Pergolesi Stabat Mater

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Giovanni Battista Pergolesi - Stabat Mater Giovanni Battista Pergolesi (Jesi 1710 – Pozzuoli 1726) compone lo Stabat mater nel 1736, l’anno della morte. Il testo, attribuito a Jacopone da Todi, risalente al XIII secolo, è una SEQUENZA (vedi Dispensa, cap. II, pp. 28-32). Come detto in quelle pagine, il Concilio di Trento aveva abolito la prassi delle sequenze, che nel corso dei secoli si erano troppo allontanate dal gregoriano originale. Il concilio tridentino quindi vietando l’uso indiscriminato di sequenze, aveva stabilità che solo quattro di esse potessero essere utilizzate nel culto (vedi Dispensa p. 30). Fu papa Benedetto XIV nel 1727 a riammettere la sequenza di Jacopone, lo Stabat mater appunto, prescrivendone l’uso per il Venerdì Santo. La Chiesa dei Sette dolori della Vergine, a Napoli, in quell’anno ne commissionò la composizione ad Alessandro Scarlatti. Solo nove anni dopo, la stessa chiesa decise di rimpiazzare la composizione scarlattina, per cui si rivolse a Pergolesi; il giovane compositore, appena ventiseienne, era evidente già tanto autorevole da essere considerato alla stesso livello di una gloria storica come Scarlatti. Pergolesi è un drammaturgo musicale, un grande compositore d’opera; e questa caratteristica risalta in alcuni punti di questa composizione sacra. Non stupisca questa commistione fra sacro e profano, fra liturgia e opera teatrale: Pergolesi non fa che avviare una sostanziale contiguità e osmosi fra questi due campi musicali, che diverrà sempre più profonda nei compositori italiani a lui successivi. Nell’Ottocento, Gioachino Rossini verrà accusato di aver portato melodie apertamente operistiche proprio nel suo Stabat Mater; e Verdi subisce ancor oggi critiche analoghe per i suoi grandi capolavori di musica sacra, il Requiem e il Te Deum. Ciò che Pergolesi realizza in questo capolavoro, è la confluenza di una tradizione secolare di retorica musicale e una tradizione nascente di teatro serio. Per retorica musicale si intende la selezione di alcuni elementi del discorso musicale che acquisiscono, grazie alla loro ricorrenza, una riconoscibilità percettiva, una valenza quasi ‘semantica’, un ‘significato’, insomma, per la loro capacità di sonorizzare alcuni concetti. Qui i concetti più evidenti sono sintetizzati nei vocaboli ricorrenti “dolorosa” e “lacrymosa” (con i collegati “flere” “lugeam” “lacrymae” e analoghi): Pergolesi li identifica in un motivo di sole 4 note, che torna quasi in tutte le 12 sezione della composizione, sia in forma diretta sia in forma capovolta:

N° 1,

N° 7 Lo stesso concetto del dolore, collegato all’immagine delle lacrime e del pianto, viene anche realizzato da Pergolesi con la cosiddetta cadenza d’inganno, che troveremo anche nei brani d’opera dello stesso Pergolesi, su testo di Metastasio, che sono analizzati nella Dispensa al cap. 13

Cadenza d’inganno N° 12 Infine l’altra componente fondamentale di questo testo, la morte (di Cristo sulla croce) viene spesso resa evidente dalla musica di Pergolesi attraverso un procedimento ch’egli eredita dalla composizione d’opera del secolo precedente, da Monteverdi a Cavalli: si tratta del cosiddetto ‘basso di lamento’, una linea del basso strumentale che scende cromaticamente (ossia nota per nota, toccando tutti i semitoni), mentre la voce al di sopra tiene fisse poche note melodiche. L’esempio maggiore è al n° 6, quando la madre vede il figlio sulla croce “esalare lo spirito”:

N° 6 La retorica musicale così intesa, potremmo dire la “semantica” musicale, inizia la sua storia con il trattato di Jakob Burmeister Musica poetica del 1606. La seconda componente che Pergolesi utilizza nello Stabat è la capacità di creare parole pregnanti, di forte risalto, dal significato tanto evidente che illumini tutta una situazione; o ancora la capacità di far confluire in un punto, quasi un colpo di scena, l’attenzione dell’ascoltatore. Per realizzare ciò il compositore sfrutta la dinamica (contrasto piano-forte), la tonalità (vedremo il rilievo della cadenza d’inganno), o ancora le improvvise sospensioni su pause che acquisiscono ancor più significato che i suoni. Questa capacità di convogliare l’attenzione su punti di forte suggestione è una caratteristica della sua sensibilità teatrale, che lo fece elevare a rango di modello nella composizione di opere serie e comiche. Sia gli elementi di retorica musicale, sia l’aspetto teatrale della sua composizione hanno costituito un modello per tutto il successivo 700 musicale; anche il Mozart italiano, in particolare nella trilogia di opere su libretti di Lorenzo Da Ponte (Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte), mostra di conoscere questa composizione di Pergolesi e di guardare ad essa come a un modello ancora vivo e valido dopo più di cinquant’anni. Prima di passare alla descrizione di alcune delle 12 sezioni esaminiamo il testo di Jacopone. Si ricorderà che la Sequenza è sempre costituita da un testo a strofe simmetriche, raggruppate due a due, che venivano cantate a strofe alterne dalle due metà della cantoria (vedere Dispensa, cap. II). Questo testo non fa eccezione; per cui risulta diviso in strofe ognuna comprendente di tre gruppi quasi simmetrici.

Sez. 1

Stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat filius.

Alla croce del Signore tutta immersa nel dolore, sta la madre in lacrime.

Sez. 2

Cuius animam gementem contristatam et dolentem pertransivit gladius.

Una spada acuminata, già da tempo profetata, le trafigge l'anima.

O quam tristis et afflicta fuit illa benedicta Mater unigeniti!

Oh! l'angoscia e la distretta della donna benedetta madre dell'Altissimo.

Sez. 4

Quae maerebat et dolebat, pia Mater, dum videbat nati poenas incliti!

Quante lacrime e lamenti nell'assistere ai tormenti del suo divin Figlio!

Sez. 5

Quis est homo, qui non fleret, Matrem Christi si videret in tanto supplicio?

Chi potrà frenare il pianto nel vedere in tale schianto la beata Vergine?

Quis non posset contristari Christi Matrem contemplari dolentem cum filio?

Chi la madre addolorata con il Figlio suo associata guarderà impassibile?

Pro peccatis suae gentis vidit Iesum in tormentis et flagellis subditum;

Vede il Figlio tanto amato per le colpe flagellato del suo stesso popolo.

Vidit suum dulcem natum moriendo desolatum, dum emisit spiritum.

Vede il dolce Figlio in croce mentre soffre pena atroce esalar lo spirito.

Eia Mater, fons amoris, me sentire vim doloris fac, ut tecum lugeam!

Salve, fonte dell'amore fa ch'io provi il tuo dolore, fammi con te piangere.

Fac, ut ardeat cor meum in amando Christum deum, ut sibi complaceam!

Il mio cuore sia fervente verso Cristo sofferente, Salvatore amabile.

Sancta Mater, istud agas, crucifixi fige plagas cordi meo valide!

Siano impresse nel mio cuore le ferite del Signore sul duro patibolo.

Tui nati vulnerati tam dignati pro me pati poenas mecum divide!

Delle pene che ha provato il tuo Figlio sì piagato fa ch'io sia partecipe.

Fac me vere tecum flere, crucifixo condolere, donec ego vixero!

Possa anch'io con te soffrire e con Cristo compatire fino al giorno ultimo.

Iuxta crucem tecum stare te libenter sociare in planctu desidero.

Alla croce stare accanto ed unirmi a te nel pianto, madre mia, desidero.

Sez. 3

Sez. 6

Sez. 7

Sez. 8

Sez. 9

Sez. 10

Sez. 11

Sez. 12

Virgo virginum praeclara, mihi iam non sis amara: fac me tecum plangere.

Salve, Vergine preclara; tua bontà non sia avara voglio con te piangere;

Fac, ut portem Christi mortem, passionis fac consortem Et plagas recolere!

Del Signor portar la morte, aver parte alla sua sorte, le sue piaghe accogliere;

Fac me plagis vulnerari, cruce fac inebriari ob amorem filii!

Delle piaghe esser segnato, della croce inebriato, del sangue purissimo.

Inflammatus et accensus per te, Virgo, sim defensus in die iudicii!

E nel giorno del giudizio ch'io non cada a precipizio nell'eterno carcere.

Fac me cruce custodiri morte Christi praemuniri, confoveri gratia!

Quando un dì dovrò morire possa, Cristo, a te venire, per tua madre amabile.

Quando corpus morietur, fac, ut animae donetur Paradisi gloria!

E, se il corpo avrà la morte, giunga l'anima alle porte dell'eterna patria.

Amen

Amen

Il ritmo del testo è regolarmente trocaico,1 senza alcuna eccezione. Un trocheo, ossia due sillabe, costituiscono un piede; due piedi costituiscono un metro: –  –  STA-BAT MA-TER

–  –  DO-LO - RO-SA

–  –  IUXTA CRUCEM

–  –  LACRYMOSA

–  –  DUM PENDEBAT

–  – [] [piede catalettico] FI-LI-US

[stabat=un piede – stabat mater =un metro]

In questo modo l’intera strofa è costituita da sei metri, ma l’ultimo di essi risulta mancante di una sillaba, questa caduta dell’ultima sillaba, che in metrica italiana determinerebbe il verso tronco, nella metrica classica si definisce ‘catalettica’. Perciò possiamo definire l’intera strofa un ‘esametro trocaico catalettico’, ossia sei metri (= 12 piedi = 24 sillabe), tutti rigorosamente ordinati con la regolare alternanza sillaba accentanta/sillaba atona – sillaba accentanta/sillaba atona – sillaba accentanta/sillaba atona ecc., dei quali l’ultimo piede è rappresentato sa una sola sillaba accentata. Dei tre segmenti in cui si divide ogni esametro, il terzo ed ultimo contiene una evidente asimmetria ritmica, e molto spesso proprio questa sezione conclusiva della strofa contiene l’immagine più pregante, emotivamente o visivamente pregnante. Pergolesi, sempre molto sensibile ad ogni suggerimento del testo, in molti casi evidenzierà adeguatamente questa forma del testo e queste ricchezza di significati, come vedremo in alcune delle seguenti descrizioni. N° 1 L’introduzione orchestrale definisce immediatamente alcuni dei principale elementi di retorica che attraverseranno tutto lo Stabat mater. Inizialmente le due parti di violini creano due linee ascendenti, che ripetutamente si scontrano su dissonanze di seconda (ossia due note contigue, ad esempio fa-sol simultanee) alternate a consonanze di terza (sol-mi): 1

Nella metrica classica il trocheo (da cui ‘ritmo trocaico’) è costituito da una sillaba lunga e una breve, trasferito nella metrica italiana accentuativa, esso diviene un bisillabo in cui la prima sillaba porta l’accento e la seconda è atona.

intervalli

2a

3a

2a

3a

2a

3a

2a

3a

2a

3a

Abbiamo visto un procedimento analogo nel madrigale di Monteverdi “Ah dolente partita”, e come in questo brano, anche in Pergolesi l’elemento retorico è mirato a raffigurare il dolore di una separazione. Un secolo di retorica, tuttavia, ha reso il passo di Pergolesi assai più drammatico e ricco di connotazione, rispetto alla intuizione monteverdiana. Il secondo elemento di retorica musicale si trova verso la fine dell’i introduzione strumentale, dove i violini disegnano la sopra riportata che abbiamo già detto collegata all’immagine delle lacrime e del dolore. Proprio sotto questa figura Pergolesi impiega ripetutamente la cadenza d’inganno, altro elemento che vedremo ricorrere più volte nel corso dello Stabat. È importante ora comprendere come Pergolesi segue la struttura della strofa testuale. La strofa si divide, come già detto, in due segmenti simmetrici (Stabat mater dolorosa / iuxta crucem lacrymosa), seguti da un segmento catalettico, quindi asimmetrico e particolarmente significativo: nel caso presente, la sezione finale del testo propone l’immagine di Cristo sulla croce- Pergolesi scegli questa evidentissima divisione del testo. Prima sezione (Stabat mater dolorosa): le due voci si intrecciano a canone con la già notata alternanza di seconde dissonanti e terze consonanti; il testo non si comprende, sbriciolato nell’immagine sonora del dolore realizzato dalle dissonanze Seconda sezione (iuxta crucem lacrymosa): le due voci ripetono a turno il testo, che contiene l’immagine della croce e la “parola tematica” lacrimosa, che viene ovviamente intonata con la figura ricorrente già sopra esemplificata Terza sezione, quella catalettica (dum pendebat filius): le due voci cantano insieme, ma ora non in imitazione come nella sezione iniziale bensì in omoritmia e in terze, ossia con piena consonanza e in modo da lasciare perfettamente comprensibile la parola. Si tratta dell’immagine più forte, il figlio morente sulla croce, e il musicista la vuole sottolineare con tutti i mezzi. Si noti a tal riguardo che questa terza sezione è la sola che venga ripetuta due volte. Alla fine di questa prima esposizione del testo, tutto si ripete. Sembrerebbe una semplice ridondanza. Ma attenzione a cosa accade alla fine: terminata la declamazione della terza sezione testuale (dum pendebat filius), ecco tornare per due volte alle voci la figura del pianto doloroso sulla cadenza d’inganno; e ancora lo stesso disegno melodico chiude il brano con una ripetizione duplice agli strumenti. È chiaro che Pergolesi, con queste incessanti ripetizioni, vuole inculcare nella memoria dell’ascoltatore gli elementi base della sua composizione e vuole che subito ne sia inequivocabilmente chiaro il significato retorico, il contenuto: dolore e pianto. Questa chiarezza nell’individuazione di un concetto, una immagine, un momento che ricevono fortissima enfasi e illuminano tutto un brano sono elementi che Pergolesi ha acquisito e portato a perfezione grazie alla sua lunga esperienza di compositore teatrale; sono veri e propri colpi di scena che si imprimono indelebilmente nella memoria dell’ascoltatore. E similmente, ha l’effetto di un colpo di scena mozzafiato anche l’improvvisa pausa, breve ma profondamente commovente, che spezza il discorso proprio alla fine, dopo la ripetizione della figura dolorosa con cui le voci ripetono le parole chiave “dolorosa” e “lacrymosa”: RIVEDERE IL PRIMO ESEMPIO MUSICALE QUI SOPRA Dopo questa pausa le voci riprendono anche la dissonanza di seconda dell’inizio, ancora un ricordo e la definitiva fissazione dell’atmosfera che avvolgerà l’intero Stabat Mater. [Gli studenti che se la sentono, possono svolgere un tentativo di descrizione interpretativa dei numeri 2-3-4. Se si sceglie questa soluzione, si dovrà portare all’esame una breve trattazione scritta in due o tre pagine. Questo lavoro verrà valutato ai fini del voto e sostituirà una domanda orale] N° 5 Duetto (tre strofe) dopo una cesura, lo sguardo si distoglie dalla visione della Passione, sospende la narrazione, e lascia spazio all’io lirico 2 per le sue considerazioni in astratto: Chi non piangerebbe? […] 1° tema Do min. Dapprima a 2 voci indipendenti, il Soprano intona la prima strofa, il Contralto la seconda una quarta sotto. 2

La locuzione ‘io lirico’ è ovviamente presa a prestito dalla poesia; qui si tratta di u testo liturgico e come tale non sarebbe consono l’utilizzo di definizioni tipiche della espressione soggettiva individuale. Tuttavia useremo qui questa locuzione in senso traslato, poiché il testo liturgico diviene a tratti espressione della singolarità di colui che pronuncia il testo e intende esprimere un desiderio personale di condivisione e compassione per i personaggi della scena a cui assiste.

- basso di lamento - linea melodica a struttura scalare ascendente - salti melodici dapprima di settima diminuita discendente, poi di ottava ascendente [grandi salti come strumento espressivo del “tanto” supplizio] 2° tema a 2, ogni voce sulla nuova linea raddoppiata in terze, intona il proprio testo precedente, quindi il significato si annulla completamente per la sovrapposizione - meno importanza alle voci, per rilevare il nuovo disegno dei violini - fissità armonica - salto di sesta che a partire dal n°2 diventa un elemento melodico che caratterizza l’immagine della Vergine - cadenze d’inganno e infine cad. sospesa 3° tema e seconda sezione – Mi bemolle maggiore e a seguire FORTI CONTRASTI DI MODO MAGG / MIN. - Ripresa della narrazione, si torna alla visione della Madonna ai piedi della croce - Declamazione allargata al terzo segmento del testo “Et flagellis subditum”, con improvvisa svolta realizzata da uno scatto verso la tonalità minore e dalla dinamica forte - Cadenze d’inganno - Al termine, ‘coda’ orch. (ma non è solo coda, bensì elemento significativo di retorica) ricorre due volte il motivo melodico del “dolorosa – lacrimosa” già dal n° 1, con la sua relativa candela d’inganno Questa forma, sia pur molto genericamente, EMULA LA STRUTTURA DELLE COPULAE della tradizione gregoriana del genere Sequenza (A-A-B) N° 6 altro intervento esclamativo, fuori scena, fuori narrazione. È il momento della MORTE DI CRISTO, ed è anche perciò l’ultima visione della scena della Passione, dopodiché l’io lirico si sposterà in posizione di unico protagonista che dialoga con la Vergine. Aria del Soprano. Tonalità di FA minore – Triplice ripetizione de testo, la terza (p. 21) più acuta e più ‘realistica’ Introduzione orchestrale con tema ‘diminuito’ che poi verrà ripetuto dalla voce Seconda frase: basso di lamento; vedi esempio precedente. “moriendo desolatum” Terzo segmento testuale: “DUM EMISIT SPIRITUM”, culmine del contenuto semantico della sequenza = anticlimax del senso della melodia che quasi sembra annullarsi: la declamazione di questa frase viene spezzata da contrattempi, come se mancasse la voce, seguita dalla declamazione molto rallentata delle note conclusive alla parola “spiritum” (p. 20) N° 7 Aria C. Inizio del dialogo dell’io lirico con la Vergine Non necessita analisi, ma non si può tralasciare il motivo melodico a p. 23 “Lugeam” (che io pianga) = le quattro note che caratterizzano “dolorosa – lacrimosa” nei nn. 1 e 5 e che chiudono le parti strumentali di introduzione di chiusura (vedi esempio musicale qui sopra). Naturalmente il motivo ricorrente si trova già nella introduzione orchestrale; da esperto uomo di teatro inculcare nella memoria dell’ascoltatore l’elemento dominante della ‘scena’, Pergolesi chiude questo n°7 con numerose ripetizione del ‘motivo doloroso’ stesso, sia da parte del Contralto sia nella coda strumentale. N° 8 DUETTO È un dialogo con la vergine a cui l’io lirico chiedere di condividere l’ardore per Cristo; questa idea di condivisione viene realizzata da Pergolesi con un dialogo a due voci (voci come partecipanti a un dialogo = voci musicali, linee melodiche) N° 9 PROSEGUE IL DIALOGO, più serrato Duetto – con scambio di ruoli e di temi musicali. Il tema melodico viene dapprima esposto integralmente dal Soprano (primo esametro) e in seguito dal Contralto (secondo esametro). Quando l’io lirico chiede di ‘condividere’ il dolore, l’idea di unione, di compassione si traduce in un canto a due: “fac me vere tecum flere”. Alle parole “Juxtra crucem tecum stare” torna il tema iniziale, ma capovolto: se prima la linea melodica si estendeva verso il grave, ora la linea è analoga ma in direzione ascendente. Inoltre le due voci si avvicendano in tempi più stretti rispetto alla prima esposizione, come a segnare un maggior avvicinamento, una maggior condivisione del dolore di cui parla il testo.: il meccanismo è quello di una maggior fusione fra le due parti, come un avvicinamento fra due voci=personaggi. È quindi un altro elemento di retorica musicale per raffigurare la volontà dell’io lirico di ‘condividere’ le sofferenze, di scambiarsi di ruolo con la madre dolorosa: in una parola, è espressione della ‘compassione’. N° 10 Aria Contralto

Basso di lamento: l’ampia introduzione strumentale introduce un evidentissimo basso di lamento (quarta discendente cromatica), elemento retorico di cui abbiamo già più volte parlato. Lo svolgersi delle armonie non segue una costruzione logica, non rispetta i collegamenti sintattici più prevedibili, introducendo invece strappi nel decorso armonico, salti ‘dolorosi’ nei rapporti tonali (sol< – fa< – mib<). La declamazione del testo è prevalentemente caratterizzata da un inciso ritmico puntato (lunga-breve), più adatto all’enfasi, di cui si trova ampia esemplificazione da Scarlatti a Vivaldi: si tratta più di una tradizione che tuttavia non assume un significato retorico immediato e definito. La frase principale, e le sue ripetizioni, è conclusa da salti di sesta ascendente, di cui abbiamo già ampiamente rilavto la ricorrenza e il ruolo di ‘segno semantico’ all’interno dello Stabat. Un terzo elemento del testo merita attenzione: nella terza parte dell’esametro, nel metro catalettico, la declamazione viene enormemente allungata sulla parola tematica ‘plagas’ (la piaghe del corpo di Cristo, che l’io lirico vorrebbe inflitte al suo stesso corpo, per alleviare i dolori della madre e del crocefisso). Per questa enfatizzazione dell singolo vocabolo Pergolesi ricorre, per la prima volta, a un lunghissimo melisma che ricorda alcune delle sua arie d’opera. Attenzione: in molte testimonianze musicali coeve, precedenti o anche posteriori, abbiamo rilevato l’uso del melisma per marcate gli accenti delle parole, quindi con funzione formale; qui al contrario il melisma ha pura funzione contenutistica, perché mira a porre in grande rilievo la parola, il suo contenuto, che risulta quasi visualizzato dalla linea spezzata della voce. N° 11 Inflammatus Duetto, con ampia introduzione strumentale Sincopi e trilli sono una raffigurazione del fuoco che presto diverrà tipologica nella musica sacra e nell’opera; ancora un secolo più tardi Giuseppe Verdi nel Trovatore userà il trillo per identificare appunto il fuoco, l’elemento ricorrente che attraversa l’intera trama di quell’opera, il fuoco in cui molti personaggi troveranno morte o da cui saranno assillati fino alla pazzia. N° 12 MOLTO IMPORTANTE. L’introduzione strumentale completamente slegata dalle seguenti linee vocali; questa è una particolarità unica, poiché in tutte le sezioni precedenti l’introduzione anticipa esattamente ciò che poi le voci cantano Occorre ora grande attenzione nel ravvisare i motivi ricorrenti nell’introduzione: - “dolorosa - lugeam”: l’elemento melodico ricorrente che avevamo visto in corrispondenza di queste parole si ripresenta nella melodia strumentale dell’ introduzione, dapprima variato lievemente e, alla sua conclusione, citato testualmente - tutta questa linea dell’introduzione strumentale è basata quasi esclusivamente su intervalli di sesta, tipici della visione della Vergine da parte dell’io lirico (la stessa sesta che ritroveremo in molti brani di Mozart) All’entrata delle voci, le linee melodiche si intrecciano con una serie di false entrate a canone. Alla seconda strofa viene invece evidenziata il singolo vocabolo “morietur” (quando il corpo morirà), a cui Pergolesi attribuisce una scala cromatica discendente. Ricordando sia la convenzione monteverdiana (as esempio nel racconto della morte di Euridice nell’Orfeo del 1607, ma anche nel Combattimnto), sia le immagini di Cristo morente nelle prime sezioni di questo stesso Stabat mater, la scelta di impiegare questo elemento retorico anche per la morte del credente che umilmente parla alla Vergine accomuna la sorte ultraterrena dell’uomo a quella del figlio di dio. Amen; questa sezione conclusiva è un canone, secondo tradizione secolare che ritroviamo fino a Verdi e al ‘900. Il soggetto3 di questo canone è molto simile al soggetto del canone centrale di questo stesso Stabat mater, che abbiamo ascoltato nella sezione n° 8 (Fac ut ardeat).

3

Per ‘soggetto’ nella scrittura polifonica si intende la linea melodica che viene esposta dalle voci una dopo l’altra. Nella composizione strumentale non polifonica si parla invece di ‘tema’.

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