Vite Parallele Radicati

  • October 2019
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ALBERTO RADICATI

VITE PARALLELE ovvero

PARALLELO TRA MAOMETTO E SOSEM, IL GRANDE LIBERATORE DEGLI EBREI A CURA DEL MUSULMANO ZELIM IN UNA LETTERA AL RABBINO NATHAN

e

NAZARENO E LICURGO MESSI IN PARALLELO DAL NEOFITA LUCIO SEMPRONIO

A CURA DI TOMASO CAVALLO

PARALLELO TRA MAOMETTO E SOSEM, IL GRANDE LIBERATORE DEGLI EBREI A CURA DEL MUSULMANO ZELIM, IN UNA LETTERA AL RABBINO NATHAN

Non ne satius est Pecudum more vivere, quam Deum tam impium, tam prophanum, tam sanguinarium colere? Lactant. Divin. Inst. lib. I, cap. 21LIII

LIII

«Non è preferibile vivere al modo delle bestie, anziché venerare Dio in modo così empio, così profano, così sanguinario?» Lattanzio, Le divine istituzioni, lib. I, cap. 21.

AVVISO AL LETTORE SI ERA PENSATO OPPORTUNO fornire qualche chiarimento preliminare sulla Lettera che qui si presenta al pubblico, ma non vi è dubbio che coloro che la leggeranno con occhio imparziale, dalla semplicità del suo stile converranno che essa non abbisogna di alcun ulteriore commento. Tuttavia, poiché diverse persone potrebbero immaginare che quest’opera sia una mera finzione, escogitata da qualche malintenzionato infedele al solo scopo di minare il fondamento della maggior parte delle religioni, estenuando il merito di questo rinomato Legislatore dell’Antichità e del suo grande fautore, io mi trovo nella necessità di anticipare questa prevenzione informando i miei lettori che, lungi dall’essere un uomo superstiziosamente attaccato alla sua religione, o un entusiasta che nutre cattivi propositi, l’Autore è, al contrario, qualcuno animato unicamente dal puro amore della Verità che, giorno dopo giorno, cerca di scoprire, approfondendo sinceramente e senza pregiudizi le diverse opinioni umane concernenti la Divinità. Quelle che trova compatibili con gli attributi di tale Essere Supremo, egli le venera, in quanto fondate sulla verità; ma aborre invece come figlie della falsità quelle che ripugnano a quegli stessi attributi. Seguendo questa massima eccellente, avendo esaminato a fondo tanto la sua propria religione quanto quella degli ebrei, egli comunica liberamente e naturalmente i suoi pensieri sull’una e sull’altra a questo rabbino che, da parecchio tempo, si sforzava di condurlo alla religione ebraica. L’intenzione del musulmano non era che la sua opinione in materia venisse divulgata, avendo addirittura pregato Nathan di non far leggere a nessuno la sua lettera. Ma quell’ebreo, che è persona onestissima, benché prodigiosamente ostinata nella sua credenza, scosso dalla forza del ragionamento del suo antagonista, ha voluto sapere quale potrebbe essere l’opinione

dei sapienti su questo importante argomento, prima o di staccarsi dai suoi propri princìpi, o di determinarsi in favore di quelli che questo dottore maomettano gli ha esposto. Nondimeno, non volendo comparire nella pubblicazione di questa lettera, ne ha affidato a me la cura. Ciò che Zelim racconta di Sosem parrebbe molto giusto e conforme alle tradizioni degli ebrei. È vero che egli ha creduto conveniente mutare alcuni nomi particolari nella sua lettera,LIV una licenza di cui ha dato buone ragioni al Rabbino come, per esempio, là dove il nostro autore menziona le piaghe d’Egitto e chiama «piaga dei rospi» la piaga delle rane. Perché, non senza qualche verosimiglianza, il nostro musulmano dice che se in fatto di cibo gli egizi avevano lo stesso gusto dei francesi e degli italiani o degli spagnoli, che si fanno servire un piatto di rane nei loro pranzi più succulenti, essi avrebbero accolto con grande allegrezza questa pioggia più come una benedizione del cielo, che come una afflizione inviata loro per punirli, e dopo una pioggia di rane non si sarebbero che satollati meglio, mentre una pioggia di rospi sarebbe stata una piaga reale, trattandosi di animali perniciosi e per gli uomini e per le bestie. Per me, ritengo che il termine «rane» si sia infiltrato in luogo di quello di «rospi» per colpa degli interpreti ebrei. E perché mai questa LIV

I mutamenti in questione - che ricordano una prassi corrente all’epoca e praticata con successo sia da Fontenelle, sia da Swift, oltre agli anagrammi Sosem, Nahor, Doxeus in luogo di Moses, Ahron, Exodus, consistono inoltre nell’abbreviazione di Israel in Rael. I mutamenti sono più fantasiosi e vistosi nella ripubblicazione rivista e ampliata del parallelo, LA RELIGION MUHAMEDDANE, comparée à la Payenne de l’Indostan par Ali-Ebn-Omar, Moslem, epitre a Cinkniu Bramine de Visapour,Traduite de l’Arabe, pubblicata a Londra, [ma più probabilmente Rotterdan] Au depens de la Compagnie nel 1737. In questo caso Mosè viene ad essere celato sotto il nome di Visnù, la Bibbia è citata come Vedam, l’Egitto diventa il paese di Colconda, lo storico Tacito diventa il filosofo indiano Gnaniguel: ma la trasposizione se accentua l’ironia non trasforma la sostanza dell’impegno radicatiano ad esigere che sia la ragione ad esaminare le credenze.

opinione non dovrebbe avere anch’essa la stessa aria di verità di quella che il grande e sapiente dottor B – t – yLV ci ha presentato recentemente nella sua bella edizione di Milton, in cui gli errori e gli sbagli delle prime edizioni sono imputati all’ignoranza di coloro che trascrivevano le opere di questo celebre Poeta? Lettore, addio!

LV

Il riferimento era alla recentissima edizione del Paradise Lost miltoniano a cura di Richard Bentley: Milton’s Paradise Lost. A new edition by Richard Bentley D.D.M.S., printed for Jacon Tonson & C., London 1732.

VENERABILE NATHAN,

nell’ultima discussione che ho avuto con te in materia di religione tu mi dicesti che non avresti più disputato con me, se non mi fossi spogliato dei pregiudizi di cui ero imbevuto in favore del Corano e delle tradizioni dei nostri hodgiasLVI. Perché, a tuo avviso, era impossibile apprendere la verità da coloro che hanno un interesse a nasconderla. Tu mi dicesti anche che non conveniva abbracciare nessuna opinione prima di averla passata al vaglio della ragione e che noi non dobbiamo credere le cose se non in proporzione alla loro probabilità e possibilità, perché se lasciamo che a guidare e governare il nostro intelletto sia unicamente la fede saremo facilmente condotti a concedere il nostro assenso anche alle assurdità più mostruose, alle falsità più grossolane, considerandole quali verità incontestabili. Tutto ciò che tu mi dicesti su questo punto mi parve così ragionevole che mi risolsi a esaminare e a vagliare la mia religione partendo dai tuoi princìpi. Io mi lusingo che l’esame che ho condotto della mia propria religione non ti spiacerà e, una volta che te ne avrò reso conto, spero che tu mi concederai di usare la stessa libertà nei confronti della tua. È un privilegio che tu mi hai detto appartenermi di diritto, cosicché certamente non sarai indignato contro di me, a meno che tu stesso non sia come la maggior parte dei preti che concedono ogni libertà e, anzi, incoraggiano a cercare e a scoprire le imposture altrui, ma non vogliono che si faccia neppure il minimo esame delle imposture loro. La ragione di questa procedura del tutto priva di equità, Nathan, è che essi sarebbero felici di erigere il loro imperio sull’altrui rovina, ma non vogliono che sia resa loro la pariglia.

LVI

Un nome dato ai teologi in Turchia. [NdA]

Ecco dunque la storia del nostro Legislatore e della religione che egli stabilì tra gli Arabi, ricavata da quegli autori che meno possono essere sospetti di parzialità. Ottocentottantun’anni dopo la famosa vittoria che Alessandrò riportò su Dario ad Arbela, sotto il regno di Cosroe, re di Persia, Maometto figlio di Abdullah e di Eminah nacque a La Mecca, allo spuntare del giorno, l’ottavo del primo mese di Rabia o, secondo l’era cristiana, il 9 aprile 571.LVII Erano due mesi che Eminah era vedova quando mise al mondo Maometto. Il nonno paterno fu obbligato a prendersi cura di sua madre e di lui per salvarli dalla miseria, perché tutti i loro beni consistevano in pochi capi di bestiame che a stento permettevano la sussistenza della famiglia. Benché il padre di Maometto fosse povero, apparteneva alla tribù dei Koreisciti, la più nobile e la più distinta tra gli arabi.LVIII Abdolmutleb diede a questo bambino una nutrice, di nome Halimah, nativa di Saad, nel deserto, dove egli fu allevato fino all’età di sei anni; a quel tempo essa lo ricondusse a sua madre, che morì poco dopo, e l’orfano restò nella casa di suo nonno sino a che costui rimase in vita. Dopo la sua morte Maometto,

LVII

Ex Elmakino, Histor. Saracen. apud Hottinger. Histor Orient. Lib. 1, cap. 6. [NdA] Elmakin o Elmancin è la designazione europea del grande storico arabo Ibn al-Kalanìsi (1073-1160) autore di una fondamentale Storia degli Arabi, parzialmente tradotta in latino da Hergenius nel 1625 e in francese da Vattier nel 1657. Jean Henri Hottinger (1620-1667) insegnò a Zurigo e ad Heidelberg Storia ecclesiastica e Lingue Orientali. La stessa datazione con riferimenti ad Alessandro e a Cosroe è data da H. de Boulainvilliers, La vie de Mahomed, avec des Réflexions sur la Religion Mahométane et les Coutumes des Musulmans, Amsterdam 1731 (tr. it. a cura di D. Venturino, Sellerio editore, Palermo 1992, p. 137) Radicati poteva trovare l’indicazione del mese di Rabia come mese della nascita di Maometto anche nel Traité des Trois Imposteurs [tr. it. a cura di S. Berti, Einaudi, Torino 1994, p. 150]. LVIII Ex Elmakino apud Hottinger, lib. 1, cap. 4. [NdA]

allora diciottenne, andò a vivere presso lo zio Abutaleb, a cui Abdolmutleb aveva affidato la cura della sua educazione.LIX Abutaleb, incantato dal vedere quanto il nipote approfittasse dei suoi insegnamenti e osservando che aveva più gravità, più sagacia e discernimento di quanta ne hanno ordinariamente i ragazzi della sua età, ritenne giusto farlo viaggiare, non solo al fine di coltivare e perfezionare le eccellenti doti largitegli dalla natura, ma anche perché con il commercio potesse guadagnare a sufficienza per essere in grado di sposarsi al ritorno nel suo paese; suo zio, infatti, non era in condizione di potergli costituire una fortuna. Per realizzare questo disegno Abutaleb e sua moglie Atecha decisero insieme di cercare di farlo entrare al servizio di Chadigah, vedova di un importante mercante della Mecca, di nome Abdumenaf, che l’aveva lasciata prodigiosamente ricca. Era una donna molto religiosa e di buoni costumi, di modo che Abutaleb e Atecha si rallegrarono molto quando egli fu accolto, persuasi che le benedizioni di Dio non avrebbero potuto mancare a Maometto, una volta sotto la protezione di Chadigah. Ammesso così al suo servizio, essa lo incaricò della cura dei suoi cammelli e lo inviò con questi animali in tutte le città marittime al sud dell’Arabia per riportarne le mercanzie destinate ad essere vendute in Siria, ma specialmente le sete, di cui il lusso di Costantinopoli occasionava un grande consumo. Maometto, durante tutto il corso della sua attività commerciale, si comportò sempre in modo così disinteressato e rese dei conti così esatti alla sua padrona che essa non poté impedirsi di concepire una grande stima per un uomo la cui fedeltà e integrità rifulgevano in seno all’avversità. Egli era allora nel fiore degli anni e benché nulla di straordinario vi fosse nella sua persona, la sua fisionomia gradevole, la vivacità dei suoi occhi e la modestia incantevole che accompagnava tutte le LIX

Ex Elmakino apud Hottinger, lib. 2, cap. 1. [NdA]

sue azioni produssero una tale impressione nello spirito di Chadigah che essa si innamorò appassionatamente di lui e del suo servitore fece il proprio marito,LX preferendolo ai più ricchi mercanti d’Arabia che avevano fatto tutto il possibile per ottenere da lei una simile fortuna. Maometto, una volta sposato, sia per inclinazione, sia per riconoscenza, non ebbe altre cure e occupazioni se non quelle di compiacere la sua benefattrice. Essi vissero diversi anni in perfetta unione e le loro giornate erano segnate da testimonianze reciproche del più sincero affetto e della più grande tenerezza. Ma dopo quindici anni di matrimonio, Maometto, essendo soggetto al mal caduco e avendo allora raggiunto i quarant’anni, i suoi accessi presero a manifestarsi con maggior frequenza e a durare più a lungo di quando era nel vigore della gioventù. Questi accessi, dico io, e l’idea di una così terribile malattia fecero quasi pentire Chadigah d’averlo sposato e se questo non raffreddò interamente la stima e l’amicizia che essa aveva per suo marito, le rese comunque quanto meno disgustose e insopportabili le sue carezze. Maometto, la cui penetrazione era grande, non impiegò molto a rendersi conto di questo straordinario cambiamento e, poiché era uomo pieno di delicatezza, fu estremamente afflitto dal vedersi disprezzato da una donna che l’aveva adorato. A rendergli il tutto ancora più sensibile, era l’essere incorso nel suo sdegno non per una qualche offesa volontaria, ma solo per una disgrazia che poteva capitare anche all’uomo più onesto del mondo. Per riconquistare dunque la stima e l’affetto di Chadigah e delle sue altre mogli, che non aveva perduto se non a causa di una fragilità tanto comune al sesso femminile, Maometto immaginò che ciò che poteva fare di meglio era convincerle che ciò che esse chiamavano una malattia terribile, o un attacco di epilessia, era un’estasi reale in cui egli entrava per l’improvvisa LX

Ex Abunazaro, De Pseudoproph.Muhamed, apud Hotting, lib. 2, cap. 1.

apparizione degli angeli che lo circondavano. In quei momenti l’arcangelo Gabriele era solito mostrarsi a lui per rivelargli i segreti di Dio. Non essendo in grado di sostenere lo splendore e la grande gloria di questo celeste messaggero, ciò lo gettava in quelle sante convulsioni, come prima di lui era accaduto a tutti gli altri profeti.LXI Fu questo il velo con cui l’astuto arabo coprì la sua indisposizione presso le sue mogli ed è a questa invenzione triviale che deve la sua nascita la religione maomettana che successivamente ha causato così grandi rivoluzioni nel mondo. Io non deciderò se Chadigah prestò realmente fede a ciò che il marito le disse circa le sue rivelazioni o se essa finse soltanto, per ambizione, di credergli. Comunque sia, fu lei la prima a dichiarare pubblicamente che Maometto era in corrispondenza con gli Angeli e che tutto ciò che pensava o annunciava gli era immediatamente ispirato dall’Altissimo. Infine Chadigah, Zeid, Aly e alcuni altri coinvolti da Maometto nei suoi disegni, lavorarono incessantemente e con tutto il loro potere per procurargli proseliti e discepoli, riuscendovi a tal punto che ciò allarmò i magistrati della Mecca, i quali ordinarono di arrestare questo nuovo profeta onde metterlo a morte. Ma Maometto, avvertito, fuggì a Medina, dove fu ben presto seguito dai suoi seguaci.LXII Questo divino apostolo vedendo che il numero dei suoi discepoli era considerevolmente aumentato, decise di approfittare della loro credulità per elevarsi e stabilire con la forza aperta la sua religione e la sua autorità tra gli arabi. A tal

LXI

Zonaras Annalium, apud Hotting, lib. 1, cap. 2 e lib. 2, cap. 3. [NdA] Il racconto della biografia di Maometto di qui in avanti è molto più dettagliato nella versione del Parallelo fornito nella rielaborazione pubblicata a Londra nel 1737: LA RELIGION MUHAMEDDANE cit. cfr. Appendice. LXII Ex Elmakino, apud Hotting, lib. 2, cap. 4. [NdA]

fine, diede lo stendardo della sua fede a suo nonno, Hamza,LXIII e lo inviò con una trentina di suoi discepoli o musulmani a cercare fortuna, ma essi non ebbero alcuna occasione di esercitare il loro valore contro gli infedeli. Nel secondo anno dell’Egira, Maometto compì una spedizione che fu molto fortunata. Si pose alla testa di trecentodiciannove musulmani e attaccò un venerdì, il 17° giorno del mese Ramadan, una carovana molto ricca, composta da novecento o mille koreischiti, di cui ne uccise settanta, facendo prigionieri il resto. Perché allora Dio combatté per Maometto, come un tempo aveva combattuto per Sosem.LXIV LXIII

Nella versione del 1737 Hamza viene più correttamente indicato come

zio. LXIV Maometto, al fine di infondere coraggio ai suoi soldati, disse loro che Dio combatteva al loro fianco, ragione per cui venti musulmani poterono combattere con duecento infedeli e averne il sopravvento [vedi il cap. 8 del Corano]. Anche Sosem parla allo stesso modo con i figli di Rael, dicendo: «Ascolta, Rael, Voi oggi siete prossimi a dar battaglia ai vostri nemici; il vostro cuore non venga meno, non temete, non vi smarrite, e non vi spaventate davanti a loro, perché il Signore vostro Dio cammina con voi per combattere per voi contro i vostri nemici e per salvarvi» [Deut. 20, 3-4]. Quest’efficace espediente è stato usato ed è ancor oggi usato in tutte le nazioni. Bayle ce ne spiega la ragione nei Pensieri diversi sulla cometa, cap. 131. Come anche Machiavelli nei suoi Discorsi su Tito Livio, lib. 3, cap. 13 e cap. 33 [NdA]. [Il passo bayleano a cui Radicati si riferisce è il seguente: «On n’ignore pas l’impression que fait sur les esprits la pensée, que l’on combat pour la conservation des Temples et des Autels, et des Dieux Domestiques, pro aris et focis; combien on devient courageux et hardi, quand on est preoccupé de l’esperance de vaincre par la protection de ses Dieux, et que l’on est animé par l’aversion naturelle que l’on a pour les ennemis de sa creance. Voilà proprement à quoi servent les fausses Religions par raport à la conservation des Etats et des Republiques». P. Bayle, Pensées diverses sur la comète, (I ed. 1682), Société des Textes Français Modernes, Paris 1994, pp. 342-343). I titoli dei capitoli machiavelliani indicati sono rispettivamente «Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che abbia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole» e «Egli è necessario a volere vincere una giornata fare lo esercito confidente ed infra loro e con il capitano».]

Questa famosa battaglia si svolse nei pressi d’un pozzo chiamato Badr in Arabia. Maometto nella mischia perse quattordici musulmani, che ebbero la gloria di essere i primi martiri della sua religione.LXV Il bottino fu assai considerevole e ciò incoraggiò a tal punto Maometto che, dopo numerose altre spedizioni molto più notevoli della prima, infine si impadronì della Mecca, nell’ottavo anno dalla sua fuga, o dall’Egira, e tre anni dopo, il lunedì, secondo giornoLXVI del primo mese di Rabia, egli morì di una malattia che durò tredici giorni e fu sepolto a Medina, essendo nel sessantatreesimo anno di sua vita; mentre Abubeker regnava sui saraceni ed Eraclio regnava sui Greci. Non lasciò che una figlia, di nome Fatima, che non sopravvisse al padre che quaranta giorni, anche se alcuni dicono settanta.LXVII Maometto era ben fatto di persona, di statura mediocre, la testa grande, il volto bruno, il colore vivo, lo sguardo modesto, l’aria nobile, il corpo libero e flessuoso, l’aspetto civile, la conversazione insinuante, la mente fine e flessibile, era eloquente, robusto e disprezzava i pericoli che gli altri generalmente temono. Questo ritratto del nostro glorioso apostolo è tracciato da un cristianoLXVIII che, essendo un suo LXV

«Ex Musulminis vero tamquam Martyres occubuerant viri 14. Habent enim Muhamedani Martyrum loco, quotquot in prœliis Religionis causa susceptis mactantur, etc.». Ex Elmakino apud Hotting. lib. 2, cap, 4 [NdA] Bayle aggiunge a questa notizia il commento salace: «Ce sont des plaisans Martyrs. que des gens qui sont tuez au pillage d’une riche caravane, & en faisant le métier de Mikelet & de Bandi». (Diction. hist. et crit. op. cit. p. 1852 rem G). LXVI Secondo Elmakin egli morì il dodicesimo giorno di quello stesso mese. [NdA] LXVII Ex Patricide, apud Hotting, lib. 2, cap. 4. [NdA] LXVIII Chevreau, Histoire du Monde, lib. 5, cap. 1. [NdA] Radicati ricava da Bayle, Dictionnaire Hist. et crit. s. v. Mahomet rem C, n. 15 la citazione da Chevreau espungendo l’accenno malizioso in essa contenuto: «Outre qu’il rendit à ce marchand d’assez grands services, il donna dans la vue de sa femme Chadijah: & le Facteur avoit peut-être des qualités qui manquoient au maître».

nemico, non può essere sospettato di adulazione. Mi appello a te, Nathan! Non ti ho fornito un racconto assai imparziale della biografia del nostro Profeta? Questa volta non potrai accusarmi di aver esercitato la tua pazienza con citazioni interminabili, com’ero abituato a fare quando disputavo con te, né ti ho stancato con il resoconto di tutti i miracoli che, seguendo ciò che dicono gli Hodgias e gli ImanLXIX precedettero la sua nascitaLXX, né di quelli che egli compì durante la sua vitaLXXI altrettanto stupefacenti o, piuttosto, altrettanto stravaganti di quelli che tu attribuisci al tuo Profeta. Perché il mio intento è stato quello di parlarti di fatti, e non di ridicole invenzioni. Io affermo di esserti infinitamente obbligato per avermi fatto sentire il mio diritto ad esercitare liberamente la mia ragione perché, con il suo aiuto, sono stato capace di vedere al di là dei miei antichi pregiudizi e di giungere alla conoscenza delle verità di cui ti ho appena messo a parte. Ma com’è possibile, degno Nathan, che tu che mi hai aperto gli occhi e mi hai fatto vedere gli errori della mia educazione, continui ad essere così cieco sui tuoi? Non potrai aver dimenticato quanto spesso mi hai detto che era impossibile che Dio fosse l’Autore del Corano, perché il Corano conteneva cose del tutto ripugnanti alla sua bontà e alla sua saggezza infinite. Sicuramente ricordi ciò che mi hai insegnato: Dio è un essere perfettissimo, immutabile e, di conseguenza, non può mai cambiare quest’ordine saggio, eterno con cui governa l’Universo, perché quest’ordine è perfetto, né potrebbe esservene uno migliore. Se, dunque, le idee che hai di Dio sono giuste e se è vero che Dio non può mai fare nulla di LXIX

Iman è il primo prete di una delle nostre moschee, qualcosa di analogo a un curato nella propria parrocchia. [NdA] LXX Ex Elmakino, apud Hottinger, lib. 1, cap. 6. [NdA] LXXI Hottinger, lib. 2; Chevreu, lib. 5. [NdA]

contrario ai suoi attributi, come e per quali motivi vorresti persuadermi ad abbracciare la tua religione? Se tu avessi esaminato imparzialmente il tuo sistema, come ho fatto io, troveresti che è impossibile che esso provenga dalla Divinità; ti avvederesti e confesseresti, io dico, che le frequenti conversazioni avute da Sosem con l’Essere supremo sono altrettanto assurde e più contrarie alla vera pietà di quelle avute da Maometto con l’arcangelo Gabriele. Tu converrai con me che Colui che è tutto bontà non ha mai potuto comandare, né approvare le grandi ingiustizie e crudeltà compiute da Sosem in suo nome. Infine, tu sarai perfettamente convinto che egli ha ingannato gli ebrei come Maometto ha ingannato gli arabi. Ma ora temo che tu perda la calma che suggerisce la ragione. Ho paura che tu monti su tutte le furie, nel sentirmi trattare il tuo profeta come un impostore. Se questo avviene, sarà comunque colpa tua e tu agirai direttamente contro i tuoi princìpi. Ricordati che tu mille volte, e nel modo più oltraggioso, hai chiamato un impostore Maometto che io riverivo come il beneamato messaggero di Dio. Io tolleravo tutto ciò senza collera; vorresti tu ora avere meno sangue freddo, se ti rendo la pariglia? Per dirti la verità, i tuoi discorsi spesso mi sconcertavano e mi inorridivano, tanto mi suonavano empi e profani; ma causa di tale orrore erano i miei pregiudizi. Permettimi dunque di dirti senza riserve i miei sentimenti su Sosem ed ascoltami con la stessa pazienza con cui ti ascoltavo io quando tu mi dicevi liberamente i tuoi su Maometto. Disputando con te, non utilizzerò altre armi se non un esame imparziale e giusti ragionamenti. Tu già convieni sul diritto che ho di servirmene. Così, se puoi, difenditi con le stesse armi e non permettere che la tua naturale mitezza ti abbandoni, perché, se lo fai, ciò proverà unicamente che non sei in grado di controbattere le mie obiezioni con argomenti solidi e la tua collera altro non rivelerà che la tua debolezza.

Dapprima ti darò la storia di Sosem così come l’abbiamo da parte di un autore giudizioso e poi esamineremo quella che è favolosa e che tu ammiri come un’opera divina; affinché tu possa giudicare quale delle due è la più ragionevole e più degna d’assenso. Un gran numero d’autori, egli dice, conviene su questo fatto, che essendo l’Egitto infettato da un male pestilenzioso che contaminava i corpi viventi,LXXII il Re Boccori, avendo consultato l’Oracolo di Giove Ammone, ricevette l’ordine di purificare il suo Regno di quella schiatta di uomini odiosa alle Divinità. Essendo dunque ricercati, cacciati e abbandonati nell’immenso deserto, mentre tutti rimasero attoniti e disperati, Sosem, uno tra quegli esiliati, li esortò a non riporre alcuna speranza negli dèi e negli uomini, dal momento che sia gli dèi, sia gli uomini li avevano abbandonati, confidando invece in lui, loro guida inviata da Dio, col cui aiuto essi avrebbero vinto la loro attuale miseria e disperazione. Essi assentirono e ignorando completamente ciò che sarebbe loro accaduto, cominciarono a vagare all’intorno, ma nulla li tormentava tanto come la mancanza di acqua. Già si erano dispersi nelle pianure, pronti a morire, quando una mandria di asini selvatici, lasciando il loro pascolo, s’arrampicò su di una montagna rocciosa, coperta da un fitto bosco. Sosem li seguì congetturando la presenza d’acqua dal singolare verdeggiare dell’erba e scoprì alcune ricche sorgenti. Ciò diede loro sollievo e ristoro e viaggiando ininterrottamente per sei giorni, il settimo conquistarono un accampamento, sterminandone gli abitanti. Lì eressero la loro città, lì fondarono e dedicarono il loro tempio. Sosem, per assicurarsi per sempre il dominio sulla nazione, stabilì

LXXII

La lebbra. [NdA]

ordinamenti religiosi del tutto nuovi, contrari a quelli di tutti gli altri popoli e paesi.LXXIII Così tu vedi in che modo Sosem e il suo popolo uscirono d’Egitto. Dimmi, Nathan, se questo racconto di Tacito, per quanto profano tu possa trovarlo, non è più probabile della relazione del tuo Doxeus che consideri sacra. Non è affatto gravato da finzioni, né ingombrato di miracoli; in un una parola: è naturale e, anche se non è la vera storia del tuo popolo, quanto meno non contiene nulla di impossibile. Il racconto che tu consideri sacro è molto diverso. Se posso parlare liberamente è una raccolta di favole, miserevolmente inventate, sconnesse e disordinate, stravaganti quanto empie e tali, di conseguenza, da urtare sia il senso comune, sia da opporsi alla natura dell’Essere Divino. Per queste ragioni, Nathan, io sostengo che il racconto di Tacito è più glorioso per Sosem e fa più onore alla nazione giudaica di quello di Doxeus: perché chi non sarebbe preso da compassione per un popolo sventurato, bandito dal suo paese e miserevolmente afflitto dalla lebbra? Chi è l’uomo che non riverirebbe Sosem per la sua saggezza e la sua bontà nel confortare e rianimare i suoi compagni che, abbattuti da tante sventure, avevano perduto ogni coraggio e sarebbero inevitabilmente periti se egli non si fosse offerto come loro liberatore e non avesse ispirato loro una speranza? È vero: Sosem li ingannò, facendo credere loro di essere una guida inviata dal Cielo perché essi potessero sottomettersi a lui; ma non era meglio per questo popolo miserabile diventare suddito di qualcuno che li assisteva nelle loro afflizioni presenti, anziché morire adirato contro Dio e gli uomini, per mancanza di soccorsi? LXXIII

Qui mi sono preso la libertà di citare questo passo dall’eccellente traduzione di Tacito a cura di Thomas Gordon, che è la migliore esistente. Vol. 2, p. 303. Tac. Hist. lib. 5. [NdA]. [London, J. Peel, 1728-31]

Vi si dice anche che Sosem invase un paese, dove, dopo avere sterminato gli abitanti, fissò la sua dimora per sé e per il suo popolo. Ciò va indubbiamente considerato come una grande ingiustizia e una crudeltà estrema; ma questo non è nulla rispetto a ciò che tu sentirai. Ascoltami con attenzione e sii certo, tu non mi solleciterai più a che io mi faccia ebreo. Doxeus ci dà la descrizione seguente: Dio diede a Sosem il potere di compiere miracoli alla presenza di Boccori, affinché questo egizio, appresa la sua onnipotenza, potesse lasciar uscire gli ebrei dall’Egitto, ma al contempo ci dice che Egli aveva indurito il cuore di questo Re, vale a dire, gli aveva tolto il potere di accordare ciò che aveva ordinato a Sosem di chiedergli in suo nome:LXXIV di modo che Boccori rifiutò tre volte a Sosem e a suo fratello Nahor di lasciar partire questo popolo dall’Egitto. Ed era Dio che così voleva, avendo indurito il suo cuore.LXXV Nonostante ciò Dio lo punì severamente, come se fosse stato colpevole, tramutando in sangue l’acqua del paese; coprendo la terra e riempiendo le case degli egizi di rospi.LXXVI Ed è necessario rimarcare qui che tutte le genti d’Egitto furono afflitte da queste piaghe e condivisero queste miserie, benché non fossero in nessun modo al corrente di ciò che accadeva tra il loro re e Sosem. Dio ordinò a Sosem di presentarsi una quarta volta davanti a Boccori, per annunciargli che, se non lasciava partire gli ebrei, avrebbe riempito l’Egitto di mosche di ogni specie che avrebbero infestato tutto il paese.LXXVII Il re, che aveva crudelmente provato il potere del Dio di Rael, fece venire Sosem e Nahor, e promise loro che essi e il loro popolo se ne sarebbero LXXIV

Dox IV, 21 [NdA]. Dox, abbreviazione di Doxeus è l’evidente anagramma di Exodus, secondo libro del Pentateuco. Ugualmente Nahor è l’anagramma di Aron, il fratello di Mosè. LXXV Dox. V, 1-2; VII, 2-4. [NdA] LXXVI Dox, VIII, 3, 6. [NdA] LXXVII Dox, VIII, 21. [NdA]

andati e avrebbero sacrificato al loro Dio, purché lo salvassero dalla piaga delle mosche. Il povero Boccori fece questa promessa a Sosem con grande gioia, credendo di schivare il male di cui era stato minacciato: ma Dio gli impedì di dare seguito alle sue intenzioni, indurendo ancora una volta il suo cuore; Sosem dunque diffuse la piaga delle mosche e del tutto inutilmente, perché il re era stato posto nell’impossibilità di mantenere la sua parola.LXXVIII Così Dio continuò a indurire il cuore di Boccori,LXXIX affinché quel re persistesse nel rifiutare ostinatamente ciò che egli aveva ordinato a Sosem di chiedergli e ciò per la crudele soddisfazione di affliggerlo più a lungo e in modi diversi.LXXX Infine Dio, essendosi quasi stancato di tormentare questo principe sventurato, disse a Sosem: non lo colpirò più che con una sola piaga: dopo di che egli lascerà uscire dall’EgittoLXXXI il popolo di Rael. Avendo dunque indurito al modo ordinario il cuore di Boccori, cosicchè rifiutasse di lasciar partire gli ebrei, Dio lo colpì con quest’ultima piaga per punirlo di una disubbidienza di cui Lui stesso era la causa. Ma nota bene, Nathan, ciò che Sosem pone successivamente in bocca a Dio e sarai anche più convinto della falsa idea che egli aveva dell’Essere eterno. Hai già visto che egli l’ha rappresentato come ingiusto e crudele, ora ne fa anche un ignorante. Io uscirò verso mezzanotte, dice Dio, e percorrerò l’Egitto; colpirò con la morte tutti i primogeniti sia degli uomini, sia degli animali: il sangue con cui voi contrassegnerete le vostre case vi distinguerà dagli egizi; perché quando vedrò questo sangue io non colpirò nessuno in quelle case; in tal modo la piaga della LXXVIII

Dox, VIII, 32. [NdA] Dox, IX, 12. [NdA] LXXX Ibid. V, 24, 25; X, 12, 13, 14, 15, 20 e 27. [NdA] LXXXI Dox. XI, 2. [NdA] LXXIX

morte non vi coinvolgerà affatto, mentre io ne colpirò tutto il paese.LXXXII Osserva, Nathan, che il tuo Dio, temendo in questo massacro di confondere gli ebrei con gli egizi, in quanto abitavano gli uni in mezzo agli altri, fu obbligato a far contrassegnare con il sangue le case degli ebrei, per paura di sbagliarsi. Questa precauzione avrebbe potuto essere necessaria per un assassino capace di confondersi, ma è assolutamente incompatibile con l’infallibilità di un Dio che conosce tutte le cose e non può essere ingannato. Che strane e orrende nozioni della divinità sono queste! Lo sventurato e innocente Boccori, dopo questa piaga cruenta, non avendo più il suo cuore indurito, ordinò a Sosem e Nahor di comparirgli innanzi e disse loro: alzatevi e allontanatevi dal mio popolo, voi due e i figli di Rael, andate e sacrificate al vostro Dio: prendete con voi le greggi e il bestiame, e quando vi sarete allontanati da me pregate per me il vostro Dio.LXXXIII Così il re, non appena Dio lo permise, lasciò andare liberamente il popolo, ma il Santo Profeta, non contento di partire a mani vuote, autorizzato da Dio, comandò agli ebrei di prendere in prestito dai loro migliori amici tra gli egizi il loro vasellame d’oro e d’argento e le vesti più ricche, per portarle via con loro. Gli ebrei ubbidirono immediatamente e poi uscirono dall’Egitto insieme con Sosem.LXXXIV Io ti sfido, Nathan, a trovarmi nel Corano un solo passo in cui Dio abbia ordinato ai musulmani di commettere un latrocinio altrettanto perfido. LXXXII

Dox. XII, 12-13. [NdA] Il tuo Profeta qui manifesta egli stesso la sua menzogna: perché poco prima aveva detto a Boccori che egli non avrebbe mai più visto la sua faccia [Dox, X, 29] e, ciononostante, in seguito ritornò di nuovo alla sua presenza [Dox. XII, 31-32] [NdA] LXXXIV Dox. XI, 2; XII, 35-36. [NdA] LXXXIII

Nonostante tutto ciò, Boccori e il suo popolo si credettero felici d’essere liberati da piaghe tanto terribili; ma la loro felicità fu di breve durata, perché Dio, avendo deciso di sacrificare alla sua ira questo re e i suoi sudditi innocenti, indurì ancora il cuore di Boccori e degli Egizi, affinché si mettessero a inseguire gli ebrei per ricondurli in Egitto.LXXXV Di modo che questo re e il suo popolo, forzati a obbedire all’Onnipotente, inseguirono gli ebrei; ma Dio li bloccò lungo il cammino e li sommerse in mare.LXXXVI Così finisce questa mirabile tragicommedia; e il Dio di Sosem, con un’ingiustizia inaudita fece conoscere il suo potere ai figli di Rael.LXXXVII Io sono sicurissimo, Nathan, se questa storia che ti ho appena raccontata si fosse trovata nel Corano o nel Vangelo tu non avresti bisogno di nessuno che te ne mostrasse la stravaganza, l’impossibilità e l’empietà. Perché non conosco nessuno che abbia discernimento migliore del tuo anche nelle materie più astruse, allorché tu hai la libertà d’usare la tua ragione e di seguire i lumi del tuo giudizio. Ma poiché questo racconto sventuratamente si trova in un libro che non ardisci esaminare e di cui credi non sia permesso revocare nulla in dubbio, considerandolo nel suo insieme come sacro e incontestabile, io penso che sia mio dovere porre questo resoconto in un’altra luce per farti sentire, se è possibile, il tuo acciecamento. Immaginati dunque che esista un’isola in cui abbia vissuto fino a poco fa un re così potente e assoluto da costringere i suoi sudditi a eseguire tutti i suoi ordini, quali che fossero. Questo re, avendo deciso di andare a risiedere in qualche altra parte del suo regno, s’imbarcò su una flotta di cinquanta vascelli da guerra, con un seguito molto ridotto. Essendo in mare a una breve

LXXXV

Dox. XIV, 4, 8, 17. [NdA] Ibid. 26 e ss. [NdA] LXXXVII Ibid. 31.[NdA] LXXXVI

distanza dall’isola, gli venne in mente di avere con sé tutti i signori e gli ufficiali della sua corte. A tale scopo inviò un ordine al governatore dell’isola con cui esigeva che la sua corte accorresse immediatamente a raggiungerlo. Il ministro ubbidì al comando, ma proprio quando la corte era sul punto di partire, il re gli inviò segretamente un contrordine perché non partisse affatto. Nondimeno il re parve spazientito ed estremamente scontento del fatto che la corte non venisse a raggiungerlo. Coprì di biasimo il governatore e minacciò di spezzargli le braccia, se non avesse fatto partire la corte immediatamente. Il ministro era intento a dare esecuzione al nuovo ordine, quando ricevette una lettera particolare del suo padrone che gli vietava di eseguirlo. Il governatore, di conseguenza, trattenne la corte sull’isola. Il giorno seguente il re mandò un suo inviato, fece spezzare le braccia al governatore e minacciò di fargli rompere anche le gambe se non faceva partire la corte alla sua volta, senza por tempo in mezzo. Il povero ministro, sempre ossequiente agli ultimi ordini del suo principe, diede le disposizioni necessarie per la partenza della corte che accompagnò di persona. Ma mentre erano in cammino, apparve un messaggero del re che gli annunciava che sua Maestà non voleva che lo raggiungessero. Ubbidendo a questa nuova volontà il governatore e i nobili se ne tornarono alle loro dimore. Lo sventurato ministro non perciò ebbe le gambe meno spezzate e il re gli ordinò che tutti gli abitanti dell’isola fossero puniti allo stesso modo, senza eccettuare nessuno, tranne gli ufficiali di corte. Quando sua Maestà si fu divertita per qualche tempo in questo modo delizioso, inviò un corriere al governatore perché la sua Corte si imbarcasse immediatamente su di una fregata che era pronta nel porto, il che fu eseguito. Era appena imbarcata,

ed ecco che il re mandò un altro corriere che recava l’ordine al governatore e a tutti gli abitanti di correre a tutta velocità dietro la corte per ricondurla nell’isola. Il buon ministro con le braccia e le gambe spezzate si sentì ancora in dovere di ubbidire: si fece portare in una lettiga a bordo di un vecchio bastimento molto malandato, gli abitanti nello stesso miserevole stato, impiegarono cavalli, muli, asini e le altre bestie per farsi trainare su carri a bordo di un gran numero di piccole barche che costeggiavano la riva e, in meno di due ore, furono alla portata della fregata e della flotta del re, che non distava se non sei miglia. Stavano per abbordare la fregata, seguendo il comando di Sua Maestà, quando il re, vedendo che si avvicinavano, ordinò al suo ammiraglio e agli altri capitani di fare fuoco contro il piccolo bastimento su cui si trovava il governatore e contro le altre barche, facendole affondare. Così questo re eccellentissimo distrusse tutta una nazione che gli era sempre stata sottomessa per dispiegare agli occhi della sua corte la grandezza del suo potere. Questa favola, Nathan, ha una rassomiglianza così perfetta con la precedente che sarebbe inutile darne la spiegazione. Io ti dirò soltanto che se tu approvassi la condotta di questo re, come esattamente conforme a quella che Doxeus attribuisce all’Altissimo, tu pronunceresti una bestemmia esecrabile; perché rovesceresti interamente la giustizia, la bontà e la saggezza infinita dell’Essere divino, facendo della divinità un mostro orribile. Ma se condanni questa condotta come io non dubito affatto, come ti è possibile credere che Dio infinitamente saggio, giusto e buono abbia potuto commettere la stessa azione malvagia, la stessa ingiustizia o essere posseduto da una frenesia così crudele come quella di cui fu colpevole quel detestabile monarca? Sicuramente, sublime Nathan, sarebbe meglio per te essere ateo che adorare un essere imputabile di crimini tanto enormi e di consimili iniquità, perché le imperfezioni e la malvagità

debbono certamente essere più contrarie alla natura del vero Dio, più ingiuriose al suo vero onore che la negazione della sua esistenza.LXXXVIII Io so, Nathan, che tu mi replicherai per giustificare la sua condotta nei confronti di Boccori che Dio ha ogni potere e può fare tutto ciò che vuole. Ma non appoggiarti su ciò, perché anche questa opinione è empia, essendo impossibile che Dio faccia qualcosa di contrario ai suoi attributi e incompatibile con le sue perfezioni infinite, benché l’apostolo più ingegnoso dei Nazareni l’abbia preteso, dicendo che così come il vasaio ha il potere di fare dalla terra che impiega il recipiente che preferisce, allo stesso modo Dio ha ogni potere sulle sue creature e può disporne secondo la sua volontà e benché abbia tentato di autorizzare questa dottrina con la condotta di Dio nei confronti di Boccori.LXXXIX Ma, buon Nathan, questa dottrina è criminale e abominevole. Un mio particolare amico ne ha chiaramente mostrato l’orrore e l’empietà.XC Io vorrei che tu leggessi i suoi scritti, ti fornirebbero mille volte più istruzione di quanto mi è possibile comunicarti in questa lettera. Sono sicuro che quando tu li avrai letti, mi ringrazierai per averti invitato a farlo. Oltre a ciò, una volta uscito dall’Egitto, Sosem esercitò le maggiori crudeltà nei confronti di numerose nazioni. Non si accontentò di cacciare gli abitanti dai loro paesi, e di impossessarsi di tutti i loro beni, ma con una sete inestinguibile di sangue massacrò tutti senza misericordia, non risparmiando né donne, né bambini; né l’innocenza stessa di coloro che erano in culla, né la bellezza e la modestia delle vergini poterono LXXXVIII

Vedi ciò che ha detto sull’argomento il dotto Bayle nei suoi Pensieri diversi sulla cometa, capp. 115, 117, 119, 120, 132. [NdA] LXXXIX Ad Rom. cap. 9, v. 17 e ss. [NdA] XC Il Conte di Passerano, nei suoi Discorsi storici e politici. III Discorso. Quest’opera sarà presto pubblicata. [NdA]

smuovere la sua compassione. Tale fu la terribile sorte dei cananei,XCI degli amorrei,XCII dei madianitiXCIII e di tanti altri.XCIV A questo riguardo Sosem non può mai essere comparato con Maometto. È vero che l’introduzione delle loro religioni fu simile, in quanto furono entrambe la produzione del loro genio e della loro ambizione e si diffusero con la forza delle armi;XCV ma con questa grande differenza nondimeno, che Maometto agì come aveva fatto Alessandro Magno in tutte le sue conquiste e Sosem come hanno fatto gli Spagnoli. Perché Maometto ricevette generosamente e a braccia aperte coloro che si sottomisero alle sue leggi; in verità mandò a morte i più ostinati, ma risparmiò sempre il sangue innocente delle donne, delle vergini e dei bambini; infine raccomandò ai suoi seguaci di non tormentare mai, ma di trattare come fratelli tutti coloro che ubbidiranno al Corano.XCVI Al contrario, Sosem fece perire intere nazioni, senza offrire né accettare alcuna condizione di pietà come hanno fatto quei mostri disumani degli spagnoli quando travolsero i popoli del Perù e del Messico.XCVII E lo stesso Sosem, prima di morire, ordinò agli ebrei, in nome di Dio, di sterminare numerose altre nazioni.XCVIII XCI

Num. XXI, 3. [NdA] Ibid. 24. [NdA] XCIII Num. XXXI, 7, 17. [NdA] XCIV Ibid. XXI, 33 e ss. [NdA] XCV Sul comune uso delle armi da parte di Mosè e Maometto per diffondere la loro religione insisteva anche il cap. XI del Traité des Trois Imposteurs, op. cit. p. 149. XCVI Vedi il capitolo IX del Corano. [NdA] XCVII Vedi Bartholomeo de las Casas, Distruicion de las Indias [NdA]. Il titolo completo e corretto è Breuissima relacion de la destruycion de las Indias: colegida por el obispo don fray Bartolome de las Casas, o Casaus, de la orden de Santo Domingo, 1552. XCVIII «…nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio; cioè XCII

Caro Nathan, vi è anche di più: ed è che il mio profeta, finché visse, fu un buon padre per i musulmani e il tuo fu un tiranno avaro e crudele per gli ebrei.XCIX Se puoi ancora dubitarne te lo proverò in un’altra lettera. Nel frattempo possa ciò essere ad onore e gloria del Vero Dio e a confusione di quegli impostori A Londra, il 23 della Luna Maharran, anno dell’Egira 1103, e di Cristo 1731 Io sono il tuo sincero amico Z elim , m usulm ano.

gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare.» Deut. XX, 16-17. Vedi anche XXXI, 3-5. [NdA] XCIX L’argomento di tale lettera, come dimostra a questo punto la versione del 1737, è connesso al tema del vitello d’oro che nello stravolgimento adottato da Radicati in La Religion muhammedane cit. [pp. 102-103] diventa l’«elefante d’oro»: «Testimone il famoso Elefante d’Oro che Visnù fece loro erigere, per appropriarsi di tutte le ricchezze che i suoi discepoli avevano rubato ai colcodiani e testimoni i 23 o 24 mila dei suoi che egli fece massacrare non appena si accorse dei mormorii contro di lui dalle persone offese dall’essere state così grossolanamente spogliate dei loro effetti. Perché non appena il Grande Bramino suo fratello, che l’assecondava in ogni cosa, l’ebbe avvertito di aver indotto i suoi discepoli ad affidargli non solo tutto l’oro che avevano per impiegarlo nella costruzione di questo prezioso Idolo ma anche ad adorarlo non appena elevato, Visnù, dico io, indignato in apparenza contro l’idolatria dei suoi discepoli e trasportato da un sacro furore spezzò l’elefante e volle fare credere al suo popolo che i frammenti erano scomparsi o che Kiotua li aveva annientati. Sono fatti che tu non mi puoi contestare e di cui ti parlerò più ampiamente in un’altra lettera». Il riferimento biblico è a Esodo 32, 20-29.

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