Take That Biography

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take that

biography

Inghilterra, anni ‘90. Manchester, per la precisione. Vicino, troppo vicino alla leggendaria Liverpool per non sentire ancora aria di “scarafaggi”. Neanche troppo distante da Londra per non vedere quell’onda di pop che appare all’orizzonte. Sospeso tra il glorioso passato e il potenzialmente luminoso futuro, il music biz britannico si appoggia sulle spalle possenti di due colonne come Elton

John e George Michael. Freddie Mercury ci ha già lasciati, i Dire Straits e i Police appartengono agli anni ‘80, Sir Jagger non è più caustico come una volta. Il music biz britannico attende qualcuno da nominare nuovo eroe e alfiere dell’UK Style nel mondo. Manchester, dicevamo. Cinque ragazzi. Gary Barlow è un ambizioso, piccolo musicista. Dall’età di nove anni scrive e compone musica, fa spettacoli di pianobar e picco-

li extra settimanali e attraverso questa sogna un grande avvenire. Mark Owen ha la passione per la danza. Di giorno lavora, come impiegato, di sera si scatena nei club. Forse non ha mai pensato di darsi al mondo dello spettacolo, ma il destino ha in serbo grandi cose per lui. Jason Orange fa il decoratore. Ufficialmente, ma a modo suo è una piccola star. Da ballerino semiprofessionista ha già vin-

to numerose gare e concorsi, ed è apparso più volte in tv. La sua specialità è un genere molto in voga in quel periodo, di solito appannaggio dei ragazzi di colore: la breakdance. Non sa che questo hobby sarà la sua fortuna. Anche Howard Donald balla la break, infatti conosce Jason per averlo spesso visto esibirsi nei club più” in” di Manchester e dintorni. Lui di giorno dipinge le macchine.

E’ il più grande dei cinque, è taciturno e riservato fino a sembrare scontroso ed ha un grandissimo talento musicale, solo che lui ancora questo non lo sa. Robbie Williams è figlio di una casalinga e di un attore di cabaret. Ha ereditato dal padre la capacità di attirare l’attenzione su di sé e di far ridere con smorfie ed imitazioni. Ha anche un’innata predisposizione a mettersi nei guai, ma è il più giovane, quasi ancora un

ragazzino, e gli si perdona tutto. Anche lui la sera va a ballare e anche lui ama quella musica chiassosa che ascoltano i ragazzi di colore agli angoli delle strade. Gli piacerebbe diventare un cantante rap, un giorno. A Manchester vive un uomo. Si chiama Nigel Martin Smith. Ha un’agenzia artistica nel centro della città e sembra conoscere bene il mondo dello spettacolo. Ha ottime capacità manageriali e tante amicizie importanti da far fruttare, ma gli manca la “materia prima” per poter diventare qualcuno. Sulle copertine di tutti i giornali impazzano i New Kids On The Block, una band di ragazzini americani. Né carne né pesce, ma tutte le teenagers hanno occhi solo per loro. Nigel ha un’illuminazione: perché non creare una risposta britannica ai cinque americani? Non ci vuole poi molto, basta trovare qualcuno che sia belloccio, che sappia ballare e almeno un po’ cantare. Tramite un’inserzione su un quotidiano, vede sfilare nel suo studio centinaia e centinaia di ragazzi, di varie età e aspetto, tutti con in comune il sogno di sfondare. Alla fine, restano in sei per cinque posti. Il provino finale si tiene al “La Cage” un locale gay di cui Nigel è socio. C’è un decoratore ballerino di breakdance, bravissimo. Nigel è già convinto di tenerlo, così pure quel suo amico che parla poco, insieme sono una

“Il music biz britannico attende qualcuno da nominare nuovo eroe e alfiere dell’UK Style nel mondo.

Manchester, dicevamo. Cinque ragazzi...”

coppia già affiatata che corrisponde ai progetti del futuro manager. Sicuramente ci sarà anche quell'altro biondino, che si dà forse un po’ troppe arie. Va bene, non è propriamente un adone, è un po’ cicciottello e non cura par-

ticolarmente il suo look, ma ha portato un demo con fantastiche canzoni scritte da lui. Sul look si lavorerà, ma il talento c'è, eccome, e sarà un grosso punto di forza per la nuova band. C'è quel piccoletto che sorride sempre, che balla bene e scherza con tutti, ma su di lui Nigel non è ancora convinto. C'è quel ragazzetto irrequieto con gli occhi chiari che ha una bellissima voce e gran senso del ritmo, si, forse lui resterà, e un tizio dall'aria anonima, alto e molto sicuro di piacere. Solo i primi cinque restano, il tipo alto raccoglierà il cappotto e mestamente lascerà il locale.

“I Take That nascono nel caffè accanto al locale, dove per la prima volta si ritrovano seduti intorno a un tavolo:

Gary, Howard, Mark, Jason e Robbie” I Take That nascono nel caffè accanto al locale, dove per la prima volta si ritrovano seduti intorno a un tavolo Gary, Howard, Mark, Jason e Robbie. Con loro c’è anche Nigel, che offre al neonato gruppo il primo di tanti caffè. Gli inizi non sono semplici, come c’era da aspettarsi. Nigel ha una personalità forte e ben presto il suo ruolo all’interno della band è chiaro: sarà lui a prendere ogni decisione e i cinque si limiteranno solo ad eseguire. Se non sono d’accordo, sanno la strada per arrivare alla porta. Nel momento stesso in cui la lascia, altri cento sono pronti a rimpiazzarlo. Ma Nigel lavora bene, tutte le sue imposizioni non sono casuali. casuali. Fa registrare alla band un

Fa registrare und demo con alcuni pezzi dance e nel frattempo organizza un tour promozionale che fa tappa ovunque ci siano gruppi di ragazze su cui fare facile presa: di giorno nelle scuole, di sera nei nights. Incessante, il piccolo pullman dei Take That percorre in lungo e in largo l’Inghilterra, eseguendo cover di brani famosi accompagnati da coreografie allegre e coinvolgenti. In breve i media si accorgono di loro ed iniziano le prime copertine e gli articoli. La pressione di Nigel si fa più forte, i ragazzi si inquadrano come una piccola truppa, i ruoli all’interno sono ormai chiari, si va disegnando per ognuno lo stereotipo che li accompagnerà per tutta la loro carriera: Gary è il talentuoso, il “brutto anatroccolo” in mezzo a un gruppo di cigni; Mark è il cucciolo, con un sorriso e una battuta per tutti; Robbie lo scavezzacollo, sempre pronto alla battuta e allo scherzo; Jason è il sensibile, quello che non spreca mai una parola; Howard il riservato, quello che meno di tutti si offre in “pasto” alla stampa e alle fan. In UK ormai li conoscono davvero tutti. Non c’è giornale o tv che non parli di loro. Manca solo una cosa: un contratto discografico. Nigel lo insegue da mesi, peregrinando per le varie labels con la cassettina dei ragazzi. Nessuno sembra dargli ascolto, sono tante le porte sbattute in faccia, solo che il treno del successo non può aspettare: se non ottengono presto un disco in classifica, saranno dimenticati ed etichettati come “meteora”.

Gary dirà “Siamo la prima band della storia a diventare famosi per non aver avuto una hit”. Non resta altro da fare che creare un’etichetta propria: è la Dance UK, nata allo scopo di far uscire il primo singolo dei Take That, “Do what you like”. E’ il luglio del 1991, il singolo non va oltre l’82esimo posto nelle charts inglesi, ma è un inizio, comunque. Più che per il talento musicale i cinque si fanno notare per il look, assolutamente inedito per l’epoca: completini di lycra accostati a giubbotti di pelle portati a torso nudo, scarponi e catene luccicanti e movenze sexy. “Do what you like”

(nonostante il video susciti molto clamore e venga addirittura censurato, accusato di essere troppo sessualmente esplicito) esce quasi subito dalle classifiche, per i Take That ritorna l’incubo dell’oblio e dell’anonimato. Si torna subito in studio per incidere un singolo che li spinga più in alto possibile. Prima di Natale esce “Promises” ed è numero 38. Per la prima volta nella top 40, a detta di tutti i ragazzi, resta il loro traguardo più bello, quello più festeggiato, con la loro spensieratezza e la gioia di vedere quel portone del successo spalancarsi, finalmente, dopo tanti sforzi. Ingaggiati da una major come la BMG, ormai la strada è in discesa. Si va avanti con “Once you’ve tasted love” e il video, in

raffinato bianco e nero, ma il risultato è leggermente inferiore alle aspettative. Il prossimo step è una cover, perché a detta di Nigel, incidere una canzone già famosa contribuirebbe a farli ricordare di più. Gary non è contentissimo della scelta, ha un mucchio di canzoni composte da lui che premono per uscire dalle quattro mura della sua stanza, ma il manager è inflessibile. La scelta cade su “It only takes a minute”, ed arriva il primo piazzamento in top ten (settimo posto). Ormai è tempo di pubblicare un album, e nell’estate del ‘92 esce “Take That and party” che comprende tutti i singoli finora usciti più altre canzoni destinate a diventare successi. Tra queste “A million love songs”, scritta da Gary all’età di quindici anni per un concorso canoro. Ripescata da un cassetto, finisce così com’è nell’album, a prova del vero ed autentico talento del giovanotto di Frodsham L’ultimo singolo estratto è “Could it be magic” che deflagra come un’autentica bomba anche in Europa. Cantato da Robbie, questo pezzo li porta al 3° posto, mentre ovunque esplode la Take That mania. I tour si susseguono senza sosta, per la prima volta uscendo dai confini britannici e raggiungendo Germania e Nord Europa. Nigel è furbo e veloce a cavalcare l’onda del successo, non pago del seguito che la band si è creata, vuole di più. Trasforma i cinque ragazzi in semidei quasi onnipotenti, circondati da un’aura di charme e di irraggiungibilità, che

un’aura di charme e di irraggiungibilità, che contribuisce a far parlare di loro in ogni occasione. Stanno per prendere in mano il mondo, manca solo un secondo album che li consacri. Con queste premesse nasce “Everything Changes” in cui l’estro compositivo di Gary è valorizzato al massimo (è autore o coautore di quasi tutti i pezzi), ma anche gli altri trovano per la prima volta più spazio. Alla voce di Robbie è affidata la titletrack, Howard canta “If this is love” e Mark chiude il cd cantando la conclusiva e struggente “Babe”. Solo Jason sembra non avvicinarsi mai al microfono, ma forse nessuno sembra farci più di tanto caso. Si scoprirà poi (molto poi) che questo è dovuto a un litigio con Nigel ai tempi di “Promises”, e alla scarsa sensibilità di quest’ultimo. In compenso, Gary si occupa di insegnargli gli accordi di “Babe” così come insegnerà a Mark come cantarla al meglio, con il risultato che nei live proprio durante questo pez-

zo si raggiunge il massimo dell’atmosfera e dell’emozione Questo cd è una fabbrica di mega hit, a partire dal primo singolo estratto “Why can’t I wake up with you” (già presente in “Take That and party”, ma riproposta in versione più glamour) che arriva al secondo posto, è una sfilza di numeri uno. Iniziando da “Pray” (pluripremiata come miglior canzone e miglior video), non c’è più pezzo che non raggiunga la vetta delle classifiche. Gary vince il primo dei suoi tre Ivor Novello Awards come miglior cantautore, tutto quello che i ragazzi toccano diventa oro. Il numero delle fan cresce a dismisura, di pari passo all’isterismo che li circonda. Ormai hanno il music biz tutto nelle loro mani. I viaggi incessanti in giro per l’Europa, sempre accompagnati dall’occhio vigile di Nigel, li portano nelle classifiche praticamente ovunque. La Take That mania dilaga e il furbo padre-padrone si butta sul merchandising. Si produce praticamente qualsiasi cosa con il logo della doppia T, e gli incassi crescono, crescono, crescono. Era dai tempi dei Beatles che non succedevano cose del genere, ormai la fama dei ragazzi ha travalicato i confini musicali, diventan-

do un fenomeno sociologico e di costume. E’ tempo di terzo album, e mentre la band è in tour in Europa (il leggendario “Pops Tour” registra quasi ovunque il tutto esaurito e per la prima volta arriva in Italia, con sette date memorabili tra Milano, Roma, Torino e Bologna) portano in promozione “Sure” e “Back for good”, golose anticipazioni di “Nobody else”. E’ il 1995, quello che poi sarà il loro anno d’oro e nello stesso tempo il loro anno più nero. “Back for good” diventa praticamente un inno, si insedia al primo posto in tutta Europa e oltre

“questo cd è una fabbrica di Mega Hits... non c’è più un pezzo che non raggiunga

la vetta

delle classifiche....”

(Asia, Taiwan e Australia vengono inserite nel do. Non senza polemica, non senza dolore, tour promozionale) e a tutt’oggi è la canzone non senza lacrime di milioni di fan che addiche li identifica nell’immaginario collettivo. rittura manifestano in piazza invitandolo a ripensarci. Tutto inutile. Travolto dal successo, Ma, contemporaneamente alla consacrazione schiavo di alcol, droghe e vita sregolata, Robmondiale, il fragile equilibrio all’interno della bie sogna di entrare negli Oasis e fa di tutto piccola famiglia Take That si spezza. Luglio per confermare la sua fama di ribelle. I Take 1995, a sorpresa, Robbie That, a poche settimane dalla rottura, per lui Williams abbandona sono già passato sepolto Forse profeticamenil carrozzone che te, forse no, nello stesso mese esce il terzo e lo aveva portato ultimo singolo tratto da “Nobody Else”, “Nein cima al mon- ver Forget”: quasi un invito a non farsi ecces-

“Luglio 1995

Robbie Williams abbandona il

carrozzone che lo

aveva portato in

cima al mondo...”

sivamente trasportare dagli eventi e a ricordare sempre le proprie radici. I più leggono nel pezzo un canto d’addio all’ormai ex amico, il finale “we’re not invincible” è quasi una dichiarazione di futuri intenti. I superstiti, con un disco nuovo da promuovere e un tour sulla rampa di lancio, cercano di non farsi travolgere e di continuare, ma l’idillio dura poco.dichiarazione di futuri intenti. I superstiti, con un disco nuovo da promuovere e un tour sulla rampa di lancio, cercano di non farsi travolgere e di continuare, ma l’idillio dura poco. Il 13 febbraio 1996 è una data che ogni thatter ha tatuata nel cuore. In una tempestosa conferenza stampa, i Take That si sciolgono. Annunciano contemporaneamente l’uscita di

In realtà, la pausa sarà lunga. Passano ben dieci anni, durante i quali la vita dei quattro cambia, tanto.

un nuovo album e l’addio alle scene. Contraddittorio, forse, ma azzeccatissimo dal punto di vista del marketing. La lunga mano sapiente di Nigel non fallisce, fino alla fine. Il “Greatest hits” (raccolta di singoli con l’aggiunta della cover dei Bee Gees “How deep is your love”) sbanca le vendite e la promozione

“Marzo 1996

Cala il sipario sui Take That, la band dei record...”

che li porta un’ultima volta in giro per l’Europa come gruppo è accompagnata dall’apice dei pianti e dell’isteria. Ma dura poco. Marzo 1996. Cala il sipario sui Take That, la band dei record. Tutti si chiedono cosa ne sarà ora dei quattro Re Mida della musica e sono loro stessi a dirlo: Gary e Mark proseguono la carriera musicale, Howard e Jason si prenderanno una pausa di riflessione, poi si vedrà.

Sono loro stessi a dirlo: Gary e Mark proseguono la carriera musicale, Howard e Jason si prenderanno una pausa di riflessione, poi si vedrà. In realtà, la pausa sarà lunga. Passano ben dieci anni, durante i quali la vita dei quattro cambia, tanto. Gary “abbandona” la musica vissuta in prima persona, mette su famiglia e si dedica alla produzione di band e cantanti emergenti. Mark continua a pubblicare dischi (tre), ma affrontando un genere completamente nuovo rispetto al passato nei Take. Il cucciolo di Oldham è cresciuto, ma non tutte le sue fans hanno fatto lo stesso: i suoi lavori, nonostante si tratti di

ottimi prodotti, non riscuotono il successo previsto e a Mark non resta che partecipare (vincendo) al Celebrity Big Brother per far tornare a parlare di sé. Howard da ormai alcuni anni ha cambiato completamente genere, diventando apprezzato dj di musica house, dopo aver tentato senza fortuna la carriera solista. Jason ha provato a fare l’attore, poi si è ritirato a Ibiza, in perenne vacanza.

Dieci anni, dicevamo. Apparentemente lontani l’uno dall’altro e dal mondo, assistendo dalla platea al trionfo mondiale di Robbie, ormai universalmente riconosciuto “re del pop”. Fino al novembre del 2005 quando una tv inglese manda in onda un documentario intitolato “The truth about Take That” in cui si pretende di svelare la

“...la stampa inizia a chiedere di loro, tutti li vogliono, tutti li cercano...”

“...tornano nel novembre 2006

con “Beautiful World” scritto da tutti e cantato da tutti...”

verità sul gruppo che aveva tanto influenzato la storia degli anni ‘90. Personaggi a loro vicini come Alex Kadis (redattrice del loro magazine ufficiale e successivamente manager di Mark nel suo inizio da solista), Kevin Kinsella (primo manager di Robbie), Lulu (prestigiosa guest in “Relight my fire” e presunta fiamma di Jason) e un nutrito gruppo di giornalisti, discografici e fans dicono la loro su quello che si sapeva e soprattutto su quello che non si sapeva dei Take That. Interpellati anche Nigel, Howard e Mark, non smentiscono e squarciano finalmente la cortina di fumo che accecava gli occhi della stampa e delle fan. Si parla di droga, sesso, festini a base di ragazze scambiate da camera a camera, vizi tipici delle popstar famose, dipendenza dal tabacco e dall’alcol. Si parla di un background poco felice e

della liberazione, finalmente, rappresentata dallo scioglimento.vizi tipici delle popstar famose, dipendenza dal tabacco e dall’alcol. Si parla di un background poco felice e della liberazione, finalmente, rappresentata dallo scioglimento. Beh, il resto è storia di oggi. Nascono, o meglio rinascono per “celebrare” i dieci anni dallo scioglimento, i Take That part two, in occasione di quello che poi diventerà un DVD, “Take That for the record”, la risposta “ufficiale” al documentario tv con il contributo di tutti e cinque i membri (a sorpresa, Robbie accetta di partecipare al progetto) più Nigel che vende un numero di copie assolutamente fuori da ogni previsione e che viene trasmesso sulla GMtv, nota rete televisa inglese. Il risultato in termine di audience e di interesse è enorme e sorprendente, la

stampa inizia a chiedere di loro, tutti li vogliono, tutti li cercano. E dal successo, un pò inaspettato del loro ritorno, e la vecchia, ma mai arrugginita, sintonia tra i 4 di manchester, arriva l’annuncio ufficiale della reunion dei Take That. Le successive tappe sono un trionfale tour inglese, un nuovo stupendo album e un prossimo tour europeo già quasi tutto sold out. Tornano nel novembre 2006 con “Beautiful World” coscritto da tutti e cantato da tutti. Jason spezza il terrore del microfono che lo attanagliava da troppo tempo in “Wooden boat”, Howard ritorna alle origini con brani pop raffinati e dai testi profondi come “Mancunian way”, Mark rispolvera la sua arte canora e compositiva (è evidente che non ha più bisogno di maestri) in

“Hold on” e Gary….torna ad essere lo spledido Gary di sempre. Ricominciano le promozioni, le esibizioni, ritornano le fans, quelle che non li hanno mai dimenticati e quelle nuove conquistate dal nuovo sound. Ancora loro, con noi. Ancora noi, con loro.

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The game will never be over because we’re keeping the dream alive.

testo (c) Laura Primiceri grafica (c) Eliana Manca

“...the game will never be over because we’re keeping

the dream alive...”

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