Legislazione Lavoro Nero

  • June 2020
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Legislazione in materia di lavoro sommerso e regolamentazione dei lavoratori extracomunitari Quadro normativo di riferimento per la lotta al lavoro sommerso Nel corso degli ultimi quindici anni si è assistito ad un sostanziale cambiamento nel modo di guardare al fenomeno dell’economia sommersa: si è cominciato a comprendere che fare luce su questa grande parte nascosta dell’economia può significare far emergere una nuova “ricchezza”. Se, da un lato, palesare il lavoro nascosto dell’imprenditoria meridionale e di certe aree del centro e del nord significa attribuirvi un nuovo valore ed una nuova identità, dall’altro “mettere in regola” l’attività di molte aree iper-sviluppate del paese significa fare uno sforzo collettivo di riequilibrio e di sostenibilità, più che mai opportuno in un’epoca in cui si parla di risorse finite e vincoli di bilancio per la finanza pubblica1. In funzione di tale osservazione, la lotta al sommerso è diventata una priorità che ha registrato una recente accelerazione attraverso una serie di provvedimenti normativi che, in collaborazione con le parti sociali, hanno mirato allo sviluppo di una politica di emersione del lavoro irregolare, combattendo il lavoro sommerso ed incoraggiandone la trasformazione in posti di lavoro regolari. La legislazione nazionale ha operato in due direzioni parallele, prevedendo, da una parte, incentivi ed assistenza alle imprese e delineando, allo stesso tempo, un piano straordinario di controlli in collaborazione con tutti gli enti interessati (Agenzia della Entrate, Guardia di Finanza, INPS, INAIL, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), come fattore determinante nella lotta all’emersione quale deterrenza all’illegalità. La preoccupazione in ordine al fenomeno è sentita anche a livello europeo, e la stessa Comunità, dal 2000, sta progressivamente introducendo nelle Linee guida impartite dal Consiglio su proposta della Commissione, delle indicazioni sulla questione, definita una delle maggiori preoccupazioni per “la serie di ripercussioni sulle finanze pubbliche, sulla competitività delle imprese nonché sulla coesione sociale”. L’orientamento seguito è quello di adottare non solo misure repressive, ma un mix di politiche normative e di incentivo fiscale e contributivo nell’ambito di una strategia di accordo tra le parti sociali. Molti passi avanti sono stati fatti, ma molti ancora rimangono da fare: il sommerso rimane infatti una realtà intrinseca ai sistemi economici, e per questo difficile da contrastare ed eliminare, come testimoniano gli scarsi risultati talvolta ottenuti dalle politiche per l’emersione adottate a livello nazionale. Il capitolo che segue si propone di fornire una panoramica degli interventi legislativi più rilevanti adottati in ambito nazionale per contrastare l’economia sommersa, fenomeno che, se opportunamente combattuto, può costituire delle importanti prospettive per il futuro in termini sia sociali che economici.

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Attorno al lavoro sommerso in Veneto. Una ricognizione. Osservatorio veneto sul lavoro nero, elusione ed evasione contributiva. Venezia, marzo 2003.

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Una delle prime esperienze realizzate in ambito nazionale in materia di emersione dal lavoro sommerso è rappresentata dai contratti di riallineamento retributivo, avviati alla fine degli anni Ottanta; tale tipologia contrattuale prevedeva la facoltà, per le imprese del Mezzogiorno con manodopera irregolare o che applicavano ai dipendenti retribuzioni inferiori a quanto fissato dai contratti collettivi, di aderire ad un piano graduale di elevazione delle retribuzioni (sulla base di accordi stabiliti a livello provinciale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative), fino al raggiungimento dello stipendio legale o contrattuale vigente. In seguito al recepimento dell’accordo provinciale di riallineamento, le imprese erano sospese dall’esclusione alla fiscalizzazione degli oneri sociali. In fase di avvio l’efficacia del provvedimento è apparsa piuttosto incerta; tuttavia, in seguito all’emanazione di due interventi legislativi (la legge 608/1996 e la legge 196/1997), l’anno 1998 ha visto l’emersione di almeno 15 mila lavoratori tra ex sommersi e neo occupati, la maggior parte dei quali si trovava in una condizione di semi regolarità, avendo già una posizione previdenziale aperta presso l’INPS2. Dall’altra parte, l’intervento si è rilevato insoddisfacente per le situazioni di irregolarità più gravi, in quanto in questo caso la facoltà di riallinearsi rappresentava, per l’imprenditore, unicamente un aggravio dei costi del lavoro, non essendo prevista nessuna convenienza all’emersione. A partire dal 1998 ha avuto inizio un intenso iter legislativo volto a favorire i processi di emersione dal lavoro sommerso; i primi interventi hanno mirato alla creazione di strutture ad hoc per garantire la partecipazione delle istituzioni e delle Pubbliche Amministrazioni competenti in materia, come anche dei rappresentanti delle parti sociali: l’art. 78 della legge 448/1998 ha previsto l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Comitato Nazionale per l’emersione del lavoro non regolare3, con compiti di analisi e coordinamento delle iniziative. Nello specifico le funzioni del Comitato nazionale attengono principalmente all’attuazione di iniziative ritenute valide per il conseguimento di una progressiva emersione dal lavoro irregolare, valutando periodicamente i risultati ed esaminando le proposte contrattuali di emersione istruite dalle Commissioni locali (a livello regionale e provinciale), per la successiva trasmissione al CIPE per le eventuali deliberazioni. Alle Commissioni a livello regionale e provinciale, istituite presso le Camere di Commercio, sono invece assegnati “compiti di analisi del lavoro irregolare a livello territoriale, promozione di intese e collaborazioni istituzionali, di assistenza alle imprese finalizzata in particolare all’accesso al credito agevolato”4. 2

Promuovere regolarità e trasparenza nel Mercato del Lavoro. Manuale di supporto conoscitivo agli operatori dei Servizi per l’Impiego. Unione Europea – FSE, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Censis. Roma, novembre 2003. 3 Il Comitato è composto da nove membri nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e designati, rispettivamente, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministro delle finanze, dal Ministro delle politiche agricole, dal Presidente dell’INPS, dal Presidente dell’INAIL, dal Presidente di Unioncamere e dalla Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D. L.vo 281/1997. 4 Il testo di legge assegnava alle Commissioni regionali e provinciali la facoltà di stipulare contratti di riallineamento retributivo, in collaborazione con i tutori per l’emersione, nominati previo parere positivo del Comitato nazionale con incarico di durata non superiore a quindici mesi, rinnovabile una sola volta per una durata non superiore a quella iniziale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003.

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Il testo legislativo ha inoltre regolato l’istituzione della figura dei tutori, nominati dalle Commissioni ma non a queste subordinati; essi collaborano con le Commissioni e con il Comitato nazionale per il raggiungimento di obiettivi comuni, svolgendo un’importante attività di collegamento e promozione delle politiche per l’emersione sia con le imprese che con gli enti e le istituzioni locali. Il successivo art. 79 del medesimo dettato legislativo ha previsto la predisposizione, da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero delle finanze, dell’INPS, dell’INAIL e delle aziende unità sanitarie locali, di appositi programmi miranti all’intensificazione dell’azione di controllo contro il fenomeno del lavoro non regolare; in sede locale, le attività ispettive si sono concretizzate, in particolare, nelle aree territoriali ovvero nei settori di attività nei quali il problema risultava maggiormente diffuso, anche sulla base delle attività di analisi e di coordinamento espletate dal Comitato nazionale, nonché dalle Commissioni regionali e provinciali. L’esperienza del riallineamento5 ha costituito sicuramente, per gli effetti visibilmente prodotti, la principale strategia di lotta contro il lavoro sommerso; tuttavia, gran parte delle aziende che avevano avviato il processo di regolarizzazione non sono state in grado di rispettare tutti gli step previsti, interrompendo prima della conclusione il cammino di emersione. Gli imprenditori, nella maggior parte dei casi, avevano infatti intrapreso il percorso di gradualità unicamente nell’ottica di utilizzarlo finché poteva portare convenienza all’azienda, nella consapevolezza di non riuscire a concluderlo. Altre problematiche manifestate dalla normativa hanno riguardato la concentrazione degli interventi in poche zone per le attività extragricole e la dispersione senza riallineamento in quelle agricole; ostacoli di percorso, di risultato, di parzialità di un intervento basato solo sull’accordo tra le parti, limiti della normativa negoziata con la Commissione europea, sono tutte restrizioni che hanno portato all’elaborazione di nuove politiche di intervento. L’attuazione dei percorsi di riallineamento e l’adozione, negli ultimi anni della precedente legislatura, di alcune misure indirette per la lotta al lavoro sommerso (il “contatore” INAIL, gli studi di settore, il prestito d’onore e il credito d’imposta per l’occupazione sono le principali) hanno costituito una serie di fattori favorevoli all’emersione, sui quali si è potuta inserire la legge 383/2001, successivamente integrata con le modifiche apportate dalla legge 409/2001, dalla legge Finanziaria 2002 art. 9 comma 15, dalla legge 73/2002 e dalla legge 266/2002. Il dettato normativo nella sua versione più recente, ormai scaduta nel maggio 2003, prevedeva l’accesso ad un regime sanatorio attraverso due distinte procedure: − procedura automatica o ordinaria; − procedura progressiva. La procedura automatica, che includeva un complesso di agevolazioni fiscali e previdenziali per i datori di lavoro e i lavoratori che aderivano ai programmi di emersione approvati dal CIPE, prevedeva la presentazione di un’apposita dichiarazione di emersione entro il 30 novembre 2002 presso l’Ufficio delle entrate o in via telematica attraverso un intermediario abilitato; la regolarizzazione consentiva l’accesso ad un regime fiscale e contributivo agevolato per il triennio 5

Con la decisione 236/A/2000 adottata il 17 ottobre del 2000, la Commissione europea ha decretato la fine dell’esperienza italiana dei contratti di riallineamento retributivo, prorogando per l’ultima volta il regime di aiuti previsto per quelle imprese che, aderendo a tali accordi, regolarizzavano lavoratori fino a quel momento utilizzati ma non dichiarati. Fonte: www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca/dossier.htm, dossier n. 7/2003 “L’emersione del lavoro irregolare”, a cura di M. Avola.

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2002-2004, potendo attuare anche una sorta di condono per il passato. Restavano comunque fermi, in alternativa, i regimi concessi dai piani di riallineamento retributivo e di emersione del lavoro irregolare previsti dalla legge 448/1998. L’emersione progressiva, alternativa rispetto alla procedura automatica, prevedeva invece la facoltà per l’imprenditore, di far emergere l’intera attività produttiva esercitata (ad eccezione degli adempimenti di natura fiscale e previdenziale), ovvero sanare altri adempimenti previsti dalle normative in materia di ambiente, igiene e salute, sicurezza sul lavoro, edilizia, urbanistica ed altro, attraverso la presentazione di un piano individuale di emersione al Comitato per il lavoro e l’emersione del sommerso (CLES)6 dove aveva sede l’attività, entro il 28 febbraio 2003. Potevano accedere alla procedura di emersione progressiva anche le aziende interessate da contratti di riallineamento retributivo e che non avevano conseguito gli obblighi assunti, ovvero che alla conclusione del periodo previsto per il riallineamento non avevano corrisposto i minimi contrattuali nazionali. I CLES (istituiti dal D. L.vo 210/2002, successivamente convertito nella legge 266/2002), con sede presso le Direzioni provinciali del lavoro, avevano il compito di valutare le proposte di progressivo adeguamento agli obblighi di legge diversi da quelli fiscali e previdenziali, la fattibilità tecnica dei contenuti del piano, la definizione delle modalità temporanee di adempimento e la verifica della conformità del piano di emersione ai minimi contrattuali contenuti negli accordi sindacali. Il dettato normativo prevedeva inoltre la loro operatività in collaborazione con le Commissioni provinciali istituite dall’art. 78 della legge 448/1998 e successive modificazioni. Con tale piano l’imprenditore prevedeva: − la regolarizzazione e l’adeguamento alle disposizioni vigenti per l’esercizio dell’attività (diverse da quelle fiscali e previdenziali) anche in modo progressivo (da 18 mesi fino a un massimo di 24 mesi); − l’adeguamento progressivo (entro il triennio agevolato) agli obblighi contrattuali in materia di trattamento economico, impegnandosi a presentare un’apposita dichiarazione di emersione entro il 15 maggio 2003, previa approvazione del piano da parte del CLES nel termine di 60 giorni dalla data di presentazione; − il numero e la remunerazione dei lavoratori da regolarizzare. L’imprenditore che intendeva mantenere l’anonimato poteva avvalersi, per la presentazione del piano individuale di emersione, delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro o di professionisti iscritti agli albi dei commercialisti, ragionieri o consulenti del lavoro. In parallelo e a supporto degli strumenti per l’emersione, il dettato legislativo prevedeva l’istituzione di un piano straordinario di accertamento, meccanismo facente capo all’Agenzia delle entrate; l’Agenzia provvedeva a inviare una richiesta di informazioni in tutti quei casi in cui, dall’analisi dei dati risultanti dai sistemi informativi dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche e private, risultavano delle situazioni che potevano configurare l’utilizzo di lavoratori irregolari.

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Il dettato legislativo nella sua versione originaria assegnava tale funzione al Sindaco del Comune sede dell’unità produttiva oggetto del piano individuale di emersione; in seguito alla riunione delle parti sociali con i rappresentanti del Dicastero del lavoro e delle politiche sociali e all’elaborazione di un “avviso comune”, la legge 266/2002 ha recepito tale modifica istituendo i CLES.

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Piano individuale di emersione: vantaggi per il datore di lavoro Agevolazioni fiscali: applicazione, sull’incremento del reddito imponibile dichiarato rispetto al periodo d’imposta 2000 e fino a concorrenza del triplo del costo del lavoro emerso nel 2002 e indicato nella dichiarazione di emersione, di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF o dell’IRPEG pari al: − 10% per il primo periodo (2002); − 15% per il secondo periodo (2003); − 20% per il terzo periodo (2004). Per i datori di lavoro che non hanno mai dichiarato redditi d’impresa o di lavoro autonomo, l’incremento del reddito imponibile da assoggettare all’imposta sostitutiva è costituito dall’intero reddito imponibile dichiarato in ciascuno dei periodi d’imposta compresi nel triennio agevolato, sempre nei limiti di tre volte il costo del lavoro emerso. L’IRAP non è dovuta fino a concorrenza dell’incremento del reddito imponibile dichiarato ai fini dell’IRPEF o dell’IRPEG, sempre entro i limiti di tre volte il costo del lavoro emerso nell’anno 2002. Per il periodo (o i periodi) d’imposta nei quali il datore non dovesse realizzare alcun incremento del reddito imponibile rispetto a quello dichiarato per il 2000, egli non può beneficiare della relativa imposizione sostitutiva; continua tuttavia ad avere effetto l’agevolazione contributiva. Agevolazioni contributive: applicazione, sul maggiore imponibile previdenziale relativo ai redditi di lavoro emerso, di una contribuzione sostitutiva pari al: − 7% per il primo periodo (2002); − 9% per il secondo periodo (2003); − 11% per il terzo periodo (2004). Per quanto riguarda l’INAIL, l’aliquota dei premi assicurativi viene ridotta, rispetto a quella ordinaria, al: − 25% per il primo periodo; − 30% per il secondo periodo; − 35% per il terzo periodo. La dichiarazione di emersione, a richiesta del datore di lavoro, può valere anche come proposta di concordato tributario e previdenziale per gli anni pregressi, indipendentemente dalla circostanza che nel triennio agevolato 2002-2004 il reddito imponibile (d’impresa o di lavoro autonomo) dichiarato dal datore si incrementi rispetto a quello del periodo d’imposta 2000, considerato reddito di riferimento fisso. Ai fini del concordato, la dichiarazione di emersione può essere presentata anche nel corso di un’attività di verifica, per usufruire delle agevolazioni applicabili per il triennio successivo e anche per concordare le annualità pregresse che non siano interessate all’attività di verifica fiscale. Ulteriore importante agevolazione è costituita dalla circostanza che per il periodo d’imposta 2002, primo anno agevolato, non si applicano al datore le sanzioni previste:

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− in materia di IVA, per le violazioni relative agli obblighi di documentazione, registrazione e dichiarazione di inizio attività, sempre che il versamento dell’imposta avvenga entro il termine previsto per il pagamento a saldo; − in materia di IRPEF o IRPEG e di IRAP, per le violazioni analoghe a quelle sopra indicate; − per l’omessa effettuazione di ritenute fiscali e per il mancato versamento delle stesse fino alla data di presentazione della dichiarazione di emersione. Potevano effettuare l’emersione gli imprenditori individuali, le società, i lavoratori autonomi e coloro che svolgevano attività agricola non produttiva di reddito d’impresa, le società ed associazioni sportive, artistiche e culturali, nonché le comunità terapeutiche convenzionate. Potevano avvalersi delle agevolazioni anche gli imprenditori che non avevano mai dichiarato redditi di impresa e che intendevano fare emergere la propria attività. La dichiarazione di emersione doveva essere presentata solo dal datore di lavoro, ma produceva effetti di emersione anche in favore dei lavoratori indicati nella dichiarazione. Non risultavano regolarizzabili i rapporti di lavoro avviati dopo il 25 ottobre 2001 (entrata in vigore della legge 383), né quelli cessati prima della presentazione della dichiarazione di emersione. Piano individuale di emersione: vantaggi per il lavoratore Agevolazione fiscale: versamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF sul reddito di lavoro dipendente emerso, pari al: − 6% per il primo periodo (2002); − 8% per il secondo periodo (2003); − 10% per il terzo periodo (2004). Agevolazioni previdenziali: i lavoratori regolarizzati sono esclusi dal versamento dei contributi per il triennio agevolato 2001-2003, che di conseguenza non verranno trattenuti a loro carico dal datore di lavoro. L’adesione al programma di emersione comporta la possibilità di beneficiare di una sanatoria fiscale e contributiva per gli anni passati (ossia il 2001 e i precedenti), che si perfeziona con il versamento, da parte del lavoratore (per ciascuno degli anni pregressi) di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF pari a 103,29 Euro, senza sanzioni e interessi, che preclude ogni attività di accertamento fiscale e previdenziale sui redditi di lavoro regolarizzati per gli anni interessati. I lavoratori emersi possono anche richiedere di ricostruire, in tutto o in parte, la loro posizione previdenziale per gli anni pregressi - con un massimo di 5 anni, e periodi contributivi di 20 mesi ogni 12 di lavoro svolto presso l’impresa - effettuando un versamento volontario del 33% dei contributi dovuti, integrato dallo Stato sino ad un massimo dei due terzi di quanto sarebbe stato dovuto dal datore. Rispetto all’esperienza del riallineamento, vanno segnalate alcune differenze significative: in primo luogo l’ambito territoriale viene esteso dal Mezzogiorno all’intero territorio nazionale; l’unico soggetto in grado di promuovere l’emersione è l’imprenditore, mentre le parti sociali, protagoniste degli accordi provinciali di riallineamento, ne sono escluse. Inoltre, se il sistema del riallineamento si incardinava sul progressivo adeguamento delle retribuzioni dei lavoratori emersi ai livelli dei CCNL di riferimento, nella dichiarazione automatica questo aspetto non trova alcun riscontro.

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Nel maggio 2003, scadenza del termine per l’inoltro, i piani di emersione presentati dalle aziende ammontavano a 1.029, per un numero complessivo di lavori emersi di appena 3.8547. I risultati ottenuti dalla legge 383/2001 hanno in parte deluso le aspettative, soprattutto se rapportati al numero delle emersioni indotte dalla normativa sul lavoro immigrato (legge 189/2002 per colf e badanti e legge 222/2002 per il lavoro subordinato) analizzate di seguito nello specifico. Tuttavia, nonostante il numero molto limitato delle dichiarazioni di emersione presentate, la performance positiva dell’occupazione italiana suggerisce un giudizio di bilancio delle politiche perseguite nel periodo ottobre 2001-maggio 2003 più favorevole di quanto a prima analisi potrebbe apparire: numerose indagini, osservazioni sul campo ed esplorazioni statistiche hanno infatti mostrato come l’impegno senza precedenti con cui la questione dell’emersione è stata affrontata abbia prodotto un effetto economico-sociale importante, che si è tradotto in larga misura in un processo di emersione a carattere indiretto o laterale8 (ad un rallentamento della crescita economica è corrisposto, infatti, un livello di occupazione in crescita). L’importanza sempre maggiore assegnata alle politiche per l’emersione si rileva molto chiaramente anche in ambito comunitario: la decisione del Consiglio europeo adottata il 22 luglio 20039 decreta la lotta al sommerso come nono “comandamento”, incoraggiando, in linea con l'Agenda di Lisbona, politiche dell’occupazione orientate al raggiungimento di tre obiettivi generali: − la piena occupazione; − la qualità e la produttività sul posto di lavoro; − la coesione e l’integrazione economica e sociale. La successiva Risoluzione del 20 ottobre 2003 del Consiglio europeo sulla trasformazione del lavoro non dichiarato in lavoro regolare, inoltre, segna un punto di svolta nella vicenda dell’emersione a livello comunitario, proponendo una semplificazione procedurale, accompagnata da una riduzione di costi e vincoli per lo sviluppo delle imprese e da un rafforzamento degli incentivi per l’emersione, puntando allo stesso tempo su un rafforzamento della sorveglianza e su un aumento della consapevolezza sociale, sensibilizzando i cittadini riguardo alle implicazioni negative del lavoro nero per la sicurezza sociale, la solidarietà e l’equità. Contemporaneamente, il contesto nazionale ha visto l’incremento delle responsabilità della vigilanza e della rete ComitatoCommissioni-Tutori10. A partire dal 2003, quindi, in concomitanza col trasferimento del Comitato nazionale dal Ministro dell’economia al Ministro del lavoro (formalizzato nel decreto legislativo 343/2003 art. 5 comma 2), nelle forze sociali e politiche ha iniziato a prevalere, in luogo di una logica orientata all’eccezionalità delle misure di intervento, un processo di progressiva transizione alla normalità delle politiche di emersione, collegata al vasto progetto di riforma del mercato del lavoro avviato dal professor Marco Biagi e scaturito nella legge 30/200311. 7

Promuovere regolarità e trasparenza nel Mercato del Lavoro. Manuale di supporto conoscitivo agli operatori dei Servizi per l’Impiego. Unione Europea – FSE, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Censis. Roma, novembre 2003. 8 Luca Meldolesi, L’emersione 2003. Settembre 2003. 9 Che identifica le nuove “linee guida” della Strategia europea per l’occupazione. 10 Luca Meldolesi, Emersione. Dialogo con Marco Biagi. Carocci 2004. 11 Luca Meldonesi, L’emersione 2003. Settembre 2003.

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L’entrata in vigore del primo decreto legislativo 276/2003, attuativo della legge Biagi e volto a modernizzare il mercato del lavoro attraverso l’incremento dei tassi di occupazione regolare e la predisposizione di occasioni di impiego di qualità, ha dato avvio a una profonda revisione del quadro normativo italiano in materia di occupazione. Conformemente alle sollecitazioni dell’Unione europea, la trasformazione in corso ha innescato un processo tendente a modernizzare l’organizzazione del lavoro, al fine di rendere maggiormente produttive e competitive le imprese e raggiungere l’equilibrio necessario tra flessibilità e sicurezza. Tra i cambiamenti introdotti, dal punto di vista dell’operatività della normativa, importanza rivestono le novità introdotte al sistema sanzionatorio amministrativo previgente in materia di collocamento ordinario. Le nuove sanzioni amministrative in materia di collocamento L’art. 19 del decreto legislativo 276/2003 introduce delle nuove fattispecie sanzionatorie relativamente a inadempimenti di carattere formale posti in essere dai datori di lavoro nelle comunicazioni e nelle dichiarazioni obbligatorie per il collocamento ordinario della manodopera12, come illustrato schematicamente nella Tabella 1. Dal dettato legislativo, tuttavia, emerge come non tutti gli istituti giuridici rimodulati o sorti ex novo con il processo di riforma possano ritenersi immediatamente operativi, essendo necessarie in taluni casi integrazioni normative da parte della contrattazione collettiva nazionale e territoriale, decreti ministeriali, ovvero interventi legislativi delle regioni e delle province autonome. Dall’altra parte, nessuna disposizione del decreto in oggetto differisce ad altra scadenza temporale l’entrata in vigore e la piena operatività delle nuove norme. Per questo motivo, la Tabella 2 si propone di mettere chiarezza sull’applicabilità delle sanzioni amministrative alle diverse fattispecie illecite, indicando le normative abrogate e delineando il nuovo quadro legislativo con particolare riferimento al periodo di transizione, nell’attesa dell’emanazione dei provvedimenti necessari.

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Sanzioni amministrative in materia di collocamento, di Pierluigi Rausei. Articolo pubblicato su Diritto & Pratica del Lavoro n. 44/2003.

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Tabella 1 Quadro riassuntivo delle sanzioni amministrative in materia di collocamento previste dall’art. 19 del D. L.vo 10 settembre 2003 n. 276, applicabili a partire dal 24 ottobre 2003. Fonte: Sanzioni amministrative in materia di collocamento, di Pierluigi Rausei. Articolo pubblicato su Diritto & Pratica del Lavoro n. 44/2003. Fonte Obblighi normativa Art. 6 comma 1 DICHIARAZIONE DI ASSUNZIONE: il datore di del D. L.vo lavoro (sia privato che la Pubblica 297/2002 Amministrazione), all’atto dell’assunzione, deve consegnare al lavoratore una dichiarazione sottoscritta contenente i dati della registrazione effettuata nel libro matricola. Art. 1 del D. DICHIARAZIONE DI ASSUNZIONE: il datore di L.vo 152/1997 lavoro, all’atto dell’assunzione, deve fornire al lavoratore le seguenti informazioni: − identità delle parti; − luogo di lavoro; − data inizio e fine del rapporto di lavoro; − durata del rapporto di lavoro; − durata dell’eventuale periodo di prova; − inquadramento, livello e qualifica del lavoratore; − importo iniziale della retribuzione e relativi elementi costitutivi; − durata delle ferie retribuite; − orario di lavoro; − termini di preavviso in caso di recesso. Art. 6 comma 2 COMUNICAZIONE DI ASSUNZIONE: il datore di e 7 del D. L.vo lavoro (sia privato che la Pubblica 297/2002 Amministrazione), in caso di instaurazione di rapporto di lavoro subordinato ovvero autonomo in forma coordinata e continuativa, deve dare contestuale comunicazione al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro13 delle seguenti informazioni: − dati anagrafici del lavoratore; − data di assunzione; − eventuale data di cessazione nel caso di rapporto a tempo determinato; − tipologia contrattuale; − qualifica professionale; − trattamento economico e normativo. Stessa procedura si applica ai tirocini di formazione e orientamento e ad ogni esperienza lavorativa assimilata. 13

Fonte Sanzione sanzionatoria Art. 19 comma Sanzione 2 del D. L.vo amministrativa 276/2003 pecuniaria da 250 a 1.500 Euro. Art. 19 comma 2 del D. L.vo 276/2003

Art. 19 comma Sanzione 3 del D. L.vo amministrativa 276/2003 pecuniaria da 100 a 500 Euro per ogni lavoratore interessato14.

Le comunicazioni relative all’art. 6 del D. L.vo 297/2002 sono valide ai fini dell’assolvimento degli obblighi di comunicazione nei confronti delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro, dell’INPS, dell’INAIL o di altre forme previdenziali sostitutive o esclusive (art. 6 comma 6). 14 È prevista una sanzione minima ridotta della metà qualora l’adempimento della comunicazione venga effettuato spontaneamente dal datore di lavoro entro il termine di 5 giorni decorrenti dalla data di inizio dell’omissione.

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(continua) Fonte Obblighi normativa Art. 6 comma 1 COMUNICAZIONE DI VARIAZIONE: il datore di e 7 del D. L.vo lavoro (sia privato che la Pubblica 297/2002 Amministrazione) deve comunicare al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro, entro 5 giorni, le seguenti variazioni del rapporto di lavoro: − proroga del termine inizialmente fissato; − trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato; − trasformazione da tempo parziale a tempo pieno; − trasformazione da contratto di apprendistato a contratto a tempo indeterminato; − trasformazione da contratto di formazione e lavoro a contratto a tempo indeterminato. I moduli per le comunicazioni, nonché le modalità di trasferimento dei dati, sono definiti con decreto. Art. 6 comma 3 COMUNICAZIONE DI CESSAZIONE: il datore di e 7 del D. L.vo lavoro (sia privato che la Pubblica 297/2002 Amministrazione) deve comunicare, entro 5 giorni, la cessazione del rapporto di lavoro nel caso di contratto a tempo indeterminato, ovvero prima della scadenza indicata nella comunicazione all’atto dell’assunzione. Art. 6 comma 1 Le imprese fornitrici di lavoro temporaneo e 7 del D. L.vo devono comunicare, entro il giorno 20 del 297/2002 mese successivo alla data di assunzione, al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro, l’assunzione, la proroga e la cassazione dei lavoratori temporanei assunti nel corso del mese precedente.

15 16

Si veda la nota 14. Si veda la nota 14.

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Fonte Sanzione sanzionatoria Art. 19 comma Sanzione 3 del D. L.vo amministrativa 276/2003 pecuniaria da 100 a 500 Euro per ogni lavoratore interessato15.

Art. 19 comma Sanzione 3 del D. L.vo amministrativa 276/2003 pecuniaria da 100 a 500 Euro per ogni lavoratore interessato16. Art. 19 comma Sanzione 4 del D. L.vo amministrativa 276/2003 pecuniaria da 50 a 250 Euro per ogni lavoratore interessato.

Tabella 2 Abrogazioni ed effetti apportati dall’entrata in vigore del D. L.vo 10 settembre 2003 n. 276 e sanzioni applicabili al periodo transitorio in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale17. Fonte: circolare del Ministero del lavoro n. 37 del 14 novembre 2003. Fonte normativa abrogata Art. 9-bis comma 3 della legge 608/1996

Art. 27 comma 3 della legge 264/1949

Contenuto della norma abrogata Obbligo di comunicazione di assunzione da effettuare entro 5 giorni dal giorno dell’assunzione. L’inadempimento a tale obbligo è punito con la sanzione da 258 a 1.549 Euro. Obbligo di comunicazione, da parte dei datori di lavoro, del nome e della qualifica dei lavoratori con cui sia cessato il rapporto di lavoro entro 5 giorni dalla cessazione. La violazione di tale obbligo è punita con la sanzione amministrativa da 51 a 154 Euro.

Effetti RIMOZIONE DEL LIBRO MATRICOLA: scompare, dal 24 ottobre 2003, la sanzione amministrativa da 258 a 1.549 Euro relativa alla mancata esibizione del libro matricola nel luogo di lavoro. La sanzione varia ora da 25 a 154 Euro per le aziende soggette all’assicurazione INAIL, ovvero da 5 a 30 Euro per le aziende assoggettate alla sola gestione previdenziale INPS. DICHIARAZIONE DI ASSUNZIONE: in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale che prevede la comunicazione contestuale, la mancata consegna di un documento che contenga la dichiarazione di assunzione e la comunicazione informativa all’atto dell’immissione al lavoro è assoggettata ad una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 1.500 Euro per ogni lavoratore interessato. Alle violazioni riferite al periodo antecedente al 24 ottobre 2003 si applica la sanzione prevista dalla precedente disciplina in misura ridotta (art. 27 comma 3 della legge 264/1949) anche se l’accertamento avviene in data successiva. COMUNICAZIONE DI ASSUNZIONE E CESSAZIONE: in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale che prevede la comunicazione contestuale dell’assunzione, alla mancata comunicazione di assunzione e cessazione entro i 5 giorni si applica una sanzione amministrativa da 100 a 500 Euro18. In base al principio di irretroattività delle leggi che prevedono sanzioni amministrative, alle violazioni riferite al periodo precedente al 24 ottobre 2003 si applica la sanzione in misura ridotta prevista dalla precedente disciplina (art. 9bis comma 3 della legge 608/1996 per la comunicazione di assunzione, art. 27 comma 3 della legge 264/1949 per la comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro), anche se l’accertamento avviene in data successiva.

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Volto a definire i moduli per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro e delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo. 18

Tale “anticipazione” non può essere applicata alle comunicazioni di variazione e trasformazione, come anche agli obblighi previsti per le agenzie di somministrazione ovvero alle ipotesi di riduzione della sanzione a metà; in tali casi la sanzione prevista dall’art. 19 comma 3 del D. L.vo 276/2003 non è applicabile.

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Obblighi del datore di lavoro nei confronti degli istituti previdenziali Per quanto attiene strettamente ai rapporti tra gli Istituti previdenziali e i datori di lavoro, gli obblighi che gravano su questi ultimi sono fissati dal già citato decreto legislativo 297/2002, che prevede uno snellimento del sistema delle comunicazioni relative all’istituzione, trasformazione e cessazione del rapporto di lavoro; la nuova normativa contempla, infatti, l’impiego di un modello unificato (da adottare con decreto del Ministero del lavoro) da inviare al centro per l’impiego, per mezzo del quale vengono assolti tutti gli adempimenti riguardanti le comunicazioni obbligatorie da inviare alle Direzioni regionali e provinciali, agli Istituti previdenziali (INPS, INAIL e altri enti previdenziali sostitutivi o esclusivi) e agli organi periferici del Ministero del lavoro19. Dal momento che il decreto ministeriale con la formulazione del modello unico non è ancora stato emanato, permangono in parte gli obblighi fissati dalla precedente normativa. Il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 19 settembre 2003, che modifica i termini per la presentazione delle denunce di esercizio, variazione e cessazione dell’attività di cui al decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 3820, stabilisce che i datori di lavoro devono denunciare all’Istituto assicuratore (INAIL) la natura dei lavori, contestualmente all’inizio degli stessi21, e devono fornire all’Istituto medesimo tutti gli elementi e le indicazioni necessarie per la valutazione del rischio e la determinazione del premio di assicurazione. In caso di impossibilità a fornire simili indicazioni all’Istituto contestualmente al momento dell’assunzione, i datori di lavoro devono provvedere a tale incombenza entro il termine di cinque giorni successivi all’inizio dei lavori. Gli stessi datori di lavoro devono, tra le altre cose, denunciare all’Istituto assicuratore le successive modificazioni di estensione e di natura del rischio già coperto dall’assicurazione e la cessazione della lavorazione non oltre il trentesimo giorno22 da quello in cui le modificazioni o variazioni suddette si sono verificate23. Ai sensi dell’art. 14 comma 2 del decreto legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000 e con decorrenza dal 16 marzo dello stesso anno, inoltre, i datori di lavoro devono comunicare all’INAIL il codice fiscale dei lavoratori assunti o cessati dal servizio contestualmente all’instaurazione del rapporto di lavoro o alla sua cessazione24 (Denuncia Nominativa degli Assicurati - DNA).

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I termini entro i quali deve essere effettuata tale comunicazione sono illustrati nella Tabella 1 e sono, nello specifico: comunicazione contestuale all’atto dell’assunzione per la dichiarazione e la comunicazione di assunzione; termine di cinque giorni per la comunicazione di variazione e cessazione del rapporto di lavoro. 20 Modifica dei termini per la presentazione delle denunce di esercizio, di variazione e di cessazione dell’attività di cui all’art. 12 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 30 giugno 1965. 21 In precedenza la denuncia doveva essere effettuata almeno cinque giorni prima dell’inizio dei lavori. 22 In luogo degli otto giorni previsti dalla precedente formulazione del testo legislativo. 23 Un’ulteriore incombenza a carico del datore di lavoro concerne la comunicazione di qualsiasi variazione riguardante l’individuazione del titolare dell’azienda, il domicilio e la residenza di esso, nonché la sede dell’azienda, entro il termine di trenta giorni da quello nel quale le variazioni si sono verificate. Nel caso in cui la cessazione del lavoro non venga denunciata entro il termine previsto dalla normativa, il datore di lavoro è assoggettato al pagamento del premio di assicurazione, nella misura in precedenza dovuta, che si estende fino al decimo giorno successivo a quello della cessazione. 24 Tale obbligo non sussiste per i collaboratori familiari, i partecipanti all’impresa familiare, i soci e gli associati in partecipazione.

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Ai fini dell’assicurazione INPS, non è previsto un termine fisso entro il quale deve essere effettuata l’iscrizione, ma essa deve avvenire in tempo utile per il versamento dei contributi dovuti, quindi entro il sedicesimo giorno del mese successivo all’inizio dell’attività25. L’art. 44 comma 8 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, successivamente convertito nella legge 326/2003, detta alcune importanti novità con riferimento agli adempimenti presso la Camera di Commercio, attribuendo efficacia previdenziale alle domande di iscrizione presentate dalle imprese artigiane e commerciali con decorrenza dal primo gennaio 2004; di conseguenza gli artigiani e i commercianti che presentano domanda di iscrizione alla C.C.I.A.A. a partire dall’anno 2004 sono esonerati dall’obbligo di presentare la richiesta di iscrizione agli enti previdenziali26. Tale procedimento, tuttavia, risulterà completamente operativo soltanto allorché saranno perfezionati gli adempimenti prescritti dalla norma in esame in materia di integrazione della modulistica e di acquisizione e trasmissione dei dati “previdenziali”. La circolare INPS n. 39 del 24 febbraio 2004 specifica che, fino al mese di aprile, per quanto riguarda gli artigiani, si è operato come per il passato, sulla scorta delle comunicazioni che le Commissioni provinciali dell’artigianato continuavano a far pervenire direttamente alle sedi. La circolare INPS n. 80 del 12 maggio 2004 informa, invece, come i relativi provvedimenti sono stati adottati a decorrere dal mese di aprile, e prevedono l’acquisizione direttamente dalla Direzione centrale sistemi informativi e telecomunicazioni. In relazione a tali provvedimenti la Direzione sta per mettere a disposizione delle Strutture territoriali la lista di tutte le posizioni fornite da Infocamere e già elaborate, con la segnalazione dello stato di lavorazione. Per quanto attiene ai commercianti, le comunicazioni che l’Istituto riceve dal sistema informatico di Unioncamere sono immediatamente utilizzate per l’iscrizione o la cancellazione alla Gestione previdenziale dei titolari delle ditte individuali e delle imprese familiari. Considerato, peraltro, che allo stato il sistema camerale non è in possesso dei dati concernenti la partecipazione all’attività dell’impresa dei coadiutori familiari, è già stato avviato, per il periodo gennaio-marzo 2004, un colloquio diretto con le imprese come sopra accertate, volto al reperimento delle notizie mancanti. Similmente per i soci di S.n.c., S.a.s. e S.r.l., sempre sulla base esclusiva delle notizie fornite da Unioncamere, i dati concernenti la partecipazione all’attività dell’impresa vengono richiesti agli interessati direttamente dall’Istituto. La disponibilità delle posizioni fornite è, anche in questo caso, in fase di elaborazione e sarà disponibile a breve. Per quanto attiene agli adempimenti facenti capo all’INAIL, l’Istituto, nell’attesa della definizione degli aspetti normativi e procedurali, ha diramato istruzioni per la gestione delle posizioni assicurative con le medesime procedure seguite in precedenza, senza alcuna modifica27. Nel periodo transitorio in argomento le C.C.I.A.A. svolgono la funzione di “sportello unico” soltanto in riferimento ai provvedimenti di iscrizione e cancellazione delle imprese. Informazioni aggiuntive o integrative che non rientrano, neppure indirettamente, nell’ambito del sistema informativo dalle stesse gestito (l’iscrizione o la cancellazione dei collaboratori familiari che interverranno successivamente all’iscrizione dei titolari, per i nuovi iscritti, o che interverranno 25

Per mezzo del modello DM68 debitamente compilato e sottoscritto corredato dell’elenco nominativo dei lavoratori occupati e certificato della Camera di Commercio, oppure l’autorizzazione dell’esercizio dell’attività rilasciata dalla pubblica autorità competente. 26 Tale normativa si propone di rilanciare gli “sportelli polifunzionali”, concepiti per la prima volta nell’ottobre del 1992 ma che di fatto non hanno mai avuto piena attuazione. 27 Le imprese dovranno, quindi, continuare a presentare agli uffici INAIL qualsiasi tipo di istanza e/o denuncia.

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dopo il primo gennaio 2004, per i soggetti già iscritti a tale data) devono, al momento, essere comunicate direttamente all’Istituto dagli interessati. La riforma del sistema della vigilanza La stessa legge Biagi, all’art. 8, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi orientati al “riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonché per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro”, identificando in questo modo l’ambito di intervento dell’attività ispettiva e valorizzando allo stesso tempo la funzione a tutela delle garanzie che caratterizzano la disciplina del rapporto di lavoro, del trattamento economico e degli obblighi previdenziali. In funzione di tale delega, il Governo ha approvato, durante la seduta del Consiglio dei ministri del 2 aprile 2004, il (secondo) decreto legislativo 124/2004 attuativo della legge Biagi (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 12 maggio 2004, entra in vigore il 27 maggio 2004), che prevede, tra le principali novità, la concentrazione dell’attività di definizione delle linee guida della politica della vigilanza in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È il ministro del Welfare, infatti, che “assume e coordina le iniziative di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, di vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”28. Presso lo stesso ministero è prevista l’istituzione di una Direzione generale, con compiti di coordinamento delle attività ispettive, che fornisce direttive per garantire l’esercizio coerente delle funzioni e l’uniformità di comportamento degli organi di vigilanza. Al fine di coordinare a livello nazionale l’attività di tutti gli organi impegnati sul territorio nella lotta al lavoro sommerso e “individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici nonché le priorità degli interventi ispettivi”, al ministero del Welfare è riservata la facoltà di convocare la Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza, presieduta dallo stesso ministro e composta dal Direttore generale, dal Presidente della Commissione nazionale per l’emersione e dai rappresentanti di INPS, INAIL, Guardia di finanza, Agenzia delle entrate, ASL, dei sindacati e delle organizzazioni datoriali. A livello locale, il coordinamento dell’attività di vigilanza spetta alle Direzioni Regionali e Provinciali del lavoro, sentiti i Direttori Regionali di INPS, INAIL, e degli altri Enti previdenziali e sulla base delle indicazioni fornite dalla Direzione Generale per le attività ispettive. La definizione delle linee guida comuni è invece affidata alla Commissione regionale di coordinamento29, che svolge sul territorio la stessa funzione di quella centrale e convoca almeno

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Resta ferma la competenza del Ministro dell’interno in materia di coordinamento e direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica, come anche la competenza delle aziende sanitarie locali in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro. 29

Composta dal Direttore della Direzione Regionale del Lavoro, con funzioni di presidente, dai Direttori Regionali di INPS ed INAIL, dal Comandante Regionale della Guardia di Finanza, dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, dal Coordinatore Regionale delle ASL, da quattro rappresentanti delle associazioni dei lavoratori e da quattro rappresentanti delle associazioni dei datori di lavoro, comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

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sei volte all’anno i presidenti dei CLES provinciali, al fine di fornire all’Amministrazione Centrale ogni elemento utile per l’elaborazione delle direttive in materia di vigilanza. Alla Direzione Regionale del lavoro, con sede in ogni capoluogo di regione, sono affidati i seguenti compiti: − coordinare, indirizzare e controllare l’attività delle Direzioni Provinciali del lavoro per il raggiungimento degli obiettivi programmati, attraverso il monitoraggio e l’analisi dei risultati; − individuare i fabbisogni delle risorse nelle diverse sedi territoriali, avanzando proposte per l’acquisizione di nuove risorse e provvedendo alla mobilità sul territorio regionale del personale in dotazione; − determinare i fabbisogni formativi del personale; − assicurare il servizio prevenzione e protezione dai rischi; − assicurare la funzionalità del Sistema Informativo Lavoro (SIL), coordinando l’attività delle Direzioni Provinciali del lavoro, anche attraverso forme di collaborazione con le amministrazioni regionali. Le Direzioni Provinciali del lavoro, dall’altra parte, si occupano delle seguenti funzioni: − programmare, svolgere e verificare l’attività di vigilanza del lavoro e sulle cooperative, nonché l’attività di azione amministrativa in materia di conciliazione delle controversie attinenti al lavoro nel settore sia pubblico che privato, di politica del lavoro relativamente alle attribuzioni statali e di promozione e sviluppo della cooperazione; − funzioni tecnico-legali connesse alle attività di ispezione del lavoro; − assicurare il servizio di relazioni con il pubblico30; − assicurare la conduzione e la manutenzione del SIL. La funzione di vigilanza è svolta dal personale ispettivo delle Direzioni Regionali e Provinciali, che opera, nei limiti del servizio e nel rispetto della normativa vigente, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria. Per le ispezioni in materia di previdenza e assistenza sociale gli ispettori delle Direzioni si avvalgono anche dal personale dell’INPS, dell’INAIL e dell’Enpals, ai quali però non compete la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Gli ispettori devono: − vigilare sull’esecuzione di tutte le leggi in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di tutela dei rapporti di lavoro e di legislazione sociale ovunque sia prestata attività di lavoro a prescindere dallo schema contrattuale, tipico o atipico; − vigilare sulla corretta applicazione dei contratti collettivi di lavoro; − vigilare sul funzionamento delle attività previdenziali o assistenziali a favore dei prestatori d’opera; − fornire chiarimenti, vegliare sugli enti controllati dal ministero, effettuare indagini e ogni altro compito richiesto. Per rendere più efficiente l’attività in oggetto, oltre all’adozione di “un modello unificato di verbale di ispezione31”, le amministrazioni interessate comunicano, per via telematica, quali sono le

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Le associazioni di categoria e gli ordini professionali, di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, e gli enti pubblici, possono inoltrare alle Direzioni Provinciali del lavoro, che provvedono a trasmetterli alla Direzione generale, quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di competenza del Ministero del lavoro (è il cosiddetto “diritto di interpello”, disciplinato dall’art. 9 del decreto legislativo in oggetto).

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aziende sottoposte a ispezione32. È prevista inoltre la facoltà, da parte delle Direzioni Regionali del lavoro e d’intesa con le Direzioni regionali dell’INPS, dell’INAIL e con il Comando del nucleo dei Carabinieri presso l’ispettorato del lavoro, di creare gruppi di intervento straordinario per azioni di contrasto sul territorio di propria competenza. La nuova normativa ha previsto l’istituzione del diritto di interpello, riservato alle associazioni di categoria e agli ordini professionali; tali soggetti, direttamente o su segnalazione dei propri iscritti, possono inviare per via telematica alla Direzione generale delle attività ispettive, per il tramite delle Direzioni provinciali del lavoro, dei quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. I quesiti in materia previdenziale possono essere presentati attraverso gli enti, che provvedono a girarli alla Direzione generale per le attività ispettive. Nell’ipotesi in cui, attraverso una richiesta di intervento, si ravvisi che oltre alla denuncia relativa alla parte contributiva, il lavoratore avanzi rivendicazioni di natura economica afferenti il rapporto di lavoro, la normativa prevede l’istituto della conciliazione monocratica: in questa circostanza il direttore della Direzione provinciale può promuovere un tentativo di conciliazione, affidando la pratica ad un proprio funzionario. In caso di accordo tra le parti la transazione diviene inoppugnabile e il pagamento delle somme dovute al lavoratore estingue il procedimento ispettivo33; se non c’è accordo, ovvero per mancanza di una delle parti, la Direzione dà luogo all’accertamento ispettivo. Analoga procedura è prevista qualora, nel corso di un accesso, il personale ispettivo ritenga che sussistano gli elementi per una conciliazione; in tal caso, una volta acquisito il consenso delle parti, informa la Direzione provinciale per l’attivazione della procedura conciliativa. Viene istituita la diffida accertativa per crediti patrimoniali, che si verifica allorquando, nel corso di un accesso, emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono dei crediti patrimoniali a favore del lavoratore. In questo caso interviene direttamente il personale ispettivo, e il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione entro trenta giorni presso la Direzione provinciale del lavoro. Un eventuale verbale di accordo è inoppugnabile, e la diffida perde efficacia; qualora ciò non avvenga, ovvero una volta trascorso il termine di trenta giorni, il provvedimento di diffida acquisisce valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo. Contro il provvedimento di diffida è ammesso ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, che è deciso entro novanta giorni, trascorsi i quali si intende respinto. Il testo normativo prevede, all’art. 13, la disciplina dell’istituto della diffida: il personale ispettivo34 che rilevi degli inadempimenti alle norme in materia di lavoro e legislazione sociale da cui derivino delle sanzioni amministrative, provvede a diffidare il datore di lavoro alla regolarizzazione delle 31

Da adottare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in oggetto, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Direttori generali di INPS e INAIL. 32 È, infatti, prevista l’istituzione di una banca dati telematica che raccolga tutte le informazioni relative ai datori di lavoro ispezionati, alle dinamiche di mercato del lavoro e alle materie oggetto di aggiornamento e formazione permanente, consultabile esclusivamente dalle amministrazioni che effettuano la vigilanza. 33 In tal caso la Direzione provinciale trasmette il verbale di accordo agli istituti previdenziali ai fini della verifica dell’avvenuto versamento. 34 Il potere di diffida è esteso, limitatamente alla materia della previdenza e dell’assistenza sociale, anche al personale di vigilanza degli enti previdenziali.

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inosservanze sanabili, fissando un termine per l’adempimento. Nel caso in cui il datore di lavoro ottemperi, l’importo della sanzione è pari al minimo o, se in misura fissa, è ridotto ad un quarto e il pagamento estingue il procedimento sanzionatorio. Le disposizioni impartite dal personale ispettivo sono esecutive, e contro le stesse è previsto ricorso entro quindici giorni al Direttore della Direzione provinciale del lavoro, che decide nei quindici giorni successivi, decorsi i quali si intende respinto. Il ricorso, comunque, non sospende l’esecutività della disposizione. L’art. 15 disciplina l’istituto della prescrizione obbligatoria, previsto nel caso in cui il personale ispettivo, nel corso dell’attività di vigilanza, rilevi delle violazioni di carattere penale, punite con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda o della sola ammenda. Anche in questo caso, ottemperato alla prescrizione così come stabilito dall’ispettore, è possibile estinguere la contravvenzione pagando in sede amministrativa. Viene istituito (art. 16) il ricorso alla Direzione regionale del lavoro avverso l’ordinanzaingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del lavoro ex art. 18 della legge 689/1981, fermo restando il ricorso in opposizione ex art. 22; esso è possibile, in via alternativa, entro i trenta giorni successivi alla notifica, salvo che lo stesso non riguardi la sussistenza o la qualificazione del rapporto. Il direttore regionale decide entro sessanta giorni, trascorsi i quali il ricorso deve considerarsi respinto35; il termine per l’opposizione ex art. 22 della legge 689/1981 decorre dalla notifica del provvedimento che conferma o ridetermina l’importo dell’ordinanza-ingiunzione, ovvero dalla scadenza dei sessanta giorni ipotizzati per la decisione. Sui ricorsi contro accertamenti riguardanti la qualificazione dei rapporti di lavoro36 decide, entro novanta giorni, il Comitato Regionale per i rapporti di lavoro, istituito presso la Direzione Regionale, presieduto dal direttore regionale del lavoro e composto dai direttori regionali di INPS e INAIL. Infine, allo scopo di favorire il rispetto delle norme previdenziali e sul lavoro, a livello regionale e provinciale, sono organizzate nelle aziende attività di promozione e prevenzione, in particolare sulle questioni socialmente più rilevanti e sulle novità legislative; possono anche essere stipulate convenzioni ad hoc per svolgere attività di informazione e aggiornamento.

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Il ricorso non sospende l’esecutività dell’ordinanza-ingiunzione, salvo che ciò non venga disposto dal direttore regionale su richiesta del ricorrente. 36 Atti di accertamento, ordinanze-ingiunzioni delle Direzioni provinciali del lavoro, verbali di accertamento degli istituti previdenziali che riguardano la sussistenza o la qualificazione del rapporto di lavoro.

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I processi di emersione e legalizzazione a favore dei lavoratori stranieri L’entrata in vigore della legge 189/200237 (la cosiddetta Bossi-Fini) ha introdotto importanti modifiche al Testo Unico in materia di immigrazione (decreto legislativo 286/1998) soprattutto per quanto attiene alla disciplina dell’immigrazione e dell’asilo, introducendo la possibilità di regolarizzare (nel dettato legislativo “emergere”) i rapporti di lavoro domestico instaurati con cittadini extracomunitari “clandestini”. L’articolo 33 del testo legislativo prevede, infatti, la facoltà di regolarizzare rapporti di lavoro con cittadini extracomunitari privi dell’apposito permesso di soggiorno per lavoro che, nei tre mesi precedenti all’entrata in vigore della legge, siano stati occupati come domestici con mansioni di assistenza alle persone non autosufficienti (la regolarizzazione, in questo caso, può avvenire in numero illimitato) o di sostegno al bisogno familiare (nel limite di uno straniero per famiglia). In seguito il Governo ha dato attuazione al suo impegno di provvedere, in concomitanza con l’entrata in vigore della normativa sull’emigrazione, alla legalizzazione dei lavoratori dipendenti extracomunitari che si trovino in una posizione irregolare alle medesime condizioni fissate dalla legge 189/2002. È stato così promulgato il decreto legge 195/2002, successivamente trasformato nella legge 222/2002, recante disposizioni volte alla regolarizzazione (il dettato legislativo parla nello specifico di “legalizzazione”) dei lavoratori dipendenti irregolari con “contratto di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato” ovvero con “contratto di lavoro di durata non inferiore ad un anno”. L’articolo 33 della legge 189/2002 non fornisce precisazioni in merito alla durata minima del rapporto da regolarizzare, mentre nel decreto legge 195/2002 è specificato come il rapporto di lavoro da legittimare debba essere a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato con una durata non inferiore all’anno. Sono tuttavia da ritenersi non regolarizzabili i rapporti di lavoro che non hanno natura subordinata, ovvero aventi natura incompatibile con la presenza in azienda in epoca anteriore all’instaurarsi del rapporto di lavoro. Per entrambi i casi, le denunce dovevano essere presentate entro l’11 novembre 2002 agli uffici postali tramite apposita dichiarazione38 con in allegato, tra gli altri documenti, l’attestazione del pagamento del contributo forfetario stabilito con decreto del Ministero del Lavoro39 e la copia di una dichiarazione di impegno da parte del datore di lavoro a stipulare con lo straniero un contratto di soggiorno. Le stesse dichiarazioni venivano successivamente trasmesse alla Prefettura, Ufficio territoriale del Governo competente per territorio, per la verifica dell’ammissibilità della denuncia e alla questura per l’accertamento dell’inesistenza di motivi ostativi all’eventuale rilascio del permesso di soggiorno. In caso di esito positivo, la Prefettura concedeva il permesso di soggiorno, rinnovabile previo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato di durata non inferiore all’anno, nonché della regolarità della posizione contributiva previdenziale ed assistenziale del lavoratore extracomunitario interessato.

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Di seguito analizzata nello specifico. Presso gli stessi uffici postali era possibile reperire il “kit” appositamente predisposto, contenente tutta la modulistica e le informazioni necessarie, composto da un modulo rosso in busta bianca per le famiglie, e da un modulo azzurro in busta dello stesso colore per le aziende. 39 L’importo forfetario era di 290 Euro per la regolarizzazione di colf e badanti e di 700 Euro per gli altri lavoratori subordinati, contributo grosso modo corrispondente agli importi trimestrali del rapporto di lavoro dichiarato. 38

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Nel periodo che intercorreva tra la data di entrata in vigore della normativa e la conclusione del contratto di soggiorno, con contestuale rilascio del permesso di soggiorno, la contribuzione previdenziale per i lavori interessati alla regolarizzazione era dovuta in base alle ordinarie regole40. Tale adempimento, come anche il versamento del contributo forfetario, doveva essere effettuato a prescindere dall’esito positivo della procedura di regolarizzazione41. Per i datori di lavoro che si iscrivevano per la prima volta all’INPS, avendo occupato solo lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, doveva essere formulata la richiesta presso la sede dell’Istituto territorialmente competente per l’apertura di una posizione aziendale in tempo utile per l’assolvimento degli obblighi contributivi. Il datore di lavoro già in possesso di una posizione INPS, invece, non era tenuto all’apertura di una posizione separata per i lavoratori extracomunitari da regolarizzare; poteva quindi utilizzare la posizione contributiva già in suo possesso, versando i contributi nella misura ordinaria prevista per la generalità dei lavoratori42. Per gli adempimenti connessi alla Denuncia Nominativa degli Assicurati (DNA), il datore di lavoro doveva comunicare all’INAIL, entro 24 ore dalla stipula del contratto di soggiorno, i seguenti dati: codice fiscale del datore di lavoro, codice fiscale dei lavoratori assunti e data della relativa assunzione. Con riferimento agli effetti sui datori di lavoro, in caso di concessione del permesso di soggiorno, questi ultimi non risultavano più punibili per le violazioni delle norme relative al soggiorno, al lavoro, di carattere finanziario, fiscale, previdenziale43 e assistenziale, nonché per gli altri reati e le violazioni amministrative comunque afferenti all’occupazione dei lavoratori extracomunitari indicati nella dichiarazione di emersione, compiute in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto. Tali normative non risultavano applicabili nelle seguenti fattispecie: − lavoratori extracomunitari nei confronti dei quali era stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno; − lavoratori extracomunitari segnalati ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato; − lavoratori extracomunitari denunciati per uno dei reati penali indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che i relativi procedimenti risultassero conclusi con provvedimento che escludeva il reato o la responsabilità dell’interessato.

Il datore di lavoro doveva presentare, entro e non oltre cinque giorni dall’inoltro della dichiarazione di emersione, una “denuncia di iscrizione” all’INAIL ai fini dell’apertura di una distinta posizione assicurativa territoriale per i lavoratori emersi, anche nel caso in cui lo stesso datore di lavoro risultasse già titolare di un precedente rapporto assicurativo. Fonte: circolare INAIL del 27 settembre 2002.

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Questi adempimenti rimanevano acquisiti alle gestioni previdenziali di pertinenza anche in caso di esito negativo della procedura di rilascio del permesso di soggiorno. 42 Circolare INPS n. 161 del 25 ottobre 2002. 43 Il contributo forfetario sanava gli obblighi previdenziali per il periodo compreso tra il 10 giugno 2002 e il 9 settembre 2002; per l’adempimento degli stessi obblighi con riferimento ai periodi di lavoro irregolare svolti antecedentemente al trimestre in oggetto, le modalità di corresponsione delle somme e degli interessi dovuti erano definite con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per colf e badanti, i datori di lavoro potevano versare tali importi in un’unica soluzione ovvero in rate mensili di uguale importo, maggiorate degli interessi (art. 3 del D.M. 26 agosto 2002).

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I risultati di tali iniziative si sono rilevati piuttosto soddisfacenti: alla scadenza del periodo utile per la presentazione delle domande di regolarizzazione, secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero dell’interno, le richieste per l’emersione e la legalizzazione sono state nel complesso 702.156 (di cui 694.224 ritenute ammissibili), 361.035 per il lavoro subordinato e 341.121 per il lavoro domestico, concentrate in maggioranza nel nord Italia (52%). I lavoratori immigrati effettivamente regolarizzati sono risultati 634.728; per altri 18.814 lavoratori è in corso un’ulteriore istruttoria, mentre 25.892 persone hanno visto respinta la domanda e 14.790 istanze sono state archiviate per mancata presentazione allo sportello.

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Le nuove procedure di ingresso dei lavoratori extracomunitari Il legame tra immigrazione, soprattutto clandestina, e l’economia sommersa è piuttosto rilevante, dal momento che spesso per gli immigrati lavorare nel sommerso può costituire l’unica possibilità di sostentamento e può facilmente trasformarsi in forme di sfruttamento operate dalle imprese che operano irregolarmente44. La condizione di “lavoratore immigrato non regolare” contempla sostanzialmente due distinte tipologie di posizioni: la prima, di tipo esclusivamente “lavoristico”, comprende le situazioni che vedono, a fronte del possesso di un permesso di soggiorno valido (che consente, in particolare, lo svolgimento di un’attività lavorativa), un’irregolarità della posizione lavorativa; la seconda, di carattere generale, che si palesa nel caso in cui un soggetto immigrato lavora senza possedere un valido permesso di soggiorno. Tra le due diverse tipologie di irregolarità, la prima è piuttosto frequente: a livello nazionale, si stima45 infatti che su 100 occupati immigrati occupati irregolari, circa il 68% è in possesso di regolare permesso di soggiorno. Il ricorso da parte degli imprenditori alla manodopera straniera irregolare deriva il più delle volte dal fatto che i lavoratori extracomunitari sono disposti ad accettare mansioni che l’offerta locale spesso rifiuta, a causa delle svantaggiose condizioni proposte; inoltre, lo scarso potere contrattuale che contraddistingue i lavoratori immigrati, correlato alla facilità con la quale è possibile eludere le norme che regolano il rapporto di lavoro e, non ultimo, ai bassi salari pagati, possono incentivare il ricorso al lavoro immigrato irregolare anche in presenza di lavoratori stranieri regolarmente residenti. Il capitolo che segue intende illustrare brevemente le principali procedure che regolano l’ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio nazionale, a fronte dei cambiamenti e delle restrizioni apportate dalla “Bossi-Fini” e alla luce del compiuto allargamento dei confini comunitari ai nuovi dieci Paesi. Si cercherà, inoltre, di fornire una panoramica sulla dimensione dei flussi di ingresso programmati a livello nazionale, con specifica per Provincia per quanto riguarda la regione FriuliVenezia Giulia, nonché dei permessi di soggiorno rilasciati, con indicazione del motivo della concessione, proponendo una stima dell’occupazione irregolare degli immigrati46. La normativa che regola le procedure di ingresso in Italia dei lavoratori extracomunitari è contenuta nel decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, la cosiddetta legge TurcoNapolitano), che riassume e coordina le disposizioni previste nella legge di riforma 6 marzo 1998 n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e nel decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello stato), successivamente modificati dalla legge 30 luglio 2002 n. 189 (la già citata Bossi-Fini), definitivamente approvata in Senato l’11 luglio 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 26 agosto 2002. 44

Economia sommersa e lavoro nero, di Claudio Lucifora, Studi e Ricerche, il Molino 2003. Il mercato del lavoro, di E. Reyneri, in G. Zincone, Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna (2001). 46 Tratta da Economia sommersa e lavoro nero, di Claudio Lucifora, Studi e Ricerche, il Molino 2003. 45

21

I cambiamenti apportati al Testo unico dalla Bossi-Fini hanno mirato soprattutto all’instaurazione di un sistema tendenzialmente più “restrittivo” delle politiche di immigrazione, da raggiungere attraverso due finalità: il miglioramento della disciplina dei flussi migratori e il più efficace contrasto dell’immigrazione clandestina47. Prima di esaminare nello specifico le novità introdotte nei profili indicati, si passano brevemente in rassegna i cambiamenti apportati nell’ambito delle relazioni internazionali in senso ampio. All’art. 1, la legge 189/2002 innova la legislazione vigente (Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 e successive modificazioni) in materia di “cooperazione con gli Stati membri”, incoraggiando le elargizioni di qualunque natura in favore di iniziative di sviluppo umanitario nei confronti dei paesi meno sviluppati (quelli non appartenenti all’OCSE) attraverso la previsione di detrazioni di carattere fiscale e la deducibilità degli oneri. Dall’altra parte, il Governo è autorizzato a tenere conto, in fase di elaborazione ed eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e aiuto per interventi nei paesi terzi, della collaborazione prestata da detti paesi in materia di immigrazione clandestina48 e di prevenzione e vigilanza nel rientro illegale sul territorio italiano di cittadini espulsi49. Sempre nell’ambito delle relazioni internazionali, la legge Bossi-Fini dedica ampio spazio ai controlli alle frontiere, al coordinamento tra autorità nazionali e tra quelle europee, nonché alla repressione dell’immigrazione clandestina, conferendo compiti a organi amministrativi nuovi (Comitato di coordinamento e monitoraggio, art. 2-bis) o rinnovati (Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, art. 37) per meglio adempiere agli scopi proposti. Si analizzeranno di seguito gli elementi innovativi introdotti dalla nuova normativa in quegli ambiti che costituiscono l’ossatura principale del dettato legislativo, volti al miglioramento della disciplina dei flussi migratori per mezzo dell’apporto di misure più restrittive dirette a contrastare l’immigrazione clandestina.

La disciplina restrittiva: Il nuovo art. 5-bis introduce l’istituto del contratto di soggiorno, stipulato presso lo sportello unico per l’immigrazione50 tra un prestatore di lavoro extraeuropeo e un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia; tale tipologia contrattuale deve contenere:

47

Nuove norme in materia di immigrazione. La legge Bossi-Fini: perplessità e critiche. A cura di Bruno Nascimbene, Corriere giuridico n. 4/2003. 48 Nonché nel traffico di esseri umani, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti, di armamenti, in materia di cooperazione giudiziaria e penitenziaria e nell’applicazione della normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione (art. 1 comma 2 della legge 189/2002). 49 Tale orientamento risulta pienamente in linea con le indicazioni che emergono dal Consiglio europeo di Siviglia (21 e 22 giugno 2002, punti 33-36), ove viene sottolineata la necessità di integrare la politica di immigrazione nelle relazioni dell’Unione con i paesi terzi, prevedendo nei futuri accordi delle clausole sulla gestione comune dei flussi migratori e sulla riammissione obbligatoria in caso di immigrazione clandestina. 50 Della provincia nella quale risiede o ha sede legale il datore di lavoro o dove avrà luogo la prestazione lavorativa, art 5-bis. Tale sportello è istituito in ogni Provincia presso la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo ed è responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato o indeterminato.

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la garanzia del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio rientrante nei parametri minimi della normativa di edilizia residenziale pubblica; − l’impegno al pagamento, da parte del datore di lavoro, delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel paese di provenienza. Nel caso di lavoratore autonomo (art. 5 comma 3-quater), deve essere presentata la certificazione dell’autorità diplomatica o consolare italiana attestante la sussistenza dei requisiti per l’esercizio dell’attività (che, ai sensi dell’art. 26, si riferiscono alla disponibilità di risorse economiche e di idonea situazione alloggiativa, all’inesistenza di motivi ostativi al rilascio di autorizzazioni o licenze e al possesso dei requisiti imposti ai cittadini italiani). Tali istituti rappresentano il presupposto per il rilascio (art. 5 commi 3-bis, 3-ter e 3-quater) ovvero il rinnovo (art. 5 comma 4) del permesso di soggiorno51, la cui durata è pari a quella prevista dal visto d’ingresso nel caso di rilascio non per motivi di lavoro, e non può essere superiore a tre mesi per visite, affari e turismo ovvero un anno se finalizzato alla frequenza di un corso di studio o formazione. Se il permesso di soggiorno è concesso per motivi di lavoro, la durata non può essere superiore a nove mesi per uno o più contratti di lavoro stagionale e un anno per contratto di lavoro subordinato a tempo determinato; nel caso di lavoro autonomo la sua durata non può superare il periodo di due anni. Il permesso di soggiorno è revocato nel caso in cui lo straniero violi le disposizioni del testo unico sull’immigrazione. Il permesso di soggiorno, a sua volta, costituisce la premessa per l’ottenimento della carta di soggiorno (art. 9), documento temporalmente illimitato ottenibile in seguito al soggiorno in Italia per un periodo non inferiore a sei anni; esso equipara sotto più profili lo straniero al cittadino, consentendo al titolare di: − fare ingresso nel territorio dello stato in esenzione di visto; − svolgere nel territorio dello stato ogni attività lecita (salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al cittadino); − accedere ai servizi e alle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione, salvo diversa disposizione; − partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato attivo quando previsto. Affinché lo straniero possa soggiornare in Italia, esso deve essere quindi munito di carta di soggiorno o permesso di soggiorno rilasciati a norma del testo unico e in corso di validità (art. 5 comma 1 della legge Bossi-Fini). Sia nel caso di rilascio che di rinnovo del permesso di soggiorno, lo straniero viene sottoposto a rilievi fotodattiloscopici (art. 5 commi 2-bis e 4-bis, art. 6 comma 4), norma che ha sollevato non poche polemiche, come anche il limitato periodo di soggiorno (sei mesi in luogo di un anno, come in passato; art. 22 comma 11) consentito per trovare un posto di lavoro dopo averlo perso senza incorrere nella revoca del permesso stesso. Si delinea chiaramente in questo contesto l’intento di applicare maggiori restrizioni alle politiche di immigrazione, prevedendo tempi più brevi e nuove ed ulteriori condizioni e requisiti. Il ricongiungimento (art. 29 comma 1 lettere b-bis e c) non è più consentito per i parenti entro il terzo grado inabili, ma solo per i figli maggiorenni a carico, qualora, per ragioni oggettive, non possano provvedere al loro sostentamento a causa di uno stato di salute tale da comportare una −

51

Scompare la figura della prestazione di garanzia “sponsor” disciplinata dall’art. 23 della legge Turco-Napolitano, non più utilizzabile per consentire l’ingresso in Italia di un lavoratore extracomunitario residente all’estero.

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totale inabilità; sono state, inoltre, imposte delle condizioni restrittive per i genitori a carico, i quali non devono avere altri figli nel paese di provenienza o origine ovvero, se ultrasessantacinquenni, gli altri figli devono risultare impossibilitati al loro sostentamento per documentati motivi di salute. Al fine di contrastare il fenomeno dei matrimoni di comodo contratti tra stranieri con cittadini italiani (anche comunitari o stranieri regolarmente soggiornanti), cui consegue il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari, è stata introdotta la sanzione della revoca immediata del permesso qualora venga accertato che al matrimonio non ha fatto seguito l’effettiva convivenza, salvo che dal matrimonio non sia nata prole (art. 30 comma 1-bis). Per quanto riguarda il permesso di soggiorno per studio o lavoro ottenuto da minori stranieri giunti in Italia non accompagnati, una volta raggiunta la maggior età, essi per ottenere il rinnovo devono rientrare in determinate condizioni (la presenza sul territorio italiano da non meno di tre anni, l’inserimento in un progetto di integrazione sociale e civile che garantisca un alloggio, la frequenza di un corso di studio o lo svolgimento di un’attività lavorativa). La conferma del generale orientamento al contenimento del rilascio dei permessi di soggiorno è palesata in particolare dal fatto che è prevista la detrazione del numero di permessi rilasciati ai minori divenuti maggiorenni dalle quote di ingresso definite nei decreti-flussi annuali. L’art. 3 comma 2 della Bossi-Fini, che regola le politiche migratorie, apporta infatti una modifica all’art. 3 comma 4 del decreto legislativo 286/1998, disciplinando l’approvazione del decreto dei flussi con le seguenti modalità: con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento del decreto stesso, vengono definite le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio italiano per lavoro subordinato (compreso il lavoro stagionale) e per lavoro autonomo, tenendo conto anche dei ricongiungimenti familiari e dei cittadini extraeuropei destinatari di protezione temporanea. Qualora non avvenga la pubblicazione del decreto che determina le quote di ingresso annuale, il Presidente del Consiglio può, in via provvisoria, autorizzare con apposito DPCM una quota massima pari a quella deliberata per l’anno precedente52.

Il contrasto dell’immigrazione clandestina: Tale aspetto si manifesta nella normativa ancora prima dell’ingresso dello straniero nel territorio italiano, attraverso un’attenta attività di vigilanza che consenta l’impiego di navi della marina militare, in ausilio e a supplemento di quelle in normale servizio di polizia. Al momento dell’ingresso dello straniero, la Bossi-Fini ha previsto, accanto ai tradizionali motivi di respingimento alla frontiera (minaccia per l’ordine pubblico e sicurezza dello stato), le ipotesi di aver riportato una condanna, anche a seguito di patteggiamento, per vari tipi di reati (oltre a quelli per i quali è previsto l’arresto in flagranza, anche le tipologie concernenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, l’immigrazione clandestina e la prostituzione). La nuova disciplina prevede, tra le altre cose, l’immediata esecutività del provvedimento di espulsione53, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dello straniero54, e in luogo 52

I DPCM del 19 dicembre 2003, recanti la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari per l’anno 2004, fissano una quota massima di 50.000 stranieri da ammettere nel territorio italiano per lavoro stagionale e di 29.500 ripartita tra ingressi per lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo. 53 Sono state, inoltre, introdotte delle modifiche in materia di espulsione, in particolare:

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della precedente intimazione a lasciare il territorio dello stato entro il termine di quindici giorni è previsto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13 comma 4). Solamente nell’ipotesi di scadenza del permesso di soggiorno il decreto del prefetto contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato nel termine di quindici giorni.

Le nuove ipotesi sanzionatorie: La nuova legislazione ha previsto, come ulteriore misura di contrasto all’immigrazione clandestina, un ampliamento delle tipologie di condotta meritevole di sanzione e un corrispondente inasprimento di quest’ultima. La procurata emigrazione illegale55 (art. 12 comma 1) e la procurata immigrazione illegale costituiscono nuove ipotesi di situazioni soggette a pena, mentre l’esposizione delle persone a pericolo di vita o dell’incolumità o a trattamenti inumani o degradanti, nel passato elementi costitutivi del reato, palesano ipotesi di aumento della sanzione per aggravante, con un incremento fino a un terzo della pena. L’ipotesi più pesante di aggravante si riscontra, comunque, nel caso in cui gli atti compiuti sono finalizzati al reclutamento di persone da sfruttare a fini sessuali, ovvero di minori da impiegare in attività illecite. L’unica ipotesi di attenuazione della pena si ha nel ravvedimento operoso dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, collaborando in modo concreto con l’autorità di polizia e quella giudiziaria per raccogliere elementi di prova decisivi per la cattura degli autori dei reati o per sottrarre risorse rilevanti alla consumazione dei delitti: l’art. 12 comma 3-quinquies prevede in tal caso la riduzione della pena fino alla metà.

introduzione di due ulteriori ipotesi di espulsione (in relazione alla violazione di norme sul lavoro autonomo e sul soggiorno per motivi familiari); l’espulsione è ora sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione; estensione del divieto di rientro nel territorio nazionale da un periodo di cinque a dieci anni; arresto, con pena più severa rispetto al passato, per chi rientra nel territorio italiano prima del decorso del termine; arresto da sei mesi a un anno e espulsione per chi si trattiene nel territorio nazionale malgrado l’ordine del questore di lasciarlo una volta scaduto il termine dei cinque giorni, ovvero reclusione da uno a quattro anni se viene trovato nel territorio nazionale malgrado l’espulsione. 54 Di conseguenza la tutela giurisdizionale di quest’ultimo non può avvenire se non una volta eseguita l’espulsione. 55 Che si verifica nel momento in cui una persona compie atti diretti a procurare l’ingresso illegale di un soggetto nel territorio di un altro Stato. -

25

Disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con lo straniero (art. 18 della Bossi-Fini, che sostituisce integralmente l’art. 22 del D. Lvo 286/1998): • il datore di lavoro italiano o lo straniero regolarmente soggiornante in Italia che intendono instaurare un rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero devono presentare allo sportello unico per l’immigrazione: la richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, un’idonea documentazione relativa all’alloggio per lo straniero, la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro stesso delle spese di rientro dello straniero nel paese di provenienza e la dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro56; • lo sportello comunica le richieste al centro per l’impiego, che provvede a diffonderle per via telematica agli altri centri per l’impiego; • decorsi 20 giorni senza che sia stata presentata alcuna domanda da lavoratori nazionali o comunitari e una volta sentito il questore, lo sportello unico rilascia il nulla osta nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi e trasmette la documentazione (compreso il codice fiscale) all’ufficio consolare57; • gli uffici consolari del paese d’origine o di provenienza dello straniero provvedono a rilasciare il visto d’ingresso con indicazione del codice fiscale; • entro otto giorno dall’ingresso lo straniero deve recarsi presso lo sportello unico che ha rilasciato il nulla osta per la firma del contratto di soggiorno, in seguito al quale viene rilasciato il permesso di soggiorno; • lo sportello unico invia copia del contratto all’autorità consolare e al centro per l’impiego, e la questura fornisce all’INPS le informazioni anagrafiche dello straniero, per la costituzione di un “Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari”. Le tabelle che seguono si propongono di dare una dimensione quantitativa del fenomeno migratorio: a livello nazionale, la Tabella 3 illustra la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari (fissata con i due DPCM del 19 dicembre 2003) per l’anno 2004, con la successiva circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che definisce la ripartizione a livello regionale degli stessi flussi stabiliti dal decreto. Dal momento che il decreto di programmazione annuale dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari per l’anno 2004 non è ancora stato emanato, e considerato che i decreti di programmazione transitoria per l’anno 2003 (del 20 dicembre 2002 e del 6 giugno 2003) hanno autorizzato complessivamente 79.500 ingressi, la quota transitoria autorizzata per l’anno in corso è nel complesso di 73.450 unità, di cui 50.000 per lavoro stagionale e 23.450 per lavoro non stagionale. Alla regione Friuli-Venezia Giulia sono stati autorizzati nel complesso 2.775 ingressi, 1.500 per lavoro stagionale e 1.275 per lavoro non stagionale.

56

Nel caso in cui il datore di lavoro non abbia conoscenza diretta dello straniero, può richiedere il nulla osta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di cui all’art. 21 comma 5, selezionate secondo i criteri definiti nel regolamento di attuazione (art. 22 comma 3). 57 Il nulla osta ha validità per un periodo non superiore ai sei mesi dalla data del rilascio; una volta decorso tale termine è necessario ripetere tutta la procedura.

26

Tabella 3 Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2004. Fonte: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2003 e circolare n. 5/2004 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione Generale per l’Immigrazione. REGIONE

QUOTA LAV. STAGIONALE

QUOTA LAVORO NON STAGIONALE

Valle d’Aosta Piemonte

20 1.800

Lav. non stagionale 73 1.330

Lombardia

1.200

2.800

Liguria Prov. Aut. Trento

200

Dirigenti e pers. qualif. 1 65

Conversioni

TOTALE

2 24

96 3.219

150

300

4.450

670

20

30

920

9.000

500

2

3

9.505

12.000

500

2

3

12.505

8.000

2.620

60

215

10.895

1.500

1.230

25

20

2.775

Emilia Romagna

7.000

2.430

30

50

9.510

Toscana

2.000

1.200

20

200

3.420

Marche

800

1.120

8

18

1.946

Umbria

500

555

2

20

1.077

Abruzzo

800

930

10

8

1.748

Prov. Aut. Bolzano Veneto FriuliVenezia Giulia

Lazio

300

1.820

30

50

2.200

Molise Campania

150 2.000

350 630

2 5

5 10

507 2.645

Puglia

2.000

955

2

10

2.967

Basilicata

150

400

2

6

558

Calabria

150

565

2

4

721

Sicilia

330

915

10

10

1.265

Sardegna

100

407

2

TOTALE

50.000

22.000

450

58

12 58

1.000

521 59

73.450

Pari al 90% della quota prevista dall’art. 5 del DPCM del 19/12/2003, fissata in 500 unità. Le rimanenti 50 unità sono tenute a disposizione come eventuale riserva da utilizzare per effettuare assegnazioni aggiuntive. 59 Pari all’80% della quota prevista dall’art. 3 comma 2 del DPCM. Le residue 250 unità sono tenute a disposizione come riserva per assegnazioni aggiuntive.

27

Tabella 4 Ripartizione delle quote di ingresso di lavoratori stranieri extracomunitari per motivi di lavoro stagionale, regione Friuli-Venezia Giulia (anno 2004). Fonte: Decreto del Direttore del servizio per il lavoro 26 febbraio 2004 n. 252/LAVFOR60 (per la prima ripartizione) e Decreto del Direttore del servizio per il lavoro 4 giugno 2004 n. 1111/LAVFOR61 (per la seconda ripartizione). Tipologia di quota

Lavoratori stagionali

Totale quote

1.500

1° 2° ripartiz. ripartiz.

1.20062

30063

Criteri di ripartizione

GO

PN

TS

UD

n. autorizzazioni rilasciate da ciascuna Provincia nel 290 759 2003 % sul totale regionale 13% 35%

52

1.08 4

2%

50%

1° RIPARTIZIONE n. domande ricevute dal 4/03/2004 al 30/04/2004 % sul totale regionale 2° RIPARTIZIONE TOTALE (1°+2° RIP.)

156

420

24

600

186

671

50

880

10% 38%

3%

49%

11

179

23

87

167

599

47

687

La Tabella 4 chiarisce la ripartizione fissata dalla regione Friuli-Venezia Giulia, con dettaglio per Provincia, con riferimento alla quota di lavoratori stagionali cui è consentito l’ingresso. Ad una prima ripartizione, pari all’80% della quota complessiva stanziata a livello nazionale (quindi 1.200 ingressi) ed effettuata sulla base della proporzione tra le autorizzazioni al lavoro stagionale rilasciate da ciascuna Provincia nel 2003 e quelle complessivamente rilasciate a livello regionale (Decreto 26 febbraio 2004 n. 252/LAVFOR), ha fatto seguito una successiva ripartizione (Decreto 4 giugno 2004 n. 1111/LAVFOR) per la restante parte (300 ingressi). Con la prima ripartizione, la Provincia di Udine ha visto assegnati la metà degli ingressi (600), mentre Trieste una quota pari ad appena il 2% dei complessivi 1.200 stanziati (solo 24 ingressi). Tuttavia, a seguito del riesame delle schede riepilogative trasmesse dalle Province con l’indicazione del numero di autorizzazioni rilasciate nel corso del 2003, si è notato come nel computo totale non siano state prese in considerazione le concessioni riferibili al primo trimestre del 2003. Ciò ha comportato un riesame delle quote destinate a ciascuna Provincia, effettuato in occasione della seconda ripartizione.

60

Pubblicato sul BUR del 3/03/2004 n. 9. Pubblicato sul BUR del 9/06/2004 n. 23. 62 Pari all’80% della quota totale, ripartito in base alla percentuale risultante dalla proporzione tra le autorizzazioni al lavoro stagionale rilasciate da ciascuna Provincia nell’anno precedente e le autorizzazioni complessivamente rilasciate nell’anno civile precedente. 63 Pari al 20% della quota totale, ripartito secondo la percentuale risultante dalla proporzione tra le domande presentate a ciascuna Provincia e le domande complessivamente presentate nel periodo intercorrente tra il giorno successivo alla pubblicazione del primo provvedimento di ripartizione e il 30 giugno di ogni anno, ovvero il diverso termine indicato con provvedimento del Direttore del servizio per il lavoro (per l’anno 2004 il termine è il 30/04/2004, fissato con Decreto 4 giugno 2004 n. 1110/LAVFOR). 61

28

Nel complesso, alla Provincia di Udine sono assegnate quasi la metà delle quote di ingresso per lavoro stagionale (il 45,8%, 687 ingressi), a Pordenone 599 ingressi, 167 a Gorizia ed appena 47 a Trieste. La ripartizione delle quote di ingresso per lavoro non stagionale è illustrata dalla Tabella 5: ad una prima partizione avvenuta col già citato Decreto 252/LAVFOR, ha fatto seguito una seconda suddivisione, avvenuta in base alle domande presentate da ciascuna Provincia nei trenta giorni successivi al 3 marzo 2004 (Decreto 674/LAVFOR). Nel complesso, alla Provincia di Udine sono assegnati 500 ingressi (pari al 42% del totale, contro il 46% delle quote concesse per lavoro stagionale); scende anche la quota assegnata a Pordenone rispetto a quella stagionale, che è del 35% contro il 40%. Sostanzialmente invariati rimangono gli ingressi destinati a Gorizia per questa tipologia di lavoro (il 12%) mentre si incrementa sostanzialmente la quota di Trieste (dal 3% dello stagionale passa all’11% del non stagionale). Per quanto attiene, invece, alla dinamica del numero di permessi di soggiorno concessi annualmente a livello nazionale nell’ultimo quinquennio, essa è illustrata nella successiva Tabella 6, che evidenzia anche il dettaglio per ciascuna Regione. Le quote più elevate si riscontrano nelle regioni settentrionali, che complessivamente rappresentano oltre il 50% dei permessi rilasciati in Italia nel 2000. La dinamica del Friuli-Venezia Giulia palesa un andamento costante per il biennio 1995-1996, e in continua crescita per gli anni successivi, con un picco nell’ultimo anno considerato, che evidenzia un incremento del 18%, contro una media del periodo dell’8% (del 5,5% se non si considera il 2000), attribuibile alla sanatoria condotta nel 1998-1999, processo che ha comportato la regolarizzazione soprattutto di clandestini già presenti sul territorio, piuttosto che l’effettivo incremento dei flussi migratori. La Tabella 7 specifica il motivo del rilascio dei permessi di soggiorno concessi nell’anno 2000: a livello nazionale, oltre il 60% dei permessi concessi è per motivi di lavoro, mentre per il FriuliVenezia Giulia tale percentuale scende al 45%; a livello regionale, sono invece più numerosi rispetto alla media nazionale i permessi per motivi familiari (35% contro il 25% dell’Italia), come anche quelli rilasciati per motivi di studio (4,7% regionale contro il 2,3% nazionale). I dati relativi al numero di permessi di soggiorno rilasciati, comunque, forniscono una stima sicuramente sottodimensionata della presenza straniera in Italia, dal momento che il fenomeno interessa anche gli immigrati privi del regolare permesso di soggiorno; sulla base delle stime Ismu64, tali soggetti rappresentano ben il 40% della popolazione straniera complessivamente presente in Italia.

64

Quarto rapporto sulle migrazioni, Ismu. Milano, Angeli (1998).

29

Tabella 5 Ripartizione delle quote di ingresso di lavoratori stranieri extracomunitari per motivi di lavoro non stagionale, regione Friuli-Venezia Giulia (anno 2004). Fonte: Decreto del Direttore del servizio per il lavoro 26 febbraio 2004 n. 252/LAVFOR (per la prima ripartizione) e Decreto del Direttore del servizio per il lavoro 22 aprile 2004 n. 674/LAVFOR65 (per la seconda ripartizione). Lavoratori non stagionali

Totale quote

1° ripartiz.

2° ripartiz.

GO

PN

TS

UD

GO

PN

TS

UD

GO

PN

TS

UD

ALBANESI

150

45

105

5

11

9

20

5

45

3

52

10

56

12

72

TUNISINI

150

45

105

5

11

9

20

11

47

4

43

16

58

13

63

MAROCCHINI EGIZIANI

100 80

30 24

70 56

3 3

8 6

6 5

13 10

1 7

39 23

2 0

28 26

4 10

47 29

8 5

41 36

NIGERIANI

100

30

70

3

8

6

13

20

15

0

35

23

23

6

48

MOLDAVI

40

12

28

1

3

3

5

1

10

7

10

2

13

10

15

SRILANKESI

100

30

70

3

8

6

13

0

35

12

23

3

43

18

36

BENGALESI

100

30

70

3

8

6

13

29

16

3

22

32

24

9

35

PAKISTANI

100

30

70

3

8

6

13

0

42

0

28

3

50

6

41

Riserva cd “badanti” altri stati

80

24

56

3

6

5

10

3

27

2

24

6

33

7

34

ALTRI STATI

200

60

7

15

12

26

24

32

31

53

31

47

43

79

39

92

73

156

101

331

64

344

140

423

137

500

TOTALE

1.200

360

140 66

840

67

1° RIPARTIZIONE

65

2° RIPARTIZIONE

TOTALE

Pubblicato sul BUR del 28/04/2004 n. 17. Pari al 30% della quota totale, ripartito secondo la percentuale risultante dalla proporzione tra la popolazione attiva in ciascuna Provincia e la popolazione attiva dell’intero territorio regionale. 67 Pari al 70% della quota totale, ripartito secondo la percentuale risultante dalla proporzione tra le domande presentate a ciascuna Provincia e le domande complessivamente presentate nei 30 giorni successivi alla pubblicazione del primo provvedimento di ripartizione. 66

30

Tabella 6 Permessi di soggiorno per regione, anni 1995-2000 (1° gennaio). Fonte: elaborazione su dati del Ministero dell'Interno rivisti dall'ISTAT. PROVINCE

1995

1996

1997

1998

1999

2000

39.697 1.643 135.531

44.402 1.768 146.492

63.169 2.222 205.952

67.376 2.195 220.307

70.054 2.362 235.154

83.568 2.531 301.291

18.803

20.000

26.312

22.998

26.234

28.683

51.676

56.988

75.524

83.415

97.915

125.920

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

26.230

26.227

28.603

29.623

32.383

38.248

21.256 50.348 49.931 14.457 13.754 146.385 10.730 996 30.690 17.005 1.454 7.455 31.871 7.879

23.095 56.172 52.759 16.124 15.199 156.230 11.164 998 31.949 18.286 1.378 8.024 34.016 7.888

28.134 72.983 71.592 17.716 19.668 202.691 14.266 1.301 54.530 27.074 2.140 13.706 47.911 10.526

30.380 81.527 68.760 19.354 22.182 204.712 14.310 1.439 54.332 25.895 2.145 13.909 47.333 10.704

31.219 90.129 86.394 21.150 25.122 201.390 15.112 1.520 55.029 27.925 2.321 12.333 46.750 10.324

36.044 108.518 108.365 24.665 31.698 242.533 18.513 1.935 68.336 34.553 3.130 15.530 53.927 12.667

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole

198.127 147.057 224.527 68.330 39.750

215.757 159.387 240.312 71.799 41.904

299.477 203.422 311.667 113.017 58.437

320.258 217.563 315.008 112.030 58.037

338.789 246.661 334.056 114.240 57.074

423.434 301.369 407.261 141.997 66.594

ITALIA

677.791

729.159

986.020

1.022.896

1.090.820

1.340.655

31

Tabella 7 Permessi di soggiorno per motivo e regione, 1° gennaio 2000. Fonte: elaborazione su dati del Ministero dell'Interno rivisti dall'ISTAT. MOTIVI DELLA PRESENZA REGIONI

TOTALE

LAVORO

FAMIGLIA

RELIGIONE

RESIDENZA

STUDIO

TURISMO

ASILO

RICHIESTA ASILO

ALTRO

52.582 1.505 204.977

24.192 842 69.748

813 17 1.473

3.062 118 14.474

1.403 19 4.496

334 10 977

209 2 659

57 422

916 18 4.065

83.568 2.531 301.291

17.597

6.928

184

2.738

362

58

41

64

711

28.683

10.026 7.571 78.924

3.680 3.248 37.333

128 56 623

2.359 379 2.664

115 247 2.450

49 9 615

29 12 275

18 46 394

325 386 2.642

16.729 11.954 125.920

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Bolzano-Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

17.300

13.419

141

2.031

1.784

306

229

306

2.732

38.248

20.276 68.584 66.388 15.044 17.797 139.906 10.399 971 41.571 19.521 2.024 10.107 34.593 7.552

9.408 30.066 26.808 5.844 9.289 38.532 6.183 638 21.371 10.516 778 3.585 15.044 3.605

481 604 1.337 738 335 43.624 331 66 1.065 410 49 342 820 125

4.230 2.579 5.948 952 1.207 8.424 404 64 1.330 621 37 272 1.568 814

566 4.083 4.527 1.163 1.898 5.250 560 47 1.061 891 65 156 540 216

225 491 575 487 160 985 142 33 550 203 9 55 196 164

100 219 241 23 62 1.333 51 10 175 109 16 251 37 2

69 180 178 27 74 687 49 8 38 1.141 8 385 118 -

689 1.712 2.363 387 876 3.792 394 98 1.175 1.141 144 377 1.011 189

36.044 108.518 108.365 24.665 31.698 242.533 18.513 1.935 68.336 34.553 3.130 15.530 53.927 12.667

ITALIA

827.618

334.129

53.578

53.537

31.537

6.575

4.044

4.205

25.432

1.340.655

32

Volendo a questo punto dare una stima dell’occupazione straniera irregolare68, le prime difficoltà che si presentano riguardano la mancanza di informazioni completamente attendibili sia con riferimento alla presenza straniera che all’economia sommersa: l’indagine trimestrale dell’ISTAT non fornisce la dimensione dello stock di lavoratori extracomunitari occupati, di conseguenza occorre affidarsi a fonti amministrative, quali il Ministero degli interni per i permessi di soggiorno registrati, l’INPS per il numero di occupati dipendenti e dei lavoratori domestici regolarmente registrati negli archivi e il Ministero del lavoro per gli iscritti al collocamento, anche se spesso la diversità della fonte fa riscontrare delle divergenze talmente rilevanti da far dubitare sulla corretta provenienza dei dati. La Tabella 8 riporta le stime del tasso di irregolarità del lavoro straniero regolarmente presente in Italia nel 199969. L’occupazione irregolare è definita come residuo dell’offerta di lavoro potenziale che non risulta ufficialmente occupata o disoccupata, mentre l’offerta di lavoro potenziale viene stimata sulla base dei dati dei permessi di soggiorno concessi per lavoro e ricongiungimenti familiari (circa il 90% dei permessi complessivamente rilasciati). L’occupazione regolare può essere stimata con le seguenti modalità: − Considerando i permessi di soggiorno rilasciati a stranieri che si dichiaravano già occupati (dipendenti e indipendenti): in questo modo gli occupati stranieri regolari risultavano pari al 45% delle forze di lavoro potenziali calcolate sulla base dei permessi di soggiorno. − Considerando la fonte INPS (dal momento che la maggior parte dei cittadini extracomunitari trova impiego nel settore privato): gli extracomunitari presenti negli archivi risultavano pari al 37% delle forze di lavoro potenziali. − Sulla base delle denunce mensili effettuate all’INPS dalle imprese: i contribuenti stranieri attivi occupati alle dipendenze del settore privato (esclusi i lavoratori domestici) erano circa il 18% delle forze di lavoro potenziali, in aggiunta dei quali vanno considerati i lavoratori domestici provenienti da paesi extra-Ue che avevano versato almeno un contributo nel corso del 1999 (il 10,5% delle forze lavoro potenziali). − Considerando le persone straniere in cerca di lavoro in Italia: dai dati degli archivi del collocamento gli stranieri iscritti erano, alla fine del 1999, circa il 20% delle forze lavoro potenziali. Per ottenere la stima del tasso di irregolarità si è quindi provveduto a sottrarre dalle forze di lavoro potenziali la somma degli occupati regolari e degli iscritti al collocamento, rapportando poi tale differenza alle forze di lavoro stesse. Dai calcoli effettuati, emerge un tasso di irregolarità degli stranieri che varia tra il 34% e il 52% a seconda delle fonti utilizzate. Si tratta comunque di stime da interpretare con cautela, in quanto basate su assunzioni forti circa il numero di occupati regolari e dei disoccupati.

68

Economia sommersa e lavoro nero, di Claudio Lucifora, Studi e Ricerche, il Molino 2003. Nel caso di stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale, il tasso di irregolarità è prossimo al 100%; l’irregolarità residenziale implica infatti necessariamente anche quella occupazionale. 69

33

Tabella 8 Stima del tasso di irregolarità del lavoro straniero regolarmente presente in Italia, anno 1999. Fonte: Economia sommersa e lavoro nero, di Claudio Lucifora (2003). ITALIA TASSO DI (valori assoluti) IRREGOLARITA’ Forze lavoro potenziali – Iscritti al collocamento - Occupati Forze lavoro potenziali – Iscritti al collocamento – INPS lavoratori iscritti Forze lavoro potenziali – Iscritti al collocamento – INPS medie mensili – Lavoratori domestici Forze lavoro potenziali – Iscritti al collocamento – Occupati censimento intermedio – Lavoratori domestici

377.624

34,8

467.368

43,1

559.085

51,5

565.682

52,1

Le procedure di ingresso per i lavoratori neocomunitari Dal primo maggio 2004 dieci nuovi Stati sono entrati a far parte dell’Unione europea: la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, la Polonia, la Slovenia, la Slovacchia, Malta e Cipro. L’Europa a 25 produrrà indubbiamente delle opportunità e dei vantaggi in termini di rilancio dell’economia e di creazione di posti di lavoro nell’ambito del mercato allargato, tuttavia il governo italiano ha ritenuto necessario un periodo transitorio da adottare nei confronti di otto di questi Stati, che consenta di assicurare un progressivo e graduale passaggio verso la piena applicazione del diritto comunitario. Sono quindi state imposte ai lavoratori dipendenti provenienti da Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovenia e Slovacchia, alcune limitazioni al libero accesso al mercato del lavoro per un periodo di due anni70, al fine di evitare il rischio di perturbazioni del mercato stesso. In funzione di tale decisione, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 aprile 2004 “Programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri dell’UE nel territorio dello Stato per l’anno 2004”, che fissa una quota di 20.000 cittadini neocomunitari ai quali sarà consentito l’accesso al mercato del lavoro italiano per l’anno 2004. Questa scelta assicura ai cittadini degli otto paesi di nuova adesione delle condizioni di accesso garantite da una quota di ingressi a loro riservata e, allo stesso tempo, essi possono godere di una procedura semplificata per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente rispetto a quanto previsto per i lavoratori dei paesi terzi. Ferme restando le limitazioni in materia di libera circolazione, una volta ammessi al lavoro in Italia, i nuovi cittadini comunitari potranno godere pienamente della parità di trattamento economico rispetto ai lavoratori italiani per quanto riguarda tutti gli aspetti relativi alle condizioni di impiego e lavoro. La circolare 14 del 28 aprile 2004 ha fissato le disposizioni applicative relative al DPCM del 20 aprile 2004, prevedendo due distinte procedure, una rivolta ai lavoratori autonomi e l’altra ai lavoratori dipendenti. I cittadini neocomunitari che intendono esercitare in Italia un’attività di lavoro autonomo godono, ai fini dell’accesso al mercato del lavoro, della libera circolazione. 70

Il periodo transitorio può durare complessivamente sette anni, articolandosi in tre fasi consecutive e diversamente regolate di due, tre e due anni.

34

Per quanto attiene al lavoro dipendente, come già specificato in precedenza, l’Italia si avvale del regime transitorio, fissando la quota di cittadini neocomunitari che possono accedere al mercato del lavoro nazionale per il 2004 a condizioni semplificate. Essi sono, infatti, esentati dall’obbligo del visto di ingresso, inoltre le procedure amministrative previste per la concessione della necessaria autorizzazione al lavoro sono snellite. Non è prevista l’applicazione delle limitazioni per: − i cittadini neocomunitari occupati legalmente in Italia alla data di adesione (1 maggio 2004) che siano ammessi al mercato del lavoro italiano per un periodo ininterrotto pari o superiore ai 12 mesi; − i cittadini neocomunitari che hanno svolto attività lavorativa in Italia dopo l’adesione per un periodo ininterrotto pari o superiore a 12 mesi; − il coniuge e i figli minori di 21 anni o a carico, legalmente soggiornanti sul territorio italiano con il lavoratore neocomunitario ammesso nel mercato di lavoro italiano per un periodo ininterrotto di 12 mesi al momento dell’adesione. Ai cittadini cechi, estoni, lettoni, lituani, ungheresi, polacchi, sloveni e slovacchi che intendono accedere al mercato di lavoro italiano per lavoro subordinato in seguito al primo maggio 2004, nel rispetto delle quote riservate ad essi dal DPCM, si applica la procedura generale prevista dall’art. 22 del D. Lvo 286/98, opportunamente semplificata71, illustrata di seguito. Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato), deve presentare alla Direzione Provinciale del Lavoro una richiesta di autorizzazione al lavoro che contenga i seguenti elementi: − le complete generalità del richiedente; − le complete generalità del lavoratore richiesto; − le condizioni lavorative offerte (CCNL applicato, qualifica e livello di inquadramento contrattuale, retribuzione lorda mensile, orario di lavoro che non deve essere inferiore a 20 ore settimanali nel caso di tempo parziale, località d’impiego e tipologia contrattuale). Alla domanda deve essere allegato il contratto di lavoro stipulato con il cittadino neocomunitario, sottoposto alle sole condizioni dell’effettivo rilascio dell’autorizzazione al lavoro e della richiesta della carta di soggiorno. La Direzione Provinciale del Lavoro, effettuate le opportune verifiche e accertate le disponibilità di quote, rilascia l’autorizzazione al lavoro e la trasmette al datore di lavoro richiedente e alla Questura territorialmente competente, presso la quale dovrà recarsi il richiedente ai fini del rilascio di una carta di soggiorno per lavoro. Sono, inoltre, previste delle categorie di soggetti che possono accedere al mercato del lavoro italiano al di fuori delle quote fissate per il lavoro dipendente; quelle che devono presentare la richiesta di autorizzazione al lavoro alla Direzione Provinciale del Lavoro competente secondo l’art. 27 del D. Lvo 286/98 sono: − dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia; − professori universitari, lettori universitari e ricercatori; − traduttori e interpreti; 71

Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Vademecum per l’accesso al lavoro dei cittadini dei nuovi Stati membri; l’Europa che cresce – UE LCOME.

35

collaboratori familiari di cittadini italiani o comunitari che si trasferiscono in Italia per la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico; − persone che svolgano periodi temporanei di addestramento e formazione professionale presso datori di lavoro italiani; − lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese operanti in Italia, ammessi per adempiere funzioni specifiche per un periodo determinato; − lavoratori dipendenti da imprese aventi sede all'estero temporaneamente trasferiti presso imprese residenti in Italia, al fine di effettuare prestazioni oggetto di contratto di appalto; − infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private. Le seguenti categorie di soggetti, invece, sempre al di fuori delle quote fissate per il lavoro dipendente, devono presentare richiesta di autorizzazione al lavoro al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale per l’Impiego, Segreteria del Collocamento dello Spettacolo: − lavoratori occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all'estero; − personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto; − ballerini, artisti e musicisti da impiegare presso locali di intrattenimento; − artisti da impiegare da enti musicali teatrali o cinematografici o da imprese radiofoniche o televisive, pubbliche o private, o da enti pubblici, nell'ambito di manifestazioni culturali o folcloristiche. Per gli stranieri che siano destinati a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica, la dichiarazione nominativa di assenso è rilasciata dal C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). −

36

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