Mizrn14.pdf

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  • Pages: 68
Direttore responsabile: Mauro Cerulli

MIZR é uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo.

Comitato scientifico: Fabrizio Fiorini Arrigo Gareffi Vincenzo Malatesta Luizio Capraro

La raccolta (che non ha periodicità ed é riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non é in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente. Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.

www.mizr.eu

Apis - Editoriale

Pag. 1

Mizr - Presentazione del libro “I Figli della Conoscenza”

Pag. 6

Maathor - Il Numero, alfabeto di Dio (parte prima)

Pag. 12

Ahawa - Eliphas Levi: tra Ideologismo magico e Positivismo nella Francia del 1800

Pag. 38

Eleazar - Il Cavaliere Beneficente della Città Santa nella tradizione libero-muratoria egizia

Pag. 46

Arjuna - I suoni sacri e la scienza dei mantra in India

Pag. 52

Hathor Go-Rex - Il valore educativo del simbolismo astrologico

Pag. 56

Calendario Operativo 2018

Pag. 65

Anno 4 - n. 14 - primavera 2018

La cosa più difficile da fare nella vita è conoscere se stessi. Talete da Mileto

EDITORIALE Apis IL REGNO DELLA QUANTITÁ (E IL SEGNO DEI TEMPI) Non a caso, per i motivi che vedremo, abbiamo ritenuto di dare a questo editoriale lo stesso titolo di una celebre opera di Renè Guènon. Come abbiamo spesso detto (e come tutti possono facilmente constatare) il principale male delle organizzazioni esoteriche, in primis della Massoneria, risiede nel fatto che esse, in virtù di logiche profane e di una evidente miopia dei loro vertici, consentono l’ingresso nel loro seno a personaggi che non possiedono le necessarie qualità per accedere ad un percorso autenticamente iniziatico. In nome del “numero”, della “quantità”, della “massa critica”, si dimentica la qualità, con i risultati che è facile immaginare. Perciò individui palesemente squilibrati, privi delle necessarie basi culturali e intellettive, emarginati che vivono di espedienti, casalinghe frustrate e poveracci vari vengono creati “martinisti” o “massoni” (ovviamente il più delle volte in Strutture destituite da ogni reale significato iniziatico) sentendosi in diritto non solo di parlare di “martinismo” o di “massoneria” (spesso anche in un improbabile italiano) ma anche, comicamente, sentendosi in diritto di voler impartire lezioni a chi REALMENTE segue un Cammino di Conoscenza da svariati decenni! La totale inconsistenza di costoro è agevolmente rilevabile sia dalle sciocchezze che affermano sia dalle notizie che facilmente possono essere raccolte sul loro conto; rimane però il fatto, gravissimo, che qualcuno ha ritenuto individui del genere idonei a ricevere un’iniziazione e ciò rappresenta un evidente sintomo dell’enorme degrado del c.d.“mondo esoterico” attuale! Ai nostri affezionati lettori offriamo, come prezioso spunto di riflessione su tale argomento, le parole di due grandi Maestri Passati. Ripetiamo inoltre un concetto già più volte espresso: SE SI VUOLE ESSERE CREDIBILI NELLA VITA INIZIATICA BISOGNA ESSERLO PRIMA NELLA VITA PROFANA! “Quanto al fatto che queste organizzazioni sono “chiuse”, vale a dire, non ammettono indistintamente tutti, esso si spiega semplicemente con la prima delle condizioni dell’iniziazione che abbiamo esposto in precedenza, cioè in ragione della necessità che si possiedano certe “qualificazioni” particolari, in assenza delle quali non si potrebbe trarre nessun beneficio reale dal ricollegamento a un’organizzazione del genere. Per di più, quando una simile organizzazione diviene troppo “aperta” e insufficientemente rigorosa sotto questo riguardo, essa corre il rischio di degenerare a causa dell’incomprensione di coloro che ammette in tal modo sconsideratamente, i quali non mancheranno di introdurre ogni sorta di vedute profane e di far deviare la sua attività verso scopi che non hanno niente in comune con la sfera iniziatica, come si vede anche troppo bene in ciò che ai nostri giorni ancora permane in quanto a organizzazioni del genere nel mondo occidentale” (Rene’ Guenon: Considerazioni sull’Iniziazione). “Appare piuttosto evidente, a chi sia appena dotato di ragione, che un Ordine Iniziatico, per essere realmente considerato tale, non può certamente superare poche dozzine di affiliati; pur, oggi,

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considerando l’aumento della sopravvivenza media e la diminuzione della mortalità infantile, onde si tende ad invecchiare più facilmente di quanto avveniva ai tempi dei Padri Nostri, possiamo ammettere che detto Ordine possa arrivare a contare fino ad un centinaio di membri e, mi si creda, si tratta davvero già di una bella cifra! Oltre tal numero si cessa di chiamarsi “Ordine”, dovendo, più convenientemente definirsi quale “Associazione” o, perchè no, ci si potrebbe finanche definirsi quale “Club”! Forse il nostro buon amico Dottor K. ambisce a far parte di un Club, ma poniamo anche di chiamarlo “Accademia”, suona meglio, non vi pare? Tanto il concetto è medesimo. Forse anche i Nostri Fratelli del Grande Oriente d’Italia amano più le Associazioni, o i Club, rispetto agli Ordini, ma noi, che volete, siamo all’antica, dunque continuiamo a voler godere del privilegio di definirci “ORDINE” e non Club!” Leone Caetani di Sermoneta (N.R. Ottaviano-Ekatlos), Circolare interna A.O.E. 23 marzo 1913. Dunque possiamo concludere che una delle maggiori criticità delle attuali Obbedienze Massoniche e delle Associazioni Esoteriche in generale risiede, senza dubbio, nella “vexata quaestio” delle Tegolature, ovvero di quel preventivo esame del candidato che dovrebbe poi condurre all’ingresso di un nuovo Fratello, o di una nuova Sorella, all’interno della Catena Iniziatica. La responsabilità dei Maestri incaricati di esaminare (ovvero di “tegolare”, come si dice in linguaggio libero muratorio) i profani è enorme, dato che essi si assumono la responsabilità di immettere, all’interno della catena eggregorica di un Ordine Iniziatico, un nuovo anello, con conseguenti gravi problematiche laddove tale nuovo Fratello o tale nuova Sorella si dimostrasse inadeguato rispetto ai compiti che lo attendono. In virtù del principio secondo cui “l’Eggregoro provvede ad allontanare coloro che non sono degni”, si finisce per sottovalutare tali responsabilità, anche spesso in nome di una sorta di buonismo di matrice cattolicheggiante, in base al quale si ritiene che a chiunque debba essere offerta una possibilità. É bene ricordare che un Ordine Iniziatico Tradizionale possiede delle regole precise e che solo pochissimi e qualificati individui (in merito a cosa si intenda per “qualificazioni” rimando al capitolo XIV del testo di Guènon

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“Considerazioni sull’Iniziazione”, testo che un buon Maestro Tegolatore dovrebbe conoscere a memoria) sono adatti a farne parte. Durante la mia lunga vita massonica ho spesso incontrato individui che, ad un più attento esame preventivo, non avrebbero dovuto essere ammessi nel seno di un’Obbedienza Massonica ma che successivamente, anche in virtù della pochezza di tali Obbedienze, hanno addirittura finito con lo scalarne i vertici, con le tragiche conseguenze che possiamo immaginare. Un esempio vale per tutti: il passato Gran Maestro di una determinata Obbedienza italiana non faceva mistero di essere ateo, eppure noi sappiamo bene che la credenza in un Essere Supremo rappresenta la conditio sine qua non per l’essere ammessi nel seno della Massoneria! Il caso è chiaro: trattandosi di personaggio in vista dal punto di vista PROFANO i Tegolatori avevano ritenuto di dover sorvolare su tale “particolare” (il suo ateismo) pur di inserire all’interno di quella Obbedienza un personaggio che “poteva risultare utile”! Le abituali indicazioni fornite ai Tegolatori da quelle che io definisco, a ragione,“Massonerie profane”, sono in sostanza due: 1)- appurare se il bussante è uomo libero e di buoni costumi (alias se il certificato del casellario giudiziale è immacolato o meno) 2)- appurare se egli è in grado di assolvere agli obblighi dello status di Libero Muratore (formula ipocrita per stabilire se costui ha i sufficienti mezzi per pagare le spesso esose “capitazioni” che tali Obbedienze richiedono). Appare evidente ad ogni persona di buon senso che se tali sono i criteri di ammissione nella Massoneria essa non può che trasformarsi in una autentica burletta non troppo distante dai club service tipo Rotary o Lions, certo popolati da bravissime persone (almeno presumo dato che non ne ho mai fatto parte) ma che di iniziatico non hanno nulla! Poichè il Nostro Ordine Iniziatico è l’espressione di quella che il Rituale del 1° grado del Mizraim di Venezia (da noi adottato nelle Logge Azzurre) definisce“Massoneria occulta e sacerdotale” è giocoforza che nel nostro ambito vadano adottati dei rigidi ed accurati criteri di selezione dei bussanti, criteri che, a scanso di ogni equivoco, andrò a specificare di seguito: A) Il Rituale di 2° grado del Mizraim di Venezia ammonisce sul fatto che il Massone deve essere “uomo sufficientemente colto ed istruito” e ciò, a parer mio, è la prima cosa da appurare. Infatti se mancano le basi culturali, filosofiche, intellettive, come si potrà pretendere che il postulante possa successivamente al suo ingresso tra noi comprendere gli elementi essenziali della Teurgia e gli aspetti operativi a cui il Nostro Ordine tiene così tanto? Come potremo pretendere che egli possa studiare con profitto i testi esoterici che andremo a proporgli? Risulta perciò evidente che il “tegolato” debba possedere un discreto livello di istruzione e conoscere perlomeno i primi rudimenti del sapere esoterico.

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B) Un altro punto essenziale riguarda l’indagine sulle REALI motivazioni del postulante: quali sono i motivi per i quali egli chiede di essere ammesso tra noi? Cosa sta REALMENTE cercando? É pleonastico affermare che la semplice curiosità o il c.d. “effetto trascinamento”(tipo,“siccome il tal Fratello fa parte della tale Obbedienza mi farebbe piacere entrarne a far parte”) rappresentino motivazioni che debbono indurre i Maestri Tegolatori a ritenere quel candidato non idoneo. Bisogna essere perciò certi che il bussante possieda una autentica motivazione interiore, cioè che sia animato da un sincero desiderio di perfezionamento spirituale e di evoluzione interiore. C) Le caratteristiche psicologiche, temperamentali, interiori della persona debbono essere ATTENTAMENTE vagliate: non abbiamo bisogno dei pavidi, degli incerti, degli indecisi, né tanto meno di coloro che sono alla perenne ricerca di una “stampella” o peggio del “guru” di turno. Se il bussante ha avuto molteplici esperienze“esoteriche”nei contesti più disparati (e

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lontani anni luce dagli autentici contesti iniziatici) è assai probabile che non sia adatto ai nostri perimetri. Se sta cercando “effetti speciali” non è adatto a Noi! D) É indispensabile valutare l’attitudine del postulante ad essere in grado di rispettare l’ordinamento piramidale e gerarchico del Nostro Ordine. Persone che ritengono di poter venire tra noi privi del necessario atteggiamento di umiltà e di rispetto della Scala Iniziatica, o peggio persone che ritengono di aver già compreso tutto (e magari di dover essere loro ad insegnare ad altri) vanno categoricamente escluse. Se TUTTI (e dico TUTTI) si attenessero a queste semplicissime regole (peraltro dettate da un comune buon senso) si potrebbe in qualche modo arginare la decadenza dei c.d. Ordini Esoterici, ma a quanto pare il senso delle considerazioni fatte da Guènon nel suo libro, il cui titolo abbiamo scelto per questo editoriale, non sono mai pervenute alla maggior parte dei molti, troppi “gran-qualcosa” che affollano il variegato panorama del c.d.“mondo esoterico italico”! Nessuno dunque si meravigli se, tra pochi decenni, i c.d.“Ordini Iniziatici Tradizionali”rappresenteranno solo un ricordo archeologico del passato. Ma se le cose devono finire così, è per determinazione di quelle Intelligenze Superiori, il cui volere deve sempre essere comunque accettato. n

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PRESENTAZIONE DEL LIBRO «I FIGLI DELLA CONOSCENZA» Mizr Chi segue la nostra rivista sa che il nostro sforzo è teso sopratutto alla rettificazione di quei Depositi Iniziatici,propri della Tradizione Occidentale, sulla cui mercificazione e sul cui gravissimo decadimento spesso ci siamo soffermati. Dopo i suoi due libri sulla Massoneria Egizia (scritti a quattro mani con il confratello Eleazar), pubblicati dalla prestigiosa casa editrice Mimesis, ed il suo testo sulla storia del Martinismo (saggio introduttivo a “Gli Illuminati nella Società Umana”) pubblicato dalla casa editrice Jouvence, che fanno chiarezza nei lettori attraverso una rivisitazione storica coerente e documentata di quei due importanti Depositi Iniziatici della Tradizione Occidentale, il fondatore di questa rivista, Apis, ha terminato una nuova fatica, dedicata, questa volta, al complesso e variegato mondo dello Gnosticismo e del Neo-Gnosticismo. In quest’ultimo libro, che la Mimesis pubblicherà a brevissimo, dall’emblematico titolo“I Figli della Conoscenza”, Apis analizza in modo capillare il complesso fenomeno dello Gnosticismo ed è diviso in due parti. Nella prima parte si affronta il tema dello Gnosticismo storico, ovvero di quell’articolato movimento, sorto nei primi secoli dell’era cristiana e fortemente combattuto dalla chiesa di Roma che ha avuto in Basilide e Valentino i suoi massimi interpreti. Vengono descritte le diverse dottrine delle molteplici scuole gnostiche, le loro origini ed i loro aspetti più segreti. Infine vengono lungamente analizzati il Manicheismo ed il Catarismo, movimenti indubbiamente derivati, almeno in parte, dallo Gnosticismo antico. Nella seconda parte viene analizzato il delicato tema del Neo-Gnosticismo, ovvero di quel fenomeno, idealmente collegato alle antiche dottrine gnostiche che, a partire dal XIX secolo ha coinvolto, unitamente alla massoneria ed al martinismo, moltissimi Valentino esoteristi occidentali dando luogo alla nascita di diverse chiese. Il testo si chiude con un lungo capitolo dedicato al grande psichiatra svizzero Carl Gustav Jung ed ai suoi notevoli interessi per lo Gnosticismo. In appendice vengono inoltre pubblicati, per la prima volta, alcuni rituali utilizzati dalle moderne chiese neo-gnostiche oltre che frammenti di antichi testi gnostici.

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Con il consenso dell’Autore pubblichiamo,in anteprima, l’Introduzione. «Non è certamente facile oggi parlare di Gnosticismo, sia perchè, in linea di massima, qualunque argomento che abbia a che fare con l’esoterismo viene, in questi tempi caotici, fatalmente annacquato da “divulgatori” improvvisati se non da veri e propri sè-dicenti “maestri” che di “esoterico”, nell’autentico significato che dovrebbe essere dato a tale termine, hanno poco o nulla, sia perchè ben poche dottrine hanno dovuto subire tante interpretazioni distorte e tante calunnie quanto quelle gnostiche. Ciò è avvenuto in massima parte anche a causa del fatto che fino al dicembre del 1945 (data nella quale fu ritrovata nella località egiziana di Nag Hammadi una notevole quantità di testi gnostici) non esistevano, in pratica,documenti ufficiali che potessero consentire agli studiosi di effettuare una ricostruzione coerente del movimento gnostico e le uniche fonti a disposizione erano dei frammenti estremamente brevi e lacunosi provenienti da opere dei dottori gnostici, opere delle quali la Chiesa di Roma aveva ordinato la distruzione, oppure le affermazioni dei c.d. Ireneo da Lione Origene Clemente Alessandrino “confutatori dello Gnosticismo”come i vescovi cristiani Clemente, Ireneo, Origene o il pagano Plotino. Sebbene in alcuni casi vada riconosciuta a tali confutatori una certa dose di onestà intellettuale, tutti sappiamo che una storia dei vinti scritta dai vincitori inevitabilmente presenterà imprecisioni e parzialità, se non vere e proprie menzogne e mancherà, in genere, di obbiettività; per tali motivi la scoperta di Nag Hammadi ha determinato una notevole modificazione ed un enorme arricchimento degli studi sulla Gnosi e sullo Gnosticismo. I termini “Gnosticismo” e “Gnosi”, tuttavia, evocano ancora profondi timori e vivaci reazioni da parte di quella che Arturo Reghini definiva “quell’oscura potenza straniera che siede sull’altra sponda del Tevere”, potenza che nel corso dei secoli ha cercato, per più che evidenti motivazioni di tipo soprattutto politico, di soffocare, perseguitare, distruggere, bandire, tutto ciò che con lo Gnosticismo e con la Gnosi potesse avere una sia pur vaga relazione; abbiamo conferma di ciò leggendo quanto alcuni scrittori di chiaro orientamento cattolico hanno avuto modo di affermare, anche in tempi recenti, a proposito dello Gnosticismo. Va anche precisato che in soccorso dei fedeli sudditi di Santa Romana Chiesa hanno spesso agito, loro malgrado, anche molti esponenti del c.d. “Neo-Gnosticismo”i quali, da Doinèl in poi, ben poco vantaggio hanno arrecato alla causa dello Gnosticismo medesimo evidenziando spesso comportamenti incongrui, se non al limite del patoloJules-Benoît Doinel gico ed in alcuni casi trasformando la nobile dottrina gnostica in una sorta di burletta catto-spiritistica condita da “balletti rosa” o da “balletti verdi”, tirando in tale modo acqua al mulino dei nemici dello Gnosticismo, Chiesa Cattolica Apostolica Romana

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in primis. Sui motivi dell’idiosincrasia di “Santa Romana Chiesa”nei confronti dello Gnosticismo risulta certamente illuminante il seguente brano di Vincenzo Soro: “Lo Gnosticismo era un’idea: era, per sovrappiù, l’essenza interiore del Cristianesimo. Non poteva dunque morire. E non morì: si nascose. Quando Roma credeva di averne cancellato anche le tracce, esso era più vivo che mai. Lo Gnosticismo divenne così un Ordine segreto: e fu il germe e lo spirito di tutte le scuole occulte e di tutti i collegi iniziatici che dovevano poi via via sorgere in Occidente per custodire, preservare e trasmettere la Tradizione Sacra; come fu il germe e lo spirito di tutte le ribellioni del Pensiero e della Ragione contro la Chiesa Romana, anche se per la maggior parte quelle ribellioni degenerarono in errori non meno gravi ed antignostici di quello che avevano respinto ed in intolleranze non meno deplorevoli e crude di quella contro la quale erano sorte. Sbanditi dal profanato santuario che i Padri loro avevano costruito perchè fosse di tutte le Chiese e non di una Chiesa particolare, la quale era pur la più incolta e la più lontana dalle fonti della dottrina, cacciati a ferro e a fuoco a somiglianza di bestie pericolose, gli Gnostici costituirono nel segreto la loro Chiesa, assegnandole la grande missione di vegliare sui destini dell’umanità rifatta schiava e di preparare l’avvento del Paracleto. E questa Chiesa Interiore, questa Chiesa Mistica e Occulta, che continuava la pura tradizione joannita ricongiungendo la Fede con la Ragione, la Religione con la Scienza, la Croce con la Rosa, ebbe il merito grande di conservare accesa durante la lunga notte dell’Alto Medioevo la Sacra Lampada dalla duplice fiamma, portandola intatta fino a noi malgrado le più spaventose persecuzioni.” (Vincenzo Soro: La Chiesa del Paracleto). Venendo alla presente opera ed alla sua strutturazione noi siamo convinti con Antoine Favre che ogni studio esoterico debba essere condotto con un rigoroso atteggiamento scientifico, ovvero con obiettività e lucidità storica, analizzando i fatti in modo asettico, senza indulgere in alcuna parzialità e basandosi essenzialmente su documenti la cui veridicità sia inoppugnabile e dimostrabile. Ogni misticismo, ogni sentimentalismo, ogni cedimento al proprio personale modo di sentire è inammissibile per uno storico serio dell’esoterismo poiché lo storico si basa su FATTI non su teoremi, ipotesi ed astrazioni. Su queste nostre convinzioni ci siamo basati nelle nostre precedenti opere pubblicate dalla casa editrice Mimesis e dalla collegata casa editrice Jouvence e che avevano come argomento la Massoneria Egizia ed il Martinismo; inevitabilmente ci atterremo agli stessi principi anche in quest’opera sullo Gnosticismo e anzi, per i motivi che analizzeremo, avremo cura di adoperare una ancor maggiore rigorosità ed un ancor maggiore senso critico poiché la parola Gnosticismo (e la parola Gnosi) evocano oggi, nell’immaginario collettivo, dottrine,personaggi e scuole che con lo Gnosticismo correttamente inteso non hanno veramente nulla a che vedere. Spacciare,ad esempio, per “Gnosi” o per “Scuole Gnostiche” le sincretistiche e pasticciate teorie di Samael Aun Weor (il fondatore della c.d. “Gnosi Samaeliana”) o i deliri a sfondo sessuale di Krumm- Heller, o ,peggio ancora ,le farneticazioni dei moderni nipotini di Crowley (la famigerata “Grande Bestia 666” , individuo non privo di una certa dose di genialità ma spesso portato ad elaborare dottrine confuse e stravaganti e

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morto in gravi condizioni di alienazione ed in stato di dipendenza da morfina ed alcool) non è che uno dei molteplici aspetti del kali-yuga epoca nella quale, storicamente, è assai arduo dividere la pula dal grano. Purtroppo il delirio mediatico di quest’epoca degenerata, nella quale internet si è sostituito alle biblioteche e nessuno legge più niente ma al contrario tutti pubblicano tutto (spesso ricorrendo alle c.d. auto-pubblicazioni che tanto vanno di moda oggi) fa sì che oggi vengano spacciati per “studiosi di Gnosticismo” alcuni imbonitori disonesti, autentici fantasisti dell’esoterismo, ignoranti come capre e che spacciano per “onesta divulgazione” una indigesta brodaglia nella quale Basilide ed il Vangelo di Giuda vengono

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disinvoltamente mescolati con la Chiesa del Thelema e con altre stravaganti farneticazioni a sfondo erotico-sessuale. Non finiremo mai di deprecare i danni prodotti da personaggi simili (molti dei quali però risultano propriamente al soldo del c.d.“Dominium Petri”) né di denunciarne imbrogli e ciurmerie, ma se i “naviganti della rete”non iniziano a svegliarsi un po’ ed a imparare che non è nei social network che ci si può formare una buona cultura esoterica, riteniamo che tra non molti anni di autentico esoterismo in circolazione ne rimarrà veramente poco. Quanto alle molteplici “Chiese Gnostiche presenti nel mondo (e naturalmente in Italia) o a Movimenti che si auto-attribuiscono la qualifica di “Gnostico” (magari abbinando tale qualifica ad altre, tanto per aumentare l’appetibilità del prodotto) vedremo come, nella maggior parte dei casi, esse sono prive non solo di alcuna connessione con lo Gnosticismo storico, ma neppure possiedono una Filiazione legittima ed una discendenza regolare rispetto alla primitiva Struttura, inizialmente fondata da Doinèl e poi totalmente riformata da Papus, che può essere definita, come avremo modo di vedere, il primo atto di nascita del c.d.“Neo-Gnosticismo” anche se, come vedremo nella parte specificatamente dedicata a tale argomento, il tema “filiazioni” e “discendenze”, già delicato in ambito massonico, in ambito neo-gnostico diviene, a dir poco, problematico. Allo scopo di poter offrire ai nostri lettori un opera organica, completa ma di facile lettura, divideremo dunque questo testo in due parti: nella prima esamineremo i caratteri fondamentali dello Gnosticismo storico e dei suoi epigoni con particolare riferimento alle dottrine dei suoi maggiori esponenti, mentre nella seconda analizzeremo il sorgere, lo svilupparsi (e purtroppo, in molti casi, il deviarsi) del c.d. Neo-Gnosticismo con particolare riferimento alle principali Chiese Gnostiche ed alle loro dottrine. Non intendiamo fungere da“traduttori dei traduttor d’Omero”(rischiando perciò di subire le stesse critiche che Foscolo muoveva al Monti) per cui eviteremo inutili ripetizioni rimandando, nel caso, alle opere dei massimi studiosi contemporanei dello Gnosticismo come Jonas ma, soprattutto, a nostro avviso, come Rochè, Hutin e Soro che a differenza del primo erano non solo degli studiosi e degli storici eruditi ma anche dei grandi Iniziati; perciò ci limiteremo ad una analisi sintetica e tuttavia esaustiva dei più importanti Sistemi Gnostici dell’antichità e dei movimenti Neo-Gnostici moderni. Dedicheremo anche un apposito capitolo al rapporto tra il grande psichiatra svizzero Carl Gustav Jung ed il pensiero gnostico antico.» n

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IL NUMERO, ALFABETO DI DIO (PARTE PRIMA)

Maathor

In questo numero della rivista MIZR inizia una serie di studi dedicati alla Geometria Sacra, cioè a quell’insieme di rapporti e formule che permettono all’uomo di rimanere in contatto con tutte le emanazioni energetiche che giungono costantemente dal kosmos. Essa studia l’Ordine e le Leggi dell’Universo attraverso la Scienza delle Forme e delle Proporzioni, al fine di identificarne i principi fondamentali ed i rapporti che governano ed interconnettono Macrocosmo e Microcosmo. Lo scopo è dunque comprendere l’Unità che permea tutta la Vita. Conosciuta già nei tempi più antichi, questa Scienza Occulta la si ritrova nei santuari dedicati a Iside come nelle piramidi (nella Grande Piramide tutte le misure sono rapportate al cubito sacro, che è pari a 0,63566... esattamente la milionesima parte del raggio polare terrestre, che fu misurato scientificamente soltanto nel secolo scorso: gli antichi Egizi avevano sviluppato una straordinaria conoscenza sul potere evocatore dei simboli geometrici i cui codici erano tenuti rigorosamente segreti. Tale conoscenza è stata poi tramandata nei tempi attraverso le società segrete di carattere spirituale, o misteriosofiche, giungendo fino ai nostri giorni nei quali i ricercatori dello Spirito continuano ad indagare, con metodi e strumenti scientifici contemporanei, la Vita e la sua Struttura Germinativa. É importante utilizzare la Geometria Sacra come lettura simbolica rappresentativa dell’Universo. É presente in ogni cosa e nell’armonia geometrica di ogni struttura si ritrova la proporzione evolutiva di ogni elemento dell’universo, di cui rappresenta la verità trascendentale. Con la geometria l’iniziato li può percepire, leggere ed utilizzare per la comprensione della Causa Prima, poichè inserisce l’uomo in un sistema di ritmi e armonie affini a ritmi e armonie naturali. Se l’uomo vive e sperimenta correttamente gli stimoli prodotti dall’osservazione dei Simboli Geometrici Sacri egli potrà favorire e alimentare e sostenere l’armonia con se stesso accordandola con l’armonia della creazione. La Geometria Sacra è dunque, in estrema sintesi, la struttura morfogenetica che sta dietro alla realtà stessa, ed è alla base delle stesse leggi matematiche. I numeri costituiscono il linguaggio primario della realtà; perciò la legge universale della forma genera tutte le leggi fisiche. A volte la Geometria Sacra viene chiamata “linguaggio della luce” e a volte “linguaggio del silenzio” perchè essa è, assolutamente, uno dei Linguaggi Divini attraverso il quale Egli genera ogni cosa; un Idioma che, per sua natura, ha una perfetta e costante ed assoluta fluidità senza interruzioni, continuando a dispiegarsi sino alla creazione di tutto l’Universo (uni-versum). Con la Geometria Sacra si percepisce chiaramente come ogni singola parte abbia legami con il tutto. Possiamo cominciare da qualsiasi punto e rintracciare l’intero linguaggio della creazione attraverso una proporzione sacra fondamentale, che viene definita Proporzione Aurea. Tale rapporto è stato considerato, sin dalla sua scoperta, come rappresentazione della legge universale dell’armonia. Ecco il tema di questo primo lavoro.

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PREMESSA “L’evoluzione è la legge della vita. Il numero è la legge dell’universo. L’unità è la legge di Dio”. (Pitagora)

Tutto è connesso. “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso” rischia però di essere un modo di dire, una frase fatta priva di significati reali ed operativi. Se “è vero”, ed “è vero senza errore, è certo e verissimo (...) per fare il miracolo di una cosa sola...”, allora esistono Leggi che legano l’alto con il basso. Occorre capire cosa significa, quale funzioni generali, macrocosmiche e microscopiche, rendono comuni - o almeno analogiche - queste due dimensioni (o modalità): l’alto ed il basso. Una delle vie privilegiate per dimostrare questa tesi è quella della Geometria Sacra (sacra perchè la geometria è lo strumento utilizzato da Dio per creare l’Universo). Diceva Pitagora che “L’universo è costruito secondo armonia”, perchè “Tutto è numero”; ed anche che ogni cosa si adatta al numero, ed è lì che occorre indagare. Per questo fa scrivere sulla porta della sua Accademia: “Qui non si entra se non si è geometri”, dove la parola geometra deve essere evidentemente accostata a ciò che ci viene suggerito dalla parola “iniziazione”. Galileo Galilei sosteneva che “la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. Nella Bibbia, nel libro della Genesi, Dio si dichiara: “Io ho fatto il mondo con misura, numero e peso”, e qui si intuisce perchè gli iniziati che hanno redatto i testi sacri indicassero il Creatore come Grande Architetto. Non a caso la Libera Muratoria indica, da sempre, Dio con l’acronimo G.A.D.U., cioè “Grande Architetto Dell’Universo”. Tutto ciò esalta ulteriormente l’aspetto geometrico e matematico dell’essenza stessa dell’intera Creazione di cui Pitagora (che s’incardina proprio sulla comprensione del mistero della scienza dei numeri, di cui la Creazione ne sarebbe il frutto stesso), e ancor prima di lui gli antichi Egizi, avevano ben intuito e assolutamente compreso. La Tavola Smeraldina proclama, preliminarmente, che tutto è regolato dalle stesse leggi generali, dal minuscolo DNA all’espansione degli ammassi galattici. La geometria sacra, indagando sui rapporti numerici e geometrici che esistono nell’Universo dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, esprime l’Ordine (Kosmos) con il quale tutto fu generato. Se, nell’Egitto antico, i Neteru sono le Leggi che formano e mantengono la Vita, il nome dell’antico Neter di Memphis, Ptah, ben definisce la sua funzione: è “colui che plasma, che dà forma” (il suo nome deriva dal verbo pth = modellare). Egli

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“creò l’universo con il suo cuore e con la sua lingua, modellando il mondo con il potere della parola”. Ptah, lo scultore della terra, creava forme usando una ruota da vasaio: egli era l’ARTE. Creare significa fissare un punto iniziale e stabilire una scala di emanazione. Perciò, nel mondo umano della terra di Memphis, l’arte era disciplina sacra, regolata da ferree leggi matematiche e geometriche. Abbiamo dei Neteru che sono preposti ad essa: Ptah, Seshat, Khnemu, Hathor, Maat e Tehuthi. Con Ptah, è necessario conoscere l’astrologia, l’alchimia, i cieli e la terra. Con Seshat, dea dell’architettura, i ritmi settenari, le manifestazioni simultanee, la scrittura e i segni cosmici, i tempi e modi di costruzione, e una volta ancora i cieli e la terra nei loro rapporti dinamici. Con Theuthi il suono delle lettere, le scienze mediche e magiche. Con Hathor la musica ed il suo potere chiamato“triplice bellezza”, nonchè la danza e l’afflato universale, cosmico. Con Khnemu bisogna conoscere i sacri impasti, i materiali e, ancora una volta, le rotte celesti lungo le quali far navigare le Barche del Cielo. Con Maat ecco le leggi matematiche, quelle geometriche, la Verità e la Giustizia: per questo mi piace pensare che la parola matematica (prima ancora che dal greco Mathèmatikè, ‘il sapere della scienza’, affine a Mathèo,‘investigo’ e a Mathetès,‘discepolo’) derivi essenzialmente dal Neter MAAT (grecizzato in MAT), dea dell’Ordine e del Giusto in sè (MAThèMATikè include, curiosamente, due volte MAT: il che accomuna l’Ordine in Alto e quello in Basso). Tutta la vita proviene da una Forza Genitrice così ricca di motivazione da contenere la «inevitabilità», così densa di Funzioni da contenere in sé tutte le forme, così generativa che ogni atto ed aspetto della creazione vengono provocati dalla sua esistenza. Tale Forza - che per Dante era“l’Amore che fa muovere le stelle”- é ciò che definisce e crea in senso fisico la Vita. É attraverso questo Motore Universale che ogni esistenza acquisisce la sua «Forma»; e ciò vale comunque e dovunque nell’universo (che é uni-versum perchè ogni esperienza si sottomette alla stessa Legge), sia per le stelle che per le cellule, per l’uomo come per una rosa o un diamante: tutto nasce e vive perché“Amore”lo provoca e dunque ciò che vediamo é il riflesso sensibile dell’Idea, un effetto che risulta visibile tanto nel macro-cosmo che nel micro-cosmo. «Ciò che sta in alto é come ciò che sta in basso, e ciò che sta in basso é come ciò che sta in alto...» é dunque un indizio di quella Legge Universale che oggi gli scienziati stanno ri-trovando poco a poco, ma che già Ermete Trismegisto, nell’Alessandria egizia del IV secolo A.C., aveva scolpito nella sua “Tavola di Smeraldo”: in essa si riconosce che - poichè la Vita é una - anche la Forza Generatrice é una. Globalità dei meccanismi della creazione, globalità della Vita, globalità delle Necessità, globalità dell’essere uomo. Dunque, coincidenza tra “uomo” ed “universo”: la meravigliosa avventura della conoscenza, allora, non é altro che la via delle successive approssimazioni per avvicinarsi a questa Legge. La matematica sembra essere dotata di una dimensione estetica che comunica direttamente all’animo umano tramite la semplice contemplazione delle forme che cesella. Pitagora, Archimede, Giamblico, Diogene Laerzio, Platone, Porfirio; e, in tempi più moderni Leonardo, fra’ Luca Pacioli, Pico della Mirandola, e poi Newton, Keplero, Agrippa, Goethe, Gurdjeff, Reghini, fino Jung e a Le Corbusier... centinaia di autori, nell’arco di duemilacinquecento anni di storia, hanno tentato di

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indagare il mondo delle proporzioni e delle analogie fra i ritmi del “Creatore” e quelli del “Creato”, nello sforzo di risalire dai secondi ai primi. Impossibile non ricordare, tra gli altri, Giordano Bruno (1548-1600). Questi, uomo di libero pensiero, in alcune sue opere analizza il concetto di Unità e di Creato: tra le quali cito per brevità“De la Causa, Principio et Uno” e “De Infinito, Universo e Mondi” (entrambe scritte a Londra nel 1584). In questi scritti Bruno afferma che il rapporto tra il Principio Universale (Mens), il Creatore (Intellectus) e la Natura (Materia) è sempre molto stretto. La Materia, per assumere le diverse forme, non può fare a meno dell’Intellectus, quindi quest’ultimo“empie il tutto, illumina l’universo e indirizza la natura a produrre le sue specie” (da De la Causa, Principio et Uno). Filosofi, matematici, musicisti e tradizionalisti hanno costruito così un Corpus (talvolta chiamato “Via Pitagorica”) nel quale matematica, musica e filosofia perdono il loro aspetto diventato specialistico e frammentario per acquisire una naturale, originale unitarietà sapienziale, un significato unificato o, meglio,“unicato” - dall’amore per la conoscenza. In questo il Numero Aureo rappresenta un eccezionale esempio di analogia tra le bellezze, una proporzione armoniosa tra le dimensioni, il colore, il suono e il tempo, un rapporto che incontriamo ovunque, nella natura e nell’arte, e che contribuisce alla bellezza di quanto ci circonda: per questo é detto “d’Oro” (Sectio divina presso i naturalisti del XVI secolo). Tutta la creazione divina sottostà alla legge di questo numero aureo e delle sue divine proporzioni. È secondo la medesima legge che si forma, oltre al tempio fisico, il tempio interiore: la Merkaba metafisica (la parola Mer-Ka-Ba è composta da tre sillabe corrispondenti alle importanti tre parole egizie Mer, Ka, Ba; altri, invece, la fanno derivare dall’ebraico merkaba/merkava, cioè il “carro”, che nella visione di Ezechiele era il trono di Dio). Tale rapporto particolarissimo stabilisce che «il piccolo sta al medio come il medio sta al grande» e ricorre con sorprendente frequenza in ogni scala di grandezza: la sua conoscenza induce a riformulare una visione di tutto l’universo e a darci la consapevolezza che noi siamo parti organiche di questa realtà totale, di cui riflettiamo e contemporaneamente siamo in grado di scoprirne le leggi: come già Pitagora che nel VI sec. a.C. aveva definito l’uomo simile ad un microcosmo sistematico e regolare, in ogni sua parte egli è espressione delle leggi cosmiche universali. Nel IX e X secolo la cultura araba, che si era diffusa sulla costa settentrionale dell’Africa e della Sicilia, é ben superiore a quella dell’Europa, indebolita da diverse guerre e sottoposta al controllo della Chiesa. Quando la quasi totalità della popolazione europea é analfabeta e la scienza rimane gelosamente rinchiusa tra le mura dei conventi, nelle grandi città a cultura araba funzionano a pieno ritmo sale di lettura pubbliche ed operano numerose scuole superiori arabe, ebree e cristiane che collaborano pacificamente tra loro. Nel 1200 gli alchimisti italiani riescono a distillare alcool a 96° (aqua vitae), un po’ il simbolo di una antica volontà di ricerca che si fa sempre più pressante. Anche l’industria é vivace: quella dell’acciaio pregiato passa da Damasco a Toledo, le raffinate lavorazioni dei tessuti iniziano ad essere conosciute (come il “damasco”, da Damasco o la“mussola”, dalla città di Mossul); zucchero, riso, albicocche, datteri, fichi, arance e cotone sono altrettanti doni che gli Arabi fanno all’Europa delle carestie e degli stenti. Il monaco benedettino Gerberto introduce le cifre indo/arabe per le opere scientifiche confinate nei conventi, cifre che si rivelano molto più pratiche di quelle romane, contribuendo

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allo sviluppo della matematica. Gerberto, nato verso il 945 in Francia ad Aurillac nell’Aquitania, frequentò le scuole degli Arabi a Cordova dove studiò matematica e filosofia. Con il nome di Silvestro II (tra il 999 ed il 1003) é il primo papa francese della storia. La sua vita é caratterizzata da una prodigiosa attività culturale e scientifica. Sul valore della sua scienza geometrica ed astronomica si sono scritte cose sbalorditive testimoniate da due suoi opuscoli. Costruì un globo celeste per esporre i movimenti degli astri e dei pianeti in modo nuovo; inventò un apparecchio che segnava l’ora durante la notte; semplificò l’arte del calcolo e su questo scrisse un poderoso trattato. Introdusse le cifre indo/arabe ad uso interno dei monasteri, per le loro opere scientifiche, portando dalla Spagna le cifre della scrittura araba magrebina usata dai saggi virtuosi del «calcolo su sabbia». Gli arabi hanno intensi scambi commerciali con Venezia, Genova e Pisa, città che si erano ormai lanciate verso tutti i paesi del bacino mediterraneo. Intorno al 1200 i pisani hanno empori lungo tutta la costa africana, con centro a Bugja (nell’attuale Marocco) a capo del quale viene messo un commerciante noto con il nome di Bonaccio. Egli chiama a sé la famiglia, tra cui il figlio Lorenzo, nato a Pisa nel 1175. Al seguito del padre, apprende i fondamenti della geometria euclidea prima a Venezia, poi a Bugja approfondisce lo studio della matematica araba, arricchendo infine le sue conoscenze in Egitto ed in Siria. Di Leonardo Pisano esiste una biografia di Bigollo Törpel che lo chiama anche Filius Bonaccii, da cui é derivato il nome di «Fibonacci» con il quale é noto nella letteratura matematica. Nel 1202 appare un libro che ha enorme influenza per il risveglio scientifico che poco a poco doveva operarsi in Occidente: il Liber Abaci, che introduce nel mondo medioevale il sistema di numerazione posizionale, portando in Europa la conoscenza dell’«algebra». Nel 1228 Leonardo elabora una seconda edizione per lo scozzese Michele Scoto, astrologo di corte di Federico II, in cui Leonardo Pisano presenta la soluzione al problema della somma in una serie di numeri, detta“successione del Fibonacci”, nella quale esiste una relazione per cui «ogni termine successivo é uguale alla somma dei due immediatamente precedenti»: questo rapporto vale 0,618 ed identifica la Sezione Aurea. É il Numero d’Oro. IN GEOMETRIA Le forme sono il primo aspetto intuitivo della realtà che l’occhio umano percepisce. La Proporzione Aurea, chiamata anche Proporzione Divina, Numero Aureo, costante di Fidia; sequenza numerica di Fibonacci (da cui deriva la spirale di Fibonacci) sono rapporti matematici e geometrie che gestiscono le forme fisiche. É detta anche Canone di Maat... La Sezione Aurea è il punto di divisione di un segmento in modo che il suo rapporto con la parte maggiore sia lo stesso di quello che questa ha con la minore: questo numero vale 0,618. Gli antichi greci conoscevano bene la sezione aurea; non vi è dubbio che essa fu usata consciamente da alcuni architetti e scultori greci, particolarmente nella struttura del Partenone. Il matematico Mark Barr pensava a questo quando nel 1918 dette al rapporto

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il simbolo di f (è la prima lettera greca nel nome del grande Fidia, che ha usato con frequenza il rapporto aureo nelle sue sculture). Ma Aureo non è solo un numero o un angolo, bensì si riferisce anche ad alcune figure geometriche. Il triangolo aureo è un triangolo isoscele avente i due lati uguali in rapporto aureo con il terzo lato, f : 1 (1,618 : 1) e angoli di 36°, 72° e 72°. Per il fatto di avere gli angoli alla base di ampiezza doppia (72°) rispetto l’angolo al vertice (36°), bisecando uno di questi, è possibile ricavare una successione infinita di triangoli aurei minori. Continuando infatti verso il micro come verso il macro, si instaura una proporzione continua, che possiamo far proseguire all’infinito, in cui compare costantemente tale rapporto. Con 10 triangoli aurei costruiamo un decagono regolare; in esso, il raggio del cerchio circoscritto, rispetto al lato, é la Sezione Aurea. Collegando alternativamente i vertici del decagono regolare otteniamo un pentagono regolare con angoli rispettivi di 72° e angoli sulle punte di 36°: la generazione dal triangolo isoscele di partenza é evidente, e le diagonali del pentagono si intersecano determinando Rapporti Aurei. Queste diagonali sono le generatrici della Stella a Cinque Punte, che é il simbolo del rapporto armonioso che é consentito dalla Sezione Aurea. Questa stella, dentro di sè, può continuamente e perpetuamente risorgere. Già nota nell’antica India, essa é il Pentaculum Salomonis, la Stella “Sigillo” di Salomone; godeva della considerazione di Pitagora perchè tutti i segmenti che la costituiscono stanno tra loro in Rapporto Aureo; si trova effigiata nelle decorazioni dei Templari come Stella dalla cui Luce scaturisce la conoscenza trascendentale; nel Medioevo tedesco, era chiamata la «Drudenfuss», piede di strega, e le erano attribuiti poteri straordinari (Goethe la fa mettere dal Dottor Faust sulla porta del suo studio: così che, quando questi invita Mefistofele ad andarsene, questi deve rifiutare riconoscendo: “non posso uscire / me lo impedisce un piccolo ostacolo / il piede di strega sulla soglia”). Un tipo particolare di forma, legata alla sezione aurea, è stata studiata da Koch. Chiameremo questo frattale“Merletto aureo”perchè abbiamo sostituito il segmento iniziale con quattro segmenti di uguale ampiezza in modo tale che il triangolo isoscele che si forma sia aureo (cioè con gli angoli alla base pari a 72°). La particolarità del frattale finale sta nel fatto che ogni triangolo isoscele che si viene a formare è sempre aureo (nel Merletto di Koch classico (angoli alla base di 60°) tutti i triangoli che si venivano a formare erano invece equilateri. Il fattore di omotetia k legato alla costruzione di questo frattale è 1/f2. Si tratta di un valore superiore a quello del merletto di Koch equilatero in quanto il merletto aureo riempie maggiormente il piano). Nel frattale costruito dentro il pentagono, cioè a base 5, la costruzione è analoga a quella del Fiocco di neve di Koch a base 6. Il pentagono frattale legato al pentagono regolare ne eredita le proprietà geometriche ed otteniamo ancora una forma a stella. Caratteristica particolare di questo frattale è quella di contenere infinite copie del pentagono aureo tutte perfettamente incastrate fra di loro. Nella figura a fianco le copie del pentagono frattale sono messe in evidenza con colori diversi: in questo modo è possibile osservare che sono presenti i vari passi della costruzione del pentagono frattale. Le parti in grigio corrispondono al passo 0, quelle in rosa al passo 1, quelle in giallo al passo 2 e così di seguito:

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un vero e proprio riassunto infinito della costruzione del pentagono frattale. La spirale costruita con elementi proporzionali al numero aureo ha permesso, in meccanica, di risolvere moltissimi problemi fisici (dal sollevamento dell’acqua dai pozzi al funzionamento degli orologi). Se estesa tridimensionalmente, individua il codice genetico nei suoi elementi primigenii; individua il moto di espansione delle galassie, l’uscita dall’orbita di un pianeta, la forma dei canali auditivi (organo di Corti), i rapporti armonici fra le note della scala pitagorica, la forma delle conchiglie... La “spirale di Fibonacci” è una spirale che approssima la spirale aurea autentica, tracciando in contiguità una successione archi di 108° di ampiezza. La spirale logaritmica cresce nel raggio per una unità angolare che é proporzionale al raggio stesso: quando i tre raggi MA, MB ed MC formano degli angoli uguali fra loro, il raggio centrale MB é medio proporzionale tra il più piccolo MA ed il più grande MC. Lo sviluppo, l’evoluzione di questo tipo di spirale é nuovamente una spirale logaritmica. Il matematico svizzero Jacob Bernoulli (1654-1705), che scoprì questa legge, la considerò simbolo dell’evoluzione e dunque della resurrezione e per questo la volle incisa sulla sua pietra tombale con la scritta «Eadem mutata resurgo» (“restando la stessa, risorgo mutata”, anche se lo scalpellino che preparò la sua pietra tombale sbagliò clamorosamente il tipo di spirale, incidendo non la spirale logaritmica, ma una comune spirale di Archimede).

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Nei poligoni regolari, il teologo e matematico toscano Luca Pacioli nel 1509 pubblicò a Venezia un trattato in tre volumi sulle proprietà del Rapporto Aureo chiamato Compendio de Divina Proportione ufficializzandone l’esistenza anche al mondo dei non matematici. Keplero (1571-1630) riscontrò i Rapporti di Sezione Aurea nei numeri che avevano relazione con le orbite dei corpi celesti (“La geometria è l’archetipo della bellezza del mondo”, diceva). La Sezione Aurea, dunque, sembra essere una dimensione fondamentale, che gioca un ruolo in ogni struttura regolare nella natura e nel cosmo, generalmente comparendo in una proporzione continua, cosa che si può simboleggiare in una serie di Stelle inscritte. Bisogna anche, certo, riconoscere che non tutto, nella natura, è misura ed armonia. L’ordine sembra convivere con il disordine, almeno apparente. Ma occorre capire coloro che, dai tempi antichi sino ad oggi - in ambienti non solo cristiani ma anche ebraici, musulmani, buddisti, non dimenticando la tradizione delle Logge dicono di scorgere nella «sezione aurea» le impronte digitali del Deus absconditus, del Dio che si cela e al contempo si rivela, lasciando tracce, indizi, segnali nella Sua creazione. NEL REGNO VEGETALE La formula del Numero Aureo deriva dal rapporto tra la diagonale ed il lato di un pentagono regolare. La lunghezza e l’altezza di una foglia di rosa, per esempio, sono in rapporto 1 : 0,618. Gli angoli che definiscono le posizioni dei petali (in frazioni di angolo giro) sono la parte decimale di semplici multipli di f (phi). Il primo petalo è a un 0,618esimo (la parte decimale di 1 x f) di giro dal petalo 0; il secondo è a un 0,236esimo (la parte decimale di 2 x f) dal petalo 1 e così via. Poiché la crescita delle piante avviene mediante divisione delle cellule, le dimensioni fondamentali delle piante di diversa età, negli stessi periodi dell’anno, si presentano come la serie di Fobonacci, o come numeri dei Rapporti Aurei: se misuriamo lo stelo di una pianta da un germoglio all’altro, troviamo il rapporto AB : BC : CD : DE ecc., ossia ritroviamo la Sezione Aurea. E questo vale non solo per la crescita di un germoglio della pianta, ma anche per l’intera ramificazione. Per esempio, la foglia del Cerfoglio (Anthriscus vulgaris), a sinistra, o del finocchio (Oenanthe phellandrium), a destra. Il Piumino, nome comune di diverse piante, ha le lunghezze degli assi laterali che sono fra loro in rapporto come i numeri della Successione Aurea; e poichè questi assi laterali sono sistemati ad elica attorno al fusto, la loro proiezione su di un piano dà una spirale logaritmica.

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Il caso più documentato della successione di Fibonacci riguarda la fillotassi. Essa studia il modo in cui le foglie e i rami si distribuiscono intorno al fusto: la successione delle foglie e dei rami tende ad avere un andamento rotatorio con l’avanzare verso l’alto. Partendo da una foglia qualunque, dopo uno, due, tre o cinque giri della spirale si trova sempre una foglia allineata con la prima. La disposizione è tale da permettere che le foglie non si coprano fra di loro, ma che ognuna riceva il massimo possibile di luce e di pioggia; e si scopre che questi schemi sono esprimibili in termini matematici ed hanno un legame con la serie Aurea. Infatti, il numero di giri compiuti per trovare la foglia allineata con la prima è generalmente un numero di Fibonacci. La crescita delle foglie segue infatti una «spirale vegetativa»: le linee rette che congiungono il centro del fusto e l’abbozzo della foglia formano un «angolo di divergenza» di 137° 30’ (chiamato angolo aureo). 137,5° è la differenza tra 360° e 360°/f, cioè: 360°/f = 222,5°; per cui l’angolo minore è 360° - 222,5° = 137,5°. Con quest’angolo i germogli posti lungo la spirale generatrice risultano più fitti e sfruttano lo spazio con più efficienza; si hanno le migliori condizioni di energia minima consumata dalle gemme nel posizionarsi l’una dall’altra e offrono i migliori risultati per omogeneità e autosomiglianza. Il quoziente di fillotassi (cioè il rapporto tra il numero di giri e il numero di foglie tra due foglie simmetriche) è quasi sempre il rapporto tra due numeri consecutivi o alternati della successione di Fibonacci. Ad esempio, se occorrono 3 giri completi e passare attraverso 8 foglie per ritornare alla foglia allineata con la prima, il quoziente di fillotassi è 3/8 . Nei tigli le foglie si dispongono intorno al ramo con un quoziente di fillotassi pari a 1/2; nel nocciolo, nel faggio e nel rovo è di 1/3; il melo, l’albicocco e alcune specie di querce hanno le foglie ogni 2/5 di giro e nel pero e nel salice piangente ogni 3/8 di giro. Oltre alle foglie, nelle piante anche altri elementi si dispongono secondo schemi basati su numeri appartenenti alla serie di Fibonacci. L’ananas ne è un magnifico esempio, ognuna delle squame che rivestono l’infruttescenza appartiene a tre diverse spirali che, nella maggior parte di questi frutti, sono in numero di 5, 8 e 13 (dunque, ancora i numeri di Fibonacci). Non meno spettacolare è il centro dei girasoli dove è possibile notare due serie di spirali che si avvitano l’una in senso orario l’altra in senso antiorario. É interessante anche osservare la distribuzione di foglie e spine nelle piante grasse o nelle brattee della pigna, .

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Naturalmente, anche se infiniti fiori, foglie e frutti sono generati dal numero 5, questa non é una regola assoluta, anche i numeri 3, 4 e 6 compaiono con grande frequenza negli edifici vegetali: é piuttosto una norma generale che si ripete con sconcertante frequenza (molti fiori presentano un numero di petali pari ad altri numeri della serie di Fibonacci, come 13, 55 e perfino 377). Quanti di noi, almeno una volta nella vita, hanno interrogato i petali della margherita intorno alla romantica domanda“m’ama?...non m’ama”? La maggior parte delle margherite di campo hanno 13, 21 o 34 petali, numeri di Fibonacci (ma si noti che i primi due sono dispari: perciò cominciando con m’ama... l’esito favorevole è assicurato). Già Leonardo nei suoi studi sulla natura frattale affermava: “tutti i rami degli alberi in ogni grado della loro altezza giunti insieme sono equali alla grossezza del loro pedale. Tutte le ramificazioni dell’acque in ogni grado di loro lunghezza, essendo d’equal moto, sono equali alla grossezza del loro principio”. La frattalità, o autosomiglianza, in natura è molto comune e diffusa: pensiamo a un abete in cui è facile notare come ogni singolo rametto riproduca in scala ridotta il proprio ramo e, in miniatura, l’albero nella sua grandezza, cioè la forma dell’intero disegno. Un frattale (dal latino fractus, frammentato) è infatti un agglomerato di repliche di se stesso in scale differenti. Un caso meraviglioso lo si trova dal fruttivendolo o al supermercato, nel periodo invernale, con una varietà di broccolo verdognolo (Brassica oleracea L. botrytis, varietà ‘romanesco’, Famiglia delle Brassicaceae) che esibisce la parte centrale come un insieme di piccoli torrioni in stile barocco assemblati nella forma di una spirale: l’infiorescenza del cavolfiore completo è costruita con tanti micro cavoletti autocopiati all’infinito con sequenze a struttura spiraliforme, identici indipendentemente dal variare della scala. Nell’infiorescenza di carota selvatica (Daucus carota,

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fam. Ombrelliferæ) la struttura di base è ripetuta un numero ‘n’ finito di volte: dalla particolare angolazione della foto in alto si vede che essa assomiglia a fiocchi di neve, anch’essi a loro volta frattali; nell’immagine in basso è del tutto riconoscibile l’andamento a spirale della fioritura. Applicando lo stesso meccanismo geometrico ed usando come partenza un triangolo equilatero, la figura che si ottiene è chiamata Tappeto o Triangolo di Sierpiski ed è composta da tre copie di se stessa ognuna delle quali costituita da un triangolo di lato pari a metà del lato del triangolo di partenza. Quest’ultima configurazione trova spesso riscontro nel mondo naturale, per esempio come motivo ornamentale sulla conchiglia di diverse specie di molluschi che vivono negli oceani, per esempio l’Oliva Porphyria. Il concetto di frattale coglie, qui, un aspetto intimo ed essenziale della natura che precedentemente era stato trascurato, ovvero che persino i suoi tratti più casuali possiedono simmetrie nascoste. Ciò significa che simmetria e caos sono due facce della stessa medaglia: la forma complessiva (che apparentemente sembra caotica) riflette la prima faccia, ed i particolari intricati la seconda. L’anello di congiunzione tra la scala micro e macro è dunque rappresentato dall’autosimilarità.

L’utilizzo della matematica frattale si è rivelato utilissimo in molti campi, per esempio in quello della medicina. Nel corpo umano e animale, infatti, svariati organi presentano tale struttura. Uno è il fegato, suddiviso in diversi lobi ognuno irrorato da una diversa ramificazione della Vena Porta. Se, poniamo il caso, qui si dovesse scatenare un tumore, si può isolare solo il lobo malato e asportarlo senza danneggiare tutto il resto, perché utilizzando gli strumenti di calcolo della geometria frattale a partire dalla versione ridotta della Vena Porta si può risalire alla sua versione complessiva e intervenire in modo mirato.

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Nel broncogramma polmonare si vede come anche qui che la struttura base è ripetuta innumerevoli volte. La costituzione frattale consente di comprimere nel minimo spazio grandi estensioni di superficie. Basti pensare che le strutture bronchiali e alveolari dei polmoni, pur in volume limitato dispiegano, sviluppano una superficie enorme: nell’uomo, quasi la superficie di un campo da tennis! E nell’immensamente grande? Il nostro Sistema Solare, per esempio, è certamente governato da leggi matematiche che ne definiscono la sua struttura, tuttavia è anche soggetto al caos nella forma dell’imprevedibilità orbitale di milioni e milioni di corpi minuti non predicibili che interagiscono tra loro, nonchè nella dinamica di titanici vortici atmosferici come la Grande Macchia Rossa su Giove (grande abbastanza da contenere un paio di Terre), quella Scura su Nettuno, e le insolite formazioni nuvolose di Saturno, originate da venti che superano i 1800 km/h. Ovviamente tutto questo vale anche per le complesse dinamiche delle stelle, di ammassi di stelle come dei moti turbolenti che avvengono nelle nebulose sparpagliate per la galassia e, in ultima analisi, di tutta la materia che la compone. Ma aumentando ancora lo zoom, dal momento che l’universo è formato da miliardi di galassie, viene spontaneo domandarsi fino a che scala si spinge il“gioco a incastri”dell’autosimilarità. Potrebbe, cioè, il cosmo esprimersi in un disegno frattale... dalla trama del DNA (lo spessore medio di questa molecola è di circa 22 Angstrom) fino a quella degli spazi siderali di infiniti anni-luce (1 anno-luce è pari a circa 9.461 miliardi di chilometri, cioè 63.241 volte la distanza fra la Terra e il Sole)? Oggi si è scoperto che tale moto di allontanamento delle galassie da noi sta accelerando sempre più, sospinto da una forma di materia ed energia che non conosciamo e non rileviamo. “Ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso”... La scienza ha però, oggi, finalmente integrato ed adottato proprio questo concetto: “L’infinitamente piccolo svelato dall’infinitamente grande: il Microcosmo si lega al Macrocosmo” (CERN, Ginevra). Gli esempi sono infiniti. Alcuni sono intimamente legati ai miti più antichi e segnalano lo stupore dell’uomo di fronte alla bellezza del loro schema. Come quando, a tavola, sezioniamo una mela con un taglio perpendicolare all’asse centrale e scopriamo che i suoi semi stanno in alveoli contenuti entro una Stella a Cinque Punte. Forse proprio per questo la mela é stata scelta da molte culture come simbolo fondamentale della Scienza Sacra: per esempio nel Genesi, é definito il frutto dell’Albero della Conoscenza. Mangiare la mela, dunque, significa assimilare il Seme della Sapienza nascosto dentro l’Albero della Vita: ed é esattamente quello il cibo capace di trasformare radicalmente l’intera esistenza dell’Uomo.

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NEL REGNO ANIMALE Il Rapporto Aureo si riscontra anche nel mondo degli animali. Nella gazzella la lunghezza totale della schiena viene divisa secondo il Rapporto Aureo dal groppone; l’altezza della schiena dalle parti genitali; l’altezza globale dal garrese; la lunghezza totale della testa dall’occhio. Nel pesce persico, come in altri pesci simili, il punto della pinna divide la lunghezza totale determinando una Sezione Aurea; lo stesso si può vedere per la parte anteriore della pinna caudale. La stella di mare é a 5 punte; la conchiglia Nautilus (radiografia lettera A) è il più celebre esempio di una perfetta spirale logaritmica. Lo schema governato dalla spirale aurea ha, tra le sue più sorprendenti proprietà, quella di non alterare la forma e le dimensioni con la crescita: il nautilus nella sua conchiglia aumenta in grandezza e si costruisce camere sempre più spaziose, abbandonando e sigillando quelle inutilizzabili perché troppo piccole. Il crostaceo Telescoptum ha la forma di una spirale logaritmica tridimensionale, come evidenzia la radiografia, lettera B; il riccio di mare (Cidarius coronata) quella di un dodecaedro regolare; la Circogonia icosahedra, un minuscolo organismo marino unicellulare la cui conchiglia ha il diametro di 0,7 mm circa, ha la forma di un icosaedro regolare. Le conchiglie Solarium Perspectivum e la bivalve Cardium Pseudolima sono costruite nello stesso modo.

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Parecchie varietà di comuni organismi marini, dal plancton alle lumache, presentano, come dicevamo, spirali auree nelle loro fasi di sviluppo o nelle loro conchiglie, come in un bellissimo genere di molluschi gasteropodi marini, gli Haliotis, comunemente noti come Orecchie di Venere. Nel micro, i Foraminiferi sono protozoi ameboidi marini. La loro cellula è protetta e rivestita esternamente da un guscio, spesso mineralizzato. Il Numero d’Oro vi è presente, come lo è nei Radiolari. Accennando solo brevemente agli insetti, il ragno della famiglia Araneidae tesse la sua tela secondo una spirale costruita attraverso l’unione della seta in vari punti ben precisi perché la ragnatela regga la tensione, la pressione e il peso. Il suo carico di rottura è confrontabile con quello dell’acciaio di alta qualità, ma con una densità molto inferiore all’acciaio stesso. Ecco qualcosa di interessante e curioso sulle api (genere Apis, Famiglia delle Apidae), gli insetti sociali per eccellenza: l’albero genealogico di un fuco presenta chiaramente i numeri della sequenza di Fibonacci. Sappiamo che in uno sciame non tutte le api sono uguali: ci sono innanzitutto le api (femmine) e i fuchi (maschi). Le femmine sono tutte generate dall’unione dell’ape regina con un fuco e si dividono in operaie e regine. Le api regine sono api operaie nutrite solo con pappa reale ma, diversamente dalle operaie, sono in grado di produrre uova. I maschi nascono dalle uova dell’ape regina. Quindi possiamo dire che le femmine hanno 2 genitori (l’ape regina e un fuco), mentre i fuchi hanno un solo genitore, l’ape regina. Ecco allora l’albero genealogico di un fuco: 1 fuco ha 1 genitore che ha sua volta ha 2 genitori che a loro volta hanno 3 genitori che a loro volta hanno 5 genitori e così via. Sono i numeri di Fibonacci.

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Anche per mammiferi la crescita delle corna (per la famiglia dei caprini, l’esempio è l’ariete), delle zanne (ad esempio degli elefanti), degli artigli e delle code di alcune specie, segue lo stesso principio di crescita delle conchiglie dei gasteropodi. Le code più sorprendenti sono quelle del camaleonte e del cavalluccio marino (radiografia lettera C). An

Anche nei comportamenti si può riscontrare in Numero d’Oro. Quando le oche selvatiche volano in formazione istintivamente si comportano come un unico corpo e si dispongono con un angolo di 36°. Il falco pellegrino, durante la caccia, per ghermire la preda non sceglie una traiettoria rettilinea, più breve e più veloce, perchè gli occhi del falcone guardano lateralmente e l’uccello dovrebbe ruotare la testa per vedere l’obiettivo, ma tale assetto peggiorerebbe la sua aerodinamica: così l’animale tiene la testa dritta seguendo una spirale aurea in modo da non perdere di vista la preda e al tempo stesso massimizzare la velocità.

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NELL’UOMO Ho già anticipato qualcosa nella sfera della fisiologia umana con il fegato ed i bronchi. Scopriamo ora se e dove la “Proporzione di Dio” può essere presente. Per esempio, esiste anche nei microtubuli del cervello, che sono quelle parti deputate al controllo dell’interazioni di tipo quantistico le quali, secondo gli scienziati, consentono all’uomo di avere coscienza di se stesso. Sembra che al loro interno, con la funzione di gestire gli errori di memoria, siano presenti dei pattern molecolari ripetuti che compaiono con la frequenza del Rapporto Aureo. La cellula umana non ha proporzioni esattamente sferiche, bensì più vicine a quelle dell’ovoide aureo, dove lunghezza e larghezza stanno in rapporto aureo. Anche l’utero dell’età di maggiore fertilità femminile sembra rispettare nelle stesse grandezze l’identico valore (nell’immagine a sinistra, il follicolo ovarico quasi perfettamente ovoide). In una inchiesta piuttosto vasta condotta da un’ università austriaca (ben 150.000 soggetti di entrambi i sessi controllati e seguiti per anni) si è riscontrato che hanno miglior salute e speranza di vita più elevata coloro che hanno un rapporto tra pressione arteriosa massima e minima pari a 1,618. La scienza delle proporzioni dell’uomo, proporzioni ideali, era già nota nell’antico Egitto, nella Grecia classica ed a Roma. Vitruvio indicava che l’uomo, in piedi con gambe chiuse e braccia distese orizzontalmente, può essere inscritto in un cerchio il cui centro cade sulle parti genitali; la lunghezza totale del corpo viene tagliata dalla vita in due segmenti di cui il più lungo é una Sezione Aurea. Se in piedi con gambe divaricate e braccia leggermente inclinate verso il basso, può es-

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sere contenuto in un pentagono regolare il cui centro coincide ancora con i genitali. Leonardo da Vinci, Dürer, Cornelius Agrippa di Nettestheim, Francesco di Giorgio (Harmonia Mundi), Cesare Cesariano (“Homo ad circulum”), fra’ Giocondo da Verona e molti altri ancora, fino ai giorni nostri, hanno studiato e confermato la tendenza aurea del corpo umano (ricordo Le Corbusier con il suo “Modulor”). Nel 1870 il belga Lambert Adolphe Jacques Quételet (17961874), il fondatore della statistica di frequenze, studiando un universo congruo di europei di statura normale, ha rilevato che la lunghezza totale del corpo umano viene divisa dalla vita secondo Proporzione Aurea. Con braccia e gambe pendenti, la punta del dito medio divide a sua volta la lunghezza totale determinando un Numero Aureo. Le spalle e i genitali dividono infine la lunghezza totale in tre pezzi che stanno in rapporto 3 : 5 : 8, dati che coincidono sorprendentemente con il pensiero dello scultore greco Policleto (ca. 430 a.C.), che dettò un Canone Aureo con gli stessi rapporti. Proseguendo, Quételet rilevò che la distanza tra i genitali e la laringe viene tagliata dall’ombelico in un rapporto aureo, mentre quella tra la testa e l’ombelico analogamente é tagliata dalla laringe: questo rapporto aureo si ritrova anche nella distanza tra le spalle e la punta del dito medio, divisa dal polso; nella distanza tra il punto di circonferenza massima della coscia e la pianta dei piedi, divisa dal ginocchio. Se moltiplichiamo per 1,618 la distanza che in una persona adulta e proporzionata va dai piedi al suo ombelico, otteniamo la sua statura. Così la distanza dal gomito alla mano (con le dita tese), moltiplicata per 1,618, dà la lunghezza totale del braccio e la distanza che va dal ginocchio all’anca, moltiplicata per il Numero d’Oro, fornisce la lunghezza della gamba dall’anca al malleolo. Anche nella mano i rapporti tra le falangi delle dita medio e anulare sono aurei. Infine, nel capo, la fronte divide l’altezza totale determinando la Proporzione Divina; la bocca divide la parte inferiore del viso determinando a sua volta un Numero Aureo, e così via: il volto umano è tutto scomponibile in una griglia i cui rettangoli hanno i lati in rapporto aureo. Addentriamoci ora ancora più nella dimensione micro attraverso il microscopico elettronico.

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Nel DNA, con il computer, si è potuto descrivere la sua struttura sia in sezione longitudinale (doppia elica) sia in sezione trasversale (poligono stellato a 10 vertici). Si riconosce subito, come basilarmente proprio, il rapporto di sezione aurea tra lato e raggio del decagono regolare. Questa struttura è sintetizzata geometricamente in un rosone: i vertici dei dieci “petali” sono i punti di incrocio di linee di forza spirali di 20 propagazioni (10 orarie e 10 antiorarie) e non sono complanari all’immagine, ma sono i vertici di 10 pentagoni sovrapposti su altrettanti piani e ruotati di 36° ognuno rispetto al successivo, così da formare in sezione trasversale una figura decagonale. Il DNA contiene 10 volte il triangolo aureo! I due filamenti paralleli della doppia elica sono costituiti ciascuno da una catena alterna di residui di desossiribosio (uno zucchero) e di gruppi fosfato: lo zucchero si aggancia gravitazionalmente mediante un atomo di ossigeno al vertice di un petalo, che lo tiene in equilibrio tra le direzioni attrattive del sistema, e quindi al vertice del pentagono terzo successivo ruotato di 72°, e così via; il gruppo fosfato, lungo lo stesso filamento, lega tra loro i residui di zucchero consecutivi. L’altro filamento presenta la stessa catena spostata di un piano e di 36° rispetto al primo filamento. É fondamentale il fatto che le due catene presentano polarità opposta. Dunque, anche il DNA è scritto con l’alfabeto matematico di Dio. Nel mondo vegetale quanto in quello animale e nell’uomo, volendo verificare in uno specifico soggetto l’esattezza del Rapporto Aureo, ci si troverà di fronte ad una approssima-

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zione che tende alla misura ideale. Perchè il Numero non é esattamente verificabile per ciascuno ed in ogni caso? Qui entra in gioco la storia relativa del soggetto, intesa come somma di quella infinita catena genitore-figlio nella quale ognuno ha portato o perso qualcosa: é, insomma, la stessa ragione per cui una soluzione soprassàtura di sale purissimo genererà un cubo perfetto, mentre sale o acqua non puri non potranno mai dare un cristallo precisamente regolare. É ragionevole pensare, dunque , che “ogni essere ha”, per usare le parole di Claudio Lanzi, “una sua «serie» aurea che non é descritta dalle sole misure del suo corpo, ma da qualcosa che va, pitagoricamente, vissuto all’interno ed all’esterno, come ritmo, come musica, come danza. Musica del cuore, dell’intelletto o del corpo unitariamente vissute”. Nel prossimo numero di MIZR ripartiremo proprio dalla musica, per continuare poi con vari esempi nell’Arte, nell’Architettura, in alcuni Oggetti quotidiani e concludere, infine, con l’Astronomia dell’incommensurabilmente grande. n

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ELIPHAS LEVI:

TRA IDEOLOGISMO MAGICO E POSITIVISMO NELLA FRANCIA DEL 1800

Ahawa

“Il più gran mago sarebbe chi sapesse incantare se stesso fino al punto che le sue stesse magie gli apparissero fenomeni estranei.” (Novalis)

Alphonse-Louis Constant (1810-1875), vero nome di Éliphas Lévi, nasce a Parigi nel 1810, da padre calzolaio e madre religiosa ma analfabeta. La Francia di Constant ha attraversato il processo rivoluzionario, ma la presa del potere da parte della borghesia è stata bloccata dal ritorno, anche se parziale, dell’ancien regime, mentre nel contempo si assiste all’irruzione della rivoluzione industriale. In tale situazione non è difficile pensare quanto difficoltoso possa essere stato trovare una solidità di pensiero, visto la continua oscillazione tra la determinazione di valori sicuri ed indiscutibili ricercati nel passato e nella tradizione e la ricerca di prospettive di trasformazione prettamente scientifiche. In questa atmosfera Constant compie i primi studi grazie all’abate Hubault Mailmason che dispensava le prime basi dell’istruzione scolastica ai bambini poveri della sua parrocchia. Nel 1825 continua gli studi al seminario minore di Saint Nicolas du Chardonnet, diretto dall’abate Colonna, che come riportano alcune fonti, gli avrebbe trasmesso il primo interesse per la magia. Nel 1830, anno della morte del padre, passa prima al seminario d’lssy per continuare il biennio in filosofia e poi a quello di Saint Sulpice per dedicarsi alla teologia. Nel 1835, la madre di Adèle Allenbach, una sua allieva, lo prega di seguire la figlia, istruendola a parte e proteggendola. Constant s’innamora perdutamente dell’allieva, in cui arriva addirittura a credere di vedere l’incarnazione della santa Vergine. Il 19 dicembre 1835 viene ordinato diacono, ma nel giugno del 1836, prima di ricevere il sacramento dell’ordine, abbandona il seminario pur di non rinunciare alla passione per Adèle. La relazione con la ragazza, tuttavia, finisce. La madre di Constant, vecchia e malata, avendo riposto tutte le speranze nella carriera ecclesiastica del figlio, si suicida; e così, a causa di ciò, medita di ritirarsi in un convento di trappisti, ma gli amici lo dissuadono. Ritenta la vita sacerdotale e raggiunge l’abbazia di Solèsmes, dove vorrebbe passare il resto dei suoi giorni. L’abbazia possiede un’immensa biblioteca, con circa 20.000 volumi, a cui attinge a piene mani. Qui studia la dottrina degli antichi gnostici, quella dei Padri della Chiesa Primitiva, i libri di Cassiano e degli altri asceti, oltre ai trattati di mistica e agli scritti di Guyon. É da tenere presente che Lévi fu un ricercatore dotato di una vastissima erudizione, che amava indossare le vesti del grande iniziato, ma che non riuscì mai a decidersi d’esserlo veramente. A causa di dissapori con l’abate di Solèsmes, lascia il convento prima della fine dell’anno trovandosi in gravi difficoltà economiche. Grazie all’intervento dell’arcivescovo di Parigi, ottiene un posto di sorvegliante al collegio di Juilly. Il salario è pessimo ed i superiori lo maltrattano: per reazione scrive la“Bible de la Libertè”.

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Le copie furono sequestrate dopo un’ora dalla data di uscita del libro. Molte copie furono nascoste alla censura, ma Constant fu arrestato il 1 aprile 1841. L’11 maggio si svolse il processo e fu condannato a 8 mesi di detenzione e ad un’ammenda di 300 franchi. Constant, che non possiede i franchi necessari per pagare, deve scontare 11 mesi nella prigione di Sainte Pèlagie. In carcere si cerca con tutti i mezzi di provocare il suo suicidio, accusandolo di essere una spia e mettendolo in cattiva luce di fronte agli altri detenuti. Grazie ai favori di una ricca amica, M.me Legrand, riesce a mitigare la durezza della sua detenzione. A seguito della sua condotta esemplare il vescovo di Evreux s’interessa del suo caso ed è pronto ad intercedere per lui, a condizione che adotti il cognome materno per non far capire che è l’autore di“Bible della Libertè”. Constant accetta e diventa quindi l’abate Beaucourt. Parte per Evreux ed inizia a predicare, riscuotendo un grande successo e scatenando le gelosie degli altri chierici. Ma nel giugno dello stesso anno il sotterfugio viene scoperto. Constant legge la“Cabala Denudata”di Knorr de Rosenroth, studia gli scritti di Boehme, Saint-Martin e Sweedenborg. Nel 1850 l’abate Migne chiede a Constant di scrivere un dizionario della letteratura cristiana. L’opera esce nel 1851 suscitando un grande stupore per le profonde conoscenze dell’autore. Comincia allora a lavorare al prossimo libro, “Dogme et Rituel de la Haute Magie”, ed assume lo pseudonimo di Éliphas Lévi Zahed, traduzione ebraica di Alphonse Louis Constant. Su richiesta di un iniziato agli alti gradi, Éliphas si cimenta in una

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serie di evocazioni magiche. Durante una di queste gli appare lo spirito di Apollonio di Tiana, che gli indica Lourdes come il luogo dove potrà trovare Nyctemeron, di cui aveva parlato in “Dogme et Rituel de la Haute Magie”. Éliphas Lévi si ripromette allora di non cimentarsi più nella magia operative. Quando in seguito avrà degli allievi, farà loro prestare un giuramento di rinuncia agli esperimenti magici e di impegno esclusivo nella parte speculativa della filosofia occulta. Soffermandoci su quest’episodio, si ha l’esatta dimensione di un uomo che distillava le sue convinzioni più sui libri, di quanto non facesse nella vita quotidiana. Éliphas Lévi fu anzitutto un teorico più che un operatore come Papus e del resto la sua vicenda non è stata caratterizzata dall’interesse esclusivo per la philosophia occulta, ma piuttosto da variegate passioni che ne hanno contrassegnato l’evoluzione del pensiero. Dal sacerdozio all’occultismo, passando per la politica: un cammino esistenziale alquanto travagliato più che una scelta di vita vera e propria. Éliphas Lévi, del resto, non aveva alcun problema a mettersi nei panni dello studioso che assembla documenti ed informazioni variegate e disparate, perché era in grado di amalgamare ecletticamente nei suoi libri il profluvio dei dati. Egli aveva la mentalità del sincretista, ma non del sistematico. Appare evidente il tentativo di Éliphas Lévi di conciliare il sovrannaturale con la scienza moderna. Del resto questo sincretismo è peculiare a tutti gli occultisti, ma è soprattutto con quelli del XIX secolo che si manifesta la propensione a dimostrare come queste teorie possano convivere con gli assunti della scienza, senza per questo uscirne ridimensionate o reinterpretate. In “Il Dogma dell’Alta Magia” Éliphas Lévi riconosce l’esistenza di una filosofia occulta che sarebbe la nutrice o madrina di tutte le religioni, di tutte le forze intellettuali, di tutte le “forze oscure”. Questa dottrina primordiale costituisce il tronco nascosto di tutte le sacre scritture e di tutte le iniziazioni, assunte così a ramificazioni particolari e contingenti dell’unico albero. Essa germina tutte le tradizioni iniziatiche e religiose dell’Egitto, dell’India brahmanica, della Grecia, della Persia. La conoscenza di questa dottrina rende gli adepti in grado di esercitare un controllo assoluto sulla materia. La dottrina primordiale non è altro che la Cabala, arbitrariamente identificata con la scienza dei magi, la cui alleanza originale con il cristianesimo è stata disconosciuta per paura ed ignoranza. Riconoscere questa concordanza significa, per Lévi, riuscire a conciliare la scienza con il dogma, la ragione con la fede, tentando di articolare questa commistione adattandola alla gergalità scientifica dell’epoca, con il risultato di continuare nell’oscillazione interna alla dicotomia scienza-arcano del suo tempo. Nel 1859 pubblica l’ “Histoire de la Magie”, che riscuote un notevole successo e gli fa conoscere molti esponenti dell’esoterismo dell’epoca. Il 14 maggio 1861 riceve l’iniziazione massonica. Dopo il rito, alla presenza di un grande numero di Fratelli, gli viene concessa subito la parola per spiegare l’origine cabalistica del simbolismo massonico: tuttavia il tentativo

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non riscuote un grande successo. Nel frattempo Éliphas continua le sue lezioni sulle scienze occulte di fronte ad un grande numero di eruditi, appartenenti all’aristocrazia parigina. Il 21 agosto 1861 la Massoneria gli conferisce il grado di maestro. Durante la presentazione di un lavoro in Loggia sui misteri dell’iniziazione, viene confutato da un Fratello, il professor Ganeval. Éliphas, abituato ormai alla deferenza e a non essere contraddetto, lascia la Loggia e la Massoneria. Falliti tutti i tentativi di fargli cambiare idea, nel 1865 la Loggia di Éliphas, intitolata “Rose du Parfait Silence”, cade interamente in sonno. Il 29 agosto del 1862 edita“Faubles et Symboles”, opera essenziale sul simbolismo, in cui analizza nel dettaglio i simboli del pitagorismo, dei Vangeli apocrifi e del Talmud. Intanto frequenta i circoli dello spiritismo, più che altro per documentarsi sul fenomeno. Nel 1865 scrive un nuovo libro sui simboli “La Science des Esprits”. Nell’estate dello stesso anno il suo editore gli chiede di scrivere un trattato sulla Cabala, si dedica così a tempo pieno alla stesura di “Les Livre des Splendeurs”, incentrato principalmente sui contenuti dello Zohar, che uscirà postumo. Lévi, dopo aver fatto sfoggio di erudizione e di avere citato diversi miti come forme distinte e riconducibili all’unico segreto, rivela che il libro che “riunisce tutto il genio filosofico e il genio religioso”, “tesoro cinto di spine, diamante nascosto”, non è altro che il Talmud in cui si nasconde “la vera filosofia segreta e tradizionale”. In questo libro, sempre secondo Lévi, si nascondono le chiavi di lettura della vera Cabala, che si troverebbe alla base delle religioni e della scienza. Nella Cabala si concilia l’alleanza della ragione con il Verbo e la fede,“il potere con la libertà, la scienza col mistero, essa ha le chiavi del presente, del passato e dell’avvenire”. Dunque la Cabala è il principio e la radice di tutti i rami della conoscenza; la sua padronanza garantisce il superamento dell’aporia ragione-fede. Contesta la validità del cogito cartesiano: infatti, anziché principiare dal “Cogito, ergo sum”, sarebbe preferibile farlo dall’“Ego sum qui sum”, con cui inizia la rivelazione divina nell’uomo. Quest’ultima è la manifestazione della ragione universale a quella umana, è il trait d’union in grado di realizzare l’Uomo-Dio. Secondo Éliphas Lévi non ha senso sostenere con Descartes che l’autocoscienza si produce dalla certezza di pensare, perché da quest’ultima scaturisce piuttosto la dimostrazione dell’esistenza dell’Essere superiore. Dunque il Verbo divino regala la scintilla del pensiero razionale all’uomo, ma nello stesso tempo gli si rivela come suo fondamento. Lévi dunque risale all’esistenza di una Causa prima aristotelica, ma elabora una serie di teorie del tutto estranee al pensiero dello stagirita. Per Lévi il Verbo è il velo dell’essere, identificato con l’idea platonica del principio anipotetico (idea della Verità assoluta, assolutamente indimostrabile). Ma la forma è, sempre per Lévi, a sua volta il velo del Verbo; quindi l’idea (essere) è la madre del Verbo e la ragion d’essere della forma. Il velo simboleggia qui la dissimulazione della realtà segreta; per converso lo svelamento equivale alla rivelazione, alla conoscenza. Per Lévi è quindi l’idea a strutturare la forma, secondo il principio delle corrispondenze espresso dalla Tavola Smeraldina “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, ciò che è in basso è come ciò che è in alto”. La forma è dunque proporzionale all’idea, dato che quest’ultima è la matrice del Verbo e del mondo formale e materiale. Ma se è vero che possedere l’idea significa plasmare la forma, allora in virtù della rivelazione del Verbo divino “Sono colui che sono”, l’uomo deve avere il potere latente di pa-

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droneggiare l’immaginazione-rappresentazione che forgia la materia. Quindi se l’immaginazione è in grado di ricollegare il pensatore all’idea suprema, o se si preferisce all’essere, per Lévi è evidente l’unità di una sola ragione, di una sola filosofia. Questo principio unico, che Lévi chiama “Dogma”, non è altro che l’identità tautologica dell’essere con se stesso, che si concretizza in una metafisica monista. Il divenire, i fenomeni visibili diventano allora manifestazione dell’invisibile. Il principio supremo che determina gli enti transeunti, nel suo “Dogma dell’Alta Magia”, è in altre parole l’identità autoreferenziale dell’essere. É verosimile pensare che Éliphas Lévi dovesse conoscere l’idealismo tedesco, la filosofia di Fichte, Hegel, Schelling, conoscenze acquisite probabilmente nel periodo giovanile degli studi in seminario. A questo proposito si deve rammentare l’enorme impatto dell’idealismo, specialmente del pensiero di Hegel, sulla teologia e la filosofia della religione. Tuttavia, alla presunta conoscenza della dialettica hegeliana, si deve aggiungere anche la più sicura padronanza di Lévi della teoria cabalistica sull’emanazione delle Sefirot. Tutti e due i sistemi di pensieri, dialettica hegeliana e Cabala, forniscono una spiegazione di come possa scaturire dall’identità la differenza - ossia gli altri numeri dall’uno - senza trascurare nemmeno la possibilità che Lévi avesse letto Fichte, autore, tra l’altro, come lui legato alla Massoneria. Con “idealismo magico” si designa una branca esoterica dell’idealismo che si rifà appunto a Fichte e secondo il quale la realtà che viviamo è esclusivamente una realtà mentale in cui all’IO (il soggetto) si oppone un non-lO (l’oggetto) da egli stesso prodotto nel processo di rappresentazione della realtà personale. Tale rapporto può essere definito “magico” nel momento in cui l’IO si riconosce come creatore della propria realtà, infrangendo la barriera che lo divide dal resto del mondo ed instaurando un rapporto“magico”con l’esistenza di cui egli è il primo motore: ciò che deve fare è assumere una diversa prospettiva sulle cose. Ruolo fondamentale, in questo processo, è assunto da quella che Fichte definisce “immaginazione produttiva”, la facoltà inconscia del soggetto trascendentale (l’Io) di produrre la propria realtà. In base a ciò il mago è quindi colui in grado di intraprendere un percorso interiore al fine di prendere il pieno controllo di tale facoltà inconscia e dunque del processo creativo della propria realtà vissuta, divenendo così consapevole dell’Universo che alberga presso sè, nel tentativo di sprigionare l’immensa forza creatrice che a malapena sospettiamo di possedere. Sfiorando in tal modo l’Assoluto, ne diveniamo padroni. L’uomo è infatti dotato di una potenza magica, per lo più ancora inutilizzata, che può essere attiva se si ridesta la creatività di cui egli è inconsapevolmente capace, diventandone consapevole e

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usandola coscientemente e volontariamente. Ciò può essere il frutto di un esercizio di vigilanza e di attenzione tali da trasformare l’inconsapevole in consapevole e da sviluppare le facoltà dell’uomo, incrementandone l’attività. In questo senso, quanto più diventiamo attivi (diminuendo la nostra inerzia), tanto più il mondo esterno perde potere su di noi, essendo esso null’altro che la nostra inerzia (spirito addormentato). Sicché vincere l’inerzia significa vincere la resistenza del mondo nei nostri confronti, recuperare le forze latenti, estendere il dominio della volontà. Nel 1874 una bronchite persistente, unita a un gonfiore alle gambe, mette a dura prova la salute di Eliphas Levi ed il 31 maggio 1875 si spegne all’età di 65 anni. Seppellito al cimitero d’Ivry, nel 1881 i suoi resti sono riesumati e gettati in una fossa comune. Ma nella Francia di Eliphas è in agonia anche l’idealismo magico; considerato un’inutile astrazione metafisica, soppiantato dal positivismo, fautore del metodo scientifico da applicare a tutte le sfere della conoscenza e della vita dell’uomo. É un mutamento repentino e molto più incisivo di altri accorsi nei secoli precedenti, che stravolge non solo le dimensioni spazio-temporali ma anche quelle intellettuali dell’uomo. Egli ripone la sua fiducia nella sola ragione come mezzo per conseguire la “pubblica felicità”, accantonando l’atavica esigenza del sapere come processo infinito per cui la creazione della realtà vissuta avviene principalmente mediante i sensi ma, finché non prendiamo il controllo della nostra interiorità, vivremo l’esistenza in maniera prettamente passiva. L’idealismo magico nasce con lo scopo di ribaltare questa condizione. “Ciò che distingue l’idealismo magico è il suo carattere essenzialmente pratico: la sua esigenza fondamentale è non di sostituire una intellettuale concezione del mondo ad un ‘altra, bensì di creare nell’individuo una nuova dimensione e una nuova profondità di vita...” (“L’idealismo magico”, Julius Evola, pp.91). n

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IL CAVALIERE BENEFICENTE DELLA CITTÁ SANTA NELLA TRADIZIONE LIBERO-MURATORIA EGIZIA Eleazar Il Grado di Cavaliere Beneficente della Città Santa (in francese Chevalier Bienfaisant de la Citè Sainte ed in inglese Knight Beneficent of the Holy City) appartiene alla Scala Iniziatica del Rito di Misraïm di Venezia del 1788: si trova al 67° Grado della Terza Serie ed Undicesima Classe di quella Scala, ma si hanno poche notizie sulla sua effettiva pratica da parte di quella Comunione Iniziatica e a noi sono giunti solo pochi frammenti di un testo che ha caratteristiche evidentemente mutuate da altre tradizioni muratorie, prima di tutto la sua evidente caratura cristica ed il richiamo alle virtù teologali in maniera molto più marcata rispetto ad altri gradi. Non a caso non troviamo un grado corrispondente nella parallela Scala del Rito di Memphis di Etienne Marconis de Nègre e neppure nella Scala rivisitata di John Yarker sia a 95 che a 33 gradi. Parimenti non abbiamo elementi nell’opera di Théodore de Tschoudy, i cui elaborati hanno grande importanza nei Regimi Egizi, che in qualche modo possano aver ispirato questo testo. Siamo quindi portati ad ipotizzare, con tutte le cautele del caso, che questo grado sia stato in qualche modo derivato dal corrispondente Grado del Rito Scozzese Rettificato, un Rito che è stato codificato in occasione del Convento di Wilhelmsbad nel 1782 sotto la presidenza del duca Ferdinando de Brunswick-Lunebourg che in quello stesso convento venne eletto alla Gran Maestranza. Il Rito Scozzese Rettificato, rispetto alle coeve tradizioni muratorie che si limitavano a chiedere ai loro adepti l’esistenza in un Essere Supremo, generalmente noto come Grande Architetto dell’Universo, ha come caratteristica principale quello di pretendere dai suoi membri una forte ed incrollabile fedeltà alla religione cristiana. Questo Rito prevede unicamente sei gradi e, pur essendo ancor oggi sufficientemente praticato, soprattutto in Francia, i suoi rituali sono stati oggetto di pochissime modifiche dal XVIII secolo ad oggi. Durante quel convento vennero stesi i rituali dei tre primi gradi simbolici e l’articolazione del Quarto Grado (Maestro Scozzese) dove sono stati integrati alcuni elementi dell’Ordine degli Eletti Cohens1. In quel contesto avvenne anche la riforma di quello che era chiamato il “Codice Muratorio delle Logge Riunite e Rettificate di Francia” (Code Maçonnique des Loges Réunies et Rectifiées de France), detto anche Codice di Lione, e quello del Codice Generale dei Regolamenti dell’Ordine dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa. Questo lavoro era avvenuto al fine di formare il “Codice Muratorio 1

L’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohens dell’Universo è stato fondato nel 1760 quando Jacques de Livron de la Tour de la Case Martines de Pasqually incominciò ad iniziare i suoi primi allievi in una Loggia chiamata “Josué”, fondando un Capitolo massonico operativo, denominato Tempio degli Eletti Cohens, cui seguì una seconda Loggia chiamata “La Française”. Martinez ebbe nel 1767 a riunire i vari capitoli fondati in Francia nell’unico Sovrano Tribunale dell’ Ordine del Cavalieri Massoni Eletti Cohens dell’Universo.

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delle Logge Riunite sotto il Regime Scozzese Rettificato”(detto anche Codice de Wilhelmsbad) e meglio disciplinare l’Ordine dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, affidato ad un gruppo di segretari. Questi lavori avrebbero poi dovuto essere ratificati da un successivo Convento che non si tenne mai a causa del sopravvenire della Rivoluzione Francese. Questo studio venne comunque proseguito e portato in qualche modo a termine da Jean-Baptiste Willermoz2 e costituisce la prima completa versione dei rituali, i quali fra il 1787 ed il 1820 vennero per tre volte rivisitati sulla base delle esperienze fatte in precedenza dall’estensore nel campo dello spiritismo e dell’alchimia. Ancora oggi il Cavaliere Beneficente della Città Santa, spesso designato con la sola sigla CBCS, costituisce un grado del Rito Scozzese Rettificato basato sui rituali redatti da Jean-Baptiste Willermoz. La caratteristica di questo Ordine Muratorio è quella di avere una struttura organizzativa fortemente gerarchizzata che culmina in un ordine interiore, chiamato appunto Ordine dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa. In un Regime Egizio, per la sua natura, questo grado riveste più che altro un interesse a livello storico: per il suo contenuto intrinseco, non ha alcuna ragione di essere praticato, a meno che non si operi in un contesto prettamente gnostico. DISPOSIZIONE DEL TEMPIO Il Consesso dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, che nel Misraïm di Venezia prende il nome di Sovrano Consiglio, operava secondo quel testo in una camera di forma triangolare al cui vertice, posto ad Oriente, è posto il Trono del Presidente, chiamato Eminentissimo Gran Priore. Le Logge locali erano chiamate anche Capitoli di Prefettura, in ottemperanza all’antica tradizione della ripartizione territoriale fissata nel 1782. Le loro pareti sono decorate interamente con tendaggi bianchi. Al di sopra del Trono è posto il Tetragrammaton con inciso il Nome Ineffabile in lettere ebraiche. Alla destra della porta di ingresso vi è un’urna o cassetta di legno chiusa con tre diverse serrature sulla quale sono incise le lettere P∴, L∴ e A∴. La Loggia è illuminata da 67 Luci (il testo veneziano non precisa come queste luci debbano essere raggruppate o posizionate). Questa disposizione del Tempio è stata da molto tempo abbandonata e le versioni più recenti di questo Grado, ove praticato, prevedono una camera rettangolare ed un arredamento del Capitolo molto più ricco (queste informazioni derivano da un rituale in lingua inglese che risale al secolo XX, tuttora utilizzato negli Stati Uniti, il cui testo presenta molteplici analogie con un testo francese più antico ed è molto probabile che ne costituisca una traduzione). I tendaggi sono, per tutte le pareti, di colore rosso e di identico colore è il baldacchino posto all’Oriente sopra la cattedra del Gran Priore. Sull’Altare, coperto da un panno rosso, è posto il Libro della Legge Sacra ed un candelabro a tre luci con candele di colore rosso, che viene acceso dal Maestro delle Cerimonie 2

Jean-Baptiste Willermoz (Lione 1730-1824), allievo di Martinez de Pasqually, è un libero muratore francese che nel secolo XVIII ha giocato un ruolo estremamente importante nella costruzione dei cosiddetti Alti Gradi, elaborando testi rituali in gran parte adottati ancora oggi in alcuni paesi europei.

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prima dell’apertura dei Lavori e portato nel Tempio all’ingresso dei Cavalieri. Sotto il baldacchino è appeso uno scudo con una teschio e la scritta“Memento mori”; più in basso un secondo scudo con una fenice ed il motto “Perit ut vivat”; altri tre scudi sono posti sulle pareti d’Oriente, uno con una fenice ed una croce patente, uno con un pellicano ed uno con un cavallo che ha in sella due cavalieri. Sul tavolo del Gran Priore viene posto all’apertura dei Lavori un candelabro a nove luci con candele di colore rosso che rappresenta il simbolo dell’Ordine. All’Oriente, all’estrema destra del Gran Priore (cioè sul lato sud) è posto un trofeo d’armi ovvero una rappresentazione di un cavaliere con una completa armatura e munito di lancia che verrà mostrato al Neofita alla fine della cerimonia di elevazione al Grado. Sulle pareti laterali sono appesi due medaglioni per lato. Al centro del capitolo sono presenti due croci patenti rosse appese con un nastro bianco. Tutti i cavalieri hanno una spada a disposizione posta vicino ai loro seggi. All’Occidente è posta una poltrona per il Maestro delle Cerimonie, che siede davanti al Cavaliere di Guardia. Vi è un gabinetto di riflessione dove sono presenti numerosi oggetti da utilizzare durante la celebrazione della cerimonia di ricezione di un Neofita (chiamato anche Novizio): il questionario, una brocca che contiene acqua, un bacile, un tovagliolo e la tunica nera che dovrà indossare il Neofita. Durante la cerimonia di ricezione sul tavolo del Gran Priore oppure su quella del Prefetto sono presenti i paramenti da consegnare al Neofita, fra i quali spicca l’anello d’oro. UFFICIALI ED ABBIGLIAMENTO Il Presidente del Sovrano Consiglio è chiamato Eminentissimo Gran Priore. Egli siede all’Oriente e nelle tornate normali si limita a recitare le preghiere rituali, affidando la direzione del Capitolo al Reverendissimo Prefetto (o Precettore), e cede il maglietto al Gran Priore solo durante le cerimonie di elevazione al Grado. Gli Ufficiali, o Governatori, sono chiamati semplicemente Cavalieri. Fra di essi vi sono le figure del Maestro delle Cerimonie, del Decano, che è la figura più anziana della Loggia, e che funge da Oratore sedente ad Oriente alla sinistra del Gran Priore, del Copritore Interno, detto Cavaliere di Guardia, che siede ad Occidente, dell’Ospitaliere, che siede sulla colonna del Sud e del Tesoriere, che siede sulla colonna del Nord. All’Oriente, alla destra del Gran Priore e del Prefetto, siede il Cancelliere del Capitolo, che ha funzioni di Segretario. Ad occidente, con funzioni di Primo Sorvegliante, siede un Cavaliere Priore Anziano, mentre a mezzogiorno all’altezza dell’altare siede il Cavaliere Priore che assume le funzioni di Secondo Sorvegliante. Anticamente, secondo il rituale di Venezia, tutti i Cavalieri erano dotati di una spada, portavano un grembiule bianco bordato e foderato di rosso, come quello dei Maestri del Rito Scozzese. Al centro del grembiule era disegnata una cassetta sulla quale erano incise le lettere P∴, L∴ e A∴). Essi portavano anche una fascia bianca listata di rosso con sopra incise sul davanti le lettere S∴ C∴ D∴ C∴ B∴ C∴ S∴ e la cifra 67. La fascia serviva anche come bandoliera per la spada. I rituali più recenti hanno soppresso il grembiule e mantenuto solo la fascia o sciarpa bianca che non porta alcuna scritta ed alla quale viene appesa una croce di S. Andrea

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oppure ricamata o appesa una croce patente rossa che ha funzioni di gioiello del grado. Il grembiule è stato sostituito da un collare di colore rosso al quale è appesa, all’altezza del cuore, una croce patente rossa, oppure questa croce è ricamata sul collare. I Cavalieri indossano anche un mantello bianco con ricamata sul lato sinistro una croce patente rossa, identico a quello dei Templari. Essi portano anche, come già accennato, al dito mignolo destro un anello d’oro, simbolo di fedeltà e solidarietà. Il compito principale dei Cavalieri è quello della beneficenza: per questa ragione tre volte al mese il Gran Priore incarica un Cavaliere, scelto fra i più anziani, di distribuire a famiglie indigenti, una certa quantità di aiuti determinata in precedenza. Quando vi è scarsità di fondi, il Gran Priore può rivolgere un appello ad ognuno dei Cavalieri membri del Consiglio affinché provvedano, nel limite delle loro possibilità, ad integrare i fondi medesimi. Le due fonti spirituali di quest’Ordine Cavalleresco sono, da una parte, la dottrina esoterica di Martinez de Pasqually (la cui essenza è l’origine prima, condizione attuale e destino ultimo dell’uomo e dell’universo) e la Tradizione occidentale. Queste due dottrine si sostengono a vicenda contribuendo “a formare Uomini/Templi di Dio”: diceva Gabriele D’Annunzio, “...gli Ordini Cavallereschi sono stati e sono l’espressione visibile e tangibile dei più alti fra i sentimenti che possono albergare nell’animo umano: fortezza, spirito di sacrificio, valentia, fedeltà all’idea e alla parola data sino alla morte, ed oltre”. n

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I SUONI SACRI E LA SCIENZA DEI MANTRA IN INDIA Arjuna È da tempo immemore che in India viene trasmessa una scienza basata sui suoni per raggiungere i più alti stati di coscienza, è l’antica scienza dei mantra, le vibrazioni essenziali dei nomi divini capaci, se cantati con l’intonazione giusta, nei centri energetici giusti di cambiare la coscienza e di portare il praticante agli stati di trance chiamati“samadhi”. Inoltre capaci di mettere in contatto l’adepto con le Divinità che risiedono secondo questa scienza all’interno del praticante stesso nei 7 chakra principali, dentro la sua colonna energetica chiamata “Sushumna-nadi”. Esistono degli Shastra, cioè dei libri di conoscenza, dove la scienza dei mantra viene spiegata nei minimi dettagli. Fu l’arduo compito di Artur Avalon di tradurre i“Mantra-shastra” in inglese, di cui è famoso il libro “Ghirlanda di lettere” (Varnamala). I mantra si dividono sostanzialmente in due categorie, quelli basati su dei suoni che fanno vibrare il corpo sottile del praticante, il cui effetto nasce solo unicamente dalla vibrazione, e tutta quella famiglia dei vari nomi delle Divinità appartenenti all’ampio Phanteon induista. I primi sono chiamati“bija-askhara“e non hanno necessariamente una traduzione, i secondi “nama mantra”. I principali bija-askhara sono circa una quindicina e si trovano frequentemente nelle scritture. Sono per esempio “Kliim”,“Hriim”,“Aiim”,“Gam” etc., e sono nati dalla chiaroudienza degli antichi Rishi, i Santi-veggenti, che ascoltando le vibrazioni all’interno di loro stessi in profonda meditazione, le hanno poi tradotte in questi tipi di suoni che variano un pochino tra il Nord ed il Sud dell’India, quello che da un lato dell’India è chiamato “Kliim” da un altro lato dell’India poteva essere chiamato “Kliing”, oppure se nel Sud c’è “Aiim” nel Nord troviamo “Aing”. Possiamo bene o male notare che i suoni sono sempre più o meno gli stessi. É appannaggio del Buddhismo tantrico tibetano il grande utilizzo di questi suoni per invocare le Divinità che risiedono sia nel microcosmo, quindi all’interno del praticante, che nel macrocosmo, situate invece, nei vari piani di coscienza (Loka). Questi suoni sono molto molto potenti e devono essere attivati perché funzionino. É tradizione in India passare dei periodi a volte anche abbastanza lunghi come apprendista nella casa del maestro, chiamata Gurukula (Gu: luce che rimuove; Ru: oscurità; kula: radice). La casa del maestro in genere era nella foresta perché queste scienze hanno bisogno di un ambiente molto calmo. Inoltre, l’adepto a questa scienza deve dedicare ad essa molto tempo affinché la sua mantra-sadhana (pratica occulta basata sul suono sacro) possa portare il frutto desiderato. In genere, l’apprendista seguiva un periodo di servizio piuttosto lungo, in cui tagliava la legna,

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puliva la casa, cercava il cibo per il maestro e intanto si bagnava nelle sacre vibrazioni del campo aurico del Guru, potentemente risvegliato. L’apprendista veniva parzialmente risvegliato grazie alla sua devozione e al suo servizio al Guru in questo periodo, ma non era poi detto che il maestro accettasse di iniziare l’apprendista alla sacra scienza che era in genere o quella del soffio o quella del suono. Queste scienze in realtà miravano a risvegliare il cosiddetto potere serpentino, cioè il potere dello Spirito Santo come lo chiameremmo nella nostra tradizione, che una volta risvegliato all’interno del corpo del praticante nel centro del coccige (Kunda), secondo i racconti dei mistici, si innalza potentemente verso la testa. Questo potere di milioni e milioni di Watt sale lungo la sushumna, il canale centrale, ed Ida e Pingala i due canali laterali per fissarsi in maniera definitiva sopra la testa come un grande fuoco esattamente come dipinto e descritto nel risveglio che avevano avuto i discepoli di Gesù Cristo nel momento della Pentecoste. Questa risalita infatti apre la corona e fa poi discendere da sopra la testa delle energie cosmiche superiori, che fondendosi con esso si fissano definitivamente sopra la corona, sopra il settimo centro nella forma di una grande fiamma chiamato Jivatman o “centro filtro” dell’Atman situato invece a un metro e mezzo sopra la testa. Il Jivataman è quindi un ottavo centro di coscienza. I bijashkara (come i suoni citati sopra) hanno la capacità di unire le energie di più Chakra, per esempio il suono“Kliim”unisce le energie partendo dal muladhara (primo centro energetico) fino all’Anahata Chakra. Per questo viene chiamato Kamaraja mantra o mantra che concede di governare l’energia del desiderio. Il suono “Hriim” invece unisce il Chakra della gola al chakra del terzo occhio donando enorme quantità di Shakty (Potere). La combinazione di questi mantra è una faccenda molto complessa. Per esempio combinando prima Kliim e poi Hriim si ottiene un certo effetto psichico, mentre la combinazione contraria fa ottenere un’effetto psichico completamente diverso. Queste combinazioni verranno fatte tramite la profonda capacità dell’insegnante di vedere all’interno del fisico sottile del praticante, i suoi nodi psichici chiamati “Granthi” e saper calibrare i mantra in maniera proporzionale alle difficoltà che l’aspirante incontra. Quindi questa scienza non era una scienza studiabile e praticabile da soli. Aveva, ed ha, sempre e comunque bisogno di uno stretto rapporto tra maestro e discepolo o Guru-shishya. Per questo si viveva con questi esseri, con questi maestri nella foresta, che guardando attentamente il discepolo capivano immediatamente quali erano i nodi che egli aveva ancora da sciogliere, perché quegli stessi nodi che bloccavano le energie nel canale centrale o“Via Regia”o“Shushumna”del praticante si potevano verificare nel carattere del discepolo. A volte, prima di donare un’iniziazione al mantra, il discepolo trascorreva anche dieci

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o vent’anni a prestare servizio e veniva testato molte volte, alcune anche ingiustamente, a volte veniva anche insultato o scacciato, denigrato per verificare il suo stato di umiltà, di devozione, di sottomissione: questo, perchè i mantra danno molto potere e risvegliano velocemente la coscienza, ma anche le zone del carattere più nascoste, più subconscie. Il Guru doveva quindi occuparsi di quegli aspetti del carattere come l’attaccamento, l’invidia, la gelosia, la collera. Quindi la distruzione degli aspetti negativi del carattere e la ricostruzione dello stesso, sulla base delle leggi universali. Questo era l’arduo compito che veniva metodicamente intrapreso dal Maestro prima dell’iniziazione formale. Poi, durante l’iniziazione, il suono veniva insufflato nell’orecchio sinistro del discepolo intriso di “prana shakty” o energia vitale del Guru, che assieme al suono, gettava dentro al discepolo il potere di realizzazione al mantra. Senza questo passaggio di Forza, o Shaktypath, il mantra potrebbe essere equiparabile ad una medicina scaduta. Il passaggio di Forza, è paragonabile un pochino a quando un poco di yogurt viene messo in un contenitore di latte, sufficientemente riscaldato. Lasciando depositare il tutto per parecchie ore, tutto il latte diviene naturalmente yogurt. Allo stesso modo la potenza del Guru attraverso l’iniziazione viene trasferita dal Maestro al discepolo. Successivamente il discepolo dove isolarsi e trovare il tempo di cantare il mantra un certo numero di volte ogni giorno, accumulando giorni e giorni di pratica fino ad arrivare a cantare il mantra almeno 16 milioni di volte. Per chi non ha ricevuto l’iniziazione si parla di 60 milioni di volte. Concluse tali austerità, il mantra in genere, veniva accettato dal corpo sottile del discepolo e si auto-cantava da solo. Il praticante arrivato a questo punto, avendo accumulato molta Shakty, bastava che ascoltasse il mantra ripetersi dentro di lui nella sua mente o nel suo cuore, dato che tutto il suo corpo sottile era impegnato da quel tipo di vibrazione. Il mantra era definitivamente entrato e questa vibrazione Divina faceva parte del discepolo. A quel punto era facile poi il ritorno al Sè spirituale del discepolo perché egli non doveva più occuparsi di ripetere il mantra ma poteva occuparsi di ascoltare il mantra ripetersi da solo, e ascoltandolo poteva successivamente occuparsi di osservare “Chi” stava ascoltando il mantra; da che punto di se stesso veniva ascoltato. Veniva quindi scoperto quello che è chiamato anche “Shakshy”, il testimone. Ecco che si apriva la porta della Coscienza e dalla Coscienza poi la porta della Consapevolezza. Infatti la Coscienza sta a metà tra i vari corpi del discepolo - chiamati in India Prakriti o Natura inferiore del discepolo (corpo mentale, emotivo, pranico, eterico, fisico) - ed il suo stesso Sé, che è invece è la Sua parte spirituale. Il Discepolo ha quindi usato il mantra per uscire dal vortice di pensieri, dal vortice delle emozioni, per disidentificarsi; e quindi fatto questo, riusciva a rimanere completamente immobile in questo stato di pura osservazione“Shakshy Bhava”. Nel momento in cui lo stato di pura osservazione era prolungato sufficientemente, allora Kundalini si risvegliava perché attivata dal “calore” prodotto dallo stato di immobilità concentrata, e risaliva sopra il capo cercando di unirsi a Shiva (Padre Divino). Ecco che dallo stato di Coscienza, il discepolo diventava consapevole della propria Vera Natura, del Sè infinito senza forma che è oltre il chakra della Corona.n

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IL VALORE EDUCATIVO DEL SIMBOLISMO ASTROLOGICO Hathor Go-Rex “La superstizione sta alla religione come l’astrologia sta all’astronomia, la figlia pazza di una madre prudente.” [Voltaire] “Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti ma posto ch’io ‘l dica, lume v’è dato a bene e a malizia e libero voler; che, se fatica, nelle prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si nutrica” [Dante-Purgatorio XVI, 73] Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.” [Giordano Bruno]

“L’Antica Saggezza insegna che lo spazio è un entità e l’astrologia si occupa della vita di questa entità” scrive la Baeily riguardo tale disciplina, materia pratica, occulta e metafisica, un connubio di scienza, religione e filosofia che studia le influenze planetarie, i movimenti cosmici e le forze che ne sono alla base. Indissolubilmente legata all’astronomia con essa unisce il visibile (materia) all’invisibile (forze agenti su di essa) come anima e corpo e basandoci sul fatto che “questo mondo è necessariamente collegato ai movimenti del mondo superiore” (Arioistotele, Trattato del cielo), lo studio dell’astrologia possiede quindi un valore educativo nella conoscenza di se stessi in rapporto sia alla massima affermata dal Trismegisto,“come in alto così in basso”, che all’analogia tra macrocosmo e microcosmo (universo e uomo) quali riflesso l’uno dell’altro. L’astrologia si basa sull’idea che vi sia un’unità e un’interdipendenza tra tutti i componenti del cosmo (principio applicabile anche all’essere umano) nonchè sul fatto che i corpi celesti e gli individui siano animati dalla medesima energia. Le influenze planetarie sull’uomo, sulla natura, non sono quindi né un dato trascurabile, né frutto di superstizione ma un meccanismo da comprendere studiando dapprima singolarmente ogni ingranaggio e in seguito le loro varie combinazioni. Il simbolismo dello zodiaco, la cui valenza è universale, e le previsioni astrologiche, contengono quindi un messaggio tutt’altro che assoluto poiché soggetto a innumerevoli variabili che, se trascurate, renderebbero la previsione imprecisa o errata. Tali previsioni contengono inoltre un doppio significato: uno exoterico alla portata di tutti, l’altro esoterico, la cui sfumatura occulta potrà essere colta solo da coloro che abbiano intrapreso un cammino iniziatico e da cui potranno trarre un prezioso strumento di conoscenza di sè. Riconoscendo e

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controllando le reazioni agli influssi cosmici agenti sulla personalità e imparando così a porci rispetto agli eventi in una posizione quanto più distaccata possibile, potremo divenire osservatori delle nostre emozioni e non succubi e, attraverso meditazione e introspezione, trarre da tali forze metafisiche uno strumento di evoluzione. Una volta comprese le cause relative alle manifestazioni impareremo a dirigerle a nostro vantaggio e, non essendone più meramente assoggettati, diventeremo attivi costruttori del nostro destino, «Parte una nave diretta verso Est, ne parte un ‘altra diretta verso Ovest, mentre il vento soffia in una direzione. Così è l’assetto delle vele, e non il vento che determina la meta da raggiungere». Il segno zodiacale sotto cui nasciamo racchiude e indica gli aspetti qualitativi, le inclinazioni, le attitudini che ci caratterizzano lungo il corso di suddetta esistenza e il tema natale l’interezza delle condizioni karmike soggettive e relative sia alla nostra attuale incarnazione che a quelle precedenti. Sicuteri afferma: “Il linguaggio astrologico è strutturato sul rapporto fra il cielo e l’uomo, dove il cielo è il significante e l’uomo il significato. Quindi il cielo, al momento esatto di una nascita, con la sua particolarissima configurazione astrale è il significante dell’individuo che nasce e costui, mediante la lettura del suo tema natale, potrà prendere coscienza del proprio firmamento interiore e del suo valore archetipico. Ogni uomo, al momento della nascita, è inquadrato in una determinata configurazione astrale e questa configurazione è come fotografata nella psiche inconscia sotto forma di messaggio o memoria archetipica”. Le forze planetarie agiscono in qualità di stimoli od ostacoli poiché esse condizionano ma non determinano le nostre azioni, evolvere od involvere portando o meno a termine il proposito dell’anima nel percorso di vita è sempre frutto di libero arbitrio, “i corpi celesti sono la causa di ciò che avviene in questo mondo sub-lunare; agiscono indirettamente sulle azioni umane ma non tutti gli effetti che producono sono inevitabili” (San Tommaso d’Aquino, Somma). Il tema natale sta a indicare quali sono le condizioni karmike che noi stessi abbiamo costituito nelle incarnazioni passate nonché le opportunità più consone alla personale progressione interiore. La situazione in cui nasciamo non è quindi mai frutto del caso, ma conseguenza del passato nonché seme per il futuro,”l’uomo racchiude in se un’influenza ben più grande di quella degli astri; se vive secondo giustizia supererà le influenze, ma se segue le proprie cieche inclinazioni e si abbassa al rango dei bruti e degli animali, vivendo come questi, allora il re della natura non comanderà più ma sarà quest’ultima a comandarlo” (Tycho Brahè). Ognuno di noi ha quindi il compito di utilizzare i difetti che si trascina dietro al pari dei talenti che gli sono stati elargiti come strumenti di evoluzione, conoscenza e consapevolizzazione di sè, attraverso lo studio delle simbologie zodiacali la cui importanza è ben affermata dalle parole di un grande studioso quale Mircea Eliade, secondo cui “le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono ad una necessità e adempiono ad una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere”.

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Il progresso scientifico dell’epoca moderna ha reso la nostra mente così razionale da renderci dimentichi che oltre la carne ognuno di noi è costituito di anima, spirito ed emozioni, e che ogni manifestazione fisica è conseguenza di una forza metafisica, una fitta rete di energie invisibili regolano l’intero universo e solo imparando a conoscerle potremo armonizzarci con esse. Astrologia, in ebraico, ha una ghematria di 330, numero corrispondente alla parola archetipo, assioma che ne palesa le profonde analogie. Il concetto di archetipo si riferisce e agisce secondo esperienze innate e inconsce da sempre presenti nella psiche e che si manifestano risvegliate da immagini equivalenti come ad esempio, nel caso specifico, i simboli astrologici intrisi propriamente di tale funzione, conforme a quella delle favole, delle parabole e delle allegorie mitologiche. Così è avvenuto per gli astri nelle cui qualità l’uomo primitivo ha riversato le proprie emozioni rispecchiandovi gli eventi, la natura e le esperienze inconsce delle proprie esistenze in un analogia interpretativa sorprendente se pensiamo che essa risulta sostanzialmente simile seppur palesata da civiltà disparate sia culturalmente che geograficamente come affermano le parole di un grande astrologo quale Barbault: “Di fronte a questi miti e leggende dalle origini così poco uniformi - concepite da popoli tanto diversi e tanto lontani gli uni dagli altri, ma così straordinariamente simili al punto da stabilire un simbolo universale, unico, come il suono della campana - la sola spiegazione possibile è che questa mitologia rappresenta una realtà psicologica: sorta di substrato ancestrale dell’anima collettiva (inconscio collettivo), l’immagine arcaica del mito è stata proiettata sul cosmo sotto l’aspetto di un’entità divinizzata.”. L’astrologia racchiude quindi in sè e nella sua simbologia una rappresentazione del mondo, delle energie che lo costituiscono nonché la loro proiezione e influenza nel microcosmo umano. Pitagora sosteneva che ogni astro nel suo movimento emanasse una vibrazione unica e che tale energia correlata alle altre, formasse nell’insieme un’armonia musicale che denominò “la musica delle sfere”. Ognuno di noi, come il tassello di un grande puzzle, ne è parte, tale assioma può così farci intuire quanto ogni essere sia responsabile per se stesso ma non solo poiché fa parte di un sistema più ampio che arriva ad abbracciare il tutto e l’importanza di vivere in sintonia con esso. Su tale concetto si basavano ad esempio le diagnosi di un grande medico quale fu Paracelso che, prima di prescrivere un medicinale ad un paziente, esigeva di conoscere la sua carta astrologica proprio per cercare di comprendere le cause della malattia che sosteneva collegarsi ad una mancata sintonia con le energie del cosmo. Egli ripeteva sempre: “Fino a quando non conoscerò la posizione delle stelle nel momento in cui quest’uomo è nato, mi sarà impossibile afferrare le note della sua sintonia interiore. E se non conosco questa sintonia interiore, come posso pensare di guarire quest’uomo?” L’astrologia, nata in Mesopotamia nel terzo

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millennio a.C., si diffuse poi in Grecia perfezionandosi nell’attribuzione ai singoli pianeti delle qualità analoghe e corrispondenti alle divinità mitologiche elleniche, tali aspetti nelle loro innumerevoli sfumature di interazione vennero sintetizzati e unificati per la prima volta nel sistema tolemaico e ampliate nei secoli successivi da innumerevoli astrologi. Le previsioni e i riferimenti alla carta del cielo ebbero un influenza predominante su filosofia, religione e scienza per molte epoche finchè il razionalismo materialistico cominciò a prendere posizione e con esso la moderna scienza occidentale che vede l’universo come una macchina inanimata, priva di qualsiasi impulso metafisico, idea diametralmente opposta ai fondamenti della scienza astrologica che vede invece il cosmo come il prodotto non accidentale di un’intelligenza superiore e del cui perfetto disegno, privo di qualsiasi casualità, fa parte la vita di ogni singolo individuo. Nella civiltà ellenistica i principi archetipali su cui basano i presupposti astrologici, sono quindi personificati nelle figure mitologiche, caratteristica peculiare e straordinaria dell’antica cultura greca, che associa ad ogni astro delle specifiche qualità. Il sole e la luna, rispettivamente associati al principio maschile, Yang e quello femminile Yin trovano la loro

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personificazione in Helios e Selene, sua sorella, e rappresentano due tipi di energie l’uno il carattere, la personalità, la coscienza di sé, l’espressione che caratterizza la persona, l’altra il subconscio, i lati nascosti, psichici, emotivi di cui spesso non abbiamo coscienza, l’uno il principio attivo, l’altro quello ricettivo. Il pianeta Mercurio impersonato da Hermes, il messaggero degli Dei e psicopompo, non a caso rappresenta l’intelletto quale ponte comunicativo per eccellenza con i mondi interiori. L’archetipo di Venere trova la sua espressione mitologica nella figura greca di Afrodite, dea dell’amore, della bellezza della sensualità, Marte rappresenta il rapporto aggressivo con il mondo esterno, e viene personificato da Ares, Dio della guerra. Giove viene associato a Zeus, re dell’Olimpo archetipo del successo, della fortuna, dell’ottimismo e dell’arricchimento sia spirituale che materiale e trova il suo opposto in Saturno, il Dio del tempo Cronos, e nei suoi aspetti di restrizione, oppressione, provvisorietà, invecchiamento, morte, termine delle cose, ma contenente anche la funzione regolatrice di morte-rinascita. Tale funzione è inoltre correlata al processo di evoluzione spirituale nel legame tra le varie incarnazioni e le conseguenze alle azioni in esse compiute, in Saturno vige quindi anche l’archetipo positivo della spoliazione ossia della purificazione necessaria. Urano si rispecchia nella figura di Prometeo, archetipo della forza decisionale, della ribellione, dell’improvvisa liberazione, di drastici cambiamenti interiori ma anche nei lati oscuri dove la qualità, portata al suo eccesso, si fa vizio. Nettuno trova la sua corrispondenza archetipale in Poseidone, Dio del mare e perciò collegato alle acque primordiali, all’energia di creazione cosmica (Kundalini) ma anche nel suo opposto, a quella di distruzione (la Divoratrice, Dea Madre Kali), simboleggia l’unione mistica e nel suo opposto la distorsione della realtà, estrema consapevolezza o confusione in tutto ciò che concerne le energie psichiche. L’archetipo di Plutone trova riferimento nel dio greco degli inferi, e quindi all’interiorità della terra, metaforicamente interpretabile come i nostri mondi più infimi, impuri e nascosti. Tale sopradescritta personificazione dei principi archetipali è quindi il palese fondamento di illustri e antiche filosofie come quella platonica o socratica quanto diametralmente opposta ed estranea a quella odierna e materialistica. Interessante è inoltre riflettere sull’idea che le forze agenti nel macrocosmo siano le stesse e si riflettano quindi parallelamente nel microcosmo, da ciò si evince che gli archetipi planetari agiscono sia sul mondo psichico dell’individuo che sugli eventi del mondo fisico, ma non tuttavia in modo assoluto viste due imprescindibili verità quali il libero arbitrio umano e l’Onnipotenza divina; esempio lampante di ciò viene suggerito proprio nei versetti biblici della genesi in cui Dio rassicura Adamo che, diversamente dalla predizione astrologica che ne decretava l’impossibilità ad avere figli, sarebbe divenuto padre:“Lo fece uscire all’aperto e gli disse: ‘Osserva il cielo e conta le stelle, se puoi contarle’. E soggiunse: ‘Così numerosa sarà la tua discendenza’. Egli ebbe fiducia nel Signore che gliela ascrisse a merito” Genesi (15:5-6).

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Il libero arbitrio, ossia la possibilità di agire secondo propria volontà, è la chiave preziosa in grado di non farci soccombere inerti alle fatalità degli eventi ma trasformare attivamente il nostro destino, il primo passo per fare ciò è acquisire conoscenza e dominio di se stessi ma non solo, importante è anche accettare le necessità delle leggi che regolano la natura senza esserne soggiogati ma governandole in modo da trarne il maggior beneficio evolutivo. Le simbologie degli astri, dei segni zodiacali, le loro caratteristiche e le mitologie a essi correlate se accuratamente studiate, sono un valido strumento per scrutare in noi stessi ma non solo, poiché lo zodiaco incarna oltremodo metaforicamente il susseguirsi delle fasi di trasformazione descritte nell’Opus alchemicum e suddiviso in tre fasi esplicate altrettante volte ma in modo diverso nei quattro elementi, poiché nei 12 segni si rispecchia il percorso di evoluzione interiore, e la conseguente progressiva trasformazione del rapporto personale tra Spirito e materia, sia rispetto il proprio corpo che nei confronti dell’ambiente che ci circonda. Le tre fasi si suddividono in putrefazione, sublimazione e infine fissazione del nuovo stato di consapevolezza, un processo ciclico e individuabile solo prendendo coscienza di sè e dei mutamenti del nostro stato interiore, cambiamento che vedremo rispecchiarsi linearmente, simbolicamente e analogamente nel susseguirsi delle stagioni astronomiche nonchè dei segni

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zodiacali e dei quattro elementi che li caratterizzano. L’ariete, il primo dello zodiaco, rappresenta il Fuoco del risveglio ed è associato alla primavera interiore, al germogliare di una nuova nascita, all’iniziazione; il toro rappresenta la Terra in cui tali germogli dobbiamo affondare, al lavoro interiore, la fase di nigredo necessaria; la discesa nei nostri inferni sarà poi seguita da una risalita, simbolicamente rappresentata dall’elemento Aria che caratterizza i Gemelli, in cui prende vita un nuovo stato dell’essere il cui sviluppo figura nel segno del Cancro, collegato all’Acqua quale linfa di conoscenza. Il nuovo stato sarà tuttavia instabile, passeggero e necessiterà di ardore per sussistere, l’ardore del Fuoco del Leone, espressione di forza e azione, una fiamma che darà la spinta a perseverare nel percorso per ritrovare stabilità, un equilibrio a cui potremo arrivare scavando di nuovo in noi stessi, ma in una terra fertile e non più oscura come la precedente quella della Vergine, da cui potremo trarre coscientemente l’insegnamento non essendo più completamente succubi e inermi come in precedenza dinnanzi alle forze interiori, che ora potremo spiritualizzare, penetrandole. Da questa Terra raccoglieremo quindi i frutti di una nuova elevazione più stabile correlata all’Aria della Bilancia, in cui dovremo prendere coscienza del nostro compito quale parte di un organismo più vasto, per la cui armonia ogni singolo individuo ha una funzione preziosa. Questa nuova consapevolezza ci porterà a vivere con ponderazione, in un tale stato di pace interiore che tenderemo a conservare eccessivamente, rischiando di farlo diventare involutivo e stagnante quale è l’Acqua dello Scorpione.

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E sarà qui doveroso l’intervento di un nuovo Fuoco, quello del Sagittario che, diversamente dai precedenti, intensi e brucianti, irradierà un’energia calma e costante in grado di dirigerci al nostro stato originario fino alla totale consapevolezza del nostro essere Spirituale. Liberi dai vincoli materiali saremo finalmente privi di ogni attrattiva della Terra rappresentata dall’elemento che caratterizza il Capricorno, per poi giungere all’elevazione finale nell’Aria dell’Acquario, in cui ormai non saremo più succubi delle illusioni dei sensi del quaternario, a cui moriremo definitivamente nell’Acqua della Conoscenza rappresentata dall’ultimo segno dello zodiaco, quello dei Pesci e che segna quindi la fine del percorso evolutivo dell’anima. Da questo cammino, che palesa uno degli aspetti simbolici della ruota dello zodiaco, possiamo facilmente renderci conto come il movimento sia costante e necessario per una metamorfosi dell’essere e come gli archetipi contenuti nei segni zodiacali mostrino la via che ognuno di noi deve compiere e siano quindi preziosi strumenti attraverso i quali comprendere noi stessi e le leggi del cosmo. “L’universo è un organismo nel quale tutto ciò che vive compie una funzione, discerniamo la nostra, e convogliamo tutte le energie al suo compimento” (O.Whirt, Il simbolismo astrologico).n

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CALENDARIO OPERATIVO 2018

Gennaio

Martedì 2 Mercoledì 17 Mercoledì 31

Febbraio

Giovedì 15

Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto

Venerdì 2 Sabato 17 Martedì 20 Sabato 31 Lunedì 16 Lunedì 30 Martedì 15 Martedì 29 Mercoledì 13 Giovedì 21 Venerdì 28 Domenica 13 Venerdì 27 Sabato 11 Domenica 26

Settembre

Domenica 9 Domenica 23 Mercoledì 26

Ottobre

Martedì 9 Mercoledì 24

Novembre

Mercoledì 7 Venerdì 23

Dicembre

Venerdì 7 Venerdì 21 Sabato 22

03:25 ° 03:18 l 14:27 °

°

Luna piena l Luna nuova Equinozi/Solstizi

22:06 l

01:52 ° 14:14 l 17:15 Equinozio di Primavera 13:37 ° 02:59 l 01:59 °

12:49 l 15:21 ° 20:45 l 12:07 Solstizio d’Estate 05:54 °

03:49 l 21:22 ° (N.B. - il 27 è visibile in Italia l’eclisse lunare) 10:59 l 12:58 °

19:02 l 03:54 Equinozio d’Autunno 03:55 ° 04:48 l 17:47 ° 17:03 l 06:41 °

08:22 l 23:22 Solstizio d’Inverno 18:50 °

Le ore indicate tengono già conto dell’Ora Legale, perciò non occorre aggiungere 1 ora

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