II PARTE Era quello il Suo concetto di ‘qualche tempo’? Pochi minuti per scendere dal Paradiso all’Inferno? Non gli sfiorava la mente l’idea che anche io avessi bisogno di tempo per abituarmi a certe idee? Che so…il mio regno che chiude i battenti, una revoca della mia condanna o il Diavolo in Terra??? Beh…evidentemente non lo sfiorava quest’idea. Ebbi appena il tempo di capire cosa era successo che una voce mi giunse alle orecchie. 'Jude, rispondi al telefono!' Jude...Chi era Jude? Ero io Jude? Un momento...Jude? Come Giuda? Dovevo essere io. Alzai gli occhi al cielo, letteralmente e dissi: 'Per quanto mi rinfaccerai il fatto che abbia tentato di sovvertire il tuo potere?' Non mi aspettavo una risposta. Era un'eternità che parlavo al vento dicendo cose ben peggiori e Lui non mi aveva mai degnato neanche di un alito di vento. Quando ero ancora nelle sue grazie ripeteva 'Porgi l'altra guancia'. Dopo essere stato scaraventato al centro della Terra avevo cominciato a chiedermi quante guance avesse lui per sopportare tutti i miei epiteti. 'Papà, con chi parli?' Spostai lo sguardo di scatto, alla parola 'papà'. Non era nei patti: avevo detto 'niente bambini'. Ma davanti a me non c'era una bambina, bensì una giovane donna. Aveva i capelli biondi a caschetto e la pelle abbronzata perfetta. Ricordava vagamente un angelo, il che non mi aiutava. Quello era il Suo modo di rendermi padre di famiglia senza bambini: rendermi padre di un adolescente. Ne sapevo abbastanza della Terra da sapere che gli adolescenti potevano essere il male peggiore. Mentre ci fissavamo entrambi perplessi, il telefono continuava a squillare. Alla fine la ragazza spostò lo sguardo da me al cordless per due volte e mi fece capire che avrei fatto meglio a rispondere. Alzai la cornetta sotto il continuo sguardo divertito della figlia di Jude: 'Pronto?' 'Oh, ciao Jude!' La voce femminile, squillante e vagamente snervante all'altro capo della cornetta mi confermò che ero definitivamente io, Jude. 'Hope è in casa?' L’umanità: un’ enigma continuo. E adesso chi era Hope?? 'Uhm...sì.' risposi senza nemmeno pensare a cosa avrei detto se quella non fosse stata la risposta esatta. Sondai il mio cervello alla ricerca di un metodo efficace per scoprire se Hope c'era senza far capire alla ragazza che ancora mi fissava che io non avevo idea di chi Hope fosse, perchè apparentemente avrei dovuto saperlo. Alla fine mi venne un'idea: voltai la testa in direzione opposta rispetto alla figlia di Jude e finsi di grattarmi l'orecchio; contemporaneamente chiamai Hope a voce non troppo alta
(nel caso stessi chiamando proprio la figlia di Jude) e non troppo bassa (nel caso Hope non fosse stata nella stanza). La ragazza non rispose, quindi smisi di grattarmi l'orecchio e ripetei il nome ad alta voce. La stessa voce che mi aveva ordinato di rispondere al telefono urlò un 'Arrivo!' e dopo pochi secondi una versione adulta della ragazza che aveva finalmente smesso di fissarmi si precipitò in salotto. Prima di prendere in mano la cornetta, Hope salutò: 'Oh, ciao Kristie!' 'Ciao, mamma!' Quindi, ricapitolando: io ero Jude, la ragazza angelo era Kristie e Hope doveva essere mia moglie, perchè Jude era il padre di Kristie e Hope era la madre. E d'accordo che di quei tempi certi legami interpersonali non erano così immediati, ma Lui non avrebbe mai scelto una famiglia di scarsi valori...Io probabilmente sì, ma Lui non avrebbe mai preso una decisione con cui io sarei stato d'accordo, perchè era proprio la mia approvazione a rendere una decisione inappropriata. Kristie oltrepassò l'arco dalla quale era comparsa Hope poco prima e io approfittai del fatto che entrambe fossero impegnate per sgattaiolare via. Sapevo di non potermi nascondere per due settimane intere, ma avevo bisogno di un attimo per abituarmi all'idea di essere umano. Facendo una sintesi di quello che avevo imparato in pochi minuti realizzai una cosa: Jude, Hope e Kristie...Jude come Giuda, Hope come speranza e Kristie come Cristo. Eh certo! Vuoi vedere che non era fatto apposta?? Dovevo ammettere che il Suo ingegno era quasi senza limiti quanto il mio. La voce di Hope cominciava proprio ad affievolirsi al punto giusto, quando incrociai un ragazzino dall'aria trasandata scendere le scale di legno chiaro. Il ragazzino avevo i jeans sfrangiati corti sotto il ginocchio e una maglia della misura di un giocatore di rugby, i capelli lunghi scompigliati e una tavola da skateboard sotto il braccio. Finalmente una persona normale. Imitai un sorriso pieno di gioia (lo imitai perchè normalmente, se sorridevo, lo facevo solo per sadismo o sarcasmo) ed esclamai: 'Ciao!' Il ragazzo mi guardò piuttosto male per qualche istante, prima di infilare la porta. Io rimasi immobile ai piedi della scala, pensando a due cose: prima di tutto, il mio saluto doveva essere suonato troppo entusiasta anche per lui; secondo, avrei dovuto fermarlo invece di lasciarlo uscire? Valutando la differenza tra lui e le due donne che avevo incontrato nell'altra stanza, poteva essere sensato credere che i tre non vivessero nella stessa casa. E allora il ragazzo avrebbe potuto essere un ladro o un delinquente in qualche modo. A quanto ne sapevo, agli umani non piaceva avere delinquenti a zonzo per casa. Constatato ciò, soffocai una risata: agli umani no, ma a me che importava? Fosse stato per me avrei affisso in giardino un cartello simile a quelli dei mercatini dell'usato, invitando tutti i criminali del circondario a venire a fare festa. Imboccai la scala lasciandomi dietro i pensieri e di nuovo una voce mi fermò: 'Papà, dove vai?'
L'avevo sentita solo due volte, ma già la parola 'papà' mi faceva prudere le mani. Mi voltai mio malgrado: 'In giro...' rimasi sul vago, ma Kristie la trovò comunque una risposta insoddisfacente. 'In giro? Papà, l'ultima volta che sei andato a frugare in camera di Eddie lui ti ha beccato a svuotargli il cassetto del comodino sul pavimento. Il fatto che sia appena uscito non significa che non tornerà...anche se sarebbe forte.' Eddie? E chi era Eddie adesso? Ma immediatamente l'immagine del presunto delinquente che scendeva le scale mi saettò nella mente. Lui doveva essere Eddie, anche perchè era stato l'unico ad uscire di casa, che io sapessi. Perlomeno Eddie era un nome normale. 'Oltretutto, quel ciao enfatizzato farebbe sorgere dei sospetti a chiunque.' Presi nota di non essere mai troppo gentile con Eddie. A quanto pareva Jude non lo era mai stato. Mi tornarono in mente le parole di Kristie: perché Jude frugava nei cassetti di suo figlio? Perché doveva essere suo figlio, no? Beh…qualunque fosse il loro problema in sospeso non mi riguardava. Pensai bene di sottrarmi allo sguardo inquisitorio di Kristie e defilarmi per il salotto. Ma no! Ovviamente la ragazzina la sapeva troppo lunga. ‘E adesso dove vai?’ La guardai e tentai di mascherare la mia irritazione per tutto quell’impicciarsi con un’espressione perplessa: ‘Salotto?’ Sbuffò. Il che non mi aiutò a limitare l’irritazione. Ma non erano i padri di famiglia a comandare? Poi il suo atteggiamento divenne chiaro: ‘Ti sei già dimenticato, vero? Avevi promesso di accompagnarmi al centro commerciale.’ Promesso…Il mondo senza promesse sarebbe stato un mondo ben migliore…Io non facevo mai promesse e se le facevo non le mantenevo…E stavo alla grande! O meglio, dalle mie parti stavo alla grande. In ogni caso non avevo scelta. Non potevo farmi scoprire e per quanto non mi importasse di infrangere le regole, non volevo incorrere nella Sua ira…Era una perdita di tempo, dal momento che non avevo interesse ad apprendere la lezione che Lui voleva impartirmi con le ramanzine occasionali. ‘Ah bene…’ mi limitai a rispondere, dopodiché lei allargò un sorriso angelico e sparì lungo il corridoio. Fui colto da una bizzarra sensazione. Un sentimento benigno, inequivocabilmente non mio, eppure non del tutto estraneo. Riguardava lei, quella ragazza stupenda che trovavo tanto irritante. Aveva a che fare con la protezione e la soddisfazione. Ma non capivo proprio cosa potesse essere di preciso. Provando a ripercorrere il filo di emozioni che avevo provato da quando avevo abbandonato il salotto, la mia attenzione si soffermò su un fotogramma di quegli ultimi pochi minuti: il sorriso. Era stata la dolcezza di quel sorriso a scatenare tutto…D’un tratto tutto tornò a posto, come le tessere di un puzzle. Riuscii a dare un nome al sentimento indesiderato: orgoglio.
L’orgoglio era un modo carino per definire la testardaggine, ma allo stesso tempo era qualcosa di diverso. Era la voglia di prendersi il merito per qualcosa che si possedeva. Era la fierezza tinta di protagonismo. Ed era tipico delle figure genitoriali. Lui, il Supremo, il Creatore, il Padre Eterno era pieno di orgoglio, perciò era un sentimento che sapevo riconoscere. Chi poteva essere più protagonista di lui? Uno che si era autodefinito onnipotente e onnisciente e onnitutto? Con un sospiro di sollievo mi fu tutto più chiaro: quell’orgoglio era un sentimento di Jude. Se avevo capito bene, Kristie era la cocca di papà, perciò, dal momento che Jude, il papà, doveva essersi assopito da qualche parte dentro il corpo che possedevo, era possibile che un raggio del suo amore per sua figlia si fosse aperto un varco nella mia mente. Non ero io a provare amore per la ragazza, ma lui. Potevo accettarlo. Mi faceva venire il voltastomaco, ma potevo accettarlo. Kristie tornò un minuto dopo con la giacca e la borsa a tracolla, mi superò nell’ingresso e si infilò nella monovolume parcheggiata nel vialetto. Dal momento che nel vialetto c’erano due auto, le fui grato di non avermi costretto a chiedere con quale macchina andare. Probabilmente avrebbe fatto sorgere altri sospetti: avrei dovuto sapere qual’era la mia auto. Però non c’era che dire. Come si poteva biasimare Jude per il suo orgoglio nei confronti di sua figlia? Io continuavo a preferire il teppista di nome Eddie, ma io non ero predisposto a provare i corretti sentimenti che proverebbe un genitore. Come angelo avrei dovuto provarli, ma erano noiosi. Lassù l’orgoglio e l’amore non erano dettagli che ti distinguevano dagli altri. Passai un quarto d’ora di panico, dopo aver messo in moto la monovolume. Perché diavolo si ostinavano a comprare macchine così ingombranti se tanto poi non avevano mai tempo per andare in vacanza, questi umani? E perché le case produttrici non davano in dotazione un libretto d’istruzioni per eventuali creature maligne che potrebbero impossessarsi delle vite dei proprietari delle auto e aver bisogno di guidare? Se non mi fosse suonato blasfemo, sarebbe stato il caso di dire ‘Dio benedica il cambio automatico!’. Perlomeno era un pensiero in meno, cambiare le marce… Comunque, una volta presa la mano, sfrecciare per il centro città non era niente male. Kristie, che se ne era rimasta miracolosamente zitta per tutto il tragitto, ritenne necessario rompere il silenzio: ‘Papà, stai bene?’ Eccola che ricominciava con le domande criptiche… ‘Benissimo…non si vede?’ Andavo a 90 all’ora…e non avevo mai guidato prima… ‘Non ti sei fermato alle strisce…’ Ecco! La figlia di Jude era una perfezionista. Una che seguiva le regole. Credevo che avessero smesso di fare adolescenti del genere…
‘Beh…non lo fa nessuno, no?’ Non sembrò dover riflettere sulla risposta. ‘Tu sempre…’ ma per fortuna lasciò cadere l’argomento con una scrollata di spalle, nonostante fino a quel momento non era sembrata solita farlo. Quindi non era lei ad essere una perfezionista. O meglio, se lo era, la colpa era del padre…sia suo che di tutti gli uomini… Bleah…in che situazione mi ero cacciato: due settimane da umano senza alcun margine di peccato disponibile. Memore della miriade di errori che avevo fatto, mi decisi a tapparmi la bocca. Non che ne ricavassi qualcosa a fare il santo, ma Kristie sembrava troppo curiosa per lasciarsi sfuggire altri strafalcioni ed io, dopo soltanto venti minuti, ero già intollerante agli interrogatori. Quindi avrei fatto così: sarei stato zitto. ‘Che bei tipi!’ esclamai parcheggiando l’auto vicino ad un gruppo di ragazzini con tutta l’aria di essere stati fatti con lo stesso stampino con cui era stato fatto Eddie. ‘Certo…’ commentò Kristie con aria di sufficienza. Avevo voglia di picchiare la testa contro il volante o chiudermela nel finestrino. Dovevo stare zitto! Spegnendo l’auto notai che uno dei ragazzi era proprio Eddie. Mi tornò in mente quello che aveva detto Kristie nell’ingresso di casa: che Jude aveva frugato in camera di suo figlio. Chissà perché quel ragazzo non andava d’accordo con la sua famiglia. ‘Perché non andiamo d’accordo con Eddie?’ chiesi alla ragazza prima di rendermi conto della stupidità della domanda. Avrei dovuto saperlo, il perché. Comunque il danno era fatto…potevo solo sperare che Kristie lo scambiasse per un istante di disperazione paterna. ‘Beh, lo sai no?’ iniziò a rispondere. ‘Non racconta mai nulla, non parla, entra ed esce senza salutare, non si capisce mai se è in casa oppure no…quel genere di cose…’ ‘Beh, vi potreste anche fare gli affari vostri…’ mi scappò. Captai l’incredulità di Kristie nello spazio tra i sedili. Voltai lentamente la testa verso il lato passeggero, stiracchiai un sorriso e mi corressi: ‘Ci potremmo fare gli affari nostri…’ Lei rise: ‘Papà, tu sei l’unico a sapere sempre dov’è Eddie, perché così sai quando puoi perlustrargli la stanza senza farti beccare.’ Allora era vero che a volte la complicità aiutava. Se Jude non avesse idolatrato tanto la figlia, probabilmente ora si sarebbe accorta che io non ero suo padre. Se Jude non l’avesse idolatrata, lei non avrebbe cercato una motivazione clemente per il mio comportamento. La conversazione terminò lì, dal momento che le amiche di Kristie vennero a bussare al finestrino.
Feci un cenno con la mano immaginando che Jude idolatrasse pure loro e appena la ragazza fu scesa, misi in moto. Prima di mettere la retro cercai nuovamente Eddie tra il gruppo di teppisti nel parcheggio…per scoprire che se l’era filata mentre io ero distratto. Oh beh…l’avrei fatto anche io…Probabilmente doveva aver pensato che lo stavo pedinando. Uscii dal parcheggio e sfrecciai verso casa. Finalmente l’anima di Jude e la mia mente demoniaca trovavano un punto d’incontro. Volevo capire chi era quel ragazzino che sembrava essere l’unico normale in quella gabbia di matti..ma siccome avevo il presentimento che non si sarebbe seduto sul divano a raccontarmi com’era andata la giornata, mi rimaneva un’unica soluzione: frugare nei suoi cassetti.