Giuseppe De Matteis
Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario di Giuseppe De Matteis
Il XIX secolo è considerato uno dei più ricchi e travagliati della storia europea: vide fiorire il Romanticismo, con tutte le sue diverse connotazioni, strettamente legate alle situazioni storico – politiche e sociali dei vari Paesi europei. In Italia il Romanticismo assunse una veste diversa e coincise con il Risorgimento, contribuendo con e per esso alla creazione di un Regno Italiano Unito. Questo secolo segnò, infatti, in Italia l’atto di nascita della Nazione ad opera di illustri “padri fondatori” quali Cavour, diplomatico e statista, Garibaldi, il protagonista dell’azione; ma il vero ideologo del movimento patriottico fu Giuseppe Mazzini, a cui la storia non ha reso giustizia, perché, costretto all’esilio per lungo tempo, è stato, suo malgrado, un protagonista nascosto. Pochi altri italiani sono stati considerati come Mazzini, la personificazione cioè di virtù tipicamente italiane: la generosità, l’eroismo, l’onestà. Mazzini è stato il personaggio storico italiano più ammirato in Inghilterra, tanto è vero che le migliori biografie dedicate a lui sono state proprio quelle scritte da alcuni noti studiosi britannici: dalle prime, opere di due donne che in vita gli erano state legatissime, Emily Ashurst Venturi e Jessie White Mario; a quelle di Balton King e di Gwillim O. Griffith. In Italia per vari decenni ha dominato, ai danni del Mazzini, un grave pregiudizio ideologico: poco amato dagli storici di area liberal – moderata, dopo la seconda guerra mondiale, Mazzini non ha riscosso molta simpatia, neppure tra gli studiosi di formazione marxista, che hanno spesso posto in scarsissimo rilievo il contenuto spiritualistico del credo mazziniano e la sua avversione per il socialismo scientifico. In molti si sono chiesti e si chiedono ancora, specie in occasione di questo secondo centenario della nascita, se gli italiani amano veramente Mazzini. Giuseppe Galasso, ad esempio, in un articolo apparso il 27 febbraio del 2005, Mazzini, chi è costui, sul «Corriere della Sera», ha affermato che “l’Italia ingrata si dimentica del Mazzini: anche questo bicentenario della nascita appare sottotono”; e, sempre l’autorevole storico partenopeo, aggiunge, in un altro articolo apparso sul «Corriere della Sera» (19 ottobre 2005) che in Mazzini si è sempre visto (al contrario del popolarissimo Garibaldi, l’uomo d’azione, e del Cavour, il “grande tessitore” della politica italiana, cioè del117
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l’unità e del regime di libertà in Italia) qualcosa di severo e di triste; sempre i doveri prima e sopra i diritti, coerenza ed unità di pensiero e di azione, spirito di sacrifico, la vita come impegno morale totale, la solidarietà sociale come valore fondante […]. Figurarsi se, col discredito dell’idea nazionale dopo il fascismo e, ancora più negli ultimi decenni, si poteva avere un Mazzini più popolare e più amato di prima. Eppure il mazzinianesimo non è mai sparito dalla scena storica. Ha alimentato, dopo la grande spinta al Risorgimento, un movimento riformatore molte volte distintosi per la sua qualità nell’Italia Unita. Ha mantenuto viva la fiaccola dell’idea della Repubblica, anche quando la vittoria della monarchia fu definitiva e irreversibile. Egli è stato all’origine della prima grande stagione italiana del movimento operaio e sindacale, dell’associazionismo cooperativo e mutualistico, delle leghe artigiane. Né solo in Italia, perché nel sorgere della Prima Internazionale socialista, nel 1864, fu considerato l’antagonista di Marx. Lasciò un nome di apostolo dell’indipendenza e della libertà di tutti i popoli […] fino all’India e all’Indonesia. E lo stesso nome ha lasciato negli annali dell’idea della democrazia, impostando, tra l’altro, il problema arduo ma decisivo dell’etica e della solidarietà sociale. Nonostante ciò, è come se gli studiosi fossero andati in senso inverso a quello della fama del personaggio, cioè nell’opinione e nella cultura corrente l’icona mazziniana perdeva sempre più colore e nettezza […]. In tempi, come i nostri, almeno uno dei punti di fondo delle idee mazziniane, cioè l’etica della solidarietà sociale, pare – conclude il Galasso nell’articolo sopra citato – si stia avviando a diventare sempre più un caposaldo della discussione e della vita politica e civile; e ciò fa pensare che il nome di Mazzini ha probabilmente più frecce al suo arco di quanto si potrebbe credere”; certo è che quest’uomo in Italia è risultato sempre più scomodo; ebbe rilievo piuttosto fuori dal nostro Paese, perché egli comprese bene “il valore etico e politico della nazionalità, credette alla fratellanza dei popoli ed auspicò per primo l’unione dell’Europa.
In tutto il programma politico mazziniano è evidente l’approccio pedagogico alla questione nazionale: egli fu un grande educatore del popolo, e l’educazione resta sempre un elemento indispensabile per dare vita ad una vera nazione. Mazzini fu, insomma, il teorico che diede corso e vigore ad un autentico sentimento patriottico italiano. Fin da giovane scrisse e lesse moltissimo, soprattutto autori francesi, attribuendo alla letteratura la capacità di oltrepassare le frontiere politiche e costruire così una comune coscienza europea. Fu grande lettore ed estimatore di autori come Dante, Foscolo, Byron, nei quali scorse i profeti di un’Italia unita e repubblicana, e dunque dimostrò di prediligere scrittori impegnati a portare avanti un messaggio sociale e politico. Di Dante in una lettera Mazzini scrisse: “Imprime se stesso, le sue tendenze, le sue aspirazioni nell’universo che percorre”; e, sempre a proposito dell’Alighieri, aggiunse: “Dante spinge alla missione, al dovere dell’azione, alla sofferenza, al martirio”.1
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Giovanna ZAVATTI, Perché e nonostante, Milano, Edizioni Aries, 2000, p. 109.
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Fin da giovane si adoperò ad inseguire i suoi nobili ideali: la libertà individuale, l’indipendenza dal dominio straniero, il sentimento patriottico. Costretto a trascorrere buona parte della sua vita all’estero necessariamente i suoi contatti con l’Italia furono prevalentemente di natura epistolare; “è, anzi, fu proprio l’epistolario mazziniano a costruire la spina dorsale di tutti gli studi più importanti intorno a questo grande uomo”.2 Tutto ciò che Mazzini fece nel corso della sua vita non lo fece né a scopo di lucro, né per cercare ed ottenere il plauso del prossimo o il consenso immediato: egli agì sempre e senza mai stancarsi, spinto solo dal desiderio di far progredire l’Umanità. Non si stancò mai di incitare, stimolare chi lo ascoltava, ma cercò anche di rincuorarlo e rassicurarlo. Ciò che più gli importava era agire sulle coscienze e sul pensiero. Solo dopo molti anni (circa trenta) di lotte, di sogni, di speranza lo scopo della sua vita poté realizzarsi, ma egli non mutò e continuò a vivere in povertà. Hamilton King, in proposito, traccia un ritratto dell’esule Mazzini molto esauriente, sottolineandone, oltre le qualità fisiche, anche quelle peculiari del suo carattere. La donna descrive Mazzini, incontrato per la prima volta nel 1864, come un uomo di mezza età che sembrava più alto di quanto in realtà non fosse a causa della sua magrezza ed eleganza: i capelli brizzolati e folti, nonostante avesse la fronte alta. Per quanto attiene alle qualità morali, la King giudicava Mazzini un uomo di straordinaria purezza, nel senso di scorgere in lui qualcosa di trascendente. Prima di parlare del soggiorno mazziniano in Inghilterra come esule, credo sia opportuno accennare al pensiero politico e religioso del Mazzini. È risaputo ormai che, alla base del suo pensiero politico, Mazzini pone la religione, una religione tutta sua, che è sentimento morale, forza eterna della politica. La concezione democratica del Mazzini non concepisce le classi, ma il Popolo, categoria molto ampia, che può essere politica, sociale, economica e che deve tendere al miglioramento delle condizioni umane e morali della società. Da qui l’attenzione particolare e di grande rilevanza data dal Mazzini all’educazione. Egli sostiene che è necessario il ricorso alla rivolta armata, qualora il governo risulti dispotico ed assolutista e respinge la crudeltà punitiva, la pena di morte e il duello: l’assassinio è considerato da lui una vera assurdità. Pur accogliendo le istanze di giustizia sociale, che sono alla base del socialismo marxiano, Mazzini rifiuta la lotta di classe e la violenza come mezzo di lotta politica. La nazionalità mazziniana va intesa come nazionalità dei popoli, affratellati da un intento comune. Mazzini non è un nazionalista, ma un patriota, perché il suo patriottismo sottintende il rispetto dei diritti dell’umanità. Egli parla e difende l’identità nazionale, che prescinde dalla biologia e dalla razza delle popolazioni. Gli elementi costitutivi dell’Italia, sempre secondo il suo pensiero, sono la lingua e soprattutto le tradizioni storiche, con un forte senso della comunità; non è concepibile per Mazzini la frantumazione dell’Italia in tanti “staterelli” o aree regionali e provinciali.
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Michele FINELLI, Il prezioso elemento, Verrocchio, Pazzini, 1999, p. 16.
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Va anche osservato che il Mazzini, al primato della Francia in Europa, oppone sempre l’iniziativa italiana. Importante è in lui il concetto di libertà, che non è un fatto materiale ma è un sentimento, una conquista morale, rappresenta cioè il senso della propria dignità e dei propri diritti. Ogni individuo, infatti, ha diritto alla propria libertà, la quale si conquista con la consapevolezza di assolvere ai problemi sociali: diritti e doveri devono convivere e solo in questo senso si contengono gli individualismi egoistici. La vita per Mazzini è una missione e come tale deve essere guidata dalla legge del dovere, cosicché anche l’Unità d’Italia diventa per lui un vero e proprio dovere religioso. Per quanto concerne l’istruzione, essa deve essere obbligatoria e gratuita per tutti. Della religione cristiana il Mazzini apprezza l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio; deplora il clero, perché si è allontanato spesso dallo spirito evangelico, simpatizzando per forme deteriori di “modernità” e perché è allineato con il dispotismo del papato (non a caso egli dimostra grande simpatia per il trattato politico dantesco De Monarchia). Mazzini rispetta, però, le altre fedi religiose: egli è un panteista che vede Dio in ogni cosa; non è né cattolico, né cristiano e persegue solo un obiettivo da raggiungere: il progresso morale dell’uomo e dell’umanità, auspicando una rivoluzione sociale e politica che vada di pari passo con una rivoluzione religiosa e morale.3 Va, infine, osservato che il Mazzini, pur di raggiungere il suo obiettivo, cioè l’unificazione dell’Italia, continuava a propendere per la Repubblica e non guardava con simpatia né alla Monarchia, né al Socialismo, né al Comunismo. La triste esperienza dell’esilio mazziniano comincia nel 1831, con la condanna a morte in contumacia, a Marsiglia, dove egli dà vita alla “Giovine Italia”: legge molti scritti politici contemporanei, soprattutto in lingua francese, e scrive moltissime lettere. Conosce ed ama Giuditta Sidoli, dalla quale relazione si dice fosse nato un figlio, morto ancora bambino.4 La sua espulsione dalla Francia avverrà nel 1833; si rifugia a Ginevra, dove organizzerà varie spedizioni militari. Nel 1834 lo troviamo a Berna e qui creerà l’associazione “Giovine Europa”, con la quale si auspicava che in futuro le libere nazioni si sarebbero unite per creare una Repubblica Federale Europea. La “Giovine Europa” non perseguiva un intento pratico, ma morale. Mazzini maturerà bene in Svizzera il suo pensiero e il suo programma politico: a Berna, pur essendo attanagliato da forte malinconia e depressione, si rende conto di aver conquistato una profonda fede religiosa e un senso del proprio dovere e della propria missione; contemporaneamente matureranno nel suo pensiero e si concretizzeranno sia la sua profonda fede religiosa che le sue convinzioni politiche. La Svizzera accoglierà l’esule Mazzini dopo il suo lungo soggiorno in Inghilterra, un po’ prima cioè della morte; in Svizzera, anzi, egli conobbe la grande amica Sara Nadham, un’italiana di Livorno che il Mazzini aveva già avuto occasione di conoscere a Londra. 3 4
G. ZAVATTI, Perché e nonostante..., cit., p. 100. Cfr. Salvo MASTELLONE, Mazzini e la “Giovine Italia” (1931-1934), Pisa, Nistri-Lischi, 1960, vol. II.
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Nel 1836, all’età di 31 anni, Mazzini fu espulso dalle autorità federali della Svizzera e raggiunse, dopo circa sei mesi di fughe e nascondimenti, l’Inghilterra, dove riuscì finalmente a respirare un’aria di libertà e serenità. Al primo impatto con la capitale inglese, Mazzini non ebbe buona impressione della città, perché la trovò sporca, umida e appiccicosa; gli inglesi bevevano molto gin, dimostrando d’essere schiavi dell’alcool. Unico aspetto affascinante della capitale londinese era, agli occhi di Mazzini, la nebbia che gli ricordava i Canti di Ossian. In Inghilterra la vita era più cara delle altre città europee: “i sigari, ad esempio, costavano almeno tre volte di più della Svizzera e costosissimi erano anche gli affitti delle case”.5 Mazzini, comunque, sbarcò bene il lunario a Londra, scrivendo articoli (15 circa) sulla società e sulla politica inglese, apparsi su «Le Monde», di Parigi, guadagnando discretamente; continuò, intanto, a lamentarsi delle abitudini inglesi: troppo pratici, dominati dalla filosofia utilitaristica, trascurano i sani principi morali, i doveri, la religione e la morale. Mazzini pose molte attenzioni alla politica estera inglese e criticò l’imperialismo inglese in Cina, con la pena di morte; notò con disappunto il grande divario tra ricchi e poveri, ammirando invece la partecipazione popolare alle manifestazioni pubbliche (i comizi, le petizioni, la tolleranza); ma Mazzini apprezzò soprattutto la preparazione politica degli inglesi e la loro pazienza sconfinata, anche se non poche riserve dimostrò di avere per l’isolazionismo inglese e per lo scarso interesse degli stessi verso i popoli stranieri. Mazzini ammirava però degli inglesi la libertà di stampa, le loro idee repubblicane e il loro dissenso religioso. Censurava, inoltre, i politici inglesi che si sentivano padroni, mentre era più giusto che si sentissero “servitori del popolo”, considerando le tristi condizioni di vita dei bassifondi londinesi specie di molti emigrati italiani. Per questo fenomeno di indigenza di grandi masse di persone, Mazzini pensò ad una scuola per emigrati italiani e, come rovescio di medaglia, evidenziò varie altre pecche della vita londinese d’allora: le grandi distanze da percorrere da un capo all’altro delle città; il clima pessimo e il caos insopportabile che costringevano spesso il Mazzini a restare tappato in casa e a desiderare solo di far ritorno in Svizzera. Tuttavia a Londra il Mazzini ebbe modo di apprezzare alcuni aspetti della città e degli inglesi. Da qui egli ebbe modo di incrementare vari contatti culturali con poeti e scrittori allora famosi non solo in Inghilterra, ma in tutto il mondo: Elisa Fletcher, ad esempio, che presentò il Mazzini al poeta Thomas Campbell, per distoglierlo dal suo isolamento; a questo scopo Campbell procurò al Mazzini uno speciale permesso per studiare nella biblioteca del British Museum, dove Mazzini conobbe l’esule Antonio Panizzi, carbonaro, condannato anche lui a morte. Mazzini fu costretto, come si è già osservato, a industriarsi nel modo migliore a Londra, per poter sopravvivere: scriveva articoli e traduzioni. Stuart Mill lo invitò a scrivere qualcosa sulla letteratura italiana contemporanea e Victor Ugo gli chiese un saggio su John Kemble da pubblicare
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Giuseppe MAZZINI, Epistolario (lettera alla madre del 13/01/1857).
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su «Monthly Cronicle». Nel 1851 Mazzini rientrò in Italia, dopo diciassette anni di assenza. Andò successivamente in Svizzera e da qui a Londra nel 1851, dove restò parecchi anni, comprendendo che solo lì poteva trovare un po’ di pace, tranquillità e sincerità di rapporti con persone ed intellettuali che lo apprezzavano molto; qui non smise mai di occuparsi delle vicende politiche dell’Italia: riorganizzò la rete cospirativa della “Giovine Italia” e della “Giovine Europa”, alimentando senza tregua il suo progetto repubblicano. D’ora in poi considererà Londra e l’Inghilterra tutta la sua seconda patria, perché si sentiva più compreso e al sicuro. Solo nel 1857 egli raggiunse segretamente e per poco tempo l’Italia, per poi ritornare a Londra, dove restò fino al 1871, allorché lasciò definitivamente l’Inghilterra per l’Italia, prima a Genova, poi a Pisa, dove morì nel 1872. Bello il ritratto che traccia di lui e della sua casa a Londra, piena di libri e canarini, King Hamilton: egli era confidenzialmente chiamato da lei e da altri amici il Signor Ernest e le sue missive erano così indirizzate, anche se la Polizia sapeva benissimo che si trattava del famoso esule italiano. Fu la frequentazione che egli ebbe, a cominciare dal 1838, con Thomas Carlyle, che spinse il Mazzini, col tempo, a innamorarsi di Londra e a ritrovare il suo buonumore. Mazzini, sollecitato da Carlyle, si trasferì a Chelsea, vicinissimo all’amico; pur essendo su posizioni diverse, i due diventarono grandi amici e condivisero insieme la condanna contro l’utilitarismo e la dilagante ricerca della felicità individuale. Ogni settimana, il venerdì per la precisione, Mazzini si recava a casa di Carlyle e qui ebbe modo di stringere amicizia anche con la moglie di Thomas, Jane Welsh Carlyle. “Io non l’amo, mamma – confessava Mazzini a sua madre – se non come sorella. È, comunque, una donna eccezionale”. E, fu proprio grazie a Carlyle che Mazzini riuscì ad allargare i contatti con la società bene di Londra, conoscendo molti scrittori, poeti, e a superare la noia e la malinconia. Conobbe Lady Byron, Dickens e i coniugi Taylor, ricco industriale quest’ultimo, radicale e rappresentante della scuola liberale di Manchester. Ma a Londra Mazzini ebbe anche nemici e dovè a Taylor se, spesso, su «Morning Chronicle» fu difeso. Conobbe anche la scrittrice inglese Emily Ashurst, la quale, con un cospicuo gruppo di amici, appoggiò l’azione politica del Mazzini sia in Italia che in Inghilterra. In casa Ashurst Mazzini trovò pace, accoglienza ed amicizia sincere e venne definito da essi un “angelo”. Anche la famiglia Natham soccorse Mazzini in quest’ultimo periodo di vita, sia economicamente che moralmente: egli conobbe ancora Harriet Hamilton King, nota poetessa che fece di lui un idolo come poeta, mistico sognatore, profeta, maestro religioso, santo, insomma, un misto di ascetismo, di dolcezza e di forza. Molti furono anche gli scrittori inglesi che si ispirarono al Mazzini: Charles Swinburne, Tennyson e Wordsworth. Mazzini fu molto corteggiato ed amato dalle donne: ebbe grande ammirazione per George Sand, con la quale ebbe una lunga corrispondenza epistolare. Di grande interesse sono anche i rapporti tra Mazzini e la realtà politica inglese del tempo, perché egli esercitò una grossa spinta, col suo credo politico, all’evoluzione del liberalismo inglese e al processo di formazione dei leaders radicali e del movimento operaio; Maddison, infatti, leader del “New Unionism” (anni ‘80), affermava: 122
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Se dovessi menzionare l’autore che […] mi ha più influenzato, questi dovrebbe essere Mazzini, specie col suo saggio sui Doveri dell’uomo. Egli ha plasmato il mio pensiero politico, economico, religioso, ottenendo la mia più piena approvazione”. E, dal dibattito aperto alla Camera dei Comuni, venne fuori una nobile immagine dell’esule piemontese: “Il Signor Mazzini, tenuto in grande considerazione nel suo paese, è un valente scrittore di idee liberali e un entusiasta della causa della libertà. Da sette anni vive in Inghilterra […]. Egli è un uomo di lettere ed il suo intento è quello di diffondere la cultura”.6 E, ancora, il deputato Bowling osservava: “Il Signor Mazzini non ha avvicinato nessuna persona [in Inghilterra] senza lasciare la più favorevole impressione della sua intelligenza e della sua insospettata moralità.7
Nel 1851 giunsero dall’Italia al Governo britannico proteste per la permanenza a Londra di Mazzini, elevate dal Papa, dall’Austria, dalla Prussia e dalla Russia. Anche Napoleone ne chiese l’espulsione, ma intanto sui giornali inglesi continuavano i consensi e gli elogi per Mazzini, considerato da tutti un “ospite di riguardo”, un rappresentante eletto della popolazione di Roma, uno che prendeva veramente a cuore la causa dell’Italia. Tutti, anche chi dissentiva da lui, ne ammirava l’integrità, la schiettezza e la perseveranza, anche se la Regina Vittoria e il cardinale Wiseman lo definirono “spietato apostolo dell’assassinio”. Mazzini trovò, comunque, molti appoggi ed aiuti in denaro proprio tra numerosi amici inglesi, che lo ritenevano leale, di forte personalità, cordiale, amabile, affettuoso, gentile, allegro, di buon umore, saggio e di acuta intelligenza. Mazzini sentì la connessione tra etica artistica ed etica sociale, esattamente come i romantici inglesi della prima generazione (1790 - 1830). Nel Romanticismo inglese, è bene ricordarlo, si fa strada la concezione secondo cui i grandi uomini, i cosiddetti geni, rappresentano una incarnazione del soprannaturale, giungendo ad identificare il tipo più alto di individuo con Colui che aveva un destino, una missione da compiere. A questo proposito Wordsworth, il noto autore di Lirical Ballads, afferma che le sue poesie dovevano essere giudicate sui generis rispetto all’intera altra produzione poetica britannica, perché ognuna ha uno scopo degno, in sostanza il didatticismo come missione del poeta. Wordsworth, teorico della pedagogia poetica romantica, si avvicina molto al nostro Mazzini “educatore”: entrambi si dedicarono ad aiutare il prossimo; ed entrambi, sul piano politico, dichiararono il loro anticlericalismo, il loro ateismo, con frequenti incursioni teiste e panteistiche. Nella seconda metà dell’Ottocento, insomma, l’Italomania in Inghilterra era giunta al culmine. Byron, ad esempio, dichiarerà, che dell’Inghilterra egli ama “la penna e la libertà di usarla”, ciò che anche Mazzini amava di quell’isola; non a caso, infatti, egli celebrò tanto il valore politico della poesia che il valore poetico dell’azione; non, dunque, arte per arte, in Mazzini, ma arte per la vita. Da qui scaturisce la vicinanza così naturale del Mazzini con le figure poetiche di Goethe, di Byron, di Dante e di Foscolo. 6 7
Giuseppe MAZZINI, Scritti, Edizione Nazionale, Imola, Galeati, 1906-1943, vol. XXVI. Andreina BIONDI, Mazzini uomo, Bresso (Mi), Edizioni Tramontana, 1969, p. 196.
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In comune con Byron, ad esempio, Mazzini ha anche la convinzione dell’importanza di non aver vissuto invano, vicinissima al concetto oraziano del non omnis moriar. E proprio su Byron e Goethe il Mazzini scrisse un saggio, pubblicato nel 1847 nel noto suo libro Scritti letterari di un italiano vivente. Mazzini è assai grato ai due poeti per avere aiutato la causa della emancipazione intellettuale e per aver risvegliato il sentimento di libertà nella mente degli uomini, combattendo i giudizi aristocratici ed incrementando il sentimento di uguaglianza. E ancora, Mazzini evidenzia quanto sia stretto il rapporto tra il pubblico, il poeta e l’importanza del “genio”, capace di interpretare le aspirazioni dell’umanità. C’è, dunque, affinità tra Byron e Mazzini: stessa vita grama, stesse tribolazioni e ambasce, s tessa concezione di vita e stessi ideali da perseguire e realizzare; Mazzini, anzi, alla fine del suo saggio citato pocanzi, sente il dovere di esprimere a Goethe la sua profonda stima e gratitudine per aver recepito tanti buoni messaggi dal suo insegnamento e dal suo splendido esempio di vita, anzi di eroicità di vita: egli, genio ed eroe, spentosi per la causa dell’indipendenza greca proprio in quel paese. Va anche ricordato che Mazzini, approdato in Inghilterra nel 1837, fu colpito dalle molte pubblicazioni a carattere popolare allora esistenti, dalle biblioteche circolanti (si pubblicavano allora i romanzi a puntate e Dickens raggiungeva la sua piena affermazione come scrittore con il romanzo Oliver Twist). La “Scuola di Londra”, inaugurata nel 1841, rappresenterà un esempio luminoso dell’impegno profuso dal Mazzini nel diffondere la cultura, ma anche la sua ferma convinzione della funzione comunicativa assegnata alla democrazia, un’idea felicissima da cui scaturiranno poi le istanze pedagogiche e civili comprese nel noto libro mazziniano dei Doveri dell’uomo, del 1860. E, a chiusura di questo nostro discorso, non possiamo non ricordare l’indefessa attività degli ultimi anni di vita del Mazzini: l’ “Unione degli operai italiani”, ad esempio, del 1840, una fondazione ideata con l’intento di promuovere la stampa di un giornale e di una scuola per adulti; il primo numero di questo periodico, che uscì nel mese di novembre 1840, era intitolato «L’Apostolato popolare» e denunciava all’opinione pubblica la condizione di povertà e di disagio della classe operaia del momento; nel secondo numero dello stesso giornale, Mazzini ritornava su questo argomento che gli stava a cuore, affermando che solo “il progresso e la democrazia possono permettere l’innalzamento del popolo”; nel numero terzo dello stesso giornale, apparso nel novembre 1841, Mazzini annunciava con gioia l’apertura della “Scuola di Londra”. Successivamente nacquero altri due periodici scolastici, «Il Pellegrino» e «L’educazione», sempre per iniziativa del Mazzini; e, di lì a poco, a Londra, nel 1847, comparve la “Lega Internazionale dei Popoli”, un’associazione che aveva lo scopo di fornire un’esatta rendicontazione, diffondendone i contenuti, delle reali condizioni politiche ed economiche degli altri paesi europei in quel periodo. La lega nacque, dunque, per scopi umanitari, rivolti alla crescita della popolazione: fu fondata per fini di pace, basati sul diritto e garantita dalla giustizia. Mazzini auspicava addirittura, con lungimiranza, la realizzazione di un mercato comune europeo. Nel 1847 Mazzini fondò ancora un’ “Associazione Nazionale” e “Un fondo Nazionale”; nel 1851, infine, fu ideata e creata sempre da lui l’Associazione “Amici 124
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dell’Italia”, con la quale si rivendicava coram populo l’unità e l’indipendenza dell’Italia. Come “appendice” a questo nostro discorso, crediamo sia opportuno tracciare un breve itinerario del ricco patrimonio epistolare lasciato dal Mazzini: è il modo migliore per potersi avvicinare al suo pensiero. Le lettere sono depositarie di una varietà di argomenti (politica, letteratura, educazione, religione, aspirazioni dell’autore, ecc...); una corrispondenza esemplare è quella tra Mazzini e Maria Algoult (quarantasei missive in tutto), l’affascinante contessa parigina, reduce dalla tempestosa relazione con Franz Liszt, scrittrice che firmava le sue opere con il nome maschile di Daniel Stern.Ci sono poi, le lettere alla madre, morta nel 1852, la persona certamente più vicina e più cara al Mazzini: tra loro perfetta era la consonanza di affetto, la confidenza, la comprensione. Queste lettere finirono quasi tutte nelle mani della sorella del Mazzini, che amava pochissimo il fratello e che le fece sparire. Un altro importante epistolario è quello tra Mazzini e la famiglia Ashurst, che per Mazzini costituì una seconda famiglia. Anche queste lettere furono sempre distrutte dalla Signora Emily (Madame Venturi). Il quarto gruppo di lettere è quello tra Mazzini e Hamilton King, mentre il quinto gruppo (che vanno dal 1847 – 1853) è tra Mazzini e George Sand, scrittrice molto amata e stimata dal Mazzini: entrambi erano ammiratori di Byron. Tutti gli scritti e l’Epistolario del Mazzini sono raccolti nell’Edizione Nazionale decretata nel 1905 (centenario della nascita del Mazzini). La cura dell’Opera omnia fu affidata ad una speciale commissione che curò fino al 1943 i cento volumi dell’Edizione Nazionale (Imola, Galeati, 1906 – ’43): Scritti letterari, 5 volumi; politici, 30 volumi; Epistolario, 58 volumi; in più: 8 vol. di Appendice e un altro volume ancora che comprende sia scritti letterari che politici. In sostanza, tutto l‘Epistolario mazziniano comprende: lettere di natura politica, lettere sentimentali e lettere ideologiche. Le Lettere politiche: si veda quella ad Aurelio Saffi, ad esempio, del 29 maggio 1849, dove Mazzini chiede al triumviro Saffi di provvedere ad alcune importanti questioni. Vi sono, poi, lettere che danno testimonianza degli intensi contatti del Mazzini con gli ambienti rivoluzionari polacchi: Marjan Langiewiez, polacco, naturalizzato svizzero, partecipò alla Spedizione dei Mille e, fuggito poi a Londra nel 1864, ebbe lì stretti contatti con il Mazzini. Temi di natura politica sono presenti anche nelle lettere Mazzini – Agoult: Mazzini condanna il socialismo e disprezza chi considera l’uomo come un animale sì razionale, ma orientato solo alla ricerca del benessere personale; e anche sul comunismo Mazzini esprime idee contrarie in alcune missive indirizzate ai suoi familiari: “[i Comunisti] vogliono – egli osserva – abolire la proprietà, mettere tutto nelle mani del governo, e fare in modo che il governo, dando non so quante ore di lavoro a tutti, distribuisca in natura, cioè non in denaro, il bisognevole a tutti. Questo è pensiero irrealizzabile, assurdo, che distruggerebbe qualsiasi stimolo all’attività dell’umanità”. A Mazzini, in pratica, non interessava un’Italia unita politicamente e libera dallo straniero, se essa deve essere un’Italia materialistica, schiava di interessi immediati e di una visione riduttiva della vita. Mazzini riversò in queste sue lettere politiche tutta la sua passione, l’entusia125
Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario
smo, la tenacia per sostenere la causa della libertà della sua patria. Per questo diventò bersaglio della stampa londinese («Times»), che sferrò una serrata critica al suo pensiero e alle sue opere. Le Lettere sentimentali: Mazzini lamenta le sue esigue condizioni economiche come esule a Londra, la vita carissima della città e i disagi degli alloggi. Sono lettere che egli invia prevalentemente ai suoi familiari (dal 1837 al 1843 come si è detto), soprattutto alla madre, dove si lamenta del cattivo clima (pioggia, fango, umidità) di Londra, esprimendo tutta la sua nostalgia per il cielo azzurro dell’Italia e della Svizzera; un altro gruppo di lettere sono dirette alla Sand e qui il Mazzini racconta l’episodio della morte di Giacomo Ruffini; in un’altra bella missiva Mazzini confessa il suo amore per la Sand, manifestando grande sensibilità. Ma, traboccante di confidenze personali e passioni è anche l’epistolario tra Mazzini e la contessa Agoult: Mazzini la definisce “amica e sorella di Dante” e presto diventerà l’interlocutrice privilegiata delle conversazioni letterarie e culturali con il Mazzini. In altre lettere alla Agoult tornano i problemi di salute del Mazzini (egli ha dolori allo stomaco che lo intristiscono, facendolo innervosire e impedendogli di scrivere). Le ultime lettere del Mazzini sono piene di malinconia e di rammarico; bella è soprattutto quella del 1871, quando Mazzini sta per abbandonare l’Inghilterra. Il terzo ed ultimo gruppo riguardante le Lettere ideologiche tratta del programma pedagogico mazziniano. Mazzini scrive su questo argomento otto articoli, apparsi sul «Giornale del popolo» londinese dal 1846 al giugno 1847. Tradotti da Salvo Mastellone, col titolo di G. Mazzini, pensieri sulla democrazia in Europa, rappresentano una sintesi dell’idea della democrazia mazziniana, il cui compito è di migliorare la condizione morale dell’uomo e consentirgli di comunicare con gli altri suoi simili (è chiarita bene qui la funzione comunicativa assegnata alla democrazia e la necessità di creare un programma pedagogico che non si rivolga alle classi, ma al popolo, in una visione più ampia, più spaziata, più ecumenica). Mazzini intendeva abbattere le barriere o ogni forma di steccato e far diventare uguali tutti, perché “ogni ineguaglianza porta con sé – egli scriveva – una quantità proporzionale di tirannia”. In una lettera alla King Mazzini afferma che l’azione è lo scopo principale della vita e che la rassegnazione dev’essere l’ultima spiaggia. Pensiero ed azione coincidono solo in Dio, essere perfetto; ogni pensiero in Lui è creazione, ciò non può accadere con noi uomini, perché siamo esseri imperfetti. Bellissima è anche la missiva inviata alla Fletcher (Londra, aprile 1837, Epistolario). L’impegno sociale e morale del Mazzini è ribadito, infine, anche in altre lettere indirizzate alla Agoult. È, però, nella istituzione scolastica italiana di Londra che si concretizzeranno le aspirazioni del Mazzini. E, a tal proposito, si consiglia la lettura delle missive dirette a sua madre e gli ottimi e recenti due volumi del Finelli.8
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Il prezioso elemento... cit.; cfr. anche Michele FINELLI, Il monumento di carta, Verrocchio, Pazzini, 2004.
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