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POLITICA

lunedì 2 novembre 2009

ROTONDI: DECISIONE SOFFERTA CHE INCARNA IL DISAGIO DI TANTI MODERATI CHE MILITANO NEL PARTITO

Letta: Rutelli a poco a poco sta picconando il partito

Francesco Rutelli, fa discutere il suo addio al Pd

REGIONALI

ROMA. La decisione e le parole di Francesco Rutelli lasciano il segno. Enrico Letta, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, osserva come le sue parole «sembrano pronunciate da Gasparri o Cicchitto». Ciò in riferimento alle file di pensionati Cgil alle primarie del Pd. E poi sul rapporto con l’Udc e il Centro, Letta attacca: «È singolare. Al congresso quando si è posto il tema dell’alleanza con l’Udc Marino ha risposto con un no, Franceschini con un ni e Bersani con un sì. Spero ci sia una competizione virtuosa tra noi, Rutelli e Casini. Non voglio caricaturizzare la scelta di Rutelli, so che gli obiettivi sono gli stessi e ci ritroveremo». «Non si illuda, non gli lasceremo rappresentare i moderati, i ceti

produttivi e il mondo cattolico». Così Rosy Bindi sfoga il suo risentimento verso l’ex sindaco di Roma: «Definire - lamenta - come indipendenti di centrosinistra persone come la sottoscritta ed Enrico Letta che alle primarie ci hanno messo anche la faccia in passato, persone come Follini, Marini e tutti i popolari che gli hanno consentito di fare un grande partito come la Margherita non è giusto: non siamo indipendenti di centrosinistra». Quindi il commento di Gianfranco Rotondi: «L’imbarazzo di Rutelli è il disagio di tanti moderati che militano nel Pd. Il partito ha in Bersani una guida solida e autorevole, ma è indubbio che l'uscita di Rutelli lascerà il segno».

DE MITA RESPINGE LE ALLEANZE, MA IL RETTORE NON SI SBILANCIA. COSENTINO E CASCETTA ANCORA IN POLE

Udc indeciso, ora punta su Pasquino di Mariano Rotondo NAPOLI. Potrebbe essere questa la

settimana decisiva per i candidati in vista delle Regionali di marzo. Gli ultimi dubbi all’interno degli schieramenti stanno infatti per essere fugati e le scelte, a questo punto, non dovrebbero tardare a venire. Il nodo principale, tuttavia, è quello legato all’Udc che non solo non ha ancora sciolto le riserve a riguardo delle alleanze, ma che secondo le ultime indiscrezioni sembra essere sempre più convinto ad andare da solo nella corsa alla leadership di Palazzo Santa Lucia. Secondo alcuni quotidiani salernitani, infatti, lo Scudo crociato sta già lavorando per trovare un nome d’impatto e che contemporaneamente garantisca serietà e competenza in una mission piuttosto difficile. Un identikit che risponderebbe dunque a quello del Rettore di Salerno, Raimondo Pasquino, tirato in ballo da alcuni organi d’informazione locali come papabile aspirante governatore per il partito di Casini con cui confluirebbe anche la corrente di Francesco Rutelli appena fuoriuscito dal Pd. A

gettare acqua sul fuoco, però, ci ha pensato lo stesso Pasquino che raggiunto telefonicamente ha fatto capire, almeno per il momento, di avere altre priorità per la testa pur non escludendo nulla in vista delle prossime consultazioni: «La riforma universitaria mi obbliga a non pensare ad altro - ha risposto - del resto quanto uscito finora sui quotidiani è semplicemente frutto di ipotesi, tant’è che io ho appreso tutto proprio leggendo la carta stampata. In genere mi definisco un uomo al servizio della collettività - continua - ma da qui a giungere ad un’eventuale candidatura il passo è davvero lungo». Una mezza smentita, insomma, a cui potrebbero però seguire delle novità se l’Udc dovesse realmente convincersi a correre da sola verso le urne. Ed i prossimi giorni, inoltre, dovrebbero sciogliere definitivamente anche le indecisioni del Pdl dove il nome del sottosegretario e coordinatore della Campania, Nicola Cosentino, appare essere ancora in pole position per la poltrona di governatore di Palazzo Santa Lucia. Una scelta per cui mancherebbe soltanto l’ufficialità e che la base dello

schieramento vuole fortemente anche nel confronto con l’ex ministro, Stefano Caldoro, che resta l’alternativa più valida del partito di Berlusconi per la Campania. Il terremoto primarie, ad ogni modo, ha in qualche maniera sconvolto il centrosinistra dove la vittoria alla segreteria regionale di Enzo Amendola ha dato nuovo vigore alla corrente di Bassolino. Il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, pare infatti aver perso il vantaggio sugli altri papabili, facendo spazio all’attuale assessore ai Trasporti, Ennio Cascetta, tra i pochi dell’attuale Giunta ad essersi fatto apprezzare per i progressi registrati nel settore di sua pertinenza. Anche in questo caso il nome potrebbe diventare definitivo nel corso della prima decade del mese in corso. L’Idv, intanto, continua a spingere per personalità «all’altezza della situazione e che possano compiere uno sforzo istituzionale per sconfiggere la malavita». «In Campania - dice il numero uno campano, Nello Formisano - dobbiamo assumere l’immagine vincente dello Stato e dei suoi successi contro la camorra».

riservato ai docenti dell’Università. Ma qui i loro posti sono nella gestione d’un parcheggiatore freelance, che ne dispone come di cosa propria ed al quale vengono coerentemente riconosciuti diritti di signoria (un tempo si chiamavano regalie). Il rimanente 20% è d’una cooperativa riconosciuta dal comune, che però lascia la seconda fila – ovviamente non può mancare – al suddetto freelance. Tutti sanno che le piazze sono per il cittadino quel che per un uomo pio è il tempio: luoghi di riconoscimento e socializzazione. Quegli slarghi servono – ed è ancora così nei centri minori – per incontrarsi, discutere, sentirsi appartenenti ad una comunità e non estranei ai suoi interessi. Servono a celebrare la comunità. Ora, mi si dica cosa può vedere il cittadino nella suddetta piazza? Vede uno Stato che non esiste. Vede che il territorio è sotto il dominio incontrollato – per parafrasare Aldo Moro – di poteri ad esso estranei, virtuosi o viziosi non spetta a me dirlo. Vede che le istituzioni arretrano senza opporre resistenza dinanzi a qualsivoglia potere, debole o forte che sia. Vede che il diritto, l’organizzazione degli spazi e della vita che in esso si svolge non hanno da condivider nulla con quel che s’insegna nella stralunata Facoltà di Giurisprudenza, sempre più da ospite presente in quella piazza. Vede che il diritto è cosa diversa, le sue fonti sono altrove, lì dove c’è la forza per affermare le regole, quelle vere. Ed a chi volete mai che si rivolgerà il cittadino comune, poco avvezzo alle Pandette ed ai codici? A coloro che le regole sanno imporre e

far rispettare. Statene certi, nel Mezzogiorno una legalità c’è, e ben visibile: solo che non proviene dallo Stato. Basta un po’ d’attenzione, e per istrada il cittadino del Sud potrà apprendere del giure molto più di quanto non possa insegnargli la Facoltà samaritana. Con l’ulteriore, non trascurabile attergato che risparmia anche il pagamento delle tasse universitarie. Orazio Abbamonte

IPOTESI ROSY BINDI

«Presidente? Non c’è niente, ma se capita...»

Il rettore dellʼUniversità di Salerno, Raimondo Pasquino

SEGUE DALLA PRIMA

Il Sud, l’agorà... rimasta sotto il temutissimo controllo d’un noto criminale, con ben precisa collocazione all’interno del municipio. La Facoltà occupa la sede del vecchio Tribunale ed affaccia su d’una bella piazza del Paese, forse la più suggestiva. Quella piazza a me pare metafora dell’Italia. Mi spiego. Per il 60% della sua superficie è stata riservata alla Chiesa che vi si affaccia, sotto la guida d’un parroco, mi dicono potente. Costui aveva già prima dell’assegnazione provveduto a realizzare nei giardini inseriti all’interno della banchina dell’edificio universitario, una sorta di cenotafio alla memoria di Giovanni Paolo II. Si, leggete bene, una grossa lapide impiantata proprio su quei giardini. Non domo, però, l’attivo sacerdote pare rivendicasse anche la proprietà della piazza – da sempre aperta al pubblico e dunque pubblica. Le sue ragioni devono essere state molto considerate se oggi, come ho detto, il comune gli ha concesso la sovranità sul 60% degli spazi: che, ad ostentazione del proprio potere, tiene ben sgombri da importune presenze, come un tempo usava nei palazzi principeschi. È l’Università, oggi, a dover chiedere passaggio al prete, perché la scalinata dell’antico Tribunale trasformato in Ateneo, non mena al suolo dei cittadini, bensì ormai ad un sagrato. E chissà se il permesso verrà ancora a lungo graziosamente concesso, dato che l’Accademia è lì a trasmettere senso critico e cultura laica, mai troppo ben visti nei Sacri Palazzi. Vedremo e passiamo oltre. Del rimanente 40%, un 20 sarebbe

Europa, viaggio... Lasciami, caro direttore, che io risalga abbastanza indietro nel tempo e precisamente a quando io sono stato fra il ‘60 e il ‘63 corrispondente della Rai-Tv a Bruxelles. Il senatore democristiano Giuseppe Caron accettò di essere vicepresidente della “Commissione esecutiva” dell’allora Cee (Comunità economica europea) presieduta da Walter Hallstein, stretto collaboratore del Cancelliere Adenauer, alla condizione che gli fosse assicurato, al ritorno nella politica italiana, il sicurissimo seggio senatoriale democristiano di Treviso. E difatti dopo cinque anni il senatore Caron disse “addio a Bruxelles !”. Mi dispiace di citare un secondo cattivo esempio di un altro mio caro amico, che scelse ancora di peggio sul piano politico europeo; si trattò del dc, Franco Maria Malfatti, che, dopo una durissima battaglia con i tedeschi, gli inglesi e i belgi era divenuto presidente della Commissione e aveva fatto alcune ottime cose; però anche questo intelligente, fine politico italiano e europeo, a meno di due anni dall’inizio del mandato, colse l’occasione del prossimo turno di elezioni per la Camera dei deputati per lasciare Bruxelles e riavere il suo seggio a Montecitorio per

l’Umbria. Ma veniamo a tempi più vicini, agli eventi di oggi, per vedere cosa ha fatto Romano Prodi, dopo che in Parlamento, quelli che si chiamavano ancora “comunisti” lo avevano sbalzato via da Palazzo Chigi, sostituendolo con D’Alema alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Gli stessi lo ripescarono per la presidenza della Commissione di Bruxelles, occupandosene Prodi piuttosto poco perché doveva rafforzare l’Unione per ritornare a fare il Capo del Governo: obiettivo che, con soddisfazione dell’Ue, gli riuscì di raggiungere per pochissime migliaia di voti nel 2006. Potrei fare altri esempi, di andate-ritorni Roma-Bruxelles anche di italiani “grand commis” dell’Ue, cioè gli alti funzionari, che manovrano tutte le direttive, i regolamenti e le loro applicazioni. Solo Altiero Spinelli ha lasciato il Senato italiano per fare il Commissario europeo a tempo pieno guardando al futuro dell’Europa unita. E infatti a Bruxelles c’è un edificio del quartiere europeo che lo ricorda. Gli stessi D’Alema e Bersani si sono esercitati in queste “toccate e fughe”...a e dal...le istituzione europee. Nel 2004 entrambi privi di incarichi governativi, furono eletti al Parlamento europeo e il “nostro Massimo” forse era convinto di diventarne presidente, anche perché l’Italia, da quando, a partire dal 1979, il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale e diretto, non ha mai avuto il seggio più alto di Strasburgo né con la prima né con la seconda Repubblica; né il centrodestra, né con il centrosinistra. Gli italiani in questa funzione sono degli sconosciuti o forse degli apolidi “extracomunitari da regolarizzare”. Neppure D’Alema fu eletto presidente e, dopo un breve passaggio senza lasciare traccia, rientrò in Italia per le elezioni del 2006, che gli portarono con il Governo Prodi l’incarico di ministro degli Esteri,

che ha esercitato con intelligenza e anche con spirito europeistico. Tuttavia ho l’impressione che chi dovrebbe nominare D’Alema “Ministro degli esteri” punti a non dimenticare le “toccate e fughe” italiane dal Parlamento europeo, sospettando l’eventualità di una loro ripetizione, a causa di interessi politico-partitici troppo “casalinghi” nell’esercizio del ruolo stesso di ministro europeo. Con grande presunzione che mi deriva dall’essermi quasi sempre occupato di politica estera e di difesa quando sono stato parlamentare italiano e in particolare come presidente per cinque anni della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati, vorrei dare una parola di sostegno - non dico di garanzia per la preparazione, culturale storica e sopratutto politica che Massimo D’ Alema ha. Dare una parola di sostegno benché il Pci mi abbia “fucilato” nel 1982 come un terribile “assassino” della “democraticità” del Pci etichettando il mio ruolo radiofonico come (radio)Belva, quando dirigevo il Gr2. Il numero degli ascoltatori tuttavia si moltiplicò. Se D’Alema non diventerà “Ministro europeo degli esteri”, chiedo soltanto che queste mie parole non siano considerate a posteriori un “bacio della morte”. Questo, caro Massimo D’Alema, è un potere che non mi appartiene anche se me lo attribuivano, ai tempi della mia direzione del Gr2, l’Unità, Paese Sera, Lotta Continua, il Quotidiano dei lavoratori e con più finezza di linguaggio e di argomenti il Manifesto. Uno spirito che gli elettori hanno talmente ben capito che il Pci è scomparso, e nel Parlamento italiano non c’è più alcuno che si definisca “comunista”. Premio democratico maggiore di questo Radiobelva, per 16 anni parlamentare, non avvrebbe mai potuto immaginare per sé. Gustavo Selva

ROMA. Bersani segretario, e il presidente? «Non dipende da me, ma se dovessi esser candidata non mi tiro indietro». Lo dice Rosy Bindi, alla trasmissione “In mezz’ora”. E sullo sfondo dello studio campeggia una gigantografia dell’esponente del Pd con accanto scritto “Bindi Presidente”. «A una settimana dall’assemblea dei delegati osserva Bindi - c’è la massima incertezza e non so quali siano le mie chanche. Il Pd ha bisogno di una grande unità. Va costruita l’unità del partito». La conduttrice Lucia Annunziata insiste sulla necessità di candidare delle donne e chiede se non è arrivata l’ora di avere una classe dirigente femminile ai vertici del Pd. «C’è un problema di rinnovamento ammette la vicepresidente della Camera - ma l’impostazione che Bersani ha dato alla sua segreteria e la sua serietà danno delle garanzie». Poi il “nodo” Berlusconi. «Dal punto di politico e istituzionale le vicende che riguardano il premier e Marrazzo sono situazioni paragonabili, ma la differenza è che Marrazzo non c’è più e Berlusconi è premier. E l’ex governatore del Lazio ha anche detto che se sarà rinviato a giudizio non si ricandiderà, mentre il presidente del Consiglio ha spiegato che se verrà condannato non si dimetterà. Mi verrebbe da chiedere allora perché mai ci ha tenuto tanto impegnati con il Lodo Alfano».

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