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domenica 15 novembre 2009

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CULTURA

IL SENATORE RAFFAELE LAURO È CONSIGLIERE POLITICO E PER LA SICUREZZA DEL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Un comunicatore che sa vivere le passioni di Giuliana Gargiulo n una irresistibile ascesa che l’ha portato a ricoprire ruoli impegnativi e autorevoli, Raffaele Lauro senatore della repubblica nelle file del Pdl, somma alla autorità, fatta di intelligenza e cultura, una singolare ironia. Si sofferma sulle tappe della carriera, racconta il passato vissuto a Sorrento, sottolinea il grande legame con il territorio e con sua madre e va oltre. Un politico ma soprattutto un intellettuale che ha fatto della sua versatilità e delle sue passioni il suo punto di forza. Decine di pubblicazioni, interessi che si indirizzano verso le più antitetiche materie, Raffaele Lauro è anche consigliere politico e per la sicurezza del Ministro dello sviluppo economico, saggista, critico d’arte, sceneggiatore, autore di opere teatrali e radiofoniche, nonché di numerose opere narrative che hanno vinto premi di grandi rilievo. In uno dei suoi tanti ritorni a Sorrento, sulla scia di tanti ricordi e di un passato mai dimenticato, il racconto prende forma. Vuole raccontare come è cominciata la tua storia? «A Sorrento in una famiglia molto modesta, figlio di Luigi e Angela, sposati per amore, terzogenito di quattro fratelli Luigi, Aniello e poi Giuseppe. Ero un bambino completamente calato in una formazione religiosa, un chierichetto caduto nella illusione mistica di poter fare il sacerdote! Animato da un sincero entusiasmo infantile e dalla vena religiosa, che mi è rimasta, ero talmen-

I

te coinvolto da aver costruito in casa un altare vero e proprio, decorato con fiori che cambiavo tutti i giorni! La mia fantasia era tutta rivolta al mondo basata sul desiderio di conoscerlo. Ero un bambino aperto, organizzatore e socievole con una vena leggermente protagonistica!». Questa storia andò avanti per molto? «Mia madre interruppe la mia illusione in seguito alla caduta rovinosa di più candele che presero fuoco… Un episodio traumatizzante che determinò anche la fine di una mia dedizione». La fede rimase però intatta? «Assolutamente sì. Anche se cresciuto nel cattolicesimo moderno di mia madre… La fede ha resistito ai tanti passaggi di crescita, pur avendo una visione laica e degasperiama della vita, dello Stato e delle sue leggi. La mia fantasia rivolta al mondo ha sempre avuto voglia di conoscerlo!». Ricorda i suoi primi lavori? «A tredici anni lavoravo come lift all’Europa Palace….Papà avrebbe voluto che frequentassi l’Istituto nautico invece attratto dalla cultura umanistica, volli frequentare il liceo classico. Anche studiando ho sempre lavorato. Ho studiato inglese e francese…ho viaggiato sempre che ho potuto… Nel 1957 con il mio lavoro riuscii a mettere sul libretto di risparmi la bella somma di settecentotrentaduemila lire. A soli diciassette anni e per cinque anni ho lavorato come lift al Visso Park Hotel sull’Appennino, in provincia di Macerata, dove mio zio aveva aperto un albergo e mi aveva chiesto di aiutarlo a dirigere. Diventai un piccolo signore di me stesso. Il primo obiettivo era sopravvivere».

Il senatore Raffaele Lauro

Dopo suo zio nell’adolescenza, nella prestigiosa carriera politica chi l’ha aiutata di più? «Non ho mai avuto bisogno di nessuno». Finita l’esperienza lavorativa che successe? «Chiuso quel periodo, ritornai in penisola sorrentina e, vinti due concorsi, mi trasformai in un professore di filosofia». Che cosa ha rappresentato per lei l’insegnamento? «È rimasto un insegnamento per me! Mi ha dato la capacità di comunicare! Dopo aver avuto votazioni con tutti dieci fui chiamato da Suor Angela Monti ad insegnare all’Istituto Sant’ Anna. Insegnavo portando in classe i giornali, credo di aver dato un grande apporto, tant’è che Suor

“IL GIRASOLE DELLA MEMORIA” DI GIOCONDA MARINELLI

Angela disse che… ero un segno della provvidenza!». Alla distanza quali studi ha poi sommato? «Ho conquistato cinque lauree…». Che significa essere un manager dello Stato? «Significa utilizzare le energie e farle andare avanti. Ho potuto utilizzare tutti i poteri che nel corso degli anni mi sono stati dati». Che cosa le piace oltre il lavoro? «La musica è il tramite emotivo fondamentale verso la spiritualità, l’assoluto dell’uomo. La filosofia è la più alta forma del pensiero umano perché si basa sul pensiero stesso». Come fa a gestire tanti interessi diversi? «In fondo le tante cose che ho fatto o

LA MOSTRA

che continuo a fare sono articolate tra due pulsioni: una razionale, l’altra emotiva. Da una parte la vita pubblica , il ruolo di prefetto e altri incarichi, dall’altra le mie passioni e quindi il cinema, la scrittura, i libri». Passionale a tal punto? «Vivo le passioni e non ci rinuncio, ma le vivo con coscienza razionale. Perché in pratica non rinuncio alla vita, altrimenti rinuncerei a me stesso!». Un desiderio personale ce l’ha? «Senza ricorrere a grandi paragoni, il mio desiderio è conoscere, collegato ad impulsi e occasioni anche casuali». La forza dove l’ha presa e cos’è per lei? «È la capacità di confrontarsi con la realtà, sempre affrontata e vissuta con umiltà. La forza è ovunque… Anche da una esperienza amara, dolorosa, negativa può uscire grande forza e insegnamento». Vuole dirmi quali sono gli aspetti principali del suo carattere? «Ho una componente gioiosa giovanile che si lascia anche commuovere. Sono stato fortunato nel vero senso del termine, le difficoltà le ho vissute al presente come se fossero del passato… Dolori, intoppi, incomprensioni pochi, ho sempre distribuito amore ed ho ricevuto di più! Tutto questo lo dico in senso popperiamo, perché Popper è il mio filosofo di riferimento». Maestri ne ha avuti? «Umanamente parlando, nel senso di insegnamento a dialogare, parlare, comunicare, mia madre e Suor Angela Monti. Poi maestri ce ne sono stati diversi, tra cui Francesco Compagna, Ettore Cuomo, Giuseppe Galasso, Francesco Cossiga… Su Cossiga uscirà presto “Cossiga sui-

te” un libro che racconta l’amicizia di mio fratello Lello con il presidente Cossiga». Per circa tre anni commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiraket e antiusurache, cosa le è rimasto dell’esperienza? «Una grande amarezza, perché mi sono reso conto che lo Stato non è ancora all’altezza della lotta». Portando avanti determinati incarichi non ha mai avuto paura? «La paura è un sentimento che mi appartiene e che mi governa. Dalla paura nasce il coraggio». È o no ambizioso? «Amando tanto il cinema ,avrei preferito vincere il Leone d’oro a Venezia o il Palmares al festival di Cannes piuttosto che essere prefetto. Non a caso i miei dieci romanzi sono tutti… cinematografici e cioè sceneggiature!». Crede nell’autorità o nel potere? «Né nell’una né nell’altro Credo solo nell’autorevolezza». Che rapporto ha con la solitudine? «La solitudine non è una condanna, è un privilegio. E’ l’aristocrazia della mente». È orgoglioso del suo percorso? «So bene che tutto è polvere, però sono orgoglioso di aver fatto del bene. Di non essermi arricchito! E anche di essere paesano!». Cosa non le piace? «Non mi piace, e lo odio, il superfluo». Che cosa ha contato più di ogni altra cosa? «La mia famiglia: È stato il momento fondante». La vita cos’è? «Una prova. Per un cristiano è un dono».

IL PITTORE INGLESE DA “BLINDARTE”

Maria Orsini Natale si racconta La salvezza nella magia nonna e scrittrice appassionata di Simon Keenleyside M

aria Orsini Natale, in un libro - intervista dal titolo “Il Girasole della memoria” (Avagliano Editore) scritto dalla giornalista Gioconda Marinelli, mette a nudo pensieri e ricordi di una vita. “La scrittura è un hobby, un optional. Devo farmi ladra di tempi e di ore”, afferma la Orsini Natale, “A volte scrivo di notte. Di giorno qualche tegame si attacca perché corro a segnare un pensiero. Dicono di me i “maligni” che sono una dissipatrice di pentole”. Come una chiacchierata tra amiche dinnanzi ad un thè, il libro racconta, in modo agile e scorrevole, i fatti, le manie, le abitudini dell’autrice del noto romanzo “Francesca e Nunziata”. Nata nel minuscolo paese di Punta Ocino, su una spiaggetta vesuviana che guardava direttamente l’isola di Capri e la bella Sorrento, la Orsini Natale racconta della propria infanzia, quando, da bambina discola e spericolata, veniva rinchiusa in uno sgabuzzino, oppure delle meravigliose filastrocche cantate dalla nonna e delle famose “pomeridiane” ovvero gli incontri casalinghi durante i quali ci si intratteneva con il vicinato e gli amici. Le pagine scorrono veloci tra memorie del tempo andato, quando ogni cosa appariva genuina a cominciare dalla pasta,

commerciata e venduta proprio da una parte della sua famiglia. Leggeva Mandrake e Gordon Flash la piccola Maria, prima di approdare all’amato maestro Torton Wilder e alla poesia di Quasimodo, Montale e Kavafis anche se “ come scrittrice non aspiro a essere sfolgorante sole e neanche bianca luce di luna (…), desidero essere solo esile fiammella di candela, ma che il caldo tremore mi appartenga” ha dichiarato la scrittrice. Profondo è il legame con il mare ispiratore proprio di “Francesca e Nunziata”. “Questo mio racconto di gente e pasta si rifà alla tradizione

del racconto orale, del cunto, quando leggende e storie rimbalzavano nel grembo di questo mare nostrum da voce a voce, da costa a costa, da navigante a navigante” racconta la scrittrice. Il romanzo è la saga di una famiglia attraverso un’epoca, narrando di amori, affanni e pasta. Il romanzo finì nelle mani di Lina Wetmuller che stupita lo portò alla Loren a New York. Sofia, che in quel periodo aveva firmato un contratto con Mediaset per due fiction, chiese e ottenne che una di queste fosse proprio “Francesca e Nunziata”. La bella attrice vestì i panni di Francesca mentre Claudia Gerini quelli di Nunziata. Più tardi, la Loren incontrando la Orsini Natale a proposito delle ultime drammatiche parole del personaggio di Francesca, le disse: “ Signora Marì, voi siete stata brava…però questo monologo…ma come l’avete scritto luongo!”. L’autrice di “Francesca e Nunziata”, de “La bambina dietro la porta” e “Cieli di carta”, scriverà il prossimo racconto ambientandolo in una terra d’Oriente dove la protagonista però sarà sempre una donna del sud. In fondo per essere una brava scrittrice occorre “che il Signore ti metta una mano sulla testa”. Enrica Buongiorno

di Anita Caiazzo

L

a galleria “Blindarte contemporanea”, in via Caio Duilio esporrà fino al 18 gennaio la personale dell’artista inglese Simon Keenleyside, intitolata “Safe in the magic of my world”. In questa nuova esposizione si nota subito che l’artista rimane legato ai suoi temi abituali, che si concentrano nell’attenzione e nel rapporto quasi viscerale che il pittore intesse con i luoghi che lo circondano. La sua rappresentazione del mondo non si traduce in una riproduzione fedele della realtà, ma è come se dipingesse tutto con un “occhio interno” che scruta e scava per cercare quel “colore” che talora può nascondersi in edifici post-industriali o in paesaggi di quella che potrebbe essere la tipica campagna inglese. Nei suoi nuovi dipinti Keenleyside dirige il suo occhio esplorativo verso i luoghi in cui e cresciuto e che ancora oggi lo circondano, L’Essex in Inghilterra. Peculiarità di molti dei suoi lavori, sia recenti sia più datati, è l’attenzione verso il “dettaglio” del luogo che ritrae. Infatti, i dettagli come ad esempio i resti della prima e seconda guerra mondiale, torri d’acqua e containers abbandonati dalle industrie locali, muri di confine parzialmente abbattuti che circondano la città, diventano nei quadri dell’autore, una sorta di chiave di volta per comprendere poi l’anima di un paesaggio. È, in-

“Unseen in the dark” di Simon Keenleyside

fatti, facile intuire come nei piccoli elementi si nascondono le tracce di memorie dei tempi precedenti che, presenti in ordine sparso sul territorio, caratterizzano gli ambienti dipinti da Keenleyside. Le opere del pittore, proprio per questa caratteristica diventano parti di un racconto del laborioso passato di questa terra, passato restituito allo spettatore in una nuova veste, ottenuta dall’utilizzo della pittura fluorescente che caratterizza l’intero corpo del lavoro. Infatti, attraverso un largo uso del colore e della decorazione-che non è tanto elemento accessorio ma successivo dettaglio da scoprire- i paesaggi nel-

la loro semplicità diventano luoghi incantati. La fisicità della pittura è l’altro elemento distintivo, che contribuisce alla creazione di un mondo pieno di continue sorprese, dove la pittura supera la materia e diviene essa stessa paesaggio. Dove la realtà e il magico s’incontrano, e se per keensleyside questa è la strada della salvezza - come dice lo stesso titolo della manifestazione, per lo spettatore, è più un viaggio struggente e psichedelico che attraverso i colori flou e la pittura “grondante” conduce in un paesaggio che dopo un po’ non si sa più se reale, o frutto di un’allucinazione.

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