The Cream Society Catalogue

  • June 2020
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Martin-Emilian Balint / Nebojša Despotovic´ Resi Girardello / Giacomo Roccon / Barbara Taboni Cristina Treppo / Giuseppe Vigolo / Dania Zanotto

THE CREAM SOCIETY A cura di Carlo Sala e Gloria Vallese

Martin-Emilian Balint / Nebojša Despotovic´ Resi Girardello / Giacomo Roccon / Barbara Taboni Cristina Treppo / Giuseppe Vigolo / Dania Zanotto

THE CREAM SOCIETY A cura di Carlo Sala e Gloria Vallese

01 FONDAZIONE

La Fornace dell’Innovazione - Asolo (Tv) / 03 Ottobre / 01 Novembre 2009

02 CREAM, PER USCIRE DALLA CRISI Carlo Sala

03 THE CREAM SOCIETY Gloria Vallese

04 ARTISTI Carlo Sala

05 Martin-Emilian Balint 06 Nebojša Despotovic´

07 Giacomo Roccon 08 Resi Girardello 09 Barbara Taboni 10 Cristina Treppo 11 Giuseppe Vigolo 12 Dania Zanotto 13 Opere

La Fornace di Asolo e l’arte contemporanea. Il binomio ha funzionato benissimo con il progetto realizzato dal Gruppo Cream nell’ambito dell’iniziativa “Arte in Rete”, voluta dalla Provincia di Treviso. La Fornace, infatti, è un luogo che rimanda alle radici profonde dell’imprenditoria trevigiana, che non è un fenomeno sorto 40 anni fa. Non è esistito nel Veneto alcun miracolo economico, semmai un’esplosione di competenze manifatturiere e di saperi artigianali già presenti. E quando si parla di saperi artigianali si implicano almeno due cose: a. la creatività b. una visione sinottica del prodotto. Oggi la Fornace ospita un incubatoio di imprese che scommettono fra le altre cose sulla qualità del design. Quest’ultimo è il ponte privilegiato fra il mondo della produzione e l’arte e la cultura. Per questo l’idea di allocare nell’esedra della Fornace l’esposizione delle opere di un gruppo di giovani artisti, che utilizza come armi concettuali le forme espressive dei linguaggi contemporanei per anatomizzare in chiave drammatica o ironica il nostro presente, risulta felice, sia perché è ambientata comunque in un luogo votato alla creatività, sia perché questo antico opificio è il simbolo di quel sistema di imprese che hanno “metamorfizzato” la Marca Trevigiana, in questa complessa area metropolitana, attraversata da flussi incessanti di merci, persone ed idee, che l’arte contemporanea tenta di sondare. Un grazie di cuore a Carlo Sala, che è stato curatore di questa mostra, insieme a Gloria Vallese, e anima di molti degli appuntamenti di “Arte in Rete”. Marzio Favero Assessore ai Beni Culturali della Provincia di Treviso

La mostra Cream rappresenta una significativa occasione di ricerca e approfondimento artistico sul tema economico del momento: la crisi e le opportunità. Un avvenimento di qualità che, non a caso, trova il suo compimento e la sua cornice all’interno dei locali suggestivi della Fornace di Asolo. La Fondazione La Fornace dell’innovazione è nata per sostenere la nascita di imprese innovative, siano esse ospiti delle strutture dell’incubatore o radicate nel territorio circostante. Quando si parla di nuovo, o di innovativo, non si può non parlare di cultura e di arte. È per questo che la Fondazione, nell’ambito della mission che le è stata conferita, si occupa in modo sistematico della diffusione della cultura e dello spirito creativo nel sistema locale. Così intesi, infatti, gli eventi culturali divengono un formidabile catalizzatore di processi innovativi e creativi, creando quelle premesse indispensabili per realizzare un ambiente favorevole alla crescita complessiva del nostro territorio. Il mondo dell’impresa, pur messo a dura prova da grandi cambiamenti e dalla crisi che stiamo attraversando, prende progressivamente coscienza che la cultura e le arti, senza distinzione, non sono più optional di lusso o eventi di estemporanea finalità estetica, ma occasioni preziose per interrogarci sui significati del presente e per offrire nuovi contributi alle opzioni future.

01 FONDAZIONE

La Fornace dell’Innovazione - Asolo (Tv) / 03 Ottobre / 01 Novembre 2009

Negli spazi espositivi della Fondazione La Fornace dell’Innovazione di Asolo va in scena The Cream Society, curata da Carlo Sala e Gloria Vallese. È una mostra di Arte in Rete nell’ambito di Reteventi 2009, network culturale ideato e coordinato dalla Provincia di Treviso, patrocinato dalla Regione del Veneto, Comune di Asolo e dal Ministero della Gioventù. Il gruppo artistico CREAM (Creativity and Research in Arts and Media), basato a Venezia e costituitosi nel 2007, include alcuni degli artisti italiani emergenti più interessanti del momento. Questa mostra, con cui il gruppo rilegge con uno dei suoi caratteristici interventi site-sensitive la Fornace di Asolo, comprende opere di pittura, scultura, fotografia e installazione, coordinate tematicamente e collegate a formare un unico tessuto. Temi unificanti sono l’ansia, la paura del presente e del futuro generate dalla crisi mondiale.

Francesco Giacomin Presidente Fondazione La Fornace dell’Innovazione

02 CREAM, PER USCIRE DALLA CRISI Carlo Sala

I segnali e gli elementi strutturali erano già nell’aria dal 2006, ma solo nel 2009 si è avuta una percezione diffusa della crisi economica, quando oramai si era abbattuta in tutte le principali economie mondiali. In un attimo pensare a quel lontano 1929, non sembrava più una semplice ricognizione storica o statistica, ma un inquietante precedente con cui fare i conti. Certo la componente iniziale della crisi è stata di matrice finanziaria, tramutatasi successivamente in industriale ed economica in senso lato. Ma tutto si può risolvere in tabelle macroeconomiche? Probabilmente no, vi sono connessi molti aspetti sociali. Prima di tutto, nella nostra società è diffusa una grande sfiducia nel sistema stesso, che è lo specchio di una cronica sfiducia in noi stessi, che avvolge gli individui di molti paesi occidentali. A livello globale, manca spesso la volontà di guardare avanti e di credere in veri progetti strutturali, che non siano semplici soluzioni tampone. E’ impressionante come in molti sistemi democratici, strumenti come i commissariamenti o le leggi d’urgenza -che sarebbero l’eccezione nei sistemi costituzionali- siano all’ordine del giorno. Questo è un piccolo segnale di carattere formale, ma indicativo di una progettualità che latita e della mancanza di una visione di lungo corso. Grandi ondate monetarie sono elargite dai governi per far modificare lievemente i prodotti interni lordi. Ma basta questo? Probabilmente no, bisognerebbe imboccare delle vie strutturali di rilancio dei segmenti che compongono il tessuto sociale, e uno di questi è certamente la cultura. Si potrebbero porre dei facili interrogativi, su quali siano le percentuali della ricchezza creata nel nostro paese dal turismo culturale, ma oramai sono discorsi non sufficienti. Bisogna credere nell’arte e nella cultura in genere come meccanismo che sappia smuovere la società, attivare la ricerca, rimettere in piedi un dibattito diffuso che crea innovazione. Le analisi storiche hanno spesso messo in relazione i grandi cambiamenti storici e le grandi rinascite artistiche tramite una equazione troppo semplicistica che associava la concentrazione di potere, le grandi disponibilità finanziarie e quindi il nascere di grandi opere dell’ingegno. E’ ora di invertire l’ordine di fattori e cause. Dove vi è dibattito culturale, questo ha certamente un’azione diretta sull’industria con le sue applicazione pratiche e commerciali. Ma prima di tutto ha influenza sugli uomini, sulla loro crescita e maturazione e su una nuova prospettiva colma di fiducia che sa rimettere in gioco i tasselli prima scompaginati. Uscire dalla dogmatica stantia di pensiero, per creare nuove vie innovative in tutti i campi possibili. Una crisi che quindi in fin dei conti si rivela una crisi morale, nei confronti delle proprie certezze e della consapevolezza in noi stessi. La odierna crisi, farà emergere i veri rapporti qualitativi, eliminando i fenomeni di sussistenza e di rendita, anche nel mondo delle arti visive. In un logo come la Fornace di Asolo, contraddistinta da una vocazione spiccatamente innovativa, è stata una scelta obbligata realizzare un progetto legato ad una scena artistica giovane e dinamica. All’interno di “Arte in Rete” -il circuito di eventi legati all’arte contemporanea promosso dalla Provincia di Treviso- ho voluto invitare il gruppo CREAM, fondato da Gloria Vallese, con cui ho curato questa esposizione.

Il 2009, l’anno della grande crisi, è anche, per una singolare coincidenza, l’anno europeo dedicato alla creatività e all’innovazione. Crisi e creatività: l’edizione 2009 di Reteventi, il network culturale di soggetti ideato e coordinato dalla Provincia di Treviso e sostenuto dalla Regione Veneto, li mette a confronto nel titolo della sua edizione 09. L’arte, occorre dirlo subito, non ha soluzioni da proporre per la crisi. Né si presenta, come molti potrebbero aspettarsi, come attività ludica e consolatoria, compensativa rispetto all’atmosfera di preoccupazione e di sconforto diffuso. Anzi. Messi a confronto con gli spazi espositivi della Fornace di Asolo, alcuni degli artisti di CREAM hanno puntato decisamente agli ambienti moderni e più anonimi dell’Esedra, hanno disceso le scale, cercato l’ambiente sotterraneo duro e senza orpelli per ambientarvi opere che manifestano acutamente dolore e disagio, tutto lo sconforto di questo momento difficile. È qui che Barbara Taboni, con l’installazione Portland (2009), mette in scena un corpo umano simbolicamente lacerato, ridotto in frammenti e compresso da forti tensioni simboleggiate dai tubi Innocenti incastrati tra le pareti. Un’opera il cui forte impatto drammatico trae partito dalla semioscurità, dall’odore dell’umidità, dal senso di oppressione che emanano dal luogo. I frammenti corporei compressi a terra sono di cemento: e un’impastatrice di cemento, col suo sonoro, è mostrata in un video che incrementa l’effetto già forte di questa visione, spingendo più a fondo l’idea di disgregazione dell’essere che l’opera suggerisce. Un’oscura tragedia è messa in scena anche nel piccolo ambiente attiguo, dove, anche in questo caso sfruttando le suggestioni architettoniche del luogo, lo scultore Giacomo Roccon presenta una situazione sgradevole quanto indecifrabile: un uomo seduto, in grandezza naturale, assalito da insetti (Downtown, 2007). Una scena paurosa, repellente, difficile da spiegare, che ricorda situazioni filmiche, ma che il medium classico della scultura, rafforzato dalle suggestioni dell’architettura reale, ci trasmette con una forza e con un’immediatezza fisica che il film o la fotografia non potranno mai eguagliare. Del diverso, eppure altrettanto efficace modo di funzionare della fotografia, d’altronde, ci rendiamo conto poco dopo, usciti dal cubicolo, osservando la grande foto di Cristina Treppo appesa alla parete (The Consequences of Time #67): come un magico moltiplicatore di mondi, quest’immagine che raffigura il dettaglio di un’architettura domestica ci trasporta fuori dal nostro magazzino sotterraneo, all’interno di una casa borghese, col soffitto a gesso e gli ornati di stucco. Ma la suggestione viaggia nei due sensi: violato dall’obiettivo fotografico, questo interno accogliente, con le sue suggestioni di piacevolezza, si rivela fragile, penetrabile, potrebbe diventare tutt’uno con lo spazio dimesso e poco abitabile in cui ci troviamo; un suggerimento guidato dai grigi che accomunano questa immagine dalla cromia raffinatissima ai colori dello spazio reale. Con l’installazione Olokh (2009) di Dania Zanotto, il cui duro linguaggio oggettuale richiama gli anni ’70 e l’Arte Povera, evadere dal sotterraneo diventa impossibile: le vere muffe che l’artista, nel suo atelier, ha coltivato per mesi all’interno di queste grandi ciotole nere, si saldano con l’odore reale dello spazio espositivo, cui va ad aggiungersi l’accento olfattivo forte e acre delle corde e del bitume di cui l’installazione si compone. Olokh, spiega Dania Zanotto, è un termine preso in prestito dal mondo della magia primitiva, e indica il luogo in cui lo spirito dello sciamano sosta a riposare durante la sua discesa nel mondo ultraterreno. Gli Olokh esistono in numero di nove, collocati sempre più in profondità nel mondo infero. Se il piano inferiore dell’Esedra rappresenta in qualche modo quella che nell’alchimia è l’opera al nero, il momento della disgregazione e della discesa nel profondo che precede la rinascita, al piano superiore visitiamo la “casa”, sconvolta da una vena di follia, che alcuni degli artisti di CREAM hanno ambientato qui. La casa è il luogo che molti vivono come rifugio dalla crisi così drammaticamente palpabile nelle strade e nei luoghi di lavoro, ma dove essa non fa che palesarsi in altri modi, con crepe e dissonanze diverse ma non meno profonde da quelle che si manifestano nel politico e nel sociale. Ci imbattiamo anzitutto nella grande finestra aperta su un dimesso spazio urbano (Struttura del paesaggio, 2009) e nei bambini-alieni, espressionisticamente deformati, che affiorano intensissimi dal grigio o dal nero di fondo nei dipinti di Nebojša

03 THE CREAM SOCIETY Gloria Vallese

Despotovic´ (Out of the Shadow), talvolta provocando lo spettatore con uno sguardo insistente. La “cucina” di questa casa è rappresentata dall’installazione In My Flesh (2009) di Dania Zanotto, che mostra stoviglie e vasetti trasmutati nel loro contenuto organico, in quella che appare una gelatina gialla e rosea misteriosamente congelata. Dipinti e disegni di Despotovic´ (Power 1 e 2; Senza titolo, 2009), riappaiono tra gli arredi di un soggiorno impossibile, uno spogliatoio, e una camera da letto in cui non si può dormire, evocati da tre distinte installazioni di Cristina Treppo cui si aggiunge una foto di interno (The Consequences of Time # 50, 2008) che rafforza e completa l’idea della “casa” allestita dai CREAM in questo spoglio spazio industriale. Frutto di una lunga meditazione sugli arredi domestici e il loro possibile significato simbolico, le tre sculture/installazioni di Cristina Treppo fanno comprendere fino a che punto gli oggetti comuni possano essere impregnati di un simbolismo affettivo profondo. Due poltroncine da camera da letto si voltano ostilmente le spalle, mentre una misteriosa doccia di fluidi organici (cera e miele) cerca di tenerle saldate insieme (Honey, 2008). Un salottino verde, cui alludono due tappeti e una sedia su cui è stata posata un camicia da notte in raso, acquista una nota melanconica attraverso oggetti recuperati, due forme per scarpe ortopediche da bambini che evocano un dolore e una diversità sperimentati nell’infanzia, il cui ricordo interferisce col tempo presente (Room#1). Il lettino da bambino in disuso, smontato e addossato alla parete, ingloba ricordi della camera da letto dove si trovava, e dei momenti vitali che ha attraversato insieme con gli inquilini della casa (Kid’s Bed). Nello stesso tempo, introduce allo spazio visionario della “casa”, quello dei giochi infantili e della televisione: ed è un dio giocattolo di Giuseppe Vigolo, un gigantesco guerriero di cartone da imballaggio alto 4 metri, ad occupare questo spazio in cui l’architettura reale assume i connotati della ribalta di un teatro (New God, 2009). Al simbolismo dell’isolamento in se stessi si apparenta anche la nuova installazione di Cristina Treppo appositamente realizzata per la Fornace di Asolo, e collocata nelle fontane all’esterno (Galleggiare, 2009). Lasciate a fluttuare nell’acqua della fontana, le “isole” che compongono l’installazione si accostano formando una costellazione casuale, ogni “isola” un piccolo abitacolo vuoto e incomunicante. Queste isole sono di stoffa e di tipici elementi da interno, come i centrini di pizzo, che risultano incongrui, improbabili e fragili se collocati, come qui, a cielo aperto: una dislocazione cara a quest’artista, le cui installazioni spesso includono elementi dell’arredo domestico, in particolare letti, presentati all’esterno, sotto il cielo aperto, con connotazioni di fragilità, disagio, intimità violata. La terza parte della mostra (che doveva avere originariamente per scena l’antica singolare architettura in mattoni della Fornace, purtroppo dichiarata inagibile a solo una settimana dall’inaugurazione) fa evadere il visitatore a confronto col tema della crisi in un’atmosfera di fantasia e di sogno. L’evasione, la ricerca di un mondo altro, sono un altro aspetto del nostro modo di reagire al tempo di crisi: che ha, d’altronde, la caratteristica di fermare alcuni processi, ma di innescarne altri, fungendo da incentivo piuttosto che da limite alla creatività. Sun Being, essere il sole, è il titolo della giocosa installazione di Martin-Emilian Balint, un artista appassionato delle presentazioni seriali, composte di grandi quantità di elementi uguali. Qui una variante complessa dell’origami, un poliedro in carta rossa, invade lo spazio espositivo. Asteroidi, li ha denominati l’artista: il visitatore che attraversa questo gioioso, giocoso fluttuare di giocattoli, e si ferma a contemplarli, diviene il centro di un piccolo universo, come il sole di un piccolo sistema cosmico. Se si pensa che nel Rinascimento, sulla scorta della dottrina pitagoricoplatonica ereditata dall’antichità, contemplare un poliedro era una pratica considerata capace di elevare la mente alla comprensione dei misteri del cosmo e del divino, comprendiamo come Sun Being rappresenti in realtà la cappella di THE CREAM SOCIETY, la crisi esorcizzata attraverso la meditazione sul mondo celeste. Il video che secondo il progetto originario doveva accompagnare questa installazione mostrava mani in atto di piegare e ripiegare un foglio di carta rossa, ripetendo la sequenza di gesti necessaria a costruire un origami; reintroduceva dunque il tema

ponendo l’accento su un aspetto diverso, la pratica ripetitiva, quasi un mantra gestuale, con cui l’artista stesso esorcizza l’ansia di un’epoca difficile. Sempre nel cuore della Fornace, struttura architettonica singolare e ricca di suggestioni, doveva collocarsi anche Knitting Nets, installazione di Resi Girardello il cui mezzo scultoreo tutto femminile, da molto tempo, è l’uncinetto, col quale l’artista lavora fili di rame, di ferro o di stagno per ottenere sculture spesso ironiche. Sotto le dita pazienti di Resi, ha preso forma espressamente per La Fornace una famiglia di sculture ispirate ai più elementari fra gli esseri viventi, i microrganismi che si possono osservare al microscopio: le delicate forme coniche, sferiche, ondulanti, perfette geometrie molli, posano su esili peduncoli formando una colonia e alludendo alla generazione-rigenerazione della natura in una chiave di scultura soffice, idealmente femminile. Resi fa precedere a questa presentazione alcuni anaglifi (foto che vanno osservate con l’occhialetto bicolore per un effetto tridimensionale), in cui l’artista si presenta in ironiche immagini erotiche ambientate in un ricostruito primo Novecento, fra ninnoli e trine (“Qualcosa di mia nonna”). Le due parti della presentazione sono collegate dalla performance Legàmi, in cui l’artista appare vestita nei bustini e nelle sottovesti d’epoca appena visti nelle fotografie, e poi tenta di liberarsene, attraverso un ironico spogliarello, come di un’ingombrante eredità: solo per poi mettersi a intrecciare davanti al pubblico uno dei suoi “microrganismi”. L’uncinetto appare dunque un’ironica condanna, una pulsione impossibile da sopprimere, per un’artista che l’ha riscoperto e scelto come strumento della sua arte. Gioia, gioco, scoperta dell’universo, leggerezza e ironia sono quindi gli elementi con cui si esorcizza il nero della crisi; crisi che si rivela un tempo di paura e disagio, ma anche di scoperta e innovazione, di rinnovato contatto con le energie profonde, generatore di strategie nuove.

03 THE CREAM SOCIETY Gloria Vallese

CREAM (Creativity and Research in Arts and Media), born in 2007 and based in Venice, is an international art group which includes eight former students at the Accademia di Belle Arti di Venezia. In this exhibition, CREAM re-reads with one of its characteristic site-sensitive interventions a former industrial space, La Fornace, a nineteenth-century brick factory located in Asolo near Treviso, Italy (http://www.fondazionefornace.org/). It is an Arte in Rete show within Reteventi 2009, the cultural network conceived and coordinated by the Provincia di Treviso, and supported by Regione del Veneto e by the Ministero della Gioventù. The show includes paintings, sculptures, photographs and installations, coordinated and thematically linked, on the themes of the anxiety and fear generated by the global crisis. A first group of works, displayed on the lower floor of the Esedra (a modern addition to the old building of La Fornace), refer to the deep psychological distress of the age of the crisis. The works in this section are all conceived to blend with the dramatic features of the architectural underground space, his gloom, its odor. With her installation Portland (2009), Barbara Taboni portrays a human body reduced to fragments and compressed by strong tensions symbolized by scaffolding elements trapped between the walls. The body fragments are in white concrete; and a concrete mixer in action is displayed in a video, pushing more deeply the idea of disintegration the work suggests. In the small adjoining room, the sculptor Giacomo Roccon presents a situation both unpleasant and indecipherable: insects crawl on an halfnaked, sitting lifesize male figure (Downtown, 2007). A frightful scene, repellent, hard to explain. It reminds filmic situations, but the medium of sculpture, enhanced by the suggestions coming from the real architecture, render the situation with a physical immediacy that movies or photography could hardly match. Cristina Treppo’s The Consequences of Time # 67 is a large photo which depicts a detail of domestic architecture, a pink and grey ceiling decorated with stucco. It takes us out of the bare bare basement in which we are, into a comfortable bourgeois home. But the suggestion travels both ways: violated by the camera lens, this cozy interior proves fragile, penetrable, capable to become one with the bare and subdued space in which we now are (a suggestion guided by the gray colors common to this image and to the real space). Dania Zanotto’s Olokh’s hard objectual language, which recalls Arte Povera and the ‘70s, makes it impossible to escape from the “here and now” of the Esedra’s basement. The mold that the artist has cultivated for months inside large black bowls ties in closely with the smell of the exhibition space, to which the installation adds the strong, acrid odor of old ropes and bitumen. “Olokh”, explains Dania Zanotto, is a term borrowed from the world of sciamanic magic, and designates the levels where the spirit of the shaman stops to rest during his descent into the world beyond. Olokhs exist in the number of nine, placed deeper and deeper into the underworld. If the lower floor of the Esedra comes to represent what in the alchemy language is the nigredo, the moment of disintegration and descent into the depths before the rebirth, upstairs another group of paintings and sculptures build up a different scenery: the interior of a home, distorted by a streak of madness (Nebojša Despotovic´, Cristina Treppo, Dania Zanotto, Giuseppe Vigolo). Home is in fact a place where many people seek refuge from the crisis, only to discover that the crisis emerges there in other ways, with dissonances not less deep than those which occur in public life. We come first into a dismal suburban space (Landscape structure, 2009), then into the children-aliens, expressionistically deformed, who emerge from the gray/black background in a painting by Nebojša Despotovic´ (Out of the Shadow). The “kitchen” of this house is represented by Dania Zanotto’s installation In My Flesh (2009), in which jars are transmuted into their content, a mysteriously frozen whitish and pink jelly. Other paintings and drawings by Despotovic´ (Power 1 and 2; Untitled, 2009), reappear among the furnishings of improbable dressing rooms and bedrooms, evoked by Cristina Treppo’s three installations. Stemming from a long meditation about household furniture and its possible symbolic meanings, they show to what extent ordinary objects can be imbued with a deep emotional symbolism. Two bedroom chairs are turned back to back in what appears to be an hostile disposition, while a mysterious shower of organic fluids (wax and honey) tries to keep them welded together (Honey, 2008). A green dressing room, suggested by two rugs and a chair on which is laid a satin gown, include also a melancholic detail: two forms for orthopedic shoes, that evoke pain and diversity experienced in childhood (Room #1). A dismantled baby bed, leaning against the wall, conveys memories of a past vital moment (Kid’s Bed). At the same time, it introduces to the visionary space of the “home”, that of the television and the videogames. These are symbolized by

Giuseppe Vigolo’s gigantic toy, a 4-meter-high warrior made of packaging cardboard. It occupies a space in which the real architecture takes the shape of a miniature theater stage (New God, 2009). Another photograph by Cristina Treppo (The Consequences of Time # 50, 2008), showing the corner of a real room with a radiator, reinforces and complements the idea of “home” staged by CREAM in this upper floor of the Esedra. Hints to psychological isolation are conveyed also by another work by Cristina Treppo, expressly designed for the Fornace of Asolo, and placed in the fountains outside (Galleggiare, 2009). Floating in the fountain, the “islands” that make up the installation form a random constellation, each “island” a small world enclosed and uncommunicating with the others. These islands are made of cloth and lace doilies, typical inside objects which appear incongruous and fragile if placed, as here, in the open air. A dislocation dear to this artist, whose installations often include elements of home furnishings, especially beds, put up outdoors under the open sky, with connotations of weakness, discomfort, and violated privacy. The third part of the exhibition shows a further side of life in an age of crisis: the longing to escape in an atmosphere of fantasy and dream, or in the contemplation of nature and the universe. It consists in two main installations and other works which were originally conceived to be displayed in the old brick architecture of the Fornace, highly fantastic in itself, as it consists in a monumental oven in the shape of a gigantic tortoiseshell, on the back of which sits the tall smokestick. Unfortunately, this part of the building had to be closed to the public only a week before THE CREAM SOCIETY vernissage, so that these two works had to be located in the Esedra. Sun Being is the playful title of the installation of Martin-Emilian Balint, an artist who loves presentations composed of large amounts of identical elements. Here, a cloud of polyedra made out in red paper fills the exhibition space. Asteroids, calls them the artist: walking through more than a hundred of these joyful, playful, floating toys, and stopping to contemplate them, the mood of the visitor changes as he becomes, as the title suggests, like a sun, the center of a small universe. Resi Girardello, a sculptor who uses an instrument which has been familiar to women for a long time, the crochet, creates soft, ironic sculptures with copper, iron or brass thread. Under her patient fingers, a family of “microorganisms” has taken shape expressly for the Fornace: the delicate conical, spherical, undulating shapes, with their soft perfect geometry, rest on slender stalks, forming a fantastic colony in the midlight (Knitting Nets, 2009). Initially intended for the brick catacombal space of the oven, this installation is now located in a square space in the lowere level of the Esedra. There we find also a group of photographs, inspired to the erotic imagery of the beginning of the 20th century, portraying the artist herself (Qualcosa di mia nonna, 200809). In the performance enacted during the inaugural evening (Legàmi), Resi Girardello appeared dressed like the erotic grandmother of the photographs, and stripped symbolically of her seductive apparel as if to free herself of the spiritual heritage of her female ancestors, only to start working on her crochet sculptures: a way of making a light irony on her all-feminine way to approach the apparent freedom of art.

03 THE CREAM SOCIETY Gloria Vallese

04 ARTISTI Carlo Sala

Quando ho incontrato per la prima volta gli autori, il concetto stesso di gruppo mi ha portato a molteplici riflessioni. Pensando ad un sistema dell’arte dove l’individualismo è imperante tra la maggior parte degli autori, CREAM era già di per sé un tentativo azzardato. Siamo in un momento che -per alcun aspetti- evoca paradossalmente echi esistenzialistici di passata memoria. E’ cosa ovvia che in questo nuovo millennio, ogni idea di aggregazione mutuata dalla tradizione novecentesca è operazione impossibile da realizzare e totalmente anacronistica. Creare un contesto di scambio tra autori però, è una vera sfida. E’ innegabile che una relazionalità tra le diverse personalità artistiche si produce, pervenendo ad una crescita e mutazione della ricerca, talvolta inconscia e non percepita dagli stessi autori. Anche le distanze che apparentemente si vengono a creare sul piano puramente estetico, sono la somma di tanti dibattiti, magari con esiti diversi, ma pur sempre che creano delle commistioni. I componenti del gruppo CREAM sono in un qualche modo uno spaccato sull’arte contemporanea d’oggi, essi incarnano alcuni dei modi possibili di interpretare il nostro presente. Martin-Emilian Balint realizza delle installazioni in cui l’aspetto relazionale con i fruitori è di primaria importanza. Nel suo ultimo lavoro Sun Being, il visitatore è invitato a entrare in contatto con l’opera sia in senso spaziale, ma soprattutto metaforico. Parte della sua produzione recente è costituita da opere composte da elementi seriali, ripetuti in modo da sembrare un’operazione ossessiva, in realtà conseguita con estrema armonia. L’autore realizza a mano gli elementi primari -quasi compiendo un rito- che nel loro sviluppo globale materializzano delle installazioni dal sapore concettuale. Nebojša Despotovic´ è un pittore che non tende ad esiti banalmente oggettivizzanti o ad una fisicità marcata. Nei lavori attuali, la raffigurazione si è “pulita” da ogni tipo di orpello, divenendo più asciutta e fondata su una composizione minimale. Lo spettatore non è invaso da un’immagine diretta, ma è indotto ad una osservazione che pian piano si indirizza verso molteplici piani visivi. Si parte da una immagine principale, che è portante per l’architettura del quadro, per poi svelare vari frammenti pittorici. Le poche figure sono caratterizzate dalla apparente banalità del soggetto, ridefinito però mediante una forte connotazione interiore dell’artista, il tutto giungendo ad un senso sospeso della scena narrata. Nella ricerca di Resi Girardello vi è invece una connotazione ironica, che tende a stemperare parte dell’atmosfera inquieta della mostra. I suoi lavori, sia a livello fotografico sia performativo, la vedono camuffata nei panni di una ipotetica e improbabile nonna. L’autrice pone essenzialmente un discorso sulla memoria in senso lato, e di come riuscire a convivere con essa. Nella performance Legàmi togliendosi alcuni capi di abbigliamento, simboleggia lo spogliarsi dal passato, per poi continuare a filare e realizzare delle sculture, in cui si riannodano nuove relazionalità peculiari. Giacomo Roccon è uno scultore che persegue una linea di stampo figurativo, senza mai cadere in una narrazione sterile e fine a se stessa. Anzi, nei suoi lavori -nonostante un dato espressivo che talvolta è banalmente definito iperrealista- l’autore riesce a creare delle suggestioni che sanno

alterare il significato diretto del racconto apparente. Il fruitore si interroga, e va alla ricerca delle ambiguità che sottendono alla rappresentazione. Non vi sono delle interpretazioni univoche, ma tutto è visto sotto varie dicotomie. In ogni lavoro è sottolineato il carattere effimero tra bene e male. Oppure, l’impossibilità di capire la reale essenza dell’umano rappresentato, giudizio dal quale l’autore volutamente si dissocia. Al contrario tutto è rimesso al fruitore. Roccon, nei suoi lavori crea dei “palcoscenici” della realtà, con un copione in cui ognuno di noi deve scrivere un finale differente. La produzione di Barbara Taboni sembra sospesa tra passato e presente. Nei suoi lavori vi sono spesso elementi che riflettono attorno al concento di scultura iconica e per converso la volontà di negare questo aspetto dell’arte. Guardando i frammenti in cui si compongono le sue opere, vediamo come sia presente un desiderio di edificare, ma anche di decostruire. La videoinstallazione Portland, sembra l’incarnazione di questa riflessione, in cui ponteggi e parti corporee scolpite si fondono in un tutt’uno per creare un equilibrio. Questo però giungendo ad un’inquietudine che rimette tutto in gioco e crea un impatto emotivo spiccato. Negli interventi di Cristina Treppo il fruitore si sente “invitato” in una sorta di casa. L’autrice conferisce anche alle location asettiche un aspetto vagamente quotidiano. Ogni installazione è denotata da una oggettualità fatta di apparati comuni, riassemblati in chiave poetica. Queste “cose” ipoteticamente abbandonate hanno perso la loro funzione, ma al contempo non trasmettono un senso di cessazione, esse sono il tramite per delle riflessioni di carattere intimistico, che narrano dei vari stati della vita. Giusppe Vigolo, realizza dei lavori che presentano un impianto spiccatamente scenografico. Nel suo precedente Dark Shades, si scrutavano immagini non mediate, che narravano storie di guerra. Anche nel nuovo lavoro New God è utilizzata una simbologia diretta, prendendo a prestito un personaggio onirico/fanciullesco: un robot gigante sembra evocare incubi partoriti dalla mente di un bambino. Dietro a questa immagine, si celano riflessioni che indagano ben oltre il dato apparente, creando un’analisi sui vari livelli in cui si sviluppa la comunicazione odierna. Dania Zanotto fonda parte della sua ricerca su miti, leggende e storie profondamente legate alla cultura dei popoli più diversi. Questi sono solo un punto di partenza per una narrazione interpretata in cui echi distanti sono attualizzati ad una cultura visiva contemporanea. E’ una riflessione sull’oggetto, e su ciò che ne rimane impresso. Quella invisibile -ma percepibile- aura della persona che lo ha utilizzato e si è rapportato con esso. La componente materiale diventa simulacro, portatore di istanze ed intriso di sensazioni della persona che immaginariamente ne è legata. Si possono “sentirne” le inquietudini ed i palpiti emozionali di esistenze lontane nel tempo e nello spazio. La forma rappresentata non è allora il fine, ma lo strumento di un processo conoscitivo che descrive una verità “altra”. Questo però procedendo ad una forte connotazione interiore del lavoro, che non è pura narrazione antropologica o storica, bensì strumento per compiere una ricerca su se stessi, come nel recente In my Flesh. Opere che testimoniano crisi, inquietudine, lavori che in un qualche modo, potrebbero essere il primo passo per superare questa stato sociale ed interiore, giungendo ad una consapevolezza del presente e di se stessi.

Sun Being, 105 kusudama (origami complessi) di 30 elementi ciascuno in carta rossa, dimensioni variabili, 2009

05 Martin-Emilian Balint

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Da sinistra: Out of the shadow, olio su tela, 2009, insieme e particolare Power / Power 2, olio su tela, 2009 Senza titolo, disegni a tecnica mista, 2009 Struttura del paesaggio, olio su tela, 2009 Sullo sfondo Honey, scultura di Cristina Treppo

- 13 -

06 Nebojša Despotovic´

Downtown, resina poliestere, stoffa, vetro, insetti, 2009

07 Giacomo Roccon

Knitting Nets, filo metallico, plexiglas, vetro, dimensioni variabili, 2009

08 Resi Girardello

Knitting Nets e Qualcosa di mia nonna, anaglifo su cartoncino da disegno, 2008-2009

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Portland, ferro, cemento, video 7’ 36” in loop, dimensioni variabili, 2009

09 Barbara Taboni

Room#1, tappeti, sedia, sottoveste, calchi ortopedici, 2008 The Consequences of Time #67, stampa lightjet su d-bond, 2008, con in primo piano elementi dell’installazione Olokh di Dania Zanotto

10 Cristina Treppo

Galleggiare, rete, filo, tessuto, cavi elettrici, spago, filo di ferro, poliuretano, 2009 Secrets and Lies (inside)#8, stampa lightjet su forex, 2006 The Consequences of Time#50, stampa lightjet su alluminio, 2008

Honey, poltroncine da camera, cera al miele, legno, 2008

Kid’s Bed, letto, rete, 2007

New God, carta, cartone, struttura in ferro, 2009

11 Giuseppe Vigolo

Olokh, bitume, muffa, sabbia, corda, dimensioni variabili, 2008-2009

12 Dania Zanotto

In my Flesh, foto, resina, piombo, polvere di vetro, sale, 2008-2009

13 THE CREAM SOCIETY Opere

Martin-Emilian Balint

Giacomo Roccon

Sun Being 105 kusudama (origami complessi) di 30 elementi ciascuno in carta rossa dimensioni variabili 2009

Downtown Resina poliestere, stoffa, vetro, insetti dimensioni variabili 2009

Galleggiare rete, filo, tessuto, cavi elettrici, spago, filo di ferro, poliuretano dimensioni variabili 2009 Giuseppe Vigolo

Barbara Taboni Nebojša Despotovic´ Out of the shadow olio su tela 250 x 200 cm 2009

Portland ferro, cemento, video 7’ 36” in loop dimensioni variabili 2009

New God Carta, cartone, struttura in ferro 380 x 260 x 400 cm 2009 Dania Zanotto

Power / Power 2 olio su tela 30 x 35 cm 2009 Senza titolo disegni a tecnica mista 18 x 25 cm 2009 Struttura del paesaggio olio su tela 230 x 250 cm 2009

Cristina Treppo Room#1 tappeti, sedia, sottoveste, calchi ortopedici 159 x 127 x 79 cm 2008 The Consequences of Time#50 stampa lightjet su alluminio 40 x 30 cm 2008 The Consequences of Time #67 stampa lightjet su d-bond 120 x 156,5 cm 2008

Resi Girardello Qualcosa di mia nonna anaglifi su cartoncino da disegno 2008-2009

Honey poltroncine da camera, cera al miele, legno 150 x 74 x 120 cm 2008

Knitting Nets filo metallico, plexiglas, vetro dimensioni variabili 2009

Kid’s Bed letto, rete 130 x 130 x 43 cm 2007

“Legàmi” performance, azione di 10’ ca. La Fornace di Asolo, Esedra sabato 3 ottobre 2009 ore 18

Secrets and Lies (inside)#8 stampa lightjet su forex 54 x 41 cm 2006

Olokh bitume, muffa, sabbia, corda dimensioni variabili 2008-2009 In my Flesh foto, resina, piombo, polvere di vetro, sale dimensioni variabili 2008-2009

Martin-Emilian Balint / Nebojša Despotovic´ Resi Girardello / Giacomo Roccon / Barbara Taboni Cristina Treppo / Giuseppe Vigolo / Dania Zanotto

THE CREAM SOCIETY A cura di Carlo Sala e Gloria Vallese

The Cream Society Martin-Emilian Balint, Nebojša Despotovic´, Resi Girardello, Giacomo Roccon, Barbara Taboni, Cristina Treppo, Giuseppe Vigolo, Dania Zanotto. Fondazione la Fornace dell’Innovazione – Asolo (Tv) 3 ottobre – 1 novembre 2009 Esposizione e catalogo a cura di Carlo Sala e Gloria Vallese Testi Carlo Sala e Gloria Vallese Referenze fotografiche Flavio Favero Progetto grafico Noah design container I curatori e gli artisti desiderano ringraziare: Loredana Baldisser, Sindaco di Asolo Marzio Favero, Assessore ai Beni Culturali della Provincia di Treviso Francesco Giacomin, Presidente Fonazione La Fornace dell’Innovazione Massimo Anselmi, Mirella Brugnerotto, Corinna Cinel, Silvia Cortesi, Paolo De Biasi, Christian De Pol, Antonio De Tursi, Uberto Di Remigio, Gianluca D’incà Levis, Fabio Facchi, Laura Faganello, Flavio Favero, Gerardo Gagliardi, Fiorella Girardi, Aldo Grazzi, Oreste Guerra, Tiziano Guerra, Cristina Guitti, Salvatore Guzzo, Carolina Lio, Amerigo Manesso, Mara Mazzaro, Roberto Pozzobon, Diego Sala, Laura Sartor, Mauro Stocco, Francesca Susanna, Joachim Thomas, Silvano Traini, Filippo Zaccaria, Daniela Zampetti, Orazio Zanotto. Un ringraziamento particolare a tutto il personale della Provincia di Treviso, del Comune di Asolo e della Fondazione La Fornace dell’Innovazione coinvolto nel progetto.

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