La Terra: Cosa c’è sotto i nostri piedi La Terra, terzo pianeta del Sistema Solare, non è statico ed immobile, ma attivo e dinamico. La sua superficie si muove di alcuni cm all’anno, anche se tale movimento non è facilmente percepibile. Tra le cause principali di questo movimento c’è il calore interno: le alte temperature presenti all’interno del pianeta si manifestano durante l’attività dei vulcani situati sulla sua superficie. La Terra può essere suddivisa in tre parti: atmosfera (gassosa), terra solida e idrosfera (liquida). Quest’ultima costituisce circa i ¾ della superficie terrestre (oceani, mari, fiumi, laghi). La Terra ha un diametro di 12.756 km. E’ costituita da materiali diversi, distribuiti in cinque strati principali (vedi figura a lato). Il Nucleo Interno ha un raggio di circa 1200 km ed è costituito da una miscela di Nichel e Ferro allo stato solido. Il Nucleo Esterno ha uno spessore di circa 2300 km ed è costituito da una miscela fluida di Nichel e Ferro. Il Mantello ha uno spessore di circa 2800 km ed è costituito da materiale molto denso e per lo più solido (per esempio rocce ricche di Magnesio e Ferro). La Crosta è costituita da un sottile (7÷40 km) strato di rocce molto eterogenee e meno dense di quelle sottostanti. La sua formazione e la sua evoluzione nel corso dei tempi geologici ha determinato e condizionato la comparsa e l'evoluzione della vita. L’Atmosfera è costituita prevalentemente da Azoto e Ossigeno. Ha uno spessore di oltre 1100 km, ma circa la metà della sua massa è concentrata nei primi 6 km! L’interno della Terra non può essere studiato direttamente. I pozzi più profondi scavati dall'uomo non superano i 15 chilometri, mentre il raggio terrestre ne misura circa 6.350! Siamo quindi costretti a basarci su ipotesi ricavate da osservazioni indirette. La struttura e la composizione interna della Terra possono essere, per esempio, dedotte dalle onde sismiche generate dai terremoti e dalle esplosioni. Tali onde indicano che il nostro pianeta non è omogeneo ma consiste da tre strati principali (crosta, mantello e nucleo). Gli involucri sono separati tra loro da superfici dette discontinuità, in corrispondenza delle quali le onde sismiche mutano il proprio comportamento. Per esempio, la crosta e il mantello sono separati dalla discontinuità di Moho. La Litosfera, formata dalla crosta e dalla parte superiore del mantello, è frammentata in molte placche rigide che si muovono una verso l’altra. Il moto è generato dal materiale che costituisce la parte più interna del mantello (Astenosfera): esso, essendo molto caldo, sale verso la superficie, si raffredda ed infine ridiscende nelle zone più interne del mantello (si veda figura a lato). Questo movimento è molto lento (alcuni cm all’anno) ed avviene per celle convettive, come quelle che si formano in una pentola d’acqua che bolle. Le interazioni tra le placche litosferiche sono all’origine di tutta la dinamica della crosta terrestre come la formazione delle catene montuose, la fuoriscita di lava con la conseguente espansione dei fondi oceanici (dorsali oceaniche), il riassorbmento del materiale da parte del mantello nelle fosse (subduzione), i terremoti ed i vulcani. L’area Mediterranea è fortemente interessata dall’interazione tra le placche Eurasiatica ed Africana. In Italia, in prossimità della Sicilia e della Calabria, la placca Africana sprofonda sotto quella Europea. E’ proprio nelle vicinanze delle zone di contatto tra placche che si possono trovare i vulcani attivi (ad es. l’Etna, il Vesuvio ed i vulcani delle Isole Eolie) e si possono verificare frequenti terremoti. Sin dalle origini della Terra, le eruzioni vulcaniche non hanno mai smesso di agitare la superficie dei continenti ed il fondo degli oceani. Il magma che alimenta i vulcani è un fluido complesso, composto da una fase liquida (silice), da una gassosa (vapore d’acqua) e da una solida (cristalli). Esso si genera a grandi profondità, grazie alle elevate temperature che fondono parzialmente la parte superiore del mantello. Il magma risale verso la superficie a causa della sua minore densità rispetto ai materiali circostanti. Una volta giunto nella crosta può stazionare all’interno di una camera magmatica od arrivare direttamente all’esterno. Il magma arriva in superficie attraverso fessure od attraverso il classico condotto cilindrico (camino vulcanico), la cui forma più classica è il cono con un cratere centrale e, in genere, dei piccoli crateri laterali (vedi figura a lato). I vulcani “effusivi” (ad es. l’Etna) eruttano frequentemente ed emettono grandi quantità di magma mentre i vulcani “esplosivi” (ad es. il Vesuvio) possono rimanere in quiete anche per molte centinaia di anni ed eruttare solo per pochi minuti ma in maniera devastante.
Per saperne di più: •Tettonica a Placche e Geologia. A. Bosellini. Bovolenta Casati. •Tettonica Globale. P.Kearey, F.J. Vine. Zanichelli. •http://www.linguaggioglobale.com/linguaggioglobale.com_non_ssl/terra/
Il Sistema Solare e la sua origine Il Sistema Solare è costituito dal Sole e da tutti i corpi celesti che gli orbitano attorno, comprendenti i pianeti, i satelliti naturali (come la Luna), le comete, gli asteroidi e i meteoroidi. Il Sole, al centro, contiene la quasi totalità della massa del Sistema Solare e, per questo motivo, esercita un'influenza gravitazionale che si estende ben oltre l'orbita di Plutone, fino ai limiti della grande nube di Oort, un sistema che raccoglie più di 5 mila miliardi di comete e che si trova ad una distanza pari a 70 mila volte la distanza Terra-Sole. I pianeti ruotano intorno al Sole su orbite ellittiche. I nove pianeti che compongono il Sistema Solare sono (al crescere della loro distanza dal Sole): Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Il più vicino, Mercurio, dista dal Sole soltanto 60 milioni di km; la Terra, invece, è situata ad una distanza di circa 150 milioni di km, mentre Plutone, nel percorrere la sua orbita, può arrivare ad una distanza di 6000 milioni di km. I quattro pianeti più vicini al Sole – Mercurio, Venere, Terra e Marte - sono chiamati pianeti terrestri perchè hanno tutti una superficie solida e rocciosa, mentre i quattro grandi pianeti oltre l'orbita di Marte – Giove, Saturno, Urano e Nettuno – sono detti pianeti giganti gassosi. Il piccolo (più piccolo della nostra Luna) e distante Plutone ha una superficie solida ed è prevalentemente formato da ghiaccio. Non è ancora completamente noto il meccanismo che ha dato origine al Sistema Solare. Si ritiene che la nascita del Sistema Solare sia avvenuta circa quattro miliardi e mezzo di anni fa. La teoria più accreditata per spiegare la formazione dei pianeti è detta Teoria della Nebulosa Protosolare. Montaggio di immagini planetarie prese da sonde della Nasa. Plutone non è mostrato poiché nessuna sonda l'ha ancora raggiunto. Cortesia di NASA/JPL-Caltech.
In base alla Teoria della Nebulosa Protosolare, il Sistema Solare ha avuto origine da un’immensa nube in rotazione, composta di gas (principalmente idrogeno ed elio) e polvere. Circa 4.5 miliardi di anni fa questa nebulosa ha iniziato a contrarsi formando un disco (del diametro di 10 miliardi di km) in rotazione differenziale (ovvero il materiale vicino al centro ruota più velocemente di quello più lontano, come accade in un mulinello). La contrazione del gas al centro del disco ha originato il Sole. All’aumentare della distanza dal Sole la temperatura della nube cala, e ciò permette, prima, l'aggregazione di particelle di polveri e poi, a distanze maggiori, l’aggregazione di ghiaccio e polveri. E’ per collisione di queste aggregazioni che si sono formati i pianeti. Disegno schematico raffigurante il disco protoplanetrio formatosi dalla nebulosa protosolare. Cortesia di: Dana Berry (STSci)
L'utilizzo di telescopi sempre più sofisticati ha permesso di verificare le basi di questa teoria sull'origine del Sistema Solare, cercando tracce di formazione di sistemi planetari attorno ad altre stelle. L'immagine a sinistra mostra (in sezione) il disco protoplanetario originato dalla rotazione della nebulosa primordiale attorno alla stella Beta Pictoris. Il pannello superiore della figura mostra le regioni esterne del disco protoplanetario, che si estende per circa 100 miliardi di km dalla stella centrale. Un’ingrandimento della regione centrale del disco è mostrato, invece, nel pannello inferiore. Le oscillazioni nel disco di polvere (indicate dalle frecce) sono causate da instabilità gravitazionale nel disco prodotte dalla presenza di uno o più Cortesia di Al Schultz (CSC/STScI), Sally Heap (GSFC/NASA), pianeti. NASA.
Per saperne di più: http://deepspace.nasa.jpl.gov Vedi pannello “Come nasce una stella” •
Il Sole Il Sole, alla distanza di 150 milioni di km è la stella a noi più vicina ed ha diametro e massa rispettivamente 110 volte e 330.000 volte quella della Terra. Il Sole si è acceso 4.5 miliardi di anni fa e si spegnerà tra circa 5 miliardi di anni (vedi pannello Come vive una stella). La sua densità media è di poco superiore a quella dell'acqua e può essere descritto come una sfera di gas a temperature elevatissime, tenue e diffusa vicino alla superficie, e via via più densa procedendo verso il nucleo. L'interno del Sole Il Sole è costituito per circa il 90 % da idrogeno. Il nucleo è formato da elettroni e protoni ad una temperatura di circa 15 milioni di gradi. Nel nucleo del Sole, ogni secondo, migliaia di protoni collidono con altri protoni per formare nuclei di elio in una gigantesca reazione di fusione nucleare che produce energia. Partendo dal nucleo (core nella figura a lato), l'energia si propaga verso l'esterno per irraggiamento (radiation zone). In questa zona radiativa la densità del plasma è molto elevata e la radiazione impiega circa 170.000 anni ad attraversarla per intero. A questo punto la temperatura cala sotto i 2 milioni di gradi e il plasma diventa troppo “freddo” e opaco per lasciar passare la radiazione. In questa regione, detta convettiva, (convection zone) correnti di convezione trasportano bolle di plasma caldo verso la superficie dove si raffreddano e quindi ridiscendono di nuovo, proprio come in una pentola d'acqua messa a bollire sul gas. La superficie visibile del Sole è detta fotosfera (photosphere) e ha una temperatura di solo 5800 gradi. Al di sopra della fotosfera si trova uno strato sottile detto cromosfera (cromosphere), studiato alle lunghezze d'onda radio e ultraviolette. Infine troviamo la corona, uno strato di plasma rarefatto e caldo con una temperatura di circa 2 milioni di gradi.
Cortesia di NASA/ESA
Campi magnetici nel Sole Il campo magnetico del Sole è generato dai moti del plasma sotto la sua superficie, ed è responsabile dell’attività solare, la quale si manifesta sotto forma di macchie solari (sunspots), brillamenti (flare), espulsioni di massa coronale (coronal mass ejection, CME). Le macchie solari sono zone relativamente fredde (circa 4000 gradi contro i 6000 gradi della fotosfera circostante), spesso di dimensioni superiori a diversi diametri terrestri. Nella figura a destra in alto, all’immagine ottica di un gruppo di macchie solari (in toni di grigio), sono sovrapposte immagini radio (in colore) a diverse frequenze (5, 8 e 15 GHz) che permettono di evidenziare zone con campi magnetici più o meno intensi: le regioni più scure sono quelle con temperatura più bassa e campo magnetico più elevato. Ogni 11 anni, il Sole raggiunge un picco di attività chiamato massimo solare, che si manifesta con un elevato numero di macchie solari, brillamenti e CME. L'ultimo massimo è avvenuto nel 2001 ed il prossimo sarà nel 2012. Nella figura a destra in basso sono riportati un grafico con il numero di macchie solari osservate negli anni 1996-2002, e quattro immagini che evidenziano l'aumento dell'attività della cromosfera all'avvicinarsi dell'epoca dell'ultimo massimo solare (2001).
I
II
IV
III
Cortesia di SOHO Mission, NASA/ESA
La corona solare e i CME La corona solare è osservabile direttamente da Terra solo durante le eclissi. Gli strumenti su satellite possono però creare una eclissi artificiale tramite il coronografo, strumento che permette di bloccare la luce proveniente dal disco solare, evidenziando così le caratteristiche della corona. Il campo magnetico è responsabile delle strutture ad arco che si protendono verso la corona. Infatti, quando il campo magnetico diventa instabile, le linee di campo magnetico nelle macchie solari possono spezzarsi producendo brillamenti osservabili nella banda ultravioletta e quindi espulsioni di particelle e campo magnetico dalla corona che vengono chiamate CME. Durante questi fenomeni una massa pari a circa un milione di tonnellate al secondo viene espulsa. La velocità del plasma espulso durante un CME può raggiungere i milioni di km all'ora. I quattro pannelli nella figura a sinistra in alto riportano l'evoluzione temporale di una macchia solare (I) che produce un brillamento (II) che successivamente dà luogo ad un CME (III e IV). I diversi colori dei pannelli sono dovuti ai diversi filtri impiegati per l'osservazione, mentre il cerchio tratteggiato delimita la regione occupata dal disco solare oscurato, nelle immagini ottenute con il coronografo. La figura a sinistra in basso mostra un eccezionale doppio CME.
Per saperne di più: http://sohowww.nascom.nasa.gov •
Cortesia di Lee et al. (1998), Astrophysical Journal 501,853; SOHO Mission NASA/ESA
Osservazioni Radar di Venere Venere è stato in passato considerato come il “pianeta gemello” della Terra ed il migliore candidato per ospitare forme di vita. La superficie del pianeta è oscurata da una fitta coltre di nubi che ne hanno impedito lo studio diretto con i telescopi ottici. Le numerose sonde mandate su Venere e le osservazioni radar da Terra e da sonde orbitanti hanno permesso di svelare il vero volto del pianeta. Venere e la Terra sotto alcuni aspetti sono in effetti molto simili: Venere è solo leggermente più piccolo della Terra (95% del diametro e 80% della massa terrestre); entrambi hanno pochi crateri da impatto meteoritico, segno di una superficie relativamente giovane; la densità e composizione chimica dei due pianeti sono simili. A causa di queste somiglianze si era pensato che sotto la coltre di nubi che riveste il pianeta, Venere potesse essere un pianeta molto simile alla Terra e un candidato ideale per la ricerca di forme di vita. Invece, studi più dettagliati hanno rivelato quanto diversi siano i due pianeti. La pressione dell'atmosfera sulla superficie di Venere è 90 volte superiore a quella sulla superficie della Terra (ovvero pari alla pressione che si avverte ad una profondità di 1000 m sotto la superficie degli oceani). L'atmosfera è composta per la maggior parte da biossido di carbonio con nubi di acido solforico di spessore di diversi km. L'alta densità dell'atmosfera produce un effetto serra che fa superare i 480 gradi di temperatura alla superficie del pianeta (tale temperatura è sufficiente a fondere il piombo). Di fatto la superficie di Venere è più calda di quella di Mercurio nonostante Venere si trovi ad una distanza doppia dal Sole. La rotazione di Venere è molto lenta (1 giorno su Venere corrisponde a 243 giorni terrestri) e retrograda (cioè il Sole sorge a ovest e tramonta ad est). Immagine ottica di Venere ottenuta dalla sonda Mariner. Copyright C.J. Hamilton
Cortesia di NASA/JPL Caltech
La tecnica del Radar Imaging La spessa coltre di nubi che ricopre Venere impedisce l’osservazione diretta della sua superficie con i telescopi ottici. Fortunatamente le onde radio possono attraversare lo strato di nubi e fornire una vera e propria fotografia della superficie del pianeta, utilizzando la tecnica del radar imaging. Il radar funziona essenzialmente come una fotocamera dotata di flash fornendo la luce che illumina la zona che si vuole fotografare. In questo caso però si usa un flash di onde radio. Con i più grandi radiotelescopi da Terra si possono ottenere immagini radar di Venere con una risoluzione di poco più di un km. Mappe radar con risoluzione di circa 100 m sono state ottenute dalle sonde lanciate verso Venere e tra queste i risultati più eclatanti sono stati ottenuti dalla sonda Magellano. Nella figura a destra in alto sono riportati i mosaici degli emisferi nord e sud di Venere ottenuti con osservazioni radar da Terra e dallo spazio. La risoluzione è di 3 km. Il codice di colori rappresenta variazioni in altitudine della superficie del pianeta. Nella figura a destra in basso (in bianco e nero) sono mostrati mosaici ad alta risoluzione (circa 100 m) di due regioni di Venere, ottenuti dalla sonda Magellano : il primo mostra 3 grandi crateri da impatto con diametri tra i 30 e 50 km, il secondo mostra esempi di strutture ovali (corone) prodotte dall'affioramento di materia dall'interno del pianeta.
Cortesia di S. Ostro, Caltech Institute of Technology
Per saperne di più: http://www.jpl.nasa.gov http://echo.jpl.nasa.gov http://www.naic.edu •
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Emisfero Nord
Emisfer o Sud
Osservazioni radar di asteroidi che avvicinano la Terra Tra Marte e Giove si trova una miriade di piccoli corpi rocciosi chiamati asteroidi. Poiché gli asteroidi rappresentano un residuo del processo di aggregazione dal quale sono nati i pianeti (vedi pannello Il Sistema Solare e la sua origine), si pensa che il processo di formazione di un pianeta intermedio tra Marte e Giove sia stato inibito dal forte campo gravitazionale di Giove. Gli asteroidi sono saliti negli ultimi tempi alla ribalta scientifica per la possibilità di urti catastrofici con la Terra. Le osservazioni radar permettono di ottenere informazioni importanti sulle proprietà fisiche e sulle orbite degli asteroidi, giacché hanno un'accuratezza molto migliore di quella ottenibile con le osservazioni ottiche dei più grandi telescopi. Questa precisione è fondamentale per ricostruire le orbite degli asteroidi e prevedere possibili rischi di impatto con la Terra. Diversi programmi della Nasa e di altre agenzie spaziali sono dedicati allo studio e al monitoraggio degli asteroidi potenzialmente pericolosi. Nella figura a lato è mostrata l'immagine radar ottenuta dal radiotelescopio di Arecibo (Portorico, USA) dell'asteroide 1999 JM8. Questo asteroide ha un diametro di circa 3.5 km.
I Pianeti Giganti: Giove e Saturno Giove è il pianeta più grande e massiccio del Sistema Solare. Con un diametro di 140 mila km potrebbe contenere al proprio interno oltre mille pianeti come la Terra. La composizione del pianeta (prevalentemente idrogeno ed elio) è più simile a quella del Sole che a quella della Terra. In effetti Giove è una stella mancata: la sua massa troppo piccola (1/70 di quella delle stelle più piccole) non ha consentito l'innesco delle reazioni termonucleari, responsabili dell’accensione delle stelle (vedi pannello Come nasce una stella). Ciò che noi vediamo di Giove è solo la sommità delle nubi che avvolgono il pianeta, i cui colori sfavillanti sono prodotti da una miscela di gas velenosi. Saturno, come Giove, è un grande pianeta gassoso costituito principalmente da idrogeno ed è conosciuto principalmente per il fatto di essere circondato da un maestoso sistema di anelli. Saturno è il pianeta meno denso del Sistema Solare: la sua densità è così bassa che galleggerebbe se venisse immerso in acqua. Immagini radio a 2.2 GHz (a sinistra) e a 1.4 GHz (a destra) del pianeta Giove. Copyright CSIRO (2004). Cortesia di G.A. Dulc, Y. Leblanc, R. Sault, R.W. Hunstead
Immagine di Giove ottenuta dalla sonda Cassini da una distanza di circa 10 milioni di km. Cortesia di NASA/JPL/ Space Science Institute
Osservazioni radio di Giove L'emissione radio di Giove fu scoperta casualmente nel 1955 da Franklin e Burke, e da allora è stata studiata in grande dettaglio. L’emissione radio di Giove è la somma di due componenti: radiazione termica proveniente dall’atmosfera “calda” del pianeta e radiazione di sincrotrone prodotta da elettroni che si muovono ad altissima velocità nel campo magnetico di Giove (vedi pannello I meccanismi di emissione). Le due componenti possono essere separate con osservazioni radio a diverse frequenze, come si vede nelle immagini in alto, ottenute con il radio interferometro Australia Telescope Compact Array. Nell’immagine a sinistra (ottenuta a 2.2 GHz domina l'emissione termica proveniente dal disco centrale; nell'immagine a destra (ottenuta a 1.4 GHz) questa componente è molto più debole e spicca invece la componente di sincrotrone.. Quest’ultima è maggiormente concentrata lungo l'equatore del pianeta e si estende sino a qualche raggio gioviano.
La sonda Cassini-Huygens e Saturno A differenza di Giove, Saturno non è dotato di un campo magnetico sufficientemente forte da produrre radiazione di sincrotrone. La sua emissione radio è quindi pura emissione termica, proveniente dal disco e dagli anelli (si veda figura in basso a destra). Almeno 30 lune orbitano attorno a Saturno. La più grande, Titano, supera in dimensioni pianeti come Mercurio e Plutone ed è coperta da una densa atmosfera ricca di azoto simile a quella della Terra alla sua origine. La missione Cassini-Huygens è una collaborazione tra la NASA, l'agenzia spaziale europea (ESA) e l'agenzia spaziale italiana (ASI). La sonda Cassini ha raggiunto Saturno nel luglio 2004. Il compito della sonda è di orbitare nel sistema di Saturno per diversi anni e paracadutare il modulo Huygens verso la superficie del satellite Titano per cercare di studiarne, per la prima volta, la superficie. A sinistra: Immagine di Saturno ottenuta dal telescopio spaziale Hubble. Cortesia di NASA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA) A destra: Immagine di Saturno ottenuta in banda radio alla frequenza di 15 Ghz. Cortesia di NRAO/AUI
Per saperne di più: http://www.jpl.nasa.gov/solar_system/ http://photojournal.jpl.nasa.gov http://www.atnf.csiro.au/research/solarsys/jupiter http://saturn.jpl.nasa.gov •
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Catturando sussurri dallo spazio A partire dagli anni '60 le agenzie spaziali americana ed europea hanno mandato sonde robot nello spazio interplanetario per studiare da vicino tutti i pianeti del Sistema Solare con la sola eccezione di Plutone, che si trova a una distanza troppo elevata. Questi affascinanti robot sono stati i nostri occhi e le nostre orecchie nel loro viaggio verso i pianeti, trasmettendo verso la Terra meravigliose immagini e informazioni scientifiche di immenso valore. Questi dati arrivano sotto forma di segnali radio così deboli che possono essere captati solo dai più grandi radiotelescopi sulla Terra.
Accuratezza angolare (nanorad)
Cortesia di NASA/JPL-Caltech.
Il grafico in alto mostra come è migliorata negli anni la precisione di 'inseguimento delle sonde interplanetarie. La precisione ottenibile attualmente è centomila volte migliore di quella possibile 40 anni fa: oggi posiamo conoscere la posizione di una sonda posta alla distanza del Sole (1 A.U.=150 milioni di km) con una precisione di circa 1 km.
Il modulo di discesa Huygens (parte dorata in figura) viene agganciato alla sonda Cassini. La sonda lanciata nel 1997, ha raggiunto Saturno nel 2004. Cortesia di NASA/JPL-Caltech
Per saperne di più: http://deepspace.nasa.jpl.gov •
Deep Space Network (DSN) è il nome di una rete di radiotelescopi situati in California, Australia e Spagna e gestita dalla NASA. La mappa a sinistra mostra i siti dei tre centri DSN per le comunicazioni con le sonde spaziali ed evidenzia il numero ed il tipo di antenne presenti in ciascuno di essi. La dislocazione delle antenne è fatta in modo da compensare la rotazione terrestre così che una sonda interplanetaria è sempre visibile da almeno una delle tre basi durante le 24 ore. Le comunicazioni con le sonde interplanetarie sono molto più complesse di quelle con satelliti in orbita attorno alla Terra a causa del fatto che le sonde si trovano a distanze enormemente maggiori. Il segnale deve viaggiare per milioni o anche miliardi di km prima di raggiungere il radiotelescopio. Tutto ciò è reso ancora più difficile dal fatto che il trasmettitore che invia il segnale dalla sonda ha una potenza molto bassa, tipicamente intorno ai 20 watt, cioè circa la stessa potenza della luce interna di un frigorifero! Inoltre, durante il suo tragitto verso la Terra il segnale continua a perdere energia e quando arriva a destinazione ha una potenza di un miliardesimo di miliardesimo di watt, ovvero 20 miliardi di volte inferiore alla potenza necessaria a far funzionare un orologio da polso. Per poter captare segnali così deboli le antenne riceventi sulla Terra devono essere molto grandi e dotate di ricevitori estremamente sensibili con amplificatori raffreddati a temperature di solo pochi gradi sopra lo zero assoluto (-273 gradi centigradi) al fine di ridurre al minimo il rumore di fondo generato dall'equipaggiamento elettronico. Inoltre più l'antenna è grande più è piccola la porzione di cielo che può vedere ad ogni puntamento (come se noi guardassimo il cielo attraverso una cannuccia). Di conseguenza è necessario che le antenne siano molto precise per poter trovare (inseguire come si dice in gergo tecnico) una sonda di pochi metri di diametro a distanze di milioni di km. Le antenne del DSN funzionano anche come trasmettitori di segnali ad alta potenza (circa mezzo milione di watt!). Questi segnali vengono mandati alla sonda per comandare l’accensione dei computer, l’attivazione degli strumenti e le correzioni di traiettoria. La rete DSN è dedicata a tempo pieno all'inseguimento di satelliti e sonde interplanetarie; tuttavia anche altre antenne, tra cui quelle italiane di Medicina (BO) e Noto (SR), partecipano saltuariamente a queste operazioni. Sotto a sinistra: L'antenna di 70 metri presso il centro DSN di Goldstone (California). Sotto a destra: Veduta aerea del centro DSN di Canberra (Australia) con in primo piano l'antenna di 70 metri e sullo sfondo le antenne di 32 metri. Cortesia di NASA/JPL-Caltech
Non solo stelle… Quando si guarda il cielo notturno, si ha l'impressione che lo spazio fra le stelle sia vuoto. Ma non è così: lo spazio è pieno di gas e di polvere! Il gas è per la maggior parte composto da atomi e molecole di idrogeno, mescolato con piccole quantità di altre sostanze, quali monossido di carbonio, ammoniaca, metanolo e vapore acqueo. La polvere interstellare consiste di piccolissime particelle di grafite o silicati (tipicamente di qualche decimo di micron) mescolate con il gas. Gas e polvere nel loro insieme formano il cosiddetto Mezzo Interstellare. Quest'ultimo ha una massa totale pari a solo il 10% di quella dell’insieme delle stelle nella nostra galassia (la Via Lattea o Galassia), ma ha un ruolo fondamentale soprattutto nella formazione di nuove stelle (vedi pannello Come nasce una stella). Cortesia Lund Observatory
Il gas interstellare e le nubi di polvere hanno in genere una temperatura molto bassa (vicina allo zero assoluto, pari a -273 gradi centigradi) e per questo motivo non emettono luce visibile, ma radiazione infrarossa, millimetrica, e radio (vedi Pannello I meccanismi di emissione). Tuttavia, a volte se ne può dedurre la presenza perché la polvere blocca la luce delle stelle retrostanti, creando zone oscure come quelle che si vedono nella fotografia della Galassia (in alto) e nell’immagine del campo stellare (regione di cielo particolarmente densa di stelle) in basso a sinistra. Altre nubi interstellari si rendono visibili invece riflettendo la luce di stelle vicine, come nell’immagine in basso al centro. Se una stella molto calda è all'interno o vicina ad una nube interstellare, gas e polvere possono esserne scaldati fino ad emettere luce visibile propria, come nel caso della Nebulosa della Laguna (in basso a destra).
Cortesia Anglo-Australian Observatory/Royal Observatory, Edinburgh
Il modo migliore per studiare gas e polveri interstellari è osservarle alle lunghezze d'onda a cui essi principalmente emettono e cioè dalla banda infrarossa alla banda radio. Il cielo cambia completamente aspetto in queste bande spettrali, come si può notare osservando la costellazione di Orione nelle due immagini a lato. A sinistra vediamo la costellazione di Orione in luce visibile (come la vediamo anche con i nostri occhi), e praticamente si vedono solo stelle. Nell'immagine a destra, ottenuta in banda infrarossa, tutta la luce è invece emessa dalla polvere interstellare, e le stelle sono pressoché invisibili.
OTTICO
INFRAROSSO Cortesia NASA/IPAC
Per saperne di più: •Più informazioni sull’”universo nascosto” sul sito http://coolcosmos.ipac.caltech.edu/cosmic_classroom/ir_tutorial/ •Il sito http://www.astro.rug.nl/ pdb/outreach.htm dà un’elenco molto ricco di siti divulgativi • La postazione interattiva “I colori dello spazio” mostra come appaiono i corpi celesti nelle diverse bande dello spettro elettromagnetico
Come nasce una stella Lo spazio tra le stelle non è vuoto, ma caratterizzato dalla presenza di nubi di gas e polvere (vedi pannello Non solo stelle…). Le stelle si formano dalla condensazione progressiva di piccole regioni di densità elevata dentro queste nubi oscure e fredde. La compressione sempre maggiore del gas in queste regioni fa sì che si creino dei nuclei (o globuli) di condensazione, i quali diventano sempre più caldi e compatti al loro interno, fino al punto in cui, nel centro del nucleo, ha inizio la combustione nucleare dell'idrogeno. L'energia prodotta da questa reazione nucleare ‘accende’ la stella. Il processo di formazione delle stelle, precedentemente solo immaginato dai teorici, è stato fotografato per la prima volta dal Telescopio Spaziale Hubble (HST) nel Novembre del 1995. In Figura 1 è mostrata una porzione della Nebulosa dell’Aquila, un agglomerato di gas e polveri, in cui si ha intensa formazione stellare, situata nella costellazione del Serpente ad una distanza di circa 7000 anni luce. La zona fotografata è occupata da una struttura oscura detta "proboscide", una colonna di gas molecolare misto a polveri, alle estremità della quale sono visibili i cosiddetti globuli di condensazione, sedi della formazione stellare.
globuli
Figura 1
I teorici hanno concluso che, durante il processo di formazione stellare, la materia non cade liberamente sulla condensazione protostellare. Nelle prime fasi, intorno alla condensazione centrale (la protostella) si forma un disco (il disco di accrescimento). La materia che cade dalla nube molecolare circostante si raccoglie dapprima nel disco; successivamente spiraleggia verso la condensazione centrale. Paradossalmente il processo della formazione stellare, che è caratterizzato soprattutto dall’accrescimento, è anche accompagnato da episodi di espulsione di gas in direzioni perpendicolari al disco, lungo i cosiddetti getti. La situazione è schematizzata nella Figura 2.
Figura 3
getto
protostella disco di accrescimento
Figura 2
Il telescopio HST ha ottenuto immagini spettacolari di entrambi questi fenomeni (accrescimento ed espulsione). Il montaggio a sinistra (Figura 3) presenta 4 esempi di dischi di polvere che circondano stelle molto giovani. Le stelle sono nascoste dalla polvere, ma la loro luce viene riflessa dalle due facce del disco. Inoltre la loro posizione si può intuire dalla direzione dei getti di materiale espulso (indicati in verde). Si noti che i dischi che circondano le stelle sono probabilmente anche le culle dei sistemi planetari. Ad esempio i pianeti del nostro sistema solare si sono formati per condensazione in un disco di questo tipo 4.5 miliardi di anni fa (vedi pannello Il Sistema Solare e la sua origine). Figura 4
Figura 5
Nota: Nell’angolo in basso a sinistra delle figure è indicata la scala: la lunghezza della barra corrisponde a 200 Unità Astronomiche (AU). 1 AU equivale alla distanza Terra - Sole, cioè 150 milioni di chilometri. Per le immagini di HST si ringrazia Space Telescope Science Institute.
Immagini dettagliate prese da HST (Figura 4) mostrano che i getti espulsi dalle protostelle possono essere molto ben collimati, (probabilmente perchè confinati da un campo magnetico), seppure discontinui. Ciò indica che l’espulsione del gas è episodica, invece che continua. Questi fenomeni forniscono informazioni importanti sul processo di formazione stellare. La Figura 5 presenta due esempi di cosa succede quando i getti protostellari si scontrano con il mezzo interstellare circostante: da una protostella (nascosta da polvere) vengono espulsi in direzioni opposte due getti. A seguito dell’impatto dei getti contro il mezzo interstellare circostante, il gas si scalda e di consequenza emette radiazione (si vedano le formazioni gassose molto luminose alle due estremità dei getti). Per saperne di più: •http//oposite.stsci.edu •Il sito http://www.astro.rug.nl/ pdb/outreach.htm dà un’elenco molto ricco di siti divulgativi
Come vive una stella La vita di una stella è governata dall'equilibrio fra due grandi forze contrapposte: la forza di gravità e la forza prodotta dalle reazioni nucleari che avvengono nel nucleo stellare. La prima tende a comprimere le parti esterne della stella verso il suo centro, mentre la seconda cerca di far espandere la stella. Le due forze tendono a controbilanciarsi mantenendo la stella in una situazione di equilibrio, che durerà per quasi tutta la sua vita. Quando questo equilibrio si rompe la stella muore (vedi pannello Come muore una stella). Gli astronomi usano due criteri per classificare le stelle. Il primo usa il colore della radiazione emessa dalle stelle. Il colore dipende dalla temperatura: una stella calda (come Sirio) è bianco-azzurrognola, mentre una stella più fredda (come Betelgeuse) appare rossa; una stella come il Sole emette sopratutto luce gialla. La Figura 1 mostra un ammasso di stelle nel quale si notano stelle calde di colore azzurro insieme ad altre, via via più fredde, di colore giallo oppure rosso. Il secondo criterio usa la luminosità della stella. Esiste una relazione tra la luminosità e la temperatura (o il colore) di una stella. Questa relazione è illustrata nel cosiddetto diagramma Hertzsprung-Russell (o HR, Figura 2). Come si vede in Figura 2 le stelle non sono Supergiganti distribuite a caso nel diagramma HR, ma occupano delle locazioni precise, dette sequenze o rami. Ognuna di queste locazioni Giganti corrisponde ad una certa fase della vita di una stella.
Durante gran parte della sua vita una stella genera energia tramite la fusione nucleare, trasformando idrogeno in elio. In questa fase, la posizione della stella nel diagramma HR è sulla cosiddetta sequenza principale (indicata dalla linea curva). Stelle più massicce hanno tipicamente temperature e luminosità più elevate (si veda la stella blu in alto a sinistra); stelle meno massicce, invece, hanno temperature e luminosità più basse (stella rossa in basso a destra). Quando una stella, verso la fine della sua vita, ha bruciato la maggior parte della sua riserva di idrogeno, lascia la sequenza principale e passa rapidamente attraverso diverse fasi evolutive.
Luminosità (unità solari)
Figura 1
Figura 2
Sequenza principale Sole Nane bianche
Temperatura (gradi)
Luminosità (unità solari)
L’evoluzione di una stella come il Sole si può seguire in Figura 3. Quando il Sole avrà trasformato tutto l’idrogeno nel suo nucleo in elio, comincerà a contrarsi per effetto della gravità. Questa contrazione causerà un aumento Supergigante della temperatura interna della stella, e si creeranno così le condizioni per la fusione dell’idrogeno anche negli strati più superficiali. Il Sole allora si Temperatura (gradi) Nana Gigante espanderà, lascerà la sequenza principale, ed entrerà nella cosiddetta fase di bianca rossa gigante rossa. La temperatura interna continuerà a salire, finché comincerà a bruciare l’elio. Allora la luminosità del Sole aumenterà fino a 10000 volte quella Sequenza principale attuale (fase di supergigante). Successivamente, terminato il processo di fusione, il Sole finirà per espellere il suo guscio esterno, perdendo una parte significativa della sua massa (nebulosa planetaria). Il nucleo residuo diventerà lentamente più freddo e meno luminoso, e il Sole si trasformerà in una Temperatura (gradi) cosiddetta nana bianca (vedi pannello Come muore una stella). Tutto ciò Figura 3 accadrà tra circa 5 miliardi di anni. Stelle più massicce del Sole bruciano il loro combustibile nucleare più rapidamente e quindi Figura 4 hanno una vita più breve. Una stella 10 volte più massiccia del Sole vive non più di 100 milioni di anni. Stelle meno massicce del Sole possono risplendere anche per 20 miliardi di anni. Il Sole è una stella singola, ma circa la metà delle stelle della nostra galassia fa parte di un sistema doppio o binario, cioè di una coppia di stelle orbitanti una intorno all'altra. Nel pannello a sinistra di Figura 4 è rappresentato schematicamente un sistema doppio. Su scale più grandi le stelle sono spesso raggruppate in ammassi, i quali possono essere per esempio ammassi aperti (formati da stelle relativamente giovani e collocati all’interno della Galassia) oppure ammassi globulari (composti da stelle molto vecchie e disposti in un alone intorno alla Galassia). Il pannello a destra di Figura 4 mostra un ammasso globulare. Nebulosa planetaria
Per saperne di più: •http://astrolink.mclink.it/elementi.htm
(Astrolink, sito italiano di divulgazione astronomica)
•http://www.physics.hku.hk/~nature/CD/regular_e/index.html
Come muore una stella Le stelle nascono, evolvono e muoiono. Ciò avviene quando terminano il loro combustibile interno (idrogeno) e si spengono. Senza più una sorgente di energia a controbilanciare la forza di gravità esse collassano su se stesse. I tempi in cui tutto ciò accade dipendono dalla massa stellare, e possono essere molto lunghi, fino a 20 miliardi di anni. Anche il modo in cui una stella muore, e ciò che rimane dopo la sua morte dipendono essenzialmente dalla massa della stella stessa.
Figura 1 Cortesia di Space Telescope Science Institute
Nebulose planetarie e nane bianche Quando hanno esaurito l’idrogeno nel loro nucleo, e si trovano verso la fine della loro vita, le stelle con massa fino a 8 volte quella del Sole, cominciano ad espellere lentamente il proprio guscio esterno. In Figura 1 si vedono alcuni esempi di questi oggetti, chiamati nebulose planetarie, osservate dal telescopio spaziale Hubble. Il gas espulso è prevalentamente idrogeno, ma vi sono anche delle tracce di altri elementi, prodotti dalla fusione nucleare durante la vita della stella. Al centro della nebulosa rimane il nucleo centrale della stella, un residuo di piccole dimensioni, ancora molto caldo, chiamato nana bianca. Questi corpi celesti hanno una massa paragonabile a quella del Sole, ma sono molto più densi (in quanto sono cento volte più piccoli) e sono composti prevalentemente da elettroni. Gli elettroni, avendo la medesima carica elettrica (negativa), tendono a respingersi reciprocamente e ciò genera una pressione verso l’esterno in grado di controbilanciare la forza gravitazionale. Il sistema è quindi stabile. Col tempo il gas espulso si disperde nello spazio, e in questo modo il mezzo interstellare viene arricchito con elementi chimici più pesanti dell’idrogeno. La nana bianca diventa lentamente sempre più fredda perché perde calore per irraggiamento, finché resta solo un corpo scuro e inerte. Cortesia di NRAO e di ESO, VLT
Supernovae, stelle di neutroni e buchi neri Le stelle con massa compresa tra 8 e circa 25 volte quella del Sole hanno un destino diverso. Quando, dopo qualche decina di milioni di anni, hanno consumato l’idrogeno nel loro interno, cominciano a bruciare i prodotti della fusione: prima l’elio, poi il carbonio, l’ossigeno, il silicio. Ciò che resta è un nucleo di ferro. Se la massa del nucleo supera 1,4 masse solari gli elettroni non riescono a controbilanciare la forza gravitazionale e la stella comincia a contrarsi, aumentando la sua densità al punto che elettroni e protoni si combinano a formare neutroni. Questo riduce ulterioramente il numero degli elettroni e di consequenza il collasso accelera: in qualche secondo il nucleo passa da un raggio di qualche migliaia di chilometri a circa 5 km. Il collasso si ferma solo quando la densità raggiunge valori elevatissimi e i neutroni diventano una specie di fluido, in grado di resistere alla forza di gravità. Si parla allora di stella di neutroni, un oggetto assai più denso delle nane bianche in quanto la sua massa, circa una volta e mezzo quella del nostro Sole, è tutta racchiusa in un volume di alcuni chilometri di raggio. Il fatto che il collasso si fermi bruscamente genera un’onda d’urto nel materiale circostante il nucleo centrale. A questo punto la stella espelle in modo esplosivo la maggior parte della sua massa, dando origine a una supernova, un’esplosione caratterizzata da eccezionale splendore: in pochi giorni viene emmessa l’energia che il Sole sprigiona in miliardi di anni! In Figura 2 è rappresentata la Nebulosa del Granchio, ovvero l’inviluppo di gas in espansione rimasto dopo l’esplosione di una supernova al centro; questi oggetti sono detti resti di supernovae. L’immagine in alto mostra quest’oggetto nella banda radio, quella in centro nell’ottico. All’interno è presente una stella di neutroni. Asse di rotazione
Asse magnetico Terra
Figura 3
Figura 2
Nel caso del Granchio la stella di neutroni emette impulsi regolari in banda radio, e pertanto è chiamata pulsar. Le pulsar sono stelle di neutroni con un campo magnetico molto forte, nel quale circolano elettroni di altissima energia, che emettono radiazione di sincrotrone (vedi pannello I meccanismi di emissione) . Ai poli magnetici della stella le particelle vengono incanalate in un fascio collimato molto stretto, indicato in giallo nello schema a lato (Figura 3). Se l’asse di rotazione della stella non coincide con l’asse del campo magnetico, il fascio di radiazione, ruotando insieme alla stella, spazza il cielo con un effetto analogo a quello di un faro. Se la Terra si trova lungo la traiettoria del fascio, vediamo la sua radiazione arrivare a impulsi regolari.
Per stelle di massa superiore a 25 volte quella del Sole, neanche i neutroni riescono a fermare il collasso gravitazionale, e il nucleo è destinato a diventare un buco nero, un’oggetto estremamente denso che esercita una attrazione gravitazionale così intensa da impedire alla materia e persino alla luce di allontanarsi da esso (vedi pannello I Buchi Neri). Per saperne di più: •http://pulsar.ca.astro.it/ pulsar/ sito del gruppo italiano (a Cagliari) che studia le pulsar •http://www.jb.man.ac.uk/ pulsar/Education/Sounds/sounds.html per ascoltare il suono di alcune pulsar! •http://astrolink.mclink.it/elementi.htm (Astrolink, sito italiano di divulgazione astronomica)
Cosa sono le galassie Le galassie sono i mattoni costituenti l'Universo: immensi sistemi costituiti da gas e polvere, che possono contenere fino a diverse centinaia di miliardi di stelle, il tutto tenuto insieme dalla forza di gravità. Le dimensioni delle galassie più grandi possono essere di circa 100 kpc (1 kpc = 1000 pc = 200 milioni di volte la distanza Terra-Sole), una distanza che alla velocità della luce può essere percorsa in circa 300 mila anni. Malgrado il numero elevatissimo di galassie che oggi possiamo osservare nell'Universo grazie ai grandi telescopi, la maggioranza di esse risponde ad una classificazione morfologica relativamente semplice. Questo risultato è alla base del successo della cosiddetta classificazione di Hubble (Figura 1). Le galassie possono essere divise in due tipi fondamentali: le galassie di tipo early type e le galassie di tipo late type. La classificazione delle Le galassie early type vengono a loro volta suddivise in galassie galassie Ellittiche ed S0 (o Lenticolari), mentre le galassie late type possono essere suddivise in galassie a Spirale ed Irregolari, secondo la loro apparenza morfologica (vedi figura 1). Le galassie late type sono generalmente di colore blu, mentre le Ellittiche galassie early type presentano tipicamente un colore rossastro. Il Spirali colore delle galassie dipende dal tipo di stelle che le abitano. Galassie blu sono tipicamente abitate da stelle giovani, ovvero Spirali barrate stelle massicce e calde, tipicamente di colore blu. Viceversa, galassie rosse sono tipicamente abitate da stelle vecchie. Infatti le Lenticolari stelle più longeve sono quelle di piccola massa e più fredde, tipicamente di colore giallo-rosso (vedi pannello Come vive una Irregolari stella) . Un’altra differenza importante tra galassie late type ed early type è il contenuto di gas. Le prime sono ricche di gas e polveri, mentre nelle seconde la quantità di gas freddo e polveri è trascurabile o del tutto assente. Figura 2b Le galassie Ellittiche hanno una caratteristica forma di ellissi via via più schiacciata andando dal tipo morfologico E0 fino al tipo E7 (Figura 1). Figura 2a La loro luminosità è massima al centro della galassia e decresce dolcemente verso l’esterno, fino a che la luce della galassia stessa tende a confondersi con quella dello spazio circumgalattico (Figura 2a). Le galassie di tipo S0 sono invece caratterizzate dalla presenza di un disco stellare spesso, e da un rigonfiamento centrale che viene detto bulge. Quest'ultimo è molto simile ad una galassia Ellittica in miniatura (Figura 2b). Anche le galassie a Spirale sono caratterizzate da una forma a disco e dalla presenza di un bulge (la classificazione delle galassie a spirale è approfondita nel pannello Le galassie a Spirale). I moti interni delle stelle che compongono le galassie Ellittiche, S0 ed Irregolari (Figura 2c) sono di tipo disordinato. Si può dire Figura 2c qualitativamente che le stelle nelle galassie di tali tipi morfologici vanno a costituire una nuvola di punti che si muovono in tutte le direzioni a diverse velocità. Al contrario, i moti delle stelle nelle galassie a Spirale sono ordinati e abbastanza ben descritti da orbite quasi circolari che vanno a formare i dischi galattici. Figura 1
Una delle questioni aperte più interessanti in Astronomia è comprendere come si formano le galassie. In particolare, ancora non è chiaro se le galassie early type e late type nascono come popolazioni diverse, oppure se nell'Universo si formi soltanto una popolazione e la seconda si origini per evoluzione della prima. Nel primo scenario, in cui early type e late type sono popolazioni diverse sin dall’inizio, ambedue si formerebbero dal raffreddamento e dalla frammentazione di immense nubi di gas primordiale. In questo scenario le galassie Ellittiche si sarebbero formate in seguito a un processo di frammentazione relativamente rapido, mentre le galassie a disco nascerebbero in seguito di processi di frammentazione molto più lenti, durante i quali si avrebbe prima la formazione di un disco e solo successivamente si formerebbe la maggioranza delle stelle. Nel secondo scenario, invece, si pensa che nell'Universo si possano formare soltanto galassie di tipo late type le quali poi, fondendosi le une con le altre in seguito ad interazioni gravitazionali (mergers), perderebbero la loro struttura a disco, dando origine alle galassie di tipo early type.
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Le galassie a Spirale Le galassie a Spirale costituiscono la maggioranza delle galassie nell'Universo. Anche il nostro sistema Solare si trova in una galassia a Spirale: la Via Lattea o Galassia. Le galassie a Spirale sono a forma di disco, con un nucleo rotondeggiante detto bulge, di dimensioni che variano da galassia a galassia. Il disco presenta strutture di densità superiore alla media, dette bracci di spirale. Essi hanno origine nel nucleo e si avviluppano lungo il disco fino a distanze di diverse decine di kpc (1 kpc = 3260 anni luce). Le galassie a Spirale contengono grandi quantità di polveri interstellari e di gas freddo e sono generalmente di colore blu poiché sono costituite da una popolazione stellare relativamente giovane: stelle massicce e molto calde, di colore blu, la cui vita è relativamente breve (vedi pannello Come vive una stella). Le galassie a Spirale vengono classificate come di tipo morfologico Sa, Sb, ed Sc (vedi Figura 1 del pannello Cosa sono le galassie), a seconda della prominenza relativa del bulge rispetto al disco galattico. Le galassie di tipo Sa hanno un bulge grande e bracci di spirale strettamente avvolti e ben definiti; le galassie di tipo Sc, hanno invece un bulge piccolo, e bracci di spirale molto aperti e più irregolari. Le immagini a lato mostrano una galassia di tipo Sa (NGC 4622, a sinistra) ed una galassia intermedia fra il tipo morfologico Sb ed Sc (NGC 3310, a destra). Esistono inoltre galassie a Spirale caratterizzate dalla presenza di una struttura asimmetrica a forma di barra che attraversa la regione nucleare. Esse sono dette Spirali Barrate (un esempio è mostrato nell’immagine sotto) e, come per le Spirali normali, esse vengono classificate come di tipo morfologico SBa, SBb, ed SBc in base alla prominenza del bulge rispetto al disco (vedinelle Figura 1 del a Spirale sono concentrate nel bulge, nei bracci a spirale e in un alone più tenue Le stelle galassie pannello Cosa sono le galassie). che si dispone tutto attorno al bulge e al disco della galassia. Nell'alone le stelle tendono ad aggregarsi gravitazionalmente in ammassi di forma rotondeggiante detti ammassi globulari che possono contenere da un migliaio fino ad un milione di stelle. Le stelle si distinguono in due popolazioni: una più giovane, detta popolazione I, ed una più vecchia detta popolazione II. Le stelle giovani di popolazione I si trovano concentrate prevalentemente nel disco ed hanno tipicamente colore blu. Le stelle vecchie di popolazione II, invece, abitano il bulge e l'alone. Esse sono stelle longeve di piccola massa e fredde, tipicamente di colore rossastro (vedi pannello Come vive una stella). E' stata ipotizzata anche una popolazione di tipo III di stelle, ovvero una primissima generazione di stelle di grande massa che sarebbe stata la prima a formarsi e che avrebbe arricchito di elementi chimici pesanti l'Universo quando esso aveva poco più di 100 milioni di anni. Le galassie a Spirale non ruotano su se stesse come un corpo rigido (come ad esempio fa un disco su un giradischi). Nelle galassie, come in un mulinello, la velocità di rotazione diminuisce all’aumentare a distanze dal centro, cosicché le regioni più esterne del disco perdono terreno rispetto a quelle più interne (moto di rotazione differenziale). Gli astrofisici pensano che sia proprio questo moto di rotazione differenziale a dare origine ai bracci di spirale. Quando la materia interstellare in rotazione sul disco galattico attraversa i bracci di spirale, viene compressa e tende a contrarsi gravitazionalmente formando nuove stelle. L’ingrandimento nella figura a sinistra in alto evidenzia proprio una porzione di uno dei bracci di spirale della galassia NGC 1365 dove si vedono regioni di formazione stellare (in colore più chiaro). Le stelle più massicce che si formano nei bracci di spirale, hanno una vita relativamente breve (circa 10 milioni di anni) ed esplodono come Supernovae (vedi pannello Come muore una stella) prima di allontanarsi dalla regione nella quale sono nate (si veda l’esempio indicato dalla freccia nella figura a sinistra in basso). Nella nostra Galassia, ogni anno, l’equivalente di 2-3 masse solari di materia vengono convertite in nuove stelle. Vi sono però galassie relativamente giovani, che contengono grandi quantità di gas e polvere interstellare, nelle quali il tasso di formazione stellare può essere molto più elevato (da 10 ad oltre 100 masse solari all'anno). Tali galassie prendono il nome di Galassie di Starburst.
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Emissione radio da galassie a Spirale L'emissione in banda radio da parte delle galassie a Spirale è principalmente di due tipi : a) radiazione di sincrotrone dovuta alla presenza di elettroni relativistici che si propagano nel campo magnetico della galassia e b) emissione da idrogeno neutro (HI), dovuta all’inversione di spin dell’elettrone (vedi pannello I meccanismi di emissione). Nel primo caso si ha emissione su una banda di frequenze delle spettro elettromagnetico molto ampia (emissione nel continuo), mentre nel secondo caso l'emissione avviene solo a una lunghezza d'onda ben definita, e cioè a 21 cm (emissione in riga). La riga a 21 cm da Idrogeno neutro (HI) in condizioni di bassa densità Sia il protone che l'elettrone dell'idrogeno hanno uno spin (o momento angolare) e la configurazione con gli spin allineati risulta energeticamente meno vantaggiosa di quella a spin opposti (vedi schema a lato). Nella transizione dallo stato di alta energia a quello di più bassa energia, viene emesso un fotone alla lunghezza d'onda di 21 cm (vedi pannello I meccanismi di emissione). L'insieme di questi fotoni emessi dagli atomi dell'idrogeno neutro che si trovano nelle galassie a Spirale costituisce una emissione in riga piuttosto intensa che puo' essere rivelata dai radiotelescopi. Si è scoperto che tale emissione proviene da regioni molto più estese di quelle popolate dalle stelle nelle galassie. L’immagine a destra mostra l’emissione radio a 21 cm (in blu) sovrapposta a quella in banda ottica delle stelle (in giallo) nel caso della galassia NGC 6946. Si vede come I bracci di spirale tracciati dall'Idrogeno neutro (in blu) si estendano sino a regioni essai più esterne della galassia rispetto a quelli tracciati dalle stelle. Lo studio dell’emissione a 21 cm ci permette di capire la distribuzione della componente gassosa (e in particolare dell'HI) su grande scala nelle galassie. Inoltre ci consente anche di misurare la velocità di rotazione delle galassie a spirale (vedi pannello L’effetto Doppler e il Redshift) fino a grandi distanze dal centro e quindi di studiare la dinamica interna delle galassie (vedi poster La Materia Oscura nell’Universo). Grazie al fatto che l'emissione dell'HI può essere rivelata fino a grandi distanze dal centro delle galassie, l’osservazioni della riga a 21 cm permette anche di studiare gli effetti dinamici provocati dall'interazione fra diverse galassie. Durante uno scontro fra galassie esse perdono parte del gas e delle stelle che vengono lasciati indietro nello spazio intergalattico, in una sorta di scia. L’immagine a sinistra mostra l'effetto di una collisione fra due galassie (in blu è riportata l'emissione radio da HI, in verde l'immagine ottica).
Stato di alta energia: elettrone e protone con spin paralleli (ossia elettrone e protone ruotano su se stessi nello stesso senso) Differenza di energia tra i 2 stati emessa sotto forma di fotone (riga a 21 cm).
Stato di bassa energia: elettrone e protone hanno con spin anti-paralleli (ossia elettrone e protone ruotano su se stessi in senso opposto)
Immagini Cortesia di NRAO/AUI e J. Hibbard
Il disco delle galassie a spirale contiene campi magnetici e particelle relativistiche. Il campo magnetico nelle galassie a spirale viene amplificato nei bracci a spirale dove la materia viene compressa (vedi pannello Le Galassie a Spirale): in tali regioni l'intensità del campo è pari ad alcuni microGauss (circa 1 milione di volte minore di quello al quale è sensibile una comune bussola). L'origine delle particelle relativistiche è molto probabilmente legata ai processi di accelerazione di particelle che si attivano durante l'esplosione delle supernovae. Quando gli elettroni relativistici orbitano nei campi magnetici emettono radiazione di sincrotrone. Tale emissione è molto intensa e può essere rivelata dai radiotelescopi per studiare sia la distribuzione spaziale degli elettroni relativistici, sia i campi magnetici nelle galassie. Le immagini sopra a destra rappresentano l'emissione radio della galassia a Spirale M 51 (pannello di sinistra) e la direzione delle linee di campo magnetico nei bracci di spirale (pannello di destra).
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I Nuclei Galattici Attivi La radiazione emessa dalle galassie normali è, almeno in prima approssimazione, la somma dell’energia emessa dalle stelle che le compongono. Per le galassie attive (o Nuclei Galattici Attivi, AGN), questo non è vero. Gli AGN emettono su tutto lo spettro elettromagnetico, dalla banda radio ai raggi gamma, e l’energia osservata risulta molto superiore alla energia “stellare”. Le teorie più accreditate associano gli AGN alla presenza di un buco nero massiccio (da un milione a un miliardo di masse solari) al centro della galassia ospite. A fianco è mostrata un’immagine globale della radiogalassia NGC 4261 Cortesia HST (pannello a sinistra). Nell’immagine sono visibili i cosiddetti lobi di emissione radio (in arancione), dovuti alla radiazione emessa da getti di particelle cariche espulse dal nucleo centrale, che si propagano in direzioni diametralmente opposte. In grigio-azzurro è visibile l’emissione in banda ottica della galassia ellittica che ospita al suo centro il nucleo attivo. Nel pannello a destra è mostrato un ingrandimento della regione nucleare, ottenuto con il telescopio ottico Hubble Space Telescope. Questa immagine mostra chiaramente la presenza di gas e polveri in forma di disco o toro (diametro di circa 400 anni luce), al centro del quale si ipotizza esserci il buco nero massiccio (vedi pannello I Buchi Neri). Il disco di polveri è probabilmente ciò che rimane dell’incontro con un’altra galassia avvenuto centinaia di milioni di anni fa. A lato sono illustrati in via schematica gli elementi che si pensa costituiscano un nucleo galattico attivo. Il getto radio e il toro di polvere sono le componenti più Getto importanti. Il toro è circondato da nubi di gas che ruotano più o meno rapidamente attorno al buco nero centrale; tale velocità dipende dalla distanza del gas dal buco Nubi di alta nero, così come la velocità dei pianeti nel nostro sistema solare dipende dalla velocità distanza dal Sole. La velocità di rotazione di queste nubi di gas viene dedotta dalla larghezza delle loro righe di emissione. Righe strette indicano moti lenti, righe larghe moti rapidi. È opinione comune che parte di questo gas confluisca in un Toro disco, detto di accrescimento, che circonda il buco nero centrale e dal quale la Buco Nero materia pian piano viene risucchiata dal buco nero. Generalmente si assume che tutti i nuclei galattici attivi siano caratterizzati da queste componenti. Tuttavia gli Disco di AGN appaiono diversi tra loro quando li osserviamo. Ciò sarebbe l’effetto della accrescimento diversa angolazione sotto cui li vediamo. Le sorgenti il cui getto punta direttamente verso di noi, dette Blazar (linea di vista indicata dalla freccia rossa), appaiono estremamente brillanti e puntiformi in banda radio; inoltre non mostrano righe di emissione, poiché la radiazione del getto domina ogni altra componente. Quando invece l’angolo di vista è perpendicolare ai getti (vedi freccia gialla), il toro di polvere Nubi di bassa oscura sia il buco nero centrale sia la regione occupata dalle nubi veloci, e quindi velocità vediamo soltanto le righe di emissione strette (nubi lente). L’emissione radio in questo caso presenta la tipica morfologia estesa delle Radiogalassie (si veda la radiogalassia NGC 4261 in alto a sinistra e il pannello Le radiogalassie – Morfologia Cortesia NASA su larga scala). Le sorgenti dette Quasar, rappresentano infine un caso intermedio (vedi freccia verde) e mostrano righe di emissione sia larghe (nubi veloci) sia strette Cortesia J. Foster (nubi lente). La morfologia radio può essere estesa o puntiforme a seconda di vista. attivi emettono radiazione Idell’angolo nuclei galattici in tutte le bande dello spettro elettromagnetico. La figura a lato mostra il getto della radiogalassia M87 in una sovvraposizione artificiale di tre bande diverse, radio, ottico e X. A sinistra in basso si vede il nucleo galattico brillante che dovrebbe contenere il buco nero. Tramite un meccanismo non ancora completamente compreso, la materia nei pressi del buco nero viene accelerata da forze elettromagnetiche e viene creato il getto che si propaga dalla zona centrale del nucleo galattico attivo verso l’esterno.
Per saperne di più: •http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html
Le radiogalassie – morfologia su larga scala Quando una galassia è più luminosa in banda radio che in banda ottica viene definita radiogalassia. Circa il 10% delle galassie ellittiche appartengono a questa categoria. La morfologia delle radiogalassie ha una struttura intrinsecamente simmetrica, il cui centro coincide con la galassia ottica ospitante. Due getti radio ben collimati, a volte invisibili, trasportano il materiale radioemittente fino a grandi distanze, che spesso superano l'estensione della galassia ottica. Le caratteristiche osservative di una radiogalassia dipendono dall’angolo di vista sotto cui le osserviamo. Solo recentemente si è capito che oggetti con morfologie molto diverse tra loro appartengono in realtà alla stessa categoria (vedi pannello I Nuclei Galattici Attivi).
Cortesia NRAO
La radiogalassia più vicina a noi è Centauro A. Essa si trova ad una distanza di 16 milioni di anni luce. Nell’immagine a destra si vede una sovvraposizione artificiale dell’emissione ottica e dell'emissione radio. Nella banda ottica si vede una galassia ellittica gigante (in bianco) che è circondata da una fascia di polveri (in nero) perpendicolare all’asse di emissione radio (in falsi colori). L’emissione radio è simmetrica, ha una forma leggermente piegata a S e si estende ben oltre i limiti della galassia ottica.
La sorgente Cigno A, raffigurata nell’immagine a sinistra, con la sua struttura radio doppia, simmetrica rispetto alla galassia ottica centrale, è considerata il prototipo di radiogalassia. L'estensione totale della struttura doppia è pari a 650 milioni di anni luce, ovvero più di 6000 volte la dimensione della nostra Via Lattea. La parte terminale dei lobi radio è costituita da piccole regioni di emissione radio molto intensa (indicate in bianco nella figura), chiamate hot spots (macchie calde). Queste definiscono il punto in cui la materia espulsa dal nucleo centrale esaurisce la sua spinta e viene fermata dal gas intergalattico circostante. Il trasporto della materia avviene lungo i getti che collegano il nucleo con le regioni hot spots. La luminosità radio totale di Cigno A è circa 1038 Watt. Questo significa che ogni secondo Cigno A emette 200 milioni di miliardi di volte l’energia consumata sulla Terra nell’anno 2000.
Cortesia NRAO
Cortesia CSIRO
Nella maggior parte delle radiogalassie il processo di espulsione della materia e il suo trasporto lungo i getti fino ai lobi radio può considerarsi continuo. Si osservano però anche radiogalassie nelle quali questo processo sembra subire interruzioni, come se il buco nero centrale si ‘spegnesse’ e venisse a mancare energia per accelerare le particelle verso l’esterno. L’immagine a sinistra mostra un esempio. La radiogalassia J0116-473 ha la classica morfologia doppia con due lobi giganti e un nucleo centrale. Tra i due lobi però si osserva una struttura doppia più piccola (indicata dalle frecce), che si ritiene sia stata prodotta da una fase attiva più recente seguita alla riaccensione del buco nero centrale. Queste galassie in cui si osservano contemporaneamente fasi diverse e successive della loro attività vengono studiate in dettaglio per capire come evolvono le radiogalassie.
Per saperne di più: http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html •
Le radiogalassie ad alta risoluzione Ottenere osservazioni ad alta risoluzione con un radiotelescopio è assai più difficile che con un telescopio ottico. Ciò è dovuto al fatto che la capacità di vedere i dettagli di un telescopio dipende oltre che dalle dimensioni del suo specchio, anche dalla lunghezza d’onda di osservazione. Poiché le onde radio possono essere anche un milione di volte più lunghe di quelle ottiche, le dimensioni di un radiotelescopio devono essere un milione di volte maggiori di quelle di un telescopio ottico per vedere la stessa scala di dettaglio. Si pensi che alla lunghezza d’onda di 20 cm un radiotelescopio dovrebbe avere un diametro di circa 700 metri per vedere gli stessi dettagli che noi vediamo coi nostri occhi. Questa difficoltà è stata superata con lo sviluppo dell’interferometria radio, cioè con l’uso contemporaneo di più radiotelescopi lontanti fra loro (vedi pannello I Radiointerferometri). Usando reti di radiotelescopi sparsi in tutto il mondo si possono addirittura raggiungere risoluzioni molto più alte che in ogni altra banda elettromagnetica (vedi pannello Interferometria a lunghissima base). A destra è mostrato un collage di immagini radio, ottenute a diverse frequenze, della radiogalassia Virgo A (M87), che si trova al centro dell’ammasso della Vergine. Virgo A è una delle radio sorgenti più brillanti del cielo. La sua distanza dalla Terra è circa 50 milioni di anni luce. La sua struttura radio è stata osservata su scale via via più dettagliate: da scale corrispondenti a 200,000 anni luce a scale di 0.3 anni luce. Queste immagini sono ottenute con il Very Large Array (VLA), un interferometro in New Mexico (USA) e con la rete interferometrica mondiale detta VLBI (vedi pannello Interferometria a lunghissima base). I getti radio spesso non si propagano in linea retta, ma mostrano deviazioni più o meno grandi rispetto alla loro direzione originale. L’immagine in basso della galassia 3C31 ne è un esempio. Queste deviazioni possono essere causate dalla presenza di grandi quantità di materia attorno al getto. Per esempio nubi di gas ad alta densità in grado di deviare il getto. Spesso però le deviazioni osservate nei getti sono dovute a processi interni, come variazioni del campo magnetico che collima e guida i getti. Osservazioni sempre più dettagliate dei getti rivelano anche piccole irregolarità che ci aiutano a comprendere l’evoluzione delle radiogalassie.
Immagini: Cortesia NRAO
Nell’immagine a destra (ottenuta a 22 GHz) viene mostrata l’evoluzione nel corso degli anni (dal novembre 1997 al marzo 1999) della radiogalassia 3C120. In quasar e radiogalassie i radioastronomi hanno individuato componenti del getto che si propagano verso l’esterno con velocità a volte apparentemente superiori alla velocità della luce (moto superluminale). Il moto superluminale si spiega con considerazioni geometriche, assumendo che il getto si muova ad una velocità quasi pari (ma comunque inferiore) a quella della luce puntando verso di noi, formando cioè un angolo molto piccolo con la nostra linea di vista.
Per saperne di più: •http://imagine.gsfc.nasa.gov/docs/science/know_l1/active_galaxies.html
I Buchi Neri I buchi neri sono oggetti compatti nei quali tutta la materia è concentrata in un singolo punto entro cui la massa non ha più volume ed il tempo si ferma. Attorno al buco nero si accumula materia formata da polveri e/o stelle che, cadendo in esso, bruciano ed emettono raggi X e Gamma. Essendo però i raggi X assorbiti dall’atmosfera della terra, è necessario l’utilizzo di satelliti per studiarne le proprietà.
Lo sapevate ? Che i buchi neri distorcono lo spazio circostante come illustrato nella figura a lato (pannello a sinistra). Che i buchi neri si possono vedere per via della luce emessa dalla materia che viene inghiottita attraverso il cosiddetto disco di accrescimento (accretion disk nella figura a lato, pannello a destra) e dalla materia che viene espulsa sotto forma di getto (jets).
Che ci sono 2 grandi famiglie di buchi neri. A) I buchi neri stellari, con masse di 1-100 volte la massa del Sole, sono il risultato finale dell’evoluzione di stelle massicce. Quando muoiono, la parte esterna di queste stelle viene espulsa esplosivamente (dando luogo ad una Supernova) mentre la parte interna implode in un buco nero (vedi pannello Come muore una stella). A destra è mostrata un’illustrazione di come, in sistemi binari, un buco nero può risucchiare materia dalla stella compagna. Il disco di colore marrone nel disegno rappresenta il disco di accrescimento e si trova attorno al buco nero stellare.
Cortesia CFA
B) I buchi neri super-massicci, ossia giganti (con masse di milioni di volte la massa del sole), potrebbero essere presenti in tutte le galassie inclusa la nostra! L’origine di questi buchi neri super-massicci non è ancora chiara. La teoria più accreditata al momento prevede una crescita graduale di buchi neri più piccoli fino a raggiungere le masse dei buchi super-massici. Poiché questo processo di crescita impiega miliardi di anni, i buchi neri super-massici devono essere molto vecchi. A sinistra è mostrata una recentissima immagine a raggi X del centro della nostra galassia, ottenuta col satellite americano Chandra. Il puntino bianco più luminoso al centro dell’immagine corrisponderebbe al buco nero gigante al centro della nostra galassia (la Via Lattea). Esso si troverebbe a una distanza dalla Terra di quasi 25000 anni luce. La temperatura del gas misurata da Chandra è 20 milioni gradi.
Per saperne di più: •http://heasarc.gsfc.nasa.gov/docs/blackhole.html •http://www.intpthecosmos.com/blackholes
La genesi dell'Universo La nascita dell'Universo è spiegata dal modello del Big Bang, secondo il quale diversi miliardi di anni fa l'Universo che vediamo al giorno d'oggi era contenuto in una piccolissima regione di spazio, ed era caratterizzato da temperatura e densità elevatissime. Grazie ad un processo di espansione, è passato da quello stato compatto, caldo e denso, alla sua estensione attuale, e ad una temperatura e ad una densità assai inferiori. Il Big Bang ha lasciato una traccia, che è arrivata fino ai nostri giorni. E' la radiazione cosmica di fondo, o radiazione fossile, una emissione a bassissima temperatura, circa -270 gradi centigradi (cioè 2.73 Kelvin), che permea tutto il cielo in modo uniforme. La sua origine risale ad un'epoca in cui l'Universo aveva solo mezzo milione di anni.
Cortesia di NASA WMAP team
La radiazione fossile, la cui esistenza era stata postulata negli anni 40, fu scoperta per caso solo nel 1964. Per questa scoperta Penzias e Wilson vinsero il Premio Nobel per la fisica nel 1978. Da allora le nostre conoscenze sulle sue caratteristiche sono molto cambiate. La radiazione fossile pervade tutto l'Universo, ma a causa della sua bassissima temperatura non è facilmente rivelabile. Grazie alle missioni spaziali dell'ultimo decennio si è visto che la radiazione fossile non è così uniforme come inizialmente osservato e ipotizzato, ma presenta delle disomogeneità. Nel pannello a sinistra è riportata una immagine della radiazione cosmica di fondo ottenuta con ill satellite spaziale WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe). Qui si può notare che la distribuzione della temperatura non è omogenea, ma sono presenti delle zone più calde (in rosso) e altre più fredde (in blu). E’ interessante notare che le differenze di temperatura di cui si parla sono solo di pochi milionesimi di grado! Cortesia di HST
L‘esistenza delle fluttuazioni di temperatura della radiazione fossile è un tassello fondamentale per comprendere come si è arrivati all'Universo dei nostri giorni. Le piccolissime variazioni di temperatura scoperte recentemente, corrispondono a piccolissime fluttuazioni di densità della materia primordiale, e si pensa che gli agglomerati di materia dell'Universo, sotto forma di stelle, galassie e ammassi di galassie, siano nati proprio da queste fluttuazioni primordiali di densità, che si sarebbero accresciute nel tempo in seguito all'azione della forza di attrazione gravitazionale. La figura a destra riporta tre diversi momenti della vita dell'Universo: la prima immagine in alto rappresenta lo stato primordiale di fluttuazioni di densità della materia; nel pannello centrale si può notare che la materia è concentrata in filamenti (regioni chiare), la cui densità è molto maggiore rispetto a quella delle fluttuazioni. Nelle regioni di intersezione tra i filamenti si creano le condizioni di densità per la formazione galassie e ammassi di galassie, visibili nel pannello in basso.
Per saperne di più: •http:/l www.stcsi.edu •http://lambda.gsfc.nasa.gov/product/cobe •Pannello La Materia Oscura nell’Universo
Galassie nel tempo Poiché la luce viaggia ad una velocità finita, pari a 300.000 km/s, quando gli astronomi osservano oggetti lontani, stanno guardando indietro nel tempo. La luce emessa dal Sole impiega otto minuti per raggiungere la Terra, dunque guardando il Sole noi lo vediamo come era otto minuti fa. La maggior parte delle stelle visibili ad occhio nudo dista dai 10 ai 100 anni luce da noi, quindi noi le vediamo com'erano 10 – 100 anni fa. Si ritiene che l'Universo abbia circa 14 miliardi di anni, e per questo, osservando oggetti posti a distanze via via maggiori, vediamo come essi erano milioni o miliardi di anni fa. Così possiamo studiare come le stelle e le galassie sono cambiate durante l'espansione e l’evoluzione dell'Universo. Le galassie più lontane che gli astronomi hanno osservato finora ci appaiono com'erano una decina di miliardi di anni fa, cioè quando lUniverso aveva solo un terzo dell’età attuale. Il telescopio spaziale Hubble ha aperto una finestra speciale sull'Universo lontano. Osservando la stessa regione di cielo per tempi molto lunghi (diversi giorni) è possibile vedere oggetti debolissimi e distantissimi, la cui origine risale al momento in cui si pensa si siano formate le prime galassie. L’immagine a destra, ottenuta con il telescopio Hubble, presenta un dettaglio dell’immagine ottica più profonda attualmente esistente (Hubble Ultra Deep Field). Questa immagine raffigura una regione piccolissima di cielo (non più grande di quello che vedremmo se osservassimo il cielo con una cannuccia da bibite) ma ci permette di fare un viaggio nel tempo cosmico. Le galassie più grandi sono molto vicine a noi, mentre gli oggetti più piccoli sono galassie lontanissime, che noi vediamo com'erano una decina di miliardi di anni fa. In corrispondenza della galassia rossastra al centro di questa immagine c'è un oggetto molto particolare: un arco biancoazzurro. Questa forma ad arco è in realtà un’illusione ottica. L'arco è l’immagine distorta di una galassia lontanissima, la cui forma ci appare modificata a causa della presenza di un oggetto molto massiccio che si trova lungo la nostra linea di vista. Questo fenomeno è chiamato lente gravitazionale (vedi pannello La Materia Oscura nell'Universo). Le immagini profondissime ottenute grazie al telescopio spaziale Hubble mostrano che le galassie lontane hanno forme irregolari, che si discostano dalla classificazione usuale (vedi pannello Cosa sono le Galassie); esse sono circondate da materiale luminoso diffuso, e spesso hanno delle galassie compagne, con cui sono in interazione gravitazionale.
Immagini: Cortesia di NASA ed ESA
Per saperne di più: •http:/l www.stcsi.edu •http://lambda.gsfc.nasa.gov/product/cobe •Pannello La Materia Oscura nell’Universo •Pannello Zoom Cosmico
L'attrazione gravitazionale tra corpi celesti è uno dei fenomeni più importanti dell'Universo. Sia le galassie che gli ammassi di galassie (vedi pannello Ammassi di Galassie) si muovono a velocità elevatissime, dell'ordine di migliaia di chilometri al secondo, e questo causa continui scontri e incontri ravvicinati tra loro. Grazie a questo fenomeno, le galassie e gli ammassi di galassie cambiano il proprio aspetto nel tempo. Ad esempio, il risultato dello scontro gravitazionale tra due galassie può essere una unica galassia gigante. Le due figure a fianco sono due esempi di sistemi di galassie in interazione. In entrambi i casi gli oggetti raffigurati sono fisicamente vicini nel cielo (e non soltanto per proiezioni prospettiche), sono in interazione gravitazionale tra loro, ed il loro destino sarà quello di fondersi in un unico oggetto massiccio. L'Universo dunque non è rimasto immutato. Durante la propria espansione, cambiamenti di densità e di temperatura portano ad una continua evoluzione e trasformazione di tutti gli oggetti che lo popolano, e noi oggi siamo in grado di ricostruire, attraverso I nostri studi, il percorso evolutivo che ha portato fino ai nostri giorni.
Ammassi di galassie Gli ammassi di galassie sono le strutture più grandi dell'Universo. Contengono migliaia di galassie, legate tra loro grazie alla forza gravitazionale. Le galassie che li costituiscono presentano una grande varietà di morfologie, dimensioni, luminosità, e contengono popolazioni di stelle che possono essere molto diverse tra loro (vedi pannello Cosa sono le Galassie). Oggi si pensa che gli ammassi si formino per accrescimento di strutture più piccole, come gruppi di galassie o anche galassie singole, grazie all’attrazione gravitazionale reciproca. Galassie ed ammassi di galassie hanno mutato il loro aspetto al trascorrere del tempo cosmico in seguito ai continui scontri e incontri reciproci, che hanno luogo sotto l’effetto della forza di attrazione gravitazionale. Gli ammassi di galassie più giovani del nostro Universo, ovvero quelli che si sono formati più presto e quindi in un epoca più prossima al Big Bang, hanno un aspetto molto filamentare e le galassie sono ancora lontane le une dalle altre. Un esempio è riportato a lato nel pannello di sinistra, in cui è visibile un ammasso di galassie in via di formazione. Le galassie all'interno dei cerchietti azzurri sono parte dello stesso proto-ammasso, la cui galassia principale è l'oggetto verde al centro dell'immagine. Nel pannello a destra è mostrato un ammasso di galassie più evoluto. Le due galassie rosse vicine, nel centro gravitazionale dell'ammasso, sono probabilmente in interazione e Cortesia di NASA, ESA STScI col tempo diventeranno una unica galassia massiccia. Rispetto al proto-ammasso mostrato a sinistra, si nota una maggiore densità di oggetti attorno alle due galassie centrali. Gli ammassi di galassie più vecchi sono caratterizzati dalla presenza di galassie molto massicce situate nel loro centro gravitazionale. Un esempio è l'ammasso di galassie di Perseo, rappresentato nella figura a sinistra. Gli ammassi di galassie sono costituiti da diverse componenti fondamentali, quali materia luminosa, gas intergalattico, campi magnetici, e infine materia oscura. E’ interessante notare che la materia oscura è la componente più abbondante negli ammassi, costituendo una frazione di circa l'80% (vedi pannello La Materia Oscura nell'Universo). La materia luminosa, solo ~5% di tutta la massa negli ammassi, è quella che vediamo sotto forma di luce visibile, e ci dice come sono distribuite le stelle e le galassie. Queste ultime, grazie alla loro forma, colore, distribuzione, ci danno importanti informazioni sulla storia della formazione dell'ammasso in cui si trovano. Cortesia di California Institute of Technology, STScI
Gli ammassi di galassie sono permeati da un gas molto caldo, che si estende approssimativamente sull’intera regione occupata dalle galassie dell’ammasso, e la cui massa ammonta a circa il 15% della massa totale dell’ammasso. Questo gas intergalattico ha temperature elevatissime, dell'ordine di decine di milioni di gradi, e per questo motivo si trova in uno stato completamente ionizzato. Esso è rivelabile grazie alla propria emissione termica chiamata Bremsstrahlung, che lo rende visibile nella regione dei raggi X dello spettro elettromagnetico (vedi pannello I meccanismi di emissione). La figura a destra è una impressionante immagine della distribuzione del gas caldo (in viola) sovrapposta ad un’immagine a colori delle galassie dell’ammasso. Come si vede, il gas permea la maggior parte dell'ammasso. Allontanandosi dal centro dell'ammasso (regione centrale in viola chiaro) la densità del gas intergalattico diminuisce e anche l'emissione cala (regione in viola scuro).
Per saperne di più: •http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html •http://oposite.stsci.edu
Cortesia di NASA, CXC, ESO, VLT, P. Rosati
Emissione radio in ammassi di galassie Una caratteristica importante degli ammassi di galassie è la loro emissione radio, che può provenire sia da singole galassie, che dalla regione di spazio nella quale si trova anche il gas intergalattico (vedi pannello Ammassi di Galassie). Il meccanismo che produce questa emissione radio è chiamato sincrotrone (vedi pannello I Meccanismi di emissione), e richiede la presenza di elettroni che si muovono all'interno di un campo magnetico a velocità prossime alla velocità della luce (300.000 km/s). Cortesia di NRAO
Getto Getti
Coda Getti
Lobi Getti ripiegati
Lobi
Il fenomeno radiogalassia è generato dalla presenza di un buco nero massiccio, situato nel centro della galassia ottica (vedi pannelli I Buchi Neri e Le radiogalassie), Alle frequenze radio, una delle conseguenze principali del buco nero centrale è la presenza di getti radio, che possiamo visualizzare come dei canali simmetrici rispetto alla galassia, che trasportano plasma relativistico fino a distanze che possono essere molto più grandi rispetto all'estensione della galassia stessa. L'aspetto di una radiogalassia dipende dall'ambiente nel quale si trova. Le galassie che si trovano in un ambiente denso, come ad esempio un ammasso di galassie, di solito si muovono al suo interno ad alta velocità (da qualche centinaio a oltre un migliaio di km/s); e questo moto causa delle deformazioni rispetto alla struttura radio simmetrica. Le tre figure in alto raffigurano tre radiogalassie, il cui aspetto dipende dall'ambiente esterno. In tutti i pannelli le galassie ottiche sono raffigurate in blu e l’emissione radio è rappresentata in rosso. La figura a sinistra riporta una radiogalassia classica, con getti simmetrici che a grande distanza confluiscono in emissione diffusa formando strutture chiamate lobi. La figura al centro rappresenta una radiogalassia che si muove a bassa velocità rispetto all'ambiente in cui si trova. Si nota che la radiogalassia ha perso la propria struttura simmetrica: i getti sono piegati ed i lobi sembrano avvolgersi su se stessi. Il caso più estremo di questa sequenza è raffigurato nella figura a destra. Questa galassia si muove ad elevata velocità rispetto all'ambiente circostante, e la radioemissione è completamente ripiegata indietro, formando una lunga scia, che i radioastronomi chiamano coda. La direzione delle code ci dice qual'è la direzione del moto delle galassie, e questo è importantissimo per ricorstruire l'evoluzione dinamica degli ammassi. Cortesia di L. Feretti
Cortesia di California Institute of Technology, STScI
Le osservazioni in banda radio e quelle in banda ottica forniscono due visioni complementari degli ammassi di galassie. Le due immagini a fianco raffigurano la stessa regione di cielo per un noto ammasso di galassie (Perseo) in banda ottica (a sinistra) e in banda radio (a destra). Il centro dell'ammasso è occupato dalla galassia ellittica NGC1275, che è una radiosorgente circondata da emissione radio molto estesa. Le due galassie NGC1265 ed IC310 si muovono ad alta velocità verso il centro dell'ammasso, come suggerito dalla direzione delle loro code di radioemissione.
Cortesia di F. Govoni
Dalla metà degli anni '90, osservazioni radio effettuate con i più moderni radio interferometri hanno rivelato che gli ammassi di galassie sono permeati da emissione radio diffusa non associabile a singole radiogalassie. Queste sorgenti estese sono chiamate aloni radio e testimoniano l’esistenza di campi magnetici ed elettroni relativistici, distribuiti su scale molto grandi, confrontabili con le dimensioni dell’ammasso. L'esistenza degli aloni radio è spiegabile attraverso il meccanismo di formazione degli ammassi stessi, chiamato cluster merger. L'enorme quantità di energia gravitazionale liberata durante la formazione degli ammassi di galassie è in grado di amplificare l'intensità dei campi magnetici esistenti nello spazio intergalattico e di accelerare popolazioni di elettroni alle elevatissime velocità richieste per poter dare luogo all’emissione di sincrotrone. Nella figura a sinistra è mostrata l'immagine ottica in falsi colori dell'ammasso di galassie Abell 1914, a cui sono sovrapposti i contorni di emissione radio (in nero).
Per saperne di più: •http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html(immagini in banda X) •http://oposite.stsci.edu/pubinfo/pictures.html (immagini Telescopio Spaziale Hubble) • http://www.nrao.edu/imagegallery/php/level1.php
La materia oscura nell'Universo In astronomia è possibile rivelare un corpo celeste attraverso l'osservazione diretta, oppure misurando gli effetti che la sua presenza esercita su di un altro corpo. Si è così scoperta la cosiddetta materia oscura, cioè materia invisibile che può essere rivelata solo grazie agli effetti gravitazionali che essa esercita sugli altri corpi celesti. Di fatto la maggior parte (almeno l'85%) della materia contenuta nel nostro Universo è materia oscura. Essendo così abbondante, essa è anche la principale sorgente di forza gravitazionale del nostro Universo e pertanto ha giocato e gioca un ruolo importante nella sua formazione ed evoluzione.
Gli ammassi di galassie sono uno dei principali indicatori di materia oscura. Dal 1930, infatti, sappiamo che le velocità delle galassie in ammasso sono molto elevate, e che per non lasciare l’ammasso e disperdersi nello spazio, devono essere trattenute da una forza gravitazionale maggiore di quella deducibile dalla massa visibile nell’ammasso. Un’evidenza più recente di materia oscura deriva dalle osservazioni con il telescopio spaziale Hubble. Esse hanno portato alla scoperta dei cosiddetti archi gravitazionali, fenomeno previsto dalla relatività generale di Einstein. Un esempio spettacolare è riportato nella figura a sinistra. L’ammasso Abell 2218 agisce come una potente lente gravitazionale, che amplifica e distorce l’immagine di galassie poste molto più lontano, le quali assumono una forma ad arco attorno alle galassie più massicce dell’ammasso. La quantità di massa Abell 2218 necessaria per produrre questo effetto di lente è molto maggiore della massa visibile sotto forma di galassie e gas. L'importanza di questo fenomeno è duplice. Oltre a rivelarci la presenza di massa oscura, permette anche di studiare galassie deboli e lontane che, senza questo effetto di amplificazione, non sarebbero visibili con la strumentazione attuale. Cortesia di NASA (A. Fruchter), STScI (S. Baggett, Z. Levay)
Cortesia di MACHO Collaboration
Un'altra prova importante della presenza di massa oscura deriva dall’analisi della rotazione delle galassie a spirale. Questo studio, iniziato attorno al 1970, si basa sul fatto noto che queste galassie ruotano attorno al loro centro di massa, così come i pianeti ruotano attorno al Sole, seguendo le leggi di Keplero: le diverse regioni delle singole galassie ruotano con velocità che dipendono dalla loro distanza dal centro galattico (rotazione differenziale, vedi pannello Le galassie a spirale) e dalla massa contenuta all’interno dell’orbita che percorrono.Con grande sorpresa si è scoperto che le velocità di rotazione misurate nelle zone più esterne delle galassie sono molto maggiori di quanto ci si aspetta sommando la massa delle stelle e del gas. Un esempio è riportato nella figura a destra in alto, che mostra la velocità di rotazione misurata a diverse distanze dal centro (punti) e quella prevista (linea denominata disk) per la galassia a spirale NGC 3198. Per spiegare le alte velocità nelle regioni più esterne si ipotizza l'esistenza di un alone di R materia oscura, il cui contributo segue la linea denominata halo. La materia oscura rappresenta un vero e proprio problema per gli astronomi. Non potendo T osservarla direttamente, non si sa da che cosa sia formata e si stanno formulando alcune ipotesi. Al momento si sono individuate due grandi famiglie di possibili costituenti: materia oscura di tipo barionico e materia oscura non barionica. A sua volta la materia oscura non R barionica può essere divisa in due famiglie: materia oscura fredda (Cold Dark Matter) e T materia oscura calda (Hot Dark Matter). La materia oscura barionica sarebbe materia ordinaria come la conosciamo, ma raccolta sotto forma di oggetti compatti molto massicci la cui osservazione diretta è al momento impossibile o molto difficile. Esempi di questa R famiglia sono stelle molto piccole, e oggetti compatti collassati quali le nane bianche, le T stelle di neutroni e i buchi neri (vedi pannello Come muore una stella). Purtroppo però non c'è prova che questi oggetti siano così abbondanti nell'universo da fornire tutta la massa Cortesia di N. Wright necessaria. La materia oscura non barionica calda sarebbe costituita da particelle massive che viaggiano a velocità prossime a quella della luce (ad esempio neutrini). Il problema principale che presenta tale ipotesi è che tale materia sembra aver bisogno di troppo tempo per aggregarsi a formare le galassie. La materia oscura non barionica fredda rappresenta allo stato attuale l'ipotesi più accreditata. Tale materia potrebbe essere costituita da particelle sub-atomiche massive che viaggiano ad una velocità molto minore di quella della luce (ad esempio il fotino o il neutralino). Però nessuna di queste particelle è mai stata osservata fino ad oggi. La presenza di materia oscura nell'Universo influenza profondamente sia la geometria che l'evoluzione dell'Universo stesso. Nella figura a destra in basso sono riportate l'evoluzione del raggio dell'Universo (R) in funzione del tempo (T) e una rappresentazione grafica della geometria dell'Universo nel caso chiuso, piatto ed aperto (dal basso verso l'alto, rispettivamente). Il nostro Universo continuerà ad espandersi indefinitamente (caso aperto e piatto) o ricollasserà su se stesso dopo un certo tempo (caso chiuso) a seconda della quantità di materia oscura presente nell'Universo stesso.
Per saperne di più: •http://chandra.harvard.edu/resources/illustrations.html(immagini in banda X) •http://oposite.stsci.edu/pubinfo/pictures.html (immagini Telescopio Spaziale Hubble) • http://www.nrao.edu/imagegallery/php/level1.php •Pannello La genesi dell’Universo