SQUILLERÀ L’ULTIMA TROMBA Cosa possiamo apprendere sulla musica sacra paleocristiana, a partire dalle Lettere paoline? an Paolo sintetizza la storia della salvezza nell’espressione “mistero” (Rm 16,25; Ef 5,32; Col 1,26-27); «il mistero della volontà di Dio» (Ef 1,19); «il mistero nascosto nei secoli in Dio» (Ef 3,9; 16,25; Col 1,16). Tutto è incentrato nella piena rivelazione del Figlio di Dio: la storia della salvezza tendeva unicamente a Lui (periodo di preparazione) e dopo Cristo tutto proviene da Lui (periodo di assimilazione e di partecipazione). Ogni cosa si assomma e si “ricapitola” nel «mistero di Cristo» (Col 3,2; 4,2; Ef 3,3), «mistero del Vangelo» (Ef 6,19), «mistero della fede» (1Tm 3,9), «mistero della pietà» (1Tm 3,16). In questo orizzonte storico-salvifico, la musica ha il compito di esprimere il mistero di Cristo in tutte le sue fasi. San Paolo scrive: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni e canti spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,19); e ancora: «Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un insegnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpretarle» (1Cor 14,25); e, infine: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente, con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e
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con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16). Da questi testi si comprendono alcune cose. In primo luogo, che il canto è considerato come un’attività dello Spirito Santo che riempie i cuori dei fedeli fino a traboccare nella letizia della musica. In secondo luogo, che i fedeli dei tempi apostolici nutrivano – come già Gesù – un attaccamento particolare al salterio, pregato in modalità diverse. Infine, che la celebrazione eucaristica era accompagnata dal canto. Gli scritti del Nuovo Testamento contengono solo poche indicazioni circa la forma musicale del culto cristiano primitivo e molte cose sono destinate a rimanere nel campo delle supposizioni, fondate su eventuali nuove scoperte archeologiche. Buona parte di quanto sappiamo sugli strumenti musicali della tradizione biblica ci viene dalla documentazione letteraria: le Scritture, le loro traduzioni antiche, le descrizioni e i commenti dei rabbini, dei padri della Chiesa e degli autori classici. Riguardo al loro uso, sappiamo che venivano adoperati sia durante momenti liturgici sia in occasione di feste e
FOTO P. PEGORARO
conviti. Ulteriore documentazione ci è giunta attraverso le rappresentazioni pittoriche. Le identificazioni rimangono però difficoltose. Possiamo comunque dare alcune indicazioni secondo la forma strumentale. Tra gli strumenti a percussione, san Paolo accenna a «un cembalo che tintinna» (1Cor 13,1). Tra gli strumenti a corda, sia san Paolo che san Giovanni ricordano la cetra (1Cor 14,7-8; 10-11; Ap 5,8; 15,2). Tra gli strumenti a fiato vengono menzionati la symphonía (Lc 15,25), specie di zampogna o cornamusa, e soprattutto il flauto e la tromba.
Le trombe del Signore Le trombe hanno un particolare rilievo nella Bibbia. La hasosetah (ebraico: hasasrah), che gli Israeliti avevano imparato a conoscere in Egitto, era costruita di solito in metallo, bronzo oppure argento. La canna sottile, diritta o incurvata, lunga circa 60 cm, con un padiglione sferoidale all’estremità, veniva suonata in posizione inclinata verso il basso. L’imboccatura, a forma di tazza, poteva essere fissata alle labbra per mezzo di una striscia di cuoio annodata dietro il capo. Anticamente la tromba aveva un’estensione di sole quattro o cinque note. Per il suo suono limpido e squillante, veniva utilizzata per dare segnali militari – partenza, attacco, ritirata – oppure per chiamare a raccolta i fedeli durante le cerimonie religiose più solenni (hasosetah derivante dal verbo hasar, “radunare”). La hasosetah veniva utilizzata come strumento di segnalazione durante la guerra (Nm 31,6), nelle occasioni gioiose (1Cr 15,24; 16,6-42; 2Cr 5,12), durante tutte le feste religiose, durante gli olocausti e i sacrifici quotidiani di ringraziamento, nonché in tutte le feste del popolo (2Re 11,14; 2Cr 23,13; Esd 3,10). Nel deserto del Sinai Dio ordina a Mosè: «Fatti due trombe d’argento. Le farai massicce e serviranno per la convocazione della comunità» (cfr. Nm 10,2-10). Nei versetti successivi sono ricapitolati i loro diversi usi e le prescrizioni: veniva suonata dai sacerdoti, di regola in coppia, ma occasionalmente in
ampie orchestre (2Cr 5,12-13). Risultano annoverate tra le suppellettili preziose del Tempio (2Re 12,14; cfr. Nm 31,6), perché costruite in argento o metallo battuto (cfr. Nm 10,2; 2Re 12,14; Sir 50,16). Se le trombe e il corno di montone erano di uso esclusivo dei sacerdoti, a partire dall’epoca davidica, altri strumenti vennero ammessi nella liturgia e suonati dai leviti: «Mentre i leviti cantori al completo, Asaf, Eman, Idutun, con i loro figli e i loro fratelli rivestiti di bisso, stavano a Oriente dell’altare suonando cembali, arpe e cetre, centoventi sacerdoti insieme a loro suonavano le trombe. Quando tutti insieme, trombettieri e cantori, fecero udire la loro voce all’unisono per lodare e celebrare il Signore, quando alzarono la voce al suono delle trombe, dei cembali e di altri strumenti musicali lodando il Signore [...] allora il tempio si riempì [...] della gloria del Signore» (2Cr 5,12-13). Nella sua Prima lettera ai Corinzi, san Paolo, riferendosi alla tromba, specifica non il nome dello strumento musicale, ma il materiale con cui è costruito, cioè «bronzo che risuona» (1Cor 13,1). Solo nel capitolo successivo egli lo specificherà in modo chiaro, usando l’immagine dei molteplici strumenti musicali per spiegare l’importanza dell’utilizzo dei carismi dello Spirito Santo e sulla loro diversità. Paolo si esprime così: «È quanto accade per gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra; se non si distinguono con chiarezza i suoni, come si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà al combattimento? [...] Nel mondo vi sono chissà quante varietà di lingue e nulla è senza un proprio linguaggio, ma se io non conosco il valore del
suono, sono come uno straniero per colui che mi parla, e chi mi parla sarà uno straniero per me» (1Cor 14,7-8; 10-11).
Il canto: dare voce alla gratitudine Continuando il nostro percorso musicale neotestamentario, guardiamo al canto come alla seconda forma musicale. Esistevano tre forme ben distinte: cantici, salmi, inni. Per quanto riguarda i salmi, non conosciamo la forma canora originaria, anche se gli studiosi hanno dedotto che fosse responsoriale e che l’uso sia passato dalla sinagoga alla Chiesa cristiana. Quanto poi ai cantici e agli inni si devono intendere come canti di libera ispirazione nel contenuto, nella forma strofica e nella musica. Nella Lettera ai Colossesi, eminentemente pasquale, leggiamo: «Ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16). In questo passo canto e musica esprimono ispirazione. Tuttavia i testi paolini pongono alcuni accenti qualificanti. Una prima sottolineatura è quella cristica, per cui il canto della Chiesa non è altro che la ripresa cultuale, in forma dialogica, della parola stessa di Cristo («La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente», Col 3,16). Segue quella pneumatica, in cui è lo Spirito Santo a renderci partecipi della pienezza pasquale del Signore: egli anima, in coralità orante, tutto il cosmo associato all’eucaristia dell’uomo nuovo. Si può dedurre che, da san Paolo in poi, la musica e il canto abbiano acquisito una valenza spirituale comunitaria, guidata da quello stesso Spirito che ha affidato alla Chiesa l’inno di rendimento di grazie, l’inno eucaristico. Loredana Birocci ANNO II - N. 17 DICEMBRE 2009
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