I. SAGGI
Il mercato finanziario negli Stati Uniti: la prima generazione di «robber baron» (1840-1870) (II parte) di Cinzia Illibato
Dopo la guerra civile, l'economia americana ebbe una vigorosa ripresa 1. Dal 1870, si notoÁ, negli Stati Uniti, un significativo cambiamento anche nel modo in cui le societaÁ erano gestite. Si era giunti all'alba del «capitalismo manageriale». Le grandi compagnie erano ora create nella forma di societaÁ per azioni ed erano gestite da dirigenti non necessariamente legati da vincoli di parentela con i fondatori o sposati con uno dei loro discendenti. Contemporaneamente, una nuova generazione di speculatori, con differenti origini sociali ed economiche, si andava affermando: Vanderbilt, Drew, Sage, Carnegie e Rockefeller furono tra le personalitaÁ che influenzarono i principali settori dell'economia americana. Pur non essendo istruiti e, talvolta, sprezzanti verso la cultura formale, questi uomini ebbero l'abilitaÁ di riconoscere le deficienze strutturali della societaÁ, e del sistema finanziario in generale, per sfruttarle a proprio vantaggio. Uno dei piuÁ grandi speculatori ferroviari, prima e dopo la guerra civile, fu Daniel Drew, individuo avido ed analfabeta, il cui nome suscitava invidia e terrore sia in borsa sia tra i funzionari delle ferrovie. Alla fine della guerra civile, Drew aveva giaÁ guadagnato una notevole fortuna grazie all'attivitaÁ di venditore allo scoperto. Era un abilissimo operatore al ribasso e anche i suoi avversari ammiravano l'audacia delle sue truffe 2. Drew era nato a Putnam County ed ebbe un'eclettica carriera prima di interessarsi al mercato azionario. Fu guardiano di bestiame, proprietario d'osteria, armatore di battelli e, infine, broker. A New York, fu socio della Drew,
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G. Myers, History of the Great American Fortunes, New York, 1936, p. 309. C.R. Geisst, Wall Street. A History, New York, 1997, p. 69.
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Robinson & Company e, in quella cittaÁ, continuoÁ l'attivitaÁ iniziata sin da quando faceva il mandriano: la vendita di cose che non possedeva 3. L'attivitaÁ ribassista di Drew lo portoÁ a contatto con le azioni della Erie Railroad. Nel 1854, fece un prestito di 1,5 milioni di dollari alla suddetta cittaÁ, ricevendo in cambio un'ipoteca sulle sue locomotive e sul suo materiale rotabile. Drew era interessato alla Erie Railroad in quanto la societaÁ gli offriva un'ampia riserva di azioni da poter vendere allo scoperto. Affinche il prezzo delle azioni della Erie Railroad aumentasse quanto piuÁ possibile prima dell'inizio della vendita allo scoperto, Drew si recoÁ in un club di New York in cui si riunivano gli operatori di borsa. Si sedette e, prendendo dalla tasca un fazzoletto per asciugarsi la fronte, fece cadere in terra, di proposito, un foglietto di carta. Nessuno si preoccupoÁ di avvertirlo e, appena Drew lascioÁ il locale, gli operatori presenti si avventarono su di esso: il foglietto dava informazioni rialziste sulle azioni della Erie. InizioÁ subito la corsa all'acquisto delle azioni della societaÁ che raggiunsero nuovi massimi sul mercato. Fu solo a quel punto che Drew inizioÁ a vendere allo scoperto. Quest'operazione, nota come «truffa del fazzoletto», ed altre simili resero Drew una leggenda dei suoi tempi 4. Anche la carriera di Russel Sage fu legata grazie all'intreccio di truffe ed abilitaÁ finanziaria. Nato ad Oneida County, nel 1816, Sage inizioÁ l'attivitaÁ di droghiere all'ingrosso a Troy, nello stato di New York, dove diventoÁ anche consigliere comunale e tesoriere. Durante l'incarico presso il governo locale, Sage riuscõÁ ad ottenere il controllo di una linea ferroviaria che la sua cittaÁ aveva aiutato a finanziare. Egli pagoÁ duecentomila dollari per essa e riuscõÁ a rivenderla alla New York Central per un milione di dollari 5. L'apparente astuta transazione fu il frutto di raggiri e corruzioni, caratteristiche per le quali Sage fu ben noto durante la sua lunga carriera. Nel periodo antecedente alla guerra civile, Sage fu coinvolto in una serie di affari riguardanti le ferrovie, spesso usando informazioni conosciute come membro del Congresso (era stato eletto nel 1854) per fare tempestivi affari. Durante la guerra civile, Sage forniva capitali al «mercato dei prestiti a breve», usando un metodo che, in seguito, sarebbe diventato molto comune. Quando le condizioni di mercato erano difficili, egli imponeva alti tassi d'interesse overnight (dell'uno o due per cento) richiedendo l'immediata restituzione della somma prestata qualora il mutuatario non avesse accettato quei tassi 6. Tra le tante trattative d'affari in cui Sage fu coinvolto, ci fu anche l'inve-
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Ibidem, pp. 69-70. Ibidem, pp. 70-71. Ibidem, p. 75. G. Myers, History, cit., p. 475.
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stimento nella Pacific Mail Steamship Company. La compagnia aveva ricevuto ingenti sovvenzioni dal governo per trasportare la posta verso la California e il Pacifico. Una commissione che investigoÁ sulla societaÁ, nel 1873, scoprõÁ che il monopolio, ad essa concesso dal Congresso, era stato attribuito dopo una serie di manipolazioni. Sage proclamoÁ la propria estraneitaÁ a qualunque reato e, dal momento che si era servito di rappresentanti per acquistare le azioni, sembroÁ effettivamente aver guadagnato il proprio potere personale in modo regolare 7. Sage incontroÁ Gould a Troy. I due si allearono per acquisire il controllo della Union Pacific Railroad; il loro successivo obiettivo fu la Kansas & Pacific Railroad. Sage e Gould affermarono di essere sul punto di inaugurare una nuova e competitiva linea ferroviaria in Colorado. Questa notizia fece diminuire il prezzo delle azioni della Kansas & Pacific in borsa; quando cioÁ avvenne, Gould e Sage cominciarono, in gran segreto, ad acquistare in blocco le azioni della societaÁ in un'operazione di rastrellamento 8 (cornering). In seguito, decisero di vendere le acquisite azioni della Kansas & Pacific alla Union Pacific, ottenendo un profitto di quaranta milioni di dollari. Il progetto di costruzione della linea ferroviaria in Colorado fu abbandonato appena essi raggiunsero il loro scopo. Altro famoso «robber baron» fu il ``Commodoro'' Cornelius Vanderbilt, che ricevette il soprannome ``nautico'' a causa delle sue numerose avventure nell'attivitaÁ dei trasporti marittimi, che gli fecero guadagnare una reputazione simile a quella di Drew nel settore ferroviario. Il settore del trasporto su rotaie attrasse la sua attenzione quando si rese conto che quello dei trasporti marittimi non aveva lo stesso potenziale di crescita. Nato nel 1794, a Staten Island, da una povera famiglia di agricoltori d'origine olandese, Vanderbilt fu uomo di poche parole, ma schietto, senza istruzione formale e famoso per la sua parsimonia. Nonostante fosse ricco, egli fece vivere la moglie in condizioni di austeritaÁ. Ebbe poca confidenza con i nove figli, che tenne sempre ad una certa distanza dalla sua attivitaÁ finanziaria: il figlio William, che ereditoÁ l'impero del padre, fino a quarant'anni, fu relegato nella fattoria di famiglia a Staten Island 9. Cornelius Vanderbilt inizioÁ la sua carriera facendosi prestare dai genitori una piccola somma di denaro, per avviare un'attivitaÁ di trasporto su traghetti tra Staten Island e New York. Durante la guerra del 1812, egli si occupoÁ del trasporto di rifornimenti per l'esercito da e verso New York. In sei anni, Vanderbilt diventoÁ un armatore in grado di competere con Robert Fulton
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Ibidem, p. 477. C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 76. Ibidem, p. 77.
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per i servizi di trasporto merci e passeggeri tra New York e Philadelphia. In dieci anni, la sua compagnia dominoÁ il trasporto sul fiume Hudson. Una delle tecniche usate dal ``Commodoro'' per attrarre clienti era di offrire servizi a piuÁ basso costo rispetto alla concorrenza. Una volta acquisita una fedele clientela, egli riportava le proprie tariffe a livelli competitivi; in questo modo danneggiava i concorrenti, ma irritava anche i suoi clienti. Le sue tattiche erano cosõÁ deplorevoli che, talvolta, alcuni concorrenti lo pagavano per assicurarsi che non agisse contro di loro, garantendogli un'entrata mensile di sessantamila dollari 10. Vanderbilt entroÁ tardi nel settore delle ferrovie. A sessantacinque anni, comincioÁ il rastrellamento di azioni della New York & Harlem Railroad. Per completare l'operazione di cornering, Vanderbilt fu costretto a lusingare molti funzionari di New York affinche gli cedessero le loro azioni, manovra che fece aumentare il prezzo delle stesse da venticinque a centocinquanta dollari. Alla notizia che alcuni funzionari convinti da Vanderbilt a cedere le azioni possedute stavano riconsiderando le loro posizioni, in un chiaro tentativo di rovinare il ``Commodoro'', Daniel Drew pose in essere un'incursione ribassista sulle azioni della New York & Harlem Railroad. L'operazione vide di fronte due tra i piuÁ grandi manipolatori dell'epoca: da una parte, Drew, il grande operatore al ribasso, dall'altra, Vanderbilt, il maestro dei rastrellamenti. Il ``Commodoro'' prevalse percheÂ, quando il prezzo delle azioni della societaÁ raggiunse il valore di duecentottantacinque dollari, molti concorrenti fallirono 11. Vanderbilt dominava ormai il settore del trasporto su rotaie: in pochi anni, aveva acquisito il controllo di molte ferrovie di New York, quali la Hudson River, la New York Central e la Lake Shore, ma anche della Michigan Southern e della Canadian Southern, per un totale di 4.500 miglia di linee ferroviarie. L'anno successivo, Vanderbilt fece un'offerta per acquisire il controllo anche del servizio di trasporti su tram di New York, che riuscõÁ a conquistare con la corruzione: egli pagoÁ, addirittura, una ``bustarella'' maggiore del reale valore della linea tranviaria. Vanderbilt godeva di poca popolaritaÁ che, peroÁ, aumentoÁ quando inizioÁ la costruzione della famosa stazione ferroviaria, Grand Central Terminal, di New York. Il progetto procuroÁ lavoro a migliaia di persone e restituõÁ consensi al ``Commodoro'' Vanderbilt. Qualunque fosse la ragione per la quale Vanderbilt fu tanto attratto dalle ferrovie, quel settore grazie a lui divenne piuÁ efficiente e fu fondamentale per lo sviluppo anche di altre industrie, quali quella pesante. Nel 1877, anno della sua morte, il patrimonio di Vanderbilt fu stimato in
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Ibidem. Ibidem, p. 78.
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cento milioni di dollari: era l'uomo piuÁ ricco degli Stati Uniti d'America 12. Nonostante la ricchezza, il ``Commodoro'' Cornelius Vanderbilt non fu mai ammesso a far parte della «alta societaÁ» di New York, a causa delle sue rozze maniere (non abbandonoÁ mai il triviale linguaggio da marinaio). Andrew Carnegie fu il migliore esempio di immigrato che, con eccellente intuito, riuscõÁ a far crescere l'industria americana degli Stati Uniti piuÁ di quanto avesse fatto chiunque altro, eccetto John D. Rockefeller. Nato in Scozia, nel 1837, Carnegie emigroÁ con la famiglia in Pennsylvania a tredici anni. InizioÁ a lavorare per l'ufficio del telegrafo e, presto, si accorse di essere tra i pochi in grado di decifrare i messaggi telegrafici ad orecchio. Quest'abilitaÁ gli consentõÁ di essere assunto presso la Pennsylvania Railroad come assistente del supervisore. Quando il supervisore, Thomas Scott, fu nominato presidente, anche Carnegie fu promosso ed entroÁ a far parte della dirigenza 13. Nel 1873, Carnegie decise che l'industria dell'acciaio era l'industria del futuro e avanzoÁ in quella direzione. A differenza dei «railroad baron» che sfruttavano il disastroso stato delle ferrovie per avventarsi sulle loro azioni a buon mercato, Carnegie vide nella fornitura di nuovi materiali alle ferrovie un'opportunitaÁ per l'espansione sia di quel mezzo di trasporto che dei suoi affari. Dopo pochi anni dal suo inserimento nel settore siderurgico, Carnegie divenne tra i principali produttori di acciaio del paese, realizzando profitti fino a 1,5 milioni di dollari all'anno 14. Dal 1870, si trasferõÁ a New York, dove conobbe molti altri ``capitani d'industria''. Rimase affascinato dai meccanismi del «New York Stock Exchange», ma non fu mai attratto dall'attivitaÁ speculativa. Appena arrivato nella nuova cittaÁ, Carnegie fu sommerso da un'ondata di offerte da parte di persone che non conosceva, ma che erano consapevoli della sua ricchezza e reputazione. Scrisse nella sua autobiografia: «La piuÁ importante proposta mi fu fatta, una mattina, al Windsor Hotel. Jay Gould, allora all'apice della carriera, mi avvicinoÁ dicendo di aver sentito parlare di me. Mi raccontoÁ della sua intenzione di acquisire il controllo della Pennsylvania Railroad Company e mi offrõÁ la metaÁ dei profitti se avessi accettato di entrare nel suo staff dirigenziale» 15. La proposta di Gould nasceva dalla sua animositaÁ verso Thomas Scott, il presidente della Pennsylvania Railroad. Carnegie rifiutoÁ l'offerta, confermando la propria fedeltaÁ a Scott. Il magnate dell'acciaio fondoÁ la Keystone Bridge Works per la costruzione di ponti in ferro e acciaio per le ferrovie, in sostituzione di quelli precedenti in
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Ibidem, p. 79. Ibidem, p. 80. Ibidem, p. 81. A. Carnegie, Autobiography, Boston, 1920, p. 152.
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legno 16. Nel 1869, fece un'offerta affinche la Keystone Bridge Works partecipasse alla costruzione di un ponte sul fiume Mississipi a St. Louis. Egli aiutoÁ i progettisti nella ricerca di finanziamenti, in modo che essi potessero pagarlo. Erano necessari quattro milioni di dollari per il progetto: Carnegie si recoÁ a Londra, e non a New York, per reperire il capitale necessario. Egli sperava di coinvolgere nell'affare Junius Spencer Morgan e la sua banca londinese. Con un colpo da maestro, Carnegie riuscõÁ a persuadere il banchiere ad acquistare obbligazioni da lui, ma Morgan pretese che fossero apportate modifiche alla formulazione dei certificati obbligazionari prima che fossero messi in vendita. Il banchiere propose all'industriale di inviare la richiesta di cambiamenti alle autoritaÁ competenti via posta e di godersi, nel frattempo, una vacanza in Scozia. Carnegie, impaziente, invece, invioÁ subito le richieste tramite telegramma; in ventiquattro ore, ottenne il consenso per i cambiamenti richiesti. L'affare non era ancora concluso. Carnegie aveva organizzato un incontro con il direttore finanziario del «Times», «consapevole che poche sue parole sarebbero state sufficienti per influenzare favorevolmente il corso dei titoli alla borsa di Londra» 17. Carnegie riuscõÁ a convincere il direttore a scrivere un articolo a favore del progetto di costruzione del ponte da parte della Keystone Bridge Works. I titoli della societaÁ aumentarono del cinque per cento 18. La decisione di Carnegie di rivolgersi al mercato londinese, piuttosto che a quello di New York, fu significativa per due ragioni: da un lato, dimostrava la sua fiducia per gli investitori britannici che avevano dominato la finanza degli Stati Uniti fin dall'inizio del secolo, dall'altro, testimoniava la sua diffidenza verso i tanti ``predatori'' di Wall Street. Andrew Carnegie, a differenza di Gould e Vanderbilt, fu tra i pochi «robber baron» accettati nei circoli piuÁ esclusivi degli Stati Uniti. La carriera di Andrew Carnegie fu parallela a quella di John D. Rockefeller, altro personaggio che cambioÁ il volto dell'industria americana. Figlio di un mercante girovago, nel 1853, a sedici anni, John Davison Rockefeller si stabilõÁ con la famiglia a Cleveland, in Ohio, dove comincioÁ a cercare lavoro. Egli cercava impiego nelle piuÁ grandi industrie del paese, interessato non semplicemente a lavorare per vivere, ma a comprendere come i colossi nazionali funzionassero. A diciannove anni, fondoÁ, a Cleveland, assieme a Maurice Clark, un'impresa commerciale, la Clark & Rockefeller, in parte con i propri risparmi ed in parte con capitale preso a prestito. Clark aveva grande esperienza; Rockefeller
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Ibidem, p. 115. Ibidem, p. 156. C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 83.
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era la ``mente'' della societaÁ e si occupava della direzione e della gestione dei rapporti con le banche. Essi divennero agenti commissionari di beni, quali grano e carne di maiale. Durante la guerra civile, il loro nuovo cliente fu l'esercito dell'Unione al quale fornirono alimenti e altri beni di prima necessitaÁ. Nonostante il giro d'affari della societaÁ fosse ampio, i profitti furono relativamente modesti: nel primo anno di attivitaÁ, essi guadagnarono solo cinquemila dollari, pari appena all'uno per cento dei loro movimenti di capitale 19. In pochi anni, la Clark & Rockefeller prosperoÁ e, quando a Titusville, in Pennsylvania, fu scoperto il petrolio, essi cominciarono a negoziare anche in barili di petrolio accanto agli altri beni. Rockefeller decise di entrare nel nuovo settore. Nel 1863, fece un'offerta di settantaduemila dollari per l'acquisto di una raffineria di Cleveland; abbandonoÁ la precedente attivitaÁ vendendo la propria quota della Clark & Rockefeller e si dedicoÁ completamente alla raffinazione del petrolio. La nuova societaÁ, la Rockefeller & Andrews, finanziata con capitali presi in prestito dalle banche, fu tra le piuÁ importanti di Cleveland. Pochi anni dopo, una nuova linea ferroviaria, che collegoÁ Cleveland al resto del paese, fu completata e, in breve, la cittaÁ dell'Ohio divenne il maggiore centro di raffinazione ed esportazione del greggio 20. Dal 1869, l'offerta di petrolio fu maggiore della domanda; cioÁ generoÁ una depressione dalla quale solo le maggiori imprese riuscirono a salvarsi. Rockefeller colse l'opportunitaÁ creata dalla recessione petrolifera per espandere la propria societaÁ. Nel 1870, fondoÁ, in Ohio, una societaÁ per azioni (joint-stock company) le cui azioni sarebbero state distribuite solo tra i soci esistenti e gli eventuali nuovi soci ammessi, qualora il bisogno di capitale fosse diventato troppo incalzante. La nuova societaÁ, la Standard Oil Company, nacque con un capitale di un milione di dollari ed ebbe tra i suoi maggiori azionisti John e William Rockefeller, Andrews, Flager e Stephen Harkness. La Standard Oil divenne la maggiore compagnia di raffinazione degli Stati Uniti; ebbe il controllo del dieci per cento dell'attivitaÁ nazionale di raffinazione 21. Sino a quel momento, Rockefeller si era guadagnato la reputazione di abile e attento organizzatore, ma, nel 1872, dopo la recessione del biennio precedente, qualcosa cambioÁ. Le ferrovie che servivano la Pennsylvania e l'Ohio e le raffinerie operanti in quegli stati crearono, insieme, un'organizzazione, la South Improvement Company, rivolta a tutelare e ad evitare perdite per entrambe. La nuova organizzazione, che fu il primo cartello (trust) degli Stati Uniti, stabilõÁ che certe aree sarebbero state servite solo da determinate linee ferroviarie, con un forte
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Ibidem, p. 84. Ibidem, p. 85. J.K. Galbraith, Storia dell'Economia, Milano, 1990, p. 82.
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aumento dei costi di trasporto del petrolio per le societaÁ che non facevano parte di essa. La notizia si diffuse, rapidamente, via telegrafo; i principali produttori e raffinatori di petrolio del paese protestarono per conoscere le ragioni dell'aumento dei costi di trasporto del greggio, in mancanza di chiare indicazioni che lo giustificassero. Quando le vere ragioni furono scoperte, cori di protesta si levarono, ma Rockefeller fu risoluto nel suo convincimento che il trust fosse un'equa organizzazione 22. Le tensioni tra i sostenitori e gli oppositori del cartello scatenarono una delle piuÁ grandi battaglie economiche e politiche del diciannovesimo secolo. La crisi petrolifera colpõÁ molti concorrenti della Standard Oil ai quali non restoÁ altra alternativa se non quella di cedere le proprie attivitaÁ a Rockefeller. Dopo pochi mesi, il cartello annuncioÁ che la Standard Oil aveva il controllo totale dell'attivitaÁ di raffinazione a Cleveland ed il controllo del venti per cento dell'attivitaÁ nazionale. Rockefeller era, definitivamente, entrato nel partito dei «robber baron». La Standard Oil fu riorganizzata come un trust: il capitale della nuova societaÁ fu di settanta milioni di dollari, suddiviso in settecentomila certificati di cento dollari ciascuno. I nove amministratori gestirono l'intera operazione. Le societaÁ controllate rimasero negli stati nei quali operavano e ciascuna fu garantita da controversie legali nelle quali le altre avrebbero potuto essere coinvolte nei rispettivi territori. Al termine della riorganizzazione, la Standard Oil ebbe il controllo di circa l'ottanta per cento della capacitaÁ di raffinazione degli Stati Uniti e di circa il novanta per cento degli oleodotti. Nel 1890, guadagnoÁ circa diciannove milioni di dollari e pagoÁ dividendi pari a poco piuÁ di undici milioni di dollari 23. Nel 1890, fu introdotto negli Stati Uniti, lo Sherman Anti-Trust Act, legge che dichiaroÁ illegale qualunque accordo mirante a limitare il commercio e tutti i monopoli 24. Poco dopo, in merito ad una causa intentata da parte dello stato dell'Ohio contro la Standard Oil, la Corte Suprema dell'Ohio deliberoÁ contro la societaÁ ed in favore dello stato, sostenendo che il trust avesse violato il diritto comune (common law) essendosi organizzato come un monopolio. A quel punto, Rockefeller e gli altri amministratori decisero la trasformazione della Standard Oil in holding company e il trasferimento degli affari in New Jersey, stato nel quale esistevano leggi favorevoli a quella struttura societaria. Nel 1899, il trasferimento fu completato e la nuova Standard Oil comincioÁ l'emissione di azioni piuttosto che di certificati fiduciari. La Standard Oil divenne
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A. Nevins, John D. Rockefeller, abridged by William Greenleaf, New York, 1959, p. 48. Ibidem, p. 156. V. Valli, Il sistema economico americano, Milano, 1978, p. 36.
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una public company in senso moderno, con attivitaÁ patrimoniali di duecento milioni di dollari e con un ritorno su esse del trenta per cento 25. I piuÁ noti trust presenti negli Stati Uniti all'epoca erano: nel settore elettrico, la Edison Illuminating Company (piuÁ tardi General Electric Company); nel settore della telefonia, la American Telephone & Telegraph Company, fondata da Alexander Graham Bell; nel settore dell'impacchettamento e spedizione della carne, la Swift Brothers di Gustav Swift; nel settore del tabacco, la Tobacco che, grazie a James Buchanan Duke, integroÁ i processi di coltivazione, lavorazione e distribuzione di tabacco sotto l'egida della American Tobacco Company 26. Colui che piuÁ di ogni altro contribuõÁ e partecipoÁ non solo alla creazione dei suddetti trust, ma anche alla fondazione di altri colossi industriali, quali la U.S. Steel, fu John P. Morgan. Nel 1854, quando Junius Spencer Morgan aveva lasciato Boston per trasferirsi a Londra, il figlio John Pierpont, soprannominato J.P., era ancora molto giovane. Dopo l'universitaÁ, J.P. fu mandato dal padre a New York a lavorare come impiegato nell'ufficio di rappresentanza della J.S. Morgan & Co. negli Stati Uniti. Dopo tre anni, nel 1860, J.P. lascioÁ l'impiego per fondare la J.P. Morgan & Company, societaÁ che, da quel momento, operoÁ come agente di rappresentanza della J.S. Morgan & Co. negli Stati Uniti. Nel 1870, il giovane Morgan, grazie all'attivitaÁ di cambio e a quella di negoziazione in titoli ed in oro, aveva giaÁ accumulato una discreta fortuna. A quarant'anni, comincioÁ giaÁ a pensare al ritiro, ma fu persuaso a fondare, a Philadelphia, la Drexel, Morgan & Company, per iniziare ad operare nel settore ferroviario 27. Alla morte del ``Commodoro'' Vanderbilt, nel 1879, il figlio William ereditoÁ un patrimonio di circa cento milioni di dollari 28, che comprendeva anche le azioni della New York Central. Pochi anni dopo, i lavoratori delle principali compagnie ferroviarie, tra le quali la New York Central, iniziarono uno sciopero generale. Le societaÁ ridussero i salari dei lavoratori e lo stato di New York annuncioÁ tasse ``punitive'' contro questa pratica societaria. Sebbene il ``Commodoro'' Vanderbilt non ebbe mai grande fiducia nel figlio William, egli si dimostroÁ, in quell'occasione, uomo di grande abilitaÁ. William chiese a J.P. Morgan di procedere all'acquisto di parte delle sue azioni della New York Central. Morgan acconsentõÁ all'affare, ma pensoÁ che il C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 106. Ibidem, p. 108. 27 C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 89. 28 Il primo ministro britannico, Gladstone, manifestoÁ il proprio timore per l'eccessivo potere di William Vanderbilt il quale, se avesse deciso di ``congelare'' tutto il capitale a sua disposizione, avrebbe seriamente e negativamente influenzato l'economia americana. (M. Josephson, The Robber Barons: The Great American Capitalists 1861-1901, New York, 1936, p. 184). 25 26
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«New York Stock Exchange» non fosse il luogo ideale per rivendere le azioni. Decise, quindi, di rivolgersi al «London Stock Exchange» dove, servendosi di un gruppo formato da se stesso, dal padre e dalla Drexel, riuscõÁ con successo nella vendita delle azioni agli investitori nazionali e stranieri (soprattutto britannici). Vanderbilt guadagnoÁ trenta milioni di dollari dall'operazione e J.P. Morgan ottenne una commissione, senza precedenti, pari a tre milioni di dollari 29. Gli ultimi due decenni del diciannovesimo secolo rappresentarono l'inizio dell'epoca d'oro di Wall Street. Il numero dei titoli quotati in borsa aumentoÁ e, nel 1885, il NYSE arrivoÁ a negoziare un milione di azioni al giorno. Il 14 luglio 1890, fu introdotto lo Sherman Silver Act che richiedeva al Tesoro di acquistare, mensilmente, una quantitaÁ di argento, pari a 4,5 milioni di once, allo scopo di sostenere il prezzo del metallo 30. Esisteva, peroÁ, sul mercato americano, un'evidente preferenza per l'oro, nonostante i politici continuassero a sostenere l'argento. Molti investitori stranieri, poco convinti della fermezza americana a mantenere l'oro come unico metallo sul quale basare il dollaro, iniziarono la vendita in massa dei titoli in loro possesso. In breve, fu avviata la crisi finanziaria del 1893 che riveloÁ l'eccessivo affidamento degli Stati Uniti sugli investitori esteri. La riserva d'oro degli Stati Uniti si era fortemente ridotta, in conseguenza della diminuzione delle entrate dovuta alle tariffe protezionistiche e agli aumenti dei bonus pagati ai reduci di guerra. Quando la riserva si ridusse al di sotto di cento milioni di dollari, gli investitori si inquietarono e cominciarono a vendere i titoli posseduti. Nel febbraio del 1893, il NYSE visse giorni febbrili: furono negoziate piuÁ di un milione e mezzo di azioni e furono vendute obbligazioni per piuÁ di sei milioni di dollari 31. Nell'aprile di quello stesso anno, soltanto un quarto del denaro in circolazione fu garantito da riserve auree. In maggio, l'indice del NYSE diminuõÁ a livelli mai raggiunti in precedenza. Il presidente Cleveland chiese al Congresso di abrogare lo Sherman Silver Act, nel tentativo di puntellare le riserve e restituire ordine al sistema finanziario del paese 32. Una speciale seduta del Congresso fu convocata per discutere il destino dello Sherman Silver Act, ma solo in ottobre l'abrogazione della legge fu approvata da entrambe le camere. Nel frattempo, le riserve del paese si ridussero ad appena ottanta milioni di dollari. PiuÁ di cinquecento banche, in tutto il paese, fallirono e oltre quindicimila imprese chiusero, con un enorme incremento della disoccupazione. Negli ultimi mesi del 1893, circa il trenta per cento delle societaÁ ferroviarie degli Stati Uniti si C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 92. M. Friedman & A. Schwartz, A Monetary History of the United States 1867-1960, Princeton, 1963, p. 106. 31 C.R. Geisst, Wall Street, cit., p. 110. 32 M. Friedman & A. Schwartz, Monetary History, cit., p. 116. 29 30
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trovoÁ in giudizio per bancarotta. Un altro duro colpo per gli investimenti americani si verificoÁ nell'agosto del 1894, quando il disavanzo federale raggiunse i sessanta milioni di dollari. Per far fronte alla situazione, l'amministrazione del presidente Cleveland propose la prima di due emissioni di titoli del valore di cinquanta milioni di dollari per puntellare le finanze del Tesoro. L'anno successivo, peroÁ, la questione si ripropose, in quanto il Tesoro stava utilizzando i proventi delle due precedenti vendite per ripagare i debiti, nel frattempo, maturati. Le riserve si stavano, nuovamente, assottigliando e, questa volta, le tradizionali emissioni non sarebbero state un rimedio sufficiente: il ministero del Tesoro aveva bisogno di recuperare parte dell'oro perduto in seguito alla vendita di titoli da parte degli investitori stranieri. In un estremo tentativo di fermare il deflusso di metallo prezioso, il presidente Cleveland raggiunse un accordo che avrebbe consentito il ritorno dell'oro negli Stati Uniti, grazie alla vendita di titoli agli stranieri 33. L'agente del governo per la transazione fu un gruppo di banche guidato dalla J.P. Morgan & Co. e dalla August Belmont & Co.. Il progetto fu criticato da piuÁ parti. Morgan e il suo gruppo riuscirono a vendere titoli per sessantacinque milioni di dollari. I titoli, che rendevano alle banche il 3,75 per cento, furono da esse rivenduti agli investitori stranieri al sette per cento in piuÁ 34. Il gruppo bancario, che guadagnoÁ, al netto, il sei per cento dall'operazione, aiutoÁ la stabilizzazione del tasso di cambio del dollaro nei confronti delle valute estere, grazie al ritorno dell'oro nel nuovo continente. L'operazione dell'oro fu il colpo personale piuÁ importante di J.P. Morgan, che si riveloÁ il piuÁ famoso ed influente banchiere del nuovo continente. Nei decenni successivi, Morgan ritornoÁ alla ribalta e fu acclamato, addirittura, come ``salvatore'' del NYSE e del sistema bancario degli Stati Uniti. Sul finire del diciannovesimo secolo, le acciaierie di Andrew Carnegie continuavano ad essere estremamente proficue, rendendo, al netto, circa quaranta milioni di dollari all'anno. Carnegie si dedicava, ormai, ad attivitaÁ filantropiche e stava perdendo interesse nella societaÁ, tanto da pensare alla sua dismissione. Le acciaierie di Carnegie erano state a lungo un obiettivo di Morgan, ma egli era consapevole dell'elevato costo di un'eventuale rilevazione della Carnegie Steel 35. Nel 1900, ad una cena, all'University Club, offerta da Charles Schwab, dal presidente della Carnegie Steel Company, fu comunicata, ufficialmente, l'intenzione di vendere la societaÁ. Dopo alcune settimane di febbrili contrattazioni,
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C.R. Geisst, Wall Street, cit., pp. 111-112. Ibidem. Ibidem, p. 115.
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Carnegie dichiaroÁ che avrebbe accettato un'offerta non inferiore a cinquecento milioni di dollari (trecento milioni sarebbero stati il personale guadagno del magnate che sarebbe diventato cosõÁ l'uomo piuÁ ricco del mondo). Morgan decise di accettare il prezzo richiesto, il cui pagamento sarebbe avvenuto in obbligazioni e azioni privilegiate. Carnegie esultoÁ per la trattativa, ma, piuÁ tardi, convenne che il prezzo di vendita fu un affare piuÁ vantaggioso per J.P. Morgan che per se stesso. Nel 1901, nacque il gigante dell'acciaio, la U.S. Steel, attraverso l'integrazione del maggior produttore americano dell'acciaio e di numerose altre compagnie di primo piano. Essa sarebbe stata a lungo la maggiore corporation mondiale: al momento della sua costituzione, la U.S. Steel aveva un capitale di circa 1.500 milioni di dollari, controllava enormi giacimenti di ferro e carbone, aveva in attivitaÁ ottanta altiforni e centocinquanta acciaierie; la sua quota di mercato interno era compresa tra il cinquanta e il settanta per cento per la produzione di ghisa, laminati e profilati, corazze e prodotti vari in acciaio, mentre aveva un virtuale monopolio nella produzione di filo spinato. L'operazione di consolidamento, nata per iniziativa della banca Morgan & Company, fu resa possibile grazie alla creazione di un gruppo di sottoscrizione e di collocamento al quale parteciparono circa trecento membri, non solo americani, e nel quale ebbero un ruolo determinante oltre alla Morgan altre banche private, quali la Kidder Peabody, banche commerciali, quali la First National Bank di New York, compagnie fiduciarie, quali la N.Y. Security & Trust Company e finanziatori privati, come William Rockefeller, Marshall Field e William Vanderbilt 36. Il gruppo venne ripagato per i suoi servizi di intermediazione con azioni del valore di cinquanta milioni di dollari 37 (12,5 milioni di dollari spettarono alla banca di Morgan). Poco dopo l'acquisizione della societaÁ di Carnegie, Morgan mise a segno un altro colpo. Egli era alla continua ricerca di risorse per integrare l'attivitaÁ delle acciaierie e, a tale proposito, era interessato ad alcuni possedimenti di John D. Rockefeller, in particolare i giacimenti di minerali grezzi di Mesabi Range. I rapporti tra Morgan e Rockefeller non erano mai stati buoni ed erano peggiorati da quando Rockefeller aveva scelto come propria banca di New York la Stillman's National City Bank, piuttosto che quella di Morgan. Nel 1901, Rockefeller decise di vendere a Morgan i giacimenti Mesabi per 90 milioni di dollari. La vendita fu un successo per Rockefeller, anche se alcuni analisti finanziari la ritennero piuÁ una vittoria per Morgan. Ibidem, p. 116. V.P. Carosso, The Morgans: Private International Bankers, Cambridge (Mass.), 1987, pp. 466-74. 36 37
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Il 13 marzo del 1907, il mercato azionario comincioÁ la sua discesa 38. Il 21 ottobre dello stesso anno, ci fu un assalto alla Knickerbocker Trust Company di New York 39. I depositanti si schierarono dinanzi ai quartier generali della banca (nel luogo in cui piuÁ tardi sarebbe stato costruito l'Empire State Building), per chiedere la restituzione dei propri capitali. Molti non li ottennero. La banca chiuse il giorno seguente, dopo che un revisore si accorse che le sue riserve erano completamente esaurite. Il presidente della banca, Charles Barney, si suicidoÁ qualche settimana dopo; molti depositanti della banca seguirono il suo esempio 40. Dopo il fallimento della Knickerbocker, la comunitaÁ di Wall Street organizzoÁ un «pacchetto di salvataggio» (rescue package) per sostenere gli altri trust. Morgan, Jacob Schiff della Kuhn Loeb, George Baker della First National Bank e James Stillman della National City Bank, si unirono per garantire la soliditaÁ del sistema bancario. I banchieri si incontrarono, a New York, con il segretario del Tesoro, George Cortelyou, che diede loro venticinque milioni di dollari per prevenire il tracollo finanziario 41. Il denaro fu depositato nelle banche nazionali di New York, con l'intento di aggiungere fondi ad un sistema che ne aveva continua necessitaÁ. Da molti punti di vista, l'accordo fu straordinario, ma la fiducia del presidente Theodore Roosevelt in Morgan e negli altri banchieri non era sufficiente per compensare il vuoto del sistema finanziario: il ministero del Tesoro della maggiore economia in via di sviluppo doveva trasferire fondi a banchieri privati per prevenire il collasso finanziario. Molti detrattori affermarono che gli stessi banchieri avessero favorito il ``panico'' allo scopo di speculare e che la crisi del 1907 non era altro che una cospirazione di massa posta in essere affinche Wall Street si ingraziasse Washington 42. Dopo la Knickerbocker, anche la Trust Company of America si trovoÁ in difficoltaÁ; Morgan organizzoÁ un pool di tre milioni di dollari per prevenire il fallimento della banca, coinvolgendo anche la First National e la National City. Il salvataggio ebbe successo, la fiducia fu restaurata, ma la crisi era dietro l'angolo 43. Il 24 ottobre, il presidente del NYSE, Ransom Thomas, imploroÁ Morgan di impiegare i venticinque milioni di dollari custoditi nelle banche nazionali di New York per garantire l'attivitaÁ della borsa, affermando che, senza un immediato intervento, quel giorno il NYSE avrebbe dovuto chiudere. Morgan e i J.K. Galbraith, La societaÁ opulenta, Milano, 1968, p. 52. M. Friedman & A. Schwartz, Monetary History, cit., p. 159. 40 R. Chernow, The House of Morgans: An American Banking Dinasty and The Rise of Modern Finance, New York, 1990, p. 123. 41 M. Friedman & A. Schwartz, Monetary History, cit., p. 159. 42 G. Myers, History, cit., p. 623. 43 M. Friedman & A. Schwartz, Monetary History, cit., p. 160. 38 39
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presidenti delle altre banche diedero immediatamente in pegno i fondi e la borsa poteÁ rimanere aperta. Quando il «salvataggio» divenne di pubblico dominio, un gruppo di membri del NYSE si riunõÁ nei pressi dell'ufficio di Morgan e gli tributoÁ un'ovazione 44. Dopo il sostegno al sistema bancario e al NYSE, Morgan fu esaltato dalla stampa come colui che aveva salvato il paese dagli eccessi della speculazione e dalle azioni annacquate, diverso dagli operatori di borsa e dai capitalisti di bassa lega intenti solo ad arricchirsi. La disoccupazione e la depressione, causate da dieci mesi di fallimenti bancari e oscillazioni del mercato, avevano messo la cittaÁ di New York in ginocchio dal punto di vista finanziario. Il sindaco fece appello a Morgan per il collocamento di un prestito obbligazionario del valore di trenta milioni di dollari. L'emissione di titoli, che rendevano il sei per cento, fu un successo e la depressione finalmente si placoÁ. Morgan fu nuovamente acclamato come «salvatore» del sistema bancario, del NYSE e anche della cittaÁ di New York. BIBLIOGRAFIA Birmingham S., ``Our Crowd'': The Great Jewish Families of New York, Harper & Row, New York, 1967. Carosso V., The Morgans: Private International Bankers, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1987. Carnegie A., Autobiography, Houghton Mufflin, Boston, 1920. Chernow R., The House of Morgans: An American Banking Dynasty and The Rise of Modern Finance, Simon & Schuster, New York, 1990. Foglia G., La Borsa Valori di New York, Milano, 1949. Friedman M., Schwartz A., A Monetary History of the United States, 1867-1960, Princeton University Press, Princeton, 1963. Galbraith K., La societaÁ opulenta, Etas Kompass, Milano, 1968. Galbraith K., Storia dell'economia, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1990. Geisst C.R., Wall Street. A History, Oxford University Press, New York, 1997. Giusti Del Giardino G., Wall Street. Il metodo, le leggi, l'organizzazione che aprono le porte all'America post-industriale, Bramante Editore, Milano, 1969. Josephson M., The Robber Barons: The Great American Capitalists, 1861-1901, Harcourt Brace, New York, 1934. Larson H.M., Jay Cooke: Private Banker, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1936. Meyers G., History of the Great American Fortunes, Modern Library, New York, 1936. Nevins A., John D. Rockefeller, abridged by William Greenleaf, Scribner, New York, 1959. Valli V., Il sistema economico americano 1945-1977, Etas Libri, Milano, 1978. Wilkins M., A History of Foreign Investment in the United States to 1914, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1989.
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R. Chernow, The House, cit., p. 125.
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