Il Culto Degli Oggetti Viventi

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Università degli Studi di Genova Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

Il culto degli oggetti viventi di Marina Rossi

Candidato: Marina Rossi, matricola 2700403 Relatore: Prof. Frabrizio Bracco La presente opera è distribuita sotto licenza Creative Commons: Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo

Il culto degli oggetti viventi

Introduzione!......................................................................................3 Capitolo 1 – I processi decisionali nel consumo!............................... 5 Capitolo 2 – L’emozione degli oggetti!.............................................. 10 Capitolo 3 – Dal consumo al culto!................................................... 15 Capitolo 4 – Il circolo della Mela!..................................................... 20 Capitolo 5 – Fenomenologia di iPod!................................................. 32 Capitolo 6 – Uno sguardo complice!................................................. 39 Capitolo 7 – Il contatto emozionale!..................................................48 Capitolo 8 – Una musica soave!......................................................... 51 Capitolo 9 – La comunicazione di un’identità!..................................56 Conclusioni – In viaggio con iPod!.................................................... 59 Ringraziamenti!................................................................................. 60 Bibliografia!........................................................................................61 Sitografia!........................................................................................... 64

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Introduzione Mi ricordo perfettamente il giorno in cui l’ho visto per la prima volta. Si trovava nel negozio Fnac di Genova nel reparto tecnologia dentro una teca di plexiglas, di quelle che proteggono dai furti lasciando però la possibilità di vedere e provare il prodotto. Era il primo iPod che avessi visto ed era irresistibile. Fino a quel momento non si era sentito parlare spesso di iPod, ancora in pochi lo avevano qui in Italia. Ma la terza generazione, quella che avevo visto con i miei occhi, ha avuto da subito una larga diffusione. L’iPod esposto era acceso e collegato a un paio di casse bianche che diffondevano una canzone nel locale, si trattava di Brown girl in the ring dei Boney M. Attualmente quella canzone è presente nella mia libreria musicale di iTunes e ha quattro stellette su cinque; mi rammenta fortemente la sigla di un cartone animato degli anni Ottanta, Dolce Remì, e non è l’unico caso di questo genere. Insomma, ero lì davanti a questo gioiellino di alta tecnologia che suonava piacevolmente e ho deciso di provarlo, scorrendo il menu o cambiando, magari, canzone; nel momento in cui ho semplicemente sfiorato la ghiera, iPod si è svegliato e ha reagito, alzando il volume della musica. La risposta che quell’oggetto mi ha dato non è stata semplicemente un feedback elettronico, ma una reale interazione, veicolo di sensazioni ed emozioni. L’esperienza che offrono oggetti come iPod è particolare e va ben oltre la semplice funzionalità intrinseca della tecnologia perché coinvolge l’utente a livello emotivo, a partire dal design fino ai servizi che offre; per questo, ogni singolo aspetto di tali opere è rivolto al cliente finale. La progettazione customer oriented diventa quindi oggetto di studio proprio per la potenzialità di creare un legame basato su emozioni e sensazioni di fiducia. Anche la comunicazione pubblicitaria rafforza l’identità del prodotto e del brand, consolidando gli aspetti viscerali che guidano l’impulso e la razionalità della decisione; in questa fase la rilevanza della marca per il consumatore aumenta fino al momento in cui quest’ultimo non compie l’acquisto. L’attenzione per l’utente è solo un primo passo nella produzione di oggetti considerati emozionali; quando il coinvolgimento emotivo raggiunge certi livelli, il

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consumatore diventa lui stesso evangelista del prodotto. È facile quindi intuire la complessa rete di relazioni sociali che si può instaurare intorno a un oggetto; questo diventa totem di una comunità che difende e diffonde la propria cultura. L’analisi di un oggetto come iPod non può essere svolta solo su basi psicologiche, sociologiche o di marketing; il rapporto profondamente mutevole e complesso tipico della postmodernità, non può che lasciar spazio a un approccio multidisciplinare e la visione statica tipica del mondo moderno deve essere superata dalla realtà liquida e dinamica. Nei prossimi capitoli verranno descritti i processi per cui il consumo si trasforma in culto, in modo particolare verranno esaminate le tappe e le motivazioni che hanno portato iPod a conquistare oltre il 75 percento del mercato dei lettori di musica digitale.

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Capitolo 1 – I processi decisionali nel consumo Nel nostro mondo postindustriale, acquistare non è semplicemente un atto accessorio, ma ha una forte valenza simbolica che trascende la materia. Gli oggetti con cui scegliamo di circondarci sono, prima di tutto, una chiara affermazione della nostra identità. Data l’importanza, spesso sottovalutata, di questo aspetto della vita quotidiana, la psicologia del consumo studia il fenomeno nella sua complessità senza limitarsi ai singoli atti di acquisto, ma dedicando attenzione ai processi decisionali che, alla fine, si traducono nel consumo. L’approccio più esaustivo che analizza il comportamento del consumatore è quello costruzionista, per cui la conversazione che nasce dalle relazioni sociali determina la realtà stessa; il sapere è, quindi, socialmente costruito. Come ha scritto Gergen: The terms in which the world is understood are social artifacts, products of historically situated interchanges among people. From the costrutionist position the process of understanding is not automatically driven by the force of nature, but is the result of an active, cooperative enterprise of persons in relationship. 1 (Gergen, 1985, pg. 267)

Il linguaggio è un atto performativo, cioè agisce direttamente sul mondo attraverso l’attribuzione dei significati. La realtà, essendo una costruzione sociale, non è oggettiva, ma viene definita intersoggettiva poiché ha origine nello spazio comune di interazione sociale, nonostante le identità degli individui siano indipendenti. Analizzando la costruzione dell’identità, ovviamente di matrice postmoderna, si possono scindere cinque elementi: l’Io, il registro inconscio, il filtro cognitivo, il filtro della interazione sociale, il contesto socioculturale (Siri, 2001). Le scelte individuali sono inevitabilmente influenzate sia da caratteristiche interne all’individuo, come l’inconscio e le radici cognitive che determinano l’organizzazione e l’elaborazione, sia da elementi esterni come la socializzazione e i gruppi di riferimento. L’Io tende sempre a cercare l’approvazione e ogni feedback 1 “I termini in cui comprendiamo il mondo sono artefatti sociali, prodotti di interscambi tra persone collocati storicamente. Dalla posizione costruzionista, il processo della comprensione non è guidato automaticamente dalle forze della natura, ma è il risultato di un’impresa attiva, cooperativa di persone in relazione.”

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negativo è motivo di disagio psicologico e sociale; quindi l’accettazione veste un ruolo importante nella vita dell’individuo, anche per quanto riguarda il consumo. Lo studio del comportamento del consumatore, dal punto di vista del marketing, ha la piena consapevolezza dell’influenza sociale e reputa di alta importanza la fidelizzazione di opinion leader che possono portare un prodotto all’interno di un ristretto, ma consolidato, gruppo di persone. Le situazioni psicologiche di acquisto (Trevisani, 2003) sono essenziali affinché si verifichi l’approccio al prodotto. Queste situazioni sono il frutto di una negoziazione tra individuo, gruppi di riferimento e prodotto; a seconda della bontà di tali rapporti la reazione può essere positiva o negativa. Nella prima situazione di acquisto, l’individuo ha un atteggiamento positivo nei confronti del prodotto e lo stesso vale per i gruppi di riferimento, inoltre l’individuo è integrato nel gruppo; questa situazione, caratterizzata solo da spinte positive, si finalizza nell’atto di acquisto. Una seconda situazione si instaura quando c’è una forte dissonanza tra l’atteggiamento individuale e quello del gruppo di riferimento nei confronti del prodotto: in questo caso, l’equilibrio interno al gruppo può essere messo in difficoltà da una forte volontà di acquisto da parte del singolo. Le dinamiche sociali dei microgruppi sono basate sui legami forti pertanto hanno una forte influenza sull’atto finale di un singolo individuo; maggiore è la volontà di essere integrati nel gruppo, maggiore è l’influenza che questo ha sui membri. In una situazione opposta, un rapporto conflittuale tra i membri può dare il via a un acquisto; nonostante l’individuo non abbia un atteggiamento positivo nei confronti del prodotto, il conflitto può motivare un acquisto non necessario. Gli acquisti che vengono effettuati nonostante non ci sia una propensione da parte dell’individuo, vanno considerati come una minima parte e, all’interno delle analisi delle aziende, non hanno rilevanza; difficilmente un acquisto nato da un conflitto può dare origine a un rapporto concreto con il prodotto e con la marca. Al fine del consumo, i conflitti si esauriscono spesso all’interno di un periodo limitato in quanto si è portati a cercare gruppi sostituivi che possano essere fonte di ispirazione e approvazione per l’individuo.

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A livello psicologico, il sistema cognitivo filtra le informazioni relative al prodotto prima a livello percettivo, poi attentivo e infine mnemonico; per una predisposizione all’acquisto è necessario modificare gli atteggiamenti dei consumatori nei confronti dell’oggetto. Questo avviene dopo una esposizione al messaggio tale da superare le barriere cognitive che impediscono la percezione, la comprensione e la memorizzazione degli stimoli. Non è quindi facile attirare l’attenzione di un potenziale consumatore. Un fumatore accanito, per esempio, non considererà i messaggi sociali anti-fumo posti sui manifesti o sui pacchetti di sigarette; sta al creatore dei messaggi trovare il modo di abbattere le barriere percettive che filtrano le informazioni che si discostano dal sistema dei valori dell’individuo. Una volta percepito il messaggio, però, questo deve essere anche compreso e memorizzato, prima che possa avere eventuali effetti sul comportamento finale del consumatore. Le barriere cognitive differiscono da individuo a individuo e solo in minima parte possono essere valutate come caratteristiche comuni a uno specifico target. Gli stimoli a cui si è sottoposti ogni giorno sono diverse migliaia, ma, ovviamente, solo una piccola parte viene realmente percepita, grazie a quella che viene definita selezione attentiva; come accade in una condizione di cocktail party, si può seguire una conversazione in modo che le altre non possano interferire (Codispoti, 2002 cit. in Siri, 2004 pg. 24). Il nostro modo di selezionare le informazioni è socialmente e culturalmente determinata e la tecnologia coopera a questo processo; maggiore è il numero di informazioni a cui siamo esposti, maggiore potrà essere il numero di informazioni che siamo potenzialmente in grado di elaborare. L’arrivo di internet, per esempio, ha modificato radicalmente la selezione attentiva delle persone, causando molto disagio all’inizio proprio per la quantità di notizie a disposizione; invece le nuove generazioni hanno saputo da subito ritrovare l’equilibrio tra l’orizzonte informativo e la capacità attentiva, proprio attraverso un forte filtro di selezione. I prodotti di consumo non sono, però, tutti uguali; la principale distinzione da attuare è quella del livello di coinvolgimento, consumer involvement, e cioè l’impatto economico ed emotivo. Un prodotto a basso coinvolgimento come delle graffette

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da ufficio non richiede un complesso processo decisionale e può quindi immediatamente concludersi con l’atto di acquisto; al contrario, comprare una nuova automobile implica un processo differente. Non esiste un livello di coinvolgimento assoluto per ogni prodotto e può variare sia in rapporto al contesto socioculturale che alla rilevanza per l’individuo. Quando si parla di prodotti di consumo, va sempre ricordato che la marca non è solo un’etichetta, ma rappresenta un universo di valori. Non a caso, il fine ultimo della pubblicità e di molte componenti della comunicazione commerciale, è quello di creare e confermare l’immagine di marca, e non quello di aumentare il profitto dell’azienda, obiettivo che invece spetta al reparto marketing. L’acquisto di un prodotto a basso coinvolgimento è spesso dettato da un meccanismo di riconoscimento, per cui la pubblicità deve basarsi sulla continua ripetizione del messaggio per rendere familiare il prodotto; una volta all’interno del punto vendita, tra i prodotti a disposizione è più facile che venga preferito quello che già conosciamo. Questo è anche dovuto al fatto che spesso, oggetti o servizi a basso coinvolgimento non sono differenziati tra loro e le prestazioni sono quindi equivalenti: a uguaglianza di prodotto, la scelta sarà determinata da fattori laterali come i valori legati alla marca, i suggerimenti di opinion leader oppure l’uso di un certo testimonial. Per prodotti di questo tipo, proprio per la mancanza di differenziazione, è difficile fidelizzare il cliente, pertanto la presenza continua sui mass media garantisce una presenza mentale sempre costante. Successivamente all’acquisto e all’utilizzo, l’individuo diventa più sensibile al messaggio pubblicitario perché ha un effetto rassicurante e può consolidare la marca tra le top of mind – cioè la classifica mentale delle prime marche all’interno di un determinato mercato. Perciò la comunicazione commerciale deve puntare a coinvolgere il cliente, a stimolare nuovi desideri e a rendersi riconoscibile tra i banchi di un supermercato. Per quanto riguarda prodotti ad alto coinvolgimento il processo è più complesso. Non basta stupire e avere elevata notorietà di marca per arrivare all’atto di acquisto entrano in gioco molti fattori. La pubblicità non deve essere ripetitiva, perché l’individuo esposto ai messaggi seleziona di volta in volta quelli che

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possono interessarlo: uno spot di un’automobile non verrà memorizzato fino a quando non ci saranno i presupposti per un acquisto. In questo tipo di prodotti viene tenuto in considerazione il giudizio di un opinion leader rilevante per l’individuo, ma non è sufficiente per motivare l’acquisto. La ricerca di informazioni e il confronto tra prodotti simili è una tappa necessaria; questo processo cerca di eliminare possibili delusioni che, vista l’importanza di tali oggetti o servizi, sarebbero di notevole rilievo. Per gli acquisti che riguardano prodotti ad alto coinvolgimento, si cerca sempre una marca che possa trasmettere fiducia e attenzione verso il cliente, anche nei servizi post-acquisto in modo da rassicurare e dirigere l’individuo verso il punto vendita. Un’altra distinzione necessaria è quella tra acquisto razionale e acquisto emotivo. La natura di un oggetto, infatti, influenza i processi decisionale perché mette in moto i circuiti emotivi e cognitivi facendo leva su diverse caratteristiche e questo riguarda sia prodotti ad alto coinvolgimento che quelli a basso coinvolgimento. Si può quindi costruire uno schema, chiamato grid, che posiziona visivamente un prodotto in uno dei quattro quadranti. Un’automobile per la famiglia può essere considerata ad alto coinvolgimento e di natura razionale, per cui l’attenzione principale sarà rivolta alle caratteristiche funzionali della vettura e all’aspetto economico, mentre un’automobile sportiva, pur essendo ugualmente ad alto coinvolgimento, può essere vista come un acquisto emozionale perché esalta valori e ideali legati alla sfera emotiva, come la libertà. Se il valore della marca, brand equity, è sufficientemente coinvolgente questa può accelerare il processo decisionale senza la necessità, da parte dell’individuo, di ricercare maggiori informazioni o conferme (Siri, 2004, pg. 151).

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Capitolo 2 – L’emozione degli oggetti Parlare di oggetti non equivale a parlare di cose; le cose non hanno nessuna caratteristica propria e nessun valore, gli oggetti sono invece portatori di senso (Rutelli, Bortolanza, 2006, pg. 54) che rafforzano la nostra identità. Per questa ragione gli oggetti con cui scegliamo di circondarci assumono diversi livelli di scopo. Il primo livello è quello che chiamiamo valore d'uso e cioè la funzionalità propria di un oggetto, l'uso principale a cui è destinato. Questa prima fase di analisi prende in considerazione l'oggetto in sé e per sé. Il secondo livello racchiude due sfere: quella cognitiva e quella affettiva. Il valore cognitivo rappresenta le informazioni veicolate e lo sforzo cognitivo richiesto per rielaborarle; ovviamente cambia a seconda della complessità dell'oggetto con cui interagiamo. Il valore affettivo comprende, invece, i sentimenti e i ricordi congiunti a un oggetto. In entrambi i casi, protagonista è il rapporto di interscambio con l'individuo. Il legame che si crea è dovuto al fatto che l'uomo tende facilmente a rispecchiarsi in ciò che incontra e ad antropomorfizzare anche ciò che non è umano; animali e oggetti sono inconsciamente trattati alla pari e vengono interpretati attraverso parametri specifici dell'uomo. Possiamo credere di vedere un gatto sorridere oppure un videoregistratore fare i capricci. Il terzo e ultimo livello riguarda l'interazione con l'ambiente socio-culturale. Parlare del valore sociale di un oggetto significa identificare il ruolo che ricopre all'interno della società e delle comunità. In questa fase è utile quindi l'inserimento in un contesto e l'interpretazione della rete di relazioni, per cui l'oggetto diventa a tutti gli effetti un attore sociale. Alla luce di questo, non ha più solo una realtà materiale ma anche una, non meno importante, dimensione immateriale. Gli oggetti come vettori di emozioni, esistono da sempre, perché possono ricordarci determinati momenti, affetti passati; il valore simbolico va al di là della struttura materiale che diventa solo un mezzo per riportare a galla sensazioni sommerse. I ricordi quindi sopravvivono al trascorrere del tempo attraverso

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oggetti indipendentemente dalla loro funzione e dalla ragione per cui sono stati costruiti. Nel mondo postmoderno, l'oggetto emozionale non è più un mezzo, ma diventa un guscio. Le emozioni vengono scaturite dalla fisicità del prodotto e non si tratta di ricordi legati a un'ancora, bensì ad affetti che progressivamente riempiono l'oggetto fino a renderlo vivente. Questo accade nel momento in cui i prodotti artigianali e industriali cessano di avere una lunga durata, a favore di una tendenza verso l'usa e getta; quando gli oggetti hanno una vita effimera e soggetta a una fine, questi diventano in qualche modo simili agli esseri umani. Se un oggetto non sopravvive al tempo, ma al contrario ne è totalmente vittima, non può essere semplicemente passivo, ma deve accogliere attivamente le emozioni che lui stesso produce. L'aspetto immateriale comprende, come abbiamo detto, sia i valori psicologici che quelli sociali, ma in che modo questi vengono veicolati? È la stessa interfaccia progettuale del design che permette il dialogo e il feedback, ma non solo. Dal punto di vista del marketing, anche la comunicazione e le scelte che coinvolgono il prodotto e la marca in generale fanno parte del complesso sistema che consolida emozioni e informazioni legate all'oggetto. Nonostante questi aspetti siano essenziali per i meccanismi di acquisto, il design resta comunque il principale canale di comunicazione diretta con l'utente; produce stimoli e suggerisce risposte cognitivo-affettive. A seconda delle reazioni che l'oggetto provoca, si possono individuare tre tipologie di design: viscerale, che fa appello all'istinto e alla bellezza ideale, comportamentale, basato su usabilità e funzionalità, riflessivo, che crea un legame a lungo termine basato su un messaggio di prestigio (Norman, 2004). La progettazione di un prodotto deve, di conseguenza, tenere conto dei diversi livelli di attivazione emotiva oltre al semplice, ma importante, fattore funzionale. I due mondi che più di altri sono sensibili a queste sfumature emotive sono i giocattoli e gli utensili di cucina; il regno dei giochi e del piacere è il luogo ideale per accogliere design emozionali orientati all'utente. Il primo esempio è Voodoo Display, un ceppo per coltelli che riproduce una figura umana intera, realizzato da Raffaele Iannello per Viceversa. L'effetto finale è piacevole perché associa all'oggetto inanimato una personalità che ne amplifica le

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funzioni: il corpo trafitto dalle lame riprende il concetto del nome voodoo. In questo caso ci troviamo di fronte a un oggetto dal design viscerale che suscita emozioni.

Un esempio di design comportamentale è il controller della console Nintendo Gamecube. Al contrario da altri strumenti caratterizzati da tasti disegnati uguali tra loro, il controller viola di casa Nintendo ha, per primo, differenziato tutti i pulsanti attraverso la forma rendendo più semplice l'uso durante la sessione di gioco. Playstation si è invece limitata a utilizzare i quattro simboli senza rispettare regole ergonomiche e funzionali.

Quando il significato culturale e simbolico di un oggetto vuole rappresentare un'identità, l'aspetto comportamentale cede il passo a un design riflessivo che si chiude in una dimensione criptica per rappresentare un'élite. Per non essere alla portata di tutti, l'oggetto è un enigma funzionale e si distacca dai parametri canonici, come per esempio il cellulare Nokia 7280 che ha la forma di un rossetto con tanto di specchio, ma non ha schermo visibile, né tastiera. Lontano da un

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utilizzo intuitivo, questo telefono viene controllato da una piccola ghiera e lo specchio si trasforma in schermo durante l'uso. Se gli oggetti emozionali sono quelli che agiscono a livello affettivo creando un forte legame con il fruitore, gli oggetti viventi si interfacciano come esseri viventi e vengono percepiti come tali. Questo supera la tendenza

ad

antropomorfizzare

qualcosa

di

inanimato, perché pone l'interazione tra due entità alla pari, dotate di ragione e sentimento. Un oggetto vivente modifica lo stile di vita dell'individuo definendo nuove abitudini e nuovi appuntamenti quotidiani, per cui la relazione ha cadenza quotidiana modificando la struttura del tempo libero. Spesso si associa all'oggetto vivente un nome proprio che lo individua univocamente; la scelta del nome segue un processo che può essere anche piuttosto complesso come avviene all'arrivo di un nuovo cucciolo. Un fattore importante, sebbene non essenziale, è anche la simulazione; ciò che si pone come ecosistema da gestire, promette una interazione proprio di questo tipo; rappresentare una vita, attraverso una simulazione, è il modo principe per creare un oggetto vivente. Nel 1997 è stato creato da Aki Maita il Tamagotchi; il gadget elettronico che simula la vita di un pulcino virtuale che richiede attenzioni continue per sopravvivere; tappa importante nello sviluppo di giochi elettronici, insieme a The Sims, videogame di simulazione di vita quotidiana creato da Will Wright, il Tamagotchi ha rivoluzionato il concetto di tempo libero che, ora, deve essere organizzato rispetto al gioco. L’uovo virtuale è un oggetto vivente forzato perché obbliga il giocatore a rapportarsi con lui come con un essere vivente; lo stesso vale per il Furby, il peluche elettronico che risponde ai comandi vocali.

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La forma antropomorfa non basta per rendere vivo un oggetto. Per esempio basta considerare Dondy, una sorta di soprammobile che, venduto in varie versioni, dondola la testa continuamente grazie all’energia solare; l’oggetto, il cui nome originale è Hidamari no Tami, ha una forte valenza emozionale e il design colorato e caratterizzato da linee curve facilita il senso di piacere, ma non è possibile alcuna interazione da parte dell’utente. Una forma stilizzata può diventare più facilmente veicolo di emozioni perché non essendo completamente definita è un segno vuoto che accoglie di volta in volta le emozioni, come un foglio bianco. Un esempio può essere Nabaztag un oggetto elettronico dalle forme semplici, a differenza di Furby ricoperto di pelliccia e con gli occhi azzurri e le ciglia lunghe. Nabaztag, che in armeno significa proprio coniglio, è di forma conica e completamente bianco e ha solo due orecchie stilizzate che rappresentano la sua indole animale. Ma queste poche caratteristiche non impediscono all’oggetto di essere vivente; la sua alta tecnologia senza fili permette al coniglio di parlare, cantare e illuminarsi a seconda delle previsioni meteorologiche o delle email che l’utente riceve. L’interesse principale attorno a questo prodotto, realizzato nel 2005 dalla società francese Violet, nasce soprattutto per la comunità che si è creata. Tutti gli utenti registrati sul sito di Nabaztag possono interagire tra loro e rintracciarsi grazie al nome con cui hanno battezzato i rispettivi conigli; questi diventano dei veri mezzi di comunicazione che permettono di esperire una nuova percezione dell’oggetto. Inoltre, proprio grazie alla forma semplice e neutra, Nabaztag ha favorito la personalizzazione dell’oggetto attraverso accessori realizzati dai singoli utenti. Nelle immagini di seguito, alcuni esempi che confermano il livello emozionale dell’oggetto.

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Capitolo 3 – Dal consumo al culto Nei capitoli precedenti abbiamo sempre preso in considerazione la categoria degli oggetti in generale. Spesso il riferimento era rivolto all’oggetto di design, cioè realizzato in serie potenzialmente per un mercato di massa, prodotto meccanicamente e avente un quoziente estetico definito nel momento della progettazione (Dorlfes, 2001, cit. in Rutelli, Bortolanza, 2006, pg. 55). Ora però è necessario analizzare i prodotti industriali dall’ottica del consumo. Con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, il consumo è diventato un fenomeno sociale. La limitata capacità di acquisto è diventata la discriminante principale per gli emarginati dalla società; le classi agiate non sono quelle produttive, ma soprattutto quelle consumatrici. Nell’attuale società, la centralità delle ideologie e delle certezze universali lascia il posto a una realtà liquida e frammentata; ugualmente la centralità dell’Io si disgrega e si relativizza (Siri, 2001, pp. 43-45). Con il supporto della semiotica, possiamo scindere in due elementi il significato dell’oggetto di consumo. L’oggetto-simbolo indica la componente psicologica del prodotto e quindi il rapporto con l’utente; la componente oggetto-segno è invece il valore sociale associato all’oggetto e la sua posizione nella rete sociale. Come abbiamo visto, il consumo coopera per la costruzione dell’identità; da quando i mass media hanno modificato l’apprendimento e la percezione del reale, il desiderio ha sostituito il bisogno. A questo proposito, Giovanni Siri suddivide lo sviluppo del desiderio in otto stadi parallelamente allo sviluppo della crescita (Siri, 2001): il periodo peri-natale (il primo anno di vita), la prima infanzia (fino a tre anni), la seconda infanzia (dai 3 ai 6 anni), la fanciullezza (scuola elementare), la pre-adolescenza (scuola media), l’adolescenza (dai 14 ai 18 anni), la giovinezza (fino ai 28 anni), la condizione adulta. Ma gli impulsi che regolano i nostri consumi non sono determinati soltanto dalla fascia d’età di cui facciamo parte, ma anche dall’influenza che hanno i gruppi sociali di riferimento e del rapporto con essi. I gruppi di riferimento sono particolari comunità che assumono diversa rilevanza solo in dipendenza del soggetto. Per comprendere le influenze che si

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possono instaurare, è necessaria una distinzione in sette tipi (Gallino, 2004); i gruppi ai quali l’individuo appartiene e di cui condivide le credenze, le norme e i valori sono detti positivi; i gruppi a cui il soggetto appartiene ma di cui respinge i valori e le norme condivise sono detti negativi; i gruppi di riferimento a cui l’individuo non appartiene e non aspira ad appartenere ma che diventano un elemento fisso di confronto, sono anche detti comparativi; i gruppi di riferimento totalmente estranei al soggetto con i quali non vuole condividere posizioni; i gruppi a cui l’individuo vorrebbe appartener, sono detti aspirazionali; i gruppi a cui non si vuole appartenere ma da cui si ambisce un giudizio; i gruppi a cui il soggetto non appartiene né aspira, ma devono essere tenuti in considerazione sono detti condizionali. A seconda del diverso gruppo sociale di riferimento, le diverse influenze potranno modificare alcuni atteggiamenti dell’individuo, come per esempio gli atteggiamenti riguardanti il consumo. Come abbiamo accennato, le scelte di consumo determinano e sono determinate anche dai gruppi sociali di appartenenza; il doppio legame si estende dunque in modo trasversale a seconda dei ruoli sociali ricoperti. La credenza di un consumo omogeneo all’interno di una categoria sociale ha permesso la classificazione degli stili di vita da parte degli uomini del marketing. Va tenuto però ben presente che la segmentazione psicosociale dei consumatori serve per individuare il target group, ma che questo non coincide con gli effettivi attori sociali. Nonostante il profilo di un individuo possa coincidere con quello del modello di riferimento, questo non è sufficiente all’interno del processo decisionale che, come abbiamo visto, vede all’opera molte fonti di influenza e, non per ultima, la personalità del soggetto. Anche di fronte a stimoli identici e all’influenza di stessi gruppi di riferimento, due individui distinti elaborano due diversi processi e associano maggiore peso e importanza ad alcune informazioni rispetto che ad altre. Una volta che l’atto di acquisto si compie, è interessante analizzare quali siano i nuovi atteggiamenti. Se l’esperienza d’uso dell’oggetto di consumo è di tipo negativo, l’individuo si trova nella posizione di dover modificare la propria propensione al prodotto, e di riflesso alla marca, consolidando un giudizio negativo preesistente oppure nuovo. Lo stesso accade con le esperienze positive

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che vanno a confermare i sentimenti positivi rispetto all’oggetto oppure a stupire l’individuo, nel momento in cui gli atteggiamenti preesistenti non fossero propensi alla marca. La teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) afferma che quando pensiero, comportamento ed emozioni si trovano in conflitto, le componenti tenderanno a una coerenza tra le parti minimizzando le discrepanze. Quindi, se gli atteggiamenti preesistenti si trovano in conflitto con l’esperienza del prodotto, l’individuo tende a rendere omogeneo il suo giudizio in senso positivo, se i difetti dell’oggetto non hanno un peso sostenuto per l’utente oppure se l’oggetto non ha un alto coinvolgimento emotivo, oppure in senso negativo se l’esperienza della marca non hanno un forte impatto sull’individuo. Secondo la teoria di Festinger, modificare un comportamento o il pensiero ha delle conseguenze dirette sulla componente emotiva che, di conseguenza, si adegua; interessante osservare come possa anche accadere l’inverso. Se un prodotto è particolarmente coinvolgente sul piano emotivo, facilmente potrà essere considerato positivamente dall’utente, nonostante presenti evidenti difetti e problemi; e un cliente soddisfatto diventa il più importante testimonial per l’azienda. La costruzione di un rapporto tra persone e aziende diventa, oggi, argomento di dibattito all’interno del reparto marketing che non può più limitarsi a guardare al capitale economico trascurando o sottovalutando la formazione di capitale sociale; le relazioni che si instaurano seguono uno schema a rete che non solo avvicina consumatore e produttore, ma soprattutto lega gli individui tra loro. La marca, il prodotto e l’azienda assumono significati che vanno ben oltre il consumo e permettono all’utente di identificarsi in un modello emozionale; i consumatori possono arrivare a considerarsi una comunità talvolta molto simile a un fan club. Non a caso, Kevin Roberts, direttore dell’agenzia di pubblicità Saatchi & Saatchi, identifica con il termine Lovemark tutti quei simboli che riuniscono le persone agendo a livello affettivo, dal logo aziendale Coca Cola, fino al cantante country John Denver (Roberts, 2005). Il percorso di analisi sui Lovemark nasce a partire dal 2003 quando Roberts ha fondato una community online, chiamata appunto Lovermarks, in grado di raccogliere testimonianze ed esperienze che descrivessero il rapporto oltre il brand.

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Consumers are becoming more and more attracted to where the Love is. Every Lovemark, whether it’s a breakfast cereal, a shoe, a car, or a country, must both love and respect consumers and the world those consumers live in. 2 (Roberts, 2005, pg. 155)

Il Lovemark deve quindi muoversi sulle coordinate dell’amore e del rispetto per instaurare un rapporto duraturo con le persone; se questo non accade, ci troveremo di fronte a differenti situazioni che

Roberts,

secondo

i

parametri

precedentemente descritti, presenta con una suddivisione in quattro quadranti. Il primo

quadrante

che

incontriamo,

caratterizzato da un basso livello di amore e rispetto, è formato dai semplici prodotti; si acquistano, si utilizzano, ma non si è coinvolti. Il secondo quadrante ha un basso livello di amore ma un alto rispetto e rappresenta il mondo dei brand; una grande marca che ispira sentimenti di fiducia e rispetto, ma non coinvolge il proprio consumatore. Un altro quadrante è composto dalle mode, in cui agisce un alto livello di amore, ma anche un basso rispetto: il rispetto è un sentimento fondamentale per far durare a lungo il legame sentimentale, e se manca la fiducia, l’amore per una certa marca è passeggero e debole. L’ultimo quadrante è infine formato dai Lovemark, che stimolano appunto nel consumatore, amore per il marchio e rispetto completo. La reciprocità di tali sentimenti permettono al semplice prodotto di diventare una marca-mito e quando si condivide la passione per un oggetto di consumo, si creano dinamiche di socializzazione tra i membri della comunità. Questa può nascere in modo spontaneo oppure essere progettata a tavolino da parte dell’azienda, ma resta il frutto di una negoziazione che vede protagonista il cliente finale. Nessuna persuasione o imposizione può dar vita a una brand community.

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“I consumatori sono sempre più attratti dall’Amore. Ogni Lovemark, sia esso un cereale per la colazione, una scarpa, un’automobile o una nazione, deve amare e rispettare i consumatori e il mondo in cui questi vivono.”

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L’adesione a una brand community è caratterizzata da tre elementi fondamentali (Muniz, O’Guinn, 2001 cit. in Rutelli, Bortolanza, 2006, pg. 142): la consapevolezza di appartenere a un gruppo ben definito, l’esistenza di tradizioni e rituali condivisi, il senso di responsabilità morale ed etica comune. L’appartenenza viene quindi definita come in tutti i gruppi sociali definendo l’unicità e l’alterità per il bisogno dell’uomo di vivere esperienze uniche da un lato e condivisibili dall’altro (Meyrowitz, 1985). Inoltre, una volta definito il gruppo sociale, vengono stabilite delle gerarchie che permettono ai nuovi membri di entrare progressivamente all’interno della comunità, sia per quanto riguarda una cerchia di amici, sia per una brand community. Quando il legame si consolida nel tempo, il prodotto si trasforma in icona e la scelta di aderire alla marca è dichiarazione di un culto. Non più una scelta di consumo, ma una scelta totale che coinvolge il sistema dei valori, le relazioni sociali. Il culto ruota attorno a un prodotto che diventa un totem, oggetto mistico e carico di valore magico che abbraccia la brand community che, perciò, assume i tratti tipici di una tribù. I rituali e i segni distintivi identificano i membri e questi sono uniti tra loro da un forte legame irrazionale che li contraddistingue; aderire a un certo culto implica quindi un rapporto emozionale e quasi religioso. Per questo, i membri della comunità possono assumere anche il ruolo di evangelizzatori, diffondendo il culto del Lovemark e reclutando nuovi adepti, nonostante nulla venga dato loro in cambio.

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Capitolo 4 – Il circolo della Mela Parlando di marche-mito, si considerano brand di forte coinvolgimento per il consumatore; il coinvolgimento è sia emotivo, per le ragioni che abbiamo precedentemente descritto, sia economico. La sensazione di appartenere a una realtà esclusiva nasce anche da un sostenuto impegno economico che ha il ruolo di un investimento. Maggiore è il costo di un prodotto, maggiori possono essere il rischio e la soddisfazione. Ovviamente la sensazione di appartenenza non è solo legata al prezzo di un oggetto, ma per il consumatore questo è comunque rilevante. Le credenze che influenzano le scelte di acquisto riguardano tutto ciò che ruota attorno al prodotto e consentono la costruzione di un’immagine del prodotto stesso. L’importanza delle credenze è stata già affrontata nei capitoli precedenti parlando della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957), per cui l’individuo cerca sempre una conferma dei proprio giudizi e spesso seleziona proprio quelle informazioni. La qualità del negozio in cui si trova l’oggetto, le vetrine e il servizio, possono accrescere la qualità percepita dal consumatore; lo stesso vale per il packaging, la pubblicità e, ovviamente, la marca. Ma in questa struttura di credenze ha anche un ruolo essenziale il prezzo; in genere, prezzi più alti sono sinonimo di alta qualità (Siri, 2001, pg.143). Questa motivazione spinge le classi più agiate ad avere una maggiore propensione all’acquisto di prodotti innovativi e di valore distintivo; le dinamiche di consumo seguono un modello trickle-down (Veblen, 1999) diffondendosi con un effetto sgocciolamento fino alle classi inferiori. Una marca diventa mito seguendo lo stesso percorso, partendo dagli opinion leader appartenenti alle classi più agiate, fino ad arrivare ai gruppi sociali di reddito inferiore. Anche se alcune marche sono destinate a strati sociali diversi dalle élite, raggiungeranno lo stato di marca-mito solo dopo che le classi superiori ne hanno rielaborato il loro valore. La scelta di analizzare l’oggetto iPod, deriva non solo dal suo successo, ma soprattutto dal contesto aziendale in cui è nato e cioè Apple Computer. La filosofia di Apple permea la sua storia e porta molti cambiamenti nel mondo dei personal computer; a partire dalla fine degli anni Settanta, fino a oggi, l’insieme

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dei prodotti hardware e software nati a Cupertino, California, racchiudono i segreti di oggetti di design orientati all’utente. Per parlare di Apple, bisogna però iniziare a parlare del suo co-fondatore: Steve Jobs. La storia di Steve Jobs comincia il 24 febbraio 1955; pochi giorni dopo la sua nascita viene adottato e si trasferisce stabilmente a Mountain View in California, proprio al centro della Silicon Valley, oggi centro nevralgico dell’industria dei computer. La sua personalità è stata influenzata dagli anni Settanta, con gli ideali e la ribellione di una rivoluzione socio-culturale, e dalle religioni orientali apprese durante un viaggio spirituale in India, proprio negli stessi anni. Il primo di Aprile 1976, Apple Computer viene ufficialmente fondata da Steve Jobs e da Steve Wozniack, due personalità tanto diverse quanto ugualmente geniali: il primo nella filosofia e negli ideali, il secondo nella programmazione e nel software. Dopo i primi modelli di computer, ancora molto costosi e poco usabili, il 1984 diventa l’anno chiave per il rapporto tra uomo e tecnologia; mentre nelle librerie americane esce il romanzo di William Gibson Neuromante, Apple presenta il primo Macintosh interfaccia

dotato grafica

e

di di

mouse. Per la prima volta il personal computer non è più un semplice calcolatore da gestire attraverso complicate righe di comando, ma è la metafora di una scrivania, di un blocco per gli appunti, di un cestino. Apple ha anche il merito di aver dato il via al desktop publishing (Dtp) cioè una produzione editoriale a costo limitato sfruttando i seguenti ingredienti: il Macintosh, con l’interfaccia grafica intuitiva, la stampante laser ad alta risoluzione Apple LaserWriter, il software di impaginazione PageMaker, il linguaggio PostScript di Adobe che permette di descrivere la pagina e controllare la stampa e i font, i caratteri tipografici, sempre di Adobe. Grazie a questa work station centrata sul

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Macintosh, Apple è diventata punto di riferimento per la grafica e l'impaginazione, ha trasformato il mondo dell’editoria imponendosi nella fascia di utenti professionisti. L’arrivo del Macintosh fu annunciato, durante il diciottesimo Super Bowl, dal celebre spot pubblicitario diretto da Ridley Scott; On January 24th, Apple Computer will introduce Macintosh. And you’ll see why 1984 won’t be like ‘1984’.

Il messaggio era immediato: in un mondo informatico dominato da Ibm, Apple era la via di uscita. Il primo passo di Steve Jobs sul grande mercato fu un successo, perché percepito da subito come un modello di lavoro rivoluzionario e i successivi vent’anni continueranno a registrare l’indiscusso primato di mouse e scrivania virtuale. Già nei primi anni turbolenti, Steve Jobs si è sempre imposto come leader assoluto della società, caratterizzato da molti aspetti contraddittori e atteggiamenti intimidatori nei confronti dei collaboratori: lavorare per Apple voleva dire vivere per Apple. Dopo essere stato allontanato dalla sua stessa società proprio per tenere un comportamento inadeguato e contrario alla filosofia di Apple, Steve Jobs torna nel 1996 a salvare le sorti dell’azienda e nel 1998 viene prodotto il primo. Le caratteristiche di questo personal computer, tutto contenuto in uno schermo, rendono da subito l’iMac più facile da usare rispetto alla concorrenza. Il case colorato e semitrasparente e la predisposizione a un accesso internet – di cui il nome richiama l’iniziale – risollevano le sorti di Apple e, da quel momento, la sua scalata sembra inarrestabile, nonostante resti un prodotto di nicchia. Ad accompagnare l’uscita dell’iMac il claim aziendale che resterà scolpito nella mente dei Mac user come la campagna pubblicitaria migliore fatta da Apple: Think different. Lo spot e i cartelloni accolgono grandi personaggi della storia affiancati dallo slogan da

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Mahatma Gandhi a Albert Einstein, da Rosa Park a John Lennon, da Bob Dylan a Martin Luther King Jr., da Maria Callas a Picasso. Questa è la vera anima di Apple, Think different, pensa in modo differente, sii creativo, inventa, perché noi creiamo strumenti per questo tipo di persone. Straordinarie. Di seguito, il testo originale dello spot, riprodotto anche in poster e in manifesti. Here’s to the crazy ones. The misfits. The rebels. The troublemakers. The round pegs in the square holes. The

ones

who

see

things differently. They’re not fond of rules. And

they

have

no

respect for the status quo. You can praise them, disagree with them, quote them, disbelieve them, glorify or vilify them. About the only thing that you can’t do is ignore them. Because they change things. They invent. They imagine. They heal. They explore. They create. They inspire. They push the human race forward. Maybe they have to be crazy. How else can you stare at an empty canvas and see a work of art? Or sit in silence and hear a song that’s never been written? Or gaze at a red planet and see a laboratory on wheels? We make tools for these kinds of people. While some may see them as the crazy ones, we see genius. Because the ones who are crazy enough to think that they can change the world, are the ones who do. 3

3

“Ecco i pazzi. I disadattati. I ribelli. I contestatori. Quelli sempre al posto sbagliato. Quelli che vedono le cose in modo diverso. Non amano le regole. E non rispettano lo status quo. Puoi lodarli, disapprovarli, citarli, Puoi non credere loro, puoi glorificarli o denigrarli. Ma ciò che non potrai fare è ignorarli. Perché loro sono quelli che cambiano le cose. Inventano. Immaginano. Curano. Esplorano. Creano. Ispirano. Mandano avanti l’umanità. Forse devono per forza essere pazzi. Altrimenti come potresti guardare una tela vuota e vederci un’opera d’arte? O sedere in silenzio e sentire una musica che non è mai stata composta? O guardare un pianeta rosso e immaginare un laboratorio su ruote? Noi realizziamo strumenti per questo tipo di persone. E se alcuni vedono la pazzia, noi vediamo il genio. Perché le persone così pazze da pensare di poter cambiare il mondo sono quelle che lo cambiano.”

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La scelta di questo slogan è una dichiarazione di diversità non solo degli utenti che scelgono di unirsi al mondo Macintosh, ma anche dell’azienda che deve differenziarsi da Ibm, il cui claim recitava: Think. Il ruolo storico di Ibm nel mercato dei calcolatori, ha garantito una posizione

di

leadership

anche

nella

produzione di computer destinati alle aziende. L’idea di personal computer è stata promossa per la prima volta da Jobs e Wozniack e così, il calcolatore si trasforma in un oggetto personale, vicino all’utente e in grado di comunicare con questo. L’interfaccia grafica del primo Macintosh dialoga direttamente con l’uomo in modo semplice e lo guida passo passo nell’uso. L’utente Apple è il centro degli affari, l’attenzione nei suoi confronti raggiunge livelli unici, rispetto alla concorrenza; lo stesso prefisso i, inizialmente dedicato alla predisposizione alla connessione internet e successivamente ripreso da moltissimi prodotti hardware e software diventando simbolo della filosofia della Mela, richiama la sfera individuale della persona – i come pronome personale – in un sistema antropocentrico.

Ma anche i di individual (individuale), instruct

(educare), inform (informare), inspire (ispirare); è lo stesso Steve Jobs a evidenziare questi specifici significati. L’alta qualità dei prodotti sia a livello tecnologico che di design, l’usabilità e dei software e l’assistenza post-vendita, hanno permesso il consolidamento di utenti soddisfatti sia dall’oggetto e dalle prestazioni, che dall’azienda. Il numero limitato di utenti, il profondo legame con i clienti, la filosofia dell’azienda e il prezzo non facilmente accessibile sono i fattori principali che contribuiscono a creare il senso di esclusività nella comunità. Questo, rafforzato dai simboli e dai rituali, concorrono a costituire un vero culto del Macintosh e di Apple in generale.

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Scegliere un Apple rispetto a un computer Ibm è sempre stata una scelta a forte coinvolgimento per l’utente, molto più vicina a una scelta religiosa che a una scelta consumistica: voleva dire schierarsi con il conformismo o contro di esso. Proprio Umberto Eco, nella Bustina di Minerva intitolata Mac vs. Dos, interpreta i due sistemi operativi in ottica religiosa. È mia profonda persuasione che il Macintosh sia cattolico e il Dos protestante. [...] È festoso, amichevole, conciliante, dice al fedele come deve procedere passo per passo per raggiungere – se non il regno dei cieli – il momento della stampa finale del documento. È catechistico, l’essenza della rivelazione è risolta in formule comprensibili e in icone sontuose. Il Dos è protestante, addirittura calvinista. Prevede una libera interpretazione delle scritture, chiede decisioni personali e sofferte, impone una ermeneutica sottile, dà per scontato che la salvezza non è alla portata di tutti. Per far funzionare il sistema si richiedono atti personali di interpretazione del programma: lontano dalla comunità barocca dei festanti, l’utente è chiuso nella solitudine del proprio rovello interiore. (Eco, 1999)

Proseguendo con la metafora religiosa, Umberto Eco vede nel sistema operativo Windows come lo scisma anglicano: ma resta comunque molto legato alle sue radici protestanti. Se da una parte Apple ha dovuto combattere contro il monopolio di Ibm nelle macchine elettroniche, dall’altra parte ha iniziato presto una concorrenza contro Microsoft. La società fondata da Bill Gates, sviluppa nel 1985 la prima versione di Windows, liberamente ispirato dall’interfaccia grafica del Macintosh. Il sistema operativo di Microsoft, pur essendo nettamente inferiore nelle prestazioni, è riuscito ad avere una diffusione globale proprio per un accordo con Ibm. Apple, che produce sia hardware che software, si è presto trovata nella morsa della concorrenza Ibm-Microsoft, relegandola a un mercato di nicchia. Questo ha però contribuito alla fortuna di Apple e al consolidamento come marca-mito. Così come l’azienda si trova ai margini del mercato, anche gli utenti sono considerati una nicchia e per molti anni sono dimenticati dal mercato dei computer che non realizza alcun software o hardware compatibile. A differenza degli altri personal computer, che nascono come oggetti modulari fatti di parti sostituibili, i Macintosh sono ecosistemi chiusi dotati di un equilibrio interno che

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non permette alcuna variazione rispetto al progetto nato dai designer aziendali, come degli organismi viventi pronti a interagire. L’utente percepisce il computer come un essere vivente e lo tratta di conseguenza. Anche il design contribuisce a rendere il rapporto più intenso: quando i computer portatili sono in stato di stop, un punto luce bianco pulsa lentamente quasi il Mac stesse respirando. Anche il

computer iMac G4, diventato celebre per il suo design con lo schermo piatto direzionabile, è ispirato a una forma di essere vivente e lo stesso spot di presentazione lo vede simulare i comportamenti umani al di là della vetrina. Non è raro incontrare Mac user – utenti Macintosh – che battezzano il computer con un nome proprio e che lo trattano come un bambino o un cucciolo. Il quotidiano La Repubblica, nel 2004, ha raccolto nel 2004 sul proprio sito una serie di interventi dei lettori nella rubrica La vostra storia con il Mac. Il lettore Milo Trombin riassume l’affidabilità del suo computer, che ha il nome di Melany, in queste poche righe: Avete mai provato a ricevere posta indesiderata con virus all’interno? Io si, ma la mia Melany (il nome del mio Mac) fa finta di niente e non si lascia corrompere da questi “tremendi” pericoli. Vi sarà capitato l’amico col Pc “da 1,4 GHz” di processore e con Photoshop 7, sfidare il vostro 900 MHz con Photoshop 5.5 e (a parità d’immagine ed elaborazione) premere Esc quando il suo Pc è a metà processo mentre la vostra Mela ha già finito… per me, Melany significa potenza ed affidabilità sempre Macintosh, think different! (Milo Trombin, 2004)

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Il rapporto con il Macintosh, oltre che a livello di prestazioni, è affettivo e gli utenti Apple si possono considerare una tribù non per il consumo che li accomuna, ma proprio per l’emozione condivisa. L’esperienza comune a chi possiede un Macintosh è basata su stimoli plurisensoriali accuratamente progettati. L’ergonomia del mouse a tasto singolo, segno distintivo di Apple sempre contrapposto ai mouse da Pc, e l’uso di materiali piacevoli al tatto sono un semplice esempio dell’attenzione dei designer nei confronti delle esperienze individuali. Le comunità tribali sono realtà microsociali, a differenza degli stili di vita che aggregano in un ambito macrosociale, per cui trasversale rispetto a macro aree psicofisiche e socioculturali. I membri cercano continuamente la condivisione delle esperienze e, per questo, diventano anche evangelizzatori nei confronti di chi si trova all’esterno della realtà microsociale. È l’amore che muove ogni cosa; anche per Apple. Dal sito web Lovermarks riportiamo qualche testimonianza sul rapporto con la marca: Apple exceeds consumerism. It’s a mystical force that interacts with my senses, my emotions and my passions. When I step near an Apple product, I have to tidy my hair, straighten my shirt, wipe my brow and put on a smile because I don’t want to spoil our moment. It’s a love thing. Yes indeed, a lovemark. 4 (John, Australia, 29 marzo 2006)

John descrive tutti gli atteggiamenti tipici di un uomo innamorato, solo che l’oggetto del suo amore non è altro che Apple, un brand, una filosofia, una serie di prodotti che lo emozionano e a cui si sente legato. An Apple computer is more than a machine, it is like a friend, it actually helps you do work, unlike a PC, which is uninspring, whereas the Apple makes you think and perform to the next level.

5

(Rodrigo, Messico, 12

novembre 2004) 4

“Apple esagera nella tutela del consumatore. È una forza mistica che interagisce con i miei sensi, le mie emozioni e le mie passioni. Quando passo vicino a un prodotto Apple, devo mettere in ordine i capelli, sistemare la camicia e sorridere perché non voglio rovinare il nostro momento. È amore. Sì, è sicuramente un lovemark.” 5

“Un computer Apple è più di una macchina, è come un amico, ti aiuta davvero a fare il tuo lavoro, diversamente dal Pc che non dà alcuna ispirazione; Apple di aiuta a pensare e ad agire a un livello superiore.“

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Quando si parla di computer, spesso si considera l’uso lavorativo. Per molto tempo i computer Apple non sono stati considerati seri perché colorati, belli esteticamente e con un sistema operativo user friendly, amichevole. Presto si è intuito che un case arancione e le icone colorate sullo schermo nascondevano un sistema solido ed efficiente e che proprio quell’eccesso forme e colori informali erano il luogo ideale per ispirare lavori creativi e dinamici. Come la testimonianza di Rodriguez sottolinea, il Macintosh diventa il miglior amico di chi lo deve usare per lavoro, proprio per la lungimiranza di aver, per primi, eliminato i parallelepipedi grigi e opprimenti in favore dell’ispirazione. I needed a laptop for work. They said, “If you get a Windows machine, we’ll help pay for it. If not, you’re on your own.” I went and bought the latest Windows laptop. I brought it home and opened it up. After five minutes, I got this uneasy feeling. Hard to explain. Everything worked great, Windows looked pretty, but something was missing. I just didn’t feel…creative. I was suddenly sitting in a grey carpeted cubicle, in a prefab office surrounded by a sea of concrete, with those awful posters of limpid lake scenes and the words INSPIRATION in big letters underneath, and I wasn’t even at the office. I took it back, and bought an iBook. I opened it up. I sat in front of it, I hadn’t even put finger to keypad, and I felt immediately, deeply and joyously…creative. (Lynette, Stati Uniti, 9 maggio 2004)6

Anche la figura emblematica di Steve Jobs viene idolatrata; la sua storia è infatti legata a quella di Apple, nonostante gli anni trascorsi distante da essa. A partire dal 1985, Jobs viene estromesso da Apple, fonda la Next Computer e acquista la casa di animazione Pixar. Nonostante i computer Next siano all’avanguardia, sia dal punto di vista hardware che software, i prezzi troppo elevati non permettono all’azienda di decollare. Nel 1996, quando Apple deve affrontare una grossa crisi, il sistema operativo di Next viene acquisito da Cupertino e Steve Jobs torna

6

“Avevo bisogno di un computer portatile per lavoro. Mi hanno detto, “Se prendi una macchina Windows, contribuiremo al pagamento. Altrimenti, dovrai pagartelo da sola.” Sono andata a comprare l’ultimo portatile Windows. L’ho portato a casa e l’ho aperto. Dopo cinque minuti, ho avuto questa strana sensazione, difficile da spiegare. Tutto funzionava bene, Windows sembrava carino, ma qualcosa mancava. Non mi sentivo… creativa. Mi sono ritrovata seduta in un cubicolo grigio, in un ufficio prefabbricato circondato da un mare di cemento, con quelle terribili immagini di laghi e la parola ISPIRAZIONE a grandi lettere posta in basso, e non ero neanche in ufficio. L’ho riportato indietro e ho comprato un iBook. L’ho aperto. Mi sono seduta di fronte senza neanche mettere le dita sulla tastiera e mi sono immediatamente e profondamente sentita… creativa. “

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definitivamente ad Apple. Nel 1997 diventa amministratore delegato ad interim e il suo stipendio consiste in un dollaro annuo; questa cifra simbolica continua a resistere tuttora nel contratto vigente in quanto i veri guadagni di Jobs giungono direttamente dalle azioni Apple che negli ultimi anni hanno raggiunto valori inestimabili. Anche il fatto di essere formalmente pagato un solo dollaro all’anno, rende Steve Jobs una leggenda vivente e contribuisce a rafforzare l’aura mistica attorno alla figura del Ceo più amato. La sua indiscussa abilità di leader carismatico attira l’attenzione e la stima dei media e di tutti gli uomini d’affari. Ogni sei mesi, abitualmente, vengono organizzate le presentazioni aziendali che aggiornano sulle condizioni di mercato ed, eventualmente, sui nuovi prodotti in uscita; questi eventi sono i Keynote, dal nome del programma di presentazioni sviluppato a Cupertino. Ad ogni Keynote, migliaia di persone, tra addetti ai lavori e semplici utenti Mac, giungono da tutte le parti del mondo per avere la possibilità di vedere Steve Jobs in persona. Le sue presentazioni, il suo modo di coinvolgere il pubblico ed

entusiasmarlo,

è

fuori

dall’ordinario discorso aziendale. I Keynote sono un rituale collettivo essenziale per consolidare la comunità di utenti Apple; il forte potere aggregante è contemporaneamente una

dichiarazione

di

identità

e

appartenenza, ma anche un forte momento di socializzazione tra i membri. Grazie all’internet, il Keynote è diventato un evento mediatico: in alcune occasioni la diretta viene messa a disposizione sul sito ufficiale, ma anche quando ciò non accade, entro poche ore è possibile vedere tutta la presentazione su Apple.com. Milioni di utenti partecipano quindi all’evento e si sentono parte di esso, anche se a migliaia di chilometri di distanza e in differita. Le ore in diretta vengono comunque vissute con altrettanta partecipazione; tutte le comunità online aggiornano in tempo reale gli annunci fatti da Steve Jobs attraverso blog e forum.

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Negli ultimi anni, l’aggregazione sull’internet ha progressivamente portato il Keynote all’attenzione dei mass media; le dinamiche con cui la rete modifica l’agenda setting della comunicazione di massa meriterebbero una riflessione ben più approfondita e completa. Steve Jobs incarna il ruolo di sacerdote, di officiante del rituale collettivo a cui partecipano i fedeli, giunti da ogni parte del mondo. Ogni evento organizzato da Apple, come il Macworld oppure l’Apple Expo, assumono una valenza simbolica importante per l’identità della community, perché è un momento liturgico di aggregazione intorno ai totem. La comunità di utenti Apple può essere considerata a ragione una subcultura: lo stile di vita e la visione del mondo è differenziata da quella dominante e si fonda su simbolismi molto forti, direttamente derivati dal cultura tribale. Il principale simbolo di culto è, ovviamente, il marchio dell’azienda: la mela morsicata. Per ogni prodotto acquistato, Apple offre in omaggio un adesivo a forma di mela; questa offerta, apparentemente irrilevante, permette l’identificazione immediata di un membro della comunità. Posta sul retro di un’automobile, per esempio, è una dichiarazione di appartenenza immediatamente comprensibile sia da parte dei membri, che dalle altre persone; anche la stessa mela luminosa sul retro dei portatili è un segno di distinzione rispetto agli anonimi computer. In molte subculture, i membri dichiarano apertamente la loro appartenenza e la loro distinzione dalla massa, ma contemporaneamente diventano profeti ed evangelizzatori; così gli utenti Apple stringono forti legami tra loro, anche senza conoscersi inizialmente e, allo stesso modo, cercano di convertire, nel vero senso della parola, i non praticanti al culto della mela. Dal sito Lovemarks: To me Apple stands for a way of life. Apple users are smart and creative people that know what they want. It’s the group I like to be part of. (Sandy, Olanda, 13 settembre 2005) 7

Nell’ultimo periodo, anche Apple si sta ritagliando un mercato più ampio e l’interoperabilità dei programmi permette un dialogo costante con i sistemi Windows, soprattutto da quando anche l’architettura Mac è diventata più 7

“Per me, Apple è uno stile di vita. Gli utenti Apple sono persone intelligenti e creative che sanno cosa vogliono. Mi piace far parte di questo gruppo.“

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flessibile. Resta comunque la memoria storica dell’azienda che differenzia le diverse generazioni di prodotti e di consumatori; invece di dissolversi, il culto si consolida nelle prime ondate di utenti e questi prendono le distanze dai nuovi clienti della marca. Il meccanismo di socializzazione all’interno di un gruppo sociale si ripropone quindi con i diversi stadi di integrazione che mantengono distanze tra i membri. Questo non impedisce, però, la diffusione del culto e la continua volontà di ampliare la cultura tribale; semplicemente entrano in gioco regole di socializzazione che costruiscono una gerarchia basata sulla memoria

storica del gruppo. Riassumendo, cosa fa di Apple un culto? Ovviamente il totem, l’oggetto Macintosh, veicolo di valori e di design viscerale e funzionale. In secondo luogo, l’emozione condivisa che ha un forte potere di socializzazione; e infine l’esistenza di simboli e rituali condivisi. Nei prossimi capitoli ci occuperemo di analizzare questi elementi caratterizzanti all’interno di un’altra tribù, quella degli iPod user.

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Capitolo 5 – Fenomenologia di iPod Ogni volta che progetta nuovi prodotti, Apple è molto attenta alla riservatezza aziendale, cerca sempre di stupire la stampa, i concorrenti e, ovviamente, i clienti. Perciò, ogni incontro ufficiale è sempre carico di aspettative e le ipotesi di nuovi prodotti iniziano a circolare dal momento in cui viene annunciato l'evento. Il 17 ottobre 2001, furono distribuiti degli inviti per un incontro riservato alla stampa organizzato nella sede di Apple; secondo il comunicato stampa entro pochi giorni avrebbe fatto il suo debutto sul mercato uno strumento digitale: l’unico suggerimento, This is not a Mac. La gara delle ipotesi iniziò da subito; chi pensava a una sorta di palmare, chi intuiva un apparecchio legato alla musica digitale. Dal sito The Mac Observer, si nota una grande fiducia nell'azienda, ma anche la consapevolezza della possibilità, sebbene remota, di un fallimento, così come era stato il computer PowerMac G4 Cube, ottimo prodotto della fine del 2000, ma restato invenduto per il prezzo di listino proibitivo di oltre duemila dollari: In any event, we expect to be wowed. Apple is not likely to enter a new market lightly, especially within the current economic market. The company's "failures," like the Cube, are the exception, and not the norm, and we bet the company's new effort will be successful whatever it may be. 8 (17 ottobre 2001)

Il 23 ottobre si riunirono oltre 200 addetti ai lavori parteciparono alla presentazione di iPod, il lettore di musica digitale. Steve Jobs voleva far diventare il suo computer il nuovo centro della vita digitale dei propri utenti e tutto, a partire dalla musica, fino alle foto e i video, doveva essere gestita direttamente dal Mac. Ma alla fine del 2001 la rivoluzione digitale era ancora agli inizi. Oggi, cinque anni più tardi, è possibile collegare qualsiasi macchina fotografica digitale o videocamera, qualsiasi strumento musicale direttamente al Mac e realizzare in casa dvd video dei propri viaggi; a costi contenuti, chiunque può diventare editore di se stesso, può esprimere la creatività e condividerla su internet, oppure offline, 8

In ogni evento, ci si aspetta di venire stupiti. Apple non è solita entrare in un nuovo mercato silenziosamente, specialmente nell'attuale mercato economico. I "fallimenti" della società, come il Cube, sono eccezioni e non la norma, e scommettiamo che la nuova azione dell'azienda sarà un successo, qualsiasi cosa possa essere.

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con tutto il mondo. I servizi che offre Apple e quelli di terze parti, ampliano le aspettative e le conseguenza della vita digitale soprattutto per merito di Steve Jobs che, con largo anticipo e lungimiranza rispetto alla concorrenza, ha definito in quel giorno di ottobre un importante obiettivo per la vita della sua azienda. Fu presentato in mattinata iPod, lettore di musica grosso quanto un mazzo di carte: 1000 canzoni nella tua tasca, dicevano gli spot e i manifesti. Dalle ottime caratteristiche tecniche, la prima generazione di iPod era compatibile solo per utenti Mac: 5 GB di hard disk, la libreria musicale gestita dal software iTunes, introdotto pochi mesi prima, la sincronizzazione e il trasferimento rapido grazie al cavo FireWire quando i Pc ancora non supportavano ancora tale tecnologia. Uno strumento innovativo, secondo Steve Jobs. I molti prototipi, circolati nei mesi precedenti alla presentazione ufficiale, erano stati attentamente oscurati per evitare una fuga di informazioni; gli iPod erano stati sigillati in una struttura di plastica rigida, delle dimensioni di una scatola da scarpe, che riproduceva una sorta di lettore multimediale con un piccolo schermo su un lato e alcuni pulsanti sparsi senza logica per sviare i curiosi. Tutto questo per proteggere un segreto aziendale in cui tutti credevano, Steve Jobs per primo. Ma alla fine della giornata i commenti non furono positivi. Molte furono le critiche, soprattutto circa il prezzo a cui veniva venduto, 399 dollari. Quando fu presentato iPod, già altri lettori di musica digitali erano usciti dalle fabbriche sparse tra Singapore e la Francia, disponibili a un prezzo inferiore rispetto alla capacità dell'hard disk. Per cui le reazioni furono, in generale, molto negative: nessuna innovazione, è solo un prodotto estremamente caro. Un altro commento negativo fu dedicato alla scelta del nome, definito insulso. Eppure, nonostante le aspre critiche, iPod ha iniziato a conquistare alcuni Mac user tra i più affezionati, perché mostrava tutti i pregi di una dimensione digitale della vita. E in soli 18 mesi dal lancio sul mercato, il numero di iPod venduti aveva raggiunto quota 800,000. Le generazioni successive portarono ulteriori miglioramenti per il dispositivo, a partire dal design e dalla caratteristiche tecniche, e ne determinarono sempre più la posizione dominante sul mercato.

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Il nome iPod, ufficialmente, è un acronimo che indica Portable Open Database, preceduto dalla I di internet, che Apple associa a molti dei suoi prodotti innovativi. In realtà il significato letterale di pod è bacello ed è essenziale per capire la personalità di quest'oggetto. Un bacello rappresenta un guscio vuoto che, per ragione di essere, deve accogliere dentro di sé un contenuto. Allo stesso modo di un bacello, iPod è semplicemente un contenitore, bello e tecnologico, ma pur sempre un contenitore; uscito dalla fabbrica, non ha nulla in sé, è completamente vuoto e neutro, pronto ad accogliere la musica. Il semplice fatto che ospiti la selezione musicale, rende il player estremamente personale, unico e insostituibile; non c'è nulla di intimo come le canzoni che hanno segnato la nostra vita e che scegliamo di ascoltare in un certo momento. Gli eventi e gli stati d'animo si legano profondamente al brano musicale e permettono di ricostruire la colonna sonora della vita. Ma della carica emotiva della musica parleremo nei capitoli successivi; è essenziale però anticiparlo per comprendere la forza di coesione del lettore e del suo proprietario. Sono le canzoni contenute nel singolo iPod che ne determinano l'identità e lo differenziano da qualsiasi altro iPod; è un oggetto emozionale non solo per il rapporto con l'utente e per il design, ma perché è un guscio che ospita le emozioni oltre a veicolarle. Perciò, chi smarrisce un iPod, perde una parte di sé e fa di tutto per ritrovarlo come si farebbe per un cane o un gatto scomparso da casa. Nel dicembre 2005, una colonna dei portici di Genova ha ospitato un timido volantino, stampato in proprio, che riportava la foto e i dati del cucciolo scomparso e la promessa di una ricompensa immediata: bianco, vecchio modello, formattato Mac, con incisione Annalisa & Enrico. Il segno di un legame fortissimo con quell'oggetto che, come un cucciolo, ha portato emozioni in quella casa; inoltre l'incisione stessa sul retro dell'iPod rafforza l'identità del lettore musicale. Il vuoto lasciato da un oggetto vivente non è facile da colmare

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perché non si tratta di cose sostituibili, ma di identità che interagiscono con l'utente. Quando Apple ha introdotto un servizio di incisione nel suo negozio online, ha immediatamente avuto un grande successo tra i clienti disposti anche a pagare per customizzare il proprio oggetto; l'incisione al laser standard gratuitamente offerta da Apple consiste in due righe di testo poste sul retro dell'iPod. In questo caso, assegnare un nome al proprio oggetto non è solo un vezzo, ma un puntuale rito che caratterizza i nuovi arrivi in famiglia: far incidere il nome dell'iPod, oppure il nome del proprietario, significa rendere quell'oggetto unico e insostituibile, come un membro della famiglia. Anche la scelta di una frase particolare da legare per sempre all'oggetto è il segno di un carico emozionale maggiore rispetto a un normale acquisto. Da parte di Apple, ogni iPod con l'incisione deve essere assemblato da zero; non si tratta di prendere un lettore e inciderne la scocca, ma di realizzarlo su misura realizzandolo al momento. Perciò l'unicità del prodotto è percepita in tutta la catena produttiva fino al cliente finale. La carica emozionale dell'incisione riguarda soprattutto il dono. Regalare iPod personalizzati ai propri figli o ai rispettivi partner è diventata una tradizione; a ogni festa, sia essa San Valentino, Natale, la festa del papà o un anniversario, milioni di iPod vengono inviati ai festeggiati con una dedica che racchiude un momento e lo conserva nel tempo. Secondo il professor Michael Bull, sociologo dell'Università del Sussex, iPod ha avuto delle conseguenza rivoluzionarie nella fruizione individuale della musica, più del primo Walkman di Sony; la possibilità di avere tutta la libreria musicale contenuta in un iPod, ha trasferito il culto dell'estetica dal singolo vinile, al lettore. Inoltre, il professor Bull, attraverso una ricerca etnografica, ha evidenziato l'importante funzione random, cioè casuale; all'interno di una libreria che contiene da 1000 fino a 15000 canzoni degli ultimi modelli, la selezione dei brani lasciata al caso permette di far riemergere titoli dimenticati e rivalutarne altri (Bull cit. in Kahney, 2006). La scelta non consapevole di una canzone è la base di un modello innovativo che Apple ha introdotto all'inizio del 2005: iPod Shuffle. Questo nuovo prodotto è stato il primo lettore a memoria flash realizzato a Cupertino; mentre Apple aveva raggiunto il 95 percento del mercato dei lettori musicali con hard

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disk, molte altre compagnie più o meno conosciute avevano iniziato a vendere un gran numero di piccoli lettori dotati di piccoli display e una ridotta capacità. L'introduzione dell'iPod Shuffle è stato un importante passo per Steve Jobs: il lettore non ha alcun display, solo la ghiera per i comandi e il tasto di accensione a due posizioni, riproduzione lineare e riproduzione casuale. Lo slogan che ha accompagnato lo Shuffle è semplice ed efficace: Life is random. La scommessa, questa volta, è tutta rivolta alla modalità di fruizione. Lo stesso iTunes, software di gestione della libreria musicale, permette di caricare una selezione casuale di canzoni. Dedicato a chi ascolta musica mentre fa sport, vista la leggerezza e le minime dimensioni del prodotto, ma anche a chi, ogni giorno, vuole stupirsi con canzoni dimenticate o preferite, iPod Shuffle rivoluziona il mercato grazie alla mancanza del display che, in questo caso, viene evidenziata come una caratteristica vincente che distingue il lettore da tutti gli altri prodotti. Inizialmente, iPod poteva essere usato solo con i computer Macintosh, ma l'anno successivo, venne introdotta la seconda generazione di lettori compatibili con il sistema operativo di Microsoft. Da prodotto di nicchia al mercato globale, in pochi mesi ha superato la quota del novanta percento dei lettori di musica diventando non solo il prodotto elettronico più venduto nella storia, ma soprattutto simbolo di una cultura digitale in piena espansione. Il successo, infatti, non deriva soltanto dai milioni di pezzi venduti, ma dalla forza di un oggetto che si è imposto per la sua personalità, ispirando moltissimi prodotti e dando vita a un mercato esclusivo. Non si contano i lettori musicali che imitano le forme minimaliste e la ghiera con i controlli, ma nonostante ciò, continua a distinguersi, perché permette all'utente di entrare in una dimensione comunitaria: la tribù dell'iPod. Gli utenti sono i membri, l'oggetto è il totem da venerare, i simboli e i rituali ne consolidano l'identità. Pur non essendo più da tempo una comunità esclusiva, i possessori di iPod si riconoscono principalmente da una caratteristica che li contraddistingue: gli auricolari di colore bianco. Fin dal primo Walkman, le cuffie e i cavi sono sempre stati neri; indipendentemente da quale lettore si stesse utilizzando auricolari e cuffiette sono sempre stati pressoché uguali. La volontà di distinzione di Apple ha

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permesso il disegno di auricolari bianchi che identificano un utente iPod al primo sguardo. Secondo Douglas Atkin, dell'agenzia pubblicitaria Merkley + Partners e autore del libro The Culting of Brands, "gli auricolari bianchi sono una sorta di stretta di mano massonica agli altri utenti che hanno il player mp3 'giusto' – un sottile codice condiviso. È immediatamente ovvio che non si tratta di un Sony o di altre marche" (Atkin, cit. in Kahney, 2006). Oltre a essere una scelta di design ispirata dalla storia dei prodotti Apple come vedremo nei prossimi capitoli, il colore bianco è anche una dichiarazione aziendale che contraddistingue i modelli disegnati a Cupertino in un mondo elettronico caratterizzato da toni di nero e di grigio. Con l'introduzione di iPod Mini all'inizio del 2004, anche i colori entrarono nel mondo della tecnologia riscuotendo il più grande successo; ma gli auricolari bianchi restarono il segno identificativo per i possessori dl lettore. Con l'esplosione del successo internazionale di iPod, un gran numero di aziende si è dedicata alla realizzazione di accessori esclusivi appositamente disegnati per il player; questo ha permesso il fiorire di un mercato di oggetti sotto il marchio Made for iPod, garanzia di un'alleanza ufficiale con la società della Mela. Migliaia di accessori di ogni tipo, dai più sofisticati impianti stereo alle custodie più eleganti, hanno alimentato il successo del player e il rispettivo culto; molti altri auricolari sono stati, quindi, messi in vendita anche in versione bianca come alterativa alle cuffie in dotazione. Oggi, vista la diffusione mondiale del player, i cavetti bianchi delle cuffiette non sono più una caratteristica esclusiva di iPod, ma accompagnano altri player e talvolta sono sintomo della volontà di far parte di un gruppo sociale a ogni costo. Gli auricolari bianchi, oltre a essere un segno distintivo, anche se come abbiamo visto può essere simulato, sono anche una rivincita della musica personale. Negli ultimi anni, grazie ai lettori di musica digitale è possibile avere sempre con sé la musica preferita e ascoltarla mentre si va a lavorare, mentre si corre oppure mentre si fa la spesa. Il rapporto con la musica è cambiato radicalmente, approfondiremo questo aspetto nelle prossime pagine, ma anche il rapporto tra le persone non è rimasto immune a questo evento socioculturale: si parla perfino di netiquette dell'iPod. Quando si frequentano luoghi pubblici, specialmente i mezzi di trasporto che sono dei piccoli laboratori psicosociali, indossare gli auricolari è

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un segnale di distanza rispetto alle altre persone; capita che, riconoscendo qualcuno per strada, non si abbia voglia di conversare e si preferisca restare isolati e ciò diventa molto quando si ascolta la musica. Gli auricolari sono quindi un segnale sociale preciso che, nella maggior parte dei casi, riesce a tenere a distanza contatti non desiderati. Se al contrario si vuole dedicare attenzione a un'altra persona, sfilarsi uno o entrambi gli auricolari denota un particolare interesse e gratifica l'interlocutore che percepisce quel singolo atto come un incentivo a conversare. Ascoltare l'iPod comprende alcune regole sociali condivise che etichettano come appropriato un certo comportamento. Questo vale per la musica troppo alta che può infastidire i passanti, oppure non mettere in pausa il lettore durante un momento importante; inoltre la soluzione di sfilare un solo auricolare per conversare è adeguato solo a situazioni informali e tra amici. Nei prossimi capitoli analizzeremo iPod secondo tre sensi e il rapporto con l’utente: la vista, il tatto e l’udito.

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Capitolo 6 – Uno sguardo complice Il primo sguardo destinato a iPod si posa da subito sulle forme essenziali e sull'aspetto semplice e pulito. La progettazione e la realizzazione del player in questione merita un'analisi che possa percorrere la sua storia a partire dal design. La prima personalità che incontriamo è dunque Jonathan Ive, direttore del team di designer che hanno dato vita all'iPod. Fin dal 1997, anno del ritorno di Steve Jobs nei quartieri generali di Apple, Jonathan Ive ha seguito e diretto il design di tutti i maggiori prodotti della Mela, iniziando proprio dall'iMac del 1998. Dalle forme arrotondate, il primo iMac proseguiva il viaggio intrapreso alle origini di Apple, realizzando un computer personale, incentrato sui bisogni dell'utente, tutto integrato in un unico oggetto. Ben lontano dall'aspetto grigio e ingombrante dei Pc, composto da un case e da un monitor, iMac ha un aspetto giocoso e colorato, in plastica traslucida bianca con la parte posteriore e i dettagli in una sfumatura di blu ciano molto particolare. Coniato da Apple con il nome di Bondi blue, si tratta di un verde acqua intenso che prende il nome dalla spiaggia australiana Bondi Beach e si ispira proprio al colore del mare in quella zona. La tonalità è stata scelta in riferimento alla navigazione, surfing, nell'internet, in quanto Bondi Beach è una località famosa tra i surfisti. La forma dell'iMac, sinuosa e ovoidale, racchiude un computer all-in-one, cioè nell'unico spazio del monitor; le periferiche principali del computer, tastiera e mouse, sono state disegnate dallo stesso team in modo da soddisfare la vita digitale dell'utente anche dal punto di vista estetico. La tastiera è bianca semitrasparente con i tasti neri e si connette al computer tramite un cavo Usb; nel 1998 quando è stato lanciato iMac, pochissimi Pc avevano porte Usb in quanto si trattava di una nuova tecnologia molto innovativa e le periferiche, anche più comuni come appunto la tastiera, avevano la precedente tecnologia. Il mouse ha la forma rotonda del disco da hockey, che spesso viene appunto definito come hockey puck, e ha un solo tasto cliccabile, proprio come il primo Macintosh dell'84. Il mouse a tasto singolo è una delle icone che distinguono un utente Mac da un utente Pc e

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rappresenta l'ideale aziendale; la semplicità di un sistema opposto alla difficoltà di una macchina. Se con il Pc è necessario utilizzare entrambi i tasti per interagire con il sistema operativo, con iMac non sono necessarie ulteriori funzioni e anche l'utente inesperto si trova ad affrontare una difficoltà in meno. Tra le periferiche, anche la stampante stata disegnata con lo stesso stile traslucido; l'integrazione con una stampante Usb ha permesso agli utenti Apple di avere una vera e propria work station nella propria abitazione. Il design, nato da lunghi mesi di progetti di Ive e Jobs, vuole proiettare Apple verso il futuro, ma con un occhio al passato, al primo Macintosh all-in-one. Nessuna negazione del passato, anzi. L'iMac ha sottolineato più che mai la personalità dell'azienda anticonformista e innovativa. Secondo Ive, il mercato dei computer è solamente interessato a mostrare la velocità e le prestazioni: “noi sapevamo che iMac era veloce, non avevamo bisogno di farlo brutto". L'attenzione del team di progetto si è rivolta specialmente al mercato europeo e asiatico, in cui gli spazi delle abitazioni sono più limitati: per questo, il computer non doveva più essere ingombrante e dispersivo.

Nel 1999, la gamma iMac è stata rinnovata e sono stati aggiunti altri colori rispetto al Bondi Blue; questi vengono definiti come flavour, cioè sapore, proprio come una gelatina o una caramella gommosa, e gli stessi nomi ricordano frutti e sapori più che colori. Troviamo Blueberry (mirtillo), Strawberry (fragola), Lime, Grape (uva), Tangerine, Graphite, Ruby, Snow, Indigo, Sage, Blue Dalmatian, Flower Power. Uscito in versione limitata, iMac Flower Power è stato un omaggio agli anni Settanta, che hanno cullato le origini dell'azienda; quando il movimento del Sessantotto si svolgeva nelle università americane, Steve Jobs e Steve Wozniack si trovavano proprio a Berkeley. L'atmosfera e il pensiero di quel periodo hanno creato l'impronta per un carattere aziendale che si è sempre mantenuto nel tempo. Gli stessi utenti condividono quella coscienza comune e scelgono la marca proprio nel nome dell'anticonformismo; per cui il Flower Power celebra un punto di

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riferimento per l'azienda e per i suoi clienti. Anche il mouse, rigorosamente a un tasto in nome della semplicità della tecnologia Apple, è stato disegnato da Ive; l'ispirazione è venuta osservando una goccia di pioggia posata su una superficie piana e bianca. Successivamente alle diverse versioni del primo iMac G3 (la sigla che indica il processore), nel 2002 la generazione di iMac, i computer considerati casalinghi rispetto alla fascia professionale dei PowerMac, si scinde per dare origine a due nuove linee. Da una parte eMac, educational Mac, dedicato alle scuole e al mondo dei più giovani, dalle prestazioni buone e dall'ottimo rapporto qualitàprezzo che mantiene le forme arrotondate della precedente versione; dall'altra iMac G4 con lo schermo Lcd direzionabile e la base a semisfera in cui sono contenuti tutti i componenti elettronici. Dalla forma a lampada, iMac G4 ha segnato la storia di Apple ed è stato uno dei computer più amati al mondo. E dietro a questo successo c'è, ancora una volta, il disegno di Jonathan Ive. Un progetto innovativo, del tutto diverso dal passato e dal presente Pc, che ha messo in atto la creazione di un oggetto vivente. Lo spot usato per lanciare questo nuovo computer esplica perfettamente l'anima di iMac, in grado di fare molte cose e di soddisfare l'utente, ma soprattutto con una personalità. Grazie al suo lavoro per Apple, si guadagna, nel 2003, il premio di designer dell'anno; Jonathan Ive per quell'occasione, rilascia un'intervista al Design Museum in cui risponde così alla domanda "Perché ha deciso di unirsi ad Apple?": I went through college having a real problem with computers. I was convinced that I was technically inept, which was frustrating as I wanted to use computers to help me with various aspects of my design. Right at the end of my time at college I discovered the Mac. I remember being astounded at just how much better it was than anything else I had tried to use. I was struck by the care taken with the whole user experience. I had a sense of connection via the object with the designers. I started to learn more about the

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company, how it had been founded, its values and its structure. The more I learnt about this cheeky almost rebellious company the more it appealed to me, as it unapologetically pointed to an alternative in a complacent and creatively bankrupt industry. Apple stood for something and had a reason for being that wasn’t just about making money.9

Apple ha il potere di stregare e attivare un rapporto con l'utente attraverso i propri oggetti, e questo è stato testimoniato anche da chi, anni dopo, ha scelto di lavorare per l'azienda, proprio nell'ottica di far parte di un grande progetto. Nonostante i primi anni ad Apple, a partire dal 1992, siano stati difficili e spesso frustranti, Ive è stato complice di Steve Jobs nel ridare vita alla società degli anni Settanta, proiettata verso la user experience. Nel 2004 la linea è stata ridisegnata e l'iMac G5 ha eliminato la base a semisfera per racchiudere, ancora una volta, il computer nello schermo; questa volta spesso solo cinque centimetri. Quando la società è stata rinnovata nel 1997 dal rientro di Steve Jobs, altre personalità sono state importanti per il rilancio dell'impresa; tra queste troviamo Philip Schiller, attuale direttore del marketing di Apple e principale candidato alla successione di Jobs. "We like to joke that the back of our computer is more beautiful than the front of anyone else's computer” (Ci piace scherzare sul fatto che il posteriore dei nostri computer sia più bello della faccia di qualsiasi altro). La celebre frase, pronunciata nel 1997 da Jobs e nel 2004 da Schiller, fa riferimento a un accorgimento di progettazione per cui il pulsante di accensione sul retro si trova in posizione opposta alla spia luminosa dello stato di sleep, in modo da poter essere individuato subito; questo accorgimento è stato abbandonato nelle versioni successive di iMac. Lo sleep indica che il computer è acceso, ma a un livello minimo e attende un comando per riattivarsi dal sonno; proprio come l'uomo, anche il computer può limitarsi nell'energia consumata fino a quando non sia di nuovo necessaria la prestazione massima. 9 Quando frequentavo il college, avevo un vero problema con i computer. Ero sicuro di essere tecnicamente incompetente, e ciò mi frustrava quando volevo usare il computer come supporto nei vari aspetti del design. Proprio alla fine del college ho scoperto il Mac. Ricordo di essere rimasto sbalordito per come fosse superiore a qualsiasi altra cosa avessi mai provato a usare. Ero impressionato dalla cura dedicata a tutta l'esperienza dell'utente. Provavo un senso di connessione, tramite l'oggetto, con i designer. Ho iniziato a conoscere meglio la società, come è stata fondata, i suoi valori e la sua struttura. Più conoscevo questa azienda ribelle e impertinente, più mi sentivo attratto da essa, come unica alternativa a un'industria compiaciuta e in crisi creativa. Apple rappresentava qualcosa e aveva una regione di esistere che non era solo quella di far soldi.

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Con l'introduzione del processore G4, i prodotti di fascia consumer sono stati realizzati in policarbonato plastico bianco; il colore bianco, lucido o traslucido, è diventato in poco tempo il segno distintivo dell'azienda. Tutti gli accessori sono completamente integrati e ogni minimo dettaglio deve collaborare a un insieme organico e omogeneo. Per cui, anche i cavi di alimentazione, le spie luminose e le rifiniture sono realizzate nel colore della neve. Anche il packaging ha uno stile essenziale: pochissime sono le scritte sulla scatola e le forme sono semplici e regolari. L'aspetto liscio e omogeneo si crea grazie all'assenza di elementi sporgenti e spigoli non necessari. Anche lo stesso software è disegnato

come

le

stesse

premesse: il computer deve, nel suo

complesso,

permettere

all'utente di trasferire le proprie necessità e i propri pensieri dal mondo

analogico

a

quello

digitale. L'approccio è quello di centrare

la

tecnologia

sull'utente, di renderla semplice e immediata e di distinguere le caratteristiche superflue e quelle essenziali. Il lavoro di Jonathan Ive dimostra come sia possibile creare prodotti funzionali ed esteticamente seducenti; rinunciare a uno di questi aspetti significa tradire l'utente e obbligarlo a vivere i compromessi decisi per lui dal progettista. Sia funzionalità che estetica devono essere integrati in modo armonioso; realizzare un oggetto bello ma senza alcuno scopo è oltraggioso, è una dichiarazione di arroganza, dice Ive; il suo è infatti un lavoro di design industriale che deve organizzare anche l'interno del prodotto e le sue funzioni. La storia di Apple si riferisce sempre a quegli anni iniziali in cui l'identità si è formata, una realtà aziendale unica nel campo dell'elettronica. Il manifesto della società era composto da tre punti essenziali: facilità e semplicità, semplicità e facilità, attenzione al di là dell'imperativo funzionale, conoscenza dei

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prodotti per una soluzione oltre il tradizionale concetto di funzione (Jones, 2005, pg. 56). Prima di entrare nell'organico di Apple, Ive ha iniziato la sua carriera fondando un'agenzia di consulenza, Tangerine; i prodotti a cui di è dedicato sono stati di vario tipo, dai televisori alle vasche da bagno, ma in particolare era il mercato giapponese quello che richiedeva maggiormente la sua esperienza. A partire da quella stessa influenza orientale, nel 2001 nasce iPod. Dal design minimalista, perché tutto ciò che è superfluo non deve esistere, piccolo come un mazzo di carte, dal colore bianco lucido tipico della linee consumer di Apple, il lettore ha solo una ghiera per il controllo della musica. Tutto il resto è fatto di linee curve e pulite, angoli smussati,

usa

due

materiali diversi per il lato frontale e il retro; rappresenta la doppia natura, il caldo della plastica e il freddo del metallo

lucido

del

retro che accoglie il simbolo della mela e, se richiesta, l'incisione personalizzata. Lo sguardo si posa sul fronte, scivola sulla ghiera e sui quattro tasti disposti in senso radiale, per poi soffermarsi sullo schermo e sull'interfaccia di semplice utilizzo. Il retro rispecchia invece l'ambiente circostante, e l'utente che tiene in mano l'oggetto. Proprio per questa sua caratteristica superficie riflettente, si sono diffuse, in rete, fotografie fatte al retro dell'iPod che rappresentano monumenti, luoghi famosi, o più semplicemente persone. Questo è un uso che non è stato preso in considerazione durante la progettazione dell'oggetto, ma che ha contribuito a sviluppare una community; certamente il rapporto tra l'oggetto e l'utente ha contribuito alla formazione di queste idee e tendenze.

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Quando Roland Bartes ha raccontato il Giappone ne L'impero dei segni, descrive il rapporto tra Occidente e Oriente come luoghi semiotici: il primo è interessato a esprimere la sua sostanza, il

secondo

invece

è

composto di segni vuoti in cui la ricerca della forma

eleva

produzione semiologo

la

umana.

Il

descrive

la

natura degli oggetti e dei pacchetti contengono,

che in

li

questo

modo: La miniaturizzazione non deriva tanto dalla misura, ma da una sorta di precisione che la cosa mette nel delimitarsi, nell'arrestarsi, nel concludersi. [...] Tuttavia questa cornice è invisibile: la cosa giapponese non è contornata, miniata; essa non è delimitata da un contorno netto, da un disegno che il colore, l'ombra o il tocco verranno poi a "riempire"; attorno ad essa c'è il nulla, uno spazio vuoto che la rende opaca, e dunque ai nostri occhi, ridotta, diminuita, piccola. Si direbbe che l'oggetto eluda, in un modo ad un tempo inatteso e oculato, lo spazio nel quale esso è sempre situato. (Barthes, 1984, pg. 51-52)

Una volta compresa la cultura orientale, è facile ritrovare questa filosofia nelle creazioni di Jonathan Ive e, in particolare, in iPod. Non solo, la forma è compiuta e incorniciata, ma anche lo stesso oggetto è vuoto. Continuando nell'analisi degli oggetti, Barthes individua un ruolo fondamentale anche nella confezione, nel pacchetto. Così la scatola tiene il ruolo di segno: come involucro, schermo, maschera, essa vale perciò che nasconde, protegge e pertanto designa: essa dà il cambio, se si vuole intendere quest'espressione nel suo doppio senso, monetario e psicologico: ma ciò che essa racchiude e significa è lungamente rimandata a un dopo, quasi la funzione del pacchetto non fosse tanto quella

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di proteggere quanto di rimandare nel tempo. È infatti nell'involucro che sembra concentrarsi il lavoro della confezione (del fare), ma attraverso tutto questo processo l'oggetto stesso perde la propria esistenza, diventa miraggio: di viluppo in viluppo il significato fugge e quando infine lo si raggiunge (c'è sempre un minimo qualche cosa nel pacchetto) esso appare insignificante, derisorio, vile: il piacere, campo del significante, è stato afferrato: il pacchetto non è vuoto, ma vuotato: trovare l'oggetto che sta nel pacchetto, ovvero il significato che sta nel segno, significa gettarlo via: ciò che i giapponesi trasportano con energia formicolante, non sono altro in definitiva che dei segni vuoti. [...] La ricchezza della cosa e la profondità del senso non sono congedati che al prezzo d'una tripla qualità, imposta a tutti gli oggetti confezionati: ch'essi siano precisi, mobili e vuoti. (Barthes, 1984, pg. 54-55)

Anche il packaging di iPod segue le stesse regole: ogni generazione del lettore non ha mai rinunciato a un pacchetto dalla forma regolare e dalla grafica pulita che rappresentava solo il contenuto. Su internet è possibile trovare la parodia video che rappresenta il packaging del lettore se fosse stato realizzato da Microsoft al posto di Apple; il messaggio è semplice, Microsoft avrebbe continuato ad aggiungere loghi, informazioni e grafica fino quasi a far scomparire l'immagine di iPod dalla scatola. Apple invece, proprio ispirandosi ai modelli giapponesi, esalta la rarefazione, lo spazio vuoto e l'assenza di caos. Se, nella prima versione originale, troviamo sulla faccia del cubo solo un ipod su sfondo bianco, nella parodia, ogni spazio è occupato da scritte e disegni.

Questa ipotetica versione rispetta perfettamente i canoni del design di Microsoft in confronto a quelli di Apple; l'eccesso di informazioni d'uso di Windows sono spesso sinonimo di difficoltà per l'utente, come ben descrive Norman in Il

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computer invisibile. Un rapido confronto diretto tra le confezioni dei due sistemi operativi può essere interessante.

Ciò che è davvero importante, per quanto riguarda iPod, è la sua natura di segno vuoto, svuotato di ogni senso; soltanto l'utente può assegnare il significato più adatto al piccolo oggetto che diventa, pertanto, vivente. Se iPod rappresenta l'astrazione di essere vivente più riuscita dipende anche dal complesso rapporto dei sensi: procediamo ora verso il tatto.

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Capitolo 7 – Il contatto emozionale Il secondo senso che viene attivato interagendo con iPod è il tatto; le sensazioni che concorrono all'esperienza dell'utente trovano un ruolo fondamentale nel tocco e nel contatto con l'oggetto. Per prima cosa, va quindi analizzata la ghiera di controllo. Nel primo modello di iPod, uscito nel 2001, la ghiera era meccanica e controllava lo scorrimento del menu e il volume; il funzionamento era semplice, l'affordance della ghiera è proprio quella di essere girata e, intuitivamente girando in senso orario si alza il volume, mentre in senso antiorario si abbassa. Il controller, chiamato scrollwheel, è stato l'elemento più ripreso da altre case di produzione di strumenti elettronici per la grande usabilità: tenendo iPod in una mano, è sufficiente il pollice per sfogliare la libreria musicale. A partire dalla seconda generazione di iPod, la ghiera è diventata a sfioramento e viene identificato con il nome di touchwheel: non più un'azione meccanica governa il controller ma la superficie sensibile al tocco. Questa tecnologia ha permesso un'interazione più dolce e più emotiva con l'utente che non deve cliccare o usare forza sull'oggetto, ma lo sfiora con una carezza, quasi fosse un essere vivente. Il contatto con l'oggetto diventa quindi un'esperienza piacevole e intima. Infine, la clickwheel è l’ultima versione della ghiera, introdotta a partire dalla quarta generazione, e integra allo sfioramento, anche i quattro tasti per il controllo del lettore. Il designer Patrick Jordan, riprende il modello four pleasures declinato dall'antropologo Lionel Tiger (Tiger, 1992). L’estetica e le associazioni che vengono attivate dall'oggetto possono essere classificate in quattro tipologie di piacere. Il physio-pleasure, fisio-piacere, è quello che deriva dai sensi e dal rapporto fisico con l'oggetto, come la piacevolezza della forma e del contatto con iPod; lo psycho-pleasure, psico-piacere che riguarda la soddisfazione psicologica di un compito portato rapidamente a buon fine, come l'interfaccia di iPod e la semplicità

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di utilizzo; il socio-pleasure, socio-piacere, che appartiene alla sfera di interazione e di identità sociale, proprio come gli auricolari bianchi facilmente riconoscibili; in ultimo troviamo l'ideo-pleasure, ideo-piacere, che identifica la più astratta forma di piacere che soddisfa l'utente su un livello di ideali e di impegno morale. Nell'interpretazione di Donald Norman, il piacere di un oggetto è strettamente legato alla natura del design, per cui i piaceri derivanti dai sensi sono stimolati dal design viscerale, ma anche in parte da quello comportamentale; quest'ultimo è anche la ragione principale di un piacere psicologico. Il piacere sociale è invece legato sia all'aspetto riflessivo del design sia a quello comportamentale in quanto costruiscono intorno all'oggetto una identità sociale. L'ultimo tipo di piacere, quello ideale, risiede nell'aspetto del design più astratto, quello riflessivo (Norman, 2004, pg. 105).

Sempre riguardo al tatto, i materiali usati per realizzare iPod ricoprono un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità del lettore. Così osservano Rutelli e Bortolanza: La materia diventa soggetto di progettazione e trasforma una semplice manipolazione in un atto capace di sollecitare nuove valenze estetiche e d'uso. La tecnologia ha ampliato notevolmente l'orizzonte sensoriale (visivo e tattile) dei materiali utilizzabili nel progetto e ne ha contemporaneamente dilatato, prodigiosamente, le prestazioni. (Rutelli, Bortolanza, 2006, pg. 62)

In generale, iPod ha mantenuto sempre, in ogni versione, l'accostamento di due materiali fondamentali: il policarbonato e metallo lucido riflettente. I colori grigio

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metallico e bianco traslucido, creano un equilibrio nella percezione complessiva anche al tatto e, contemporaneamente, la differenziazione tra fronte e retro ne determina un riconoscimento immediato al semplice tocco.

L'unica versione che si è differenziata per il materiale è stato l'iPod Mini, completamente in alluminio anodizzato. L'iPod Mini, presentato a gennaio 2004, è stato rilasciato in cinque differenti colori e si tratta del prodotto più venduto della famiglia iPod. Il successo mondiale, determinato sia da un prezzo più contenuto che dallo chassis colorato, è stato un traino per tutta la gamma e, vista la completa compatibilità con i sistemi Windows, ha fatto conoscere al grande pubblico i lettori di musica digitale. Dismesso nel settembre 2005, iPod Mini si è presentato come il prodotto per i più giovani e per le donne perché leggero, pratico e resistente ai graffi; l'offerta dei colori metallizzati consiste in argento, oro, rosa, azzurro e verde. Nonostante lo chassis del Mini sia leggermente ruvido, tutti gli angoli sono eliminati e rendono l'oggetto, nel complesso, armonico.

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Capitolo 8 – Una musica soave Parlare del ruolo emotivo della musica significa in qualche modo parlare della sfera più intima e ancestrale dell'uomo. La colonna sonora dei momenti più importanti assume un valore personale che va al di là del ritmo e delle parole; perciò, un linguaggio universale come quello delle note musicali diventa un codice. Citando Donald Norman, la musica fa appello al livello viscerale, ma non solo: Tutto il cervello ne viene coinvolto – percezione, azione, processo cognitivo ed emozione : viscerale, comportamentale e riflessivo. Alcuni aspetti della musica sono comuni per tutte le persone; altri variano notevolmente da cultura a cultura. Nonostante la neuroscienza e la psicologia della musica vengano ampiamente studiate, sono ancora poco comprese. Sappiamo però che gli stati affettivi prodotti tramite la musica sono universali, simili in tutte le culture. (Norman, 2004, pg. 114)

Quando ascoltiamo la musica, quindi, tutti i livelli di elaborazione vengono di volta involta attivati; a partire da un piacere legato al ritmo, fino allo studio di parole e armonie per concludersi con l'impegno in prima persone nella composizione e nella esecuzione del pezzo sia essa canora, musicale oppure di danza. Il ritmo e l'armonia sono quindi luogo di affezioni positive di cui sentiamo la mancanza in alcuni momenti delle nostre giornate. L'uso della musica per scopi promozionali è una realtà ormai radicata negli anni: a partire dai jingle pubblicitari, con lo scopo di fare memorizzare il brand o il prodotto, ma anche semplicemente una musica in sottofondo di film, programmi televisivi o spot. L'identificazione di una canzone con un prodotto commerciale diventa quindi una sorta di testimonial e ne ricopre lo stesso ruolo, con i vantaggi e gli svantaggi del caso. Testimonial illustri come i Beatles possono quindi essere oscurati da un programma di scarsa qualità solo per l'uso intensivo della canzone All you need is love. Oppure, la scelta di una canzone particolarmente di moda può essere scelta come testimonial di più di un prodotto e, pertanto, non ribadire una identità comune con i brand. Ma, se la scelta musicale supera queste difficoltà e viene svolta

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con altrettanta attenzione dello slogan, può essere vantaggioso. Un felice esempio riguarda lo spot del televisore ad alta definizione Sony Bravia: il successo è derivato sia dall'originalità del soggetto, 250 mila palline di gomma colorate lanciate in una via di San Francisco che rimbalzano al rallentatore, sia dall'accostamento con un brano melodico molto espressivo, Heartbeats di José Gonzàlez. Il risultato è uno spot da non dimenticare, che suscita piacevoli emozioni.

Oltre all'uso della musica negli spot, è importante sottolineare come l'attenzione non sia più solo rivolta alla bidimensionalità del rito pubblicitario, ma all'esperienza del consumatore, potenziale cliente. Per cui, i luoghi di consumo per eccellenza, i negozi e i centri commerciali, usano circuiti di radio interne appositamente calibrate sul target di riferimento. Molti studi continuano a dimostrare l'impatto che il sottofondo ha sul tempo medio di permanenza10 . Ugualmente capita anche in luoghi non propriamente di acquisto come ristoranti, uffici delle poste o ascensori; in questo modo si crea una musica d'ambiente sviluppata in modo adeguato a seconda delle necessità: predisporre all'acquisto, rilassate, divertire. Una delle società più famose in questo campo è Muzak, in grado di sviluppare un'architettura musicale che possa guidare le emozioni delle persone verso un'esperienza piacevole, anche se si parla di un breve viaggio in ascensore. Realizzare un ambiente piacevole e attento alle percezioni, risulta quindi essere una necessità non solo a scopo commerciale. 10

Chiara Santoro, Business Online, http://www.businessonline.it/6/StrategieeManagement/855/ L_importanza_della_musica_nell_esperienza_di_acquisto_e_nella_selezione_dei_prodotti.html

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Ogni giorno siamo quindi sottoposti a input musicali che, in qualche misura, ci condizionano; con iPod, però, la colonna sonora assume un ruolo molto diverso; è la persona stessa in grado di costruire le playlist da ascoltare in determinati momenti, e sono le canzoni ad adeguarsi alle emozioni dell'utente. A differenza di precedenti lettori musicali in grado da trasportare un singolo cd, album o musicassetta, iPod può contenere tutta la libreria musicale – gli ultimi modelli arrivano alla capacità di 60 gigabyte, cioè 15 mila canzoni da quattro minuti – e ascoltare qualsiasi pezzo in qualsiasi momento. Si tratta di una rivoluzione importante nella modalità di fruizione proprio come, a suo tempo, fu Walkman, Di conseguenza, anche la stessa industria musicale, nonostante sia un gigante impacciato con l'innovazione, sta rapidamente cambiando. Gli album musicali perdono infatti valore in una società basata sull'ascolto personalizzato; a partire dall'introduzione della playlist che equivale a una compilation decisa dall'utente e continuamente dinamica. Se davvero il prodotto discografico ha ragione di esistere solo nel complesso, si realizza un concept album, come nel 1975 Wish you were here, ma anche in questo caso ogni singolo pezzo ha una forza emotiva isolata. Nella maggior parte dei casi, però, il cd ha una identità frammentata che ne favorisce la fruizione di selezionate tracce audio. Il 28 aprile 2003 è stato aperto iTunes Music Store, negozio online che ha iniziato a vendere musica digitale a 99 centesimi di dollari – e di euro – a canzone. Nonostante non fosse il primo luogo di download legale, il music store di Apple è stato il primo a offrire l'acquisto a pezzo, non coperto da un abbonamento mensile. Le canzoni acquistate possono quindi essere masterizzate, riprodotte su iPod e su altri computer. In poco meno di tre anni, l'iTunes Music Store ha venduto un miliardo di canzoni in tutto il mondo. Collegato al successo di iPod e dello store, troviamo iTunes, il software di organizzazione della libreria musicale di ogni utente. La semplicità di utilizzo del programma, disponibile anche per gli altri sistemi operativi, e la completa integrazione con iPod, hanno aiutato la diffusione capillare del lettore. Inoltre è possibile creare playlist manuali e automatiche; queste ultime, definite playlist smart, raggruppano canzoni con elementi comuni, di volta in volta assegnati. È facile, così, realizzare una selezione

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delle canzoni degli anni Settanta, oppure di un certo genere, o anche incrociando più richieste.

La diffusione dell'uso della playlist come ascolto, ha determinato un maggiore peso da parte dell'utente nei confronti della propria selezione musicale; ciò che viene ascoltato non è più un elemento di un cd chiuso e non modificabile, ma una scelta oculata e volontaria della persona stessa. Questo ha fatto sì che, a seconda della playlist, si possa ricostruire il gusto musicale di una persona. Il termine playlistismo è la definizione di una sorta di discriminazione basata sui gusti musicali ed è stato coniato da uno studente americano, Stephen Aubrey, che ha evidenziato una importanza sempre crescente nei confronti delle canzoni preferite, che dicono più di molte altre cose (Kahney, 2006, pg. 130). La musica, quindi, diventa un'esperienza sempre più personale e si sostituisce al sottofondo generale dedicato a un pubblico vasto. Un interessante rito sociale è quello delle sono le discoteche itineranti; si decide un luogo e un'ora e si pubblica su internet e in quel momento chiunque può riunirsi con il proprio lettore musicale dotato di auricolari e mettersi a ballare sulle note della propria canzone preferita. Questi gruppi di persone, che per lo più non si conosce, dà vita a veri e

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propri flash mobs che attirano l'attenzione di ignari passanti; la discoteca è individuale e viene svuotata del senso tradizionale del termine. Cessa di essere un luogo chiuso con persone che ballano a un solo ritmo, per diventare una celebrazione all'aperto di danze individuali. Oltre al ruolo della musica, centrale per iPod in quanto rappresenta l'anima del lettore, il significato più intrinseco e importante che rende ogni iPod unico e insostituibile, un altro aspetto va considerato parlando dell'udito. Si tratta del semplice click che si può sentire ogni volta che si sfoglia la libreria del lettore, o semplicemente lo si controlla. Ben lontano da essere un fastidioso bip elettronico, il click è un ottimo feedback per l'utente, assolutamente necessario vista la ghiera a sfioramento. Anche questo particolare del design è stato progettato con altrettanta attenzione, in modo da riprodurre un click non invasivo, ma in grado di comunicare piacevolmente un cambiamento di stato. Lo stesso Steve Jobs ha controllato personalmente il suono che, negli auricolari, si sente quando lo spinotto delle cuffie viene inserito nella presa di iPod, fino a che non fosse perfettamente pulito e senza interferenze. Questa attenzione anche a livello uditivo è dovuta proprio alla necessità di creare un'esperienza coinvolgente per l'utente in modo da rendere la tecnologia tanto trasparente da farne dimenticare l'esistenza, lasciando spazio al rapporto alla pari di un essere vivente.

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Capitolo 9 – La comunicazione di un’identità In ultima analisi, è giusto dedicare uno sguardo anche alla comunicazione aziendale di Apple e di iPod. Abbiamo già accennato, nel precedente capitolo dedicato ad alcuni spot importanti per la società di Cupertino; a partire dallo spot 1984, che ha fa parte della storia della pubblicità, della campagna Think Different e, infine dello spot dell'iMac G4 che, al di là della vetrina, simula i comportamenti umani. Nei primi mesi del 2006, sono stati girati nuovi spot pubblicitari dedicati a tutta la linea di computer Mac e messi a disposizione sul sito ufficiale: la campagna Get a Mac punta a persuadere utenti Windows a cambiare sistema operativo. Il filo conduttore degli spot è una stanza bianca e vuota, che richiama alla necessità di spazio e al minimalismo orientale, con due personaggi a figura intera.

Il primo è un giovane attore simpatico e di bell'aspetto, mentre il secondo è un uomo di mezza età con gli occhiali, stretto in un abito grigio da impiegato. Questi due personaggi non parlano del rapporto con i Mac come nelle precedenti campagne switch – che puntano ad attirare utenti Windows – ma incarnano i due tipi di computer. Il primo, giovane e dinamico è il Mac, il secondo è il Pc. Si tratta di una antropomofizzazione esasperata che evidenzia la personalità dei computer della Mela, sempre in relazione al leader di mercato. Ogni singolo spot è costruito

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attorno a una semplice affermazione che sottolinea i vantaggi del Mac rispetto alla concorrenza, come l'invulnerabilità ai virus, la facilità d'uso, la stabilità del sistema operativo oppure la predisposizione alla vita digitale. In ogni caso si tratta, quindi dell'approccio unique selling proposition che si concentra quindi su una sola caratteristica alla volta. Questo approccio comunicativo è inoltre completato da una cornice emotiva che, non solo presenta in modo divertente due oggetti come due esseri viventi, ma ne evidenzia la scelta affettiva dal messaggio a fine spot: Why you'll love a Mac, perché vi innamorerete di un Mac. Lo scopo ultimo è quello di fare innamorare l'utente del Mac, non tanto di acquistarlo; è l'amore e il rispetto di cui si è tanto parlato nei capitoli precedenti, perché è solo questo amore che contribuisce alla crescita di Apple. È il Pc che può essere acquistato, il Mac, in quanto oggetto vivente, ha bisogno di amore. La comunicazione pubblicitaria di iPod non ha mai avuto una copertura mondiale e i pochi spot sono stati sempre diffusi massivamente nell'internet, e, con minor incisività, sulle reti televisive americane o inglesi. Quello si cui ha sempre puntato Apple è stato quindi il passaparola e l'organizzazione del punto vendita; prodotti disponibili alla prova, sempre accesi con video di dimostrazione e spot pubblicitari sui computer esposti sono alcuni degli elementi importanti. Un altro medium disponibile nei punti vendita è la cartolina informativa che rappresenta l'oggetto da un lato e le caratteristiche tecniche sul retro; per quanto riguarda iPod, l'immagine, che rappresenta a grandezza naturale il lettore, è stata realizzata in

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modo da essere facilmente separata dal resto del biglietto. In questo modo iPod di terza generazione e iPod mini potevano essere usati anche come segnalibri, ricordando in ogni momento le esatte dimensioni dei lettori. Per quanto riguarda la comunicazione di iPod, è essenziale ricordare l'uso delle silhouette; i più celebri spot di iPod rappresentano giovani dinamici di varie etnie che ballano su uno sfondo colorato con il proprio iPod bianco che si staglia sulla figura umana nera in silhouette, appunto. Disponibili anche in cartoline promozionali e in affissioni pubblicitarie nelle capitali americane ed europee, le sagome rappresentano lo spirito vivente di iPod che ispira e infonde l'emozione della musica. Questa serie di spot ha dato inizio a moltissimi prodotti e spot che hanno usato la stessa tecnica, sebbene talvolta in modo inappropriato. Un'altra pubblicità che ha avuto molto successo nell'internet è stata quella realizzata, in modo amatoriale, da George Masters nel 2004 – negli stessi anni

Apple ha avviato una campagna con un fondo di soli 45 milioni di dollari in tutto il mondo. Lo spot, in grafica vettoriale ispirata agli anni Sessanta, vede come protagonista l'iPod Mini e ne celebra l'uscita nel modo migliore che si potesse, perché filtrato con gli occhi dell'appassionato. La fortuna di Apple è soprattutto questa: potere contare su una comunità di utenti così legati al brand da diventare degli evangelisti. Le caratteristiche degli evangelisti sono quelle di diffondere la conoscenza, reclutare nuovi clienti, aiutare l'azienda a migliorare i prodotti e i servizi, difendere e supportare il brand (McConnell, Huba, 2003).

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Conclusioni – In viaggio con iPod In questo breve viaggio, sempre accompagnati dal nostro fedele lettore musicale, abbiamo affrontato alcune tematiche importanti per comprendere il fenomeno iPod a fondo. Lo sguardo, volutamente incantato e generale, ha permesso una panoramica sui cambiamenti della società generati da questa tecnologia, ma ancora di più, da questa filosofia. L’industria musicale, la cui rilevanza è stata volutamente cammuffata in superflua, si sta attualmente modificando e iPod è parte attiva di questo cambiamento. I lati oscuri della società di Cupertino esistono e ciclicamente tornano alla ribalta per ricordare, anche alla comunità più fedele, la natura umana delle cose. Anche lo smaltimento delle batterie di iPod, alquanto inquinanti, è uno dei temi più scottanti nell’attualità soprattutto in relazione alla quantità enorme di rifiuti elettronici di cui ben presto Apple dovrà rendere conto. Si è anche parlato di schiavitù nelle fabbriche cinesi di iPod, in cui un operaio non è in grado di permettersi un lettore. Ogni volta la cronaca riporta alla realtà i fedeli di questo tribalismo che talvolta si trovano a combattere contro mulini a vento. Nonostante gli aspetti più bui, Apple ha creato un legame sociale che, sotterraneo, è cresciuto fino a questi ultimi anni, in cui essere un utente Macintosh non significa essere ghettizzato. L’uscita da una condizione di segregazione, in parte autoindotta, è stata generata proprio da iPod, cavallo di Troia che porta ogni anno milioni di nuovi Mac user. Ragione di questa svolta non è stata solo la possibilità di avere migliaia di canzoni nella propria tasca, ma soprattutto sono stati i rituali che si sono diffusi tra i consumatori, che hanno dato vita a un oggetto emozionale, nato vuoto. Il guscio neutro è diventato un esercito di esseri viventi di cui prendersi cura comprando calzine per evitare i graffi e piedistalli per mostrarli nella loro bellezza; un oggetto, che sempre più spesso è presente quando ci si addormenta e al risveglio. Un oggetto che è una dichiarazione di identità e di appartenenza a un gruppo sociale, anche quando è motivo di isolamento dal resto del mondo.

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Ringraziamenti Il primo e più grande ringraziamento va a Federico, perché mi dà tutta la forza e l’Amore che esiste nel mondo. Ringrazio il Professor Fabrizio Bracco per avermi seguita nel modo migliore che potessi sperare, aiutandomi in un percorso a volte difficoltoso. Un pensiero va alla mia famiglia; pur non avendoli mai resi partecipi del mio percorso hanno saputo, a volte, lasciarmi lo spazio necessario. I ringraziamenti tecnici sono riservati a Cippi, il fedele iBook che è diventato centro della mia vita digitale a partire dal 14 novembre 2004, e a Memole, iPod Nano che continua a farmi sentire la musica più bella in ogni istante. Il resto dei ringraziamenti va a chi, prima di me, si è dedicato a tutti gli argomenti che ho soltanto sfiorato in questa Tesi, perché grazie a loro sono nate nuove passioni. L’ultimo ringraziamento lo rivolgo a me stessa per essere riuscita a trovare l’energia anche quando non credevo di averne. I fell into a burning ring of fire I went down, down, down and the flames went higher (June Carter, 1968)

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