Federalismo fiscale visto da sud di Amedeo Lepore Uno dei principali temi del momento è rappresentato dal “federalismo fiscale”, che, tuttavia, rischia di diventare l’ambito per iniziative di carattere del tutto diverso, a tratti ideologico, o per l’affermazione di principi lontani da nuove e chiare regole, volte a garantire l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa alle istituzioni territoriali, attraverso “tributi ed entrate propri”, in sintonia con i principi costituzionali, oltre che con le norme di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e attraverso “compartecipazioni al gettito di tributi erariali”, riferibili al territorio. Il Presidente della Repubblica, parlando a Venezia in questi giorni, ha sostenuto “l’esigenza di un rinnovato, consapevole ancoraggio alla Costituzione”, tanto più forte, quanto più si corra il pericolo di un indebolimento della coesione nazionale e del tessuto ideale e civile del Paese. La necessità oggettiva di una riforma, per dar vita al sistema progettato con l’articolo 119 della Costituzione, secondo il Capo dello Stato, può realizzarsi senza mettere in discussione “l’unità e indivisibilità della Repubblica”, considerata come “valore storico e principio regolatore fondamentale, di certo non negoziabile”, combattendo i particolarismi e le chiusure delle aree più avanzate, in nome del principio di solidarietà, e chiamando il Mezzogiorno ad una “prova di responsabilità” per l’impiego economico e la resa qualitativa dei finanziamenti pubblici, sia nazionali che europei. D’altro canto, Massimo D’Alema, presentando a Napoli un’iniziativa di collaborazione meridionalista tra “Italianieuropei” e “Mezzogiorno Europa”, ha posto in evidenza la necessità di non confondere il livello delle prestazioni connesse ad un diritto di cittadinanza, come quello derivante dal pagamento delle imposte, con un’esigenza diversa, di tipo territoriale, che non può sovrastare l’uguaglianza delle prerogative di tutti gli italiani. Un nuovo patto fiscale, si dovrebbe significare, mentre la pratica concreta sembra muoversi nella direzione di una progressiva, per quanto “morbida”, azione di disgregazione dello Stato. Tuttavia, per evitare ogni inutile discussione sul carattere retrò o meno di una posizione aperta ad un vero federalismo, responsabile, efficace ed equo, ma nettamente contraria ad una distorsione dei meccanismi fondativi del sistema repubblicano e democratico, occorre entrare - come si dice - nel merito. Il disegno di legge delega sul “federalismo fiscale”, approvato in via preliminare dal Governo, per ora non è altro che un grande contenitore di tematiche, quanto mai varie e generali, che dovranno essere sottoposte ad un attento esame delle istituzioni e delle forze sociali, in un arco di tempo non brevissimo. Tuttavia, vi sono alcuni punti che richiedono un’immediata chiarificazione o, meglio, una profonda revisione. Innanzitutto, preoccupa l’assenza di ogni riferimento quantitativo per il calcolo dei costi standard, che sostituiscono - a giusta ragione - la spesa storica, al fine della valutazione delle risorse necessarie per coprire, integralmente, l’erogazione dei servizi legati all’istruzione, alla sanità, all’assistenza e, in parte, quelli connessi ai trasporti locali. Questa indicazione concreta non può essere rinviata all’adozione dei successivi decreti legislativi da parte del Governo, ma deve essere oggetto di un
esame connesso all’impianto stesso della riforma; inoltre, andrebbero individuati con nettezza e omogeneità i parametri di riferimento regionale e gli obiettivi di servizio a base del calcolo delle spese standard, in modo da non creare disparità tra gli utenti dei servizi erogati al Nord e quelli delle altre aree del Paese. Un secondo punto di analisi critica riguarda la spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni, che, sulla base dell’attuale proposta - in questo caso, con una forte incongruenza, non si fa più ricorso ai costi standard, ma si torna a quelli storici -, comporterebbe un trasferimento secco di risorse dal Sud al Nord pari a circa un 30% del totale. Altre notevoli contraddizioni riguardano: l’interpretazione del meccanismo perequativo, che non può assolutamente rappresentare un insieme di regole secondo cui le regioni ricche finanziano le povere; i livelli di “intesa” tra lo Stato e le istituzioni territoriali e, in particolare, il ruolo della “Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale”; l’effettuazione degli interventi speciali di cui al quinto comma dell’articolo 119, che potrebbero essere puramente aggiuntivi e -udite, udite! centralizzati. Su diversi di questi temi sarà possibile tornare con maggiore approfondimento e compiutezza. Tuttavia, su una questione, che non riguarda esclusivamente il testo del disegno di legge, ma una scelta politica di carattere strategico, va compiuta una riflessione fondamentale. Come ha osservato il Presidente della Repubblica: “In Italia, deve porsi in particolare un forte accento sul rapporto tra un più coerente disegno evolutivo in senso autonomistico e federalistico dell’ordinamento della Repubblica, e il superamento di quel persistente, e perfino aggravato, divario tra Nord e Sud che denuncia la storica incompiutezza dell’unificazione nazionale”. Infatti, come si fa ad affrontare il tema dello sviluppo del Paese, del suo recupero di efficienza e competitività a livello internazionale, facendo finta che il “dualismo italiano” non esista più? La necessità di una politica di carattere nazionale, che si ponga concretamente l’obiettivo di affrontare uno dei principali nodi strutturali dell’economia e della società italiana, individuando le modalità per assicurare uno sviluppo produttivo e reali condizioni di mercato nel Mezzogiorno, non è la riproposizione di una vecchia forma di meridionalismo. Molto più seriamente, è l’unico terreno su cui un nuovo protagonismo, una piena assunzione di responsabilità da parte dei meridionali, una capacità “rivoluzionaria” di smantellare dal basso il sistema degli sprechi e dell’assistenza parassitaria, possono incontrarsi con un’azione condivisa di riforma delle istituzioni e di promozione di una moderna economia competitiva da parte dello Stato. Amedeo Lepore