Il Rosso e il Nero Settimanale di Strategia
NON DI SOLO PANE
21 maggio 2009
C’è altro oltre ai dati macro
Non di solo pane vive l’uomo, non di soli dati macro vivono i mercati in questa fase. Il riduzionismo, quell’atteggiamento per cui oggetti, proprietà ed eventi (dalla Gioconda all’amore alla Rivoluzione Francese) vengono ridotti a particelle elementari e scariche elettriche, qualche volta è d’aiuto ma in altre circostanze è d’ostacolo alla comprensione dei fenomeni. Le persone che amiamo (ma anche quelle che odiamo o che ci sono indifferenti) non sono solo machinae o automata o res extensa, la realtà che interessa ai mercati non è solo economica e la realtà economica, a sua volta, non è fatta solo di dati macro. Meno male che è così perché di dati Automaton francese del XVIII secolo. macro con il segno positivo, con le pochissime eccezioni asiatiche che vedremo, non ce n’è in giro neanche uno. Questo significa che siamo ancora ben lontani dallo zero e che stiamo ancora scendendo. Quando ci si avvicina a zero, infatti, e non importa che sia da sotto come adesso oppure da sopra, i dati macro sono un misto di positivo e di negativo. Adesso invece, si diceva, è negativo ancora tutto. Scendono i prezzi delle case, salgono ogni mese i disoccupati a un ritmo triplo rispetto alla recessione del 2001, scendono in caduta libera gli investimenti da parte delle imprese, scendono i consumi e scende probabilmente ancora la produzione.
Sulla base di queste considerazioni alcuni gestori particolarmente smart (da Pimco a Einhorn a Atlas, secondo quanto riportato da Bloomberg) sono in questo momento sottopesati di azioni, in particolare di banche. Molti altri altrettanto smart sono peraltro ancora sovrappesati e non hanno intenzione di cambiare allocazione nel breve. La scelta di stare abbastanza pesati di rischio ci pare convincente per una serie di moitivi. Il primo è che fra non molto comincerà ad arrivare qualche dato macro con segno positivo. Non sarà sui consumi e non sarà su investimenti e occupazione. Sarà invece sulla produzione. A fare i cinici si potrebbe dire che si tratterà di un recupero più tecnico che sostanziale. Immaginate di avere un’azienda che produce e vende 10 canne da pesca al mese e ne tiene sempre 5 di scorta nel caso eccezionalmente la domanda si impenni. All’improvviso, mettiamo nell’ottobre scorso, la domanda passa da 10 a 5. Voi, che avete i riflessi pronti, riducete immediatamente la produzione da 10 a 4 e la quinta canna la prendete dal magazzino. Al quinto mese, mettiamo in aprile, non avete più canne in magazzino. Al sesto mese, mettiamo in maggio, anche se il mercato continua a chiedere solo 5 canne voi ne dovete produrre 5, non 4. E’ un bell’aumento del 20 per cento e ai mercati azionari suona come una conferma definitiva che la crisi è davvero già finita, altro che aspettare il terzo trimestre come dice Goldman Sachs o il quarto come dice Roubini. Il problema è che se la domanda di canne rimane fissa a 5, da giugno in avanti il dato mese su mese della produzione e tutta la serie infinita di survey regionali, di diffusion index tipo ISM eccetera tornano in posizione di riposo, cioè a zero. Le cose saranno naturalmente più complicate e distribuite su un arco di tempo più lungo. I produttori asiatici di semiconduttori, per fare un esempio, hanno già dovuto aumentare la produzione per ricostituire le scorte, ma la domanda finale di computer non si è Henri Maillardet. Automaton. Fine XVIII mossa di un millimetro. A rotazione secolo. Franklin Institute molti altri settori produttivi seguiranno lo stesso percorso. Ai mercati, comunque, questo basterà, almeno per qualche tempo. Il secondo motivo per non essere troppo prudenti è che comunque l’economia globale ripartirà. Che sia fra due mesi, tra sei o tra nove (nessuno, che si sappia, va più in là nel prevedere il momento della svolta, nemmeno i pessimisti più arrabbiati con il mondo) non cambia moltissimo. Certo, se sarà fra nove mesi si farà in tempo a vedere un’ultima puntata verso il basso, ma chi non usa una leva scriteriata dovrà semplicemente portare un po’ di pazienza e pensare ad altro per qualche settimana.
Quanto alla dimensione modesta o brillante della ripresa, a questi livelli di valutazione poco importa. Se fossimo del 10-20 per cento più in alto ci sarebbe da cominciare a distinguere, ma per ora anche l’ipotesi di una ripresa lenta e debole giustifica una tenuta dei corsi e un altro pezzo di strada. Il terzo motivo per non vendere e comprare invece su debolezza è dovuto al fatto che, fuori dalla porta, c’è una lunga coda (per adesso composta) di gente che vuole entrare sui mercati. Lo si vede nel modo più chiaro nei giorni di dati macro negativi allorché il mercato flette per mezz’ora e poi torna a salire. Un dato vale per tutti. Per la prima volta da un tempo immemorabile i fondi monetari americani hanno più masse di quelli azionari. Ora i fondi monetari o sono investiti in Bielorussia o Zimbabwe alla ricerca di emozioni e di alti rendimenti oppure si ripagano a fatica le spese. Alla fine anche chi ha fatto voto solenne di non comprare mai più un titolo azionario andrà a cercarsi un padre Cristoforo che lo sciolga dal voto. Il quarto motivo è che mentre fino a qualche tempo fa il mercato aveva contemporaneamente paura di una drammatica deflazione e di una devastante inflazione, oggi questo timore bifronte e autocontraddittorio è in fase di rientro su entrambi i lati. Sulla deflazione, in effetti, si può essere certi che le banche centrali la combatteranno con le unghie e coi denti (e con il sacro fuoco intellettuale del dovere assoluto). Quanto all’inflazione si vedrà, ma il mercato, nel frattempo, si è calmato. Il motivo di questa fase di calma può essere il fatto che la Fed, da inizio anno, non solo non ha allargato la base monetaria, ma fa addirittura fatica a tenerla vicina ai 2 trilioni. La ragione è che la carta commerciale sta ormai perfettamente in piedi da sola (la Fed ha venduto quasi tutte le sue posizioni), mentre Talf e Ppip fanno molta fatica a partire. Alla fine di quest’anno, quindi, gli asset della Fed saranno di qualità più scadente, ma l’ammontare complessivo, nonostante il possibile incremento di acquisti di titoli del Tesoro, non si sarà gonfiato come si poteva pensare.
Automaton. Centre International de la Mécanique d’Art
Che certe idee sull’inflazione siano (per il momento) rientrate lo testimonia l’evoluzione della posizione di Rogoff. Due mesi fa diceva corrosivo che avremmo visto un 8-10 per cento per almeno un paio d’anni e oggi auspica sommessamente che si arrivi almeno al
6. Il quinto motivo per tenersi le azioni è la debolezza del dollaro. Sul piano strettamente fondamentale il dollaro ha molti meno motivi di essere debole rispetto a due anni fa. Il disavanzo corrente degli Stati Uniti si è dimezzato ed è oggi accettabile. Quanto all’aumento del debito pubblico americano, non è che
in Europa non si stia facendo la stessa cosa. Il dollaro debole, in ogni caso, ha un chiaro effetto espansivo globale. L’Europa, ad esempio, avrà certo più stimoli ad adottare il quantitative easing (ben al di là dell’assaggio di 60 miliardi strappato finora a fatica ai tedeschi) a 1.40 che a 1.25. Il sesto motivo, e ci fermiamo qui, è che continuano a migliorare le condizioni complessive dei mercati finanziari e che continuano, soprattutto in America, gli aumenti di capitale delle banche. Sappiamo bene che 10 miliardi di ricapitalizzazione in questa banca o 15 in quella sono una goccia nel mare del trilione necessario, ma a 50 al mese, tanto per fare una cifra, gradualmente si riemerge dagli abissi.
Alessandro Fugnoli ++39 02 77426.1
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