mentem esisterebbero solo gli oggetti fisici. Bisogna però prestare attenzione a non confondere questi due signifìcati di ontologia, anche perché per gran parte del dibattito contemporaneo non si può riconoscere che qualcosa "esiste" se non all'interno di uno schema concettuale per il quale ha senso un certo oggettolO. Da parte mia credo che sia ancora possibite un'ontologia come teoria dell'oggettualità in generale, mentre l'idea dell'ontologia come piano di entità indipendenti ha senso solo se ripensata tenendo conto degli apporti oramai irrinunciabili del trascendentalismo e della dottrina della relatività ontologica Viene, in altri termini, stabilito un chiaro riferimento alle nostre teorie conoscitive, cioè al tipo di conoscenza del mondo di cui siamo capaci, e alle "implicazioni oggettuali" che la conoscenza e i sistemi concettuali comportano. Con ontologia si intenderà quindi soprattutto l'assunzione di esistenza (di realtà) di certi ambiti di oggettività, in relazione a una determinata teoria o a un carnpo specifico del sapere, o del sapere nella sua globalità (a seconda che si opti per un'ontologia relativizzatao per una monocàtegoriale). È chiaro che, in (uesto modo, si rigetta una speciale indagine sull'essenza delLe cose, grazie ad un tipo particolare di intuizione, che consenta di "saltare" il nostro sapere o la rappresentazione del mondo che costruiamo con il nostro sapere, per agganciarsi direttamente alle cose in sé mediante qualcosa come un "raggio noetico". Non si vuole sostenere che I'ontologia coincida con le nostre teorie del mondo,perché in questo modo l'ontologia diverrebbe soltanto un epifenomeno della conoscenzascientifica; ma se c'è un modo per dire qualcosa in ontologia questo non può prescindere dalla conoscenzascientifica, cioè da quello che effettivamente sappiamo del mondo. 6. Il punto di partenzt per il lavoro in ontologia. l{uove acquisizioni della logica di fronte al soggetto-predicato in Aristotele e implicazioni ontologiche della teoria della quantificazione.
Nelle Categnrie, Aristotele analizzando "le cose che sono dette secondo connessione" (Cat. la -lb 9), vale a dire le proposizioni del tipo soggettopredicato, rintracciava una fondamentale distinzione ontologica che fià rappresentato il criterio fondamentale di ogni indagine successiva in ontologiarl. Gran parte dell'ontologia occidentale si basa sulla distinzione, di ascendenza aristotelica, tra sos tanza e attributo, dimenticando il luogo di origine di quella distinzione, che era l'analisi aristotelica del "giudizi-o" (che noi chiàmeremmo oggi "proposizione" o, meglio ancora, "enunciato"). In un'asserzione 166
Come costruire ontologie su teorie. Punti principali di un'ontologia analitica
del tipo
"Aè Bo', &d esempioooil tavolo è marrone" dovremmo distinguere un
rinviò ad un supporto, il tavolo, che è qualcosa di diverso dal marrone, che è piutto§td§upportato. Purtroppo, l'ontologia delle sostanze ha infatti perduto l'appoggio che l'analisi delle forme del giudizio, inteso come "A è 8", sembrava;garq{ippucon tutta evidenza, una volta che è stata completata la riforma della lbgica in età contemporanea. Questa riforma non può essere considerata una faccenda che riguarda solo i logici e certamente non è priva di conseguenze. Quel che si intende qui fare è prendere sul serio l'affermazione di Hintikka, secondo cui "buona parte del recente lavoro nelle parti più esoteriche della logica matematica ha [. . .] una grande rilev anza per f indagine filosofica" t2. L' idea base dell'ontologia analitica è che l'approfondimento dell'analisi "del giudizio", che era alla base della distinzione ontologica sostanza-
attributo, comporti delle conseguenze ontologiche che non possono essere ignorate. A partire da Frege, infatti, si è fatto notare che i "nomi", qu*lli che réndiamo in linguaggio ordinario con sostantivi (come "tavolo") non possono avere un peso ontologico differente rispetto agli aggettivi e ai predicati. La teoria della quantifi cazione, infatti, non individua nel sostantivo f indice dell'oggetto, dato che un sostantivo può essere sempre banalmente reso con un predicato del tipo: "il tavolo è marrone" = esiste qualcosa che è un tavolo ed *Tx' e *Mr" sono assolutamente equivalenMx). Ora, è marrone - Ix(Tx ^ ti, quindi se si vuole dawero difendere la distinzione aristotelica bisogna render conto di questa complicazione nel suo luogo d'origine. L'idea della teoria della quantificazione è che, con "il tavolo è marrone", noi stiamo dicendo oomarroche c'è qualcosa, e questo qualcosa è "tavolo", e questo qualcosa è ne", cioè Jr appartiene alf insieme "essere tavolo" e x appartiene alf insieme "essere marrone". Che l'idea che il nome ci impegni dal punto di vista ontologico sia assai problematica è stato mostrato in modo molto efficace da Quine in On What There 1s13. Per usare qui un celebre esempio di Russell, se assumiamo l'idea che il nome sia indice di un riferimento oppure l'espressione sia privo di senso, non riusciamo a rendere conto di espressioni molto semplici come "L'attuale Re di Francia è calvo". Se l'attuale Re di Francia non esiste, il riferimento dell'espressione "L'attuale Re di Francia" è nullo e, per iI principio di composizione, l'intera asserzione è priva di significato, priva di valore di verità. Noi possiaffio, invece, parlare sensatamente dell'attuale Re di Francia, esprimendo la precedente come "Esiste x tale che x è l'attuale Re di Francia ed è calvo", ufl'asserzione falsa ma pienamente comprensibile, e negarla per ottenere un'asserzione vera che parla dell'attuale Re di Francia: "Non esiste,r tale chex è l'attuale Re di Francia ed è calvo" {in simboli: "Yx t-R"r v1y (Ry xy*x)v -Cxl", dove'oRr" rende la proprietà di "essere attuale re di Francia" ,*1y (Ry xy*x)" nega l'unicità espressa da*Vy (Ry ày-x)" eo'Cx" rende "essere calvo").In questo modo, ogni mistero relativo ad un'entità di qualche tipo descritta dal nome "l'attuale Re di Francia" scompare. r67
Paolo Valore 7. La deduzione metafisica dell'ontologia.
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supporre che l'ontologia si basi sulla logica, trovi cioè la propria giustificazione nella logica. Con "deduzione metafisica" intendo proprio l'espressione kantiana della Critica della ragion pura: noi ci basiamo sulla solidità della logica per costruire un'ontologia, la logica offre una garurniaformale che giustifìca le pretese di validità dell'ontologia. Il presupposto di questa deduzione è che passare attraverso la logica non sia un passag§iò superflùo. È chiaro che se si in^tende la tradu zione in términi logici del linguaggio naturale come un doppione inutile, se non ai fÌni della comodità, il progetto collassa. Di recente, Vattimo, ad esempio, ha scritto: "di fatto su di me l'effetto di un discorso formalizzato è che salto tutta la formalizzazione e vado a vedere la conclusione per sapere che cosa mi si vuol dire. E se non capisco la dimostrazione nei termini non formali, l'argomento mi convince poco, cioè la formalizzazione mi sembra utile come la stenografia o come farmi uno schema sulla lavagna, come un grafico, questo sì, però resta ausiliaria rispetto al discorso comune"L4. L'idea base di gran parte della produzione in fìlosofia analitica è che la "forma logica" non sia un'abbreviazione di comodo o una specie di schema. La forma apparente di un enunciato (come nel caso di "L'attuàle Re di Francia è calvo" nel § 6) può essere molto diversa, e diversa anche in modo essenziale, dalla sua forma logica. La traduzione in un linguaggio logicamente perspicuo, che metta in luce la "forma logica", rappresenta allora non uno strumento ausiliario di un discorso che possa essere comunque affrontato anche sulla base del linguaggio naturale, ma una conditio sine qua non per la costtuziane di un'ontologials. 8. L'interpretazione semantica del trascendentale. Rapporti tra ontologia ed epistemologia
L'idea della deduzione metafisica dell'ontologia, dove si è sostituita la "logica generale" di cui parla Kant con la logica che conosciamo noi oggi, ha come correlato l'interprctazione semantica del trascendentale. Owero, se la logica non è piir scienZa del pensiero e si colloca piuttosto sul piano linguistico, la deduzione metafisica non "aggancia" il piano trascendentale alla garanzia formale rappresentata dalla scienza del pensiero bensì alla scienza clie studia le strutture formali del linguaggio. Ogni sapere o ogni teoria mette capo, mediante la struttura logica del proprio linguaggio, ad un universo "locale" che costituisce il piano di esisten za pff quel sapere e per quella teoria. Questa rilettura del trascendentale ha importanti conseguenze nel rapporto tra ontologia ed epistemologia. Una distinzione preliminarè allo studio dei rapporti tra epistemologia e ontologia è quella tra atto del conoscere (del fare 168
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esperienza) e esito del conoscere (la conoscenza o l'esperienza data): da una ,., ' parte si tratta della costruzione deipiani del sapere, dall'altra delle implicazioni oggettuali di questi piani. L'epistemologia indaga la costruzione, l'ontolopgra lÉ implicazioni oggettuali. È chiaro quindi che l'ontologia non si identifica con l'epistemologia. D'altra parte, come risulta dall'ideaìell'interprctazione semantica del trascendentale, vi è w evidente nesso tra ontologia ed epistemologia. La prospettiva tradizionale però risulta rovesciata: noi pòssiamo ricostruire l'ontologia solo se abbiamo già delle teorie conoscitive, iu cui lavoriamo con gli strumenti della teoria della quantificazione.In uno slogan, potremmo dire che abbiamo prima il sapere e poila realtà: la realtà acquista significato solo all'interno delle strutture logiche del sapere con cui parliamo del mondo. In altri termini, l'idea della deduzione metafìsica dell'ontologia (cfr. punto 7) si sposa conla viq qnalitica dei Prolegomeni ad ogni futura metafisica di Kant: il punto di partenza è un'esperienza già data e un sapere già acquisito, per procedere alla ricostruzione della logica di questo sapere o di questi saperi (che possono anche esistere l'uno accanto all'altro); una volta ricostruita questa struttura logica possiamo individuare le variabili su cui quantifichiamo, e le variabili.su cui quantifichiamo ci dicono che cosa assumiamo come esistente. L'idea della priorità dell'epistemologia sull'ontologia consente quindi una pluralità di piani oggettuali (esisteranno gli oggetti della matematica all'interno della matematica, gli oggetti fisici all'interno della fisica...), e rende incomprensibile qualunque pretesa di oggetto assoluto.
9. Problemi. L'esempio dell'ontologia del senso comune. Che la riduzione dell'essere a essere il valore di una variabile possa essere percorsa per le diverse teorie (cioè per le diverse discipline scientifiche) non sembra sollevare problemi. Il problema può sorgere, invece, quando si cerchi di rendere l'assunzione di esistenza del senso comune, mediante questa "traduzione". Il senso comune può essere infatti inteso come una certa serie di presunti "atteggiamenti naturali". Ma può essere anche compreso come una sorta di sistema di credenze. Ogni tentativo di interpretazione del senso comune come sistema corre certo il rischio di riproporre tesi ingiustificate assunte in
maniera grossolana e acritica, spacciandole come "metafisica naturale". D'altra parte, è sempre possibile prendere in considerazione il linguaggio del senso comune, che parla di tavoli, sedie, persone, e domandarsi dell'impegno ontologico di tale linguaggio. In questo modo potremmo tentare di ricostruire il piano di oggettualità anche per la particolare lteoria" che è il senso comune, prescindendo da una interpretazione metafisica dei suoi presupposti. Il procedimento dovrebbe essere analogo alla ricostruzione dell'ontologia per teorie. Una delle caratteristiche del senso comune è, però, l'immediatezza delle sue assunzioni, immediatezza che dovrebbe essere preservata e resa senza mani169
Paolo Valore polazioni. Eppure, non c'è nulla di immediato nel passaggio da "l'attuale re di 5 'l ltr' ÉIi'lr
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Francia è biondo" a1x tRn xYy (Ry - *) n Cxl. Si può dunque rendere "I'impegno ontologico del senso comune, soltanto attraverso una ricostrtzione logica del suo linguaggio: rivedere la struttura logica del discorso del senso comune non implica però una manipolazione dello stesso significato di questo linguaggio nel suo aspetto essenziale? A questa obiezione è possibile dare una risposta abbastanza semplice, se è vero che da sempre la filosofia, in quanto tale, ripensa le asserzioni del senso comune, cercando di spiegarle nel loro senso "fondamentale" e quindi tradendole nella loro immediatezza. Se la filosofia è riflessione è inevitabile che l'ontologia, anche quella del senso comune, debba in qualche modo distanziarsi dal senso comune. In ciò non vi può essere nulla di male. Al limite, si può anche sostenere che non è possibile un'ontologia del senso comune, cioè che già nel momento dell'introduzione del quantifìcatore abbandoniamo il senso comune per preferire una teoria. Se ciò fosse un probleffia, si consideri il significato di fx soltanto per teorie (per quanto questa precisazione mi sembri ridondante). Rimane, certo, il problema della parafrasi, che può sollevare delle difficoltà se si cercano di definire dei criteri standard che stabiliscano quali parafrasi del senso comune sono "adeguate" 16. Inoltre, sembra che in questa idea della parafrasi del linguaggio del mondo comune si nasconda una specie di dilemma: la parafrasi infatti è, dal punto di vista dell'ontologia, del tutto equivalente al senso comune, così come si mostra nel suo linguaggio ordinario, oppure non lo è. Se l'impegno ontologico è del tutto equivalente al linguaggi ordinario, non è chiaro perché mai si o'manipolata" dovrebbe privitregiare la versione a quella originale: la manipolazione, infatti, non è intervenuta sulle assunzioni di esistenza, che è tutto ciò che ci interessa per la ricostruzione dell'ontologia del senso comune. Se, invece, l'impegno ontologico del linguaggio ricostruito differisce in qualche punto da quello della versione ordinaria del senso comune, come possiamo ancora sostenere che l'ontologia cosi rintracciata sia quella del senso comune? La verità dell'ontologia del senso comune verrebbe negata, a vantaggio di una nuovaversione che, percosi dire, "si ispira" all'originale, ma che, di certo, non è ad esso equivalentel7.
Norp 1. "Ma, anzitutto, desidero formulare un dubbio riguardo allaformulazione di Quine; non sono del tutto certo se il punto posto in causa non sia forse di natura puramente terminologica. Preferirei non usare la parola 'ontologia' per l'accettazione di entità mediante l'ammissione di variabili. Mi sembra che questo uso sia per 1o meno ingannevole; se ne potrebbe arguire che la decisione di servirsi di certi tipi di variabili debba essere basata su convinziani ontologiche, metafisiche". Cfr. R. Cnnrunp , Meaning and l{ecessity. A Study in Semantics and Modal Logic, University of Chicago Press, Chicago 1956; trad. it. Significato e necessità, a cura di A.
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Come costruire ontologie su teorie. Punti principali di un'ontologia analitica Pasquinelli, La Nuova ltalia, Firenze 1976, pp. Ta-TS. 2. N. Goool,lRru W.V.O. Qunvr, Steps Tbward a Constructive Nominalism, "Journal of §Xnhtip^-Logic","12 (1947), pp. 105-122. Ristampato in N. GoonuRru, Problems and Proiects, Bobbs-Merrill , t972, pp. 173-198; trad. it. in A. Cellucci, Lafilosofia della matematica, Laterua, Bari 1967 . 3. InP.A. §gHrpne (ed.) , The Philosophy of Rudolf Carnap, Open Court, LaSalle 1963, pp. 846-847 4. Su questo, cfr. W.VO. QUINE, Two Dogmas of Empiricism, "Philosophical Review", 60 (1951), pp. 20-43; ripubblicato in W.V.O. QuINp; From a Logical Point of View, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1953, pp. 20-46 5. Sulle differenze tra filosofia linguistica, filosofia del linguaggio e filosofia analitica, si può ricorrere a A. Pacrvurtt , Filosofia analitica, in P. RossI (a cura di), La filosofia, vol. IY: Stili e modelli teorici del l{ovecento, Garzanti, Milano 1996, pp. J47-150. 6. I punti 3 e 4 sono una rielaborazione di quanto ho scritto inAlcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più recente, in Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, a ctnra di P. Valore, Led, Milano 2003. 7. Strawson ha inaugurato la rinascita della metafisica in area analitica, proponendo la cosiddetta "metafisica descrittiva" .In Individuals egli argomenta per la centralità della nozione di oggetto materiale. Gli oggetti sono dei particolari, a differenza delle proprietà che sono universati. Cfr. P. F. SrnnwsoN, Individuals. Methuen, London 1959; trad. i. ùairidui. Saggio di metafisica descrittiva, trad. it. di Ermanno Bencivenga, Feltrinelli-Bocca, Milano 1978. 8. Cfr. P. Vnrrl IruwaceN, Metq-Ontolog,t,'"Erkenntnis", XL-VIU (1998), pp. 233-250. Lo stesso Van Inwagen si impegna a fornire un'esposizione della metaontologia qùineara, distinguendo quattro tesi, l'ultima delle quali è il noto criterio dell'impegno ontologico che riduce il significato dell'essere alla quantificazione esistenziale della logica formale. 9. Un esempio paradigmatico di ontologia tradizionale, in cui il piano ontologico rinvia ad un essere in sé, le cui categorie non coincidono con le categorie gnoseologiche, lo si può trovare in Nicolai Hartmann, del quale si può vedere lt{uove vie della ontologia, a cura di G. Penati, La Scuola, Brescia 1 97 5. Se si sottolinea questa seconda sfumatura di ontologia, il termine "realista" più che ad "antirealista", viene contrapposto a "idealista", anche nel senso di idealista trascendentale. 10. Sul rapporto tra oggettualità e schemi concettuali cfr. M. MRRSoNBT, Ontolog,, and Conceptual Schemes, in M. SanvsBuRy (ed.) , Thought and Ontology, Franco Angeli, Milano 1997. Il riferimento di Marsonet è allo stesso Quine e al realismo interno di Hilary Putnam. 11. Cfr. AnIsrorELE, Le Categorie, acura di M. Zanatta,Rizzoli,Milano, pp. 30t-gtg. 12. I.HINrmrA, Logic, Language-Games and Information, Oxford University Press, Oxford L973; trad. it. Logica, gioclti linguistici e informazione. kmi kantiani nella filosofia della logica, a cura di M. Mondadori e P. Parlavecchia, Il Saggiatore, Milano 1975, p. 11. 13. W.V.O. Qutttlu, On What There Is, "Review of Metaphysics" ,2 (1948),pp. 2L-38, ristampato in From a Logical Point of View, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1953,
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pp. 1-19. 14. G. VATrtN4o, Vocazione e responsabilitò delfilosofo, a cura di F. D'Agostini, Il Melangolo, Genova 2000, pp. 87-88. 15. Le cose non sono, in realtà, cosi semplici. In On Referring, ad esempio, Strawson complica questa distinzione, a prima vista relativamente chiara, tra "forma grammaticale" e "forma iogi-
ca". In particolare, proprio a proposito dell'ontologia, Strawson contesta la teoria russelliana del riferimento, mettendo in questione la necessità di una parafrasi logica di ciò che diciamo quando parliamo di oggetti che non esistono. Cfr. P.F. SrnawsoN, On Referring, "Mind", Og (t§OS);
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trad. it. Sulriferimento,inA. BoNorvrr (acura di),Lastrutturalogicadellinguaggio, Bompiani, Milano 1973, pp. 197-224. 161 Si pensi, ad esempio, all'espressione inglese "it is raining" o al tedesco "es regnet": in questo caso, naturalmente, l"'it" o l"'es" di cui si parla non va inteso nel senso di un impegno ontologico nei confronti di una misteriosa entità non nominata. Non ci si sta impegnando al Iriconoscimento di alcun oggetto particolare, dichiarando che piove. L'idea che alcuni usi linguistici del senso comune vadano parafrasati e interpretati, distinguendo enunciati come " it is a cat" da "it is raining", creano qualche complicazione sulla riduzione a quantificazione su variabili per il linguaggio del senso comune. Perché non potremmo, ad esempio, costruire tutte le nostre espressioni sul modello di "it is raining"? Potremmo considerare espressioni chiaramente oggettuali come "there is a cat on the couch" come se ciò signifìcasse "it's cat-oncouching" o qualcosa del genere:. Se però ammettiamo questa ipotesi, finiamo nell'eliminazione di qualsiasi impegno ontologico per il linguaggio del senso comune. Arriveremmo, in altri termini, all'annientamento del piano di oggettualità del linguaggio ordinario. Fino a che punto possiamo spingerci nella riorgani zzazione di un linguaggio così diverso da quello di una disciplina facilmente formalizzabile, come la matematica? Cfr. F. Acxnnu AN, How Does Ontology Supervene on Wat There Is?, inE. Snvnllos-Ù. Ya4IN (eds.) , Supervenience: New Essays, Cambridge University Press, Cambridge 1995. 17. Per qualche esempio di soluzione, cfr. Cfr. F. Jackson , Ontological Commitment and Paraphrase, "Philosophy", 55 (1980),pp. 303-315; Cfr. G. Hirst, Existence Assumptions in Knowledge Representation, " Arlifìcial Intelligence", 49 (1991), pp. lgg-242.
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