Zero Balancing

  • June 2020
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Capitolo tratto dal libro “Zero Balancing” toccando l’energia delle ossa, di John Hamwee ; ed. Frances Lincoln. traduzione a cura di Silvia Boverini.

Tecnica Grazie a circa 600 ore di registrazioni effettuate in differenti circostanze, abbiamo scoperto che ogni persona ha un proprio campo energetico unico, prevedibile e periodico, caratterizzato da aspetti quali il colore, la quantità d’energia, la predominanza di talune zone del corpo e la completezza dello spettro. Vi sono inoltre differenze individuali nella complessa dinamica o flusso del

campo. Registrando le onde cerebrali, le variazioni nella

pressione arteriosa, le reazioni galvaniche della pelle, il battito cardiaco e le contrazioni muscolari contemporaneamente ai mutamenti dell’aura, abbiamo scoperto che si verificano variazioni nel campo prima che in qualunque altro sistema1.

“Tecnica” è un termine ben poco eccitante. Suggerisce un’idea di routine, realizzata in modo meccanico e non consapevole. Ma una buona tecnica non è affatto così. A parte ogni altra considerazione, una buona tecnica può essere raffinata all’infinito e ciò renderà possibili risposte sempre più ingegnose a ciò che la situazione di volta in volta richiede. Chi pratica yoga o tai chi, per esempio, conosce il valore dei movimenti e delle forme di

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Hunt V. V., Infinite Mind, Malibu Publishing, Malibu, 1989, p. 33

base apprese all’inizio, ma con una maggiore consapevolezza dei loro effetti. Praticare e raffinare la tecnica può aprire la porta a qualcosa di più profondo. Ancora, nello yoga e nel tai chi la tecnica può funzionare solo se il corpo possiede determinate proprietà e caratteristiche; perciò, praticare le tecniche e percepire il loro effetto permette di prendere coscienza di alcuni aspetti chiave del corpo.

Prima di descrivere la tecnica di base dello Zero Balancing, voglio spiegare ciò che tale tecnica fa ed esporre il motivo per cui è così efficace.

Campi di forza più chiari e forti Il concetto di campo di forza è utilizzato per spiegare fenomeni quali quello della limatura di ferro che si allinea secondo uno schema preciso quando una calamita viene avvicinata a sufficienza. La calamita esercita un campo di forza che influenza la limatura di ferro. Sembra tutto un po’ astratto, ma l’idea di fondo è che si tratta di una regione dello spazio in cui una certa forza, in questo esempio, una forza elettromagnetica, manifesta un certo effetto e può essere individuata. Grazie al lavoro pionieristico di Robert Becker, è del tutto evidente che esiste un campo di forza nell’osso. Cioè, dentro e attorno all’osso c’è un’area in cui operano forze specifiche e misurabili; inoltre, tale forza scorre attraverso e attorno alle giunture tra le ossa. Becker scoprì che facendo passare una corrente elettrica molto debole attraverso un osso rotto si stimolava notevolmente la sua guarigione.

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Si può immaginare che, laddove un’articolazione non lavora bene o un osso sembra non essere guarito, il campo di forza è in qualche modo divenuto disturbato o distorto. Ciò è quanto sembra essere capitato alla donna menzionata nel Capitolo 1, il cui braccio fratturato era guarito dal punto di vista della struttura, ma ancora non funzionava a dovere. Perciò, un modo per ripristinare il normale funzionamento è quello di ripristinare il campo di forza energetico normalmente preesistente. Come dice Valerie Hunt nella citazione all’inizio di questo capitolo, “…si verificano variazioni nel campo prima che in qualunque altro sistema”. E il modo per modificare il campo, il metodo fondamentale, è quello di sovrapporre ad un campo di forza disturbato o distorto un campo più chiaro e forte.

L’idea di base è semplice. Quando avete una conduttura intasata, spingete una qualche specie di asta o bastoncino attraverso il blocco, oppure, se si tratta del lavandino della cucina, potete usare una ventosa per sturarlo, o un qualche agente chimico che

scioglie il blocco. Qualunque metodo

utilizziate, ciò che fate consiste nell’introdurre una nuova forza, più potente della vecchia che manteneva il blocco in loco. Passare dal concetto di “forza” a quello di “campo di forza” significa semplicemente riconoscere che ciò che è effettivamente in gioco non è un’unica forza, ma uno schema di forze: come lo schema di forze esercitato da una calamita su un vassoio di limatura di ferro.

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Questo spiega il concetto di un campo di forza “più forte”, ma per ottenere un campo “più chiaro”? Con tale espressione s’intende un campo che sia più semplice di quello che va a rimpiazzare. Consideriamo per analogia la stiratura di una camicia stropicciata. Il calore del ferro da stiro e il peso da voi esercitato avranno ragione del campo di forza che mantiene la stoffa spiegazzata e la lasceranno in uno stato più semplice e liscio. Nell’esempio che segue (non preoccupatevi per i termini tecnici) la parte essenziale è contenuta nell’ultima frase.

Le fibre di collagene [che costituisce la struttura di base dell’osso] sono costituite da lunghi bastoncini, simili a spaghetti crudi, di una molecolaprecursore detta tropocollagene. Tale composto, molto utilizzato nella ricerca biologica, viene estratto dal collagene già formato […] e posto in soluzione. Una lieve variazione nel ph della soluzione fa quindi precipitare le fibre di collagene. Ma le fibre così formate sono ammassate alla rinfusa, diverse dagli strati paralleli che si trovano nell’osso. Tuttavia, quando facciamo passare una lievissima corrente continua nella soluzione, le fibre si dispongono in file perpendicolari alle linee di forza […]2.

La “lievissima corrente continua” che ha trasformato quella massa disorganizzata in strati paralleli può essere considerata come un campo di forza più nitido e forte. Di più: un campo “più chiaro” è quello che semplifica il campo preesistente. Considerate il seguente esempio . Avete 2

Becker R. O., Selden G., The body electric, Quill Books, New York, 1985, p. 129.

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un problema complesso, ma

una bella chiacchierata con un amico lo

risolve. Quel che è accaduto è che tutto è più chiaro e semplice. Vi rendete conto di che cosa è davvero importante e cosa non lo è, quali bisogni devono essere soddisfatti subito e quali possono essere accantonati, e cosa volete davvero trarre dalla situazione. Generalizzando, si potrebbe dire che, quando i nostri corpi o le nostre menti sono disturbati, la guarigione comporta il sostituire la semplicità alla fonte di disturbo.

Lo Zero Balancing lavora immettendo un campo di forza più chiaro e forte in ogni parte dello scheletro in cui struttura ed energia non si trovano in equilibrio. Esiste una tecnica di base che lo consente.

Il fulcro In meccanica il fulcro è un punto d’appoggio su cui viene bilanciata una leva; per esempio, il sostegno nel mezzo di un’altalena. Tale punto d’appoggio, a prima vista non particolarmente significativo, sembra inattivo. Ma pensate al detto “Datemi una leva e vi solleverò il mondo”3 ed ecco che la questione apparirà un po’ diversa. Se avete provato a spostare un macigno o ad aprire una porta con una leva o un palanchino, saprete che porre un fulcro sotto la leva moltiplica la forza che avete a disposizione. Con il fulcro sussiste una possibilità di movimento laddove prima non ve n’era affatto. Lo stesso vale per la semplice altalena. Un’asse appoggiata a

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NdT: nell’originale, “Give me a fulcrum and I will move the world”.

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terra offre scarse possibilità di gioco. Mettetela su un fulcro e sarà realizzabile ogni sorta di gioco d’equilibrio.

Lo Zero Balancing lavora ponendo fulcri sul corpo. Usando il tocco, crea dei punti fermi intorno ai quali il corpo può bilanciarsi. L’aspetto brillante di questa idea è precisamente che il fulcro, in sé, non fa nulla: si limita a creare possibilità. Un’intera terapia basata sul far niente! E tuttavia è una soluzione straordinaria ed elegante per così tanti problemi.

Quindi l’operatore non fa nulla al cliente; cosa c’è di tanto brillante in questo? In primo luogo, è estremamente sicuro. La prima regola della medicina è “Non ledere”. Questa regola è costruita attorno all’idea del fulcro: la tecnica fondamentale dello Zero Balancing. La si ritrova in tutto ciò che l’operatore fa. Inoltre, cosa decisamente insolita, se non unica, nell’ambito dei bodywork, il cliente ha la responsabilità di ciò che avviene. Non necessariamente in maniera cosciente o deliberata, ma se accade qualcosa, se qualcosa cambia, come conseguenza di un fulcro, allora è stato il cliente, in un modo o nell’altro, a permettere il cambiamento. In altre parole – e ancora una volta si tratta di un’affermazione epocale in un contesto terapeutico – questa forma di lavoro sul corpo riconosce che il corpo del cliente ne sa più del terapeuta. È il corpo del cliente che sa quando, come, quanto e dove apportare cambiamenti. Il terapeuta si limita a porre il fulcro e ad aspettare di vedere quale uso ne farà il cliente, se mai vorrà farne uso. Questa terapia è una manifestazione dell’antica saggezza di

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Lao Tzu dà significato ai suoi apparenti paradossi: “Il maestro non fa nulla, eppure non lascia nulla incompiuto” e “Quando il suo lavoro è finito, la gente dice: ‘Sorprendente! Ce l’abbiamo fatta e tutto da soli!’”4.

Esistono numerosi modi per tentare di rispondere alla domanda “perché funziona?”. Potrei dire che funziona perché il fulcro instaura un campo di forza più chiaro e forte e avrei ragione. Potrei dire che fornisce al corpo l’opportunità di riorganizzarsi attorno al fulcro e avrei nuovamente ragione. Ma queste parole non sono che tentativi di soddisfare quella parte della nostra mente che vuole spiegazioni per qualsiasi cosa. In realtà, è un mistero. E certe volte sembra che sia meglio celebrare il mistero, piuttosto che tentare di spiegarlo. Funziona.

Esistono due modi per creare un fulcro. Il primo è mediante il tocco diretto sull’osso. Per esempio, l’operatore, con il cliente sdraiato supino, congiunge le proprie mani dietro la schiena del cliente e tasta una costola con la punta di una o più dita. Grazie al suo addestramento e all’esperienza, sa riconoscere quella determinata caratteristica dell’osso che gli dirà se occorre o meno un fulcro e, se in caso, dove deve essere posto. Poi, alzando le dita e assecondando la naturale curvatura della costola, esercita un tocco interfaccia e crea una connessione5 con il cliente. Poi aumenta leggermente la trazione e mantiene le dita immobili per qualche istante. Questo è il fulcro. Questo è ciò che crea un campo di forza più nitido e 4

Mitchell S. (trad.), Tao Te Ching, Harper Perennial, New York, 1988, n. 38-17.

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forte. A questo punto, all’operatore capita spesso di percepire del movimento sotto le dita, un po’ come quando si tocca un tubo di gomma per innaffiare e qualcuno apre il rubinetto, oppure come quando si sente sciogliere un gelato sulla lingua. Utilizzando la spiegazione fornita nel paragrafo precedente, l’operatore sente che il corpo si riorganizza attorno al punto fermo (il termine “punto fermo”, o still point, non ha qui un significato tecnico come invece nella terapia cranio-sacrale).

La curvatura delle dita è una questione interessante e importante. Non deriva dalla spalla, né dal braccio e nemmeno dalla mano che poggia sul lettino. È soltanto ciò che naturalmente accade se sollevate le sole dita: s’incurvano verso il polso. La curva della costola incontra una curva nella mano. Come vedremo, un principio dello Zero Balancing vuole che il lavoro assecondi le curvature naturali dello scheletro. È affascinante notare che C.P.E.Bach, scrivendo del proprio celebre padre, Johann Sebastian Bach, disse che “[…] suonava con le dita incurvate, con le punte perpendicolari ai tasti con mano e braccio molto rilassati”6. Se provate a sostituire la parola “osso” a “tasti”, otterrete una perfetta descrizione del modo in cui si crea un fulcro. Forse è semplicemente la descrizione del modo perfetto per creare un punto fermo, nel corpo o nella musica, attraverso il tocco.

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Cfr. par. “donkey connection”, cap. 2. Palmer W. A. (a cura di), J. S. Bach, Alfred Publishing, California, 1983, p. 7.

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L’altro modo di creare un fulcro è mediante la trazione, per esempio sul collo. Seduto presso la sommità del capo del cliente, l’operatore solleva la testa di quest’ultimo, ancora una volta con le dita incurvate sull’osso e sollevando le dita con la loro curvatura naturale, tira delicatamente la testa verso l’alto e verso di sé. Dopo aver tolto il lasco, aggiunge un’ulteriore lieve trazione e mantiene la testa in quella posizione per qualche istante. Ciò crea il fulcro: il punto fermo in cui sono coinvolte l’energia e la struttura del collo e attorno a cui esse possono riorganizzarsi. Nello Zero Balancing, questo essenziale fulcro mediante trazione, utilizzato anche in altre parti del corpo, viene detto “vettore a mezza luna”, o, per brevità, “mezza luna”.

È più facile comprendere il primo tipo di fulcro: il punto in cui i polpastrelli incontrano

una costola coincide con il fulcro e richiama

effettivamente l’idea del fulcro di un’altalena. Il secondo tipo, che non coincide proprio con la punta delle dita, è creato dalla trazione e si trova in un qualche punto del collo, tra la punta delle dita e le vertebre, che non si spostano in misura significativa a seguito della trazione. Una delle molte abilità dell’operatore è quella di sapere dove deve essere posto il fulcro e quanta trazione occorre per crearlo . Risulta utile, con questo tipo di fulcro, pensare ad esso non tanto come a un punto preciso, quanto come ad un campo di forza, più chiaro e forte, che sarà più intenso e concentrato in un determinato punto, ma influenzerà con il suo effetto, tutt’intorno.

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Esistono molte variazioni su questi due modelli di fulcro. Ecco qui due esempi, tanto per rendere l’idea della ricchezza di questo concetto e del modo in cui può essere sviluppato per entrare in contatto con la struttura e l’energia in particolari punti del corpo. In primo luogo, consideriamo gli ampi movimenti del collo: può flettersi verso il basso fino al petto ed estendersi fino a sollevare il viso verso il cielo; può ruotare verso destra o sinistra e può piegarsi per inclinare lateralmente il capo. Ora, è chiaro che la mezza luna sul collo descritta sopra avrà effetto sulla capacità del collo di flettersi ed estendersi: sia la trazione che la curva si trovano lungo quest’asse. Ma ciò non vale per gli altri due movimenti. Se l’operatore vuole influire su uno di essi, o su entrambi, riuscirà nel suo intento con una semplice variazione sul fulcro di base: mentre lo crea, inizia ad aggiungere una torsione, che comporterà una rotazione e un’inclinazione laterale. Mantenendo il fulcro per qualche istante, immette un campo di forza più nitido e forte in tutti e tre i principali movimenti del collo. Ciò produce un potente effetto e il miglioramento nella mobilità del collo che ne consegue è spesso notevole.

L’altro esempio che voglio proporre combina entrambi i tipi di fulcro, il tocco sull’osso e la trazione. In piedi, vicino alle estremità del cliente, l’operatore gli solleva un piede intrecciando le dita sul dorso e posando delicatamente i pollici sulla pianta. In tal modo, le sue dita appoggiano direttamente sull’articolazione del tarso. A questo punto, applica una trazione che interessa il corpo energetico e poi solleva le dita verso l’alto e

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verso di sé, con un movimento a curva. Questa mezza luna, creata dalla pressione diretta delle sue dita sull’articolazione del tarso, è anch’essa un fulcro molto potente.

Affermare che un fulcro è potente o meno non dipende da una qualche idea astratta, ma dalla diretta osservazione dei suoi effetti. Certamente, alcuni dei risultati di un fulcro, o di una seduta intera, potrebbero non essere percepiti per qualche tempo, ne riparleremo più avanti. Tuttavia, la pratica della valutazione e rivalutazione è insita nella struttura di una seduta di Zero Balancing. È una pratica alquanto lungimirante. L’operatore, prima di applicare un fulcro, valuta. Nel caso di un’articolazione, la muove delicatamente lungo tutto l’arco dei suoi possibili movimenti. Così, per esempio, premerà l’avampiede fino a fletterlo e poi allenterà la pressione, simulando il movimento del piede quando cammina. Registrerà, principalmente con le mani, ma anche con gli occhi, la qualità e l’entità del movimento. Si muove liberamente o a scatti? Si arresta di botto o rallenta gradualmente, quando i legamenti incontrano la tensione ? Il piede si torce verso l’esterno o all’indietro descrivendo un arco netto e preciso? Queste sono alcune delle osservazioni che compirà. Inoltre, ha un parametro evidente per qualsiasi cosa intenda fare. Dopo aver posto un fulcro nel piede, può rivalutarne il movimento e vedere se ci sono miglioramenti. Se sì, il fulcro ha svolto il suo compito.

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Posto in questi termini, tutto sembra piuttosto banale. Eppure, non dimenticherò mai il chiropratico che, al suo primo corso di Zero Balancing, valutò il movimento del mio piede destro, che mi stava causando problemi da quando avevo trasportato una valigia molto pesante, qualche settimana prima. Dalla sua fronte corrugata, potevo vederlo pensare: “Hmm, c’è un bel problema qui; ci vuole una bella manipolazione… cosa potrei fare ora? Non è semplice…”. Mentre compiva la valutazione era perso nei suoi pensieri, così suggerii di provare ad applicare un fulcro: il primo, per lui. Tornando con la mente al workshop, lo fece e rimase a guardare. “Adesso, rivaluta”, gli ricordai. Rivedo ancora il suo sguardo sbalordito. Non riusciva proprio a capacitarsi del cambiamento occorso. Ciò spazzò via la sua ipotesi secondo cui soltanto attraverso la manipolazione avrebbe potuto prodursi un simile cambiamento.

Perciò, la pratica della valutazione e rivalutazione è un aspetto chiave dell’applicazione del fulcro; a prescindere dal resto, ti dice quando hai fatto abbastanza. Come sanno artisti e scrittori, la maggiore abilità sta nel sapere quando fermarsi. Ma c’è di più. Naturalmente, è possibile che un operatore applichi un fulcro, rivaluti e non trovi alcun cambiamento, o ne trovi in misura insignificante. Potrebbe ritentare: forse il fulcro non era collocato nel punto preciso; forse non si era effettivamente compiuta la connessione con il cliente; forse non l’aveva mantenuto abbastanza a lungo. Ma se non vi è stato cambiamento dopo il secondo tentativo, è bene che lasci perdere e vada oltre. Dopotutto, sa che l’obiettivo del fulcro non è quello di forzare

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il cambiamento, ma di creare un’opportunità perché esso avvenga, se ciò risulta appropriato. Oltretutto, la disciplina della valutazione e rivalutazione mantiene l’operatore onesto e con i piedi per terra . È fin troppo facile, con molte terapie e sistemi di medicina, controbattere: “Beh, dovrebbe funzionare, perciò presumo che stia funzionando”. Il fatto è che, se con la rivalutazione notate che nulla è cambiato, allora non è cambiato proprio nulla. Ciò non significa che avete fatto male a provarci; però significa che non dovete prendere in giro voi stessi.

Ho detto prima che l’intera gamma degli effetti di un fulcro potrebbe non essere percepita per qualche tempo; potrebbe venire avvertita più avanti nel corso della seduta, o magari anche ore, giorni o settimane dopo. Vi sono molteplici ragioni per questo. Può darsi che alle altre parti del corpo occorra più tempo della parte interessata per reagire al cambiamento ; può darsi che occorra più tempo al cliente per accorgersi che, per esempio, sta affrontando in modo migliore gli stress della sua vita, e così via. Ma, per tutto ciò, il test della rivalutazione funziona a meraviglia. Se c’è un notevole cambiamento nel movimento, allora c’è stato un notevole cambiamento nell’energia e nella struttura di quell’articolazione e ciò produrrà un effetto benefico sul corpo, la mente, lo spirito o una qualunque combinazione di tutti e tre.

Per riassumere questo capitolo: il metodo dello Zero Balancing consiste nell’immettere nello scheletro un campo di forza più chiaro e forte. E quel

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campo più nitido e forte

viene creato con la tecnica del fulcro, la cui

efficacia è stata verificata mediante la pratica della valutazione e rivalutazione. Il capitolo seguente considererà i punti chiave del corpo in cui un fulcro può avere i suoi effetti migliori, nonché il tipo di effetti che può indurre.

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