LA VERA STORIA DEL CASO GREGANTI IL PCI-PDS RUBAVA COME GLI ALTRI… di Marco Travaglio Nel decimo anniversario dell’arresto di Primo Greganti, una variopinta compagnia di giornalisti, politici ed ex magistrati ha “riaperto” il caso delle tangenti rosse. Palestre dell’operazione revisionista, la pagina delle lettere a Paolo Mieli sul Corriere della Sera, una serie di interviste di Barbara Palombelli su Sette (“1993-L’anno del grande terrore”) e una interminabile storia a puntate del 1993 pubblicata dal Foglio di Giuliano Ferrara, affidata a Mattia Feltri e intitolata “Mattia nel Terrore”. A dar fuoco alle polveri, una lettera del ministro per i rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi, quello che nel 1992 scriveva lettere aperte a Di Pietro invitandolo a “fare pulizia nella Dc”, e che oggi si spende senza risparmio di energie per la missione opposta: cercare di dimostrare che il pool di Milano “salvò il Pci-Pds” e distrusse gli altri partiti. Giovanardi, che ha anche scritto un libro pieno di falsità e inesattezze su queste vicende, scrive a Mieli che ci fu un “intervento salvifico a favore del Pci-Pds” da parte del procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio: “un unicum” nella storia di Mani Pulite. D’Ambrosio avrebbe fatto un favore al PciPds, nel 1993, andando a verificare se fosse vero che il compagno G aveva usato un contributo versato dal gruppo Ferruzzi per acquistare una casa e non per foraggiare il suo partito, e scoprendo che la circostanza era vera. D’Ambrosio scrive al Corriere per ristabilire la verità: e cioè che la sua fu una normale indagine per verificare la veridicità o meno delle dichiarazioni di Greganti, e che gli toccò farla personalmente perché il pm titolare dell’inchiesta, Tiziana Parenti, se ne era “dimenticata”. La Parenti risponde con una lettera piena di ambiguità e di insinuazioni. Mieli propende apertamente per la versione Parenti, parla di “intervento provvidenziale” di D’Ambrosio e continua ad alimentare l’idea che il caso sia aperto, misterioso, bisognoso di approfondimenti. “Una vicenda storica ancora tutta da scrivere”, magari affidandola a un “nuovo De Felice”. Un giallo, insomma, che secondo Panorama sortì un solo risultato: “scagionare il Pds”. “Se in quel 1993”, sintetizza Giovanardi, “si fossero indagati contemporaneamente i vertici amministrativi di Dc, Psi e Pci-Pds, la storia della politica sarebbe cambiata”. Il fatto è che in quel periodo furono effettivamente indagati i vertici amministrativi di tutti e tre i grandi partiti: Balzamo per il Psi, Citaristi per la Dc, Pollini e Stefanini per il Pci-Pds. L’avviso di garanzia a Stefanini, all’epoca deputato e membro della direzione di Botteghe Oscure, fu firmato da D’Ambrosio, Gherardo Colombo e Tiziana Parenti. Ma per quella vicenda Stefanini fu poi, come vedremo, archiviato perché nessuno lo chiamava in causa per la tangente della Calcestruzzi (gruppo Ferruzzi) e perché nemmeno una lira di quella mazzetta risultò pervenuta nelle casse del partito. Greganti, arrestato due volte su richiesta di Di Pietro e del resto del pool e tenuto in carcere per quasi 5 mesi, fu poi processato e condannato in via definitiva a 3 anni per corruzione. Il Pci-Pds non fu affatto scagionato, tanto che il pm Paolo Ielo (subentrato alla Parenti quando questa si fece eleggere in Parlamento per Forza Italia, nel 1994) nella requisitoria del processo Enel accusa Greganti di avere ricevuto un miliardo e 246 milioni dalla Calcestruzzi “per la direzione centrale del Pds”. Tesi poi confermata puntualmente dalla sentenza del Tribunale di Milano (la vedremo fra poco), resa definitiva dopo i passaggi in Appello e in Cassazione. Già, perché l’aspetto più curioso e stravagante dell’improvviso revival del caso Greganti è questo: che sulla vicenda esiste una sentenza definitiva, una delle tante emesse a Milano, quella sulle tangenti Enel, la quale afferma esplicitamente che il Pci-Pds – attraverso i suoi rappresentanti – incassava mazzette esattamente come gli altri partiti. E, oltre a Greganti, condanna Giovanni Battista Zorzoli, membro del Cda Enel in quota Pci-Pds, a 4 anni e 6 mesi per corruzione. In soldoni: Greganti chiese e incassò quel miliardo e rotti per conto del Pci-Pds nella partita dell’Enel: in cambio di appalti alle cooperative rosse e del voto favorevole del consigliere Zorzoli alle delibere del Cda dell’ente energetico pubblico. Il fatto è che poi quei soldi li tenne per sé: in parte (circa 700 milioni) li usò per acquistare un appartamento in via Tirso a Roma, dove trasferì in blocco la sua numerosa famiglia, in parte (500 milioni, della seconda tangente Panzavolta, più interessi) li tenne parcheggiati in Svizzera sul conto estero numerato. Prendeva i soldi per il partito, ma quella volta – a differenza di altre – se li tenne. Resta semmai da capire perché il Pci-Pds abbia continuato a mantenere rapporti, anche d’affari, con il compagno G. Ma queste sono questioni politiche, non giudiziarie. Il caso
Greganti, con buona pace di Mieli, Giovanardi & C., è chiuso. Sepolto sotto una grandinata di pesanti condanne per corruzione. In attesa del nuovo De Felice, si potrebbe partire dalla sentenza definitiva. Il compagno G Primo Greganti viene arrestato per la prima volta il primo marzo 1993. Ordine di custodia firmato dal gip Italo Ghitti su richiesta di Antonio Di Pietro. Il pool Mani pulite lo accusa di corruzione, per aver ricevuto in Svizzera 621 milioni dal gruppo Ferruzzi, fra il 1990 e il 1992, per appalti Enel. Denaro che rappresentava la prima delle due quote riservate al Pci-Pds delle tangenti concordate con il sistema dei partiti (l’1,6 per cento sul valore delle commesse). A parlarne ai magistrati milanesi è Lorenzo Panzavolta, amministratore della Calcestruzzi di Ravenna, cioè l’uomo che provvide materialmente ai versamenti estero su estero. Si accerterà successivamente che vi furono tre versamenti, per la precisione: 621 milioni depositati il 21 novembre 1990 sul conto “Gabbietta” intestato a Greganti presso la Banca di Lugano; 525 milioni nel settembre 1992 sul conto 294469 presso la Banca del Gottardo di Zurigo, sempre nella disponibilità di Greganti; 100 milioni consegnati brevi manu nello stesso 1992 al “compagno G”. Greganti, dopo una lunga carriera nella tesoreria del Pci torinese, è da qualche anno un funzionario – prima ufficiale, poi ufficioso - dell’amministrazione di Botteghe Oscure. Racconta Panzavolta detto “Panzer”, plenipotenziario di Raul Gardini per il settore dell’edilizia, che per gli appalti di desolforazione delle centrali elettriche in tutta Italia (lavori per un totale oltre 3 mila miliardi), la sua impresa concordò con Dc, Psi e Pci-Pds una quota di 1 miliardo e 242 milioni per ciascun partito. Furono Valerio Bitetto, potentissimo consigliere di amministrazione socialista dell’Enel, e il tesoriere nazionale del Garofano Vincenzo Balzamo a comunicargli che bisognava pagare anche Botteghe Oscure. Poi si presentò da lui Greganti a battere cassa. Panzavolta, che pure sapeva chi fosse Greganti (“era conosciuto da tutti lì in giro, a Ravenna, come esponente del Partito comunista e aveva rapporti con la cooperativa Cmc”), chiese a Gardini di verificare che fosse proprio lui l’emissario del Pci-Pds per gli appalti Enel. Gardini verificò: “Mi disse che avrebbe fatto un controllo e mi confermò che Greganti era l’interlocutore giusto e che potevo andare avanti”. Il compagno G, a scanso di equivoci, si presentò a Panzer “con un biglietto da visita della Direzione centrale del Partito comunista, faceva parte della direzione finanziaria, poi lui si era offerto di fare dei servigi, se avevamo bisogno. E credo che l’abbiamo anche usato in qualche caso… Ci ha chiesto anche di andare in Russia, che lui rappresentava il Partito comunista… no, in Cina, in Cina”. Greganti aveva accompagnato in Cina, nell’estate del 1991, Giorgio Cerboni, direttore della Fermar (la società Ferruzzi che costruiva navi). Ma la missione si rivelò infruttuosa e non portò a nulla”. Nessun contratto, nessuna mediazione per Greganti, solo una gita a Pechino senza conseguenza alcuna. Eppure Greganti, quando viene interrogato da Tiziana Parenti (aggregata al pool per far fronte alla mole di lavoro che aumenta di giorno in giorno sulle spalle di Di Pietro, Colombo e Davigo), nega di avere mai incassato tangenti per l’Enel e attribuisce quei 621 milioni di lire, di cui allora si era a conoscenza, proprio a una serie di fantomatici affari in Cina da lui procacciati alla Calcestruzzi, dei quali peraltro non porta alcuna documentazione (“I progetti – spiega - si interruppero a causa del mio arresto”). E soprattutto nega di aver versato una lira nelle casse di Botteghe Oscure (“Ho lasciato la direzione finanziaria del partito fra il 1989 e il ’90 e da allora lavoro in proprio nel settore del marketing internazionale”). Il pool non gli crede, tant’è che lo tiene in carcere per tutti e tre i mesi previsti dalla legge, per evitare che inquini le prove. E lo farà presto riarrestare per altri due mesi in relazione a un’altra vicenda. Le indagini successive all’informazione di garanzia a Stefanini accerteranno che Greganti aveva ricevuto anche la seconda tangente di 625 milioni e si appuntano su entrambi i versanti della sua ricostruzione: la causale dei versamenti e la destinazione delle somme. Che Greganti riceva 621 milioni da Panzavolta proprio mentre questi versa la stessa cifra alla Dc e al Psi non può essere una coincidenza. Anche perché Panzer dice di aver pagato la stessa mazzetta a tutti e tre i partiti, a titolo di tangente per i contratti di desolforazione. E poi non si capisce perché la Calcestruzzi avrebbe dovuto pagare in nero, estero su estero, una normale e regolare intermediazione a Greganti. E ancora: il primo versamento segue di pochi mesi l’aggiudicazione degli appalti per la desolforazione della centrale di Brindisi Sud. E non è vero che in quel periodo Greganti non lavorasse più per il Pci-Pds, visto che negli stessi
mesi della pratica Calcestruzzi, prestò i suoi conti svizzeri per altre due operazioni finanziarie del partito: 1 miliardo incassato per la vendita delle quote del Pci nella società italotedescorientale Eumit; 200 milioni di tangente dalla Fiat per l’appalto torinese del depuratore Po-Sangone. Tutti elementi che faranno scrivere ai giudici del tribunale di Milano: “Le somme in questione non sono state incassate da Greganti per prestazioni personali, bensì vanno collegate a un’intermediazione fiduciaria posta in essere da quest’ultimo a vantaggio del Pci in relazione all’aggiudicazione da parte del gruppo Ferruzzi dei contratti Enel”. D’Ambrosio indaga, Parenti un po’ meno. Ma che fine fecero quei 1200 e rotti milioni? E davvero l’intervento di D’Ambrosio, come scrive Mieli, fu “unico” e “provvidenziale” per “salvare il Pds”? Ripercorriamo gli eventi dell’estateautunno del ’93 con l’aiuto proprio dell’allora procuratore aggiunto e poi capo di Milano, da qualche mese in pensione, che su quei fatti ha recentemente testimoniato sotto giuramento al tribunale di Roma, nel processo per calunnia a carico del maresciallo Paolo Simonetti, braccio destro della Parenti (l’uomo che raccontò agli ispettori di Biondi di fantomatici favoritismi del pool, e di D’Ambrosio in testa, a Botteghe Oscure. Favoritismi poi rivelatisi inesistenti, nella relazione finale degli ispettori, che magnificarono l’operato del pool). “Il Codice”, premette D’Ambrosio, “impone di cercare le prove anche a favore dell’indagato. Ma non per fargli un piacere: per corroborare la solidità dell’inchiesta. Se l’indagato mi dice una cosa e io non vado a verificarla, se ha ragione su quel punto rischio di fare una figuraccia al processo e di perderlo, il processo” (tanto poco “unica” è quell’attività che basta ricordare le rogatorie avviate da Ilda Boccassini e Gherardo Colombo nelle Bahamas per verificare la destinazione dei famosi 21 miliardi versati da Nino Rovelli a Cesare Previti nel 1994, dopo la conclusione della causa Imi-Sir. Previti sosteneva di aver pagato dei professionisti all’estero per conto di Rovelli. Il pool è andato a vedere, ha scoperto due bonifici da Previti a due tizi denominati Fripier e Lepicier, salvo poi scoprire che i due tizi non esistono: si tratta sempre di Previti, sotto falso nome). Che accadde dunque nel 1993? Perché il coordinatore del pool indagò personalmente proprio su Greganti? “Per colmare una lacuna nelle indagini della Parenti, la cui animosità nei confronti del Pds rischiava di esporci a una brutta nasata in parlamento, in sede di autorizzazione a procedere, o davanti al gip in udienza preliminare. Così, in qualità di capo-pool, anche operativo,diedi una controllata al fascicolo. Per capire quei giorni, occorre ricordare l’antefatto. Io andavo sempre in ferie a luglio. Cosa che feci anche quell’anno, per la mia salute non proprio di ferro. Al mio rientro, a fine mese, la Parenti viene da me e mi comunica di aveva intenzione di richiedere l’autorizzazione a procedere per l’onorevole Stefanini. Io cado dalle nuvole:non mi risultava nemmeno che Stefanini fosse iscritto nel registro degli indagati, anche perché ogni iscrizione veniva concordata all’interno del pool. Per una ragione molto semplice: allora la legge e una circolare parlamentare stabilivano che, all’atto dell’iscrizione di un deputato o di un senatore, bisognava inviargli subito un avviso di garanzia: da quel momento i pm avevano 30 giorni di tempo per trovare gli elementi a suo carico e formalizzare le conclusioni: richiesta di autorizzazione a procedere o richiesta di archiviazione. Vista la parsimonia, diciamo così, con cui il parlamento concedeva l’autorizzazione, si era deciso di iscrivere solo i parlamentari sui quali gravassero indizi consistenti. Nei casi dubbi non si procedeva nemmeno all’iscrizione, per evitare inutili ping-pong col parlamento.Ora, fino alla mia partenza per le ferie, non mi risultava alcun elemento che portasse da Greganti a Stefanini. Nemmeno quello logico, visto che Greganti era uomo del vecchio segretario, Renato Pollini, più che di quello nuovo, Stefanini, che tra l’altro, essendo stata abolita con il Pds la carica di segretario, era tesoriere e membro del direttivo del partito. Chiesi dunque alla Parenti se fossero emerse importanti novità nel frattempo. Lei disse di no, che dall’esame dei conti correnti non c’era alcuna prova del passaggio di quei soldi da Greganti a Stefanini. Però aggiunse di esserne convinta ugualmente, visto che una parte i 621milioni di tangente corrisposti da Panzavolta erano approdata sul conto “Gabbietta”, usato da Greganti per far rientrare il famoso miliardo incassato per conto del Pci che, dopo il crollo del muro di Berlino, aveva venduto le sue quote nella società italo-tedescorientale Eumit. Ergo, aggiunse, quel conto e quello “Sartiame” e “Sorgente” oggetto della prima rogatoria in Svizzera sono del Pds. Feci sommessamente notare che quelli potevano essere conti di transito per spostare i soldi, e che senza la prova della destinazione finale non potevamo arrischiare una mossa così
azzardata, senza un solo elemento, una sola chiamata di correo che ci parlasse di Stefanini. Suggerii di aspettare, di comportarci come con tutti gli altri parlamentari: facciamo altre indagini, poi se avremo elementi procederemo. La Parenti sembrò convincersi, senonchè qualche giorno dopo [24 luglio ’93] annunciò di aver iscritto Stefanini sul registro. Era un bel guaio, perché bisognava “avvisarlo” subito e trovare qualcosa a suo carico entro 30 giorni, se volevamo chiedere l’autorizzazione a procedere. Altrimenti archiviare, precludendoci la possibilità di indagare ancora con più calma. Di fronte al fatto compiuto, decisi di firmare anch’io l’avviso e chiesi a Gherardo Colombo di fare altrettanto. Lei, quasi subito, partì per le ferie lasciandoci una bozza di richiesta di autorizzazione a procedere, piuttosto scarna, praticamente priva di elementi. Se l’avessimo spedita così in parlamento, ci avrebbero riso in faccia. Mandai la bozza agli altri del pool, ed il 6 settembre ci riunimmo con Borrelli al suo rientro dalle ferie. Non si sapeva nemmeno se la seconda tranche della tangente di Panzavolta, sicuramente versata a Dc e Psi, fosse stata corrisposta anche al Pds, e chi l’avesse incassata. Ci mettemmo dunque a indagare come pazzi. Di Pietro e il giovane Paolo Ielo ed io stesso, per un mese intero ci dedicammo praticamente solo a quello. Chiamai la Parenti e le chiesi se avesse fatto le indagini patrimoniali su Greganti. Rispose di sì. Me le mandò: ma riguardavano invece le indagini bancarie, quelle sui conti correnti che il Greganti aveva presso il Monte dei Paschi di Siena. Ripresi quindi anche i verbali d’interrogatorio di Greganti e in uno scoprii che aveva dichiarato di aver acquistato un appartamento per sé, contraendo un mutuo di 450 milioni: segno che l’aveva pagato almeno il doppio, visto che nessuna banca concede mutui per oltre la metà del valore dell’immobile. Feci dunque una ricerca tramite l’anagrafe tributaria con cui era collegato il mio computer (è agli atti del processo, con il mio codice di accesso, il mio codice fiscale, la data e l’ora della ricerca: doveva essere il 22 o il 23 settembre). Emerse che effettivamente Greganti aveva acquistato un appartamento a Roma con contratto registrato nel novembre 1991 e,una quindicina di giorni prima, aveva prelevato 329 milioni dalla provvista Panzavolta (i 621 milioni versati prima sul conto Gabbietta e poi da questo passati sul conto Sorgente). A quel punto mandai a Roma i due sottufficiali della guardia di finanza che lavoravano con me, a interrogare i venditori dell’alloggio: la famiglia Ferrari, padre e due figli, che gestivano un piccolo albergo. Volevo sapere tramite quale banca Greganti li aveva pagati e acquisire il fascicolo del mutuo, con il compromesso di vendita, la polizza di assicurazione e la stima della banca sul valore dell’appartamento. Per appurare se la cifra di 500 Milioni indicata nel contratto registrato fosse quella effettivamente pagata. I Ferrari indicarono 750 milioni, ma i conti non tornavano. I due sottufficiali comunque accertarono che il mutuo era stato stipulato presso la Mps Finanziaria Spa di Siena. Per l’acquisizione del relativo fascicolo delegai i finanzieri che lavoravano con la Parenti. Fu così che saltò fuori una fotocopia del compromesso per 1 miliardo e mezzo di lire, con una polizza assicurativa di pari importo e una relazione di stima per 1 miliardo e 200 milioni. Fra l’altro, il contratto risultava stipulato presso la sede romana dell’Edilnord [gruppo Fininvest], a cui Greganti e Ferrari versarono la rituale percentuale per la mediazione (l’1,5 per cento per ciascuno, 45 milioni in tutto), mella stessa data di altro prelievo contanti di 360 milioni sempre dal conto Sorgente. Ora finalmente tutti i conti tornavano. Interrogai Ferrari padre, che ammise di aver venduto a Greganti per 1 miliardo e mezzo. Ricordo il giorno decisivo in cui Di Pietro e la Parenti stavano interrogando Greganti a San Vittore. Io mandai loro il verbale di Ferrari che avevo appena finito di sentire. E Greganti fu costretto ad ammettere la bugia, spiegando di non aver voluto inguaiare i vecchi proprietari. A quel punto non c’era dubbio che Greganti i soldi della tangente li aveva in parte utilizzati per comprarsi quella casa, mentre non avevamo elementi per affermare che una sola lira di quel miliardo e rotti fosse finita nelle casse del Pds. Anche perchè Panzavolta disse a Di Pietro che la seconda tranche era stata versata su un altro conto cifrato indicato da Greganti, e lì la trovammo praticamente intonsa, anzi moltiplicata dagli interessi (800 milioni o giù di lì). La Parenti però non si rassegnava all’idea di aver sbagliato. Insisteva nel dire che il compromesso era falso. Fece perquisire la casa e l’albergo dei Ferrari alla ricerca del compromesso e lo trovò naturalmente firmato dal solo Greganti.. Ma lì i suoi uomini trovarono anche un appunto che il Ferrari aveva preso sotto gli occhi dei miei finanzieri, per riepilogare le rate dei versamenti del prezzo di 750.000.000 che aveva indicato nella deposizione resa ai finanzieri da me inviati, appunto sul quale era segnato il mio nome, visto che gli avevano riferito che l’avrei di nuovo
interrogato. Bene, l’ufficiale della Parenti cominciò a raccontare in giro di avermi incastrato, di aver trovato la prova che mi avevano pagato. Aveva scambiato quelle cifre per versamenti fatti a me. Una ignobile montatura che fu subito smascherata dai miei finanzieri, e poi dagli ispettori del ministro Biondi). La conclusione era a quel punto obbligata: allo stato degli atti nessuna richiesta di autorizzazione al parlamento per Stefanini, almeno per quel capitolo d’indagine [il tesoriere del Pds era indagato anche per altre vicende], ma richiesta di archiviazione al gip. Su Stefanini non avevamo veramente nulla. Anzi, avevamo elementi che inguaiavano Greganti ma scagionavano il nuovo tesoriere Pds. La fine della storia è appena più nota. Il 18 settembre viene arrestato Marco Fredda, responsabile del patrimonio immobiliare del Pds, e l’indomani viene riarrestato Greganti, per un’altra strana vicenda immobiliare, che maschera una tangente rossa del gruppo Itinera di Marcellino Gavio. Intanto Davigo fa perquisire dai carabinieri la sede di Botteghe Oscure. Pochi giorni dopo, il segretario Achille Occhetto avverte: “Se mi arriva un avviso di garanzia, sarebbe un colpo di Stato e i nostri scenderebbero nelle piazze”. Il vicesegretario Massimo D’Alema, invece, definisce abitualmente il pool “il soviet di Milano”. Il 4 ottobre’93, in una riunione plenaria del pool, presenti Borrelli, D’Ambrosio, Di Pietro, Colombo, Davigo, Ielo, Ramondini e Parenti, decide all’unanimità di chiedere l’archiviazione per Stefanini. La Parenti non fiata, nessun dissenso. Ma, appena uscita dall’ufficio, ricomincia ad attaccare i colleghi accusandoli di non voler andare a fondo sulle tangenti rosse. Per un eccesso di scrupolo, il 19 ottobre, il gip Italo Ghitti nega l’archiviazione e dispone un supplemento di indagini su Stefanini. Al termine delle quali, nella primavera ’94, la sua erede Clementina Forleo (Ghitti nel frattempo è passato al Csm) archivia l’inchiesta nei confronti di Stefanini, nel frattempo morto d’infarto. E non con la formula ambigua della “morte del reo” (usata da altri giudici per chiudere altre indagini a suo carico, ben più serie e fondate, come quelle della procura di Torino su Eumit e come quella del pm milanese Ielo), ma con quella netta della “assoluta mancanza di indizi”. Anche la Parenti, ormai, è lontana: in dicembre ha lasciato il pool, in gennaio s’è candidata in Forza Italia, in marzo è ascesa alla Camera dei deputati con la promessa di fare il ministro della Giustizia, salvo poi diventare presidente della commissione parlamentare Antimafia. La sua inchiesta passa a Paolo Ielo. Il quale, con una certa fatica, rimette insieme i cocci, approfondisce vari spunti d’indagine e alla fine ottiene il rinvio a giudizio di decine d’imputati per le tangenti Enel: imprenditori, politici e amministratori di Psi, Dc, Pri e Pds. Compresi i compagni Greganti e Zorzoli. Il Pci-Pds rubava come gli altri Perché Calcestruzzi doveva pagare anche il Pci-Pds, che in parlamento stava all’opposizione? La sentenza del tribunale di Milano chiarisce anche questo. L’azienda era interessata all’appalto per desolforare le centrali di Brindisi Nord e Sud, di Vado Ligure e del Sulcis: una commessa da 870 miliardi. E se l’aggiudicò in una associazione temporanea di imprese formata al 60% dal consorzio Eurialo (Ansaldo e Cifa Progetti-Calcestruzzi) e per il 40% dalla De Bartolomeis Spa. Ma perché tutto filasse liscio, bisognava anzitutto evitare che nel Cda dell’Enel qualcuno si mettesse di traverso. Ad esempio il rappresentante dell’opposizione: Giovanni Battista Zorzoli, docente al Politecnico di Milano, fino al 1990 responsabile del Pci-Pds per le questioni energetiche, dal 1986 al ’92 consigliere di amministrazione in quota Botteghe Oscure. Altre grane potevano arrivare dall’iter parlamentare della legge, che doveva autorizzare la costruzione degli impianti di desolforazione senza passare per i singoli comuni. “E allora – ricorda Panzavolta – mi avvertirono dall’Enel: ‘Guardi, se lei ha qualche contatto col Partito comunista, sarebbe bene che avvertisse ’sta gente che i loro parlamentari andassero in sala, non tanto per votare questo decreto, quanto per fare numero, perché […] se non c’è il numero legale, non ha validità la seduta. Noi abbiamo già chi vota, la maggioranza che dà il voto, però abbiamo bisogno di avere il numero dei presenti’. Io avvertii ovviamente Greganti. […] Siccome era un venerdì che veniva votata e in genere i parlamentari il venerdì tornano alle loro sedi, allora Greganti si adoperò, andò, mi disse ‘Sì, sì, mi interesso subito’. E difatti la legge venne poi approvata, perché il numero c’era… E Greganti venne da me e disse: ‘Vede che io conto, vede che riesco a ottenere queste cose’…”.
Dunque anche il Pci-Pds chiedeva mazzette come gli altri: “Il sistema”, scrivono i giudici, “è il medesimo riscontrato allorché si sono esaminati i versamenti ad altri partiti politici. Greganti è il fiduciario del Pci pronto a mettere a disposizione i propri conti personali per esigenze lecite e illecite del partito. […] E’ lui che tiene i contatti con Panzavolta con riguardo ai versamenti in denaro in argomento, sicuro corrispettivo degli accordi corruttivi in parola. […] Ciò che viene offerto [all’imprenditore] in cambio della tangente è la certezza della vittoria. […] Panzavolta effettua l’illecito finanziamento al Pci nella convinzione che anche il consigliere [di amministrazione] designato dal Pci avrebbe posto in essere tutti quegli atti rientranti nel suo ambito di operatività per rendere effettiva tale garanzia. […] Non si poteva correre il rischio di incorrere in intoppi in seno al Consiglio, per questo era bene allargare l’area di protezione anche al rappresentante del maggior partito di opposizione. Di tale rapporto illecito Greganti era sicuramente a conoscenza”. E non solo Greganti. C’era anche Zorzoli: “Il processo”, scrive il tribunale di Milano, “ha dimostrato che Zorzoli occupava il ruolo di consigliere nella piena consapevolezza di essere parte di un sistema secondo il quale la gestione della cosa pubblica doveva essere finalizzata alla soddisfazione degli interessi del Partito che rappresentava”. Come? Garantendo non solo le mazzette a Botteghe Oscure, ma anche una quota fissa di appalti e subappalti (nelle opere di desolforazione, ma anche di denitrificazione delle centrali Enel) per le cooperative e le imprese amiche: nella fattispecie, la Ctip e la Elettrogeneral (un’impresa che la Lega delle cooperative rilevò dall’Ansaldo, presieduta prima da un ex funzionario del Pci, Giovanni Battista Podestà, poi dallo stesso Zorzoli). “Per poter realizzare questo salto qualitativo delle cooperative amiche del Pci”, spiegano i giudici, “occorreva la sicurezza delle assegnazioni, possibile solo attraverso una politica consiliare che soddisfaceva gli interessi di tutti, che il processo ha provato essere il reperimento i finanziamento alternativi da parte del mondo imprenditoriale. Zorzoli ha pertanto consapevolmente contribuito alla realizzazione delle corruzioni in argomento. […] Il suo compito non era quello di percepire somme di denaro, bensì di favorire le cooperative. In cambio di tale utilità era disposto ad approvare contratti che attribuivano a trattativa privata a imprese amiche del sistema dei partiti appalti di notevole valore economico. Ancora una volta ci si trova di fronte a una consapevole gestione “privata” della cosa pubblica”. Sia Greganti sia Zorzoli verranno definitivamente condannati per corruzione e finanziamento illecito al Pci-Pds, il primo patteggiando 3 anni in Appello, il secondo vedendosi confermata la pena di 4 anni e mezzo in Cassazione e finendo per questo in carcere. Questo ha stabilito la sentenza. Definitiva. Se poi questa non bastasse, ci sarebbe anche la relazione degli ispettori del ministro Alfredo Biondi (primo governo Berlusconi): “Mani Pulite rimarrà una pietra miliare nella storia giudiziaria del nostro Paese”, scrivono. E quanto alle tangenti rosse, osservano che non ci fu alcun trattamento privilegiato per il Pci-Pds, anzi “l’atteggiamento di diffidenza della dottoressa Parenti verso i colleghi del pool può forse avere nuociuto allo svolgimento delle indagini di cui si discute, e comunque ha certamente contribuito a portare l’opinione pubblica a valutazioni errate in ordine a tali indagini”. da Micromega