Il Futuro Urbanistico di Sarzana 20 luglio 2009 intervento di Gino Piarulli
Gentilissimo Presidente, accogliendo il suo invito interrompo il lungo e sofferto silenzio che, mantenuto per correttezza etico/professionale nei confronti degli Enti che per molti anni ho servito; se lo faccio non è per mera autodifesa ma perché intravedo il rischio di delegittimazione totale della pianificazione pubblica di cui per 25 anni in Val di Magra ho praticato tutti i livelli. Credo infatti che i temi sollevati in questi ultimi mesi coprano nodi problematici, sollecitino risposte a moltissime domande che anche i non addetti ai lavori si pongono…. Per sciogliere questi nodi bisognerebbe affrontare in modo approfondito Temi generali che riguardano la Disciplina Urbanistica e la sua Legittimazione . Cercherò di enunciarli in modo sintetico. Il primo riguarda il senso della pianificazione pubblica. Da anni in Italia si dibatte in ambito disciplinare sulla capacità della Politica di governare attraverso la Pianificazione istanze collettive, in una fase in cui la frammentazione in gruppi d’interesse e la spinta all’individualismo proprietario hanno pesantemente insidiato qualsiasi possibilità di “narrazioni”generali condivise…. Si rimprovera alla Politica , anche quando i Piani e i progetti sono a lungo discussi e pubblicizzati, di non riuscire a produrre sintesi finalizzate alla composizione dei conflitti e quindi decisioni in grado di produrre trasformazioni di lungo periodo socialmente condivise, in grado di migliorare il territorio e garantirne lo sviluppo sostenibile. In 30 anni di attività ho dovuto convivere con questa sensazione: che la maggior parte delle costruzioni concettuali, delle idee alla base dell’agire pianificatorio ,.pur essendo formalmente adottate dalla comunità dopo il rito lungo ed estenuante della “partecipazione”,non fossero in realtà comprese se non al momento del loro realizzarsi materiale. Così può accadere che , dopo una lunga gestazione di programma e molto tempo dopo che esso è diventato “contratto pubblico”, ci si accorga che le realizzazioni previste non piacciano e se ne invochi la revisione e la ri-tematizzazione. Via Muccini non fa eccezione: il tema generale della “costruzione della città nuova nella città esistente” viene messo in crisi da quello che invoca una “nuova alleanza tra città e campagna”! Si addita il piano generale (obsoleto) come responsabile dei danni….. Nel gioco delle opposte ragioni le posizioni si radicalizzano legittimando un gioco al massacro in cui viene perduto il significato stesso dell’agire progettuale pubblico. Cosa voleva dire il Piano Regolatore di 15 anni fa? Possibile che fosse solo un puro accumulo di quantità ? E’ consentito continuare ad assegnargli responsabilità che io ritengo non sue in termini di congestione , assenza di servizi, rigidità applicativa ecc.? Naturalmente io credo di no, credo che ogni prodotto umano sia perfettibile e che modifiche e correzioni debbano essere consentite per tendere alla perfezione dello stesso. Non bisogna dimenticare quelle che erano le tematizzazioni generali e di dettaglio che hanno strutturato lo strumento anche in quegli anni lontani e che furono condivise da una maggioranza rosso-verde (con i voti contrari della destra e dell’allora “ultrasinistra”).Se andiamo a rileggere le relazioni allegate scopriamo che già allora le tematiche riguardanti il consumo di suolo in ottica di sostenibilità individuavano tre tipologie di intervento per l’assetto insediativo, in cui le espansioni corrispondenti a effettivo consumo di territorio si contavano sulle dita di una mano ed erano tutte di media bassa intensità ; ai completamenti dei tessuti di frazione venivano assegnate indicizzazioni ancora minori, mentre il ruolo forte veniva assegnato alle Trasformazioni di assetti fisicamente esistenti nei tre luoghi “topici”Marinella, RDB, via Muccini. L’attenuazione del congestionamento indotto dalla fortissima spinta commerciale (che, assieme allo spirito contadino è nella natura millenaria della città ) fu tentato proponendo lo sdoppiamento del casello di Battifollo (in S.Caterina e Cà del Sale) in prospettiva di un allontanamento dei punti di accesso uscita dalle aree centrali già allora sofferenti e di una tematizzazione della tratta autostradale in senso urbano(cfr. analisi dei flussi del consulente arch.Alessandro Sinagra e del Prof. Corda). 1
Anche l’assetto ambientale fu trattato in termini di sistema individuando collegamenti tra servizi urbani , parchi d’acqua(Magra), Bozi e colline (parchi verdi), legati dalla fitta trama delle vie d’acqua minori (intesa come trama dei corridoi ecologici e dei percorsi di fruizione attiva…) Ma un altro tema generale altrettanto importante veniva affrontato dal Piano: quello dell’Identità. Di come cioè coniugare trasformazioni con conservazione dei caratteri identitari che rendono Sarzana quello che è:una città come dice D’Alto capace di suscitare “dentro di noi – Sarzanesi e non – .. un filo di emozioni e di sentimenti tutto legato al nostro modo di sentire e di concepire la felicità del mondo urbano” Per risolvere tale “nodo identitario”il Piano introdusse(come del resto prescrivevano gli organi superiori, regione ecc.) il Tema del superamento dell’urbanistica quantitativa”(quella, per intenderci, basata sulla sola espressione degli indici come parametro delle trasformazioni) tramite categorie operative basate sulla “qualità degli interventi”. Lo fece sostituendo il termine di “zona” con quello di “tessuto”(cfr. le Norme Tecniche di Attuazione del Piano vigente) a significare che gli elementi di cui si compone la città, nella loro articolazione spazio edificato/spazio aperto, nel loro disporsi lungo strade principali o secondarie, nella ricorsività dei tipi edilizi, dei componenti e dei materiali costitutivi formavano, appunto, specifici “tessuti” (urbani,periurbani,agricoli ecc.) dotati ognuno di un loro linguaggio in grado di produrre spontaneamente la bellezza del nostro ambiente. Nelle norme le prestazioni “qualitative”, che ogni trasformazione avrebbe dovuto garantire al tessuto di appartenenza, formarono un “corpus” di indirizzi e prescrizioni in specificazione “puntuale”, così come richiesto dal Piano di Coordinamento Territoriale Paesistico varato con largo anticipo rispetto alle altre regioni italiane negli anni ’70. Si affrontavano, tra gli altri, argomenti quali: la forma del nuovo edificato, il controllo dei suoi elementi tecnomorfologici (dalla ampiezza della gronda alla forma delle coperture, alla dimensione delle superfici porticate) la regolamentazione di accessori residenziali quali le piscine nei tessuti agricoli ecc. Fu un lavoro lungo e dettagliato: ogni “parte” di territorio fu indagata, classificata, scomposta in tessuti corrispondenti ai vari principi insediativi e per ognuno di essi furono individuate regole, prescrizioni, indirizzi qualitativi e divieti che non sempre furono ben accolti! Sperimentai fin da allora che le “regole” confliggono sia con gli interessi particolari che con l’individualismo estetico; i rivenditori di piscine mi misero il broncio… chi preferiva le gronde alla toscana ….idem. Non c’era verso di convincerli: già allora la rivendicazione della libertà espressiva limitata da regole era argomento forte! Si poneva in discussione la legittimità del pubblico di intervenire sulla qualità delle trasformazioni, sull’aspetto che esse (in un processo cumulativo) avrebbero finito per dare, singolo intervento dopo singolo intervento, alla totalità dell’ambiente costruito! L’Amministrazione approvò queste regole e io mi convinsi che esse fossero divenute patrimonio condiviso! Se queste regole furono applicate alla generalità dei tessuti “ordinari”, il trattamento riservato dal Piano alle “parti” strategiche del territorio Sarzanese era ancora più dettagliato! Sarzana storica, Via Muccini e Marinella furono identificate come “Aree Progetto”. Passiamo a illustrare l’iter concettuale adottato per l’Area progetto “Via Muccini”. Gran parte di quanto dirò si ritrova nella relazione del P.P. vigente a cui rimando. La legittimazione progettuale dell’intervento è come già detto quello di contenere l’espansione della città costruendo la città nuova nella città esistente. Il tema era del resto, oltreché cavallo di battaglia dei piani di terza generazione, materia di interventi legislativi (Piani di Recupero Urbano, Società di trasformazione Urbana, Contratti di Quartiere, ecc.) a livello di governo centrale in una fase di rapida deindustrializzazione , che introduceva, a sua volta, il Tema del riuso dei “vuoti Urbani” o delle aree dismesse come campo di azione delle Amministrazioni pubbliche e dei privati. La sfida raccolta dal Piano Pubblico fu questa: 2
….. fissare regole precise per la costruzione di una intera parte di città non solo nei suoi aspetti infrastrutturali ma anche di decoro urbano e continuità estetica; ….coniugare regole generali (quelle relative alla “forma complessiva”della parte di città) con regole di dettaglio (relative alle modalità di trattamento dei manufatti che la compongono); ……. individuare cioè una giusta misura tra garanzia qualitativa delle parti pubbliche e necessari margini di libertà degli operatori privati; come si vede la chiave d’intervento era tutta nella possibilità di consentire la necessaria libertà (e quindi varietà) compositiva ai differenti attori in una intelaiatura normativa offerta dal pubblico e condivisa dalla città in quanto espressione della sua conformità (morfologico/stilistica).Importantissimi furono per me l’uso di strumenti concettuali e tecnico/operativi basati su flessibilità e variabilità. Prima ancora considerai che elemento fondamentale della ricomposizione fosse la ricucitura dei tracciati esistenti e il loro potenziamento , a configurare la corretta articolazione spazio edificato/spazio aperto(cfr.i rilievi di D’Alto” sulle tecniche e sulla cultura di produzione dello spazio urbano specifiche della nostra fase storica”…,) Considerai più importante ricucire il tessuto urbano tramite l’apertura e ricomposizione di tracciati:continuare via Terzi fino a saldarla con via Lucri avrebbe liberato lo spazio ora occupato dal Vecchio Mercato(le cui funzioni erano ricollocate nei nuovi edifici previsti nel comparto pubblico) ! Aprire un nuovo asse verso la stazione e coniugarlo con Via Muccini come Viale costantemente bordato da una sequenza di spazi pubblici porticati in connessione con le 12 piazze , consentì la definizione della geometria generale del progetto,.sulla quale applicare una griglia di flessibilità per controllarne le variazioni d’altezza previste , con scalarità attenta a quelle degli edifici già esistenti ,.con sequenze di 2,3,…..6 piani e solo nei due edifici gemelli tematizzati come nuova Porta Genovaecc.di 7 piani pari a quelle del più alto edificio esistente. La “figura”risultante era rappresentata dalla intersezione di due, assi1,uno retto ( via Muccini) e l’altro curvo verso la Stazione; il riferimento alla sintassi spaziale della città storica, con il suo asse “forte” da Porta Romana a Porta Parma integrato dall’andamento curvilineo dei tracciati esterni (via Sobborgo Spina e via Sobborgo Emiliano) era motivato dalla volontà di ripetere (non mimeticamente) l’esperienza che abbiamo quando giriamo per Sarzana e restiamo sorpresi come dice Silvano D’Alto dalla variazione spaziale costituita dalla particolare articolazione (e variazione) spazio aperto/spazio edificato (cfr….le sue piazze aperte, con le strade che sgusciano in altre strade e spazi…); l’attenzione è sollecitata dalla variazione volumetrica, cromatica e di prospettiva di semplici case affacciate lungostrada in dialogo con le due città esistenti (centro storico ed espansione del dopoguerra) attraverso fronti pubblici porticati corrispondenti alle funzioni commerciali/direzionali , mentre i volumi residenziali dei piani superiori si arretrano cambiando colorazione (ne sono esempio le unità già realizzate) . Da più parti si è argomentato sulle volumetrie sovradimensionate; occorre richiamare che l’obiettivo principale del Progetto era quello di collegare città storica e città contemporanea e nel farlo proponeva una densità intermedia in grado di espandere l’effetto città decongestionando il centro. Occorreva quindi leggere le componenti del contesto (i porticati di piazza Martiri, il tessuto della 167, gli allineamenti di via Lucri, gli interventi episodici di via Emiliana e piazza Terzi (Conad) non per negarli ma per ricucirli attraverso la ripresa delle loro componenti positive…. Anche l’individuazione degli altri temi corrispondeva a questo obiettivo generale…la creazione dell’interscambio in prossimità della stazione,il Laurina , cerniera tra città storica e piazza Martiri, la creazione della nuova porta Genova , il nuovo Centro Polivalente , configurato nella parte esterna con una copertura -anfiteatro terminale della nuova Piazza Terzi (spazio aperto lungo quasi 100metri). 1
La costruzione dei nuovi viali di Sarzana prendeva ad esempio ciò che avevano saputo fare i nostri nonni con viale della Pace, in questo caso gli elementi di novità erano costituiti dai porticati continui,dalla pista ciclabile, dai marciapiedi e dagli spazi aperti pavimentati a connessione delle 10 piazze previste dal Piano.
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e nella parte interna con laboratori e spazi multifunzionali ecc. ecc. Molto altro si dovrebbe dire,considerata l’importanza degli eventi a cui assistiamo….per ora spero di aver chiarito le tematiche complesse che sottendono alle scelte pianificatorie e spiegato che il carattere “aperto”del piano gli consentiva adeguamenti e ri-tematizzazioni in grado di assorbire gli elementi di novità via via portati da nuove esigenze (es.differente distribuzione dei parcheggi) e intese (disponibilità delle Ferrovie alla cessione dell’intera area ex scalo merci). Resto comunque a disposizione di chiunque abbia interesse ad approfondire gli argomenti trattati nella convinzione che il dibattito avviato sui destini della città abbia bisogno della passione dimostrata da tutti gli attori in campo, della chiarezza che è il portato di una serena riflessione e della molteplicità dei contributi come si conviene ad una società democratica. Gino Piarulli Sarzana 20 luglio 2009
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