12 Luglio 2008 “All the small things” Si parte. Alle 8:30 Antonio imprevedilmente mi scrive un messaggio. E’ già pronto e mi fa da sveglia, l’orario stabilito per l’incontro era le 9:30, per questo me l’ero presa comoda. Sta iniziando questa vacanza, questa avventura. E’la “nostra” vacanza, dopo giorni di lavoro ancora non ci crediamo, non siamo entrati forse ancora nell’atmosfera. Dopo la sosta bancomat e metano, la scelta democratica del percorso. La mia cara alfa 156 è in forma, la lascerò per un po’ nel parcheggio a Fiumicino, è una sensazione strana. Arriveremo all’aeroporto passando per l’Abruzzo, via L’Aquila. Nascono i nostri soliti “ragionamenti” tra il serio e il faceto, passando dalla “Pangodia” al rapporto “pesce-carne”: ma il pesce è fatto di pesce o il pesce è fatto di carne? E’caldo, ma il tempo passa bene, si canta di tutto, tra assoli, cori e controcori. Tutte le canzoni sembrano ad hoc, ma quella che mi carica di più è “All the small things” dei Blink 182. Sono quasi le 13:30, decidiamo di fermarci a mangiare a L’Aquila e andiamo a vedere la Fontana delle 99 Cannelle, ricordo d’infanzia del piccolo Antonio. Cerco di contarle tutte, sarà il caldo, sarà che sono proprio in ferie e ho lasciato la mia indole contabile nella filiale di Tolentino, ma a me sembrano 94. Cerchiamo ristoro dentro un bar mezzo chiuso, è veramente caldo, il sole picchia duro e l’afa si fa sentire. La signora ci dice che la stazione e quindi anche l’unico bar aperto della zona stanno a circa 300 metri, camminiamo e camminiamo, ma ci sembrano molti di più: ”Cosa ti aspetti? Le donne non hanno la percezione delle distanze…” mi dice Anto’. Massima esemplare, io l’ho sempre detto che quando vuole è Yogananda. Arriviamo a Roma alle 15:30, tabella di marcia rispettata alla grande, possiamo fare tranquillamente un’altra sosta metano. Dopo aver consegnato la fedele alfa agli organizzati, ma burini romani del Parking Go, ci dirigiamo all’aeroporto di Fiumicino. Si va al doveroso check-in: scegliamo di spedire i nostri bagagli direttamente a Fuerteventura, ci convincono che sia la scelta migliore. Nel lento procedere della fila in aeroporto, incontriamo il primo personaggio della vacanza, Cynthia. Ragazza di 23 anni di Buenos Aires, frizzante o loca (come lei si 2
definisce), salirà sul nostro stesso aereo, destinazione Madrid, per poi tornare in patria Argentina. Cynthia ci sorprende; è partita da sola per un viaggio di ben 4 settimane passando per le maggiori città europee, non so se lo dice per farci piacere, ma l’Italia secondo lei è il più bel paese tra tutti, ci ha lasciato il cuore. Antonio mostra senza mezzi termini il suo interesse, vedo che c’è feeling e a volte mi faccio da parte, poi il mio companero rispetto a me, ha una buona dimestichezza con lo spagnolo, gli è più facile comunicare. Passiamo bei momenti, scambi musicali e culturali, dopotutto noi italiani ci sentiamo veramente in sintonia con questi argentini. Siamo tutti e tre vicini in aereo, il tempo passa rapidamente e arriviamo a Madrid. Salutiamo Cynthia, le nostra strade si dividono e tra un paio d’ore dovrà risalire sull’aereo che la riporterà a Buenos Aires, un viaggione di 12 ore. Prima di raggiungere l’albergo che abbiamo prenotato in città, decidiamo di fare cena in aeroporto. Destino vuole che incontriamo di nuovo Cynthia, altro che addio! Siamo contenti, forse Antonio ancora di più, facciamo cena insieme in un ristorantino self-service, cucina internazionale, ma (parlo per me) ci scappa anche un po’ di pasta. Stavolta ci salutiamo davvero, promettendo di sentirci via mail. Apprendiamo che l’hotel è un po’ più lontanuccio dall'aereoporto rispetto a quanto ci avevano detto in agenzia. La stanchezza comincia a farsi sentire : taxi o bus ( 25 euro contro 2)? L’albergo? Madrid è grande. Alla fine vince il bus e dopo un po’ di errori di orientamento becchiamo il 101. E’ tardi, siamo stanchi, ma concludiamo la serata con Kill Bill capitolo I, in spagnolo. La Turman è sempre la Turman, ci addormentiamo con Black Mamba e la spada di Hattori Anzo, il tutto condito da un occhio spappolato. Non male. Ci aspetta la sveglia alle 5:00. L’aereo è alle 7:00. E poi domani…Fuerteventura!
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13 Luglio 2008 “Buenos Dias” Ore 5:00, risveglio veramente pesante. Squillo del telefono in camera: ”Buenos Dias, las cinco”. Mai lo spagnolo mi è stato più sulle palle. Antonio impreca, io non mi rendo conto di dove sono. Ci svegliamo vestiti come la sera prima, brutta sensazione, le nostre valigie non le vediamo da Roma, e mi assale un dubbio: le ritroveremo sull’Isola? Antonio, impersonificando Yogananda, alimenta la mia fede. Ci facciamo chiamare un taxi, il tassista è praticamente il sosia di Ben della serie “Lost”, immagino che da un momento all’altro si possa voltare e con il fare da maniaco dica :”Sei sicuro di andare sull’isola John?”. Pensieri strani, forse fa male dormire (si fa per dire) vestiti per 3 o 4 ore vicino ad un “russante” Anto’. Arriviamo all’aeroporto, è un freddo cane. In più non ci sanno dire niente delle valigie al check-in. Perfetto: alzarsi due ore prima del volo è stato perfettamente inutile. Aspettiamo con la bava alla bocca l’apertura del bar dell’aeroporto, vaneggiamo, abbiamo quasi dei miraggi. Poi ridiamo e ridiamo, a volte anche per delle cazzate. Il tormentone per ora è il video in spagnolo su cellulare di Antonio: il ragazzo “felice” in compagnia del suo “burrito”. Dopo la sospirata colazione, finalmente si vola. Che bello volare. Lasciata la penisola Iberica, il mare e nuvole, tante tante nuvole. Sotto il mare, sopra il cielo condito da questa distesa, da questa coperta che sembra neve a tratti e a volte cotone. Forse stiamo attraversando il paradiso, rifletto tra passato e futuro, persone ed eventi. Cerco sempre di avvistare le isole, ma spesso si confondono da lontano con arcipelaghi di nuvole. “Quant'è grande 'st' Oceano”. Il mondo è bello anche visto da quassù, chissà come sarebbe bello vedercelo tutto. Bisognerebbe provarci, in fondo è tutto un dono. Ma quando arriviamo? Con Antonio alterno fasi dormienti, la musica funziona a tratti, fortuna l’mp3. Ma ormai il giro di canzoni è terminato. L’attesa continua. Acqua e nuvole.. acqua e nuvole. E poi l’arrivo. Lascio la parola al mio companero di viaggio che interviene alla grande in questa sorta di diario.
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!Goder! Arrivati a Fuerteventura…. Il nome stranamente mi ricorda ancora una volta il lavoro…ho un collega teramano che di nome fa “Ventura”, sfigato.. non va, sono ancora in piena atmosfera lavoro ed è domingo. Che SAUDAGI ! Devo approfittare del buon umore del companero DANZ e dimenticare i crucci di casa. Atterraggio morbido, come del resto il volo durante il quale si è dormito, per fortuna, ero stanco. A terra ci sono 24° e un leggero venticello. Sono le 11 del mattino ora italiana. Qua si comincia un po’ a sentire il jet-leg e il cambio di fuso orario è pesante, sento il bisogno di dormire a mezzodì!! Ah ah... Ora chiudo, ci aggiorniamo più in là... PS: Viva l’Argentina, viva Cynthia!! Siamo proprio arrivati. Scendiamo e subito c’è il vento, non un vento normale, è il vento delle Canarie, penso che questa caratteristica locale non ci lascerà più per tutta la vacanza. Mi guardo intorno, tutto strano, diverso, zone desertiche, pochissime piante, sole che scalda. Le valigie sono arrivate in aeroporto, la paura di rimanere ancora qualche giorno con la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini è svanita. Uscire dall’aeroporto è sempre una bella emozione, tantissime persone che aspettano, cartelli con nomi di gruppi, bandiere, ci sentiamo delle rock star o dei calciatori… mi viene in mente il video dei Blink 182 con il cartellone della ragazza “Travis, I am pregnant!”. Ci attende un ragazzo ben vestito con il cartello “Orlando rent a car”... tra poco scopriremo la nostra più importante compagna di viaggio, el coche con cui esploreremo l’isola. Arriviamo all'autorimessa e dopo la solita burocrazia ritiriamo il bolide: una Renault Clio. Sotto i nostri occhi, una ragazza di colore (che potrebbe recitare in una puntata dei Griffin o dei Robinson) lava la carrozzeria con cura e ripulisce gli interni a puntino, mettendo a dura prova gli 5
ammortizzatori: la stazza mi ricorda un po’ (in versione rasta) la tata di Rossella in Via col Vento. Ci accorgeremo solo poco dopo essere usciti dal magazzino di Orlando che non funziona la chiusura centralizzata dell’auto. Pazienza, ci toccherà portarci dietro sempre tutto il nostro patrimonio. Cominciamo a girare l’isola, direzione sud, Costa Calma dove ci aspetta il residence. Strade solitarie, drittissime, ci sembra di rivivere il video “Scart Tissue” dei Red Hot Chili Peppers. Poi mi rivengono in mente scene del film dei fratelli Cohen “Non è un paese per vecchi”. L’impressione che potrebbe fare è di un paesaggio desolante, ma è unico, trasmette qualcosa di forte, non riesco a descriverlo. La radio in macchina passa canzoni spagnole che sembrano a tema, perfino Antonio sembra felice, la famosa saudagi sembra essere alle spalle. Vediamo capre selvatiche che passeggiano vicino alla strada senza problemi, segnali stradali all’incontrario e a volte privi di senso, case bianche sperdute alla messicana. Arriviamo presto nei pressi di Costa Calma, dove dobbiamo ritrovare il faraonico Sunrise Monica Beach Hotel; il paesaggio sta cambiando, cominciano gli albergoni, palme su palme, uno spicchio di Beverly Hills ci attende. In realtà è un covo di tedeschi e attimo dopo attimo ce ne rendiamo conto sempre di più. Dopo essere passati rapidamente in camera andiamo a pranzo. Siamo affamati: patatine fritte, verdure, cibi surgelati vari, gelato, non facciamo sconti, spazzoliamo tutto. Scarseggia l’acqua. E’ un problema dell’isola quello dell'approvigionamento di acqua potabile: hanno i dissalatori, ma centellinano l’acqua in ogni modo, basti pensare che a tavola non abbiamo bottiglie d’acqua e sono abolite le caraffe; ogni volta che abbiamo sete dobbiamo spostarci al centro della sala per riempire un singolo bicchiere alla volta. Cercheremo di comprarne una tanica in qualche supermarket per avere la nostra riserva. Dopo pranzo primo impatto – negativo – con le strutture del villaggio; ebbene sì, quello del residence è decisamente un mondo a parte, chiuso tra sale giochi, ristorante e discoteca privata. In riva al mare c’è vento a volontà ed è impossibile prendere il sole distesi a terra senza rischiare la cecità per la sabbia negli occhi. I topless sono parecchi, ma solo una su dieci se lo può permettere e infine l’acqua del Signor Oceano è freddissima..... Antonio sembra resistere alla tempesta del deserto, io mi alzo piuttosto alterato e passeggio lungo la riva; l’acqua dell’oceano continua ad essere ghiacciata, mi sa che rimanderemo il primo bagno a data da destinarsi. Rifletto e canto, tanto tra sti’ tedeschi nessuno sembra capirmi. 6
Torno da Antonio e cerchiamo la svolta, dopo una camminata troviamo una zona piena di sassi e poi scogli sotto una specie di promontorio, il vento rimane, ma il sito è più ripaato, inoltre il problema sabbia è risolto. Rimaniamo come lucertole a prendere il sole, si canta, si ride e ci si rilassa fino all’ora di cena ripensando a “Supergiovane” di Elio e le Storie Tese ed al video del “Burrito”. Finalmente una doccia, dopo l’ultima di Macerata. Ci vestiamo da sera e andiamo a cercare la movida serale: ma dove? Tutte famiglie, tedeschi che bevono e vivono da organizzatori ( gli stessi animatori sono in gran parte tedeschi) tra i balli di gruppo e i musical. Ma a noi poi importa relativamente, è vacanza, vogliamo rilassarci e abbronzarci.. giusto? Allora si va a dormire, domani è lunedì…di vacanza dopo un anno di lavoro.. bella....
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14 Luglio 2008 “Jandia e Morro d’Alba (Morro Jable)” E’ Lunedì. Bellissimo alzarsi con questa sensazione. La vacanza inizia in fondo proprio oggi, la sveglia è intorno alle 9:00. Tranquilla colazione circondati dalle solite migliaia di tedeschi, con il caffè che non è caffè, ma tutto sembra relax, anche un semplice churro. Si va a comprare subito l’acqua (qui è veramente ricchezza da custodire) al supermarket e la mappa di Fuerteventura. Siamo pronti, si parte, il primo obiettivo è la penisola di Jandia a sud dell’isola. Faremo il giro della parte meridionale passando per il faro di Jandia, il punto più estremo, dopo Morro Jable (ribattezzata Morro d’Alba per ricordare la famosa “lacrima”) il paesotto più popolato di questa zona. Il paesaggio è maestoso. Cercherò di dare un’idea: non c’è niente, assolutamente niente. Zone desertiche, ci capita di incontrare belle capre selvatiche a cui chiediamo informazioni stradali. Da una parte il mare, dall’altra le montagne sembrano proteggerci da questo vento che a volte è imperiale. La nostra Clio è diventata una macchina da rally, strade pazzesche, buche, sassoni, sentieri che percorriamo ignari di dove finiranno. La radio ci accompagna, il paesaggio spesso ci blocca e ci costringe a scattare delle foto; il vento a volte con delle folate sembra travolgerci, ma in questo giro stiamo toccando con mano le rare bellezze del creato. Tocchiamo il punto più a sud di Fuerteventura: il faro di Jandia dove il Signor Oceano si manifesta in tutta la sua potenza. Il sole picchia duro, ma non è caldissimo, la temperatura è addirittura piacevole, anche se siamo alle due del pomeriggio. Cerchiamo relax tra gli scogli sotto il faro, i granchi e i pesci osservano le nostre mosse. Vediamo un granchio enorme, bellissimo, una parte delle chele ha un colore arcobaleno mai visto. Antonio cerca di combattere strenuamente con il signor granchio, cerca di bloccare la sua fuga, ma vince il crostaceo rifugiandosi nell'angusta crepa di uno scoglio. Scatta l’ora di pranzo, la natura chiama, l’unico posto dove è possibile trovare un pasto è lo pseudoristorante “specialità pesce” vicino al faro, gestito da due ragazze 8
locali, di cui una esageratamente superdotata. La nostra scelta ricade sulla paella con pescado classica, anche se inspiegabilmente ci mettono anche la carne, forse pollo. Ci beviamo un litro di blanco in due, e il tutto ci costa 45 euro: abbiamo forse scritto in fronte turisti da spennare? Comunque l’euforia c'è ed è amplificata dal nettare di Bacco da poco sorseggiato; cantiamo e contenti ci dirigiamo verso la costa occidentale di Jandia, fino alla spiaggia di El Cofete. Ecco quei momenti della vita in cui ti senti nel posto giusto al momento giusto, mi vengono i brividi a ripensarci. Ho visto la felicità, penso di aver visto quello che volevo vedere da sempre. Il cuore è pieno che mi sembra scoppiare, non so spiegarlo. Sono felicissimo e il vino non c’entra, sono passate un paio d’ore dal pranzo, mi sento il re del mondo come Di Caprio sul Titanic. Corro per la spiaggia, ad un turista urlo “sono felice!!” non saprò mai cosa mi ha risposto in quel momento. Antonio penso mi abbia mandato a quel paese. Il cielo è azzurro, il mare limpido, il fondo sembra verde, alle nostre spalle le montagne rocciose nella loro grandezza. Mi sento un bambino, ma manca ancora qualcosa, non abbiamo ancora fatto il bagno nell’oceano. Il Signor Oceano ci fa paura, merita il nostro rispetto. E all’improvviso la scintilla. Antonio da il “là” per la fine di ogni paranoia. Inizia il “naturismo”, qua in Spagna questa corrente sta facendo storia. Via il costume e via, correre verso l’acqua che ci sta aspettando, e dopo il freddo iniziale ci siamo: il signor Oceano è diventato nostro amico. Rimaniamo a prendere il sole (da naturisti) fino alle 19:00, poi ci ritiriamo. La paella di Jandia si fa ancora sentire, ritorniamo verso il Sunrise Monica Beach della Costa Calma e a cena più del gelato non riusciamo a mangiare; a seguire spettacolo di magia. L’illusionista è un clone di Chad Kroeger dei Nickelback. Immaginandovi una frizzante vita notturna, facciamo una puntatina nel paese più vicino, il nostro Morro Jable (o d’Alba che dir si voglia), ma, sarà che è lunedì, troviamo solo baretti costosi e chalet mezzi vuoti. Andiamo a dormire esausti, ma che giornata è stata oggi.
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15 Luglio 2008 “Naturismo e Spelonche” Comincerei stasera con il commento di Antonio sempre presente. Seduto, anzi disteso su questo letto della stanza 427, col sottofondo di un improbabile servizio su Kennedy trasmesso da Rai Uno, mi vengono in mente le belle immagini che i miei occhi hanno fotografato oggi… Tra tutti, i paesaggi naturalistici e quelli creati dall’uomo: i primi qui sono di gran lunga i più spettacolari, i più coinvolgenti, almeno per me… I piccoli borghi sperduti e fatti di quattro case intorno ad una chiesa non mi colpiscono, mi sembrano tutti uguali e privi di qualsiasi attrattiva. Solo la chiesa, anzi il portale “gotico atzeco” della chiesa di Pajara mi ha colpito in modo particolare…che ci facevano quei simboli sudamericani alle Canarie? Tutto il resto è stato un susseguirsi di brevi pause di un viaggio di tanti km in mezzo al deserto! Il bello di oggi penso sia stata proprio la natura, la spiaggia di Sotavento, con i suoi animaletti bastardi e molesti, la piscina naturale creata in riva al mare dalla bassa marea, il bagno in libertà nell’acqua dell’oceano Atlantico di fronte alle coste del Sahara Occidentale, l’estensione e la larghezza della spiaggia. Stupefacente! Dopo pranzo il solito strapazzo, dopo una strada di terra lunga e disastrata arriviamo alla spiaggia nera di Garcey e avvistiamo una bella grotta; mi sono arrampicato e c’è stato l’incontro con il pesciotto nero un po’ tardo. Altro contatto con l’elemento naturale arrivato al culmine nella seconda parte del pomeriggio: il passaggio per una stradina stretta e bordata da un tratteggio bianco di pietre per arrivare a Betancuria. Su, sempre più su, tra le pietre: la flora che cambia ci indica la maggiore presenza di umidità nell'atmosfera della quale le poche piante cercano di approfittare. Ad un tratto l’incontro con un roditore, forse una marmotta, forse uno scoiattolo, che ha la tana tra le pietre, sotto terra. Dapprima cerca di non farsi vedere bloccandosi immobile in mezzo alle rocce brune: cerca di mimetizzarsi. Noi curiosi ci avviciniamo e all'improvviso scatta a rintanarsi sotto terra. Bello! Si ricomincia poi la salita per arrivare al passo, dove si apre una veduta che ci lascia senza fiato..... niente da dire! Sopra di noi un rapace, forse un'aquila. Mi sento un animale tra gli animali, bello e ancora bello. 10
Il buon Dante continua a guidare e alla fine si arriva a casa, “pardon” all’albergo. Che sonno. Domani è un altro giorno… Dolce risveglio. Come già successo nelle ultime notti, tutto ok, tranne un paio di risvegli notturni per stoppare l’assolo russante del companero Antonio. Colazione ipergrassa, i tedeschi perseverano nelle loro abitudini alimentari basate su pancetta e uova di prima mattina, ma per ora io e Antonio resistiamo col partito del dolce e sgarriamo solo con i “frittissimi” churros, buoni, sembrano sciogliersi in bocca. Prima tappa di stamattina ufficio informazioni di Morro Jable e spedizione souvenir (malgrado l’insofferenza di Antonio per questi miei vizi commerciali). La signora dell’ufficio informazioni ci da’ buone dritte, il nostro obiettivo è quello di esplorare la zona nord dell’isola, dopo aver già completamente visto la zona sud e con la volontà di esplorare oggi il centro. E poi ci promettiamo di esaudire entro la fine delle vacanza due nostri piccoli desideri, Antonio quello di vedere da vicino l’azione delle pale eoliche, io quello di fare un giro sopra un cammello. Dopo il giro shopping, vamos in cerca di una spiaggia e sulla strada arriviamo al più famoso punto di ritrovo per windsurfisti di tutta l’isola, Playa de Butihondo. E’ incredibile quanto vento, quanto mare, quanta sabbia. Il signor Oceano è sempre ai nostri piedi, la spiaggia è larghissima e si estende in lunghezza per decine di chilometri. L’unico neo è la solita sabbia tagliente che spinta dal vento, raffica dopo raffica, si infrange sulle nostre povere gambe. A volte, complice la bassa marea, vicino alla riva sembra di camminare sulle acque, come fossimo dei santoni. Tratti di spiaggia, poi mare, poi spiaggia e così via, fino a che la profondità non diventa sufficiente a farci immergere: ci buttiamo in acqua secondo i principi naturisti. Sullo sfondo i surfisti ricercano l’onda della loro vita. Forse a volte è questo il senso, tutti noi cerchiamo un’onda e deve essere quella che ci porta lontano. Dopo il bagno rimaniamo a prendere il sole immersi per metà in una specie di piscina naturale in cui l’acqua è bassissima, sembra il paradiso. Una vita “da non muri’ mai”…. ma il nostro godimento si interrompe all’improvviso, bruciore improvviso, ci grattiamo, ma cosa abbiamo sotto? Antonio definisce “tipo mignatte” questi esserini di color bianco vitreo che ci stacchiamo dalla pelle; sembrano piccoli vermi di 2 o 3 millimetri di lunghezza. Dopo il trauma da piccoli Rambo che ci ha toccato nel profondo, ripartiamo e dato che passiamo per Costa Calma approfittiamo del pranzo già pagato in albergo. Poi rotta per la zona centrale dell’isola. 11
La prima tappa è Pajara: prima di arrivare all’ingresso del paese svoltiamo verso la spiaggia di Garcey, dove la storia narra che sia affondato un transatlantico tipo Titanic i cui resti sono ancora ben visibili dalla costa (inspiegabilmente il relitto non è stato mai tirato fuori dall’acqua). La strada per arrivare è tremenda, ci addentriamo nel deserto più assoluto a arriviamo alla mitica spiaggia. Niente transatlantico, ossia a largo si vede qualcosa che sembra uscire dalle onde: è l’ultimissima parte emersa della nave, ma da lontano potrebbe essere scambiata per una grossa roccia rossiccia. In compenso scoviamo una grotta bellissima che ci richiama la spelonca del Ciclope Polifemo, quante versioni… Entrando piano piano si vede in fondo una luce, mentre i pesci accompagnano la nostra esplorazione. Antonio riesce a prenderne uno, nero, molto bello. Lo battezza Jordan, dopo averci un po’ giocato e dopo aver fatto le foto di rito, lo ributta in acqua. La parentesi da esploratori è terminata e dirigiamo verso Pajara, cittadina che richiama fortemente i paesetti messicani. Case bianche, chiesa goticoatzeca (chiusa stranamente per tutto il pomeriggio) e qualche bottega tipica. Poi rotta per il Parque Natural de Betancuria e Ajui. Saliamo di quota su questa montagna rocciosa e il paesaggio ci rasserena e ci fa sentire vivi. Sopra la playa di Ajui si snoda un camminamento che sale ripido verso un promontorio a picco sull’oceano, punteggiato da grotte e con una distesa di sabbia nerissima in basso. La bellezza mi assale metro dopo metro, i gabbiani volano sopra di noi. Betancuria è invece un piccolo paese tra le montagne rocciose che sembrano appartenenti ad un altro pianeta. La strada è stretta ed è limitata da blocchi di mattoni dipinti di bianco e va sempre più su. Sotto di noi il nulla. In macchina guido e basta. Non riusciamo neanche a parlare, ma siamo felici, si vede anche negli occhi di Antonio. Il mio compare catoplepa vede uno scoiattolo, ci fermiamo, e il piccolo animale si nasconde nella sua tana. E’ particolare, ha una coda atipica. Proseguiamo il nostro viaggio verso Antigua, poi Tiscamanita e infine Tuineje. Sono paesi famosi per l’artigianato, i prodotti di ceramica e l’aloe vera, ma si avvicina l’ora di cena e tutto è ormai già chiuso o sta per chiudere. Torniamo tardi nella nostra dimora alberghiera, siamo veramente stanchi, dopo cena andiamo a letto. Un pensiero mi accompagna nel sonno: senza nulla togliere alle altre esperienze, penso che sia la vacanza più bella della mia vita. Sono felice e in questi posti trovo 12
il Dante che mi piace. E anche se non lo ammetterà mai, penso sia la stessa cosa per Antonio.
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16 Luglio 2008 “Lanzarote: il vulcano, la nuvola e il cammello” Ci svegliamo alle 7:00. Dopo aver deciso la sera precedente l’orario del risveglio, ci rendiamo conto che la scelta è la più giusta, anche guardando il cielo fuori della finestra. L’obiettivo è esplorare il nord senza programmi più di tanto stabiliti, considerando che però entrambe le isole del nord, Lanzarote e la Isla de los Lobos, dovranno essere visitate prima della partenza. Il cielo ci aiuta a decidere. Nuvole immense, c’è molto vento e il solito sole africano che ci ha accompagnato fin dall’arrivo sull’isola, oggi non sembra voler uscire. Comunque incuranti del pericolo facciamo colazione e io stavolta cedo alle lusinghe delle abitudini alemanne: bacon and eggs. Basta non pensare che mi sono appena svegliato, le papille gustative si abituano. Partiamo e durante il viaggio in macchina, tra foschie, nuvole e la temperatura che sembra scendere di qualche grado, scegliamo la nostra meta del giorno: l’isola di Lanzarote. “E’ come andare sulla luna” ci hanno detto in molti.... è l’isola, tra quelle dell’arcipelago, più vicina all’Africa (appena 100 chilometri) e quella vulcanica per eccellenza. A Corralejo, il paese più a nord di Fuerteventura, prenderemo il traghetto che ci trasporterà sulla vicina isola. Non essendo il tempo dei migliori, la scelta di non fare vita da spiaggia è sicuramente più che giusta. Mi sento però un po’ giù di morale, sono metereopatico e spero che all’improvviso il sole faccia capolino tra le nuvole. La radio che ci accompagna ci viene in aiuto e finalmente trasmette un po’ di musica internazionale dopo ritmi spagnoleggianti a go go i questi giorni. Riassaporiamo David Bowie, The Corrs, Natalie Imbruglia e gli immancabili degli anni 80’. Arriviamo a Corralejo e subito ci traumatizza il prezzo del biglietto: 160 euro per noi due più Clio. E’ una bella botta, non ce l’aspettavamo, ma in fondo in vacanza o tutto o niente. Questo pensiero mi risolve il cruccio iniziale e ritorno felice come un bimbo quando ci informano della possibilità di fare una piccola escursione a cammello appena giunti a Lanzarote. Dopo appena venti minuti avvistiamo l’isola, il sole appare e scompare, tempo incerto. Ma sono felice... navigare mi è sempre piaciuto, anche se, in fin dei conti, ho fatto sempre tratte brevi nella mia vita. E’ bello vedere l’acqua che scivola via 14
sotto la barca, le onde, il mare che si illumina di riflessi e il vento che mi scompiglia i capelli (ormai sono peggio di Francesco Renga). Scendiamo dal battello a Playa Blanca e dopo essere usciti dall’area portuale rimaniamo a bocca aperta ancora una volta. Sembra di essere sul set di “2001 Odissea nello Spazio” o nel Regno di Mordor del “Signore degli Anelli”. Che paesaggio, la strada è drittissima e tutto ciò che vediamo intorno è ricoperto di lava. Aiutano a comporre la terrificante scenografia anche le nuvole che si muovono cattive, tutto scuro, assenza di luce, la bellezza sta nella potenza che questo posto ci sta trasmettendo. La prima tappa è Timanfaya, da come ci hanno detto lì potremo fare il nostro incontro ravvicinato con i nostri fratelli cammelli. E’ freddo, la temperatura sembra scendere, il sole ormai è un’utopia, ma mi basta vedere da vicino questi animaloni così buffi e buoni, che butto via tutta la negatività. Salire sopra un cammello è divertente, ma anche una prova di equilibrio. Immaginate una povera bestia sollevare da terra due lonzoni come me e Antonio, uno da una parte e uno dall’altra. Su e giù, su e giù, il cammello che si gira, il cammello che si abbassa, e noi contenti che cerchiamo di accarezzare la gobba. Molto bello. Dopo questa mia attesa esperienza, ci addentriamo nel Parco Naturale di Timanfaya. Entriamo in una terra vulcanica vera e propria, paesaggio di un altro pianeta, rosso, nero e marrone che predominano, la lava che ci circonda. Arriviamo perfino in un ristorante dove sfruttano ancora gli “effetti vulcanici” e mettono a cuocere la carne sopra una specie di cratere. Con un pullman cominciamo un giro prodigioso in una zona off limits, la voce della guida in più lingue ci accompagna, abbinata ad una colonna sonora da film colossal o biblici. Da far venire la pelle d’oca, sembra l’Armageddon. Atmosfera unica. Antonio lo vedo, sembra quasi commosso: io non riesco a rendermi conto nemmeno di dove sono. Sono pieno di emozioni. Dopo esserci risvegliati da questa visita metafisica, ci dirigiamo in direzione Yaiza e approdiamo per ristorarci in uno snack bar nel paesetto lanzarotese. Yaiza è troppo sudamericana, richiami continui al Messico: sul nero del fondo predominano le casette bianche e uno strano color verde distribuito sui pali della luce e sugli infissi di porte e finestre. Conosciamo un personaggio tipico della zona: Julian. 15
Julian fa il pintor-imbianchino, barba nera e capelli lunghi ricci, voce roca e potente alla Freddy Krueger. Per noi è semplice prendere confidenza, capisce che siamo italiani ed essendo un appassionato di moto tesse le lodi di Valentino Rossi e Marco Melandri ai danni del loro Pedrosa. Ritiene poi inconcepibile che noi chiediamo il permesso di fumare nel locale, lui non l’ha mai fatto e gioca un po’ a prendere in giro la barista, ormai è un “abituè”. La foto con lui è obbligatoria. Lanzarote meriterebbe di essere perlustrata più a fondo, ma alle 18 c’è l’ultimo traghetto che ci riporterà a Fuerteventura, ci dobbiamo muovere. Dopo averlo bevuto a pranzo, ci rendiamo conto di cosa dobbiamo portarci via da Lanzarote come ricordo: il vino. Grazie a una signora che passeggia per le vie di Ayza, ritroviamo una piccola cantina fuori dal paese. Il buon Don Miguel, agricoltore oriundo, produce il vino nei terreni vulcanici lì intorno e si dimostra molto disponibile quando gli facciamo capire la nostra intenzione di acquistare qualche litro del suo prodotto: spilla dalle botti prima il tinto.. poi il blanco e dulcis in fundo anche il moscato. E la vida diventa loca. Paghiamo e sorridenti usciamo con due bottiglie di vino, di plastica, altre non ne aveva. Tutto sa di casereccio. Prima di tornare a prendere il traghetto a Playa Blanca ci dirigiamo verso l’ultima tappa, El Golfo e Charco de los Clicos dove possiamo ammirare una strana laguna di colore verde. Incredibile quanto delle rocce possano diventare delle espressioni artistiche. Insenature di ogni forma si affacciano sull’oceano, la spiaggia è nera come il petrolio e in mezzo una laguna verde che sembra essere un piccolo gioiello. Ci domandiamo il perché di questa laguna, ma in fondo è così, qui sembra tutto speciale e privo di risposte. Ci imbarchiamo alle 18 e salpiamo. Il sole sembra uscire proprio adesso, dopo una giornata nuvolosa. Prendiamo il sole sul ponte del traghetto e parliamo della nostra soddisfazione per il viaggio. Sta andando tutto per il verso giusto e, senza togliere nulla alle altre esperienze ed agli altri viaggi del passato, penso che questo sia il più bello e spettacolare che abbia mai fatto. Dopo la cena al Sunrise Monica Beach ci godiamo lo spettacolo in discoteca di un gruppo cover degli Abba, così bravi che sembrano quelli veri. Le due ragazze con belle coreografie cantano in coretti notevoli. Con la loro bellezza e bravura offuscano la prestazione del terzo elemento, un chitarrista al centro del palco. Brindiamo con un goccio di whisky e andiamo a letto contenti. 16
Siamo felici entrambi e quando succede qualcosa del genere bisognerebbe urlarlo al mondo intero.
Con Antonio ci siamo divertiti a riassumere con delle parole chiave momenti ed episodi della vacanza.. Ecco qua…(senza un ordine di importanza ben preciso…)
POCCE NATURISMO CIUCCIO VENTO SIGNOR OCEANO MULINO CAPRA CAMMELLO ALEMANES DUCADOS CHINTIA JULIAN DON MIGUEL JORDAN PORCO DITO JAFAR, ACIF E AGADIR GATTI CATOPLEPA
17 Luglio 2008 17
“Vento e deserto” Ci svegliamo come sempre presto, alle 7:00. Ancora a Nord per l’esplorazione di spiagge e di paesi dell’entroterra. Il tempo sembra essere buono, partiamo dopo colazione verso Corralejo, la spiaggia e la vita da spiaggia sono gli obiettivi della mattinata. Ad aspettarci troviamo il deserto vero e proprio, sembriamo sul set del film Lawrence d’Arabia, il vento è fortissimo e la sabbia assomiglia ad una lama sulle nostre povere gambe. Camminiamo tra le dune, c’è una specie di strapiombo di sabbia e Antonio si butta giù rotolando, sembra sparire in questo nostro piccolo Sahara. E’ impossibile stendersi e prendere il sole, siamo sommersi da questa tempesta di sabbia. Ci spostiamo allora a ridosso della costa, verso una zona meno desertica, intorno a noi windsurfisti, kitesurfisti e surfisti da ogni parte del mondo: è casa loro. Camminiamo tra sassoni e l’acqua è limpidissima, il fondo è verde e i pesci piccolissimi. Proseguiamo poi verso Corralejo, che è la cittadina più grande del nord di Fuerteventura, ma il centro è una zona commerciale e preferiamo dirigerci verso le spiagge che circondano il paese, la prima è Machanicho. Non è un posto troppo pulito, si vedono roulotte e baraccopoli all’orizzonte, ma è sempre tutto selvaggio e ci piace. Il vento non è troppo forte e ritorna il nostro naturismo, ormai siamo dei veri e propri attivisti. A pranzo andiamo a Lajares, dove possiamo provare il famoso capretto, dopo averne incontrati tanti per la strada in questi giorni. Una coppa di vino rosso a testa accompagna la degustazione di formaggi e della carne, appunto di capretto, in umido. Siamo abbastanza appesantiti, ma soddisfatti. Dopo la “magnata tipica” andiamo a La Oliva, paese dell’entroterra. E’ come fosse una città fantasma, il sole picchia e ci accompagna nella visita. Visitiamo la casa de Los Coralones, vecchia reggia dei signori del paese ristrutturata recentemente per volontà del saggio Juan Carlos. Il capretto si fa sentire e la 18
passeggiata al chiuso nel castello è un toccasana. Ci sono dei particolari interessanti e salendo in cima al torrione il paesaggio è mag-nifico (come direbbe George Clooney nella pubblicità della Martini), si vede in tutta la sua grandezza il monte Tyndaia a forma di cono. Avvertiamo la prima “presenza” italiana del viaggio, una coppia di Lecco, ed è un piacere parlarci, mi mancavano certe espressioni, l’Italia è l’Italia. Il sole viene e va’, ma fiduciosi ci dirigiamo verso un’altra spiaggia, El Cotillo. Anche qui il panorama e l’ambiente ci trasmettono positività, non mancano i surfisti, ma sono assenti i naturisti. Ci riposiamo. Describir, vivir, volver. E’ bellissimo, ma siamo un po’ stanchi. Il sole ci lascia definitivamente, fare il bagno senza sole, con il forte vento e con il capretto nello stomaco ci sembra difficile. Ripartiamo verso le 18 e ci scapppa un giretto per la città portuale di Gran Taralejo: caos totale e tanto traffico. Ripartiamo stanchi e affamati verso Costa Calma. Immancabile la serata, dopo cena, al bar del Signor George Pedro di Don Perignon (ribattezzato così da Antonio). Gli chiediamo due amaretti, ma lui ci prepara due rum, e poi altri due... ci avviamo verso la devastazione. Ci ritroviamo a ballare – tra pensieri e parole – i pezzi migliori “La Colita”, “La Bomba” e infine “Torero”, ballo che me gusta mucho. Ne sentiremo parlare. Buonanotte a tutti i suonatori.
18 Luglio 2008 19
“L’isola dei lupi o dei cani?” Altro risveglio nella camera 427, domani sarà il giorno della partenza. La solita sveglia alle 7:00 si trasforma in un risveglio alle 8:00. Abbiamo sentito entrambi la sveglia, ma ci siamo riaddormentati simultaneamente. Stanotte addirittura sentivo Antonio parlare da solo, evidentemente stiamo invecchiando, ci stiamo disabituando agli stravizi. Il cielo non è proprio sereno, ma siamo ottimisti. Oggi è in programma la visita alla Isla de Los Lobos, l’isola dei lupi, dei cani, o “de li callupi”. Saremo dei piccoli Robinson Crusoe, data al descrizione che ci hanno fatto dell’isola. Dopo la colazione e il rifornimento alla ormai nota pompa di benzina, ci incamminiamo per l’ennesimo viaggio verso il nord. Penso a quello che resta da vedere, domani andremo via e un po’ mi dispiace, il tempo per visitare ed ammirare tutte queste bellezze non basterebbe mai. Arriviamo a Corralejo con il cielo nuvoloso, silenzio e morale basso spadroneggiano nell’abitacolo della Clio. Fortuna l’autoradio, all’improvviso Love generation di Bob Sinclair ci rinvigorisce, volume a palla, finestrini abbassati e noi che salutiamo i passanti. Arriviamo al porto per imbarcarci, stavolta senza l’auto, per Los Lobos e il tempo sembra cambiare poco a poco. Il viaggio sarà brevissimo, una decina di minuti, la piccola isola è vicinissima. Sul traghetto si può stare all’aperto sul ponte, o sottocoperta e, attraverso i vetri montati direttamente sulla chiglia, si può vedere il fondo del mare, i pesci e le stelle marine sfilare via. Antonio è perseverante e rimane giù, io faccio spola tra l’interno e l’esterno. Mi piace stare a prua mentre si naviga. Mi sembra di essere Cristoforo Colombo, mi faccio fare una foto da un inglese mentre ci avviciniamo lentamente a Los lobos. Il sole picchia forte, siamo fortunati oggi. Si dice che in quest’isola ci sia una razza particolare di granchi albini, chi riesce a vederli sarà fortunato per tutta la vita. Non ci credo a priori, ma in fondo sarebbe bello trovarne uno, magari ci autoconvinciamo di essere per sempre fortunati. Approdiamo, terra, terra. L’isola sembra disabitata, ci dicono che in un paio di km ci dovrebbero essere due o tre baracche dove “forse” si potrebbe mangiare anche qualcosa. Tutto il resto è selvaggio, ci avviciniamo alla prima spiaggia, l’acqua è limpidissima, passa dall’azzurro, al verde, fino al blu. Incontriamo una famigliola proveniente da Roma. Emblematico il personaggio del capofamiglia, un signore distinto che sembra essere arrivato alla soglia dei cinquanta. Importante la frase, mentre parla della sua vita e dei suoi figli piccoli: 20
”Io mi sono sposato a 41 anni, voi siete fortunati…l’importante è vivere, avere dei ricordi”. Da qui partirebbe la riflessione interiore, io e Antonio ci guardiamo e ci capiamo al volo. Stiamo producendo dei ricordi futuri, questo ci fa sorridere. Andiamo avanti per la playa, non resistiamo e facciamo subito il bagno, il naturismo è d’obbligo, ormai siamo entrati come in un vortice. E la cosa buffa è che gli altri bagnanti a volte ci imitano, siamo degli apripista. Antonio ha gli occhialini tecnici e facciamo una sorta di snorkelling base, vediamo i pesci e le alghe. E’ curioso, ma sott’acqua ci sono parecchi pesci morti e scattiamo pure delle foto in compagnia di questi piccoli cadaveri. Ci sarebbero dei sentieri da percorrere intorno all’isola, ma è ora di pranzo e raggiungiamo la baraccopoli adibita a ristorantino e ci mangiamo la solita paella de mariscos. A questo punto è doveroso un piccolo intervento postumo di Antonio che, rileggendo il diario di viaggio, si è accorto di una colpevole omissione del companero Dante...... ..... siamo in ballo, l’isola è fantastica e invita a sognare e alle 11 del mattino, nonostante una faraonica colazione consumata nella sala mensa del nostro residence, il buon Dante si fa prendere da un attacco di panico paranoico! Non c’è nulla da mangiare sull’isola e la fretta di imbarcarci ci ha costretti, qualche ora prima, a rimandare a momenti più tranquilli la ricerca del pane e del companatico! Sentiamo da più voci che dovrebbe esserci una baracca che sforna dei piatti caldi e, benché fossi fin dal mattino orientato verso l’acquisto di un modesto ed economico panino da asporto, non riesco a guardare gli occhi da fiera dantesca del mio compagno di viaggio che si fanno sempre più vuoti e bramosi di paella coi mariscos. Ancora una volta, anche nell’isola più selvaggia che ho mai visitato, bisogna cedere al consumismo e alla nostra indole “italiota” che ci spinge a “magna’ i maccaroni” in qualunque lido si approdi! Arrivati finalmente alle baracche dopo qualche chilometro di cammino con Dante in preda ai miraggi, ci trattano malissimo (fuori dall’ambiente ovattato dei residence per tedeschi, non è che i villici siano molto cortesi con i turisti, anzi sono abbastanza teste di cazzo) e ci dicono che è possibile mangiare solo su prenotazione e che è tutto pieno per almeno 2 ore. Si sfiora la crisi isterica! Sono appena le 11:30 e a me starebbe bene anche mangiare uno o due gelati confezionati, tanto per fermare la fame, e ripiegare poi nel tardo pomeriggio su 21
un’abbondante merenda-cena al residence, ma Dante, sempre più” lonza” dantesca, punta i piedi e diventa fanciullo reclamando il pasto a sedere. Penso che non sarò mai un buon educatore... cedo per il quieto vivere alle insistenze di Dante e cerco di convincere il gestore a darci retta. Riusciamo a rimediare, secondo me più per la faccia supplichevole di Dante che per i miei tentativi di convincimento, due abbondanti porzioni da asporto di paella e alla fine si libera pure un tavolo e ci tuffiamo a capofitto nella comida. Dopo tanto penare era venuta fame pure a me..... A tavola nasce il dibattito tra me e Antonio, il tema è l’inquinamento, il colore dell’acqua, Civitanova, Canarie. Io sostengo che la bellezza dell’acqua e il colore sono indici di assenza di inquinamento, Antonio ritiene che l’inquinamento di un’acqua non si basa nè sulla bellezza, nè sul colore. Forse la ragione sta da ambedue le parti, ma non si riesce a trovare un accordo, il sogno si scontra con la tecnica. Dopo mangiato ci inoltriamo per un sentiero, è molto bello nella sua solitudine. Ho un imprevisto eritema solare sulle braccia, fortunatamente Antonio ha una maglietta a maniche lunghe e così cerco di coprirmi, rischio di andare a fuoco. Ricevo un messaggio del vicedirettore della filiale, lunedì sarà a lavoro (doveva andare in ferie, ma evidentemente sono saltate). E’ il primo sintomo della vacanza che sta finendo. Per un attimo, dopo questo sms e l’eritema solare, sono con la mente già a Macerata. Verso le 17 ritorniamo con il traghetto a Fuerteventura. Mezzi ustionati, ma felici per l’ennesima giornata positiva, ci apprestiamo a rifare la strada che ci riporterà a Costa Calma. Dopo aver visitato le Saline che troviamo sulla via del ritorno, una tappa è obbligatoria per chiudere il cerchio e soddisfare il desiderio di Antonio: dopo la mia passeggiata sul cammello è il turno delle pale eoliche. Prendiamo una strada secondaria sabbiosa che ci conduce sbandando a più riprese sotto questo complesso di eliche giganti. Quanto è imperiosa questa energia eolica, Antonio è felice, si vede, e io lo sono, anche per lui. Torniamo contenti e sereni, anche se la vacanza sta finendo. Dopo cena, preserata con un bel musical sui Queen, poi i soliti balli di gruppo, aspettiamo fino alla fine “La Colita” e il nostro “Torero” che ormai ci è entrato nel sangue. La nostra coordinazione nel balletto sta migliorando, quasi come gli animatori. Poi a nanna che domani ci aspetta l’aereo.
19 Luglio 2008 22
“Madrid e la Colombia” Sveglia alle 9 e ultima colazione in mezzo ai nostri crucchi nordici. Troviamo in camera un piccolo pupazzetto dell’uomo ragno: è un segno, non so di cosa ma sembra un segnale. Sarà la nostra mascotte per il ritorno. Oggi si parte e per l’ultima volta facciamo la salitella che ci conduce alla pseudo sala-ristorante del residence. Il solito vento fresco del mattino, gli “hola” dei tedeschi che incontriamo, la casetta puzzolente dei gatti sulla destra sotto le palme. Ultima colazione, pancetta e uova. Adios Alemania. Riconsegniamo le chiavi e con gioia ci togliamo il braccialetto di plastica che eravamo obbligati a portare come segno di riconoscimento. Salutiamo la spiaggia e la Costa Calma, un bel sole ci sorride, ma non è eccessivamente caldo. Sulla radio ci accompagnano le note di James Blunt, “Carry you home”, come al solito la radio legge i nostri pensieri. Passiamo dal nostro “Orlando rent a car” e lasciamo la nostra coraggiosa Clio. Sembra abbia partecipato alla Parigi - Dakar. Dopo i controlli di rito ci trasportano con il pulmino all’aeroporto di Fuerteventura, check-in e poi pranzo con un bocadillo. Faccio in tempo a comprare l’ultimo souvenir e si va. Seduti a ridosso di una delle uscite di emergenza dell’aereo, siamo investiti di maggiori responsabilità e dobbiamo studiarci un opuscolo con le manovre da porre in atto in caso di disastro. Il viaggio si rivela da subito tremendo: alla mia destra Antonio, ma alla mia sinistra uno degli individui più puzzolenti della storia umana. E’ un misto tra il nostro Stefano Blanchi (vecchio collega del liceo classico), Jeff Turner, allenatore di Mark Lenders e un simil Messner delle Canarie. Barba lunga, scuro di carnagione (poche docce forse?) e bracciali colorati ai polsi, camicia di lino a maniche corte e jeans. Vuoti d’aria e stanchezza fanno da contorno a queste continue folate di puzza orrenda. Il tempo non passa mai. Arriviamo a Madrid e oltre ad un’ora di fuso in più, troviamo anche un caldo umido pazzesco, abbiamo veramente cambiato continente. Fuerteventura ci manca, ma compro in aeroporto dopo giorni di astinenza la gazzetta dello sport. Arriviamo sudando alla fermata autobus e il numero 101 ci porta ad Avenida Alcalà, la via dell’albergo. Lasciamo le valigie e programmiamo un giro per la ciudad. Antonio ci è già stato qualche anno fa e con mappa e cartina della metro alla mano ci avventuriamo. Il mio sogno è visitare il Santiago Bernabeu, Antonio cerca di dissuadermi perché secondo lui è troppo lontano dal centro, ma i miei occhi da bambino lo convincono. Prendiamo la metro e risaliamo in superficie proprio davanti a questo
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tempio del calcio e ripenso a tante storiche partite: l’Italia del 1982, la Juve del 95’ e del 98’. Lo stadio è chiuso, ma da una porta riesco a intravedere un pezzo di prato. Anche la tienda dei souvenir è chiusa, riesco a fare solo qualche foto nei dintorni. Sono felice, sono riuscito almeno in parte a respirare l’atmosfera storica di questo stadio, rifletto sui casi della vita e sul destino che ci porta a situazioni ed emozioni mai immaginate prima e Antonio sintetizza il mio pensiero con una delle sue chicche: “Che ne sai quanti giri fa na’ boccia?” (dietro la semplicità c’è un mare magnum). Per sdebitarmi con il mio compagno di viaggio e soprattutto per ringraziarlo per la sua pazienza (a lui non gliene poteva fregare nulla del Bernabeu) gli offro un aperitivo nel bar all’interno dello stadio. Una bella sangria fresca accompagnata da un mucchio di olive salatissime apre la nostra serata di movida madrilena. Dopo aver studiato la metropolitana, arriviamo a Plaza Mayor che è stracolma di gente. Madrid pulsa. E’ una città viva e multietnica: mi sento spaesato. C’è una festa in piazza, colombiani su colombiani, bandiere che sventolano, magliette, bottiglie per terra, gruppo che suona sopra un gigantesco palco. Tutti sembrano scatenati, cerchiamo di tagliare tra la folla ed è caldissimo. Vaghiamo alla ricerca di un posto dove mangiare e ci troviamo davanti il Botin, locale caratteristico della città. Il metre di sala ci fa accomodare (dopo un giro inspiegabile e inquietante per le cucine) in una fresca sala, siamo sotto terra, come in una vecchia cantina. Vino tinto carissimo, io vado per il maialino da latte, Antonio opta per il vitello. Buona cucina, vino bello tosto, è una serata carnivora. Tra sangria , vino e stanchezza siamo quasi in dimensione parallela. Uscendo rifacciamo Plaza Mayor e balliamo in mezzo ai colombiani che con alcol e musica festeggiano la loro nazione lontana, ma che li unisce qui in Spagna. Sventolo la bandierina, w la Colombia, w Shakira, ecc.. Dopo aver sbagliato inizialmente la direzione della metro, stanchi e poco lucidi, ritorniamo verso la zona albergo, è mezzanotte passata. E’ caldissimo e tra 3 o 4 ore suonerà la sveglia per tornare in aeroporto. Che sonno, adios Madrid.
20 Luglio 2008 24
“Il ritorno tra sogno e realtà” Ore 5:00. Non sento la sveglia, fosse stato per me sarei rimasto li per una decina di ore. Antonio mi risveglia dal mio stato comatoso. Taxi sotto l’hotel e ci troviamo in poco tempo al terminal, ma alla porta 1, dobbiamo camminare parecchio per arrivare alla porta 2. Check-in e poi graditissima colazione al bar, ci stiamo avvicinando piano piano all’Italia, sentiamo più voci amiche in aeroporto. Ci assentiamo a turno per motivi fisiologici, e poi ci imbarchiamo. Con dei flash mi tornano in mente i nostri incontri, i posti ammirati, sembra essere stata un’odissea, un’avventura esaltante riuscita alla grande, che mi lascerà soltanto ricordi positivi. Siamo riusciti a vedere e a vivere quello che desideravamo, siamo andati d’accordo nei nostri compromessi e nei nostri comuni intenti, salvo rare e ininfluenti occasioni (vedi russare e shopping). Pur essendo come la teoria e la pratica, come il sogno e la realtà, questo Dante e questo Antonio hanno condiviso una continua esplorazione, una continua esplosione di emozioni. Magari potevamo riposarci di più, in fondo abbiamo macinato km su km, ma non avremmo potuto vedere e vivere tutto quello che poi abbiamo visto e vissuto. Abbiamo staccato completamente con le nostre vite, con il nostro mondo, e in fondo è questa la cosa più importante. El Cofete, le caprette per i sentieri, Lanzarote e i vulcani, i cammelli, le pale eoliche e tanti altri momenti e pensieri mi accompagnano nel viaggio di ritorno, sempre tra le nuvole, sempre tra l’acqua e il cielo. Ma perché è la prima volta che scrivo una sorta di diario di bordo? Mi pongo questa domanda, in fondo di viaggi ne ho fatti degli altri più o meno lunghi in passato. A parte il fatto che mi piace scrivere penso che in quest’età e in questo momento della vita riesco ad assaporare meglio l’attimo, a conservarlo e a cercare di portarlo con me. Ne riesco a capire probabilmente una maggiore importanza e ho l’esigenza di esprimerlo in qualche forma. E poi con Antonio, oltre alle stronzate, c’è una condivisione di qualcosa che va oltre la cultura, malgrado le due visioni di vita a volte opposte, la definirei amicizia letteraria ed espressiva. Ripenso alla scritta fuori del centro informazioni turistiche a Morro Jable: “Vivir, Describir, Volver”.... la partenza, il vissuto, la scoperta e li ritorno. Atterriamo a Roma. 25
Vedo Antonio contentissimo, ritornare a casa è sempre speciale, lo sono molto anche io, anche se quelle isole mi mancheranno. Dopo aver chiamato il Parking Go per farci accompagnare all’auto, risaliamo o bordo e decidiamo di tirare dritto verso Macerata, programmando solo una pausa metano e bisogni. Potremmo così fare pranzo con le nostre famiglie. Il tempo passa velocemente, è caldissimo e in un batter d’occhio ci troviamo in Via Verga, dove con un fischio Antonio saluta suo cognato e sua sorella che escono in terrazzo. E poi io, quando apro la porta di casa e in cucina trovo tutti, in particolare mio nonno che si avvicina.... racconti, regali, tortellini e poi il sonno che rigenera. Se potessi scegliere un’ipotetica sigla finale dovrebbe fare così (ovviamente coi due protagonisti della storia che ballano sui tavoli)…
“Torero, poner el alma en el ruedo, no importa lo que se venga pa' que sepas que te quiero, como un buen... torero,(ollleeeee....) me juego la vida por ti...”
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