cornelio fabro l'angoscia esistenziale come tensione di essere-nulla, uomo-mondo nella prospettiva di heidegger e kierkegaard articolo originale scritto per psichiatria e territorio vol. iv num. 1 (1987)
la centralità che l'epoca moderna ha consegnato all'uomo, nella determinazione della verità col nuovo concetto di libertà come autonomia e autodeterminazione, ha capovolto l'asse della riflessione dalla sfera della realtà, cioè dell'essere del mondo come realtà, alla possibilità, alla libertà come progettarsi infinito cioè indeterminato ch'è un decidersi di-e-per rimettere sempre in questione la decisione stessa e di qui l'angoscia (1): è la nuova essenza appunto della libertà come possibilità. e' al fondo di questa dinamica che opera l'angoscia (2) o piuttosto essa si trova sempre in agguato per rodere le aspirazioni della vita e corrodere i suoi progetti. forse è per questo che in heidegger (3), come presto vedremo, mentre l'angoscia del nulla ha un posto di rilievo e quasi dominante negli scritti della prima maniera esistenziale che fanno leva sul nulla (das nichts des seienden) a partire da sein und zeit (1927), in seguito con l'affermarsi della kehre che fa leva sull'essere dell'essente (das sein des seienden): essa quasi scompare per far emergere l'essere stesso (das sein selbst) e finisce, negli ultimi scritti, per pensare l'essere puro senza l'essente (das sein ohne das seiende) i. dall'angoscia di essere nel mondo alla liberazione totale del puro essere dell'evento: heidegger possiamo pertanto iniziare l'analisi a ritroso e cioè con heidegger, cominciando con l'osservazione che il suo ricorso al fascinoso termine dell'angoscia, allo angstphänomen, non è andato più in là di un espediente letterario od al più di un indugio transitorio per un'operazione fenomenologica rivelatasi ben presto superflua. la problematica heideggeriana dell'angoscia nasce indubbiamente, ed a sua stessa confessione, dall'omonimo saggio di kierkegaard, alla cui celebrità e riscoperta ha contribuito non poco lo stesso heidegger (4). l'origine della riflessione sull'angoscia sembra per ambedue la medesima cioè il nulla, l'emergere del nulla nell'esistenza come ambito della libertà cioè il rinnovantesi svuotarsi della realtà del mondo ad ogni decisione e progetto dell'esistenza. se non che l'origine di siffatto nulla, ch'è il padre dell'angoscia, si trova esattamente agli antipodi e proviene, si dovrebbe od almeno si potrebbe dire (il punto, come diremo, è assai importante per giudicare il rispettivo superamento dell'angoscia) da tradizioni speculative opposte: in kierkegaard dalla teologia biblica ossia come riflessione sulla creazione dal nulla e sulla conseguente caduta originale della prima coppia umana, in heidegger dalla identità di essere e nulla della dialettica hegeliana: il primo a partire dall'essere, il secondo a partire dal nulla (5). di qui una differenza ancora più fondamentale e profonda - e quindi il sospetto che heidegger abbia manipolato la sua fonte ed abbia fatto ricorso ad una inversione di direzione fra le due concezioni: quella cioè che l'angoscia kierkegaardiana esprima la crisi della libertà come possibilità di distaccarsi e pertanto precede la caduta ossia la scelta della libertà e deve risolversi in funzione appunto del superamento dell'alternativa nell'autocostituzione del soggetto, mentre per heidegger essa segue la "caduta" (verfallen) ed è concepita come la "situazione emotiva fondamentale" (grundbefindlichkeit) ossia come apertura caratteristica dell'esserci o essere dell'uomo (dasein) nel mondo. per heidegger non ci sono che due protagonisti: l'impersonale man riferito all'uomo, ed il "mondo" (welt) nel senso diltheyano della totalità del divenire storico e
pertanto ancora più impersonale poiché diventa la sorgente o la causa della dispersione cioè impersonalità o dissoggettivazione, che dir si voglia, del primo. (…)
(1) varrebbe la pena poter seguire le avventure filosofiche del termine "angoscia", ma nessuna esaurisce l'intensità esistenziale della suggestione affascinante e insieme ambigua di tale situazione: angoscia non è ansia, timore, spauento, costernazione ...'ma li richiede tutti ed altri ancora. càsi dread, anxiety, fear, in inglese. (2) nella letteratura, soprattutto post-tridentina, emerge prepotente l'azione dell'angoscia (cfr. calderon de la barca, ed anche nel uersante della riforma inglese: f. ferrara, shakespeare e la commedia dell'angoscia, annuario univ. degli studi dell'aquila, vol. ix (estratto, spec. p. 21 ss.). (3) la "daseinsanalytik" di heidegger presenta un doppio vantaggio in psichiatria: anzitutto quello di "rinnovare la base della ricerca psicopatologica empirica", e poi "... grazie alla elaborazione del concetto esistenziale della scienza, pone la psichiatria in generale in grado di svincolarsi dalle effettualità, possibilità e limiti del suo progetto scientifico del mondo" (l. binswanger, die bedeutung der daseinsanalytik martin heideggers für das selbstverstàndnis der psychiatrie, nel uol.: "martin haideggers einfluss auf die wissenschaften", bern 1949, p. 58. per jaspers, come accenneremo, la situazione è diversa. (4) ma heidegger nella produzione kierkegaardiana preferisce, al begrebet angest ed al sygdommen tu doenen, i "discorsi edificanti" (sein und zeit, iv aufi. halle a.s. 1941, p. 190, n. 1). (5) anche se, a lato di entrambi, si può parlare di una comune matrice luterana che fa capo alla gewissensangst (cfr. m. luther, kirchen-postill:eine andare predigt am fiinften sonntag nach trinitatis), ed. j.g. walch, halle i. magdeburg 1797, p. 839 ss., spec. p. 841).