CARME 2
Io resto, attendo il giorno al suo sesto e vasto grado: non vado a Stalingrado, recedo all’impiego ma-solo- nell’optimum maximum della phantasmagorica phantàsia ché dell’aereo avis-gettante boeing ho timore e, io, “I soldi non ce li ho”. All’aurora è aurescente Mattino inodore: verdi luci brevi vedi da un balcone seduto, metallico e muto tra le nevi di questo piano periferico mi rappresento il Nulla le soglie d’un infinito chiuso da monti morti, un pianoro nebbioso longobardo di paura pura... Eppure epura la coltre farraginosa, temente, vigliacca; il sole e il suo raggio la scaccia come biacca o cacca dalla bicocca fumo e ingollo boccate d’albicocca albeggiante ... inspiro... espiropoi inspiro di nuovo: velendiossido mercurio vivo e bromo e poi... Chi si ricorda? Milioni di sostanze sostano nelle stanze delle arterie dure in queste vene da lemure, venefiche e pure, puro purè di quest’alba invernale che tarda... Io scrivo bene solo al freddo, nel niveo ossigeno infrequente trastullo la mente con paesaggio che trasmuta ma il freddo è il solito, lo stesso; bestia d’acquaragia rinnegata e randagia ai passi tra muri e sassi smargiassi né magri né grassi, e i calcinacci coi geloni rivestono di grigie simpatie il vaporoso saluto che dedico a te, mio lago munto dal rosa del pizzo. Ammanta bieco il gelo il pelo d’azzurree volte inamidato e combusto son io dal rado gelo vero, di vetro: duro poi, reso cadavere
con la destra che scrive per inerzia e risorge parole, che mi cosparge l’asparago dello spirito domenicale e sottile, fine e spettrale a ricordarmi l’ora in cui sono morto -tanto tanto tempo fain una silloge di pentagrammi a tratti, tra grappoli di grumi di vita e grammi di voci viste tra soci e croci, cubiche partite lubriche: un biliardo dove ciò che contava era l’estrema, l’ ultima, la Nera, il miliardo di luci, di teschi-noci, di caos tra caleidoscopici roteanti automatici sorrisi lanciati coi “ciao” e i “come va” Qui tutto bene... E tu? Non c’è più per me questa convenienza: l’evidenza è che siedo qui da secoli, immemore del gioco dei vivi. Morto già sono: nel gelo resto, immerso nel freddo celeste a indorarmi così d’una nuova alba eterna.