L'ordine Francescano Tra Futuro E Nostalgie

  • June 2020
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L’ORDINE FRANCESCANO TRA FUTURO E NOSTALGIE In dialogo con Thaddée Matura

di CARLO SERRI Pubblicato in Vita Minorum, Anno LXXVII (2006) n. 2, 161-175.

Nell’Ordine dei frati minori si svolge, da alcuni anni, un dibattito vivo e articolato, che mira alla valorizzazione del nostro carisma religioso in riferimento al mondo contemporaneo. Si vorrebbe riscoprire la bellezza della vocazione francescana, e rendere la vita dei frati minori più significativa per il mondo e per la Chiesa. Questa ricerca ha le sue radici nel rinnovamento stimolato dal Concilio Vaticano II, ed è comune, pur con le sue caratteristiche originali, a tutti gli istituti di vita consacrata. Oggi l’urgenza di un rinnovamento più concreto si fa sentire con veemenza quasi lacerante. Il documento finale del Capitolo Generale di Assisi 2003 ha espresso la volontà dell’Ordine di intraprendere un cammino di rinnovamento e di ritorno ai valori essenziali della nostra vocazione1. Il Ministro Generale ha indetto la celebrazione dell’800° anniversario di fondazione dell’Ordine, rivolgendo a tutti i frati l’impegnativo invito a riscoprire “la grazia delle origini”2. Nell’indire il programma, che vedrà impegnati i frati fino al 2009, il governo generale ha indicato le tappe fondamentali, le mete e i mezzi di questo cammino di rinnovamento. Non ci si vuole perdere in celebrazioni formalistiche, ma invitare le fraternità ad una riscoperta feconda degli elementi fondamentali della nostra vocazione. Quasi tutte le province hanno preso iniziative di formazione per rispondere a questi inviti. Diversi autori hanno offerto contributi di riflessione o di approfondimento spirituale. Credo che questi apporti non vogliano essere isolate voci letterarie, ma intendano stimolare il dialogo e la ricerca comunitaria.

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CAPITOLO GENERALE OFM DI ASSISI, Il Signore ti dia Pace. Documento finale, 2003. Cf. anche CURIA GENERALE OFM, Seguaci di Cristo per un mondo fraterno. Guida per l’approfondimento delle priorità dell’Ordine dei Frati Minori (2003-2009), Roma 2004. 2 CURIA GENERALE OFM, La Grazia delle origini. VIII centenario della fondazione dell’Ordine dei frati minori, Roma 2004.

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1. Un dialogo aperto: imparare dalla storia Un recente articolo di P. Matura, pubblicato su Vita Minorum, si colloca in questo dibattito, offrendoci delle riflessioni che, per l’autorità del loro autore, meritano la più attenta considerazione3. Il mio intervento vuole accogliere la sollecitazione offerta da questo contributo, ed offrire alcune semplici considerazioni ad integrazione delle riflessioni in esso proposte. P. Matura si pone come “testimone ed attore” delle trasformazioni di cui si fa narratore (p. 15). Con grande onestà intellettuale egli chiarisce i limiti della sua ricerca. La sua analisi non ambisce alla completezza, e dunque le sua conclusioni non pretendono di fornire risultati universalmente validi. Egli vuole solo offrire un contributo ed una testimonianza al dibattito in corso sull’ identità francescana (p. 16). La ricostruzione storica che egli ci offre è in realtà autobiografica, poiché in essa le vicende personali e quelle istituzionali sono profondamente intrecciate. Padre Matura, dopo essere stato tra i protagonisti delle vicende francescane postconciliari e del Capitolo di Madrid del 1973, nonostante la sua venerabile età, (è nato nel 1922) ancora oggi fa parte della commissione preparatoria del Capitolo generale straordinario del 2006! E infatti, quale sussidio per prepararci al Capitolo del 2006, abbiamo ricevuto dalla Curia Generale il documento “La vocazione dell’Ordine oggi”, pubblicato dal capitolo di Madrid del 1973, di cui Matura (come egli stesso racconta) è stato il principale estensore. Questo “salto all’indietro” di trentadue anni, pur presentando stimolanti suggestioni spirituali, ha provocato anche, ad alcuni frati, un senso di fastidioso disagio. Sembra ad alcuni che i contenuti del documento di Madrid siano stati poi sviluppati, in maniera più efficace e attuale, nei documenti successivi. Non tutti hanno potuto cogliere quale voglia essere il valore profetico di questo “ritorno al passato”. P. Matura offre, nel suo articolo, una sintesi sicura della storia recente. Navigando sul filo della memoria, e rievocando un intenso itinerario intellettuale, ricostruisce la situazione della Chiesa e dell’Ordine nel periodo conciliare e postconciliare. È una preziosa testimonianza dell’impegno elargito da tanti frati per realizzare il rinnovamento voluto dal Concilio. Nel meditare 3

THADDÉE MATURA, Le trasformazioni del francescanesimo postconciliare, in Vita Minorum, anno LXXVI (2005), n. 2, 13-37. L’articolo è stato pubblicato anche in altre lingue. Ad es. ID, Las transformaciones del franciscanismo postconciliar, in Selecciones de Franciscanismo, n. 101 (2005), 257-273.

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queste vicende nasce spontaneo un senso di gratitudine per quei fratelli che hanno speso le loro migliori energie per il rinnovamento dell’Ordine. Basti pensare alla celebrazione dei capitoli generali e alla redazione delle nuove costituzioni, che hanno dato un impulso fondamentale al cammino dell’Ordine. Alcuni dubbi nascono invece dall’analisi del presente e dalla formulazione delle prospettive per il futuro. Alcune espressioni di Padre Matura, che hanno caratterizzato il passato recente, e che ora vengono discretamente riproposte, non appaiono pienamente convincenti. Mi sembra, per lo meno, che debbano essere integrate e completate, per evitare che diano adito a fraintendimenti. La mia riflessione vorrebbe pensare un futuro dell’Ordine ricco dell’esperienza storica, ma libero da suggestioni nostalgiche. 2. Declericalizzazione o rifondazione della spiritualità sacerdotale? La prima suggestione, che mi lascia pensoso, è il ripetuto riferimento alla cosiddetta “declericalizzazione”. Questo movimento, fu attuato, insieme al lavoro salariato, dalle “piccole fraternità”, ispirate ai “preti operai” e ai “piccoli fratelli di Gesù”, soprattutto in area francofona, negli anni postconciliari (p. 23). Le Costituzioni del 1987 avrebbero poi aperto per i frati un “cammino di declericalizzazione” (p. 31). Probabilmente con questo termine si vuole indicare la necessità di superare malsani abusi dell’ufficio sacerdotale, che vadano a scapito della dignità e della missione dei frati laici. In questo senso siamo tutti d’accordo: l’appartenenza al clero non deve assolutamente sminuire l’integrità della vocazione francescana. Ma il linguaggio resta ambiguo, non precisando il senso negativo o positivo che dà a questa parola. Si ha l’impressione di una sintesi incompiuta, quasi di una mal digerita armonia tra vocazione religiosa e vocazione sacerdotale. Questo bisogno di “de-clericalizzarsi” potrebbe suggerire che per essere buoni frati bisognerebbe essere meno chierici. Questo preconcetto può generare tensioni o confusioni. In ogni caso non mi sembra corrispondere alla serena visione che Francesco aveva di un Ordine composto di chierici e di laici. Egli si collocava, senza complessi, tra i chierici: “Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti” (idiotae et subditi omnibus) (Test 18-19).

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Si vede che Francesco, rievocando i primi tempi dell’Ordine, indica due diverse modalità di vita minoritica: quella clericale e quella laicale, che convivono con le loro originalità. L’unità non annulla le differenze. Lo stile clericale non si identifica con uno stile di vita intellettuale e aristocratico. Anche i chierici pregavano (secundum alios clericos) e si consideravano “idiotae”, cioè gente di poco conto, e vivevano in stato di umile sottomissione. Non possiamo dimenticare le numerose esortazioni di Francesco alla venerazione per i sacerdoti e i prelati della Chiesa, che riempiono tutti i suoi scritti. E non si tratta solo dei chierici esterni all’Ordine. La lettera a tutto l’Ordine contiene una veemente esortazione ai frati sacerdoti, perché vivano la loro “dignità” sacerdotale. Il frate sacerdote viene esortato ad essere “santo, giusto e degno” più della Santa Vergine, di Giovanni Battista e del Santo Sepolcro! (LettOrd 21-22). Francesco vede il sacerdote in stretta relazione con l’Eucaristia4. Il suo compito è quello di rendere presente, nella Chiesa e nelle anime, il Cristo Figlio di Dio redentore dell’Uomo e glorificatore del Padre. A causa di questo divino ministero Francesco proverà sempre affetto e rispetto incondizionati nel confronti del clero cattolico. La dignità sacerdotale viene vista come l’onore ed il ministero più grande che un uomo possa ricevere. Da questa grazia sovreminente scaturisce l’obbligo della santità, ossia di una restituzione totale nell’amore più esclusivo. “Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l'affidarvi questo ministero, così voi amatelo, riveritelo e onoratelo più di ogni altro uomo” (LettOrd 23-24).

Non bisogna desiderare lo stato clericale per ottenere vantaggi personali, ma per servire. I frati sacerdoti non devono essere “meno chierici” degli altri, ma essere sottomessi a tutti, vivendo il ministero come consegna radicale a Cristo. Non dimentichiamo che nessuno è obbligato a chiedere l’ordinazione sacerdotale. Chi viene ordinato si impegna, dinanzi alla Chiesa, ad esercitare il ministero della parola e dei sacramenti, e a prestare il servizio pastorale per la salvezza dei fratelli. Il ministero sacerdotale, una volta assunto, non dipende arbitrariamente dalle nostre opzioni spirituali personali, ma dalla missione canonica ricevuta dalla Chiesa. Per noi è un dovere celebrare l’eucaristia, come è un dovere annunciare il vangelo e occuparci della salvezza dei nostri fratelli. 4

C. SERRI, Il dono che ci rende Chiesa. Riflessioni sulla Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, in Forma Sororum, 41 (2004) 3-16.

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Mi pare che alcuni atteggiamenti ambigui nei confronti del sacerdozio abbiano prodotto serie conseguenze nel campo della formazione. La mia esperienza in campo formativo con i giovani professi mi ha insegnato che su un argomento così importante ci sarebbe bisogno di maggior chiarezza. La stessa Ratio Formationis dell’Ordine, sottoposta ad una attenta considerazione, non dice nulla di sostanziale sulla formazione sacerdotale. Si limita ad offrire indicazioni generiche e teologicamente approssimative sui criteri di discernimento e sulla stessa vocazione sacerdotale5. Invano cercheremmo, nel documento fondamentale sulla Formazione, delle indicazioni concrete sugli itinerari formativi o sui contenuti propri della formazione al ministero sacerdotale. Siamo proprio sicuri che tale penosa inconsistenza della Ratio Formationis non abbia nessun rapporto con le tante dolorose crisi vocazionali che affliggono l’Ordine? In conclusione, mi sembra che non abbiamo bisogno di rimpiangere quel clima di declericalizzazione, che andava di moda trenta anni fa, ma che oggi appare del tutto inadeguato. Dovremmo piuttosto elaborare una solida teologia del ministero e impegnarci a rafforzare la formazione sacerdotale dei frati chiamati a ricevere la sacra ordinazione, in armonia con le profonde convinzioni religiose di san Francesco6. 3. Mandati a predicare o a starcene tranquilli? Un altro punto che suscita un senso di disagio è il modo in cui P. Matura descrive la presenza dei frati minori del mondo. Non si tratta di affermazione precise, quanto di un’atmosfera sfumata, di un modo di adombrare un orizzonte esistenziale. Questo “stile di vita”, proprio nella sua vaghezza, potrebbe causare una lenta metamorfosi nell’autocoscienza dell’Ordine. È la parte conclusiva dell’articolo, quella che descrive “l’avvenire che ci aspetta”. Il nostro autore auspica delle “comunità non troppo numerose”, che egli sogna composte da 6-10 5

ORDINE DEI FRATI MINORI, Ratio Formationis franciscanae, Roma 2003, nn. 233-240. La Ratio dedica i suoi otto ultimi striminziti numeri (su 240) alla Formazione ai ministeri e agli ordini sacri. 6 Per una riflessione sul ministero presbiterale dei frati sacerdoti nella primitiva fraternità francescana, secondo la visione di Francesco d’Assisi, si veda: B. HOLTER, “Sacerdotes fraternitatis in Christo humiles” (EpOrd 2). Il sacerdozio minoritico nella visione di S. Francesco, in Minores et subditi omnibus. Tratti caratterizzanti dell’identità francescana, Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Francescano di Spiritualità del PAA, Roma, 26-27 novembre 2002, a cura di L. Padovese, Ed. Laurentianum, Roma 2003, 191-204.

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frati. (Magari! La mia comunità attuale è composta di 4 frati, ed è fra le più numerose della Provincia…). Quale sarebbe la missione di queste comunità? “Comunità non troppo numerose (6-10), che vivono intensamente l’approfondimento della fede, la ricerca di Dio, l’amore reciproco, l’apertura verso tutti, in spirito di servizio, escludendo ogni forma di superiorità e di padronanza, vivendo del proprio lavoro… senza potere né autorità né nella Chiesa né nella società. Sembra un sogno, un’utopia, ma non era quello che viveva la prima fraternità?… Essere piccoli, senza potere né prestigio e nello stesso tempo tranquilli, amichevoli, servi di tutti, non sta qui il cuore della vocazione francescana?” (p. 36-37).

Certamente la spiritualità francescana può avere diverse formulazioni, anche accentuando valori differenti. Siamo d’accordo sulla fede e sull’amore reciproco… ma francamente non riesco a riconoscere in questa descrizione, così com’è, il “cuore della vocazione francescana”. Mi sembra che anche in questo caso sia necessaria un’integrazione. Si può desiderare un francescanesimo privo dell’orizzonte missionario? Al centro del francescanesimo c’è, senza dubbio, una forte esperienza di Cristo, rivelatore del Padre e datore dello Spirito. Questa vita consacrata all’amore, nel dinamismo dello Spirito, deve diventare annuncio di salvezza, e dunque germe per la diffusione del Regno di Dio. Non basta vivere, tra la gente, senza prestigio e senza potere. L’esortazione a praticare “l’apertura verso tutti” è forse equivalente al mandato di “andare in tutto il mondo e annunciare il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15)? Forse è solo una diversità di linguaggio, ma dobbiamo ricordare, in quanto Ordine, che siamo debitori a tutti del vangelo. Anche per noi vale il motto paolino: “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16).

L’annuncio del vangelo non è un’attività successiva, ma fa parte dell’essenza stessa della vocazione francescana, ed è presente fin dai primi giorni della vita comunitaria: “Nello stesso tempo entrò nell'Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: « Andate, carissimi, a due a due per le

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varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati…»” (1Cel 29).

La scoperta vocazionale di Francesco è legata all’ascolto, nella Porziuncola, del vangelo dell’invio in missione degli apostoli. Mi sembra che la visione della vita francescana vagheggiata dal nostro autore, così “piccola, tranquilla e amichevole”, possa mettere in ombra lo slancio missionario che la caratterizza. La missione mi sembra un dato che appartiene all’autocoscienza dell’Ordine, così come la descrivono le Priorità: ”Annunciare e realizzare la buona notizia del regno di Dio è la vocazione dei frati minori, è la loro missione. L’Ordine dei Frati minori esiste per la missione, è una Fraternità-in-missione (cfr. SdP 42; VFC 59°). La missione per noi Frati minori prima di essere qualcosa che facciamo, è la ragione per la quale siamo… Il nostro chiostro è il mondo e la nostra missione è nel far conoscere il Regno di Dio (cfr. SdP 37)7.

Forse la confessata dipendenza dall’esempio dei Piccoli Fratelli di Gesù continua a rivestire un ruolo troppo importante nella visione del P. Matura. Ho una devozione enorme per il P. de Foucauld e credo che molti di noi abbiano un debito verso i suoi scritti spirituali. Ricordiamo le parole con cui il futuro eremita del Sahara descrive il suo arrivo a Nazareth: “Mi sono stabilito a Nazareth… Il Buon Dio mi ha fatto trovare qui, per quanto perfettamente è possibile, quel che cercavo: povertà, solitudine, abiezione, lavoro umilissimo, oscurità completa, l’imitazione, perfetta nella misura del possibile, di ciò che fu la vita di Nostro Signore Gesù in questa stessa Nazareth… Ho abbracciato qui 8 l’esistenza umile e oscura di Dio, operaio di Nazareth” .

Nutro una stima profonda per questo tipo di vocazione, ma credo che noi frati minori non possiamo limitarci ad offrire al mondo una testimonianza così discreta e silenziosa. Il P. Matura sembra preoccupato che i frati vivano “escludendo ogni forma di superiorità e di padronanza… senza potere né autorità né nella Chiesa né nella società. Ma di quale “potere” stiamo parlando? Mi sembra che si debba fare un discorso analogo a quello della declericalizzazione. Forse si utilizza ancora un linguaggio in voga negli anni settanta, che fa riferimento a situazioni 7

OFM, Seguaci di Cristo per un mondo fraterno. Guida per l’approfondimento delle priorità dell’Ordine dei Frati Minori (2003-2009), Curia Generale OFM, Roma 2004, 33. 8 C. DE FOUCAULD, Opere Spirituali, Roma 1984, 29.

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ormai tramontate. Il vero pericolo per i frati minori, nella società contemporanea non è quello di avere troppo potere, ma di cadere nella perdita più totale di significato sociale, divenendo estranei al mondo e alle sue dinamiche culturali. C’è forse qualcuno, in questa società materialistica e secolarizzata, che ci considera superiori? Mi chiedo: testimoniare la fede e annunciare il vangelo sono forse esercizio di “un potere” da cui guardarsi? Quando san Bernardino da Siena predicava in Piazza del Campo dinanzi a migliaia di persone, istruendo il popolo sulla vita cristiana, esercitava un potere? Quando Giovanni da Capestrano esercitava una mediazione di pace tra le città in guerra, esercitava un potere? Non erano semplicemente dei discepoli del Signore che servivano i fratelli? “Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete come coloro i quali sono ritenuti capi delle nazioni le tiranneggiano, e come i loro principi le opprimono. Non così dev’essere tra voi; ma piuttosto, se uno tra voi vuole essere grande, sia vostro servo, e chi tra voi vuole essere primo, sia schiavo di tutti. Infatti il Figlio dell' uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto per molti»” (Mc 10,42-45).

Quello che il vangelo vuole istillare è l’atteggiamento di servizio, che imita il comportamento di Cristo, fattosi servo di tutti fino al sacrificio della croce. Evangelizzare la nostra società scristianizzata non è l’esercizio di un potere, ma di un servizio. Nel progettare il nostro futuro quello che dovremmo chiederci è quale servizio prestiamo, come Ordine, a Dio e al suo Regno. Non confondiamo l’umiltà evangelica con la marginalità culturale o con l’inefficienza pastorale. Si tratta di cose ben diverse. Non posso immaginare “l’avvenire che ci aspetta” senza un rinnovato impegno missionario. 4. I nuovi fratelli: la santa gioia dei frati minori. Un altro punto dell’articolo di P. Matura sul quale mi sembra doveroso riflettere per offrire un’integrazione è quello delle vocazioni, e dunque del futuro numerico dell’Ordine. Mi riferisco all’augurio con cui si conclude l’ articolo: “Ora il numero, la “quantità” a cui la storia ci ha anche troppo abituati, sono una ricchezza che conferisce potere. Si conosce poco quell’augurio di Francesco richiamato dal testo paolino: “ la potenza di Dio si manifesta nella debolezza” (2 Co 12,9; 1Co 1,25)… “se possibile, venga il giorno in cui il mondo, vedendo molto

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raramente i frati minori, si meravigli che siano diventati così poco numerosi” (2Cel 70,5-6) (p. 37).

Questo “sospetto vocazionale” ha già fatto scuola in molti ambienti e corre il rischio di diventare, nell’Ordine, una posizione dominante. Mi pare che il giorno della quasi-scomparsa dei frati in Francia sia già arrivato, e ci viene suggerito di esserne contenti. Non so se questa sparizione susciti il dispiacere devoto o la fredda indifferenza della gente; ma mi auguro che questa esperienza non si debba ripetere nel resto del mondo. In ogni caso l’identificazione tra il numero dei frati e la ricchezza, fonte di potere, mi appare per lo meno bizzarra! Questa nonchalance aristocratica nei confronti della mancanza di vocazioni mi pare un modo un po’ naïf di consolarsi della nostra sterilità vocazionale. Mi sembra una maniera indolore per mettersi l’animo in pace dinanzi ad una questione che invece dovrebbe spingerci ad un serio esame di coscienza. Non dovremmo domandarci perché la nostra maniera di vivere la vocazione non fa trasparire la bellezza di una vita donata al Signore? Ma soprattutto mi sembra una maniera un po’ narcisistica di contemplare la propria vita, come se avesse significato per se stessa, indipendentemente dal ruolo che Dio ci ha affidato nell’economia della salvezza. Siamo chiamati per partecipare alla redenzione del mondo, non per formare un cenacolo di anime privilegiate. Mi piace ricordare un altro episodio, pure narrato da Tommaso da Celano. Il biografo ci tramanda le parole che Francesco pronunciò dopo l’esperienza spirituale di Poggio Bustone, in cui sperimentò la pace nel perdono dei suoi peccati. Egli aveva attraversato una terribile notte di disperazione, ma ricevuta la certezza di essere riconciliato con Dio, ritrovò la sua pace interiore e acquistò uno sguardo lungimirante sul futuro della sua comunità. Francesco vide un gran numero dei frati che venivano all’Ordine da tutti gli angoli della terra: “Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: «Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie

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lingue». Ascoltando queste parole, una santa gioia si impadronì dei frati, per la grazia che Iddio concedeva al suo Santo, perché assetati come erano del bene del prossimo, desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero per trovarvi insieme salvezza” (1Cel XI, 27).

Sappiamo tutti che non è il numero che conta, ma la qualità della vita. Ma non possiamo arrivare a considerare il numero elevato dei frati semplicemente come un fatto negativo. Invece di dire che è meglio non avere vocazioni dovremmo risentire nel cuore la santa gioia per l’arrivo di nuovi fratelli e ardere interiormente del desiderio di nuovi apostoli che annuncino il vangelo. Il progetto di rifondazione dell’Ordine esige che siamo animati dall’ardente ideale di una fraternità universale. Conclusione Voglio ribadire, in conclusione, che le mie osservazioni non intendono incrinare in alcun modo la sostanziale positività delle argomentazioni proposte dal Padre Matura. Il mio intento è solo di offrire un completamento, una integrazione ad alcune sue espressioni che, prese isolatamente, potrebbero apparire parziali. Appare chiaro che, nel progettare la rifondazione dell’Ordine, dobbiamo fare ricorso al nostro patrimonio storico, perché non si costruisce il futuro misconoscendo le esperienze di coloro che ci hanno preceduto. Ma credo che sia necessario leggere la nostra tradizione con prospettive molto ampie. Non possiamo limitarci a rievocare l’esperienza postconciliare, ritenendola specialmente riuscita. Con tutto il rispetto per le persone e per l’impegno profuso, non sono così sicuro che il francescanesimo degli ultimi quarant’anni abbia particolarmente brillato. E nutro seri dubbi che l’esperienza del mondo francofono, alla luce dei risultati conseguiti, sia eccezionalmente positiva. Almeno non fino al punto da poter essere considerata riferimento obbligato per la progettazione del futuro dell’Ordine. Forse gli eventi di quegli anni appariranno mitici agli occhi di coloro che ne sono stati protagonisti in gioventù, e che li paragonano ai loro anni precedenti. Dobbiamo tener conto di questi avvenimenti e trarne i giusti insegnamenti, ma non credo che - in un orizzonte storico più ampio - essi siano particolarmente esemplari. Dobbiamo riassumere i valori fondamentali, ossia la grazia dell’origine, leggendoli attraverso i travagli e la ricerca di otto secoli di storia. È necessario fare ricorso a chiavi interpretative multiple, specialmente studiando le riforme 10

che in passato hanno dato i migliori frutti e meditando la vita dei santi che, in fin dei conti, sono ancora l’unica apologia credibile del cristianesimo. Non si tratta di ripetere meccanicamente, ma di reinterpretare creativamente tutti gli atomi di verità e di bellezza che Dio ha seminato nella nostra storia.

Fr. CARLO SERRI * Sacro Ritiro SS.Annunziata 66036 Orsogna (CH)

* Frate minore, impegnato nella formazione permanente. È autore di pubblicazioni di spiritualità francescana e clariana.

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