Ll Dono Che Ci Rende Chiesa

  • June 2020
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IL DONO CHE CI RENDE CHIESA Riflessioni sulla Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia Pubblicato in Forma Sororum, 41 (2004) 3-16. P. CARLO SERRI ofm.

C’è, nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attualizza nei secoli, una “capienza” davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione. Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa raccolta nella Celebrazione eucaristica (EdE 5).

Introduzione: la grazia dello stupore “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Queste parole, pronunciate da Gesù nell‟ultima cena, hanno attraversato i secoli, forgiando la fede e la vita dei credenti. Celebrando la sua Eucaristia Gesù rivelò ai suoi discepoli il segreto più profondo della sua comunione con il Padre, e li aprì all‟attesa del Paraclito, che avrebbe preso la sua vita per donarla al mondo. Quella sera gli apostoli, inconsapevoli protagonisti, furono immersi in un mistero troppo grande per la loro comprensione. Solo al compimento del Triduo pasquale le parole del Maestro avrebbero manifestato la pienezza del loro significato (cf. EdE 2). Lo Spirito li avrebbe guidati alla “verità tutta intera” (Gv 16,13), custodendoli nel loro ministero di testimonianza e d‟autorità. Gli apostoli si scoprirono destinatari e protagonisti di un dono indicibile, in cui una fede ancora tremante doveva congiungersi ad un amore stupefatto. Avevano ricevuto dal Signore la grazia di perpetuare la sua presenza nel mondo tramite la celebrazione eucaristica. Il cenacolo resta per sempre scuola d‟intimità divina, e il colloquio di Gesù con i suoi discepoli ha tracciato piste perenni di spiritualità sacerdotale. Per questo Giovanni Paolo II, da quando ha iniziato il suo ministero di successore di Pietro, ha inviato ogni anno, il Giovedì Santo, una lettera ai sacerdoti per ravvivare in essi il dono ricevuto (cf. 2Tm 1,6). Nel venticinquesimo del suo ministero petrino, ha voluto allargare la sua 1

riflessione eucaristica a tutta la Chiesa, inviando a tutti i fedeli l‟enciclica Ecclesia de Eucharistia. Il Papa, quasi prolungando la meditazione del cenacolo, ci ricorda che la Chiesa nutre la profonda coscienza di nascere dall‟Eucaristia. In questa celebrazione, infatti, è espressa e realizzata l‟unità dei credenti in Cristo. Un sacramento non è riducibile alla banalità del rito formale o della cerimonia suggestiva. Quando celebra la Chiesa tocca il mistero e ne resta feconda, non solo con l‟incanto di un ricordo nostalgico, ma con la concretezza di una partecipazione corporea. Nell‟Eucaristia infatti viviamo la perenne efficacia del mistero pasquale e scopriamo la “contemporaneità” del sacramento con la salvezza realizzata storicamente da Cristo. La Chiesa non è un prodotto terreno, costituito secondo le dinamiche sociali dei raggruppamenti umani. Popolo di peccatori e Corpo mistico di Cristo, essa vive della vita di Dio. Nella sua liturgia la Chiesa esalta la gratuità di un dono di grazia che la rinnova continuamente, trasformandola, per il mondo, in perenne offerta di salvezza. 1. Il cuore colmo di gratitudine: fede e teologia Per entrare nella comprensione profonda della riflessione del Papa dobbiamo collocarci sul suo stesso orizzonte espressivo, e immergerci nella fede della Chiesa. Quando preghiamo non ci limitiamo a rievocare un passato concluso. La memoria liturgica, nel soffio dello Spirito, vibra per la comunione di fede con il Cristo vivente in eterno, che riempie la storia della sua Persona. Come il Cristo glorioso, così le sue azioni salvifiche non sono condizionate dal tempo e dallo spazio, ma partecipano dell‟eternità di Dio e sono contemporanee a tutta la storia. Cristo risorto, salendo al Padre, si è sottratto allo sguardo, ma non certo alla vita dei suoi discepoli. Egli rimane per sempre presente alla vita della Chiesa, visibile solo agli occhi della fede, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1Tm 2,5). Il Figlio di Dio, “divenuto sommo sacerdote per sempre” (Eb 6,20), celebra nella Chiesa il suo sacrificio, e per mezzo dell‟Eucaristia, ci dà il modo di partecipare al sacrificio della croce come se vi fossimo stati presenti (cf. EdE 11). Il cristianesimo non è una visione filosofica del mondo, ma si fonda su un evento, sull‟incontro con la persona di Cristo, che avviene nella nostra storia. La celebrazione eucaristica coinvolge inevitabilmente tutto quello che la Chiesa confessa di Cristo e della sua opera di salvezza. Non esprime una verità

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marginale, ma ordina e struttura il complesso della fede della Chiesa. L‟Eucaristia è innanzitutto un mistero da adorare, rivelandoci l‟oceano senza misura dell‟amore di Cristo, che si dona per noi “fino all‟estremo” (cf. Gv 13,1). “Pochi anni or sono ho celebrato il cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio. Sperimento oggi la grazia di offrire alla Chiesa questa Enciclica sull‟Eucaristia, nel Giovedì Santo che cade nel mio venticinquesimo anno di ministero petrino. Lo faccio con il cuore colmo di gratitudine” (EdE 59).

La gratitudine del dono evoca ed esige una restituzione devota e obbediente, che non offende né mortifica la bellezza della grazia ricevuta. Per questo il Papa non manca di sottolineare certi atteggiamenti, certamente minoritari, ma che possono ferire la fede eucaristica della Chiesa: “vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell‟uno o nell‟altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? […] L‟Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni” (EdE 10).

Ci troviamo dinanzi ad un duplice pericolo. Il primo è costituito dalla vanificazione dell‟Eucaristia, ridotta a pura cifra simbolica, metafora del sentimento religioso che aspira ad una comunione con il divino. Quest‟impostazione, apparentemente religiosa, dissolve la dimensione storica concreta dell‟evento di salvezza, respingendo il sacramento nelle nebbie del soggettivismo emotivo. L‟incarnazione del Cristo e la realtà della sua presenza nella storia possono venire pericolosamente sottovalutate, banalizzando l‟Eucaristia fino a farne un semplice accadimento umano. L‟altro pericolo, corrispondente al primo, è l‟offuscamento della natura sacramentale della Chiesa che, privata della sua identità teologica di Corpo di Cristo, viene ricondotta alle leggi della sociologia. Una retta comprensione del mistero eucaristico esige il previo riconoscimento della natura sacramentale della Chiesa stessa. 2. Il sacrificio che ci dà la vita “„Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito‟ (1Cor 11,23), istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell‟apostolo Paolo ci riportano

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alla circostanza drammatica in cui nacque l‟Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l‟evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l‟evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli” (EdE 11).

Le parole del Papa a proposito della natura sacrificale dell‟Eucaristia rilevano un aspetto fondamentale della dottrina cattolica, già esposta dal Concilio di Trento, dal Concilio Vaticano II e, più recentemente, dal Catechismo della Chiesa cattolica. Le parole dell‟istituzione eucaristica, così come sono riportate dai vangeli, non ci attestano soltanto che il cibo e la bevanda dell‟ultima cena sono il corpo e il sangue di Cristo. Ci rivelano anche che l‟offerta del corpo e del sangue, fatta nell‟ultima cena, ebbe valore sacrificale, perché rese presente, in modo sacramentale, il sacrificio che si sarebbe compiuto sulla croce per la salvezza del mondo (cf. EdE 12). La liturgia non consiste nella duplicazione del sacrificio della croce o nella sua imitazione simbolica. La Messa rende presente l‟unico sacrificio della croce, non lo moltiplica né lo replica. Si tratta sempre dell‟unico sacrificio offerto da Cristo, che ritorna presente per noi nella celebrazione eucaristica. Come ha ribadito il Catechismo della Chiesa cattolica, “il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell‟Eucaristia sono un unico sacrificio” (CCC 1367). La fede cattolica, già sapientemente meditata dai padri della Chiesa, ha trovato la sua formulazione definitiva nel Concilio di Trento. Questo Concilio insegna, a proposito del sacrificio della Messa, che in essa non avviene la ripetizione dell‟offerta, ma che ci troviamo dinanzi ad una sola e identica vittima. Lo stesso Gesù, che offrì se stesso sulla croce, si offre adesso per mezzo del ministero dei sacerdoti. Quello che cambia è solo il modo di offrirsi, ma la vittima e il Sacerdote sono identici1. L‟enciclica di Giovanni Paolo II ricorda che si tratta di un sacrificio in senso proprio, e non solo metaforico: “In forza del suo intimo rapporto con il sacrificio del Golgota, l‟Eucaristia è sacrificio in senso proprio, e non solo in senso generico, come se si trattasse del semplice offrirsi di Cristo quale cibo spirituale ai fedeli. Il dono infatti del suo amore e della sua obbedienza fino all‟estremo della vita (cf. Gv 10,17-18) è in primo luogo un dono al Padre suo. Certamente, è dono in favore nostro, anzi di tutta l‟umanità (cf. Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20; Gv 10,15), ma dono innanzitutto al Padre: sacrificio che il Padre accettò, ricambiando questa totale donazione di suo Figlio, che si fece „obbediente fino 1

CONCILIO ECUMENICO TRIDENTINO, Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap. 2: DENZINGER, 1743. 4

alla morte‟ (Fil 2,8), con la sua paterna donazione, cioè col dono della nuova vita immortale nella risurrezione” (EdE 13).

L‟Eucaristia dunque non può essere concepita solo come la proclamazione di una parola di perdono e filantropia tra gli uomini. Quando celebriamo l‟Eucaristia applichiamo agli uomini di oggi la riconciliazione ottenuta da Cristo, con il suo sacrificio sulla croce, una volta per tutte e per gli uomini d‟ogni tempo. Certamente, in un‟epoca contrassegnata dal pensiero debole e dal relativismo culturale esasperato, può apparire molto scomodo un annuncio che pretenda di affermarsi come via di salvezza eterna e universale. Qui tocchiamo il cuore della nostra professione di fede. Si evidenzia il carattere provocatorio del kerigma cristiano, che lega la salvezza all‟annuncio di Cristo crocifisso, “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). Nella fede eucaristica si gioca la questione dell‟identità della Chiesa, che non si propone solo come un‟agenzia culturale tra le altre possibili; ma si concepisce, in Cristo, come “sacramento universale di salvezza” (LG 1). Il cardinale Kasper, in una recente intervista, ha rilevato che “tutta l‟enciclica è attraversata dal riconoscimento che la Chiesa non si dà la vita da sola, non si edifica da se stessa, non si autoproduce”2. La Chiesa nasce e vive del dono ricevuto dall‟alto, dal sacrificio di un amore che va fino “all‟estremo” (cf. Gv 13,1). Questo dono ci rende Chiesa e sostiene il nostro cammino verso la pienezza dell‟amore. 3. Presenza reale, non suggestione emotiva La dottrina teologica della ripresentazione sacramentale del sacrificio di Cristo nella santa Messa allarga immediatamente la riflessione sulla fede nella presenza reale. Su questo punto Ecclesia de Eucharistia, al n. 15, riprende espressamente l‟insegnamento già offerto da Paolo VI nell‟enciclica Mysterium Fidei del 1965. Non affermiamo che la presenza del Signore nell‟Eucaristia è reale per suggerire che le sue altre maniere di presenza nel mondo siano immaginarie. Si vuole intendere che nell‟Eucaristia c‟è la presenza reale per antonomasia, perché in essa il Signore è presente sostanzialmente, nella sua pienezza umana e divina. L‟enciclica richiama esplicitamente la dottrina del Concilio di Trento, 2

Cf. l‟intervista concessa dal card. Walter Kasper alla rivista Trenta Giorni, Anno 5

secondo la quale questa presenza del Signore implica la reale e totale conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue del Signore3. Il richiamo alla dottrina e al linguaggio della transustanziazione potrà forse apparire a qualcuno teologicamente datato. Invece la sua evocazione è basilare, anche nella moderna situazione culturale, per la corretta comprensione della comunione eucaristica, che non è figurativa, ma personale. Proprio perché il Signore è realmente e sostanzialmente presente nell‟Eucaristia, noi possiamo accedere alla comunione personale con Lui. Veramente la Messa è un banchetto in cui Cristo si offre a noi come nutrimento (cf. EdE 16). Se così non fosse c‟incontreremmo solo con i nostri sentimenti. La Chiesa ha sempre difeso questo linguaggio corporeo concreto nel descrivere il mistero eucaristico. In questa consuetudine verbale ha sempre percorso la via evangelica, ossia ha adottato il realismo del linguaggio giovanneo: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6,55). Queste parole sono scandalose per l‟uomo moderno, come lo furono per gli ebrei che le udirono la prima volta, nella sinagoga di Cafarnao. Anche oggi qualcuno ripeterà: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (Gv 6,60). Sappiamo bene che queste parole costarono care a Gesù che, dopo averle pronunciate, si vide abbandonato da molti dei suoi discepoli (cf. Gv 6,66). Accogliere l‟Eucaristia vuol dire accogliere e confessare Cristo stesso: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). Un‟adesione di fede così profonda non sarebbe possibile senza l‟impulso efficace della grazia. Il Papa ci ricorda che, attirandoci alla comunione di vita con Lui, il Signore ci comunica il suo Spirito (cf. EdE 17). Proprio la partecipazione al dono dello Spirito consente l‟edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa. L‟incorporazione a Cristo, che si è iniziata con il battesimo, trova la sua conferma sacramentale nella partecipazione all‟Eucaristia. Animata e guidata dallo Spirito, la Chiesa realizza il suo cammino di santità e di servizio al mondo, camminando nella storia sempre protesa verso i beni celesti. L‟indole escatologica dell‟Eucaristia fa sì che la Chiesa non fugga il mondo, considerandolo realtà solo negativa. Al contrario, essendo presenza storica del mistero del Regno, la Chiesa orienta efficacemente il mondo alla XXI (2003) 5, 22-29. 3 DENZINGER, 1642. 6

comunione redentiva con Dio. “Il Concilio Vaticano II ha ricordato che la Celebrazione eucaristica è al centro del processo di crescita della Chiesa. Infatti, dopo aver detto che „la Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo‟ (LG 3), quasi volendo rispondere alla domanda: „Come cresce?‟, aggiunge: Ogni volta che il sacrificio della Croce „col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato‟ (1Cor 5,7) viene celebrato sull‟altare, si effettua l‟opera della nostra redenzione” (EdE 21).

È proprio dalla consolante certezza di questa presenza del Signore che nasce il bisogno insopprimibile dell‟adorazione eucaristica (cf. EdE 25). Le parole con cui il Papa commenta l‟importanza dell‟adorazione eucaristica portano il timbro inconfondibile della sua esperienza personale, e vibrano di una tensione spirituale profonda. È il momento in cui l‟esposizione dottrinale cede il passo alla testimonianza confidenziale. Si può parlare efficacemente dell‟Eucaristia senza svelare il segreto di una comunione personale? “Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche. È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cf. Gv 13,25), essere toccati dall‟amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l‟„arte della preghiera‟, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione, sostegno!” (EdE 25).

Noi religiosi, che dell‟arte della preghiera dovremmo essere maestri, dovremmo sentire più di chiunque altro il fascino della comunione divina, e intrattenerci volentieri sul Tabor e nel cenacolo, avvinti dalla bellezza del Signore. Per noi, più che per altri, vale il principio giovanneo per cui possiamo annunciare il Verbo della vita solo se lo abbiamo udito, veduto, contemplato e toccato con le nostre mani (cf. 1Gv 1,1-4). Le comunità religiose dedicano sempre più tempo all‟uso degli strumenti di comunicazione. La televisione, in alcune comunità, arriva a divorare tutto il tempo della ricreazione comunitaria. Dovremmo avere il coraggio di raccogliere quest‟appello del Papa, e dedicarci con rinnovata passione alla contemplazione del volto di Cristo, che risplende nell‟Eucaristia. Potremmo così ridiventare padroni del nostro tempo, e riconquistare quegli orizzonti di silenzio e 7

adorazione che immergono la nostra vita nel mistero di Dio. 4. Sacerdoti per l’Eucaristia e per la Chiesa È evidente, per chiunque si ponga in ascolto dell‟insegnamento di quest‟enciclica, che una tale dottrina eucaristica è inseparabile da una corrispondente dottrina del sacerdozio. Giovanni Paolo II, nel suo magistero ha più volte illustrato con sapienza veemente “il dono e il mistero” che il sacerdozio rappresenta nella vita della Chiesa. Concezioni teologicamente deboli rappresentano talvolta il ministero sacerdotale solo in termini di annuncio della Parola o di animazione della vita comunitaria. Questi aspetti, pur rilevanti nel ministero dei presbiteri, non ne esauriscono tuttavia il ruolo teologico. L‟ecclesiologia si fonda sulla cristologia e il servizio del presbitero verso i fratelli dipende dal suo rapporto con Cristo. Coerentemente il Papa pone, al centro dell‟identità sacerdotale, il suo rapporto col sacerdozio di Cristo e dunque con l‟offerta del sacrificio eucaristico: “come insegna il Concilio Vaticano II, „i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all‟oblazione dell‟Eucaristia‟, ma è il sacerdote ministeriale che „compie il Sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo‟. [… ] Come ho avuto modo di chiarire in altra occasione, in persona Christi „vuol dire di più che a nome oppure nelle veci di Cristo. In persona: cioè nella specifica, sacramentale identificazione col sommo ed eterno Sacerdote, che è l‟autore e il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno‟. Il ministero dei sacerdoti che hanno ricevuto il sacramento dell‟Ordine, nell‟economia di salvezza scelta da Cristo, manifesta che l‟Eucaristia, da loro celebrata, è un dono che supera radicalmente il potere dell’assemblea ed è comunque insostituibile per collegare validamente la consacrazione eucaristica al sacrificio della Croce e all‟Ultima Cena” (EdE 28-29).

Queste parole rappresentano con chiarezza impetuosa il mistero del sacerdote, uomo scagliato sull‟abisso di un‟espropriazione radicale. Un sacerdote è un uomo per tutti, proprio perché non si appartiene. La sua vita, totalmente immersa in un‟umanità consueta, è tuttavia sospesa al filo di un legame divino che lo rende essenzialmente diverso da chiunque altro. Vive sulla sua carne il mistero di una comunione che lo trasfigura nelle profondità del suo essere. Anche per lui lo Spirito ha detto: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l‟opera alla quale li ho chiamati” (At 13,2). È l‟appartenenza esclusiva a Dio che fa di quest‟uomo il ministro adatto ad 8

offrire il sacrificio eucaristico. Proprio nel momento in cui esegue l‟azione che gli è più propria, quella che nessuno può compiere al suo posto e che lo rende quello che egli è… proprio allora egli non è più se stesso. L‟identificazione sacramentale con la persona di Cristo sacerdote fa sì che il Signore stesso sia colui che celebra, nel suo ministro, il sacrificio della salvezza. Quest‟identificazione personale è una realtà più alta di qualsiasi delega o ufficio ecclesiastico. Tocca le radici stesse dell‟umanità e le unisce in modo unico alla persona di Cristo. Lo scopo più alto e principale dell‟ordinazione sacerdotale consiste proprio nell‟offerta del sacrificio eucaristico, che attualizza la salvezza che il Cristo ha ottenuto per noi. Il rispetto per le confessioni cristiane separate e il giusto impegno ecumenico non possono appannare il dono di grazia che la Chiesa confessa di aver ricevuto dal Signore.

5. Memoria francescana e apostolato eucaristico La meditazione di questa quattordicesima enciclica di Giovanni Paolo II evoca spontaneamente assonanze ed atmosfere spirituali francescane. Sappiamo che san Francesco, soprattutto alla fine della sua vita, fu un appassionato divulgatore della fede e della devozione verso l‟Eucaristia. Lo stimolo immediato all‟apostolato gli derivava dal magistero del Concilio Lateranense IV e dalla bolla Sane cum olim, con cui papa Onorio III esortava i cristiani ad una maggiore devozione eucaristica. Francesco si dedicò anima e corpo a quest‟apostolato eucaristico. Egli, che confessava di essere un illetterato, cominciò a diffondere lettere tra i frati e tra i laici, incitando tutti, autorità civili e gente del popolo, alla devozione eucaristica. Fu una vera e propria “campagna di sensibilizzazione”, poiché il santo d‟Assisi esortava a copiare e diffondere le sue lettere con il massimo impegno (2Lcu 4-6). Francesco si troverebbe in perfetta sintonia con Giovanni Paolo II, condividendo il suo desiderio di ridestare lo “stupore eucaristico” nella Chiesa, spesso distratta da impegni più prosaici (cf. EdE 6). I primi chiamati a riscoprire lo stupore eucaristico erano i frati, e soprattutto i sacerdoti, ai quali Francesco, nella Lettera a tutto l’Ordine, scriveva parole di trepidante contemplazione: “Tutta l‟umanità trepidi, l‟universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull‟altare, nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore

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dell‟universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!” (LOrd 26-27).

L‟osservazione dell‟umiltà sconvolgente di Dio deve spingerci ad un profondo processo di purificazione interiore, che mira ad unificare i nostri sentimenti con quelli di Cristo. L‟offerta del sacrificio del corpo e sangue del Signore diventa un mistero trasformante, che coinvolge il sacerdote celebrante e lo unisce intimamente a Dio, generando un‟accoglienza totale e pura della volontà divina. Nella Messa infatti solo il Signore opera come protagonista: “Prego poi nel Signore tutti i miei frati sacerdoti […] che quando vorranno celebrare la Messa puri, in purità offrano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini. Ma ogni volontà, per quanto l‟aiuta la grazia divina, si orienti a Dio, desiderando con la Messa di piacere soltanto allo stesso sommo Signore, poiché in essa egli solo opera come a lui piace” (LOrd 14).

Questo radicale orientamento a compiere la volontà di Dio è requisito indispensabile per la sequela delle orme di Gesù Cristo, secondo la vocazione propria dei frati minori. Alla radice della salvezza cristiana Francesco vedeva l‟obbedienza di Gesù che, pur sentendone tutto il peso, volle compiere la volontà del Padre e affrontare il sacrificio per la nostra santificazione. Nella Lettera ai fedeli, dopo aver commemorato l‟istituzione dell‟Eucaristia, Francesco passa a meditare sul dramma del Getsemani: “Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: „Padre, sia fatta la tua volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu‟. E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l‟esempio perché ne seguiamo le orme” (2LFed 10-13).

L‟offerta di Cristo, che si fa sacrificio e vittima sull’altare della croce è in realtà la sorgente segreta della chiamata alla povertà radicale. Non sarebbe possibile “portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Amm V,8) se non ci fosse l‟ardente desiderio di condividere il suo amore sofferente. Profondamente sconvolto dinanzi al sacrificio amoroso di Cristo, Francesco soffriva nel vedere il grande mistero di Dio trascurato dagli uomini. Nella Lettera ai chierici non esita a rivolgere parole di aspro rimprovero

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a coloro che trattavano con poca venerazione il santo sacramento: “Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all‟ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano il corpo. Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola. Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti „da morte a vita‟” (LCh 1-3).

Francesco non teme di correggere quelli che trascurano di rendere tutto l‟onore, anche nei gesti esteriori, al corpo del Signore. Egli, che è stato esigente sino all‟intolleranza sulla questione della povertà, non esita ad esigere le dovute forme di rispetto formale per il sacramento. “I calici, i corporali, gli ornamenti dell‟altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione” (1LCu 3-4).

Evidentemente non ci troviamo dinanzi ad un formalismo di facciata. Per Francesco la fede eucaristica ha la stessa struttura della fede cristologica. Il sacramento dell‟Eucaristia, e il sacerdote che lo celebra, diventano sacramento storico del Cristo celeste. “Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull‟altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello spirito, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero” (Amm I,16-21).

La ben nota venerazione di Francesco verso i sacerdoti non aveva nulla di convenzionale o ipocrita. Nasceva invece dal legame inscindibile, che lega il sacerdote al Cristo e all‟offerta del sacrificio eucaristico. Proprio nel suo Testamento, nell‟affidare ai suoi frati la memoria appassionata e inflessibile dei valori originari della vita minoritica, Francesco non può fare a meno di richiamarne il fondamento eucaristico:

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“Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. […] E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio (Filium Dei discerno in ipsis) e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient‟altro vedo corporalmente (video corporaliter), in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi” (TestF 6-11).

Francesco “riconosceva” il Signore nei suoi sacerdoti proprio perché, nella profondità del suo sguardo di fede, lo poteva “vedere corporalmente” nel sacramento da essi celebrato. Così il Signore Gesù continua ad offrire la sua alleanza d‟amore ad ogni uomo e attualizza la sua salvezza in tutta la storia. “E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice: „Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo‟” (Amm I,22).

Conclusione: dalla Chiesa all’umanità Le consonanze tra l‟enciclica Ecclesia de Eucharistia e la dottrina eucaristica di san Francesco ci spingono ad una rinnovata attenzione al tesoro di fede che ci è affidato. Solo una Chiesa cosciente del mistero che la rende sacramento di Cristo potrà operare efficacemente per l‟unità tra gli uomini. Non siamo noi i salvatori del mondo. “Mediante la comunione al corpo di Cristo la Chiesa raggiunge sempre più profondamente quel suo essere „in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell‟intima unione con Dio e dell‟unità di tutto il genere umano‟. Ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l‟esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell‟umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo. L‟Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini” (EdE 24).

La vera forza della Chiesa non consiste nella potenza dei suoi ministri, ma nell‟umile presenza del suo Signore, che si è fatto servo e continua a donarsi a noi, perché possiamo vivere di Lui. La teologia sistematica, lo stupore contemplativo e il coraggio pastorale dovranno armonizzarsi in una sintesi superiore, in cui il sapere diventi sapienza e l‟esperienza di fede maturi nella testimonianza di vita. Perché… “siano perfetti nell‟unità e il mondo sappia che 12

tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23). P. CARLO SERRI ofm. Sacro Ritiro SS. Annunziata 66036 ORSOGNA CH

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