Analisi Delle Prose Montaliane

  • April 2020
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Introduzione.

I. Le violon d’Ingres.

Commentare è un’arte. Penetrare nel segreto di un’opera, sia essa scritta in parole, tradotta in immagini, o cantata in un accordo, è compito ambizioso, spesso irto di difficoltà, tanto per il critico quanto per il lettore. Capita talvolta, però, di imbattersi in commenti di artisti su artisti, in chiose che uniscono alla nobiltà dell’argomento l’affascinante voce di una personalità eccezionale. Quando poi a illuminarci sul mistero dell’arte corre in aiuto un poeta, allora la magia è assicurata. È successo con Chateaubriand per le cattedrali gotiche, con Baudelaire per Delacroix, con Zola per Manet, e poi avanti fino a Pasolini, che le opere d’arte non s’è accontentato di commentarle, ma le ha inserite tali e quali in alcuni dei suoi film…1 È successo con Eugenio Montale. 1

Cfr. René de Chateaubriand, Génie du Christianisme (Lyon, 1809) ; Charles Baudelaire , L’art romantique (1868) ; Emile Zola, Edouard Manet, études biographiques et critiques (Paris, 1867). Pier Paolo Pasolini, già allievo di Roberto Longhi, drammatizza scene ritratte in capolavori d’arte inserendo nelle sue pellicole dei tableaux vivants fedelissimi alle raffigurazioni originali : v. l’episodio La ricotta in Rogopag (1963), dove in due tableaux rivivono La Deposizione di Rosso Fiorentino (1521) e quella del Pontormo (1528). A questo riguardo cfr. P.M. De Santi, Cinema e Pittura, Art e Dossier n.16, Giunti, Firenze, 1987.

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Avvicinarsi alla sua produzione poetica è già impegnativo, ma la mole delle prose che ci ha lasciato in dono richiede forse, nella sua vastità, uno sforzo ancora maggiore. Tra saggi e articoli si trova di tutto: recensioni operistiche, scritti musicali, cronache di mostre ed eventi culturali, fino alle interviste, alle osservazioni riguardo la società, la letteratura e l’estetica. E su tutto svetta la personalità di un uomo, spesso distante dall’immagine ufficiale di poeta, cosciente della sua originalità come dei limiti, della propria coerenza artistica come delle cose che non è riuscito a fare. Montale scrive le Prime alla Scala con passione da addetto ai lavori perché, al di là della competenza in materia, è un baritono mancato. Ed è un poeta che scrive di pittura e scultura perché, per sua stessa definizione, è un pittore della domenica2. La grandezza di un artista sta, è ovvio, in ciò che è riuscito a produrre, nell’eredità spirituale che ha lasciato a chi è disposto a raccoglierla, ma nessuna personalità artistica può dirsi esplorata nella sua completezza senza un riferimento a ciò che non è 2

Il poeta si definisce un “pittore della domenica, anzi di poche e lontane domeniche” in Con tanti auguri a Tabusso (lettera di presentazione al catalogo della mostra dell’artista Francesco Tabusso realizzata nel 1969 a Torino). Il testo è riportato in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte Musica Società, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996 (SA, pag. 1452), d’ora in poi abbreviato come ISM, AMS. Le “poche e lontane domeniche” si riferiscono, senza dubbio, ai periodi di villeggiatura trascorsi a Forte dei Marmi, dove l’incontro col pittore, stimatissimo, Raffaele De Grada, lo avvicina appunto alla pratica pittorica.

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arrivato a fare, a ciò che avrebbe voluto ma non ha realizzato. In un’intervista del 1966, a chi gli chiede ragguagli sui suoi “passatempi” pittorici, Montale risponde:

“La pittura è stata così un violon d’Ingres (…) anzi sospetto che i miei quadri saranno, un giorno, l’unica mia produzione valutata, l’unica cosa per cui sarò ricordato”3.

In questo caso il poeta non è stato un buon profeta, ma non bisogna ignorare la presenza di una certa dose di sorniona ironia, somministrata cautamente quanto diffusamente nella quasi totalità delle esternazioni montaliane. Se occorre riconoscere che i disegni e i pastelli lasciati non eguagliano, per forza espressiva, un solo osso, nondimeno essi si caricano di nuovo interesse se ripensati alla luce delle idee del poeta sull’arte e sulla pittura, se guardati come saggi, forse ingenui, di quella figurazione naturalisticamente originata dal dato reale, ma portatrice al tempo stesso di significati “altri”, ritenuta l’unica schietta forma di espressione artistica. Tale convinzione, integrata e confrontata con altre considerazioni estetiche, emerge con chiarezza dalle prose di Montale, per esplicita ammissione dell’autore,

3

Da un’intervista rilasciata da Montale nel 1966 a Paolo Bernobini, ora contenuta nella videocassetta Montale racconta Montale a cura di G. Sica, Einaudi – RAI Educational, Torino, 2000. La stessa intervista è riportata, in versione integrale e col titolo di Montale svagato in ISM, AMS, cit. (Interviste, pagg. 1649-1655).

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o depositata tra le righe di un commento un po’ più accorato. Così una recensione diventa occasione per indovinare i sottintesi di un uomo straordinario, del suo pensiero e della sua poetica, e porre magari in evidenza aspetti poco considerati del suo essere artista e critico. Montale ci ha lasciato una quantità notevolissima di scritti in materia musicale e letteraria, tanto da apparire quasi inadeguata la definizione di “secondo mestiere”, da lui attribuita alla propria attività di critico rispetto a quella, ufficiale, di poeta da Premio Nobel. Dalla lettura di questo copioso materiale è piuttosto agevole

rintracciare

i

capisaldi

del

pensiero

montaliano, le coordinate dei suoi percorsi estetici tra poesia e musica, arti tradizionalmente “sorelle” ma assai raramente, come negli scritti del genovese, trattate con tanta ampiezza di prospettiva. Motivo, questo, per cui tale aspetto della sua produzione critica è stato nel tempo oggetto di numerosi studi. Le prose riguardanti l’arte figurativa creano invece qualche difficoltà in più. Numericamente esigui gli Scritti sull’arte, il resto è costituito perlopiù da parentesi, brevi quanto dense di significato, all’interno di prose d’argomento più generale, oppure incastonate nei versi di una poesia. Sono perle, veri indizi di poeticità, nelle quali la sinteticità di giudizi e definizioni, lungi dal lasciare il 8

lettore insoddisfatto, apre invece spiragli indicativi sul rapporto profondo che lega Montale all’universo delle arti figurative, troppo spesso solo accennato e passato in second’ordine in conseguenza della maggiore prolificità dell’autore alle prese con altri ambiti artistici. La presente trattazione, comprendente tre sezioni, intende rintracciare e soprattutto esplodere tali “illuminazioni”, così da raccordarle in un discorso unitario che contribuisca a

completare la già nota

figura del Montale critico letterario e musicale. Nella prima parte si rende conto dell’evoluzione della montaliana Idea dell’Arte: a partire dalle giovanili considerazioni estetiche, soprattutto in rapporto alla vita, contenute nel Quaderno genovese, in seguito profondamente influenzate dallo studio di un’opera filosofica capitale quale l’Estetica crociana, per giungere infine al disincantato e amaro “testamento morale” licenziato con Auto da fé dal poeta ormai maturo. Segue la sezione intitolata Il secondo mestiere e la pittura, dove trovano spazio le prose riguardanti in modo specifico l’arte visiva: dagli Scritti sull’Arte più significativi, dedicati ad opere e artisti figurativi, agli incontri con Braque e Brancusi raccontati in Fuori di casa, fino alle prose di fantasia ispirate al tema della pittura e al mistero insondabile della creazione artistica. 9

Anche nell’ambito di una trattazione, come questa, non incentrata sulla produzione in versi di Montale, appare comunque necessario un riferimento, benché privo di qualsiasi pretesa esaustiva, alla poesia del genovese: nella terza e ultima parte, intitolata Poesia e Pittura, trovano infatti spazio quei soli componimenti in cui il poeta allude, più o meno apertamente, alla propria passione per colori e tavolozza. Seguono infine alcune considerazioni parallele tra i versi del genovese, tratti in particolare da Ossi di seppia, e i temi cari alla pittura metafisica. Si vuole così proporre un modo (uno solo, tra i tanti possibili) per leggere, in filigrana, l’amore per l’arte di un uomo che, impegnato nel suo “secondo mestiere”, non dimenticò mai, non poté dimenticare, d’essere poeta.

10

II. Nota alle abbreviazioni. Ove non diversamente specificato, per rintracciare più agevolmente i saggi, gli articoli, le recensioni e tutti gli scritti montaliani citati, si è fatto riferimento all’edizione critica dell’opera omnia di Eugenio Montale, pubblicata (in cinque voll. più un vol. di Indici analitici) da Arnoldo Mondadori per la collana “I Meridiani” nel 1996, in occasione del primo centenario della nascita del poeta.

Si annotano di seguito i volumi e le sezioni, con relativa abbreviazione, da cui sono stati tratti i brani citati:

- Eugenio Montale,

(ISM, AMS)

Il secondo Mestiere. Arte Musica Società. a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1996. Auto da fé

-

(AF)

Prime alla Scala

(PAS)

Altri Scritti Musicali

(ASM)

Quaderno genovese

(QG)

Scritti sull’arte

(SA)

Sulla propria lirica

(SPL)

Inchieste

(INC)

Interviste

(INT)

Eugenio Montale,

(PR)

Prose e racconti, a cura di Marco Forti e Luisa Previtera, Mondadori, Milano, 1996.

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Farfalla di Dinard

(FD)

Fuori di casa

(FC)

La poesia non esiste

(PNE)

Trentadue variazioni

(TV)

Prose varie di fantasia e d’invenzione (PFI)

Le poesie sono tratte da:

-

Eugenio Montale,

(TLP)

Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1990.

Per i saggi letterari ci si riferisca a:

-

Eugenio Montale,

(SP)

Sulla Poesia, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1976.

12

PARTE PRIMA

L’Idea dell’Arte

13

Capitolo 1. L’estetica ai tempi del Quaderno genovese. “ Se nella mia vita non scocca – e presto – una scintilla, io sono un uomo finito. Ma quale scintilla?” Eugenio Montale, Quaderno genovese.

1.1 Un diario d’arte e poesia.

Eugenio Montale (1896-1981) stende il suo Quaderno tra il 1915 e il 1917, anno in cui viene chiamato alla prima delle due guerre di cui sarà testimone e inizia a confrontarsi coi più vivaci intellettuali del tempo. Considerato

il

più

antico

scritto

di

Montale

pervenutoci, il Quaderno genovese4 è una preziosa testimonianza originale circa gli studi, gli “incontri” letterari, le prime composizioni di una personalità in velocissima evoluzione. Si tratta di appunti sulle letture effettuate presso le biblioteche Universitaria e Brero di Genova, sua città natale, di note critiche, già sorprendentemente acute, data la giovane età dell’autore, intervallate da alcuni

4

Rinvenuto, senza titolo, nella villa del poeta a Monterosso, il diario fu denominato Quaderno genovese solo nel 1983, quando venne pubblicato per la prima volta da Mondadori, a cura di Laura Barile, edizione a cui si rimanda per il puntuale apparato critico. Il Quaderno è anche in ISM, AMS, cit. (QG, pagg. 1280–1340).

13

versi, spesso solo abbozzati ma dei quali si può facilmente evincere la chiara derivazione crepuscolare. Appena ventenne, in tasca un diploma di ragionerie di cui non andrà mai molto fiero, impiegato temporaneo, suo malgrado, nella società commerciale paterna, Eugenio si dedica, letture a parte, alle lezioni di canto impartite dal famoso Ernesto Sivori, che vede nel giovane un promettente baritono. Con la morte del Maestro, Montale abbandona la strada per il palcoscenico, cui in verità non dovette mai sentirsi troppo destinato, per l’indole schiva e la consapevolezza di non essere fornito di quella dose di “imbecillità”5 che contraddistingue, nelle sue parole, ogni vero artista. Di tale esperienza resterà, fin oltre gli anni milanesi, una passione inestinguibile per la lirica, soggetto principe

dei

suoi

scritti

5

prima

sul

Corriere

A proposito di Sivori e della lirica: “…Ero l’unico allievo sul quale aveva fondate speranze… Già meditavo di darmi alla fuga, perché cominciavo a scrivere qualche articolo su Il Lavoro di Genova, ma la morte del Maestro fu decisiva … e poi non avrei resistito all’ambiente, alla vita dell’artista lirico, che è piena di problemi, di sacrifici, e impone due qualità diverse e inconciliabili: il genio e l’imbecillità, diciamo così. Io non so se avessi genio, certamente no, ma non ero completamente provvisto neanche di imbecillità. Quindi non si sa che cosa sarebbe venuto fuori da questo connubio.” (da Montale svagato, cit.). Alla passione di Montale per la musica e il bel canto Carlo Emilio Gadda (in rapporto continuo benché talvolta distante col poeta) dedica l’articolo Montale, o l’uomo-musico, nel quale riconosce la medesima ricerca espressiva alla base dell’esercizio canoro come della creazione poetica : “La voce, nota o parola, musica o poesia, è lo strumento principe dell’uomo pensante e senziente. La transizione dal canto alla lirica si manifesta in lui come un passaggio spontaneo: evoluzione fisiologica, felice ed ingenua metamorfosi della urgenza espressiva”. (Già ne Il Tempo n. 196, 1943, ora in Il tempo e le opere. Saggi, note e divagazioni, a cura di Dante Isella, Adelphi, Milano, 1982, pagg. 161-166).

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d’Informazione, poi sul Corriere della Sera, la prestigiosa testata di cui diverrà, dal 1948, redattore. Il periodo della formazione giovanile, che giunge sino al ’27, quando Montale si trasferisce a Firenze, vede la presenza di una guida fondamentale: l’amata sorella Marianna, che segue Eugenio, l’unico in famiglia a non ricevere un’istruzione superiore, nello studio delle materie umanistiche e in particolare della filosofia. Montale riesce così a superare quel “ritardo” letterario sentito

insopportabile,

notevolissimo

guadagnandosi

anzi

un

intellettuale

rispetto

ai

vantaggio

coetanei. L’ampiezza dei suoi interessi è attestata dal Quaderno. Sfogliamolo. La prima pagina si apre con la bozza introduttiva, addirittura anteriore alla stesura del diario, di una Storia della letteratura italiana. In verità si tratta dell’incipit di un ambizioso progetto che Montale pensa di condurre con l’amico Mario Bonzi, al tempo collaboratore della rivista letteraria Riviera Ligure, che non sarà però mai realizzato. Bonzi, con la sua poesia appassionatamente decadente, è un importante riferimento per la maturazione stilistica del giovane Eugenio, che lo ricorderà a distanza di cinquant’anni con immutata ammirazione.6 6

Del poeta genovese Mario Bonzi (1896-1982) Montale parla nell’intervista del 1975 Ho scritto un solo libro: “[…] e M.B., al quale devo molto. Divenne poi uno specialista dell’arte del Seicento, scrittore prezioso

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Nonostante il carattere provvisorio, l’introduzione alla Storia della letteratura pensata da Montale la dice già lunga sull’esigenza fortissima di una critica riformata, genuinamente artistica, breve e soprattutto vera, che sia d’esempio alle migliaia di pagine scritte dalla “cultura laureata”, in più di un’occasione avversata dal poeta:

“Mancando in Italia una Storia della letteratura scritta con serietà; e cioè con intendimenti di analisi puramente artistiche e non (social)filosofiche, politiche e sociali; noi abbiamo divisato di riempire questo vuoto con un libro che presenti sulle altre opere consimili il vantaggio della brevità e della sincerità.[…] I suoi autori non appartengono alla classe - peraltro rispettabile – dei letterati provvisti di lauree […], essi sono semplicemente due amanti della bellezza in arte perfettamente convinti che questa s’identifichi in fondo con la Sincerità e però con la Verità […] N.B. Avvertire della propria ignoranza.”7

Tale spirito “sovversivo” rispecchia la bohéme provinciale della Genova prebellica in cui Montale muove i primi passi della sua avventura letteraria, sull’esempio

degli

artisti

dell’avanguardia

crepuscolare, soprattutto di Giovanni Boine.8 La frequentazione vociana introduce il giovane all’incontro con il Simbolismo francese, assimilato non molto stimato da Longhi. Forse è ancora vivo.” Per il testo dell’intervista cfr. ISM,AMS, cit. (INT, pagg.1720-1725). 7 ISM, AMS, cit. (QG, pagg.1283-1284). 8 Di Boine (1887-1917), il giorno della sua scomparsa, Montale scrive: “Per l’avanguardia (parlo della parte seria di essa) il danno è incalcolabile. Ma che ci siano rapiti tutti quelli che valgono qualche cosa? Era un critico d’oro nella rassegna spicciola dei libri; un poeta che sapeva affascinare con certi sospiri di stanchezza che sgorgavano dalle sue pagine tra linea e linea.” In ISM, AMS, cit. (QG, pag. 1325).

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solo a livello poetico, ma nell’atteggiamento stesso nei confronti della vita, che si fa polemico, eccentrico e dunque tutto “letterario”. Il movimento gli appare una sorta di appendice consapevole del Romanticismo, del quale riconosce la portata rivoluzionaria a livello spirituale, non però senza rilevarne l’insufficiente autocoscienza critica, che affiora solo con l’avvento del Simbolismo, corrente finalmente “artistica” proprio per il suo carattere spregiudicato, oltre che individualistico. Baudelaire, Rimbaud, e soprattutto l’amato Verlaine sono i campioni insuperabili di quel simbolismo improntato ad un principale

motivo

“impressionismo musicale”9, ispiratore

della

concezione

montaliana di una poesia coincidente coi suoi valori sonori, già attuata in alcuni esperimenti poetici come i sette Accordi pubblicati su Primo Tempo nel 1922, di cui sopravviverà solo Corno inglese, compreso negli Ossi di seppia dell’edizione gobettiana10. La poesia deve dunque fondarsi sulle sensazioni, frammentarie e allusive, più che sulle idee, poiché queste, da sole, appartengono al dominio della filosofia, mentre il campo della poesia è la sensibilità.

9

Per una ricognizione sui modelli letterari e le influenze musicali del primo Montale cfr. R. Luperini, Storia di Montale, Laterza, Bari 1999, capitolo I L’avanguardista malinconico. Sul Simbolismo letterario e figurativo cfr. S. Fugazza, Simbolismo, Mondadori, Milano, 1991. 10 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Gobetti, Torino, 1925.

17

L’arte può dunque risultare poco comprensibile alla mente quanto aprire spazi infiniti all’immaginazione, e in tal caso si tratta di arte pura, eccellente, che va però indirizzata a chi la sa intendere, agli “happy few” di wildiana memoria, per i quali l’individualismo diventa condizione medesima dell’essere vivi. A parte la figura grandiosa e già mitica del Des Esseintes di À Rebours, il romanzo di Huysmans divenuto vero oggetto di culto dell’ intera generazione simbolista, lo spunto gli deriva forse, in modo meno scontato, anche da Marziale, del quale annota sul Quaderno un passo riguardante l’eticità dell’arte:

“L’arte non è mai morale, né può esserlo, poi che essa è esaltazione di individualità; mentre la morale esige la retrocessione dell’individuo nella collettività. Bueno.”11

La prima opinione estetica espressa dal giovane Montale

non

prevede

allora

intenti

morali

nell’esercizio artistico, quanto la ricerca di una bellezza formale che sia di per sé significante e nella quale riconoscere l’origine e il fine dell’intera pratica poetica, musicale o figurativa. Dopo poche pagine, però, Montale sembra cambiare idea, e allude addirittura ad una missione etica insita nell’artisticità: 11

ISM, AMS, cit. (QG, pagg.1285-1286).

18

“L’opera d’arte è vita; chi non ha vissuto non sviscera, non conosce né anche la vita.[…] Comunione coll’opera d’arte è comunione coll’artista creatore; sdoppiamento, a volte fusione completa con lui; annullamento dunque della propria personalità. È la gioia di non essere più, la gioia anzi di essere un altro! Arte è dunque moralità infinita perché è comprensione e amore.”12

L’apparente cambiamento di rotta non deve però trarre in inganno: lungi dal riferirsi ad un insegnamento etico, la “moralità infinita” dell’arte s’identifica in quel senso di fratellanza spirituale che unisce gli uomini eletti nella comune contemplazione estetica, nel sentimento condiviso del bello, nel miracolo di riconoscersi in altri scrutando se stessi. Lo scopo dell’artista, specie del poeta, è quello di prolungarsi negli altri, renderli parte di sé, utilizzando il minimo dei mezzi: l’opera d’arte, nei suoi valori formali, non è che un trampolino per la nostra immaginazione, coinvolta a tal punto da ricreare in noi la visione dell’artista, a partire da quella rete di echi e rimandi che costituisce la vera sostanza artistica. Una

considerazione

va

però

aggiunta,

ed

è

fondamentale: l’opera d’arte, in quanto espressione di un’individualità irripetibile, di un quid incomunicabile, non può mai essere compresa completamente. Anzi, si arriva a definire un eventuale elemento accessibile un accidente dell’opera, che ambisce 12

ISM, AMS, cit. (QG, pag. 1291-1292).

19

semmai ad aprire nuove intuizioni in individualità rinnovate, riscoperte. I diversi passaggi attestano in ogni caso l’importanza documentaria rivestita dal Quaderno riguardo la formazione del “protomontale” alle prese coi primi ragionamenti estetici e letterari, in un momento, non dimentichiamo, in cui la filosofia del Croce si è già largamente imposta al centro di animatissimi dibattiti. La

riflessione

del

poeta

s’inquadra

ancora

perfettamente nella già accennata cornice simbolistacrepuscolare, con la sua malinconia, i suoi umori umbratili, l'afflato universale e al tempo stesso la destinazione a pochi. Borghese, giovane e insoddisfatto, Montale s’avvicina d’istinto ad un altro grande francese: Flaubert, apprezzatissimo per il suo sguardo profondo e disincantato sulla condizione umana, ritenuto molto più illuminante delle mille disquisizioni dei filosofi. L’uomo è un provvisorio fenomeno che passa e va, semplicemente, in un quotidiano tanto vuoto da ispirare più disprezzo che ribellione, e un sentimento di pietà per il prossimo che già non è più amore, quanto rimpianto per un improbabile eroismo. Sguardo doloroso, senza dubbio, e reso ancora più pungente dal contributo di analoghi prestiti leopardiani, a riprova delle ideali convergenze poetiche tra Montale e il recanatese, tanto spesso indagate dalla critica. 20

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