Lupi Metropolitani

  • July 2020
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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

l’attualità Avvistamenti

DOMENICA 6 DICEMBRE 2009

Quattro mesi fa, il caso più clamoroso: un branco comparso alla periferia di Bologna. Qualcuno li scambia per cani, ma sono i loro fratelli predatori, dei samurai della caccia. Da qualche tempo, corrono paralleli alla via Emilia, in direzione Nordovest,

sfiorando le città. Adesso, naturalisti e appassionati si dedicano a riprodurne il richiamo, il “wolf howling”, in attesa di vederli

Lupi metropolitani PAOLO RUMIZ

S

MODENA

cendono dai monti, fanno tana nelle periferie, ci studiano nella notte, decodificano il rombo delle autostrade e delle fabbriche; forse si preparano ad attraversare la pianura ipermercata, tanto l’uomo non si accorge di nulla. I lupi sono tra noi, invisibili e guardinghi. In pochi anni si sono abbassati di quota, hanno trovato nuovi territori di caccia e spazi di rendez-vous. Ora corrono paralleli alla via Emilia, tutti nella stessa direzione, attirati da un richiamo irresistibile a Nordovest, verso la Francia e l’inizio delle grandi montagne. Le avanguardie hanno quasi ultimato il “tour” dell’arco alpino, sulla linea del Piave i loro ululati già incrociano quelli dei cugini in arrivo dai Balcani. Ma è qui, tra Bologna e Piacenza, che li senti vicini. Lupi metropolitani. Sera color lampone, prime stelle, fruscio di foglie di faggio sotto i piedi. Poco in là, la strada da Castelvetro a Scandiano corre al limite della nebbia, sul bordo della pignatta padana, fra i capannoni della ceramica. Qui ci vuole poco perché la notte inghiotta l’uomo. Con lo spopolamento in quota, terra selvaggia e città si toccano, ma bastano pochi metri e le luci delle case, l’abbaiare di un cane, l’accelerata di un’automobile diventano cose dell’altro mondo. C’è un confine netto fra il buio e la luce, e fratello lupo lo segue. La sua autostrada passa lì. Mai tante segnalazioni come quest’anno, da maggio in poi. Un branco a cinque chilometri da Bologna, un maschio alle porte di Parma, nel fondovalle del Panaro, sul bordo del Secchia e nella bassa Val d’Arda. Altri sulla via Spezia e la Nuova Estense; a Collecchio, Castellarano e lungo il corso del Crostolo. Avvistamenti che disegnano una linea quasi perfetta. Una frontiera. Matteo Carletti ha trentasei anni e ne ha spesi tre con i lupi. Ha mollato un lavoro sicuro per studiarli nelle terre del silenzio, sull’Appennino tosco-emiliano. Alla fine è tornato in pianura, a una professione “normale”, ma dopo quel-

l’esperienza per lui nulla è come prima. Non può più fare a meno del bosco e dei suoi inquilini invisibili. Ora è venuto a chiamare il lupo nella notte. A furia di ascoltare quelli che chiama i suoi “blues”, ha imparato a imitarlo: ed eccolo cercare il posto giusto, elevato, il pendio appropriato, piantare i piedi a terra a gambe larghe, gonfiare i polmoni, improvvisare un megafono con le mani ai lati della bocca e i polpastrelli congiunti sulla radice del naso, e poi sparare verso le Pleiadi un ululato straziante, planetario, da pelle d’oca. Una

Il primo a farsi beccare, nell’estate del 2004, sopravvisse a uno scontro sulla tangenziale di Parma e venne battezzato “Ligabue”

ventina di secondi, quanto basta per prendere fiato e ripartire con un gospel di tristezza abissale, spezzato da piccoli salti di tonalità, quasi singhiozzi. I cani delle abitazioni vicine, che fino a poco prima hanno abbaiato in ordine sparso, segnando la topografia del territorio, ora tacciono terrorizzati. Si sente solo fruscio di vento, mormorio di fiume, foglie morte che stormiscono nella faggeta, un camion che va chissà dove. Sopra di noi stelle e la luce intermittente di aerei tra la Via Lattea e la cintura di Orione. La notte lancia mille se-

gnali, informa meglio di un gps. L’umanità stressata è a meno di un chilometro ma da qui, dove la nebbia s’infila tra i colli come il mare nei fiordi, pare più lontana di Marte. Nel fango-plastilina la torcia illumina tracce di cinghiali (una grossa femmina), tassi e caprioli, mostra che le prede sono scese a valle e il lupo non fa che seguirle. Matteo lancia un altro ululato. Ci siamo segnalati, ma il bosco richiede pazienza. Dopo un buon minuto ecco la risposta solitaria, a meno di un chilometro. La voce come di un’anima persa. Un richiamo interminabile in levare, siderale, mistico come un canto gregoriano. Il re del bosco s’interrompe, riparte, tace, ricomincia. È tranquillo, quasi olimpico. Non minaccia, avverte. Dice: levatevi ragazzi, che questa è casa mia. Chi ascolta per la prima volta ha la pelle d’oca. Il pelo si rizza, dice Matteo, «come magnetizzato» da quel suono cupo e prolungato. «Una sferzata di energia, prevalentemente di natura irrazionale». È il primo confronto dell’uomo con un grande popolo che cerca di resistere all’invasione dei bianchi. Come i Sioux o i Cheyenne. Ma può esserci di meglio, molto di meglio. «Se fosse giugno sentiresti che roba», spiega l’uomo-lupo. È la stagione degli ululati corali: la socialità dei branchi è al top, e le bestie entrano in fibrillazione territoriale, lanciano segnali più forti, pisciano e mollano escrementi per segnare i confini di uno spazio che non ammette intrusi. Il problema è che oggi il lupo non si limita a farsi sentire. Oggi lo puoi anche vedere. «Nei tre anni che ho passato in montagna l’ho solo sentito o ho individuato dalle tracce. Vederlo era quasi impossibile. Ora è tutto cambiato». Il caso più clamoroso è di quattro mesi fa alla periferia di Bologna, nel parco dei gessi della Badessa, un territorio di calanchi a due passi dalla via Emilia. È apparso un branco come in montagna non se ne vedono mai: dieci bestie, contro i quattrocinque normalmente intercettati in Appennino. Due adulti e otto cuccioloni filmati con trappole fotografiche. Sequenze strepitose, con i piccoli che giocano tra i covoni di fieno e la mamma che rigurgita il cibo già semi-digerito

Repubblica Nazionale

DOMENICA 6 DICEMBRE 2009

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LE IMMAGINI

FOTO CORBIS

Nella sequenza fotografica realizzata da Alessandro Rinaldi, i lupi avvistati in zona Castellarano, sull’Appennino emiliano

per i figli ancora impreparati alla caccia. Non lontano dal campo di golf sopra Sassuolo, stabilmente frequentato da caprioli, i predatori sono a meno di un chilometro dalle case. Il terreno è disseminato di tracce di ungulati. Un perfetto territorio di caccia. A settembre c’è chi ha segnalato grossi cani anche in pieno giorno, poi identificati come lupi dalla diagnosi degli escrementi. Una notte stellata di maggio una pattuglia di naturalisti è uscita per fare il wolf howling — il richiamo al lupo — e dopo pochi tentativi un maschio adulto ha risposto con ululati insistenti, forti, sempre più ravvicinati, chiaramente minatori, probabilmente tesi a proteggere la femmina e i piccoli nella tana. «Dopo quei richiami — ricorda Matteo — ho visto dei cacciatori commuoversi e abbracciarsi come bambini. Erano felici. Per loro era la conferma della qualità della loro natura... Non c’era solo il Canada, ora c’era anche l’Italia...». Pure Fabrizio Rigotto — un altro modenese entusiasta del re dei predatori — ha seguito i lupi sull’Appennino, dal 2002 a tutto il 2004. Assieme a Matteo Carletti e altri due naturalisti ha lavorato alla “triangolazione acustica” dei branchi, come dire l’individuazione dei lupi attraverso le risposte ai wolf howling lanciati da punti diversi. «A quei tempi in montagna — racconta — abbiamo fatto quattromila chilometri senza mai vedere direttamente un lupo in libertà. Solo contatti acustici. Ebbene, quest’anno mi è capitato di vederne uno a cinquecento metri, a Vezzano sul Crostolo, durante un’uscita per osservare daini, cinghiali e caprioli. Era una bestia di grossa taglia, che ovviamente ci aveva visto benissimo e ha trottato su un crinale per quasi due minuti, perfettamente in vista». «Uno l’abbiamo filmato quest’estate nella bassa Val di Taro», racconta il veterinario Mario Andreani che lavora per la Provincia di Parma. «Era una trappola fotografica per cinghiali piazzata in zona Collecchio, a meno di cinque chilometri dalla via Emilia: il lupo se ne andava bel bello alle porte della città». Impressionante la mappa degli investimenti stradali: Pavullo, Fanano, bassa

Trebbia, media valle del Panaro, Vignola, Fidenza, Castell’Arquato. Il primo a farsi beccare, nell’estate del 2004, venne battezzato “Ligabue”. Sopravvissuto a uno scontro sulla tangenziale di Parma, venne curato per qualche mese e poi liberato sulle montagne — munito di radiocollare — in un giorno di grande neve. Per cercarsi un territorio emigrò fin sulle Alpi Marittime e venne ucciso, mesi dopo, nello scontro con un altro lupo, probabilmente per avere invaso lo spazio di un altro branco. Mille chilometri di libertà, per andare incon-

Si nascondono a duecento metri dalle case. Per loro

non è la distanza che conta: è l’inaccessibilità dei loro campi-base

tro al suo destino di predatore. Ora è giorno e saliamo in montagna, sotto il Cusna e il Cimone innevati, per esplorare quelli che, almeno fino a pochi anni fa, erano gli spazi elettivi del lupo. Faggete punteggiate di vampate rosso-fuoco dei ciliegi selvatici. Prendiamo un sentiero di crinale, parallelo all’antica via Vandelli che univa il Modenese a Lucca. Direzione Sasso Tignoso. In un chilometro Matteo individua tracce di volpe, cinghiale, capriolo, tasso, lepre. Il sentiero è trafficatissimo, c’è un qualche segnale ogni metro o due. Ci

sono anche orme di un bel canide, potrebbe essere il nostro predatore, ma non si trovano conferme negli escrementi. Quelli del lupo sono diversissimi da quelli del cane, perché puzzano da morire e contengono spesso il pelo delle prede, utile a digerire anche le ossa. Riproviamo con il wolf howling, da tre punti diversi, ma non arriva risposta. Unica reazione è il silenzio atterrito dei cani che abbaiavano nei villaggi. Tramonta. All’osteria “Al capannone”, un delizioso posto all’antica con vermouth chinato e maraschino ai bordi della statale dell’Abetone e del Brennero, i quattro compari della briscola sentenziano in dialetto che «lupi non si sono sentiti». La Maria al bancone conferma. Ma forse i nostri eroi hanno solo imparato a nascondersi meglio. Nei prati giusto sotto l’osteria i cervi e i caprioli vengono ancora sul far della sera, dunque anche i predatori dovrebbero esserci. Lo sa bene la Flavia Landi, appassionata naturalista in zona Pievepelago, che già dieci anni fa ha segnalato un esemplare sulla strada per il Lago Santo, e nessuno le credeva. L’ultimo l’ha beccato due mesi fa sul Monte Nuda. I lupi si nascondono, magari a duecento metri dalle case. Per loro non è la distanza che conta: è l’inaccessibilità dei loro campi-base. Il problema è che fino al 2004 i loro territori erano stanziali. Oggi, senza un monitoraggio, nessuno sa più dove sono andati a finire. Sono diventati doppiamente invisibili. A volte ricompaiono, in montagna, per sbranamenti segnalati dai pastori. Ma spesso l’assalto non viene affatto da lupi. Oggi il nuovo flagello sono i cani liberi, quelli con doppia vita. Quieti in casa di giorno e predatori la notte. La differenza fra i due è abissale. Il lupo non sbrana per uccidere: è un chirurgo che ti fa secco con un solo morso al seno carotideo. Il lupo è un samurai della caccia. Il cane invece è un principiante: dilania prima di divorare, le carcasse delle sue prede sono piene di orrendi ematomi. Ma gridare “al lupo” conviene, perché fa notizia e poi arriva il risarcimento pubblico. Così oggi il suo fantasma è ovunque. Anche dove non è mai passato. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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