2005 Marzo

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pro manuscripto ni di “famiglie” che rendono più sano e vitale il corpo sociale, ed anche più felice!. Non sempre però “salute” e “sanità” coincidono. La salute, bene prezioso e sempre auspicabile, qualche volta cede il posto alla malattia. E’ il momento della prova, del buio, della sospensione. In questi momenti occorre continuare a credere con tutte le forze che anche questa SURYD q DPRUH GL 'LR Chiedere a Lui, con perseveranza e fede la guarigione e fare tutta la nostra parte per riacquistare la salute, ma occorre anche il distacco, una virtù cristiana che ci ricorda che siamo fragili creature nelle mani di Dio e che ci aiuta a riconoscere in un eventuale insuccesso della medicina la Sua volontà. In questi momenti la famiglia ha l’occasione di vivere a contatto con l’Assoluto, con l’eternità. E spesso, per una grazia specialissima, salute e sanità paiono valori inversamente proporzionali. Viene a mancare la salute ma la famiglia è più sana che mai, perché ognuno dei suoi membri, per amore a Gesù Crocifisso, ha saputo accogliere in sè il crudo del dolore e trasformarlo in amore. Alcune testimonianze di “famiglie sane” hanno completato questo primo tema.

Ciao! Sono una ragazza che frequenta questa parrocchia. Anche io, come i miei coetanei, ho molti impegni che possono essere lo studio, lo sport, un corso di musica ecc…, ma nonostante tutti i giorni abbia molto da fare, cerco sempre di fermarmi un momento e pensare a Gesù, l’unica cosa davvero importante che cerco di mettere al primo posto nella mia vita. Un modo per stare vicino a Gesù, oltre che con la preghiera, per me è fare qualcosa che mi metta in contatto con il prossimo e cercare di amarlo come il Signore ci ha amati. Così quasi tutte le sere, dal lunedì al venerdì (In questo periodo di quaresima dal lunedì al giovedì perché il venerdì c’è la Via Crucis, a cui invito a partecipare) vado al LABORATORIO “GIOITE” aperto poco tempo fa nei saloni parrocchiali. In questo posto abbiamo modo di divertirci facendo bricolage, dipingendo vetrate, realizzando dei mosaici, cucendo e addirittura cucinando! (Lunedì 15 gennaio abbiamo fatto dei biscotti niente male…) Tutto questo naturalmente, amandoci e rispettandoci reciprocamente tenendo Gesù in mezzo a noi. I programmi per i prossimi giorni sono vari e divertenti: vi anticipo solo che abbiamo pensato di imparare a fare il pane, vedere dei film e anche usare il computer. Non è importante quali e quanti talenti ognuno ha, noi cerchiamo di metterli insieme per farli fruttare. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “ Il nostro atto d’amore può essere paragonato ad una goccia d’acqua, ma senza quella goccia l’oceano sarebbe più povero”; cerchiamo di fare la stessa cosa con i nostri talenti e uniamoli insieme affinché formino un oceano di amore e speranza per il mondo che, come vediamo ogni giorno è sconvolto da disgrazie perché l’uomo ha deciso di vivere senza Dio. Non è imposto di venire tutte le sere al LAB-ORATORIO, quando si ha tempo, al posto di vedere qualche programma un po’ banale. Vi invito ancora una volta a partecipare a questa bellissima iniziativa per divertirci, ma anche per fare la volontà di Dio. Tutte le sere dalle 18,30 circa alle 20 vi aspettiamo (se volete!!!!!!!) Divertitevi e gioite con noi….

Anno VIII - Marzo 2005 - n. 3

Bollettino Mensile della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria - Silvi Marina www.gioiaesperanza.it

…potrebbe sembrare l’annuncio televisivo di una telenovelas o un talk-show televisivo di genere sentimentale, che sta per andare in onda. E questo è uno degli usi più frequenti del termine “passione”. Qualcuno lo attribuisce genericamente alla terminologia cristiana, ma per la Chiesa il triduo di Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, che stiamo per vivere è tutto, è la pienezza, è come una nuova creazione. Mi sembra riduttivo allora riferirla a un periodo limitato di tre giorni, mi sembra poca cosa rievocarla solo nei momenti di sofferenza. Mi sembra importante leggerla e interpretarla alla luce del trionfo della vita meritato dal Signore Gesù. Passi- ones da pati, la derivazione latina, porta questa traduzione; patimento, sofferenza, ma anche affezione dell’anima, sentimento che la scuote. Spazia dunque oltre le reazioni immediate e passeggere della sfera emotiva, è

più profondo di una sofferenza fisica, e non può essere limitato alle contingenze temporali ma la passione è qualcosa che tocca una dimensione molto più profonda del nostro essere; l’anima, il nostro respiro divino ed eterno. Mi piace pensare allora che appendiamo il crocifisso sul muro o lo portiamo al collo perché ci ricordi ogni giorno la passione di Gesù non per volerne imitare gli stessi tormenti (…anche il Signore ha pregato che quel calice gli fosse risparmiato) ma per desiderare d’imitarne lo stesso amore appassionato alla volontà del Padre. Il gesto con cui c’identifichiamo come cristiani, il sacrificio eucaristico quotidiano sono l’invito alla

gioia cristiana che vive la consapevolezza che in ogni vicissitudine, siamo nelle mani di Dio. La passione è allora quel movimento previo, costante e fervido dell’anima che riconosce la vita , in tutti gli avvenimenti, piacevoli o meno come dono di Dio; è il desiderio che porta alla fede. La Passione che aspettiamo di rivivere a giorni, quella che è la ricchezza di tutta la vita cristiana, non è la croce in quanto tale ma è passione d’amore che diventa abbandono nelle mani di Dio, fino a consegnargli totalmente la vita . Nella sofferenza, nel dolore se ci è richiesto, ma con lo stesso trasporto, con la stesso abbandono, con la stessa passione… appunto, se ci è chiesto di andare in ufficio, di cucinare, di studiare, di godere degli amici, di un evento gioioso, della semplice quotidianità . Cercando una metafora che renda l’idea mi viene da pensare alla “ passione” come al tipo di “rumore” o di suono prodotto da una macchina che lavora, che cammina. La passione non è il

motore, non è il carburante non è la carrozzeria, ma è quella cosa che dice che la macchina è in funzione, pronta per una passeggiata, per un trasporto pesante, per una discesa o una salita. La Passione di nostro Signore Gesù Cristo deve diventare il nostro modus vivendi, il nostro approccio naturale alla realtà; la passione dovrebbe essere il nostro modo di guardare, attento e grato, alla grazia di Dio che ogni istante ci raggiunge. E’ il modo più immediato, più completo, e più efficace per diffondere la Buona Novella…trasmettere passione, passione per la vita come dono, passione che coinvolge, e che provoca gli altri a chiedercene ragione . Passione che ha in se anche nei momenti più belli, il dolore da condividere con i fratelli che sono nella prova e, quella “santa inquietudine”, come la chiama S. Agostino, di non riuscire ad amare l’Amore come meriterebbe e come desidereremmo!

Un amore che è relazione, una relazione che è amore: i due condividono l’intero progetto di vita, avendo come modello la S. Trinità. Un modello altissimo, quasi irraggiungibile. Ma Dio non può averci creato per cose impossibili, per cui Lui che ci ha amati per primo, ci accompagna nel quotidiano cammino fra difficoltà ed inadeguatezze nostre. Gesù ha detto: “dove due o tre sono ULXQLWL nel mio nome, Io sono LQPH]]RDORUR´ Se Egli non l’avesse detto esplicitamente, come avremmo potuto pensare che Lui il Risorto, L’(VVHUH per eccellenza, volesse prendere dimora nelle nostre case ed essere guida, maestro, compagno di viaggio della famiglia? Ma Gesù l’ha detto e le promesse del Vangelo sono vere, a condizione che nella coppia ci sia Unità, uniti nel suo nome dal sacramento del matrimonio e uniti da quell’amore che attinge al Vangelo. Il vero (VVHUHdella famiglia allora, è proprio quando questa Presenza è fra noi; quando la Persona di Gesù viene in mezzo a noi e ci fa “piccola chiesa domestica”, luogo della presenza di Dio sulla terra. %HQHVVHUHGHOODIDPLJOLDQuando si vuole definire una famiglia stabile, unita, che funziona si dice che è una famiglia “sana”. La fonte a cui attingere per comprendere o rivitalizzare e rinverdire l’amore, fondamento della vita armonica di tutti i membri della famiglia è Dio-Amore. Così i fidanzati scopriranno la bellezza , la sacralità, il dono insieme alle esigenze dell’amore coniugale; sarà l’amore di Dio nei cuori che donerà la vera scoperta della FRUSRUHLWj, non più vista come malizia, ma nei suoi aspetti positivi di creatura. Il benessere della famiglia, anche nelle espressioni più intime, ha origine e garanzia nell’amore. Il bene racchiuso nell’amore sponsale è benedetto e voluto da Dio per la felicità degli sposi : “7XWWDODFUHDWXUDGHYH

ORGDUH 'LR´ Con la nascita dei figli i genitori hanno un ruolo fondamentale per il benessere dell’intera famiglia. Nella famiglia la vita dell’altro è preziosa come la propria: è nella famiglia che naturalmente si accende e si spegne la vita, che trovano accoglienza affetto e cura l’handicappato, l’anziano, il malato terminale. Il valore della famiglia nel prendersi cura dei suoi membri, nella gratuità e nel dono, (atto spontaneo perché scaturisce dall’amore), fa tra l’altro abbassare costi ed oneri sociali a vantaggio dell’intera comunità sociale. La famiglia è “come un intreccio d’amore” amore nuziale, materno, paterno, filiale, fraterno, amore di nonni verso i nipoti e viceversa, per zie e cugini…..; la famiglia è frutto dell’amore di chi l’ha preceduta, messa a disposizione dei membri, arricchita e ritrasmesso per il benessere di chi verrà. Un altro fattore di benessere nella famiglia è il suo sapersi porre come anello di congiunzione fra generazioni. Nessun uomo è un’isola, recitava un felice slogan degli anni ’70 ma anche nessuna famiglia è un’isola, neppure nei confronti della società. Quale prima cellula di essa, il suo solo essere, la sua sanità sono di per sé fonte di benessere. Ma una famiglia sana non si deve limitare solo ad essere, ma deve partecipare alla vita sociale; essa diventa risorsa e capace di dialogare con le istituzioni per avvicinare le risorse ai bisogni concreti e per creare la coscienza e le premesse per adeguate politiche famigliari e per correnti di opinione fondate sui valori. Ma se è vero che l’amore dato all’altro fa essere anche me, una famiglia che si dona nel sociale, non solo produce benessere per la società ma fa “bene” anche a se stessa. Tanti esempi, come “realizzazione di parchi-giochi”, “scuole per genitori”, “sportelli per il disagio f am igliar e” , “ consult or i” , “domeniche insieme”, ”ospitalità “, “sostegno a distanza”, “aiuto a ragazze madri”, sono solo alcune concretizzazio-

Lo scorso febbraio abbiamo avuto l’opportunità di partecipare al terzo “Week-end formativo per famiglie” tenutosi a Loppiano (una cittadella del Movimento dei Focolari vicino Firenze). Le tematiche precedenti di cui abbiamo accennato nei numeri 9 e 10 del 2004, riguardavano “La Comunicazione nella coppia” e “L’educazione in famiglia”. Quest’anno il tema è stato BENESSERE E MALATTIA: LA SALUTE IN FAMIGLIA Per noi è stato un appuntamento importante, sia perché “ se c’è una realtà misteriosa nella nostra vita è il dolore” (dalla Parola di Vita –mese di marzo), ma anche perché confrontarci su questo tema con altre cento famiglie è stato sicuramente arricchente. Alle interessantissime esposizioni da parte di docenti universitari su temi quali “3HU TXDOH EHQHVVHUH " Per quale salute ?” o ³/D UHOD]LRQH XRPRGRQQD elemento fondante il benessere in famiglia” e ancora ³/D sofferenza ha un senso ?”, ed altri, si sono alternati dibattiti, lavori di gruppo, analisi di casi ed esperienze, work-shop, che ci hanno immerso pienamente nel “concreto” del tema, facendoci comprendere che il dolore e la malattia, non sono da “vivere da soli nel privato” ma possono coinvolgere una comunità che” li condivida con noi, magari in silenzio e con la preghiera” perché “il dolore apre a prospettive sociali”. Il primo tema che in questo articolo cerchiamo di riassumere è: (VVHUHH%HQHVVHUHLQIDPLJOLD  (VVHUHLQIDPLJOLD Per scoprire O¶HVVHUHGHOODIDPLJOLDsi può partire dalla Bibbia; così ha fatto il Papa nella Enciclica “Familiaris Consorzio” quasi 25 anni fa con un accorato appello: “Famiglia diventa ciò che sei”. All’inizio della creazione troviamo l’uomo e la donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio e chiamati ad una comunione profonda di vita e di amore: il matrimonio, espressione della massima donazione possibile fra due creature che le fa diventare una carne sola. Anche oggi l’uomo e la donna nel matrimonio sono chiamati a rispondere, alla “YRFD]LRQH XQLYHUVDOH DOO¶XQLWj´ L’uomo e la donna sono ciascuno chiamati ad

esistere nel rapporto. Così ci si realizza; ci si libera dal proprio Io e si scopre il Tu. /¶HVVHUH GHOOD SHUVRQD HTXLYDOH D UHOD]LRQH in cui non solo si rispetta e si riconoscere la persona dell’altro come essere trascendente, ma nella quale, in forza del Vangelo, si ama l’altro come se stessi; un amore che conferma l’altro distinto da me ma che “fa essere” anche me. (VVHUH LQ UHOD]LRQH HTXLYDOH DG HVVHUH D PRUH Ma TXDOH OD UHOD ]LRQH  QHO PDWULPRQLR in cui si è chiamati a donarsi l’un l’altro in modo totale per sempre? La famiglia è intrecciata indissolubilmente col mistero della vita stessa di Dio che è unità e Trinità, un uomo e una donna chiamati alla comunione, al mistero d’amore del suo stesso essere che è Trinità, il “Noi” divino si fa modello del “noi” umano” per cui la missione dei con i u g i , o l t r e custodire e donarsi l’ amor e n e l l a g r at u i t à e nella reciprocità, è di r ivelar lo e comunicarlo al mondo.

Solo qualche giorno fa, la mia migliore amica mi ha detto: “vado avanti con la convinzione che la nostra amicizia si rafforzerà se ognuno di noi farà quello che deve fare”. Quale grande verità si nasconde dietro queste semplici parole!!! Tante volte ce le siamo ripetute, reciprocamente, quando una aveva bisogno dell’ altra, e ogni volta ci hanno restituito il coraggio e la forza di compiere il nostro dovere, per essere specchio della volontà divina in famiglia, a casa, sul lavoro, a scuola, tra gli uomini. Oggi, poi, è sorta spontanea nel mio cuore una riflessione: in fondo, che cosa hanno fatto di straordinario i santi di tutti i tempi, se non rispondere generosamente alla chiamata del Padre! Che cosa hanno fatto di eccezionale, se non aderire quotidianamente al compito loro affidato! Sì, forse sta tutto qui il segreto di una vita d’ amore, che sia insieme lode a Dio e impegno concreto al servizio dei fratelli. Anche quando questo progetto si mostra “scandaloso”, incomprensibile, paradossale, anche quando questo turba la nostra serenità, il nostro moralismo, anche quando questo appare irrealizzabile, il segreto sta nell’ essere pronti a compiere sempre il volere di Colui che più di ogni altro ha a cuore la felicità dell’ uomo. E se facciamo difficoltà a comprendere, se la nostra fede vacilla, se siamo tentati di dare ascolto solo ai dubbi, alle angosce e alle incertezze che ci assalgono, a quel punto non ci resta altro che chiedere al Signore la grazia di essere come Maria. All’ annuncio dell’ Angelo, Lei, la tutta Santa, “si domandava che senso” avessero tali parole; “com’ è possibile? Non conosco uomo”, continuava a ripetere a

colui che Le chiedeva di diventare la madre del Salvatore. Certa, però, che “nulla è impossibile a Dio”, accettò umilmente questo dono, meditando nel cuore con viva fede tutto ciò che non comprendeva. Sull’ esempio di Maria, s. Luisa de Marillac rispose con fermezza e docilità alla chia-

mata del Signore, che le chiedeva di pronunciare i voti e di servirlo in “un luogo da cui si va e si viene”: un disegno inconcepibile in un’ epoca in cui era perfino problematico che una donna camminasse sola per strada. Ella, già provata da numerose difficoltà, spaventata, confusa, non capiva il significato di ciò che le era stato mostrato e non capiva soprattutto come questo progetto si sarebbe potuto realizzare; ma la luce della sua fede, alimentata dalla preghiera, non si spense, ed ella seppe dire sì con coraggio, aprendo il cuore alla volontà del Padre. Luisa nacque a Parigi nel 1591, da una nobile famiglia, il cui nome però non le diede nessuna posizione di prestigio. Ancora piccolissima, privata dell’ affetto paterno, fu costretta a vivere in diversi pen-

sionati, dove ricevette un’ ottima educazione umana, spirituale e intellettuale. A ventidue anni, dopo una profonda crisi provocata da una rinuncia forzata alla vita claustrale, sposò Antonio Le Gras, impiegato alla corte di Francia; nacque anche un bimbo, Michele, al quale la madre si affezionò morbosamente, a causa del suo stentato sviluppo mentale e fisico. Momenti bui e drammatici attendevano la giovane Luisa: dopo l’ improvvisa morte del marito, il suo corpo e la sua anima iniziarono ad ammalarsi, tutto l’ edificio interiore le crollava addosso, pezzo per pezzo; cominciò a vacillare, mise in crisi la sua scelta vocazionale, la assalirono dubbi e domande irrazionali che si contorcevano nella sua mente tormentata, fino a quando la luce della carità, quella vera, si fece strada nel suo cuore. Tutto nacque da un incontro: lei, donna raffinata e sensibile, vedova alla ricerca di un nuovo posto nella vita, si fece letteralmente plasmare da un uomo umile e rozzo, s. Vincenzo de’ Paoli, che le insegnò a gustare la grazia del Signore, la liberò dal perbenismo e dalla paura, facendo di lei una creatura perfetta. Li univa lo stesso cuore, abitato dall’ unico amore per Gesù; raggiunsero una completa fusione di progetti e programmi da cui tutta la Chiesa trasse beneficio. Luisa intuì per prima che si poteva realizzare la stessa consacrazione a Dio chiudendosi nel mondo della carità: il suo monastero divenne la casa degli infermi, la sua cella una camera d’ affitto, la sua cappella la chiesa parrocchiale, il suo chiostro le strade della città, la sua clausura l’ obbedienza, la sua grata il timor di Dio, il suo velo la modestia. Ella

riunì attorno a sé donne giovani, umili, semplici, dalla spiritualità in ger m e, le " Figlie della Carità, serve dei poveri malati": con esse interiorizzò e visse intensamente il significato del duplice comandamento dell’ amore, sperimentò metodi e aprì nuovi orizzonti, fu per loro maestra, guida e madre. In pochi anni diede vita a numerose scuole gratuite, curò i malati ovunque li trovasse, accolse i mendicanti, offrì loro un pasto caldo e li restituì alla dignità di persone, portò un tocco di umanità tra i violenti galeotti, raccolse parecchi corpi feriti e mutilati, viaggiò più volte tra la Francia e la Polonia, informandosi sulle condizioni delle sue figlie. La Chiesa la festeggia oggi il 15 marzo, giorno della sua morte, avvenuta a Parigi nel 1660.

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46) Se c’è una realtà misteriosa nella nostra vita è il dolore. Vorremmo evitarlo ma, prima o poi, arriva sempre. Da un banale mal di testa, che sembra avvelenare le più semplici azioni quotidiane, al dispiacere per un figlio che prende una

strada sbagliata; dal fallimento nel lavoro, all’incidente stradale che ci porta via un amico o un familiare; dall’umiliazione per un esame non riuscito, all’angoscia per le guerre, il terrorismo, i disastri ambientali… Davanti al dolore ci sentiamo impotenti. Anche chi ci è accanto e ci vuol bene è incapace spesso di aiutarci a risolverlo; eppure a volte ci basta che qualcuno lo condivida con noi, magari in silenzio. Questo ha fatto Gesù: è venuto vicino ad ogni uomo, ad ogni donna, fino a condividere tutto di noi. Più ancora: ha preso su di sé ogni nostro dolore e si è fatto dolore con noi, fino a gridare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Erano le tre del pomeriggio quando Gesù lanciò questo grido verso il cielo. Da tre lunghe ore era appeso alla croce, inchiodato mani e piedi. Aveva vissuto la sua breve vita in un costante atto di donazione verso tutti: aveva sanato i malati e risuscitato i morti, aveva moltiplicato i pani e perdonato i peccati, aveva pronunciato parole di sapienza e di vita. Ancora, sulla croce, dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, e infine dona a noi il suo corpo e il suo sangue, dopo averceli dati nell’Eucaristia. E infine grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Ma Gesù non si lascia vincere dal dolore; come per una divina alchimia lo tramuta in amore, in vita. Infatti, proprio mentre sembra sperimentare l’infinita lontananza dal Padre, con uno sforzo immane e inimmaginabile, crede al suo amore e si riabbandona totalmente a Lui: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Ristabilisce l’unità tra Cielo e terra, ci apre le porte del Regno dei cieli, ci rende pienamente figli di Dio e

fratelli tra di noi. È il mistero di morte e di vita che celebriamo in questi giorni di Pasqua, di resurrezione. È lo stesso mistero che sperimentò in pienezza Maria, la prima discepola di Gesù. Anche lei, ai piedi della croce, è stata chiamata a "perdere" quanto aveva di più prezioso: il suo Figlio Dio. Ma in quel momento, proprio perché accetta il piano di Dio, diviene Madre di molti figli, Madre nostra. "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Col suo infinito dolore, prezzo della nostra redenzione, Gesù si fa solidale in tutto con noi, prende su di sé la nostra stanchezza, le nostre illusioni, i disorientamenti, i fallimenti e ci insegna a vivere. Se Egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi dell' umanità, posso pensare che dove vedo una sofferenza, in me o nei miei fratelli e sorelle, vedo Lui. Ogni dolore fisico, morale, spirituale mi ricorda Lui, è una sua presenza, un suo volto. Posso dire: "In questo dolore amo te, Gesù abbandonato. Sei tu che, facendo tuo il mio dolore, vieni a visitarmi. Allora te voglio, te abbraccio!" Se siamo poi attenti ad amare, a rispondere alla sua grazia, a volere ciò che Dio vuole da noi nel momento che segue, a vivere la nostra vita per Lui, sperimentiamo che, il più delle volte, il dolore sparisce. E ciò perché l’amore chiama i doni dello Spirito: gioia, luce, pace. Risplende in noi il Risorto. Chiara Lubich

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