“MORTE NELLA PIANA” DA “POESIE DI ROSINO MARANESI”
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In versi la poesia Furtivo ad osservare la gioia ed il dolore della realtà vissuta in solitario incontro con l'essere interiore ritrovo nei ricordi un fiume di pensieri che in forma di scrittura nel bianco foglio espongo e rileggendo in mente le frasi si compongono e col passar del tempo sfrondo innesto taglio libero le parole imprigionate al testo da interpunzioni e fondo in fuochi ampi e lenti in versi la poesia
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Cantore Appollaiato in fragile rametto all'ombra della mente che illumina i ricordi tendo il laccio e cerco la cattura del solitario uccello che nel silenzio della notte col canto rotto e rauco cercherà con forza di dare voce ai versi nella memoria impressi
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La fabbrica Ferreo onnipotente estremo rullo rotante che sgrana e stralcia in velocità costante ad una ad una la fila passa sotto gli occhi stanchi polvere nera s'alza e carne rode la macchina lucente che nulla dice nulla pensa ronza e stride in ritmo sempre uguale oh pollice contratto oh mano disarmonica e ferita lascia cadere quel che stringi ed odii e trita i nervi della tua mente stanca rivolta la schiena e canta forte sovrasta i rozzi suoni che ti opprimono scagliati contro come folle infuria nella fabbrica curvi ruffiani dediti a leccare i piedi al buon benefattore nuove macchine lui comprerà domani e tu lo aiuterai a far carriera ma la sua sete inaridisce pian piano la tua vita
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La pianta Mentre la motosega urla e trancia conficcando i suoi denti nella polpa la segatura nevica nell'aria la linfa aggruma gela depositano lacrime nell'erba le braccia tronche staccate alla pianta
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Il veliero Nitido e splendente riappare all'orizzonte in un dei giorni limpido e sereno nutron rispetto le ali del veliero e il cuore arpeggia in ritmo senza assalti brevi minuti poi al mutar del mare come se dentro un dondolar su nave l'acqua sommerge anfratti cupi raggiungo riemergo e cerco appiglio solido e sicuro ma la stanchezza e il tedio rendono vani i tentativi partecipe mi lascio trasportar dal vorticar sempre più forte e muto fino a cozzare
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Lungo il fiume In bilico canneggio tra stringhe ispide e roventi tra spazi e piccoli viottoli rasenti il fosso marcio tra alberi arsivi e impantanati in rami intrecciati in sacchi di plastica scoloriti e macerati e il materiale infligge artificiali putridi che l'occhio incastra e l'ampia inquadratura ritorce il frutto di passati giorni scivolano i profumi fra i rifiuti e le sementi marciscono fumanti
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La sirena Il sole lancia gli ultimi bagliori prima di rifugiarsi dalla vista annuncia la sirena da lontano nelle fabbriche l'ora di uscita gli operai stanchi e rotti di fatica ripercorrono la solita rotta in fuga ritaglia la campagna gli ultimi sprazzi pallidi nell'ombra la luce dei fanali agli occhi rimanda sull'autostrada la macchina in corsa
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Vicolo cieco Resta un rimpianto sereno ai giorni caro sorriso e gioia insieme ritorno gramo ormai in circolo vizioso contrito e rosto dentro da rami aggrovigliati la via del tutto assente e lignee braccia aperte a rattrappire i colmi frutti marciti al suolo pieno di ortiche sane
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Pensiero al margine Avaro fiore chiuso al margine del fosso a trattenere odori labili ai giorni nostri spoglio del fradiciume incancrenito e nudo l'umile sogno irriso vinto perduto escluso pensiero incorruttibile pronto a fermare l'orbita che sfugge all'infinito
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Nel garbino Gioia di un'effusione giunge e si ricollega in fitte sensazioni d'estate al vento caldo sudato m'addentravo felice in quel garbino e solo fisso al gioco passata l'infanzia quel vento che ritorna ritrovo fitto e arsivo pieno di fondi putridi che m'annienta il respiro e la testa non regge il carico d'oppressione
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Profumi e dolore Resti scoppati dalla scandita falce in piana luce tagli sospesi brillano e restano sospese in volo mani infuriate in imbrunire caldo e sereno e tutta l'erba in fascio cade afflosciata e bava si disperde in rigoli tra le stoppie tronche le stoppie bruciano e tutto quel che vive brucia spegnendosi nel fumo che si disperde in cielo con dolore e il nero campo è pronto a nuova vita
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Morte nella piana L'aria calda ed afosa migrante dal deserto rintuzza corpi inermi porta scompigli tragici in menti vacillanti entrando come spirito vagante in ampi spazi i giorni dell'estate la imbrigliano fissandola in zone pianeggianti a un tiro dalla brezza che mitiga e rinfresca tutta la spiaggia in festa
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Sull'asfalto I copertoni scivolano asfalto di rumori al vento che trasporta tormento di ospedale lungo la bava tremano convulsi ai lacci stretti luci cadenti spasimo sospiro affanno vano calore spegnesi nell'ultima folata resta l'asfalto umido velato di rugiada
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Carnevale marino Al passaggio il selciato umettava odor acro di canne bruciate in quell'agosto umido rugosamente filtravo muri calce cemento l'orchestra al suono di dolciastri rumori affannosi e retrivi il corteo abbellito banalmente di maschere belletti e calze a maglia sudorate asfissianti aliti in laceranti grida di gioia e tutto brucia la festa e il carico di ammassati fiori ansimanti
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Salmastro vento Il giorno lungo i cardini attizzava dal sole la lamiera fatta forno sospese onde fluttuavano su strisce di pneumatici rigati impressi nel disciolto asfalto ai sedili sudate pelli raschiate olivastre bruciate dal vento fatto sale
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Nel giuoco Feriti i grandi spazi inoltro in stanze chiuso per sogni in soldi cieco per voli in brevi istanti canali d'acqua sordi lo sguardo fisso incolla la lingua color calce rugiada agli occhi spenti il viso roso sbianca di brina il cuore fermo e fluttuare senza sensi come foglia contro il vento
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Casa di cura sul mare Alito rauco e fioco grumi in saliva asma tosse catarro il morbo sferza il gracile arboscello arse le linfe la luce affoga nell'ombra che si fissa spegnendosi nel vuoto e il vento strazia al franger delle onde che schiumano sui muri
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Al nascere del giorno Quando l'autunno passò e le ultime speranze caddero come foglie la debole fiamma svampò al nascere del giorno
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Sul gelido marmo La luce eclissata pallore nel cielo preludio ad un fiume che vita diluvia in riva percossa da ossa di polvere secca in spore nel corpo s'innesta rimbomba la stanza la voce sul viso rugoso indolore ingiallito sul gelido marmo
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Un breve passaggio Il vento trasporta rintocchi coinvolta la mente al pensiero di un attimo volto alla morte il cuore arresta la linfa la faccia una maschera spenta il corpo disteso e composto le mani giunte in preghiera inutile vano rimpianto di un breve passaggio
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Stagioni sempre uguali Un cielo d'alba ruggine colata di sospiri nell'aria trasparente svelati al sole i microbi in fascio proiettati dai vetri sui banconi distese carni putride ronzate dai mosconi pingui fra calde pozze fecondano le uova passato che ritorna cruento a macerare di nuovo i giorni liberi uomini e donne assistono al lento agonizzare nascondono la pelle fasciata ad aspettare il buio della fossa stagioni sempre uguali
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La pelle stagionata Tagli di fiumi orlati frescura in fiori schiusi profumo ai sensi ispira gioia e frementi palpiti candida luce illumina in stagni vitrei i muscoli raspa il respiro annaspa sguscia si sfalda penetra pastura inevitabile brucia la pelle stagionata
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La stanza deserta L'ombra in silenzio accompagna l'ultimo raggio ingiallito il sole in estremo saluto si tinge si macchia svapora lo sguardo assorbe i colori l'affanno soffoca l'aria la voce pian piano svanisce la luce affievola e resta la stanza deserta
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All'orizzonte Persi i primi accenti mattutini il giorno passa in impavida sembianza e svapora all'orizzonte rosso di vergogna conscio del carico umano di disuguaglianze
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L'immagine muore Radono il suolo le rondini in volo il cielo s'imbruna di nuvole scure elettrici raggi irradiano vene sbianca la faccia lo sguardo si fissa il cuore s'arresta l'immagine muore
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La vita prosegue Il tempo mischia e disperde i profumi la pelle rigurgita sfalda s'imbeve i petali tonfano s'incurva lo stelo all'ombra del corpo la vita prosegue
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Un bossolo vuoto Gorgheggi sull'albero spoglio il canto imporpora l'aria rende pace al pensiero e lo sguardo lo segue nel volo oltre il fosso uno strepito sordo ed il tonfo nel fango resta impronta di uomo ed un bossolo vuoto
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L'ultima cura Schiavo alle consuetudini sfugge la vita e rigurgita al tramonto l'usata forma fisica imbellettata e stantia e l'organo intona l'ultima cura
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Un'orgia di suoni Un cielo blu terso dal sole il colle vivente colora tappeto di campi maturi al suolo l'odore del fieno inebria il cammino al pensiero nel bivio mentale al ricordo e la macchina corre veloce tempesta di voci e rumori l'inutile corsa dell'uomo un'orgia di suoni
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Aggiogato dal garbino Aggiogato dal garbino il corpo incurva scioglie i muscoli lenti alla deriva l'armonioso ampio spazio illuminato negli occhi spenti al suolo incenerito
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Respiro d'incenso Il canto una nenia raschiato nei solchi la voce declama affannosa dai sensi ammaliata crepate le labbra allappate in arido corpo assetato un brivido caldo arrossa le gote respiro d'incenso
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Il sole lontano Affretta la corsa sbianco dal chiaro riflessi assonnati la guida richiama immersi occhi infra i rottami un lutto l'asfalto il sole lontano
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Vuoto artificiale Dai botti l'aria rotta satura di zolfo al lume dei lampioni un'allegria sospesa pieni di punti rossi all'orizzonte i fuochi gli alberi sono grigi nel nero che circonda l'erba di colore vano eppure tutto brucia nel vuoto artificiale
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Il costante giro di pensieri Tutto tace nella notte la solitudine mi cinge con immagini e ricordi cerco invano di sfuggire nella morsa che trattiene il costante giro di pensieri
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Immagini fuggenti La ruota gira e il tempo passa degli anni trascorsi attimi di vera gioia nei ricordi restano li allaccio col pensiero e in stimolante attesa immerso ad occhi chiusi nel buio della stanza proietto lentamente vaganti nella mente le immagini fuggenti
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Viaggio solitario Crogiuolato in terra corro in disparte e rendo i muti sogni in giorni di contatto il tempo è sempre ostile e pigro è il mio malore forse per patiti umori di accostamenti inutili continuo la mia fuga e ricci in segatura alimentano il fuoco di smorzati ardori mentre la festa inizia
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Il suono accompagna L'incanto svanito palude la selva il corto respiro battente sui nervi affannoso riprendo e la pelle tirata della vecchia carcassa il suono accompagna
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Stagione troncata E le spighe del grano ancora verdi qualche sparuto papavero nei campi il fosso tappezzato di fresche viole e un viottolo erboso una strada brecciata poi una strada asfaltata grondante saliva cocente
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Il gorgo Stesi sul botro nudi fango tra i sassi rosi folta gramigna ai bordi giunchi flessuosi in arco tonfi nel gorgo e spruzzi tra sterpi ed alberi morti
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Cittadino del mondo Chiuso alle usanze di grette convenzioni spezzate le catene disancorato salpo libero nelle idee cittadino del mondo
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