Leopardi, Schopenhauer, Keats

  • May 2020
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Marco Brivio, V A

LEOPARDI E SCHOPENHAUER: AFFINITÀ E ANALOGIE

I punti in comune tra G. Leopardi, A. Schopenhauer e J.Keats MATERIE COINVOLTE: ITALIANO, INGLESE, FILOSOFIA

SCHEMA DELLA TESINA Scopo e motivazioni della tesina Cenni biografici La vita come dolore Le vie del superamento del dolore Rifiuto del romanticismo o o

Rifiuto del romanticismo in Leopardi (cfr. Dibattito sulla lettera di M.me de Stäel) Rifiuto dell’idealismo da parte di Schopenhauer (cfr. Feuerbach)

Differenze tra Leopardi e Schopenhauer Leopardi and Keats Beauty and art in Keat’s view (Cfr. G. d’Annunzio, T. Mann, O.Wilde)

L’Arte secondo Schopenhauer Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia

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LO SCOPO E LE MOTIVAZIONI DELLA TESINA Lo scopo di questa tesina è di mostrare le analogie e le affinità tra il pensiero di Arthur Schopenhauer (* 1788 + 1860) e quello di Giacomo Leopardi (* 1798 + 1837). Sebbene al poeta recanatese non sia stato sempre riconosciuto lo status di filosofo (soprattutto da parte di Benedetto Croce), molti critici hanno invece colto la ricchezza del suo pensiero, come il genovese Giuseppe Rensi, che, in uno scritto del 1919, lo giudica “il nostro maggior poeta, e, insieme, il nostro maggiore filosofo”1, e come il suo allievo Giovanni Amelotti, che scrive “nella piccola schiera dei filosofi per passione o per destino, è uno di coloro che si è sollevato più in alto e che è più degno di stare vicino a Platone”2. In realtà, come scrive Cesare Galimberti, professore di letteratura italiana dell’Università di Padova, “è convinzione leopardiana che grande poesia e grande filosofia crescano dalle medesime radici. Egli pensa però, essenzialmente, a una filosofia non formalizzata (come la filosofia moderna), ma libera e mossa e che si esprima anche in visioni che nella considerazione ufficiale sono definite non filosofiche ma religiose o poetiche”3. Lo stesso Schopenhauer, dopo essere entrato in contatto con gli scritti del poeta italiano, scrive in proposito “Nessuno ha trattato questo argomento [cioè la miseria della nostra vita] di maniera così profonda ed esauriente come l’ha fatto, ai giorni nostri, il Leopardi”4 . Possiamo notare quindi come già in passato non solo il pensiero del poeta italiano sia stato ritenuto giustamente degno di essere considerato speculazione filosofica, ma come siano subito emerse le analogie con il filosofo tedesco, che presto analizzeremo. Perché scegliere un argomento come questo? Essenzialmente per la stima che nutro nei confronti del poeta italiano, della sua poesia ma anche del suo pensiero. A questo punto il collegamento con il grande filosofo tedesco è venuto spontaneo; è straordinario pensare che due persone contemporanee ma provenienti da culture diverse, da classi sociali diverse, da paesi diversi abbiano avuto così tanti punti in comune. Infine la mia passione per il romanticismo in generale mi ha portato a considerare anche alcune affinità tra i due protagonisti della mia tesina e un’altra figura che apprezzo molto, il poeta inglese John Keats.

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GIUSEPPE RENSI, Lo Scetticismo estetico del Leopardi, “Rivista d’Italia”, n. 3, luglio 1919. GIOVANNI AMELOTTI, Filosofia Del Leopardi, Fabris, Genova, 1937. 3 CESARE GALIMBERTI, Cose che non son cose, Marsilio Editori, 2001, Pag. 20. 4 ARTHUR SCHOPENHAUER, Der handschriftliche Nachlass, hg. V. Arthur Hübscher, 5, 1968, p.481 2

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CENNI BIOGRAFICI: Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798 da Monaldo, Conte di San Leopardo e Nobile di Recanati, e da Adelaide Antici Mattei, nata dei Marchesi di Giove. Tra il 1809 e il 1816 svolge “sette anni di studio matto e disperatissimo” che recheranno gravi danni alla salute del poeta. In questo periodo e negli anni seguenti nascono i primi componimenti poetici . Dal 1825 si trasferisce per vivere lontano da Recanati, abbandonando provvisoriamente la poesia, e componendo le Operette morali, dove possiamo notare maggiormente il pensiero filosofico del poeta; visita così Bologna, Milano, Firenze, Pisa e infine Napoli, dove muore il 14 giugno 1837. Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da una famiglia borghese. Quando la libera città di Danzica è annessa alla Prussia, la famiglia si trasferisce ad Amburgo. Tra il 1797 e il 1804 Schopenhauer compie molti viaggi, in Francia, in Boemia, in Inghilterra e in altri paesi europei. Nel 1813 ottiene la laurea di filosofia a Jena. Nel 1819 pubblica il suo capolavoro Il mondo come volontà e rappresentazione. Muore a Francoforte nel 1860.

Stemma dei Conti Leopardi

Ritratto di Arthur Schopenhauer

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LA VITA COME DOLORE Sia Leopardi che Schopenhauer concordano nel ritenere la vita come un susseguirsi di dolore e sofferenze. Per il poeta la causa prima dell’infelicità dell’uomo è da ricercare nella sua “teoria del piacere”. L’uomo, per Leopardi, aspira al raggiungimento del piacere. Ma il piacere desiderato è infinito, mentre quello raggiungibile è sempre limitato, e non può soddisfare in alcun modo il desiderio. Da questa tensione inappagabile nasce l’infelicità dell’uomo, che, nel primo Leopardi, può essere in parte superata grazie alle illusioni che la natura ci offre, oppure grazie all’azione e all’eroismo. Nel secondo Leopardi invece, il pessimismo non è più storico, cioè legato ad una determinata epoca, ma cosmico. A questo proposito il poeta scrive “Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.”5 In questa fase del pessimismo leopardiano inoltre la natura acquista un significato negativo, e può essere ricollegata alla Volontà di Schopenhauer, come sostiene anche Elio Gioanola, che scrive “Quanto il concetto di ‘volontà’ somigli a quello leopardiano di ‘natura’ […] è di immediata evidenza”6. Per Schopenhauer l’ origine del dolore umano è appunto la volontà, che, come dice egli stesso, “in ogni grado della sua manifestazione, dal più basso al più alto, manca interamente di un fine ultimo, aspira sempre, perché la sua essenza si risolve in un’aspirazione che non può cessare per effetto di alcun conseguimento e che quindi è incapace di una soddisfazione definitiva”7. Partendo dal concetto di volontà come tensione e aspirazione, l’impedimento della soddisfazione della volontà genera inevitabilmente dolore, mentre l’appagamento del desiderio è effimero, e conduce alla noia. Vale ancora la pena di citare le parole del filosofo tedesco, molto vicine ancora una volta alle posizioni di Leopardi, in cui si dice “Il desiderio è, per sua natura, dolore: il conseguimento genera tosto sazietà, la meta era solo apparente: il possesso disperde l’attrazione: in nuova forma si presenta il desiderio, il dolore altrimenti, segue monotonia, vuoto, noia contro cui è la battaglia altrettanto tormentosa quanto il bisogno”.8

5

GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, 4175-7 ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pag. 371. 7 ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, libro IV, paragrafo 56 8 ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1972, II vol., pag. 414. 6

5

LE VIE DEL SUPERAMENTO DEL DOLORE Se per il primo Leopardi le vie di superamento del dolore erano l’azione e l’eroismo, e nel secondo periodo il senso dell’esistenza era dato dalla compassione e dal conforto reciproco tra gli uomini, per Schopenhauer il superamento del dolore consiste nella liberazione dalla volontà. La liberazione dalla volontà può essere ottenuta in diversi modi. La conoscenza contemplativa: l’uomo può liberarsi dalla soggezione alla volontà attraverso la contemplazione (per esempio di un’opera d’arte). Così facendo dimentica la propria individualità e smette di volere.

Raffaello, Santa Cecilia

Raffaello, Madonna Sistina

“La Santa Cecilia di Raffaello si può prendere come simbolo di tale conversione”9 L’ascesi: un’altra via di liberazione dalla volontà è l’ascesi, che consiste nel “Sustine et abstine” , cioè castità perfetta, digiuno e povertà. Tuttavia il filosofo tedesco non è il primo a proporre la via ascetica, già presente non solo nelle tradizioni orientali (in particolare nella religione buddista), ma anche nella filosofia di matrice stoica di autori latini, come Seneca. L’etica e la compassione: questa è l’ultima via di liberazione dalla volontà e della distruzione del velo di Maya. Quando l’uomo capisce che la stessa volontà è presente in tutta la specie, e anche negli animali e nelle cose, comincia a considerare gli altri come 9

ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, §52.

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fratelli e suoi pari. Da qui nasce la pratica spontanea della giustizia, che è il primo passo nello squarciamento del velo di Maya; la compassione infatti fa scomparire l’illusione dell’individualità, ponendo l’uomo in una dimensione sociale e mettendolo sulla via della redenzione. Questo ultimo metodo di superamento del dolore è molto vicino alla filosofia dell’ultimo Leopardi, espressa molto lucidamente nella sua operetta Dialogo di Plotino e Porfirio, dove si delinea chiaramente il concetto secondo il quale “il dovere degli uomini è di collaborare per rendere più sopportabile la fatica della vita: di tenersi compagnia, confortarsi, incoraggiarsi e aiutarsi a vicenda.”10. Ancora una volta vale la pena citare le parole del poeta, il quale, identificandosi con Plotino, dice “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve”11. IL RIFIUTO DEL ROMANTICISMO Rifiuto del romanticismo in Leopardi: Sebbene in Leopardi si ritrovino alcune caratteristiche del romanticismo, quali il tema dell’infinito, il dolore e la scissione tra io e natura (e la concezione rousseauviana della stessa, nel primo periodo del poeta recanatese), Leopardi prende le distanze da questa corrente, per vari motivi. Innanzitutto perché è un materialista (Il male di vivere è essenzialmente sofferenza fisica, non spirituale come quella dei poeti romantici), ma anche perché rifiuta l’irrazionalismo, come sostiene Elio Gioanola, che scrive in proposito “Leopardi […] discende direttamente dalla filosofia razionalistica e materialistica del Settecento, per il quale dunque egli non uscirebbe mai dall’ambito della ragione, una volta riconosciuta la funzione di questa come liberatrice dallo spiritualismo e dalla religione”12. Inoltre la poesia di Leopardi, stilisticamente, rimane in parte legata al classicismo e alla tradizione. D’altra parte, anche la cultura positivista viene rifiutata: così come non crede nella possibilità di riscatto dell’uomo grazie al ritorno allo stato naturale, Leopardi non ritiene che la fiducia nel progresso sia sensata, e non crede neanche nella perfettibilità del genere umano. Nel Dialogo della Natura e di un Islandese emerge la concezione antiromantica della natura, ora vista come ente malvagio, mentre la sfiducia nel progresso è chiaramente riscontrabile nell’operetta La Scommessa di Prometeo, soprattutto nel passo che segue:

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LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’Interpretazione, Capitolo IX, pagina 488. GIACOMO LEOPARDI, Operette Morali, Dialogo di Plotino e Porfirio. 12 ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pag. 360 11

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“Dico io dunque: se l’uomo barbaro mostra di essere inferiore per molti capi a qualunque altro animale; se la civiltà, che è l’opposto della barbarie, non è posseduta né anche oggi se non da una piccola parte del genere umano; se oltre di ciò, questa parte non è potuta altrimenti pervenire al presente stato civile, se non dopo una quantità innumerabile di secoli, e per beneficio massimamente del caso, piuttosto che di alcun’altra cagione; all’ultimo, se il detto stato civile non è per anche perfetto; considera un poco […] che esso è veramente sommo tra i generi, come tu pensi; ma sommo nell’imperfezione.”13 Leopardi si rifà all’illuminismo, ma non accetta l’idea di progresso della cultura settecentesca e romantica. “L’adesione alla visione scientifica, materialistica e meccanicistica della natura distrugge la fiducia in ogni finalismo immanente nell’universo, l’idea cioè di una natura buona” scrive Luperini in proposito14. Anche ne La Ginestra le tesi portanti sono citate come conseguenze logiche derivate da osservazioni della realtà, in pieno procedimento materialistico, contrapposto alle ideologie idealistiche dominanti in quel periodo (le stesse contro cui si scaglia Schopenhauer, pur essendo uno spiritualista). Rifiuto dell’idealismo da parte di Schopenhauer: Anche il filosofo tedesco, pur scrivendo in età romantica, prende le distanze dai grandi pensatori dell’idealismo tedesco, quali Hegel, Fichte e Schelling, che per Schopenhauer sono ciarlatani e sofisti, e che cercavano, più che la verità, impieghi e cariche pubbliche. Il filosofo recupera la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé, affermando che ciò che possiamo conoscere è solo ciò di cui possiamo fare esperienza, e si oppone al pensiero di Hegel. Ma, anche se recupera in parte Kant, Schopenhauer ritiene, al contrario del suo predecessore, di poter conoscere la cosa in sé, come scrive anche Francesco de Sanctis nel suo saggio Schopenhauer e Leopardi, e ritiene possibile la fondazione di una metafisica nuova e immanente. Significativo è quanto scrive Giuseppe Tortora: “Avversario dell'idealismo, dedicò la sua speculazione alla teorizzazione di una visione del mondo in cui questo appariva attraversato da una forza cieca e irrazionale che, tuttavia, poteva spiegare, a suo avviso, proprio ciò che Fichte, Schelling ed Hegel non erano riusciti a spiegare: il male cosmico e il male storico. […] Schopenhauer propone una concezione globale in cui l'uomo è concepito totalmente e intimamente integrato nella struttura dell'universo fisico, e partecipe, quindi, in modo totale ed esclusivo, della sua essenza - la volontà di vivere - e della sua unica legge - la lotta per l'esistenza.”15

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GIACOMO LEOPARDI, Operette Morali, La Scommessa di Prometeo. LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’interpretazione, Capitolo X, Pag. 604. 15 GIUSEPPE TORTORA, Le filosofie contemporanee, Schopenhauer, Capitolo IV, La Critica all’idealismo e alla conoscenza, in http://www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quarto/IV.4.html 14

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DIFFERENZE TRA LEOPARDI E SCHOPENHAUER Pur essendoci moltissimi punti in comune, tra i quali quelli che abbiamo precedentemente elencato, è possibile trovare anche qualche differenza tra il pensiero dei due autori. Innanzitutto il poeta recanatese è un materialista. “Dal seno della materia vede germinare l’appetito irrazionale, e quindi l’ignoranza, l’errore, le passioni, in una parola il male”16 dice de Sanctis in proposito, mentre Schopenhauer, per citare sempre il noto saggista italiano, dice “La materia non esiste, è un concetto, un’astrazione; ciò solo che esiste è l’appetito, il Wille.”17 Entrambi ammettono dunque lo stesso principio, ma uno lo fonda nella materia, e l’altro “gli fa della materia un semplice velo”. Un’altra differenza tra i due pensatori è, anche secondo quanto scrive De Sanctis, che le conclusioni del filosofo tedesco si rivelano aride ed sterili, mentre quelle del poeta sono più attive e costruttive. A tal proposito scrive il saggista "Non crede al progresso, e te lo fa desiderare, non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore" 18. Così mentre in Schopenhauer lo sbocco logico del suo pessimismo consiste nella fuga dalla vita e nel quietismo dell'asceta, in Leopardi l'esito dei suo pessimismo dà all'uomo un messaggio positivo: "Nobil natura è quella che a sollevar s'ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte, e il basso stato e frale; quella che grande e forte mostra sé nel soffrir, né gli odi e l'ire fraterne, ancor più gravi d'ogni altro danno, accresce alle miserie sue, l'uomo incolpando del suo dolor, ma dà la colpa a quella che veramente è rea, che de' mortali 16

FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da Ibis, 1992, Pag. 44. 17 FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da Ibis, 1992, Pag. 44. 18 FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da Ibis, 1992, Pag. 69.

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madre è di parto e di voler matrigna. Costei chiama inimica; e incontro a questa congiunta esser pensando, siccome è il vero, ed ordinata in pria l'umana compagnia, tutti fra sé confederati estima gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune.19 LEOPARDI AND KEATS John Keats (* 1795 + 1821) is an English romantic poet. In his famous poem Ode On A Grecian Urn he says that real joy exists in the desire, not in fulfilment of it. As a matter of fact the poem celebrates the desired but not consumed passion, the love for dreams and expectations, rather than the boredom which follows the fulfilment of one's desires. "For ever warm and still to be enjoy'd, for ever panting, and for ever young; all breathing human passion far above, that leaves a heart high-sorrowful and cloy'd, a burning forehead, and a parching tongue"20 This aspect of Keats' poetry can be linked to Leopardi, who touches the same themes. In Il Sabato del Villaggio, for example, Leopardi makes joy correspond to the waiting, the dream, the imagination. The happiest day is Saturday, the day of hopes, when people are waiting for Sunday, the day of delusions and unfulfilled dreams. So the desire is much more fascinating than the satisfaction. "Or la squilla dà segno 19 20

GIACOMO LEOPARDI, Canti, La Ginestra, Firenze 1845. JOHN KEATS, Lamia, Isabella, The Eve of St. Agnes, and Other Poems, Ode On A Grecian Urn, 1820.

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della festa che viene; ed a quel suon diresti che il cor si riconforta.[...] e intanto riede a la sua parca mensa fischiando, il zappatore, e seco pensa al dì del suo riposo.[...] Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno."21

BEAUTY AND ART IN JOHN KEATS’ VIEW John Keats based his poems on the central theme of beauty. According to Keats beauty was the consolation for a life of sadness and misunderstanding, in fact his early life was marked by a series of personal tragedies such as the killing of the father, the death of the mother and a younger brother. The memory of a thing of beauty was to him a source of joy as he wrote in the opening lines of his epic poem, ‘’Endymion’’(1817): ‘’A thing of beauty is a joy for ever’’ In Keats’ view beauty could be either physical or spiritual; these two kinds of beauty were interwoven because for him physical beauty was the expression of the spiritual one, but the difference consists on the fact that the former was temporary and the latter was eternal and immortal. Keats exposes this view of beauty in the ‘’Ode on a Grecian Urn’’(1819). Therefore Keats’ idea of beauty was not only an aesthetic concept, but also a moral one. 21

GIACOMO LEOPARDI, Canti, Il Sabato del Villaggio, 1831.

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Then in the ‘’Ode on a Grecian Urn’’ Keats states the superiority of the world of art to the real world of mankind, writing that: ‘’Beauty is truth, truth beauty, – that is all Ye know on earth, and all ye need to know’’ In these lines the poet writes that the only important thing in human life and the only thing men have to know is art.

Ritratto di John Keats

Un manoscritto del poeta inglese

L’ARTE SECONDO SCHOPENHAUER L’importanza del bello e dell’arte non riguarda solo i poeti John Keats e Giacomo Leopardi, ma anche Arthur Schopenhauer, secondo il quale l’arte è una delle vie di liberazione dal dolore assieme alla morale ed alla ascesi, come abbiamo già visto. La contemplazione estetica può essere attinta in modi differenti, tramite il bello o tramite il sublime. Il bello è la semplice contemplazione estetica libera da ogni volere, mentre il sublime è la contemplazione di oggetti che sono in relazione d’ostilità con la Wille umana in generale. Nella gerarchia delle arti la musica occupa il primo posto, perché si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Schopenhauer sostiene che la musica si configuri come l’arte più profonda ed universale e come una vera e propria metafisica dei suoni, capace di metterci in 12

contatto con le radici della vita e dell’essere. La sola conclusione di un giro armonico rappresenta, per esempio, il soddisfacimento della volontà, secondo Schopenhauer. CONCLUSIONI In definitiva, dopo tutte le considerazioni fatte, si può notare non solo come il pensiero di Leopardi sia molto vicino a quello di Schopenhauer, pure con le dovute divergenze, ma come le osservazioni di questi due autori concordino per certi aspetti anche con il pensiero del grande poeta inglese John Keats. La consapevolezza di vivere in un mondo anti-idilliaco dominato dal male, e la ricerca di mezzi di evasione da esso (l’immaginazione o l’arte, oppure la compassione e il supporto reciproco) accomunano i tre letterati e li pongono in netta contrapposizione con il clima ottimista che si era sviluppato sia con il romanticismo prima, sia col positivismo (e la conseguente fiducia nella scienza) poi. RINGRAZIAMENTI: Federico Bulfone Gransinigh; Giovanni Cairo, prof. Claudia Cugini, Eleonora de Mattia; Gianluca Pareschi, prof. Dario Redaelli, Ginevra Spinola di Giove, Paolo Villa. BIBLIOGRAFIA: AA. VV., Alla Scoperta della Filosofia, Vol. 3A, Pag. 105, Sansoni per la Scuola 2004. F. DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Ibis 1992. LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’Interpretazione, Volume 2, Tomo II, Capitolo IX, Palombo Editore, 2004. G. TORTORA, Le filosofie contemporanee, Schopenhauer, Capitolo IV, La Critica all’idealismo e alla conoscenza, http://www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quarto/IV.4.html CESARE GALIMBERTI, Cose che non son cose, Marsilio Editori, 2001, Pag. 20. ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pagg. 360, 371. ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1972, II vol., pag. 414.

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