STRESS E SCLEROSI MULTIPLA dr.ssa Concetta Feo Introduzione La Sclerosi Multipla (SM) è una patologia neurologica cronica e invalidante, che condiziona inevitabilmente la vita ed il vissuto delle persone che ne sono affette. È una condizione che attraversa l'individuo in ogni suo aspetto: neurologico, psicologico, cognitivo-comportamentale, sociale, affettivo. Dal punto di vista neurologico la malattia colpisce il giovane adulto con un picco di prima diagnosi dai 20 ai 30 anni; sebbene la progressione della malattia è molto variabile, approssimativamente l'80% dei pazienti inizia con forma RR (Relapsing-Remitting) il cui corso è caratterizzato da periodiche esacerbazioni senza progressione tra esse (Noseworthy et al, 2000). A distanza di una decade, circa il 40% dei pazienti con forma RR si converte in forma SP (Secondaria Progressiva) caratterizzata dall'esordio di una progressione tra le esacerbazioni ed una diminuzione nella frequenza delle ricadute stesse. Circa il 10-15% dei pazienti invece ha una forma PP (Primaria Progressiva) caratterizzata da un continuo peggioramento dei sintomi in assenza di ricadute. L’espressione clinica è legata al carico delle lesioni infiammatorie ed alla sede, potendo interessare i nervi ottici, tutto l’encefalo ed il midollo spinale. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, sono stati sull’andamento dell’impairment cognitivo, stimato in un range pattern neuropsicologico è caratterizzato da deficit di concentrazione, velocità di elaborazione delle informazioni, sindrome disesecutiva (Amato, 2004).
condotti numerosi studi dal 40 al 65% dei casi. Il memoria, attenzione e fluenza verbale, e dalla
Dal punto di vista psicologico, sociale ed affettivo, infine, la persona affetta da SM necessita l'elaborazione della perdita di una condizione di sano e l'acquisizione, non voluta, di quella di ammalato. È necessaria un'elaborazione, inoltre, di ciò che è la propria biografia, il proprio presente e il proprio futuro. Una rielaborazione che è personale, individuale, poiché la stessa malattia può avere un impatto diverso sui diversi pazienti, in base a ciò che sono le caratteristiche personologiche, affettive, le risorse e di conseguenza, il peso soggettivo che essa riveste su ognuno di essi. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto dell’individuo e della sua modalità di risposta agli eventi, è importante sottolineare come dal momento della comparsa dei sintomi al momento della diagnosi di SM e, infine, il graduale adattamento alla patologia sono momenti emotivamente, psicologicamente e fisicamente molto intensi che ciascun soggetto affronta in modo personale ed individuale, mettendo in atto individuali stili di coping. E’ indubbio che sono momenti in cui la persona si ritrova in una condizione di stress molto intensa che può influire sul vissuto e sull’andamento della patologia.
Lo stress
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Una prima definizione di stress viene fornita da Hans Selye (1956) come una risposta aspecifica dell’organismo a qualsiasi richiesta ed è quindi, considerato come una reazione normale, adattiva e finalizzata a migliorare le capacità di sopravvivenza dell’individuo di fronte a vari agenti esterni (stressors). Tale reazione, tuttavia, può diventare patogena qualora si protrae con eccessiva intensità per lunghi periodi di tempo, dando luogo, inoltre, ad uno stato psicologico negativo, composto da elementi cognitivi ed emozionali, che riflette il suddetto processo di interazione tra il soggetto e gli stressors. Questi ultimi sono definiti come elementi presenti nell’ambiente o nella mente che vengono percepiti come pericolosi, importanti o comunque potenzialmente in grado di modificare la vita, siano essi acuti o cronici.
Patogenesi della SM La patogenesi di questa patologia è di origine multifattoriale, come suggeriscono i dati clinici, genetici, di neuroimaging;e la patologica eterogeneità include anche una genetica suscettibilità alla malattia, con implicazione di fattori autoimmuni e ambientali ed un processo neurodegenerativo (Noseworthy et al, 2000). La Sm viene, ad ogni modo, comunemente definita una malattia autoimmune. Il sistema immunitario. Il sistema immunitario è formato da un insieme di popolazioni cellulari anatomicamente e/o funzionalmente interdipendenti che hanno il compito di assicurare il riconoscimento dell'antigene e la sua inattivazione. L'antigene viene riconosciuto dalle cellule dotate dello specifico recettore, dette cellule dell'immunità specifica, distinti in linfociti B e linfociti T. Attraverso le cellule accessorie, questi linfociti sono in grado di riconoscere l'antigene purché esso venga presentato nella forma e nella maniera adeguata. La neutralizzazione dell'antigene viene amplificata attraverso il reclutamento di una serie di cellule non direttamente implicate nel riconoscimento o nella presentazione dell'antigene, ma indirettamente coinvolte a partecipare alla fase effettrice della risposta immunitaria. I linfociti T o B, devono essere capaci di riconoscere l'antigene e di interagire con il microambiente in cui sono chiamati a svolgere il loro compito. Queste proprietà sono assicurate da opportuni recettori di membrana acquisiti in modo ordinato e progressivo durante la maturazione intra-midollare o intratimica. I linfociti T si dividono, a loro volta, in due gruppi: il primo composto dai linfociti citotossici che riconoscono e uccidono le cellule infettate da un microrganismo.Il secondo, invece, formato da cellule helper a loro volta divisi in Th-1, che aiutano i macrofagi e i linfociti citotossici secernendo interleuchine e Th-2, che aiutano i linfociti T secernendo altri tipi di interleuchine e proteine messaggero. In generale, i linfociti Th-1 favoriscono l'attivazione dell'immunità cellulare, mentre i linfociti Th-2 favoriscono quella dell'immunità umorale. Nella SM il processo di infiammazione e demielinizzazione colpisce la mielina, cioè la guaina lipoproteica che avvolge gli assoni dei neuroni e che permette la trasmissione rapida e integra degli impulsi nervosi da e verso il cervello. Questa risposta viene attivata attraverso un mimetismo molecolare nel quale i linfociti T, che normalmente svolgono un ruolo di difesa contro attacchi esterni (di virus, batteri, allergeni) si attivano e aggrediscono la mielina, non riconoscendola come se (self). Gli antigeni presenti nei neuroni inoltre stimolano le cellule-T introducendo proteine della mielina che vengono scambiate dalle cellule Th-1 come antigeni esterni presentati
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inizialmente. Questo risulterebbe in un'attivazione di una risposta autoimmune in cui le citochine proinfiammatorie attivano una cascata di eventi che esitano in una proliferazione di cellule Th-1 e ad danno finale mielinico e oligodentrocitico immunomediata (O'Connor et al., 2001). Alcune remielinizzazioni possono verificarsi su risposta locale da parte delle cellule progenitrici degli oligodentrociti, sebbene gli assoni esposti possono venire ulteriormente danneggiati da successive e diverse infiammazioni (Bjartman et al., 2003). Da studi condotti da Sospedra et al. (2005) emerge tuttavia che questa autoreattività da sola non e’ sufficiente ad innescare la malattia, ed il fallimento nello stabilire una tolleranza potrebbe invece giocare un ruolo critico nella SM. Funzionamento dell'asse HPA Dalla revisione della letteratura relativa all’impatto dello stress sul decorso della SM emergono tre principali ipotesi. Le premesse a tali ipotesi sono, però, necessarie. Gli eventi di vita percepiti come stressanti possono sfociare in attivazione dell’asse ipotalamo-putuitario-adreanlinico (HPA hypotalamus-pituitary-adrenalinc); in partricolare pare che ad elicitare la risposta del HPA sarebbe la minaccia incontrollabile alla propria valutazione sociale (Dickerson et al., 2004). Questi stressors esitano in una produzione da parte dell'ipotalamo di ormone di rilascio di corticotropina (CHR) e argininavasopressina (AVP). La CRH stimola la ghiandola pituitaria a produrre ormone adrenocorticotropico (ACTH) che viene a sua volta ingaggiato da parte dell'AVP. L'ACTH stimola la corteccia adrenalinica a produrre a sua volta cortisolo il quale ha un effetto finale sull'asse HPA esercitando un effetto inibitorio sulla produzione da parte dell'ipotalamo di produzione di CRH. Inoltre l'asse HPA, che normalmente si autoregola anche attraverso l'effetto del cortisolo, in caso di stress cronico, tende a modificare il proprio funzionamento fino ad una dis-regolazione. Questa dis-regolazione esiterebbe in un aumento del livello di produzione di cortisolo dovuto ad un'alterazione del numero e/o funzione dei recettori glucocorticoidi dell'ipotalamo, e in un passaggio da CRH a AVP che è meno sensibile ai feedback glucocorticoidi. In caso di infiammazione, le citochine proinfiammatorie si sono dimostrate in grado di stimolare la secrezione di CRH e AVP da parte dell'ipotalamo (Akira et al. 1990, Bernardini et al., 1990; Tsigos et al., 2002) o partecipare indirettamente attraverso la stimolazione alla produzione di citochine che vanno ad agire sull'asse HPA (Chorousos, 1995) che a sua volta porta ad un aumento del rilascio di cortisone. Poiché I recettori glucocorticoidi sono presenti tanto nei tessuti quanto nelle cellule implicate nella risposta autoimmune, virtualmente tutti i componenti della risposta autoimmune possono essere modulati dal cortisolo. Questo sistema permette all'organismo di regolare I cambiamenti nei livelli di infiammazione aumentando o diminuendo, al bisogno, la fuoriuscita di glucocorticoidi anti-infiammatori. Nei pazienti SM i risultati sono contrastanti poiché alcuni studi mostrano generalmente una significativa maggiore iperattività piuttosto che una ipoattività rispetto al controllo sano (Fassbender et al. 1998; Grasser et al, 1996; Schumann et al.,2002; Then Berg et al, 1999). Altri, invece, suggeriscono una iporesponsività probabilmente dovuta ad un carico lesionale maggiore a carico dell'ipotalamo che attiva in modo cronico il sistema CHR (Huitiga et al. 2004). Una ulteriore spiegazione viene fornita dal modello temporale, secondo il quale l'esordio di uno stressor, in particolare quello improvviso e intenso, è spesso accompagnato da
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un'attivazione simpatica, dall'aumento dell'epinefrina e noradrenalina e dall'attivazione dell'asse HPA. Quando lo stress diventa cronico l'asse HPA si disregola spesso portando ad aumenti/diminuzioni di livelli di cortisolo (Sapolsky et al.2002). La risoluzione dello stress o l'adattamento ad esso porta ad una ri-regolazione dell'asse HPA che ritorna alla produzione di cortisolo precedentemente presente. Ipotesi della risoluzione dello stress. Secondo questa ipotesi sembra essere la risoluzione dello stress piuttosto che il suo esordio ciò che facilita lo sviluppo di infiammazioni attive durante il periodo prodromico (Antoni et al. 2000) che li lascerebbe in balia di un aumentato rischio di esacerbazione. Ipotesi della resistenza glucocorticoide. Secondo questa ipotesi, lo stress cronico riduce il numero e/o la funzione dei recettori glucocorticoidi sulle cellule immunitarie rendendole meno responsive al controllo regolatorio da parte del cortisolo. Le cellule immunitarie sembrerebbero meno responsive nei pazienti SM all'effetto regolatorio dei glucocorticoidi rispetto alle cellule immunitarie dei soggetti sani. Inoltre questa resistenza dei glucocorticoidi sembra essere primaria nei pazienti RR in fase iniziale caratterizzata da più fasi infiammatorie, in contrapposizione ai pazienti SP, che sono passati ad una fase più progressiva e degenerativa. La resistenza glucocorticoide secondo Mohor et al. (2006) sarebbe dovuta a due cause eziologiche. Innanzitutto i pazienti che hanno esperito stress cronico hanno anche più predisposti ad esperire aumentati livelli di cortisolo (McEwen, 1998); inoltre, bassi gradi di infiammazione che si evidenziano nel pazienti SM potrebbero essere responsabili della lieve ipercortisolemia osservata in questi pazienti stessi, contribuendo di conseguenza alla resistenza glucocorticoide. Il doppio effetto degli eventi stressanti di vita e dell'infiammazione sul sistema immunitario può esitare in una dow-regulation dei recettori glucocorticoidi e della loro funzione, riducendo l'impatto della regolazione dell'HPA dell'infiammazione. In condizione di down-regulation dei recettori glucocorticoidi e in presenza di un leggero aumento dell'infiammazione autoreattiva, le cellule immunitarie sarebbero meno responsive all'effetto regolatorio del cortisolo. La cascata autoimmune autoreattiva sarebbe capace di continuare in modo incontrollato fino ad una completa esacerbazione. Inoltre, lo stress cronico, mentre non causerebbe esacerbazione, potrebbe lasciare il paziente meno in grado di mantenere l'autotolleranza fino a quando il processo autoreattivo immune della SM non è iniziato. Il paradosso quindi nella SM è che lo stress è generalmente correlato ad un aumento nella produzione di cortisolo, principale metodo endogeno di controllo dell'infiammazione. Di conseguenza ci si dovrebbe aspettare un ridotto rischio infiammatorio e ricadute. Invece la maggior parte delle ricerche sui pazienti SM (eccetto quella condotta da Nisipenau durante la guerra del Golfo) hanno mostrato che questo meccanismo nella SM è opposto e l'ipotesi della resistenza glucocorticoide può essere quella che meglio spiega tale fenomeno: nel corso del tempo, l'aumento della circolazione di cortisolo secondaria ad una cronicizzazione dello stress potrebbe ridurre il numero e/o la funzione dei recettori glucocorticoidi presenti nelle cellule immunitarie, rendendole meno responsive al controllo regolatorio del cortisolo. Le cellule immunitarie dei pazienti SM si sono infatti mostrate meno sensibili all'effetto regolatorio dei glucocorticoidi rispetto a quelle dei soggetti sani, specie durante gli stadi più acuti di infiammazione. L'ipotesi delle cellule mastocitarie. Stress indotto in condizioni di laboratorio (come il Trier Social Stress Test – TSST) ha mostrato significativi incrementi di citochine
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proinfiammatorie in alcuni studi (Ackerman et al. 1996,1998). Le cellule mastocitarie sono cellule multifunzionali del sistema immunitario innato, distribuite in vasta scala all'interno del tessuto umano, compreso l'endotelio vascolare, e vengono considerate un ingresso al sistema autoimmune cerebrale (Theoharides, 2002) fungendo da apriporta agli stressors ambientali e facilitando, di conseguenza, la permeabilità durante una ricaduta nella SM. Esse sono inoltre attivate dallo stress. Il mediatore principale dello stress collegato alle cellule mastocitarie è il CRH, il cui aumento a livello ipotalamico, in seguito allo stress può indurre una deregulation delle cellule mastocitarie, e portare ad un aumento della permeabilità della BEE (Esposito et al. 2001; Singh et al., 1999; Theodarides et al., 1998). Questo suggerirebbe che l’esordio dello stress potrebbe avere un effetto permissivo per le esacerbazioni della SM facilitando, così, il collasso della BEE. Fattori psicosociali Numerosi articoli suggeriscono che la componente psicosociale responsabile per l’infiammazione sarebbe l’arousal emotivo o distress. Da studi condotti da Mohr et al. (2001) emerge che la riduzione nella produzione di INF-γ è stata vista non solo per antigeni non specifici ma anche per la glicoproteina di mielina oligodendrocita e suggerendo che il trattamento per la depressione può avere un effetto su fattori altamente specifici nella patogenesi delle infiammazioni e delle ricadute nella SM. Inoltre per quanto riguarda la cognitività, uno studio condotto da Louks et al. (1989) ha dimostrato che questa gioca sicuramente un ruolo molto importante nella mediazione della produzione di INF-γ nella SM. L’associazione tra stress e ricadute nella SM è sicuramente molto importane sebbene sia difficile poter giungere ad una generalizzazione: infatti alcuni pazienti sembrano capaci di sopportare molto bene stress considerevoli mentre altri sembrano, in certi momenti, più vulnerabili agli effetti degli eventi stressanti della vita quotidiana e in altri più resistenti. I moderatori psicologici quindi svolgono un ruolo molto importante e tra questi alcuni hanno ricevuto più attenzione rispetto ad altri, come il coping. La capacità, inoltre, dei pazienti di far fronte allo stress sembra influire sulla relazione tra gli stressors e tra l’esacerbazione e infiammazione. I pazienti con ricadute tendono a mostrare un coping centrato sulle emozioni e minor supporto sociale, confrontati con pazienti che non hanno ricadute (Warren et al. 1991) La RMN ha mostrato che il pensiero ruminativo può essere predittivo di un aumento degli effetti degli stressors sullo sviluppo di nuove lesioni, suggerendo che il coping può essere un importante moderatore della relazione tra eventi di vita stressante e infiammazioni SM. Anche il supporto sociale sembra essere un elemento cruciale (Warren et al. 1991) poiché alcuni stressors, come la famiglia e il lavoro, possono essere considerate dei markers di erosione nella rete sociale del paziente. In uno studio condotto da Mohr e Genian (2004) l’effetto della depressione sulla produzione di INF-γ da parte delle cellule –T è significativamente moderato dal supporto sociale. In particolare, la relazione tra depressione e produzione di INF-γ era particolarmente forte tra i pazienti con bassi livelli di supporto sociale, ma virtualmente inesistente tra pazienti con alto supporto sociale. Coping e SM La SM produce intensive sfide sia sul piano fisico che psicologico: i pazienti, infatti, vivono esperienze frustranti a causa della malattia, dei trattamenti e dei rispettivi effetti
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collaterali, della disabilità e della imprevedibilità dei sintomi. Inotre, dal punto di vista sociale si trovano difronte a costanti sfide ri-aggiustamenti degli obiettivi di vita, lavoro, relazioni sociali, attività ricreative e quotidiane. L'adattamento ad uma condizione di malattia cronica prevede, quindi, la necessitàdi integrare la perdita di continuità nella propria storia di vita (Steck et al., 2000). Dennison et al. (2009) definiscono fattori psicologici quegli elementi potenzialmente modificabili relativi alle attitudini individuali, pensieri, sentimenti e comportamenti che sarebbero rilevanti e possibili guide da seguire nei trattametni dei pazienticon SM. Definiscono, inoltre, adattamenti (adjustment outcomes) diversi fattori come il benessere psicologico e emotivo, quality of life (QoL) o il soggettivo impatto della malattia nei domini di vita (inteso come sofferenza psicologica). Lazarus e Folkman (1984) hanno descritto il modello di stress e coping (1984), condiviso globalmente, secondo il quale gli adattamenti che l’individuo è costretto a praticare a fronte di difficoltà sono influenzati dalla valutazione inviduale e degli stressors e le strategie di coping usate per far fronte a questi impegni. Sebbene gli stili di coping possano differire in base all'approccio teorico di riferimento, sono state individuate tre principali modalità (McCabe, 2006): 1) emotion-focused coping, attraverso il quale l'individuo tende a ridurre il livello di stess emotivo; 2) problem-focused coping: attraverso il quale l'individuo tende a ridurre i fattori correlati allo stress; 3) evitamento: la tendenza eil tentativo di evitare il confronto com la fonte di stress . Una revisione della recente letteratura evidenzia in particolare che questa ultima modalità è spesso associata ad alti livelli di stess e ad una maggiore incidenza di sintomatologia depressiva nei pazienti SM (Vickie et al., 1999; Aikens et al., 1997). Una condizione percepita come altamente stressante è correlata con, ed è predittiva di, un peggiore adattamento, oltre ad essere significativamente associata alla severità della malattia. La valutazione cognitiva della malattia ha anche un ruolo molto importante come fattore di adattamento, infatti la valutazione della malattia come minaccia è associata ad un peggiore esito nei vari domini di adattamento, in particolare quando essa è percepita come fattore imprevedibile e incerto. Altre strategie e altre fonti esterne e interne all'individuo sembrano giocare un ruolo fondamentale sull'andamento psico-fisico dei pazienti SM. La rivalutazione positiva e la ricerca del supporto sociale sembrano correlati ad un migliore adattamento. Infatti, avere un supporto sociale soddisfacente e interazioni positive com persone significative è associato ad un miglior adattamento, laddove le sovrasollecitazioni o risposte critiche non risultano avere significativa utilità. Una tendenza ottimistica verso il futuro sembra essere correlata ad un miglior stato psicologico in seguito all'uso di strategie di coping sempre adattive difronte ad una avversità. Di conseguenza una disposizione ottimistica è associata ad una migliore salute mentale e la speranza sembra essere legata ad un minor rischio di depressione; la ricerca di benefici sembra correlata al raggiungimento di adattamenti positivi (soddisfazione di vita) piuttosto che alla probabilità di un esito negativo comeil distress. Ulteriori aspetti importanti che sottendono una tendenza ad un adattamento positivo sono uno stile di vita salutare e la spiritualità; Condizione molto importante sembra essere, specie all'esordio della patologia, una buona educazione alla malattia: essa, infatti, aiuta il paziente ad avere più familiarità com la SM e a fronteggiare le difficoltà con strumenti più idonei, riducendo così al minimo le sensazioni imbarazzanti e di discontrollo relativi ai sintomi e alla loro 6
imprevedibità, oltre ache ad una migliore sensazione di autoefficiacia nella gestione della malattia. Inoltre, un interessante aspetto emerge da uno studio di Steck et al. (2000) sulle differenze di genere relative ad un deficit fisico irreversibile. In particolare essi affermano che le modalità di coping dei maschi (siano essi pazienti o caregivers) non è influenzato né dal grado di disabilità né da uno stato depressivo associato; le femmine, invece, sembrano essere maggiormente influenzate dal grado di disabilità (negativamente, se sono pazienti, positivamente se sono caregivers), e il loro stile di coping è negativamente influenzato da un associato stato depressivo (siano esse pazienti o caregivers). La percezione del controllo riflette le credenze di un individuo sul grado di controllo raggiungibile da sé stesso o altri in differenti situazioni. Il concetto di locus of control si riferisce invece all'attribuzione della resposabilità di un evento a se stessi o ad altri; si parla quindi rispettivamente di LoC interno o esterno. Le persone con un LOC interno riportano una maggior conoscenza della loro malattia, hanno una maggiore cura di sé, ed hanno un decorso più favorevole (es. minori recidive) rispetto alle persone con un LOC esterno (Wassem R, 1991). Le persone con un alto senso di controllo personale sulla loro vita sembra avere un adattamento migliore sulla SM ma l'attribuzione interna o esterna del controllo sulla salute sembra essere meno importante. A contribuire sul senso di autoefficacia generalizzata, invece, sembrano essere più costrutti specifici ad avere una relazione molto forte con gli esiti di adattamento. A fronte di quanto emerso dalla mia revisione della letteratura, ritengo fondamentale continuare ad esplorare la sclerosi multipla entrando ancora più in contatto con il vissuto dei pazienti, con la loro percezione dello stress e con gli effetti psicofisiologici che emergono dalla loro interazione con l'ambiente esterno ed interno.
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