Ricevi Questo Anello

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  • Pages: 53
DON FERDINANDO RANCAN

RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO E SULLA FAMIGLIA

Ricevi questo Anello…

PRESENTAZIONE

Il presente opuscolo contiene la elaborazione scritta di quattro incontri per fidanzati in preparazione al matrimonio. Queste conferenze, pur essendo destinate principalmente ai fidanzati, si sono rivelate utili anche alle nu-merose coppie di sposi che desideravano approfondire la realtà del matrimonio e della famiglia alla luce del messaggio cristiano, soprattutto in un periodo storico come il nostro in cui l'istituto della famiglia viene osteggiato e svilito nel suo significato più profondo. I temi furono sviluppati partendo da tre riferimenti essenziali: • Dio, fondamento di ogni discorso sui problemi fondamentali della vita umana; • la Rivelazione, fonte della verità autentica sull'amore e sul matrimonio; • Cristo e la Chiesa, luogo dove il cristiano può realizzare pienamente questa verità. • La famiglia come istituzione divina, luogo privilegiato per lo sviluppo dell'uomo. Naturalmente queste pagine non contengono nulla di nuovo intorno ad un argomento che è della massima attualità, e tanto meno hanno la pretesa di esaurire i molteplici aspetti di una realtà che interessa non solo la teologia ma tutte le scienze umane, e che è stata trattata in centinaia di pubblicazioni, alcune molto buone, altre in verità discutibili, altre ancora decisamente da sconsigliare. Questa piccola fatica vuol essere semplicemente una risposta alla preoccupazione del Papa che da anni propone una più intensa azione pastorale a sostegno della famiglia. Perciò l'unica ambizione di queste pagine è di offrire a quanti sono chiamati a servire Dio nel Matrimonio un'occasione in più per meglio conoscere, amare e vivere gioiosamente la stupenda vocazione, umana e divina, dell'amore coniugale e della famiglia. Don Ferdinando Rancan

Prima pubblicazione: Festa della Sacra Famiglia

31 dicembre 1989

Seconda pubblicazione in occasione dell'Anno Internazionale della Famiglia, proclamato da Giovanni Paolo II°. 25 marzo 1994 Festa dell'Annunciazione del Signore Terza ristampa, su richiesta di parrocchie e associazioni: 6 giugno 1997 Solennità del Sacro Cuore.

Quarta ristampa del presente opuscolo in occasione della chiusura del Grande Giubileo del 2000, con l'auspicio che la Famiglia del Terzo Millennio ritrovi il progetto di Dio come è stato rivelato e realizzato in Cristo, unico Re-dentore dell'uomo. 3 giugno 2001 Solennità della Pentecoste

DIO ESISTE SCOPRIAMOLO INSIEME

1 - Il senso della vita

Gli incontri di queste sere hanno lo scopo di aiutare i fidanzati qui presenti a prepararsi alla vita coniugale e familiare, ma possono servire a tutti per riflettere su alcune verità portanti della nostra vita cristiana, verità che vengo-no facilmente dimenticate. Oggi esiste ben poca convinzione intorno a questi argomenti perché l'ambiente culturale in cui viviamo, che determina il modo di pensare dominante, è pesantemente con-dizionato dalla secolarizzazione, cioè da una visione della realtà che prescinde totalmente da Dio in una dimensione esclusivamente terrena. Ora, non c'è da stupirsi se tale mentalità secolarizzata ha fatto breccia anche dentro di voi; mi auguro, perciò, che questi incontri vi offrano l'occasione di riscoprire le grandi certezze della fede, che danno alla nostra coscienza la luce e l'orientamento necessario per muoverci in maniera giusta e retta nella nostra vita. Giorni fa il Papa, parlando ai rappresentanti del Corpo Diplomatico, diceva: "Dobbiamo restituire all'uomo i motivi di vivere". Infatti, ciò che l'uomo moderno ha smarrito più di ogni altra cosa è il senso della vita, il significato dell'esistenza. Molte nevrosi e molti disturbi psichici nascono dal vuoto esistenziale, cioè da una paurosa carenza di significato. Un vuoto che molte volte si cerca di colmare attingendo a un mercato culturale che presenta falsi valori, false prospettive di felicità che alla fine deludono. Quando proponiamo falsi valori alla nostra intelligenza la inganniamo, e consumiamo contro di essa un tradimento che la ferisce profondamente e la oscura. Sul piano personale la conseguenza peggiore che ne deriva è una falsa conoscenza di se stessi, che porta a un profondo smarrimento interiore: non mi conosco più, non mi capisco più, non so più chi sono. Di qui un modo sbagliato di stare nella propria vita e anche un modo sbagliato di vivere il rap-porto con gli altri. È facile immaginare le conseguenze di tutto questo nel campo della vita coniugale e familiare.

2 - Il problema di Dio Queste problematiche esistenziali riconducono inevitabilmente al problema di fondo, il problema di Dio. Ne parleremo questa sera tra di noi in termini di tutta semplicità, scomodando il meno possibile l'impegnativa terminologia filosofica. Partiamo innanzitutto dal presupposto che non tutti credono in Dio e molti si giustificano ritenendo la fede come facoltativa, oppure come un dono che Dio concede ad alcuni e non ad altri. Ora, quando mi incontro con una persona che non crede, le dico subito: "Male!". Mi capita, ad esempio, nel fare la visita alle famiglie, di bussare alla porta ed ecco un distinto signore che mi saluta e mi dice: "Sa, io non credo in Dio", pensando di darmi così la spiegazione adeguata del fatto che a lui non interessa la mia visita. Allora la mia risposta è immediata: "Molto male! Lo sa che è una colpa gravissima non credere in Dio?". E cerco di spiegargli che questo atteggiamento non mette in gioco l'esistenza di Dio ma la nostra salvezza eterna, e anche la nostra sanità mentale. Tant'è vero che il più acerrimo nemico di Dio, il demonio, non è ateo per niente; se c'è uno che "crede" all'esistenza di Dio è proprio il demonio, perché ne fa le spese continuamente e sono spese tremende. Magari per lui che Dio non ci fosse! E invece deve "subire" l'esistenza di Dio, per cui in un certo senso è contento che Dio esista per poterlo odiare. Il demonio deride l'ateismo dell'uomo perché, creatura eminentemente intelligente, sa che la negazione dell'esistenza di Dio è assurda e ridicola. In realtà l'ateismo non è una negazione di Dio ma il rifiuto di Dio; ed è precisamente quello che il demonio cerca di insinuare negli uomini. Ora, il rifiuto di Dio porta a negare ogni riferimento a Lui e perciò a negare la stessa creaturalità dell'uomo. "Sono creatura": ecco la realtà nella quale trovano soluzione tutti i problemi esistenziali: chi sono io? da dove vengo? dove vado? che senso ha il mio esistere? che senso ha tutto ciò che mi circonda? perché gli altri? Ricordatelo: non solo in questa sede ma in qualunque altra situazione della vita e davanti a qualsiasi problema, per fare un discorso serio occorre sempre partire da questa realtà: siamo creature; creature vincolate all'Essere infinito ed eterno che, per amore, ci ha partecipato l'esistenza chiamandoci a un destino di eternità e di beatitudine. Senza questa convinzione non possiamo discorrere seriamente su nessun argomento, tanto meno su quello che è proprio di questi incontri, cioè l'amore, la famiglia, ogni rapporto umano, soprattutto quello specifico dell'uomo e della donna. Quindi, se noi questa sera recuperassimo anche solo questa consapevolezza: sono creatura di Dio, avremmo già conseguito un notevole risultato. Purtroppo, l'uomo laicista di oggi, vittima delle ideologie, rifiuta la propria creaturalità perché rifiuta Dio. È convinto di affermare in tal modo se stesso come demiurgo che ha in mano il proprio destino, la propria vita, e che risponde solo a se stesso, si auto progetta, si autodefinisce, si autoafferma. Questo era il senso di certe affermazioni che negli anni passati, e ancor oggi, erano molto diffuse: "Il mondo è ormai maturo; rispetto al passato l'umanità di oggi è autosufficiente; l'uomo, sempre più in possesso dei propri mezzi, va verso la sua completa auto liberazione". Sono precisamente la ne-gazione della nostra creaturalità.

3 - Il nostro "essere creature" Inoltre, riconoscere di essere creatura è, non solo accettare di essere relativo a Qualcuno che è sopra di me, cui debbo la mia esistenza, ma anche accettare il progetto divino che questa esistenza contiene. Infatti l'esistenza che riceviamo da Dio non è informe, indefinita; il nostro essere, che è unico e irrepetibile, contiene un progetto che Dio vuole realizzare.

San Paolo, quando parlò agli Ateniesi nell'aeropago - il luogo ufficialmente riconosciuto come centro di cultura dove si riunivano i sapienti di Gre-cia - alla presenza degli intellettuali del suo tempo, che però non erano più all'altezza dei loro padri, riuscì da principio a farsi ascoltare con interesse. Pensavano infatti: "Ecco, sentiamo questo Semita che viene dalla Siria che cosa ha da dirci di nuovo!". Ma San Paolo fa un discorso molto serio e parla di Dio, fonte non solo del nostro essere ma anche del nostro vivere e del nostro agire: "In Lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo". (Atti 17, 28). Quindi, non solo noi veniamo dalla potenza creatrice di Dio che ci fa partecipi del suo Essere, ma anche tutta la nostra vita contiene un progetto che è di Dio. Non sia-mo delle creature che Dio ha messo su questa terra per gioco, senza alcuna prospettiva. Dio è infinita Sapienza, infinita Potenza, infinita Provvidenza e infinito Amore, e vuole realizzare su di noi e con noi un disegno. Ricuperare questa consapevolezza della nostra creaturalità è fondamentale per l'uomo europeo, perché proprio l'uomo di questa vecchia Europa ha smarrito le radici cristiane della sua civiltà, smarrimento che ha prodotto, per esempio, "l'uomo del rifiuto e della ribellione" descritto particolarmente da Nietzsche e da Sartre. Sartre, nel suo libro "La Nausea", al quale si sono abbeverati non pochi giovani dei decenni scorsi, dà sull'uomo il giudizio più negativo e brutalmente pessimista che mai sia stato dato: "Ogni uomo nasce senza ragione, si prolunga per debolezza e muore per caso". Il suo ateismo voleva essere l'affermazione della piena maturità dell'uomo che non ha più bisogno di Dio. Ma questo lo porterà a un vicolo cieco: nulla sarà più comprensibile, nulla potrà più avere una spiegazione: è la crisi esistenziale, è "La Nausea". La vita, allora, non è altro che "uno schifo", come si sente dire talvolta anche dai giovani.

4 - Verso Dio Inoltre, ritrovare il senso della nostra creaturalità significa anche ritrovare il senso del nostro rapporto con Dio. Il primo passo in questa direzione consiste nel restituire a Lui la nostra intelligenza. Infatti, l'esistenza di Dio è una verità che non appare evidente in se stessa; non conosciamo Dio con evidenza immediata, lo conosciamo attraverso un ragionamento, cioè un atto dell'intelligenza che si esprime in un moto della mente verso l'oggetto che essa vuol conoscere. Dio è l'oggetto supremo della conoscenza umana; ci avviciniamo a Lui attraverso un cammino interiore nel quale l'intelletto apre la strada al desiderio dell'anima. Ecco perché si parla di vie razionali che conducono alla conoscenza di Dio, al-l'affermazione della sua esistenza. Uno dei più profondi pensatori e mistici della Chiesa, San Bonaventura, parla di un "Itinerarium mentis in Deum", l'itinerario della nostra mente che cerca Dio. Lo stesso atto di fede che noi facciamo quando recitiamo il "Credo": "Credo in Dio" (il latino "in Deum" è anche più espressivo perché "in" con l'accusativo indica moto a luogo) esprime la fe-de come cammino verso Dio. Noi abbiamo la possibilità di arrivare a Dio attraverso varie strade ma è sempre l'intelletto che le deve percorrere; è questo il significato del nostro restituire a Dio l'intelligenza.

5 - La "via" delle creature La strada più comune è quella che passa attraverso le cose create. È celebre il passo di Sant'Agostino nel quale il grande dottore ricorda come le creature, rispondendo al suo inappagato desiderio di felicità, gli gridassero in coro: "quaere super nos - cerca al di sopra di noi!". Le cose create, se conosciute profondamente nella loro bellezza, nella loro perfezione, nella loro razionalità stupendamente ordinata, ci conducono a Dio. Amici cari, tutta le nostra vita è un cammino verso l'incontro con Dio, e anche quando l'abbiamo trovato, abbiamo ancora bisogno di scoprirlo, perché Dio non è mai conosciuto né mai posseduto pie-namente. Ognuno di voi ha ricevuto una formazione cristiana; avete tutti frequentato il catechismo, fatto la Prima Comunione, ricevuto la Cresima e quindi avete ricevuto una formazione che è durata mesi, anni; sapete molte cose di Dio. Ma ora, qui, non si tratta di sapere molte cose, si tratta di vedere con occhi nuovi le cose che già sappiamo, come se una luce interiore le illuminasse in modo nuovo dentro la nostra anima. Le anime di vita interiore chiamano

questa luce "contemplazione". È la visione di Dio non più come idea astratta e soggettiva, come fantasma della nostra mente, ma come una Realtà viva che innamora. Penso a voi ragazze che siete qui: quante volte avrete sognato un ragazzo ideale, un fidanzato, un principe azzurro e l'avete modellato dentro di voi dandogli tutte le qualità possibili; il discorso vale anche per voi, ragazzi: chissà quante volte avrete sognato una donna, e avete dato corpo a questo de-siderio, immaginandovela, ad esempio, bionda, con gli occhi azzurri, alta, snella, sportiva ecc... non ditemi di no perché non è vero! Avete amato figure ideali di uomo o di donna e le avete amate anche appassionatamente, ma con amore platonico. Erano solo nella vostra mente e dipendevano dalla vostra immaginazione; erano fantasmi soggettivi. Ma un giorno avete scoperto che cosa vuol dire veramente innamorarsi. È scattato dentro di voi qualcosa di indescrivibile, dovuto al fatto che avete "visto" come una realtà viva la persona che vi ha innamorato e siete rimasti a guardarla nella sua realtà fisica, l'avete "contemplata": in quel momento avete scoperto "l'essere", siete passati dal fantasma alla realtà, dall'idea all'essere reale. Quella persona viva, di carne ed ossa, non dipendeva da voi, era lì con la sua identità, la sua storia personale, magari tutta da conoscere, con le sue doti e i suoi difetti, i suoi limiti e le sue caratteristiche, con la sua esistenza indistruttibile. E questo "essere" vivo, entrato in voi, ha preso il posto di tutti gli altri fantasmi, ed è scomparso improvvisamente il sentimento di solitudine che prima avevate. Eravate in compagnia di voi stessi, dei vostri fantasmi, delle vostre aspirazioni, delle vostre idee, ma soli. Da quando è entrata in voi la persona che vi ha innamorato è cambiato tutto. Vi siete resi conto di una presenza che non veniva da voi, non dipendeva dalle vostre facoltà interiori, ma vi superava. Infatti, non l'avete creata voi ma l'avete ricevuta; è stato un dono. Ora potete nettamente valutare la differenza tra l'idea o immagine di una persona e l'essere di una persona. Quando essa entra in voi, sentite che influisce sulla vostra vita, cambia il vostro mondo interiore; dovete fare i conti con una presenza che è un altro "io". Qualcosa di simile accade quando la nostra mente, abbandonando il soggettivismo interiore, si apre all'essere delle cose e "scopre" Dio non più co-me una pura possibilità astratta ma come una realtà viva: l'Essere personale che mi guarda, mi tiene nel-le sue mani, mi vuole; allora la sua presenza mi illu-mina interiormente e mi cambia la vita. Potete ora comprendere meglio perché l'uomo contemporaneo è arrivato all'ateismo e al rifiuto della sua condizione di creatura: ha voluto sostituire il proprio pensiero alla realtà, le idee forgiate dalla sua mente alla verità delle cose. Allora ciò che conta non è più la realtà, ma ciò che io penso; e quello che per la mia intelligenza doveva essere un viaggio facile e gioioso, che attraverso le cose create mi avrebbe portato a Dio creatore, è diventato un tragico naufragio tra i flutti del dubbio, del sospetto, della confusione, alla deriva nelle correnti fuorvianti delle ideologie.

6 - Necessità di una intelligenza sana La grande malata di oggi è l'intelligenza. Il cancro che la rovina sono le ideologie; partendo da una visione preconcetta e soggettiva dell'uomo e del mondo, esse portano a una conoscenza riduttiva, distorta e falsata della realtà. Perciò vi dicevo che, per fare un qualsiasi discorso valido che porti a Dio, è urgente oggi risanare l'intelligenza, ricuperarla e restituirla alla verità. Solo così è possibile realizzare l'avventura più affascinante che l'uomo possa vivere sulla terra: incontrare Dio, conoscerlo nella sua bellezza, nella sua grandezza, nella sua infinita sapienza, soprattutto saperlo accogliere quando Egli si dona, quando apre alla nostra anima il mistero insondabile della sua vita e del suo amore. Riguardo al problema di Dio, c'è un passo di San Paolo nella lettera ai Romani che è fondamentale: "In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà ed ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato". Vedete subito che la conoscibilità di Dio e la possibilità di trovarlo sono garantite dal fatto che Lui stesso si è fatto manifesto alla nostra mente. "Infatti, dalla creazione del mondo le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto, nelle opere da Lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità." (Rom. 1, 20).

Questo è l'itinerario di una intelligenza sana e retta che non tiene "la verità prigioniera" nelle sbarre delle ideologie o nella ingiustizia dell'empietà. "Perciò - continua San Paolo - sono inescusabili". Ecco perché a chi mi dice: "Io non credo" rispondo, sia pure con affetto e comprensione: "Male, amico mio!... È un peccato gravissimo non credere in Dio perché è la peggiore ingiustizia che possiamo compiere sulla terra.". Pensate ad un figlio e a tutto quello che i genitori fanno per lui: alla madre che lo ha amato prima che nascesse, quando ancora lo portava in grembo e poi a tutti i sacrifici per crescerlo: notti insonni, preoccupazioni per la salute, ansie per i suoi problemi e per le sue difficoltà, dispendio di energie, di tempo, di denaro, di libertà per la sua formazione e poi...tanto affetto, tanta tenerezza, tanta dedizione! Ebbene, un giorno questo figlio, diventato grande, entra in casa e non guarda in faccia sua madre, e se la guarda è per dirle: "Tu, chi sei? Cosa vuoi? Chi ti conosce!". Poi si mette a tavola a mangiare ciò che sua madre gli ha preparato e continua ad usare tut-te le cose che trova in casa e che suo padre gli ha procurato con duri sacrifici...; che cosa direste? che cosa pensereste di questo figlio? Ebbene, noi ci com-portiamo molto peggio quando mettiamo Dio da parte, quando lo emarginiamo nello scetticismo e nell'indifferenza, quando non lo riconosciamo come nostro Creatore e Signore e tuttavia continuiamo a fruire di tutto quello che da Lui abbiamo ricevuto: la vita, l'intelligenza, il tempo, la salute, le possibilità umane e soprattutto il suo amore, la sua tenerezza, la sua benevolenza. Se ci pensiamo bene, l'ateismo, proprio perché rifiuto di Dio, è un'assurda ingiustizia, oltre che una stupida follia. "Sono inescusabili - spiega San Paolo - perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria come Dio, né gli hanno reso grazie". Che cosa vuol di-re dar gloria a Dio? Vuol dire riconoscere che sono sua creatura, che Lui è la sorgente del mio essere, della mia vita, della mia persona; che gli vivo nelle mani molto più intimamente di quanto non viva una creatura nel grembo materno. Come vedete, è tornare alla consapevolezza della nostra creaturalità, con sentimenti di gioiosa gratitudine perché tutto è dono, infinitamente gratuito, di Dio.

7 - La "via" della coscienza A questa malattia dell'intelligenza segue quasi inevitabilmente la corruzione del cuore. Alla autonomia intellettuale, distacco dell'intelligenza dalla verità in nome del proprio pensiero, ideologicamente precostituito, corrisponde l'autonomia morale, il distacco della coscienza dalla legge morale in nome di una libertà che rifiuta ogni riferimento a un Legislatore supremo. Quando l'uomo non si riconosce creatura, si autpropone come norma etica del proprio agire. Non esiste più una legge morale trascendente, regola del comportamento umano, in armonia con il disegno di Dio creatore. Così, anche la strada della coscienza, che è un'altra via per incontrare Dio perché conduce a Lui come sommo Bene, diventa impraticabile. Conosciamo tutti la pagina biblica che descrive il paradiso terrestre. Nell'Eden, l'uomo pretese "la conoscenza del Bene e del Male", e così, là dove doveva realizzarsi il rapporto più intimo ed esaltante della creatura con il suo Creatore, nell'armonia più perfetta della terra col Cielo, si consumò invece la ribellione più tragica; e colui che, appropriandosi dell'albero della conoscenza del Bene e del Male, pretese di essere Dio, si trovò nudo di ogni sua dignità, rivestito solo della sua vergogna, travolto dal disordine interiore nel quale, col rifiuto del suo rap-porto con Dio, ha visto infrangersi ogni altro rapporto creaturale: con se stesso, con la natura, con gli altri uomini. Fin d'ora potete misurare (ci torneremo nei prossimi incontri), le conseguenze di tutto questo nel campo dell'etica sessuale e della morale coniugale.

8 - La "via" della storia: la fede in Gesù Cristo. A questo punto, la strada obbligata per incontrare Dio, si chiama GESÙ CRISTO. Alla luce naturale dell'intelligenza che cerca la verità si aggiunge la luce soprannaturale della fede che ci fa conoscere, con la Rivelazione, l'iniziativa di Dio e il suo intervento nella storia dell'umanità. Percorrendo, infatti, la storia umana possiamo contemplare le meraviglie che Dio ha compiuto per noi; una storia di salvezza che culmina in Gesù,

l'Uomo-Figlio di Dio, in cui il Padre ha messo la pienezza della sua grazia, lo splendore della sua verità, la tenerezza del suo amore. Gesù di Nazareth: è lì dove l'uomo incontra Dio, o meglio dove Dio raggiunge ogni uomo. Non è più soltanto il cammino dell'intelligenza attraverso le cose create, non è soltanto il cammino della coscienza attraverso la legge morale, è il cammino della nostra anima spinta dalla fede che ci conduce a Betlemme, a Nazareth, al Calvario, al Ce-nacolo, sulle orme di Cristo. "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete!". Cercare Dio e trovarlo è un problema tutto nostro. Ciò che impedisce all'uomo di incontrare Dio non è la sua infinita trascendenza, perché Dio si è fatto conoscere e si fa sempre trovare. Vi dico con certezza, perché lo afferma la parola di Dio, che nessun uomo che abbia cercato Dio con sincerità di cuore, può dire di non averlo trovato. Così, se all'inizio vi invitavo a ritrovare o almeno a riscoprire la vostra creaturalità, vi suggerisco ora di accendere nel vostro cuore la luce della fede che vi farà incontrare Dio non cercandolo a tentoni lontano da voi, ma riconoscendo la sua presenza dolcissima e salvifica nell'intimo della vostra anima santificata dal Battesimo. Abbiamo celebrato pochi giorni fa la solennità dell'Epifania. Il viaggio dei Magi può ricordarci l'iti-nerario di tutte le anime che, seguendo la stella del-la fede, arrivano a incontrare Cristo. I Magi erano uomini di scienza, uomini di cultura e di potere, e tuttavia hanno saputo trovare tanta semplicità e do-cilità di cuore da lasciarsi condurre da una stella.

9 - Scienza e fede Quando la scienza è vera scienza non impedisce la fede ma la facilita perché l'una e l'altra vengono da Dio. L'orgoglio intellettuale, invece, strumentalizza la scienza per negare Dio. È, questa, una operazione boomerang che si ritorce contro la credibilità stessa dello scienziato il quale, in questo ca-so, chiudendola alla ricerca della verità, usa male della propria intelligenza. Negli anni sessanta il ministro del culto della Russia sovietica ebbe tra le mani un rapporto sulla situazione religiosa presso il popolo russo. Con sor-presa dovette constatare che dopo quasi 50 anni di massiccia propaganda ateistica - l'ateismo era materia di insegnamento nelle scuole - la fede era tutt'altro che scomparsa e, anzi, si notava un ritorno ad essa proprio negli ambienti scientifici. La causa fu individuata in un errore tattico: la religione cioè veniva attaccata in nome della scienza, la fede veniva ridicolizzata come un oscurantismo antiscientifico. La scienza, si diceva, è venuta a risolvere tutti i problemi dell'umanità; l'uomo, con la scienza e la tecnica è diventato padrone della natura, col progresso può superare ogni limite e ogni condizionamento, con la politica poi, potrà dare un assetto ide-ale e perfetto alle strutture sociali, incamminandosi verso un futuro finalmente giusto, ordinato, felice. In realtà questa impostazione, che può avere un certo successo solo in ambienti dominati dalla ignoranza o dalla mala fede, in breve tempo ha mostrato la sua inconsistenza. Quando uno scienziato si mette con intelligenza sana e con animo retto davanti al mistero della natura è immediatamente convinto di trovarsi di fronte a una realtà che lo trascende, a fenome-ni e leggi che non dipendono da lui e tuttavia non sono in grado di dare ragione di se stessi. Diventa quasi connaturale in lui un atteggiamento di rispetto che gli consente di accostarsi alla realtà senza deformarla, e alla fine non può non interrogarsi su Dio. Si prese allora la decisione di attaccare la fede in nome del Pensiero, con le armi della filosofia e della cultura immanentista: l'uomo, unico arbitro delle proprie idee, delle proprie concezioni, ignora la realtà o la piega ai propri schemi ideologici, si ri-serva molti settori in cui celebrare la sua libertà assoluta, dove sentirsi demiurgo e creatore. Il cambiamento di rotta si fece sentire immediatamente e anche in Italia gli "ordini di scuderia" furono perentori: impossessarsi delle cattedre di filosofia e di lettere nelle università e nei licei. L'indottrinamento ebbe un ritmo esplosivo: il '68 e gli anni di piombo in tutta Europa, come pure la scristianizzazione e la secolarizzazione della società ad opera dei laicisti impadronitisi dei mezzi della comunicazione sociale, non sono stati degli episodi extemporanei, fenomeni quasi fisiologici nella evoluzione sociale. Sono piuttosto, nel loro impianto te-oretico e nella loro evoluzione pratica, il punto terminale di secoli di distacco dell'intelligenza dalla

saggezza metafisica e dalla fede; rispondono a un preciso disegno teorico e pratico che tende a realizzare un'epoca post-cristiana dell'umanità.

10 - Il "viaggio" dei magi Ricordo, in quegli anni di contestazione, l'intervento di un alunno di liceo durante una lezione; stavo sforzandomi di far capire ai ragazzi che la no-stra vera dignità di creature umane sta nel conoscere Dio, nell'amarlo e nel lasciarci amare da Lui, nel servirlo come figli sulla terra per partecipare eternamente alla sua beatitudine in cielo... "Professore - mi disse - glielo dico io che cosa siamo: 70 chili di carne destinati alla putrefazione". Tra questa definizione dell'uomo e quella data da Sartre - "l'uomo è un'inutile passione" - la sola differenza sta nell'eleganza letteraria tipicamente francese del filosofo; mentre le due definizioni hanno in comune la brutale e tristissima constatazione di che cosa resta di noi quando abbiamo perduto Dio. Vi dicevo all'inizio che siete chiamati a cercare Dio in un contesto culturale che non vi aiuta, che anzi vi deride e vi inganna. Precisamente come nel viaggio dei Magi verso Betlemme. Arrivarono a Gerusalemme non senza sacrifici, fatiche e difficoltà e certo si aspettavano di trovare la città in festa, tutta un tripudio per la nascita del grande Re. E trovano invece una città assonnata, indifferente, sospettosa; per di più la stella che li aveva guidati e che era stata la loro certezza scompare. Perfino le indicazioni dei sacerdoti e degli scribi, pur precise, vengono loro fornite con grande distacco e con una strana freddezza; lo stesso entusiasmo falsamente interessato di Erode, come poteva accordarsi con l'assoluta ignoranza di un fatto così importante? Ma i Magi non dubitano, non desistono, continuano a fidarsi. Avevano visto la stella e non potevano dubitare. Gli uomini possono anche ingannare e tradire, il Cielo no! E riprendono la loro ricerca con l'umiltà, la fiducia, la certezza che avevano caratterizzato i primi passi del loro cammino. La riapparizione della stella li rassicura nuovamente e una grande gioia si impossessa del loro cuore. È per questa loro fede che non si scandalizzano quando il grande Re si presenta loro in un alloggio umile e disadorno, nella debolezza e nella semplicità di un bambino che non ha nulla di regale, in un luogo lontano dai centri del sapere e della potenza mondana.

11 - La "stella" Il nostro viaggio sulla terra conosce le stesse vicende e gli stessi momenti: ci saranno dubbi e stanchezze, tentazioni e difficoltà, e a volte sembrerà che la stella della fede sia stata un'illusione o un inganno. Allora pensate ai Magi; nel vostro cammino verso Cristo per conoscerlo, per amarlo, per seguirlo, non fermatevi mai anche se dovete andate contro corrente. Non vi scoraggi la freddezza dell'ambiente, non vi fermi l'ostilità delle persone, non vi intimorisca la paura del ridicolo. Avete visto anche una sola volta, magari da bambini, la stella della fede nel cielo della vostra anima? Vi è stata indicata la strada dal Magistero della Chiesa? Non dubitate, non arrestatevi! La meta non potrà essere che il Bambino di Betlemme, dove la verità di Dio e la verità dell'uomo s'incontrano, dove la Vita prepara la sua vittoria sulla morte, dove la nostra offuscata dignità di creature trova lo splendore della nuova dignità di figli di Dio. Voglio concludere questo primo incontro con la lettura di un passo che prendo da un documento molto antico ma stupendo: "La lettera a Diogneto". È del secondo secolo, al tempo dei primi cristiani, quando testimoniare la propria fede poteva costare la vita. "Dio amò gli uomini, per essi creò il mondo, a loro diede la ragione e l'intelletto, li formò a sua immagine, promise un regno nei cieli e lo da-rà a coloro che lo avranno amato. E quando lo avrai conosciuto, di qual gioia non credi tu sarai ricolmo?". È quello che auguro a tutti voi.

APPENDICE ALLA PRIMA LEZIONE INTERVENTI LA FEDE : UN DONO? 1ª DOMANDA: La fede, ha detto, è un dono di Dio. Ma non tutti ce l'hanno. Perché dobbiamo accusare allora i non credenti di colpa o di peccato gravissimo? RISPOSTA: Nella lezione ho parlato di "fe-de religiosa", che è l'atteggiamento positivo e cultuale verso Dio da parte dell'uomo la cui intelligenza può, attraverso le cose create, affermare non solo l'esistenza di Dio, ma anche molte delle sue perfezioni divine. Ho parlato anche di fede soprannaturale che è l'atteggiamento positivo della nostra intelligenza, elevata dalla grazia, verso Dio che si rivela e si dona in Gesù Cristo. Ambedue sono un dono di Dio: la prima è data a tutti gli uomini; infatti, attraverso la creazione Dio si rivela alla nostra intelligenza naturale (Rom. 1, 20); la seconda è data a tutti coloro che Dio "ha scelto e predestinato da tutta l'eternità a diventare conformi all'immagine del Figlio suo" attraverso il Battesimo. Tutti i battezzati, quindi, hanno ricevuto il dono della fede soprannaturale. Dio, dunque, dà a tutti gli uomini la possibilità di conoscerlo. Ora, davanti ai doni di Dio abbiamo due doveri: primo, essendo "doni", dobbiamo chiederli o almeno chiedere di saperli accettare. Il Vangelo è ricco di episodi dove si chiede il dono della fede. "Signore, che io creda!", "Signore, aumenta la mia fede!", "Signore, aiuta la mia incredulità!". La fede quindi va chiesta a Dio con umiltà, con sincerità, con perseveranza; secondo, i doni una volta ricevuti dobbiamo farli fruttificare. Abbiamo infatti la possibilità di corrispondere ai doni di Dio ma anche di rifiutarli o lasciarli cadere. Il rifiuto della fede diventa così rifiuto di Dio; ed è un peccato gravissimo perché la fede non è facoltativa. Dio non è un accessorio della vita umana, ma l'unum necessarium, la sola cosa necessaria. La fede è, sì, una libera adesione a Dio, altrimenti non sarebbe un atto meritorio, ma questo non significa che possiamo impunemente rifiutarla. Vi ho portato l'esempio di un figlio che rifiuta i suoi genitori: noi siamo creature e figli di Dio in senso molto più vero e più profondo.

LE "PROVE" 2ª DOMANDA: Lei ha parlato della conoscenza di Dio; potrebbe esporci in maniera più esplicita le prove della sua esistenza? Come si può dimostrare in parole semplici l'esistenza di Dio in modo che nessuno possa dire di non credere perché non ha avuto una dimostrazione chiara? RISPOSTA: Innanzitutto diciamo subito che le prove dell'esistenza di Dio sono prove di carattere razionale e non di carattere sperimentale, come spesso si pretende. Dico sperimentale non solo nel senso fisico, scientifico, ma anche nel senso psicologico, emozionale. Dio non può essere oggetto di esperienza sensibile. "Dio è spirito e bisogna adorarlo in spirito e verità" (Gv. 4, 25) È vero che Dio può comunicare se stesso in modo esperienziale, e a volte lo fa con certe anime, ma sono

fenomeni particolari, di carattere mistico, che qui non è il caso di esaminare. Resta il fatto che "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato". (Gv. 1, 18) Dunque, non "esperienza" di Dio, ma rivelazione di Dio alla nostra intelligenza. Per questo nella conversazione mi sono fermato soprattutto sulla necessità di avere una intelligenza sana, sgom-bra da precomprensioni e ideologie, libera dall'orgoglio e da condizionamenti o da compromessi nel campo morale; in caso contrario, nessuna prova è possibile o per lo meno sufficientemente probante. Inoltre, invece di prove, abbiamo parlato di "vie razionali" che ci portano a Dio, perché Dio non si rivela direttamente in se stesso alla nostra intelligenza (questo avverrà in Cielo, nella "visione beatifica"), ma si rivela "mediante" le sue opere e soprattutto nell'Umanità santissima di Gesù Cristo. È quindi una conoscenza mediata, che segue un itinerario razionale. Dicendo "prove" è facile in-nescare un atteggiamento razionalistico di pretesa, come se uno non volesse credere all'esistenza di un latitante, del quale magari tutti parlano, finché non lo si sia catturato.

LE "VIE" RAZIONALI Tuttavia, è giusto che ricordiamo brevemente il processo logico-mentale che permette alla nostra intelligenza di arrivare a Dio e di affermarlo. Il mec-canismo è molto semplice e consiste nell'applicazione di un principio fondamentale della nostra mente: "il principio di causalità". Se uno di voi, uscendo fra poco da questa sala, trovasse sul tetto della propria auto un buco largo 20 centimetri, a parte la sorpresa e il disappunto, si chiederebbe per prima cosa: "Chi sarà stato?"; e se un amico gli rispondesse: "Ma chi vuoi che sia stato? Nessuno!" si sentirebbe preso in giro e magari lo guarderebbe con sospetto. E così, di ogni cosa che accade cerchiamo subito la causa; è istintivo. Cosa fa lo scienziato nelle sue ricerche? Appli-ca costantemente il principio di causalità; e lo applica senza il minimo dubbio, lo dà per scontato. Lo ritiene infatti evidente, e perciò non dimostrabile. E lo applica in modo tale da cercare non una causa qualsiasi del fenomeno che osserva, ma una causa proporzionata e sufficiente per spiegare il fenomeno. Così, se vi dicessero che il buco sulla vostra auto l'ha provocato un sassolino oppure la forza di un bambino neonato, prendereste quella spiegazione come ridicola perché non c'è assolutamente proporzione tra l'effetto e la causa. Per arrivare ad affermare l'esistenza di Dio, la nostra intelligenza applica il principio di causalità partendo da vari aspetti dell'Universo conosciuti at-traverso l'esperienza e risalendo a Dio come alla sua causa. Perciò, vi dicevo, si parla di un itinerario della mente, di "vie razionali" alla conoscenza di Dio.

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I momenti di questo itinerario sono: il punto di partenza; l'applicazione del principio di causalità; l'impossibilità di cause anche infinite ma non sufficienti, non proporzionate; il momento finale: la necessità dell'esistenza della Causa ultima (Dio).

I punti dai quali la nostra ragione parte per argomentare l'esistenza di Dio sono i vari aspetti delle creature, che però riconducono tutti all'essere dell'universo, alla sua esistenza; non interessa il "co-me" dell'universo: come è strutturato, come è cominciato, come si è evoluto... Tutto questo è oggetto della scienza, di una delle scienze più affascinanti nella storia della ricerca umana: la cosmologia, che si avvale oggi dell'astrofisica e delle sue tecniche. Gli scienziati e i non scienziati di tutto il mon-do si interrogano continuamente sull'origine dell'Universo. Ma i cosmologi di estrazione immanentista, tutti i marxisti, i neo-positivisti ecc., in una parola i non credenti, si guardano bene dall'affrontare il problema delle origini dell'Universo sotto l'aspetto della sua esistenza, che effettivamente è un problema non scientifico ma filosofico. Si fermano allo stu-dio del "come" si è arrivati all'attuale forma e struttura dell'universo, come era il mondo nel suo stadio iniziale. Tutti avete sentito parlare della teoria del "big-bang", che oggi è la più comune e anche la più plausibile: l'Universo attuale sarebbe cominciato con uno scoppio immenso, cosmico, (big-bang), di un nucleo originario

della materia che poi, in tempi lunghissimi, (15 miliardi di anni), avrebbe, per leggi intrinseche, dato origine a tutto ciò che oggi esiste nel mondo, anche alla vita, anche all'uomo. Lasciando da parte questi problemi, ci interes-sa la domanda: da dove viene l'esistenza dell'universo? di questo universo e delle sue leggi? I marxisti e gli atei se la cavano dicendo: "L'universo c'è, e basta! Non vogliamo sapere altro". E si chiudono in un atteggiamento agnostico o di negazione, oppure affermano l'eternità dell'universo. Ma affermare l'eternità dell'universo non è ancora rispondere al perché esiste. Anche esistesse da sempre, chi lo fa esistere? È per forza propria che esiste o per forza di un altro? Ora, i punti di partenza delle vie razionali per arrivare all'affermazione dell'esistenza di Dio rivelano alla nostra esperienza aspetti che manifestano l'assoluta contingenza dell'universo, cioè la sua insufficienza ad esistere da se stesso, e quindi l'impossibilità di avere in sé la spiegazione della propria esistenza. Non è possibile, ora, fermarci sulla descrizione di queste vie, voglio però ricordarvi che un'ulteriore conferma della contingenza dell'universo ci viene oggi proprio dall'astrofisica. Le leggi della fisica, soprattutto della termodinamica, applicate alla struttura della materia, an-che nelle sue condizioni iniziali, portano a concludere che l'universo ha una struttura finita nel tempo. In altre parole, l'universo è cominciato nel tempo (e il tempo è cominciato con l'universo), ed è cominciato dal nulla della materia e quindi dal nul-la di sé. Il cosmo non è "autosufficiente" sul piano dell'esistenza. Tutto questo porta a quel quarto momento del cammino intellettuale che ricordavo prima e che postula una causa esterna, autosufficiente nell'esistenza, che trae fuori dal nulla il cosmo e gli comunica la forza sufficiente ad esistere; è l'approdo a Dio Creatore, Causa Prima di ogni cosa. FEDE E "CONVERSIONE " Concludendo, torno a ricordarvi l'importanza di assumere un atteggiamento intellettuale corretto di fronte al problema di Dio perché la dimostrazione dell'esistenza di Dio è strettamente collegata al problema della conoscenza umana. Chi non ammette la distinzione tra il pensiero e la realtà - la verità - delle cose, chi nega alla ragione umana la capacità di conoscere l'essere delle cose, chi ritiene che l'unica conoscenza valida sia quel-la scientifica, chi ha l'intelligenza oscurata da precomprensioni e da ideologie, non arriverà mai a convincersi dell'esistenza di Dio. È come se pretendesse da me la dimostrazione dell'esistenza del monte Baldo ma restasse tappato in casa anziché uscire all'aperto, tenesse gli occhi chiusi o incerottati anziché aprirli bene, o guardasse nella direzione opposta anziché in quella giusta, costui non "vedrà" mai il monte Baldo, nonostante tutti i miei sforzi e i miei ragionamenti. Occorre che egli cambi atteggiamento. Questo vi fa capire che, alla base di certe difficoltà della fede, di certi dubbi o miscredenze, esiste un problema di cambiamento interiore, un problema di conversione. A volte è una conversione soltanto intellettuale, molto spesso è una conversione morale e spirituale.

AMORE E MATRIMONIO NEL PROGETTO DI DIO

12 - Il cammino dell anima verso Dio

Nel nostro primo incontro abbiamo visto che se non partiamo da Dio tutta la nostra vita diventa un problema. Noi stessi diventiamo incomprensibili alla nostra intelligenza e perdiamo a poco a poco la coscienza della nostra identità e del nostro destino. Smarrito così il nostro riferimento a Dio e la nostra realtà di creature, nessun discorso è più possibile sull'uomo; ognuno di noi diventa un minuscolo satellite che, svincolato dal suo centro, si perde nell'universo disintegrandosi nel vuoto. Senza Dio non avremmo nemmeno una conoscenza obiettiva e veritiera della realtà, e ne verrebbe di conseguenza un modo sbagliato di stare nella vita, un modo distorto o per lo meno "smarrito" di stare nel mondo; inoltre tutti i nostri ragionamenti girerebbero a vuoto intorno ai problemi senza approdare mai a una risposta veramente risolutiva; non sarebbero che chiacchiere. Di qui la necessità di riscoprire più profondamente il nostro "essere creatura" che sarà non solo la strada per ritrovare Dio, ma anche una efficace terapia per risanare la nostra intelligenza e la nostra coscienza. Questo "Itinerarium mentis in Deum", cammino dell'anima verso Dio, era diventato, per il peccato originale, difficile e faticoso, anzi si era smarrito tra errori e idolatrie; non sarebbe rimasta per noi alcuna possibilità se Dio non ci avesse riaperto la strada. Egli, infatti, ha ricostruito il nostro cammino per mezzo di Gesù Cristo, che è diventato per noi "Via, Verità e Vita". Anzi in Lui la nostra realtà di creature si è trasfigurata acquistando una dimensione trascendente, divina, che va oltre ogni possibilità uma-na: per Lui siamo diventati figli di Dio. Siamo dunque molto più che creature: siamo figli, figli di Dio, chiamati a partecipare alla sua stessa natura divina. Permettete che io vi legga rapidamente questo passo di un autore spirituale contemporaneo: "Cerchiamo di non ingannarci. Dio non è un'ombra, un essere lontano che ci crea e poi ci abbandona; non è un padrone che se ne va e non ritorna. Anche se non lo percepiamo con i nostri sensi, la sua esistenza è molto più vera di tutte le realtà che vediamo e tocchiamo. Dio è qui con noi, presente, vivo, ci vede, ci ascolta, ci guida e contempla le nostre più minute azioni, le nostre più riposte intenzioni. Crediamo tutto questo? Ma viviamo come se Dio non esistesse, perché non abbiamo per Lui né un pensiero, né una parola, perché non gli obbediamo, né ci sforziamo di dominare le nostre passioni, perché non gli esprimiamo amore, né lo risarciamo delle offese... Vogliamo continuare a vivere con una fede morta?".

13 - La verità e le opinioni Tutto questo conduce a interrogarci sul disegno che Dio ha su di noi. È il tema di questa sera: il progetto di Dio sull'uomo e sulla donna nella loro vocazione all'amore. Parlando dell'amore umano, del matrimonio e della famiglia, è importante che teniamo presenti alcune considerazioni fatte la volta scorsa. Parlavamo del nominalismo intellettuale e del soggettivismo morale che caratterizzano la cultura dell'uomo contemporaneo il quale si trova con l'intelligenza gravemente malata e la coscienza tragica-mente oscurata. Il nominalismo intellettuale, vi dicevo, è il distacco dell'intelligenza dalla verità delle cose e il soggettivismo morale è il distacco della co-scienza dalla legge naturale e dai valori rivelati da Dio. Le cose che stassera cercherò di dirvi sull'a-more umano e sul matrimonio non sono ciò che la gente pensa, né tengono conto dell'opinione della maggioranza o dei partiti politici o dei giornali (quelli, appunto, di opinione). Abbiamo visto che una volta negata la realtà oggettiva delle cose, ciò che conta non è più la verità, ma ciò che io penso, la mia opinione, o al massi-mo le opinioni della maggioranza. Basta pensare al peso che ha assunto il criterio di maggioranza agli occhi degli uomini di oggi; con esso decidono tutto, come se fosse criterio assoluto di verità su ogni cosa. Le ideologie hanno portato così all'uso improprio, spesso scorretto e immorale, della democrazia: i valori, infatti, trascendono le opinioni e non si decidono per alzata di mano.

Ricordate quella famosa conversazione di Gesù con i suoi apostoli? Domanda loro che cosa pensa di lui la gente, quali sono le opinioni degli uomini. Ma poi chiede: "Io, chi sono?" E a Pietro che gli risponde immediatamente e senza incertezze: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" Gesù soggiunge: "Beato te, Simon Pietro, perché non il sangue né la carne te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli"; cioè, questo che tu hai detto non è la tua opinione ma la verità che ti è stata rivelata dal Padre. Una prova che oggi si dà più credito alle opi-nioni che alla verità è il tipo di domande che vengono fatte dagli intervistatori in certe telecronache o nei vari sondaggi televisivi: "Scusi, per lei chi è il Papa?"; "Secondo te, chi è Gesù Cristo?", "Che cosa pensa lei del divorzio, della pillola?...". A parte che le risposte sono spesso completa-mente fuori argomento, quasi sempre rivelano un'e-strema povertà di pensiero e una carenza di formazione e di catechesi impressionante, anche in perso-ne credenti e praticanti; l'accento è sempre sul "secondo me", "a mio avviso", "dal mio punto di vi-sta", o "secondo il mio modesto parere" ecc. Non è mai la ricerca della verità, ma sempre una raccolta di opinioni soggettive, molto spesso improvvisate sull'onda delle emozioni o delle impressioni più superficiali, che poi, magari, vengono confrontate tra loro, come se dal confronto saltasse fuori la verità, confortata, naturalmente! dalle percentuali. Invano ti aspetti di sentire, ad esempio: "Il Papa è il successore di Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, il Pastore supremo e visibile della Chiesa universale", conformemente alla sua reale identità.

14 - L uomo nel disegno di Dio Ecco dunque il tema del nostro incontro: l'a-more umano nel matrimonio e nella famiglia, ma non come è inteso e spesso anche vissuto dagli uomini, ma come Dio lo ha pensato e voluto. Dio, creatore dell'universo, è autore dell'uomo e della donna, del loro patto d'amore, e li ha uniti nella prima e originaria società umana che è la famiglia. Nella creazione, Dio si è proposto un unico scopo: partecipare ad altre creature la sua stessa fe-licità, la sua stessa gloria. Dio è amore, e l'amore è per sua natura effusivo, partecipativo. Egli dunque ha creato per amore e ha chiamato l'uomo a partecipare al suo amore. Creare è dare l'esistenza a una creatura ed è perciò l'atto d'amore più grande. Se amare significa volere l'esistenza di una persona, essere felici che essa esista, nessuno ci ama più di Dio e nessuna vocazione è più grande di quella di collaborare all'amore creativo di Dio. Nel disegno di Dio l'uomo è chiamato ad essere collaboratore con Lui nella creazione, nel trasmettere la vita, nella redenzione e nella stessa glorificazione di tutte le cose: • collaboratore di Dio nella creazione mediante il lavoro, che assurge così a una dignità divina; • collaboratore di Dio nella generazione alla vita mediante l'amore coniugale e la famiglia; • ancora collaboratore di Dio nella redenzione mediante la sua partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa; • infine, collaboratore di Dio nella glorificazione del creato orientando a Dio e alla sua gloria tutte le cose. 15 - La "trascendenza" dell'uomo nella bibbia Ora, affinché fosse capace d'amore e di collaborare all'amore, Dio ha creato l'uomo a "sua immagine e somiglianza". Questa espressione biblica appartiene a quel passo della Genesi dove sono rivelate le verità fondamentali sull'uomo, e "costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana". (MD n.6): "E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, perché regni sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sulle bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra." Innanzitutto è qui affermata la superiorità dell'uomo su tutti gli altri esseri creati; una superiorità non soltanto di dominio per cui egli prevale sopra gli altri animali e sopra tutte le creature materiali, ma una superiorità di "trascendenza". L'uomo, cioè, appartiene alla natura e si colloca al vertice della perfezione naturale, ma nello stesso tempo la trascende, la supera, trovandosi in un altro ordine di realtà, quella dello spirito.

La "trascendenza naturale" dell'uomo consiste nella sua dimensione spirituale. L'uomo rappresenta una discontinuità nell'ordine naturale delle cose create. Possiamo dire con un autore contemporaneo che l'uomo è un "essere di frontiera, ha ali e radici", appartiene cioè al mondo materiale e al mondo spirituale. Il pensiero moderno, pesantemente condizionato da ideologie marxiste e atee, ha perduto questa verità e considera l'uomo come un animale; un animale molto evoluto, anzi l'espressione più alta dell'evoluzione naturale, ma sempre animale. La differenza con i suoi antenati o "colleghi" sarebbe solo quantitativa; riguarderebbe in particolare la quantità di materia celebrale che lo caratterizza e la corrispondente complessificazione strutturale del suo organismo. Anche i fatti psichici più profondi non avrebbero alcun significato spirituale, sarebbero riducibili a meccanismi biologici determinati da leggi naturali.

16 - Il cantico delle creature L'attuale animalismo naturalistico che vuol rivendicare per l'animale e per l'uomo un "rapporto tra pari" (Panorama, 08.04.1987), cosicché "in un avvenire non troppo lontano si porrà l'esigenza dell'uguaglianza giuridica tra l'uomo e l'animale" (l'Unità 22.03.1987), è un sintomo di questa animalizzazione dell'uomo ormai dilagante non solo in ambienti scientifici (vedi certe correnti della Etologia), ma in movimenti culturali e politici di estrazione, inutile dirlo! ateo-marxista e laicista. Si è arrivati a contestare violentemente gli stessi brani della Genesi che stiamo commentando fino a mettere sotto accusa il Cristianesimo e a preferire, invece, le religioni orientali di tipo panteistico che idolatrano la natura. Sappiamo bene che gli animali e tutti gli altri esseri viventi che sono nella natura sono creature di Dio, ed è conforme alla nostra dignità e saggezza rispettarle e averne cura; anzi, l'uomo dovrebbe di-ventare voce di tutte le creature che proclamano la lode di Dio. Alcuni di voi ricordano certamente il Cantico delle Creature che la liturgia suggerisce come ringraziamento dopo la Messa: "Benedite mostri marini e quanto si muove nell'acqua il Signore, benedite uccelli tutti dell'aria il Signore. Benedite animali tutti selvaggi e domestici il Signore... benedite opere tutte del Signore il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli". (Dan. 3, 79-81). Cantico che è stato ripreso con stupendo impeto poetico da San Francesco. Ma da questo a sostenere l'uguaglianza tra l'animale e l'uomo fino a negare la trascendenza dell'anima umana, ci corre l'insensatezza di un'intelligenza oscurata dall'idolatria, o da una ignoranza rozza e colpevole. È facile immaginare le conseguenze che questo modo di pensare provoca sul comportamento sessuale dell'uomo. Esso viene privato di ogni dignità, non soggiace più a nessuna legge morale, ma solo all'istinto disordinato ed egoistico di una natura umana ferita e corrotta dal peccato. Infatti, mentre gli animali obbediscono a leggi naturali che regolano il loro istinto (esiste una "stagione degli amori", tutto è ordinato alla riproduzione della specie, senza dire che l'aborto negli animali è assolutamente sconosciuto...) l'uomo, invece, è ca-pace di abbandonarsi a tutte le sregolatezze e vergogne. 17 - Uomo e donna Affermare la trascendenza spirituale dell'uomo è affermare la sua dignità di persona che è appunto, "immagine e somiglianza di Dio". Anche la differenziazione dei sessi è espressione e partecipa di questa dignità che tocca profondamente la persona: "Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò" (Gen. 1, 27). In questa semplice frase è affermata la dignità, il valore e il significato profondo della sessualità. L'essere umano, proprio come uomo e donna, riflette l'im-magine di Dio; la femminilità e la virilità sono realtà che, pur avendo il loro fondamento nella struttura corporea della persona, assurgono a una dimensione che si riflette nella realtà stessa di Dio. Il primo aspetto da considerare è la dignità della sessualità umana. Essa partecipa alla dignità della persona. Da questo punto di vista l'uomo e la donna condividono una piena uguaglianza ontologica: uguale natura, uguale destino, perciò uguale dignità. Inoltre essa partecipa alla dignità del servizio specifico alla vita, servizio al quale è ordinata la stessa complementarietà dell'uomo e della donna. In questo senso l'uomo e la

donna riflettono l'immagine di Dio, non solo individualmente ma anche come coppia, nella loro unità corporea di "una sola carne". Perciò ogni discriminazione che venga operata a motivo del sesso è una violenza contro i diritti fondamentali della persona, un'ingiustizia che offende l'uomo e la donna nella loro dignità.

18 - Dignità della sessualità Ma il brano biblico citato, oltre a sancire la condanna di ogni discriminazione ingiusta fra uomo e donna, aiuta anche a riscoprire il senso positivo e gioioso della sessualità. Una visione pessimistica e negativa del sesso ha condizionato in varie epoche il pensiero filosofico e morale con conseguenze sul piano pedagogico; si tratta di una visione che affonda le sue radici non nel cristianesimo ma nelle correnti manichee e dualistiche della filosofia pagana e delle culture orientali. Esse vedevano la sorgente del male nella materia, e quindi nel corpo e in tutto ciò che è corporeo, con particolare riferimento al sesso che veniva spesso identificato con la femminilità. Il peso, quindi, delle conseguenze ricadeva soprattutto sulla donna. Ora, il corpo non è affatto l'elemento negativo della natura umana ma, creato da Dio, è con-principio con l'anima della nostra persona ed è chiamato anch'esso alla gloria di Dio. La Chiesa, nel suo insegnamento, non è mai stata vittima di tabù riguardo al sesso, invece ha sempre difeso la dignità della sessualità umana da ogni forma di degradazione edonistica che tende a farne uno strumento di piacere fine a se stesso, da ogni abbrutimento vergognoso che ne fa merce di scambio, e da ogni triste volgarità che ne fa stupido esibizionismo; ha sempre insegnato il rispetto all'intimità della persona, che ha le sue radici nella sessualità e che va custodita e protetta con virtù gioiose come il pudore, la castità, la delicata custodia del cuore. Del resto, non dimentichiamo che proprio la femminilità, un Corpo Verginale di donna, è stato il luogo dove il Figlio di Dio si è fatto carne, e la "virilità", un Corpo integro e verginale di uomo, immolato sulla croce, è stato il luogo del nostro riscatto e della nostra pace.

19 - Il "dono" della femminilità Non possiamo soffermarci su questa teologia del corpo e della sessualità perché ci porterebbe molto lontano. Ciò che in questo primo punto è importante cogliere, alla luce delle parole della Genesi, è un senso positivo della sessualità, che porta a rispettare, a difendere e ad amare la propria realtà personale di uomo e di donna. Questo atteggiamento è importante soprattutto per la donna che, a differenza dell'uomo, è portata dalla sua natura a un rapporto più intenso e problematico con la propria femminilità. Quando una donna rifiuta o semplicemente non accetta la propria femminilità con gioia, fino ad amarla e a sentirsi felice di essere donna, rischia di non ritrovare più sé stessa e tanto meno il suo ruolo e la sua identità. Smarrita questa, la donna finisce preda della nevrosi o si rifugia nel femminismo, cioè in quella forma avvilita e indurita di essere donna che si sfoga nella rabbia e nella stupidità. Il femminismo è il rifiuto della femminilità come valore, ed è la rivendicazione della femminilità come violenza. Ma sappiamo che ogni violenza è una forma camuffata di debolezza e di vigliaccheria. Se una donna non è in pace con se stessa, non sarà mai una "donna di criterio" e le conseguenze nella vita coniugale e familiare, saranno disastrose.

20 - Il "profetismo" della femminilità La "Mulieris dignitatem" è il documento sulla dignità, sul ruolo e sulla bellezza della femminilità. Il Papa con una terminologia, sia pure analogica, dice cose bellissime della donna, come quando parla di un "profetismo" della femminilità. La donna, cioè, è rivelazione di Dio all'uomo. È una rive-lazione triplice, perché lo rivela come dono, come vita, come amore.

Dio è Dono: ed Eva è il "dono" fatto da Dio ad Adamo; Dio è Amore: la donna è l'amore che toglie l'uomo dalla sua solitudine; Dio è il Vivente, Fonte della vita: la donna è depositaria e custode di questo mistero che essa vive in prima persona. Perciò la donna è, per natura, aperta alla fede e al rapporto intimo col soprannaturale (Dio); lo percepisce più facilmente e lo trasmette come mistero. Ma se la donna aiuta l'uomo a percepire Dio, l'uomo, da parte sua, aiuta la donna a capire se stessa. Quando il testo della Genesi descrive la creazione della donna come aiuto dato all'uomo (la creazione di Eva dalla costola di Adamo addormentato non è un espediente puramente poetico), aggiunge che Dio "condusse" Eva ad Adamo. Non dice "consegnò", perché la donna è un dono di Dio fatto all'uomo nel senso che Dio ha affidato l'essere umano alla donna. È il significato profondo della maternità. Ecco perché la donna sente una profonda attrattiva verso l'uomo, attrattiva che il peccato ha rovinato trasformandola in schiavitù; ma originariamente era la voce limpida e gioiosa della sua natura che le faceva vedere nell'uomo l'essere affidatole da Dio. Perciò l'uomo aiuta la donna a ritrovare e a capire sé stessa attraverso un duplice rapporto: come marito e come figlio. Quando una donna si sposa, il suo pensiero non termina allo sposo, va oltre, pensa a un figlio. La donna "conosce" l'uomo non soltanto quando diventa con lui "una sola carne", ma soprattutto quando lo genera nel suo grembo, quando lo sente germogliare dentro di sé, lo sente crescere, farsi da lei, dalla sua carne e dal suo sangue. Ecco perché nell'aborto la donna non uccide soltanto l'es-sere umano che le è stato affidato, ma uccide anche sé stessa come donna.

21 - Il valore della sessualità Il secondo aspetto riguarda il valore della sessualità umana, cioè il suo contenuto. Riprendiamo il testo della Genesi: "... maschio e femmina li creò. E Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela". (Gen. 1, 28). Il valore della sessualità umana sta nella sua naturale ed essenziale disposizione a servire la vi-ta. Infatti, tutta la sessualità, le strutture anatomiche che la caratterizzano, lo sviluppo fisiologico delle sue funzioni, le risorse psicologiche che la accompagnano, tutto concorre a questo servizio, così che esso diventa l'aspetto primario ed essenziale della sessualità stessa. In questo servizio alla vita trova anche l'espressione più immediata e naturale, si po-trebbe dire storica, la reciprocità dell'uomo e della donna, la loro complementarietà fisica e psicologica. Inoltre tale servizio, essendo una collaborazione con l'opera creatrice di Dio, - il Dio della vita, il Vivente, assurge, come abbiamo sentito dalle pa-role della Genesi, alla dignità e al valore di missione, di compito che suppone un disegno di Dio e quindi una chiamata, una vocazione divina che fa degli sposi "ministri del disegno stabilito dal creatore". (Humanae Vitae). Quando un uomo e una donna vedono scaturire, sbocciare, dalla loro unione una creatura, avvertono quasi fisicamente che ciò che è avvenuto è qualcosa di superiore alle forze umane, è un evento più grande di loro, un mistero nel quale essi sono stati semplicemente strumento. Guardando la loro creatura avvertono che lì c'è il "dito di Dio". Questo vi aiuta a capire la profonda immoralità della contraccezione, la sua intrinseca malizia. Nella contraccezione, infatti, l'uomo e la donna rifiutano di cooperare con Dio; lo escludono arbitrariamente e con violenza dal gesto che Egli ha voluto come rivelazione del suo amore e nel quale Egli si fa presente come potenza creatrice. La contraccezione è l'affermazione del "super-uomo" che vuole controllare da padrone assoluto le sorgenti della vita. Col pretesto di "liberare" la sessualità, la contraccezione le usa violenza, perciò la umilia e la degrada. A pagarne le conseguenze sarà anche la verità e la sincerità dell'amore coniugale. Nella contraccezione, infatti, due coniugi non si sentono più sposi ma complici. La vita umana non è una vita puramente animale; è la vita di una creatura fatta "a immagine e somiglianza di Dio", perciò anche la collaborazione dell'uomo e della donna col Dio della vita riveste una peculiarità la cui natura e le cui leggi sono in relazione con l'amore che è in Dio e che appartiene alla stessa vita intima di Dio.

22 - Origine divina del matrimonio Ma prima di addentrarci nell'approfondimento di queste riflessioni, ritorniamo alla Genesi in quel passo del secondo capitolo che narra, a mo' di descrizione, la creazione della donna dalla costola di Adamo: "Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: 'Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta'. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne". (Gen. 2, 22). Questo gesto compiuto da Dio, di "condurre Eva ad Adamo" mostrandogliela, non è un inciso puramente letterario del racconto biblico, quasi che Dio volesse assistere alla reazione dell'uomo nel ve-dere "l'aiuto simile a sé" che egli aveva cercato inva-no, ma esprime con chiarezza il disegno di Dio che stabilisce l'unità profonda tra l'uomo e la donna nell'amore coniugale. L'unità di cui si parla nel testo biblico e che Dio stesso ha costituito è duplice: la prima riguarda l'amore, e indica l'unità indissolubile dell'uomo e della donna nel loro legame coniugale, la seconda riguarda la sessualità, cioè l'unità inscindibile del valore e delle finalità stesse della sessualità: la finalità unitiva e la finalità procreativa. Alla prima si oppone il divorzio, alla seconda si oppone la contraccezione. "Perciò, - continua il testo biblico - l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa e i due saranno una sola carne". Gesù stesso afferma che "fin da principio", cioè nel disegno stesso di Dio, l'uomo e la donna so-no stati chiamati dal Creatore a una dedizione reciproca indissolubile nella trasmissione della vita umana, come collaboratori dell'amore di Dio, fonte e Signore della vita. Cosicché non è più in potere dell'uomo separare ciò che Dio stesso ha costituito in unità. Questa è la verità sull'amore coniugale, sul matrimonio e sulla famiglia, come Dio ce l'ha rivelata e come da sempre la Chiesa l'ha proclamata nel suo Magistero. Non c'è dunque vera famiglia, corrispondente al disegno di Dio, se non è fondata sul matrimonio; non c'è vero matrimonio se non nel libero e indissolubile patto d'amore che unisce un uomo e una donna nel comune servizio alla vi-ta. Tutto questo non è qualcosa di puramente arbitrario, imposto all'uomo esteriormente, ma corrisponde alla natura stessa dell'uomo e della donna che vedono realizzato in questo disegno di Dio il valore autentico della loro sessualità.

23 - Elementi costitutivi del matrimonio È necessario, a questo punto, fermarci sugli elementi costitutivi del matrimonio emersi nel nostro discorso, perché intorno ad essi esiste oggi molta confusione. Essi sono: l'amore coniugale, e il patto coniugale. Parlare dell'amore coniugale potrebbe sembrare la cosa più scontata ed inutile perché tutti pensiamo di sapere che cosa sia l'amore e pensiamo di esserne capaci. È vero che l'amore è una realtà insita nella natura umana, ma è anche vero che, per essere autentico, l'amore esige impegno e lotta. L'amore accompagna la vita umana in tutta la sua estensione, e ne esprime le ricchezze e la profondità. Pensiamo all'amore materno e paterno con tutte le espressioni di dedizione e di generosità che esso sa trovare. Pensiamo anche all'amore fraterno, dei fratelli verso i fratelli; all'amore filiale, dei figli verso i genitori; all'amore di amicizia, dell'amico verso l'amico; all'amore di benevolenza, la dedizione di una persona verso le necessità dei propri simili; e infine ecco l'amore coniugale, l'amore proprio dell'uomo e della donna nel loro legame nuziale. Quest'ultimo, è normalmente preceduto e pre-parato dall'amore detto di fidanzamento, che è un amore di amicizia, ma caratterizzato da una promessa di fedeltà, e finalizzato alla reciproca conoscenza in vista delle responsabilità dell'amore coniugale. Ognuna di queste espressioni dell'amore ha una sua natura e delle leggi che le sono proprie; natura e leggi che vanno rispettate, pena la deformazione e anche la corruzione stessa dell'amore. Che direste se l'amore materno o paterno diventasse amore coniugale? Orribile! O se l'amore fraterno pretendesse di esprimersi come amore coniugale, e così pretendesse l'amore di amicizia? Altrettanto orribile!; quelle forme di amore non sarebbero più amore; potete chiamarlo come volete ma non amore. Ora, se in questi casi il disordine è abbastanza evidente, non appare altrettanto chiaro quando si tratta dell'amore di fidanzamento o dell'amore extra coniugale, anche se legalizzato dalle leggi dello Stato. "Nell'amore di fidanzamento - si dice - è già presente l'amore coniugale; ora, se un ragazzo e una ragazza si vogliono bene

sinceramente, un bene vero, esclusivo, che male fanno a dimostrarselo anche con l'incontro fisico? Anzi, è questa una prova della sincerità dell'amore e, in più, è un aiuto a conoscersi meglio".

24 - Amore "sincero" o amore "vero"? In questo, che agli occhi di molti sembra un ragionamento giusto e conseguente sono, invece, contenuti due grossi errori e un sottile inganno. Il primo errore è di credere che l'amore coniugale sia il costitutivo essenziale del matrimonio, per cui basta volersi bene, - anzi è questa la cosa veramente importante: volersi bene! - il resto viene da sé; quando c'è questo, tutto è lecito, purché sia fatto con amore sincero. Nel "resto" può esserci, al limite, anche la stessa celebrazione del matrimonio, celebrazione che viene così ridotta a una formalità legale (salvo il Sacramento per i credenti). Invece, no! Proprio quella che viene considerata una formalità, la celebrazione del rito, contiene l'elemento essenziale e costitutivo del matrimonio. Ciò che viene compiuto in quella celebrazione, si svolga essa davanti all'autorità civile per i non battezzati, o davanti ad un ministro della Chiesa per i battezzati, è un vero patto, il "patto coniugale", che vincola a norma di giustizia, e si configura come un gesto ca-rico di socialità. L'amore è certamente fondamento e presupposto del matrimonio - perciò importante e, potremmo dire, necessario - ma non è sufficiente perché ci sia matrimonio. Non è sufficiente nemmeno perché i due siano considerati marito e moglie, non solo davanti alla legge ma anche nell'ordine naturale. In altre parole, non basta la "sincerità" dell'amore, occorre la "verità" dell'amore. Non sempre un amore sincero è anche un amore vero, che rispetta cioè la verità. Ricordate la nostra prima conversazione? Abbiamo visto come la causa di molti errori, e perciò di molti mali, sta nel non rispettare la verità delle cose. Ebbene, due ragazzi che si concedono rapporti prematrimoniali non rispettano la verità delle cose, non rispettano la natura dell'amore coniugale. Ricordate quanto abbiamo detto sul valore della sessualità: essa rappresenta ciò che di coniugabile c'è nella persona, su cui la persona stessa ha un esclusivo diritto. Il suo esercizio coinvolge quindi diritti fondamentali, la cui natura non è stabilita da noi o dallo Stato ma dall'Autore del matrimonio e delle finalità stesse della sessualità. La donazione reciproca di questi diritti inerenti alla persona dà origine a un patto. Per cui l'amore coniugale esige per sua natura il patto coniugale; diversamente l'amore non è autentico, manca delle caratteristiche che gli sono proprie, come la stabilità e la responsabilità; è un amore abusivo, una violenza alla realtà; perciò è un grave disordine davanti a Dio. Il secondo errore consiste nel considerare l'amore coniugale come fine a se stesso, indipendente dal servizio e dal significato che gli sono propri. Normalmente i rapporti prematrimoniali non sono aperti alla vita, e l'amore si ripiega su se stesso o, tutt'al più, termina nel partner che diventa così strumento o addirittura un complice. Allora non si ha più un amore che si apre ad un altro amore, ma si ha un egoismo che si somma ad un altro egoismo. La forma estrema di questo egoismo si chiama libero amore. Non a caso il femminismo di sempre ha coniato l'espressione: Il matrimonio è la tomba dell'amore. Infine, l'inganno che si nasconde in questa mentalità è credere che i rapporti prematrimoniali facciano crescere l'amore e contribuiscano ad approfondire la conoscenza reciproca. Ma è falso, è una menzogna camuffata; non dimentichiamo che ogni rapporto coniugale è un fatto unico, in un certo senso irrepetibile, anche per gli stessi sposi, come l'amore, che è sempre nuovo anche dopo molti anni. Inoltre, abbiamo già visto che esiste una differenza sostanziale tra un rapporto nel matrimonio e un rapporto prima del matrimonio. Nel primo caso, esso esprime il dono senza riserve e senza condizioni di una persona all'altra, con la consapevolezza di appartenersi reciprocamente in senso totale, esclusivo e duraturo; nel secondo caso, si tratta di una concessione reciproca chiusa in se stessa, un appagamento fisico-affettivo che è abusivo e che ignora la stabilità e la completezza del dono. Perciò entra nelle categorie dell'e-goismo, anche se camuffato, purtroppo, dalle sembianze dell'amore. Ora, l'egoismo è il più grosso ostacolo per comprendere una persona. Perciò le esperienze, e ancor più, le convivenze prematrimoniali, non contribuiscono affatto alla conoscenza reciproca e nem-meno possono essere garanzia di fedeltà e di durata del matrimonio. Sono invece espressione di complicità, e la complicità rende sospettosi; e alla fine non ci si fida più l'uno dell'altro con grave pericolo della riuscita stessa del matrimonio.

Che poi i rapporti prematrimoniali facciano crescere l'amore può sembrare vero solo all'inizio, ma è un fuoco di paglia che brucia subito e non può appagare; e colei che tu hai posseduto per un momento non puoi chiamarla veramente "la mia donna" e viceversa "il mio uomo". La bigiotteria non potrà mai sostituire i gioielli.

25 - Il patto coniugale: costitutivo del matrimonio L'altro elemento - che è l'elemento costitutivo del matrimonio - è il patto coniugale, cioè la libera volontà personale di un uomo e di una donna di cedere irrevocabilmente i diritti sul proprio corpo, o meglio, su ciò che di coniugabile c'è nella propria persona, alla donna o all'uomo che a sua volta cede i corrispettivi diritti con la stessa volontarietà e libertà personale, in vista di un responsabile servizio alla vita. Questo patto impegna la persona ed è rivolto alla persona e dura finché dura la persona. Da questo, cioè dalla natura del patto coniugale, come anche dalla natura dell'amore coniugale e, vedremo, dal diritto nativo dei figli, si comprende più facilmente la necessità intrinseca della stabilità e della indissolubilità del vincolo matrimoniale. Inoltre, appare evidente che il patto coniugale non è un fatto privato, come non è un affare privato l'amore coniugale, perché coinvolge persone in una realtà che è fondamentale non solo per la singola persona ma per l'intera comunità umana: la procreazione. È perciò un fatto carico di socialità che non si restringe al solo interesse dei due sposi. Tutto questo è negato dalla mentalità libertina che va sempre più diffondendosi e che considera l'amore un affare puramente privato per cui giustifica, ad esempio, la libera convivenza e le libere relazioni sessuali. Al contrario, sposarsi non significa "mettersi insieme" o anche "andare a vivere in-sieme", esprime invece l'esaltante responsabilità di essere "due in una sola carne" tanto che, se nel matri-monio intervenisse qualche impedimento che rendesse nullo il patto, diventerebbe inesistente anche il vincolo coniugale, anche se i due fossero "legati" da immenso amore. Negato il valore essenziale del patto coniugale, anche la celebrazione del matrimonio viene ridotta a una formalità puramente legale, che serve solo a inscrivere la coppia e la sua convivenza nell'ordinamento civile, con diritti e doveri sanciti dal codice dello Stato. Ciò significa affermare erroneamente che il matrimonio è una realtà che non appartiene alla natura stessa e non coinvolge la persona nella sua profondità, ma è un fatto semplicemente esterno dovuto all'intervento di un'autorità, civile o anche religiosa. Infatti, molti pensano ancora che a sposarli sia il prete o il sindaco. Ciò induce alla convinzione che, se a dare consistenza giuridica al matrimonio non è un legame scritto nella natura stessa dell'uomo ma è un intervento esterno dell'autorità, niente impedisce che domani quella stessa autorità dichiari sciolta quella convivenza coniugale. Così come l'intervento dell'autorità potrebbe dare valore legale a convivenze che ripugnano alla natura stessa, come le convivenze omosessuali. Ed è ciò che sta accadendo in alcuni stati del Nord Europa. La mentalità libertina, detta anche permissiva, non è altro che una visione pseudo-culturale del rifiuto della responsabilità; è la paura della verità e quindi dell'impegno, il crollo del senso vocazionale della propria esistenza.

26 - L'amore "redento" Riaffermare queste verità non significa dimenticare la realtà della condizione umana con le sue situazioni di miseria, di debolezza, di violenza. Sappiamo che la natura umana porta i segni e le conseguenze di una ferita antica quanto l'uomo, il peccato. Con esso l'uomo si è messo contro il disegno di Dio e ha offuscato in sé quell'immagine e so-miglianza divina che possedeva per creazione. Vedremo nel prossimo incontro le conseguenze di tut-to questo nel rapporto uomo-donna e come il Signore, che non subisce mai sconfitte, abbia offerto all'uomo, per mezzo di Cristo, il rimedio e la salvezza. Intanto, è giusto prendere atto che l'amore umano non è realizzabile senza lotta interiore e senza sacrificio; se è vero che nel matrimonio l'a-more non è l'elemento costitutivo, è anche vero che solo l'amore

vissuto pienamente e gioiosamente fa del matrimonio l'immagine stupenda dell'Essere divino che è Trinità, che è Padre - Figlio - Spirito Santo in un ineffabile rapporto tripersonale, per cui San Giovanni ha potuto dire: Dio è Amore! Non a caso gli sposi, durante il rito del matrimonio, si scambiano gli anelli, che sono il segno del loro "patto d'amore", chiamando a testimone la Santissima Trinità: "Ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Come vedete, l'Amore trinitario viene chiamato a testimoniare l'Alleanza d'amore tra l'uomo e la donna.

27 - I nemici dell amore: l abitudine Queste riflessioni possono aiutare gli sposi a capire che l'amore coniugale è il dono più prezioso del loro matrimonio e va perciò difeso, custodito e alimentato ogni giorno. Infatti, il primo pericolo cui va incontro l'amore umano è l'abitudine. La patina del tempo si deposita anche sulle cose più preziose e, se non state attenti, anche l'amore può perdere "attualità", può diventare una cosa scontata, una specie di diploma che finisce nel cassetto. Quando due sposi non sentono più il bisogno di dirsi: "Ti amo", quando pensano: "Già tanto, si sa! ce lo siamo detto mille volte!"; quando ritengono che scambiarsi gesti di tenerezza e di affetto sono cose per sposini in luna di miele e che ormai "è passato il tempo!", vuol dire che l'amore sta correndo grossi rischi. Vi siete sposati "per sempre", ma l'amore non è di "una volta per sempre". Qui sulla terra viviamo nel tempo e perciò non esiste "una volta per sempre" che è proprio dell'eternità. La vita pulsa nei mille attimi di ogni giorno; e così l'amore. L'abitudine può portare a convivere sotto lo stesso tetto senza amarsi, ad avere anche rapporti fisici frequenti ma senza amore. L'abitudine è una tomba. Mantenere nel tempo la freschezza dell'amore rinnovandolo ogni giorno nei mille gesti di attenzione, di affetto, di tenerezza, di gioia, di comprensione, di perdono, è non solo un dovere ma un'esigenza dell'amore stesso. Quei mille gesti quotidiani, mentre sono manifestazioni d'amore, permettono anche - con eroismo silenzioso - di esercitare tante virtù di cui l'amore si nutre. Quando si dice virtù, s'intende un continuo superamento di se stessi in tutto ciò che sa di egoismo, o di qualcosa di simile. Si capisce allora che l'amore richiede sacrificio e lotta: non pensare a me stesso ma chiedermi frequentemente come posso far felice la persona che amo; rinunciare a tante piccole comodità personali per rendere bella la vita a chi mi vive vicino; dimenticarmi dei miei problemi e delle mie difficoltà per non pesare sulla persona che condivide la mia vita; tutto questo esige virtù. Perciò l'amore coniugale non si improvvisa ma si costruisce giorno per giorno. L'amore va così maturando col maturare della vita e della persona; l'amore di entusiasmo dei primi tempi lascia il posto a un amore più profondo perché si ama con l'anima, con un amore che va oltre le emozioni e gli stati d'animo e mette in moto le facoltà e i sentimenti più profondi; si ama con la volontà e con l'intelligenza.

28 - I nemici dell amore: la disistima Si capisce così l'altro elemento di cui l'amore ha bisogno: la stima profonda, assoluta, incondizionata della persona amata. Amare con l'intelligenza significa appunto sti-mare la persona che si ama. Quando viene meno la stima, l'amore è già in crisi e facilmente si rompe alla prima incomprensione. Allora basta un solo difetto per non vedere più tutte le doti e le cose buone che la persona amata possiede. Perciò la stima di cui l'amore ha bisogno non è quella motivata dalle doti, dai pregi, dai meriti della persona.

Tutto questo ha importanza perché fonda le motivazioni umane della stima e dell'apprezzamento che facilitano l'amore coniugale e gli forniscono sicurezza e gratificazioni, ma non sono determinanti e nemmeno essenziali nell'amore cristiano. La "stima" nell'amore coniugale si ispira a quella che Dio ha verso l'uomo; Egli sa che col suo aiuto noi siamo capaci di pentimento, di conversione, di redenzione. Questa stima, che è partecipazione alla stima di Dio, rende possibile l'amore coniugale anche nelle situazioni più difficili, quando, ad esempio, l'amore non è corrisposto, e rende possibile la fedeltà anche davanti al tradimento, con un amore che diventa sacrificato, umile, lungamente paziente, magnanimo, capace di perdono, che conoscerà la gioia e la festa del padre rimasto fedele al suo figlio prodigo e dello stesso Sposo-Jawé rimasto fedele al-l'alleanza d'amore col suo popolo che lo aveva tradito e abbandonato, e che infine entrerà nella categoria di quell'amore più grande che sa "dare la vita per la salvezza della persona amata" (Gv.15, 13). Direte che tutto questo è utopia. Certo! Ma è l'utopia del Vangelo, l'utopia di un amore cristiano che getta luce e orienta anche l'amore umano quando esso è vero, nobile e autentico. Per questo vi dicevo prima, che la stima di cui ha bisogno l'amore coniugale deve essere profonda, assoluta, incondizionata. È il monito dell'apostolo Paolo contenuto in una delle letture del rito nuziale: "Gareggiate nello stimarvi a vicenda.". Se voi fidanzati non siete disposti ad amarvi con i difetti e i limiti che ciascuno di voi porta, non arriverete a un amore coniugale vero; i difetti e i limiti che ora non vedete e, se li vedete, ancora non vi pesano, perché salteranno fuori quando vivrete insieme, diventeranno quella parte del "peso d'amo-re" che solo una stima incondizionata può sostenere e rendere duraturo.

29 - I nemici dell amore: l amore possessivo Il terzo pericolo che può correre l'amore coniugale è quello di trasformarsi in amore possessivo, amore che non rispetta la libertà dell'altro. L'amore è dono e vede la persona amata come dono. Quando il dono si trasforma in possesso, si strumentalizza la persona e si apre la strada alla pretesa. L'amore non può essere né preteso, né comandato. L'amore respira libertà e ha le stesse dimensioni della libertà; là dove essa è più profonda e più ampia, maggiori sono le possibilità del dono, più nobile e magnanimo diventa l'amore. Sullo sfondo di un amore coniugale possessivo proliferano le gelosie, le pretese, i sospetti, le incomprensioni più pericolose; il matrimonio diventa una schiavitù reciproca e la convivenza familiare un peso insopportabile. Conosciamo tutti la storiella della mezza mela che deve trovare per forza l'altra metà. Non deve necessariamente esistere un "alter ego" che abbia le stesse inclinazioni, la stessa sensibilità, gli stessi gusti, quasi un doppione della mia personalità, perché il rapporto coniugale sia perfetto e duraturo. La diversità dei caratteri fa parte della natura stessa; nessuno è uguale ad un altro, ed è bene che sia così perché è ricchezza. Perciò, ora da fidanzati, e ancor più domani quando sarete sposi, non solo accetterete con pazienza, ma sarete felici di essere diversi, di avere gusti, opinioni, inclinazioni diverse, e vi amerete co-sì con la vostra personalità, senza pretese e senza reciproci condizionamenti. Non siete due mezze persone che si uniscono per completarsi, ma due persone complete che si donano l'una all'altra mettendo insieme le proprie doti, capacità, e tutta la ricchezza della propria storia ed esperienza personale, in una stupenda impresa che è anche gioiosa responsabilità: servire la vita. Le cosiddette "incompatibilità di carattere", le gelosie, le incomprensioni non nascono da differenze di personalità, ma da carenza di virtù; mancano umiltà, generosità, finezza d'animo, semplicità di cuore, dominio di sé, spirito di servizio, allegria, ottimismo..., l'amore possessivo conosce solo il lin-guaggio della pretesa, invece l'amore vero si alimenta e si nutre di virtù come quelle descritte da San Paolo nelle lettere ai Romani e ai Corinzi: "La Carità (l'amore) è paziente, la carità è benigna; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non

manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta." (1 Cor. 13, 4-7).

30 - Amore e piccole cose Applicate tutto questo alle mille circostanze della vita coniugale. Quando un coniuge tiene sempre in tasca la lista dei torti e delle ragioni per tirarla fuori e presentarla all'altro ad ogni occasione di contrasto e di incomprensione; quando vi rispondete l'un l'altro: "Sono fatto così, questo è il mio carattere, queste le mie abitudini..." per giustificare le vostre carenze, le vostre pigrizie, o il rifiuto di rettificare il vostro cattivo comportamento; quando un marito torna a ca-sa dopo una giornata pesante: il lavoro andato male, contrasti coi colleghi, attrito col capo ufficio o con la clientela... e non si sforza di lasciare tutto questo fuori della porta di casa e mostrare a sua moglie, anziché una faccia lunga e tirata, un sorriso aperto e vivo per la gioia di rivederla e di riabbracciare i suoi bambini; e similmente. Quando la moglie aspetta il marito e, anziché accoglierlo ordinata nella sua persona dicendogli con un sorriso o magari con un abbraccio affettuoso la gioia per il suo ritorno, gli scarica subito addosso il nervosismo accumulato nell'intera giornata, gli intona con la faccia scura e la voce irritata: "Guarda cosa hanno fatto oggi i bambini!; ecco che cosa ha combinato tuo figlio!..." e poi... la suocera, la vicina di casa e... giù tutto l'elenco delle cose storte della giornata; ebbene, costoro non hanno ancora imparato ad amare. Sì, perché non basta volersi bene, bisogna imparare a volersi bene. E la scuola dove si impara ad amare l'ha aperta Gesù; solo Lui è Maestro di questo amore, solo da Lui possiamo impararlo: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore...", "Amate come io vi ho amato". Vi auguro e vi invito a iscrivervi a questa scuola e a frequentarla con profitto lungo tutta la vostra vita.

31 - Amore coniugale e amore sponsale Non posso terminare questa conversazione senza accennare all'altra dimensione dell'amore u-mano. L'amore coniugale, infatti, non esaurisce le possibilità e la profondità del rapporto uomo-don-na; esiste una dimensione "sponsale" della sessualità. Se il matrimonio si inscrive in ciò che è coniugabile della persona, la "sponsalità" va oltre e si rivolge a tutto ciò che nell'uomo e nella donna è "comunicabile" come dono. Quel "non è bene che l'uomo sia solo" e quel "aiuto simile a lui" del testo biblico non si riferiscono esclusivamente al rapporto coniugale del matrimonio, ma si espandono a una ricchezza di significati dove la comunione interpersonale dell'uomo e della donna si realizza come dono di sé nelle molteplici espressioni della chiamata ad esistere reciprocamente "l'uno per l'altro". In questa reciprocità di ciò che è "maschile" e di ciò che è "femminile" nella natura umana, trova il suo fondamento il significato sponsale della sessualità come dimensione della persona; significato sponsale che attinge la sua più alta espressione nel servizio sacerdotale e nella verginità per il Regno dei Cieli. È un tema che apre un capitolo stupendo sull'amore umano e per il quale è necessario ben altro tempo e ben diverse circostanze.

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

32 - "Ci hai fatti per te..."

Dobbiamo restituire a Dio la nostra intelligenza. Egli è l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine di tutto. Perciò, per ragionare correttamente sulla realtà delle cose, sul senso della vita e dell'esistenza umana, sul significato e sul valore del matrimonio, della famiglia e dell'amore, abbiamo fatto riferimento a Lui. È un riferimento indispensabile perché la nostra intelligenza si muova nella verità e giunga a comprendere il senso, l'ordine e la finalità di tutto ciò che esiste. Ma Dio è anche Creatore. Perciò il nostro riferimento a lui non può essere soltanto intellettuale, una necessità logica per un sano esercizio della nostra intelligenza, è anche esistenziale, tocca il nostro esistere. Siamo relativi a Dio in ciò che abbiamo di più profondo: l'essere. Senza riferimento a Dio nulla è più intelligibile veramente, e senza di lui tutto ripiomba nel nulla. Siamo creature, chiamate all'esistenza da un atto creativo di Dio, un atto completamente gratuito, frutto d'amore. Inoltre, Dio è sapienza infinita. Non siamo esseri prodotti da un gioco cieco e casuale della natura, il risultato imprevisto e fortuito di forze irrazionali, senza un destino e senza una prospettiva: nella sua sapienza, Dio vuole attuare in noi e con noi un progetto di felicità e di gloria che supera il tempo e la storia e si compie nell'eternità. Sono verità che tutti conosciamo perché le abbiamo ricevute fin da piccoli nella formazione cristiana iniziale che ci è stata data in famiglia, nel ca-techismo, nella preparazione ai sacramenti. Ma sono anche verità che il mondo, nella sua cultura e nella sua prassi attuali, ha abbandonato, ha volutamente rifiutato e spesso violentemente contestato e deriso. Ecco il perché del nostro proposito di prendere le distanze da una cultura dominante, che è una cultura di menzogna, per ricuperare la nostra intelligenza alla verità di Dio e alla consapevolezza della nostra realtà di creature fatte a sua immagine e somiglianza; ed ecco anche il proposito di ritornare a Dio con una fede più viva, per appagare la sete e il desiderio di felicità che c'è nel nostro cuore. "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non trova pace finché non si riposa in te". (Sant'Agostino). Quando ci allontaniamo da Dio, facciamo violenza alla nostra natura perché siamo fatti per conoscere, amare, e servire Dio, qui sulla terra guidati dalla fede e un giorno in cielo nella luce della gloria.

33 - Peccato e salvezza Nella conversazione di questa sera compiamo un ulteriore approfondimento del disegno voluto da Dio in ordine alla nostra realtà di creature, per quanto si riferisce all'amore umano e al matrimonio. Sappiamo che la creazione è uscita perfetta dalle mani del creatore: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen. 1, 31); ma purtroppo essa ha perduto il privilegio della sua condizione originaria a causa della ribellione dell'uomo che, tentato dal maligno, si eresse contro Dio volendo conseguire la sua felicità, il suo fine, al di fuori

di Dio. È il "mistero del peccato", del male, che accompagna l'umanità lungo tutta la sua storia e che si rivela nella condizione di debolezza e di miseria in cui l'uomo giace, con l'assoluta impotenza di liberarsi e di salvarsi da solo. Le conseguenze si fecero sentire anche nel rapporto uomo-donna, nel loro amore coniugale. Ricordate il terzo capitolo della Genesi dove l'autore sacro descrive il turbamento che ha assalito Adamo ed Eva dopo il peccato? Fuggirono a nascondersi e cominciarono ad accusarsi l'un l'altro davanti a Dio. Fu il segno che l'unità dell'amore coniugale come immagine e somiglianza dell'Amore che è in Dio era rotta; cioè, il peccato ha rovinato l'immagine di Dio non solo nella persona intesa singolarmente ma anche nella coppia uomo-donna che Dio aveva configurato nell'unità di una sola carne. Tutto questo fa pensare a quella "durezza del cuore" di cui parla Gesù e che aveva portato gli uomini, anche quelli del Popolo eletto, a non capire più il disegno di Dio sull'amore e sul matrimonio. Ma Dio non abbandona l'opera delle sue mani e avendo manifestato la sua onnipotenza nella creazione, la manifesta ancora di più nella misericordia e nel perdono. Dio creatore si fa redentore della sua creatura e riporta l'uomo a una perfezione ancora più alta, a un rapporto con lui incomparabilmente più sublime. Egli realizza per noi un piano stupendo e commovente che siamo soliti chiamare "mistero della salvezza"; una lunga storia di interventi divini che accompagnano l'umanità fin da principio, dal giorno della sua caduta, e culmina nella "pienezza dei tempi" con Gesù, Redentore dell'uomo. Fin dal primo momento dopo il peccato, Dio si rivolge all'uomo e alla donna che si ritrovano nudi, coperti solo dalla loro vergogna, e promette loro la salvezza: "Io porrò inimicizia fra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gen. 5, 15). Ecco affermata esplicitamente la volontà misericordiosa di Dio che vuole attuare la nostra salvezza.

34 - Cristo: redentore dell uomo Ma Dio non si limita a promettere la salvezza, vuole partecipi di questo progetto d'amore proprio quell'uomo e quella donna che furono protagonisti del peccato. Alla donna affida la missione materna, all'uomo la missione sacerdotale; l'una e l'altra si compiranno in Cristo e in Maria, Vergine e Madre. Infatti, come Eva è stata colei alla quale Dio ha affidato l'uomo, così Maria sarà colei alla quale Dio affiderà il Redentore dell'uomo, e come Adamo rifiutò a Dio il culto dell'obbedienza, così l'Uomo-Cristo celebrerà sulla croce il sacrificio dell'obbedienza. Cristo, Figlio di Dio fatto uomo: ecco il Redentore. È Lui il centro e il culmine di tutta l'opera di Dio. "Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto aveva prestabilito, per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra." (Ebr. 1, 9-10). Nella Incarnazione il Figlio di Dio assume la nostra umanità non solo per risanare e restaurare la natura umana ma per elevarla alle altezze della divinità. Se il peccato è la "non-somiglianza" con Dio, l'Incarnazione è la elevazione dell'uomo alla stessa filiazione divina del Verbo, per cui San Paolo scrive: "... quelli che Egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (Rom. 8, 29) Dalla "non somiglianza del peccato", Cristo ci riporta a una più perfetta somiglianza con Dio; infatti a tutti coloro che lo accolgono Egli dà il potere di diventare figli di Dio mediante quella stessa filiazione divina che abita in Lui dall'eternità.

35 - Per Cristo, con Cristo, in Cristo Perciò il problema fondamentale è questo: lasciarci raggiungere da Cristo, innestarci in Lui; fare in modo che Cristo abiti nei nostri cuori, anzi che la sua stessa vita si riproduca in certo qual modo nella vita di ciascuno di noi. San Paolo scriveva ai Colossesi: "... in Lui avete parte alla pienezza della divinità, ... in Lui voi siete stati circoncisi mediante la spoliazione del vostro corpo di carne, ... con Lui siete stati sepolti nel Battesimo, in Lui anche siete stati risuscitati per la fede nella potenza di Dio, ... con Lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti per i vostri

peccati... in Lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, ... e rinnovarvi, rivestire l'uomo nuovo creato secondo Dio. Perciò camminate nel Signore Gesù... in Lui ben radicati e fondati... voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! (E) quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria". Come vedete, la vita cristiana è precisamente la vita in Cristo, o meglio la vita di Cristo in noi. Ormai, un rapporto nuovo si è instaurato tra Dio e l'umanità, rapporto realizzato da Cristo come unico mediatore tra gli uomini e Dio. Vi ripeto, il problema fondamentale è questo: lasciarsi raggiungere da Cristo e lasciarsi trasformare in Lui.

36 - La Chiesa: "Sacramento" di salvezza Ma come è possibile che Gesù Redentore arrivi fino a me, dopo duemila anni, per comunicarmi la sua salvezza e trasformarmi in Lui? Ecco allora la Chiesa. "E Gesù disse loro (agli apostoli): mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. " (Mt. 28, 18-20). Quest'ultima frase di Gesù è strettamente legata a quelle precedenti. Il suo significato è esplicito in quel "... mi è stato dato ogni potere... andate dunque a tutte le nazioni". In altre parole, la presenza nel mondo e nel tempo di cui Cristo intende qui parlare, non è soltanto una presenza di ricordo storico trasmesso da testimonianze, come per altri personaggi del passato, ma una presenza "efficace", la presenza di un potere salvifico che egli ha trasferito agli apostoli e quindi ai suoi successori: il potere non solo di insegnare ma anche di battezzare, di rimettere i peccati, di rinnovare il suo Sacrificio sul-la croce, di continuare il suo sacerdozio eterno ("Fate questo in memoria di Me"). In tutti questi gesti è presente il suo potere salvifico, cioè è presente lui stesso come redentore dell'uomo. La Chiesa ha chiamato questi interventi di salvezza di Cristo: Sa-cramenti. La Chiesa, dunque, fondata sugli apostoli, ha il compito di rendere presente efficacemente il mistero di Cristo a tutti gli uomini di tutti i tempi, fino al ritorno di Gesù stesso nella sua seconda venuta; e lo fa mediante l'annuncio della Parola e l'amministrazione dei Sacramenti. Perciò, quando io ricevo un sacramento, è Cristo stesso che agisce nella mia anima, misteriosamente ma efficacemente, operando in me la salvezza che egli ha portato nel mondo. Capite allora come sia possibile che Gesù - "che è vivo, ieri, oggi e nei secoli" - mi raggiunga a duemila anni di distanza e capite anche che non è possibile la vita cristiana, "vita di Cristo", senza sacramenti; o meglio, senza la fede che mi viene dalla parola di Cristo e senza la grazia che mi viene dai sacramenti da lui istituiti. La Chiesa appare, perciò, essa stessa, segno e sacramento (strumento) di salvezza, luogo dove si realizza ciò che si è realizzato in Cristo: l'incontro tra Dio e l'uomo. La Chiesa è Cristo che continua nel mondo.

37 - Grazia e vita soprannaturale I Sacramenti diventano così "segni efficaci" e insieme rivelazione dell'amore del Padre che si apre all'umanità e la redime, amore che con la forza dello Spirito Santo ci trasforma in Cristo configurandoci a lui come figli, chiamati alla sua stessa gloria. È di fondamentale importanza comprendere tutto questo per capire la vita sacramentale e parteciparvi con l'atteggiamento interiore giusto e fruttuoso. Il distacco tra la fede e i sacramenti, così diffuso nella mentalità di tanta gente, distacco che ha portato a un calo vertiginoso della vita sacramentale in tanti cristiani che, d'altra parte, si dicono ancora fermamente credenti, ha la sua radice in questa confusione e in questa ignoranza, spesso colpevole. I Sacramenti vengono allora considerati semplicemente dei riti che stimolano il sentimento religioso o tutt'al più mezzi per un miglioramento morale. L'errore o l'ignoranza grave, in tutto questo, riguarda la conoscenza e il concetto di "vita cristiana": essa viene chiamata anche "vita di grazia" o "vita soprannaturale". Già queste espressioni sono sufficienti per farci capire che noi possediamo, o meglio, che siamo chiamati da Dio a ricevere due vite: la vita naturale, propria della nostra natura umana, e la vita soprannaturale, propria di Dio. Dio stesso ce ne fa dono: la prima attraverso l'amore dei nostri genitori, la seconda per mezzo di Cristo attraverso la Chiesa. La vita cristiana è dunque, la

"vita di Dio in noi"; Cristo, che nella sua umanità l'ha posseduta con pienezza, ce la comunica come dono per renderci santi, ed è chiamata perciò grazia santificante. Sono due vite, ma non parallele e nemmeno sovrapposte. La vita divina si fa "una" con la nostra vita umana e si unisce così intimamente alla nostra natura da "divinizzarla". Così la nostra unica e identica persona è chiamata a vivere una vita che è insieme umana e divina. Come il ferro "infuocato" che senza perdere la sua identità è talmente pervaso dal fuoco da esserne trasformato e acquistarne le caratteristiche e le proprietà, così la grazia divinizza la nostra anima, la rende partecipe della vita divina e perciò si-mile a Cristo, configurandoci sempre più a Lui. È questo il miracolo che compiono in noi i Sacramenti. Vi rendete conto allora perché, su questa terra, per noi cristiani non c'è alternativa: o viviamo vita divina, vita di figli di Dio, o viviamo vita animale. E comprendete anche perché non basta la fede ma occorre anche la grazia; non è sufficiente credere in Dio, se poi non partecipiamo alla sua vita in Cristo mediante i sacramenti affidati alla sua Chiesa. I Santi dicevano che la "disgrazia" peggiore che possa capitarci è appunto quella di perdere la grazia, e perciò la nostra "comunione" con Dio. 38 - Il rito e la fede Tornando dunque ai Sacramenti, essi sono "segni" della fede e per la fede, e "operano" in noi la Salvezza. Chi riceve un sacramento manifesta e pro-fessa la sua fede in Cristo che gli comunica col segno sacramentale la grazia. Sono dunque "segni ef-ficaci" cioè operanti e non soltanto riti esteriori che si rivolgono ai sensi e si risolvono nelle emozioni che sono capaci di suscitare in noi. Guardatevi dalla superficialità di tanti che si fermano all'esteriorità del rito e non sanno penetrare ciò che in esso si compie. Il rito, anche nel suo svolgimento esteriore, ha importanza perché la finalità sua propria è quella di parlare ai nostri sensi e di essere "significativo" del mistero che esso contiene. Il rito, nei sacramenti, è analogo all'umanità santissima in Cristo. Il Figlio di Dio, invisibile nella sua natura divina, si è fatto visibile nella nostra natura umana che è diventata in Lui sacramento della nostra salvezza. E come l'u-manità di Cristo nella visibilità della sua vita terrena è rivelazione dell'invisibile mistero di salvezza compiuto da Dio nel mondo, così il rito sacramentale, nella visibilità dei segni sensibili, rivela l'azione salvifica compiuta da Cristo; ad essa si accede solo mediante la fede. Perciò il rito, oltre a ciò che è proprio del Sacramento - la materia con cui si compie, le parole che vengono pronunciate e i gesti che le accompagnano - si allarga in una ritualità che è rivolta a suscitare e a intensificare in noi la fede; a questo scopo ha fondamentale importanza la proclamazione della Parola di Dio. Il rito, dunque, va rispettato e curato nella sua dignità liturgica ma è indispensabile che la nostra anima sappia penetrarlo con la fede per attingere alla ricchezza della grazia. Se penso a tanti "bei matrimoni", ricchi di emozioni e di commozione - i fiori, gli addobbi, l'organo o le chitarre o "la mistica atmosfera" di un'antica chiesetta... - ma tanto poveri di fede, mi chiedo che incidenza avranno nella vita e nella mentalità cristiana degli sposi. Fra tutti i sacramenti, il matrimonio, proprio per la forte componente emotiva del rito, è quello più esposto al pericolo della superficialità nella sua preparazione e nella sua celebrazione.

39 - Sacramenti e vita cristiana Ma perché sette Sacramenti per l'unica salvezza compiuta da Cristo? Per essere a Lui configurati, non basterebbe il Battesimo? Ebbene, Cristo ha assunto tutta la realtà umana e l'ha santificata nella sua globalità, ma anche ha voluto santificare i momenti e le espressioni più significative che la caratterizzano. Così, ciascun sacramento ci assimila a Cristo nella completezza del suo Mistero - l'Incarnazione, la Passione, la Morte, la Resurrezione, il suo ministero profetico, regale e sacerdotale - ma anche realizza questo in modo diverso e sotto aspetti diversi. Cinque sacramenti sono finalizzati alla vita soprannaturale personale, e hanno lo scopo di fare di ogni uomo un "cristiano", un "altro Cristo"; gli altri due sono finalizzati a un "ministero", cioè abilitano a un servizio. Il Battesimo, che è il primo e fondamentale sacramento, ci rende simili a Cristo come Figlio di Dio; è il sacramento della nascita cristiana. Il fonte battesimale è paragonato al ventre materno, il grembo della Chiesa, dal quale escono alla vita divina i nuovi figli di Dio che partecipano alla stessa filiazione divina di Cristo.

Nel battesimo accade nella nostra anima qualcosa di grande, di meraviglioso. Si ripete ciò che è avvenuto sul Giordano quando Gesù venne battezzato da Giovanni: "Si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di Lui. Ed ecco una voce dal Cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". (Mt. 3, 16-17). Al momento del nostro battesimo, senza rumore di parole ma con efficacia reale, il Padre celeste, guardandoci, dice: "Filius meus es Tu", tu sei mio Figlio: oggi, adesso, io ti ho generato; e similmente, senza forma visibile di colomba ma con forza divina, lo Spirito Santo si posa su di noi e ci consacra come tempio di Dio, come luogo della "sua compiacenza". E anche noi, come Gesù, possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo "Abbà, Padre". Vi rendete conto, perciò, quanto sbagliano, e quale responsabilità si assumono davanti a Dio, i genitori cristiani che rimandano il Battesimo dei loro figli. Come se fossero loro a decidere se un figlio deve o no diventare "figlio di Dio", e non appartenesse invece a Dio questa decisione; a Dio che è Padre e chiama ogni creatura alla comunione con Lui. Ogni figlio appartiene a Dio, e Dio lo "affida" ai genitori chiamandoli a "collaborare" alla sua volontà divina, al suo disegno d'amore. Dovremmo fermarci molto di più sul Battesimo perché, vi dicevo, è il Sacramento primo e fondamentale. Tutta la vita cristiana, infatti, è lo sviluppo del Battesimo, e la santità non è che la pienezza della vita battesimale. Anche la somiglianza con Cristo prodotta dagli altri sacramenti è il perfezionamento della somiglianza con Cristo iniziata dal Battesimo. Così la Cresima ci configura a Cristo come testimone della verità, come vincitore del Maligno e della sua menzogna, ... "Vi manderò dal Padre lo Spirito di verità ... Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza". (Gv. 156, 26-27). La Confessione o Penitenza ci assimila a Cristo in quanto con la sua Morte di Croce Egli si offrì al giudizio di Dio ed espiò il peccato riconciliandoci con il Padre. Nell'Unzione dei malati è il dolore, la malattia e la morte stessa che vengono assunte da Cristo e assimilate alla sua sofferenza e alla sua morte. Ma è soprattutto nel sacramento dell'Eucaristia che la nostra somiglianza con Cristo viene portata alla sua perfezione più alta. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come io vivo per il Padre, così colui che mangia di me vivrà per me." (Gv. 6, 56). È dunque il sacramento dell'amore unitivo, il sacramento della "Comunione con Cristo" nel suo mistero di Incarnazione, Morte e Risurrezione che si rende presente sull'altare nel segno sacrificale della Messa. Perciò l'Eucaristia, come fonte e culmine della vita cristiana, è il centro di tutti i Sacramenti e ad essa tutti sono ordinati. Non a caso i Sacramenti vengono normalmente celebrati dentro la liturgia eucaristica.

40 - I sacramenti per il "servizio" Questi cinque Sacramenti riguardano la vita soprannaturale personale; mediante la loro azione ciascuno di voi viene assimilato a Cristo nel suo mistero di salvezza e di amore, ma accanto a questi Egli ha istituito altri due Sacramenti che sono ordinati a un ministero, abilitano cioè a un servizio, il servizio alla vita. Essi sono l'Ordine Sacro, che ci fa ministri della vita soprannaturale e il Matrimonio, che ci fa ministri della vita naturale. Ora, la vita non è un'astrazione, un'entità autoctona; la vita sgorga sempre dall'amore e perciò da Dio perché l'Amore è Dio stesso. La vita naturale ci viene da Dio attraverso l'amore dei nostri genitori, la vita soprannaturale ci viene da Dio attraverso l'amore di Gesù Cristo che ha dato se stesso per la sua Chiesa. Cristo è l'unico Mediatore, solo Lui ha il potere di ricondurre a Dio tutte le cose; perciò anche l'amore di due sposi se vuole essere davvero un servizio al Dio della vita, deve passare attraverso Cristo. Quando due coniugi già configurati a Cristo per il Battesimo, rifiutano di celebrare il sacramento del Matrimonio, escludono Cristo dal loro amore umano, perciò il loro patto coniugale non ha valore davanti a Dio, anzi, contiene la diabolica pretesa dell'autosufficienza, la pretesa di trasmettere la vita rifiutando il servizio al Dio della vita. Ma torniamo per un momento alla profonda corrispondenza tra il Matrimonio e il Sacerdozio. Sappiamo che il Padre ha costituito Cristo come "Sacramento della Vita Eterna". Dice Gesù: "Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso..." e dice di essere venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza, anzi: "verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno"

(Gv. 5, 26-28). Ciò significa che l'identità più profonda di Cristo è quella di Sacerdote Sommo ed Eterno. Egli, avendo rappacificato in Sé tutte le cose e avendo annullato col Sacrificio della Croce l'abisso che ci separava dal Padre, ha fatto scaturire le sorgenti della vita. Egli rivela questa sua identità sacerdotale nell'Incarnazione e la realizza pienamente nel Sacrificio del Calvario. Dal petto squarciato di Cristo-Sacerdote, sono sgorgati sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti; di queste sorgenti della vita eterna il sacramento dell'Ordine Sacro, configurandoci a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, ci costituisce ministri. Come i sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, anche l'Ordine Sacro ha un'importanza fondamentale nella vita cristiana perché il Sacerdozio è costitutivo della Chiesa, come è costitutivo il Mistero di Cristo. Ma su questo argomento non possiamo fermarci di più. Non dimenticate, tuttavia, la profonda corrispondenza che esiste tra il Sacerdozio ministeriale e il Sacramento del Matrimonio: ambedue concorrono, ciascuno in modo proprio, al servizio della vita che viene da Dio attraverso Cristo; l'uno, il Matrimonio, come figura dell'amore di Cristo per la sua Chiesa, l'altro, il Sacerdozio, come stupenda realtà di un amore divino che ci fa rinascere come figli di Dio per l'eternità.

41 - "Questo mistero è grande ..." Il Matrimonio, dunque, è Sacramento dell'a-more sponsale; esso ci configura a Cristo come Sposo. La qualifica di Sposo, Gesù stesso se l'è attribuita quando vennero a interrogarlo i discepoli di Giovanni Battista, il quale, per parte sua, si era definito "l'amico dello Sposo"; viene riaffermata anche nelle parabole del banchetto nuziale e delle dieci vergini. Questa qualifica di Cristo come Sposo e la sua identità profonda di sommo ed eterno Sacerdote hanno lo stesso fondamento: l'Incarnazione e il Sacrificio supremo della Croce. Infatti, unendo a sé intimamente la nostra natura umana, Gesù ha celebrato le nozze con l'umanità; e nel sacrificio sulla croce Egli offre se stesso per la Sua Sposa, la Chiesa. Come dal fianco di Adamo addormentato, Dio ha plasmato Eva dandola come sposa al nostro progenitore, così dal costato aperto di Cristo "addormentato" sulla croce, è nata la Chiesa, Sposa "senza macchia e senza ruga, santa e immacolata." La sacramentalità del Matrimonio è dunque inscritta nel rapporto che gli sposi cristiani contraggono con Cristo nella sua Incarnazione e nella sua Morte di Croce, che sono i momenti nuziali del suo amore verso l'umanità e verso ciascuno di noi. Il carattere nuziale appartiene alla pienezza dell'amore; nell'Antico Testamento Dio ha manifestato la nuzialità del suo amore nell'Alleanza col suo popolo; nel Nuovo Testamento Cristo ha realizzato la nuzialità dell'Amore Divino nell'Alleanza col nuovo Popolo di Dio, la Chiesa, alleanza che Egli ha siglato col suo sangue per sempre. Il Sacramento del Matrimonio, dunque, prefigurato nell'Alleanza dell'Antico Testamento, inserisce gli sposi cristiani nell'amore nuziale di Cristo per la sua Chiesa. Insisto su queste considerazioni perché rimanga sempre più chiaro nella vostra mente quale realtà sia il matrimonio cristiano, che cosa faccia il Sacramento del Matrimonio del vostro amore e del vostro patto nuziale e perché San Paolo lo chiami "mistero grande". Per cui non potete lasciarvi contaminare da una mentalità mondana che banalizza l'amore, lo avvilisce in manifestazioni degradanti, lo abbandona in balìa dell'istinto o del capriccio, lo isterilisce nell'egoismo materialistico o consumistico, lo depaupera privandolo delle responsabilità e dei nobilissimi doveri che gli sono propri.

42 - La grazia sacramentale Comprendete anche che il sacramento del Matrimonio non è "transitorio", non è circoscritto al solo momento della celebrazione ma vi accompagna per tutta la vita. Come nel sacramento dell'Eucaristia la presenza sacramentale di Cristo continua nel-le specie consacrate anche dopo la celebrazione della S. Messa, così nella vostra anima e nella vostra vita coniugale continua la presenza di Cristo-Sposo e del suo amore nuziale per la Chiesa. Ogni Sacramento produce o aumenta la grazia santificante, ma anche porta con sé una grazia propria, la grazia sacramentale. Nel matrimonio essa consiste nella gran-de ricchezza di aiuti specifici e di grazie che Dio allega al sacramento perché possiate amarvi nobilmente e fedelmente per tutta la vita e possiate assolvere con efficacia i compiti e i doveri propri dei genitori cristiani. Su questa grazia dovete contare ogni giorno, ma

cercherete soprattutto di ri-cordarvene nei momenti in cui amarvi diventa difficile e quando la vostra generosità di genitori dovesse diventare eroica. Il sacramento del Matrimonio edifica sulla roccia della grazia di Cristo l'impresa più grande e duratura che si possa compiere sulla terra: generare figli e crescerli nell'amore di Dio per la vita eterna. Tutto ciò che investite in questa impresa: energie, tempo, salute, denaro, sacrifici... costituisce l'investimento più redditizio che possiate fare. Un uomo, ogni creatura umana, è qualcosa di eterno. Tutto sulla terra finisce: l'impero economico più potente, la dinastia più prestigiosa, l'opera d'arte più splendida..., anche le tribolazioni finiscono, i sacrifici, le privazioni, ma una creatura umana resta per sempre; è immortale! Se un giorno, in Cielo, ci fosse anche una sola persona in più che loda Dio per sempre e contribuisce alla felicità di tutti i beati (perché in cielo la felicità di uno è felicità di tutti), e questo lo si dovesse alla vostra generosità e al vostro sacrificio di genitori, avreste realizzato il dono più prezioso e gratificante per voi stessi e per tutti. La grazia sacramentale del Matrimonio vi aiuterà a dare al vostro amore e alla vostra vita coniugale questa prospettiva di eternità, la gioia profonda e duratura della fecondità, il sapore tutto divino di una generosità che vi fa partecipi della magnanimità di Dio. 43 - Materia - forma, - ministro Il sacramento del Matrimonio, con gli effetti di grazia che esso produce, è dunque permanente e vi accompagna lungo tutta la vostra vita coniugale. Potremo meglio capire questo se pensiamo che il contenuto del sacramento è lo stesso patto coniugale che produce il vincolo giuridico fra gli sposi. Patto e vincolo sono per loro natura indissolubili e perciò anche il Sacramento assume un valore permanente, si inserisce intimamente nell'amore e nella vita coniugale. La "materia" del patto è il diritto al-le intimità coniugali, diritto sul proprio corpo che gli sposi si cedono reciprocamente; esso diventa co-sì "materia" anche del Sacramento. Perciò, ogni volta che gli sposi cristiani s'incontrano nella intimità coniugale, in quel momento vivono il sacramento del Matrimonio che comunica loro la grazia, ma anche tutte le volte che abusano del loro incontro coniugale fanno violenza al sacra-mento e ne rendono vana la grazia. Inoltre, anche la formula rituale con cui gli sposi siglano il loro patto diventa "forma" del matrimonio. In essa, mentre esprimono la cessione re-ciproca, consapevole e volontaria, del diritto sul proprio corpo, gli sposi si comunicano, come strumenti di Cristo, anche la grazia. Infine, essendo loro, gli sposi, che pronunciano la formula del Sacramento e ne provvedono la materia, essi sono anche i "ministri" del Matrimonio. Quando l'uomo, rivolto alla donna dice: "Io prendo te coma mia sposa...", in quel momento egli non solo offre se stesso in dono alla donna, ma anche le amministra il Sacramento e le conferisce la grazia. Da quel momento egli diventa per lei non solo il "suo uomo", ma diventa anche la strada per andare a Dio e santificarsi. Similmente quando la donna si rivolge all'uomo e dice: "Io prendo te come mio sposo...", gli offre in dono se stessa, il sacramento e tutta la ricchezza di grazia che il Sacramento produce. Anche lei, da quel momento, diventa per lo sposo, non solo la "sua donna" ma anche la strada per andare a Dio e santificarsi. Nessun uomo e nessuna donna, per quanto grandi siano i beni e le ricchezze che possiedono su questa terra, potranno mai farsi un "regalo di nozze" così grande e prezioso come quello che si scambiano gli sposi cristiani davanti all'altare. Nulla al mondo vale di più di Cristo e della sua Grazia che gli sposi ricevono nel matrimonio.

44 - Le nozze di Cana Nel matrimonio cristiano, infatti, accade ciò che è accaduto a Cana di Galilea durante un banchetto nuziale al quale era stata invitata la Madonna con Gesù e gli Apostoli. Gesù operò allora il suo primo miracolo, un miracolo fuori tempo, quasi una primizia; non era ancora giunta la "sua ora". E non fu a caso che Gesù trasformò l'acqua in vino. Avrebbe potuto compiere un altro miracolo magari più importante o più spirituale. Invece ha fatto una cosa molto materiale che poteva sembrare anche superflua. E l'ha fatta su ri-chiesta di sua Madre, anticipando addirittura l'ora della sua manifestazione come Messia.

Non mi trattengo a commentare questo famoso episodio della vita del Signore dove il vino significa il nuovo Testamento inaugurato da Cristo, nonché il valore sopraeminente della Grazia rispetto alle Promesse, e viene altresì indicata la missione materna di Maria e l'infallibile efficacia della sua Mediazione. Mi interessa soltanto farvi notare la presenza di Cristo ad uno sposalizio dove egli compie il suo primo miracolo; ed è un miracolo che riguarda qualcosa di strettamente collegato con una festa nuziale. Il motivo primo di quel miracolo sembra quello di far risparmiare agli sposi una brutta figura togliendoli da una situazione incresciosa che avrebbe potuto rovinare tutta la festa. Ma è troppo poco, se pensiamo che Cristo impiega la sua onnipotenza divina e anticipa i tempi di Dio. Dobbiamo pensare a un significato più profondo che riguarda il rapporto di Cristo con la realtà del Matrimonio. È un significato che si ricollega all'Incarnazione: il Figlio di Dio eleva e santifica ogni realtà umana creata da Dio. Alle nozze di Cana, con la sua presenza, trasforma il matrimonio in qualche cosa di divino, in strumento di Grazia. L'acqua pulita e vitale dell'amore umano è trasformata da Cristo nel vino ge-neroso e fecondo dell'amore di Dio, l'Amore trinitario che trabocca dall'intimo della vita divina. Una realtà naturale diventa quindi strumento, "segno efficace", di una realtà soprannaturale. Ecco dunque cosa significa per due coniugi cristiani celebrare il sacramento del Matrimonio: mettere Cristo-Sposo, con la forza santificante del-la sua Redenzione, nel proprio amore sponsale per farlo diventare sorgente di grazia e cammino di santità.

45 - Matrimonio e santità Questo, del "matrimonio cristiano come cammino di santità" è uno dei capitoli più rivoluzionari nella storia dell'ascetica cristiana. Per secoli si è pensato che il matrimonio fosse un ostacolo alla santità, o comunque, una strada difficile e impraticabile per chi voglia veramente servire Dio in santità di vita. Il Signore ha suscitato oggi nella Chiesa veri "profeti" della vocazione alla santità rivolta anche ai coniugi cristiani. Il Matrimonio è una vocazione divina, che fa dell'amore coniugale e della famiglia il luogo dove si possono e si devono vivere, anche eroicamente, tutte le virtù cristiane ispirate dall'amore di Dio e del prossimo. Uno di questi profeti che hanno anticipato le solenni affermazioni del Concilio Vaticano II scrive: "Il Matrimonio Cristiano non è una semplice Istituzione sociale, né tanto meno un rimedio alle debolezze umane: è un'autentica vocazione soprannaturale (...). Il Matrimonio istituito da Gesù Cristo è indissolubile: segno sacro che santifica, azione di Gesù che pervade l'anima di coloro che si sposano e li invita a seguirlo, perché in lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra. Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione." (Escrivà: "È Gesù che passa" n. 23). Se ricordate, abbiamo cominciato questi nostri incontri di riflessione partendo dalla verità fondamentale di Dio-Creatore. Li concludiamo, ora, tornando a Dio dopo aver considerato il mistero stupendo dell'amore umano secondo il disegno di Dio e restaurato in Cristo. Torniamo a Dio con una conclusione che forse non avevamo prima pensato: tra cristiani, ci si sposa per essere santi. Dovete prendere questa espressione alla lettera, come vanno prese alla lettera le esigenze di santità contenute nel nostro battesimo. Se è vero che il sacramento del Matrimonio è lo sviluppo della grazia battesimale in ordine alla vita coniugale e familiare, allora la vocazione al matrimonio contiene e specifica la vocazione battesimale che è la chiamata di Dio a vivere sulla terra vita divina, seguendo da vicino l'insegnamento e la vita di Cristo. In altre parole, il sacramento del Matrimonio mette nell'amore e nella vita coniugale tut-ta la ricchezza e la potenzialità soprannaturale del battesimo. Pensate allora alla grazia santificante che apre la vostra vita coniugale a un rapporto più intimo e profondo con Dio, al senso vivo della filiazione divina, all'orazione e alla preghiera di contemplazione, alla gioiosa conformità con la volontà di Dio; pensate alle virtù teologali: la fede, la speranza, la carità, inserite nella vostra vita famigliare con tutto il valore soprannaturale che esse conferiscono alle cose grandi o piccole della vita quotidiana; pensate ai doni dello Spirito Santo che la Cresima ha perfezionato in voi, e

tutte le risorse di forza, di criterio e saggezza che essi possono offrirvi nei momenti difficili della vostra missione di coniugi e di genitori cristiani... Ecco altrettanti capitoli della spiritualità coniugale che deve segnare il cammino della santità degli sposi cristiani, con la stupenda testimonianza che ne deriva davanti al mondo e alla Chiesa.

46 - Matrimonio e apostolato Vorrei concludere con le parole di quel "profeta" della santità laicale che vi ho prima citato: "Da quarant'anni predico il significato vocazionale del matrimonio. Quante volte ho visto illuminarsi il volto di tanti, uomini e donne, che credendo inconciliabili nella loro vita la dedizione a Dio e un amore umano nobile e puro, mi sentivano dire che il matrimonio è una strada divina sulla terra! Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso; perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. Chi è chiamato allo stato matrimoniale trova in esso, con la grazia di Dio, tutti i mezzi per essere santo, per identificarsi ogni giorno di più con Gesù e per condurre verso il Signore le persone con cui vive. (...) Gli sposi cristiani devono avere la consapevolezza di essere chiamati a santificarsi santificando, cioè ad essere apostoli; e che il loro primo apo-stolato si deve realizzare nella loro casa. Devono capire l'opera soprannaturale che è insita nella creazione di una famiglia, nell'educazione dei figli, nell'irradiazione cristiana nella società. Dalla consapevolezza della propria missione dipende gran parte dell'efficacia e del successo della loro vita: "la loro felicità". ("Colloqui con Mons. Escrivà" n. 91). È questa felicità, umana e divina, che io auguro a tutti voi.

LA FAMIGLIA EPIFANIA DELLA TRINITÀ

47 - La falsa autonomia dell'uomo

Abbiamo riflettuto, negli incontri precedenti, sul matrimonio come istituzione naturale in riferimento al disegno di Dio, e come mistero in riferimento a Cristo che ha elevato il patto d'amore degli sposi a sacramento, fonte di grazia per un cammino di santità e di servizio alla vita.

A questi discorsi abbiamo premesso una riflessione su Dio, perché è impossibile fare un discorso serio ed esaustivo su queste realtà della vita umana prescindendo da Dio che ne è l'autore. L'amore umano e il matrimonio sono realtà che ci precedono; precedono la volontà degli sposi e precedono le leggi degli uomini. È opportuno, anzi urgente, richiamare tutto questo in una congiuntura socio-culturale come l'attuale in cui la secolarizzazione ha portato gli uomini a rivendicare una autonomia assoluta da ogni valore trascendente, attribuendo a se stessi il diritto - la pretesa - di stabilire il bene e il male, di determinare il vero e il falso. È la tentazione che da sempre, da quando l'uomo è apparso sulla terra, insidia la sua intelligenza, da quando, come dice la Bibbia, volle cibarsi dell'"Albero della scienza del Bene e del Male". La conseguenza di questa pretesa è un esasperato soggettivismo che cancella ogni verità riducendo tutto a opinione, per cui ognuno ha la sua verità e la sua morale. Del resto, abbandonato Dio, all'uomo non resta che se stesso: le sue opinioni e il suo "pensiero debole", i suoi Parlamenti e le sue ghigliottine, i diktat dei mass-media e gli imperativi della maggioranza, e infine la tirannide delle sue democrazie. Quando l'uomo rifiuta Dio, diventa ridicolo e assur-do, e finisce poi nella miseria intellettuale e morale come ha tragicamente dimostrato il secolo XX.mo. Ma in mezzo a tutte le sue pretese certezze, l'uomo conserva dentro di sé l'implacabile domanda: "Cos'è, e dove sta la verità?". "Che cos'è il bene?". La risposta non può venire da una "tavola rotonda", da un confronto di opinioni o da un qualsiasi altro organismo democratico. L'unica risposta vera l'ha data Gesù, Figlio di Dio e Redentore dell'uomo, che ha detto: "Io sono la Verità" e: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita", quel Gesù che nelle Beatitudini ci ha indicato la strada della felicità. Ciò non vuol dire che accogliere la verità di Cristo sia facile, e sia facile compiere il bene che egli ci ha indicato. Lui stesso ci ha avvertiti: è stretta la via che conduce alla vita. Ma il Signore non si è limitato a indicarci la verità e il bene lasciandoci poi alla mercé delle nostre povere risorse umane. Proprio parlando del matrimonio che unisce l'uomo e la donna per tutta la vita in un vincolo indissolubile d'amore, impegno davanti al quale gli Apostoli stessi si sono spaventati, Gesù affermava che ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio, perché "Tutto è possibile a Dio". Si tratta dunque di far posto a Dio nella vostra vita coniugale. Non dimenticate che l'amore sponsale è segno dell'Alleanza di Dio con l'uomo, alle-anza che Gesù ha portato a compimento nell'Incarnazione, quando ha ricongiunto l'uomo con Dio, e nel sacrificio della croce, quando ha dato se stesso per la sua Chiesa. Perciò, celebrando il sacramento del matrimonio, voi mettete Cristo-Sposo nel vostro amore umano. Ecco perché non c'è vero matrimonio là dove non è presente Cristo. Rifiutare il sacramento del matrimonio è impedire a CristoSposo di entrare nella vostra vita coniugale e famigliare: quell'amore non porta il sigillo di Dio. Non è quindi un amore che santifica, un amore che viene accompagnato dalle benedizioni di Dio. Sapete dunque dove sta la verità, avete la possibilità di discernere ciò che è bene e ciò che è giusto agli occhi di Dio, potete attingere con la preghiera e con i sacramenti all'amore di Cristo che cammina accanto a voi e non vi lascia mai: in una parola avete a disposizione tutte le condizioni per essere felici. L'amore è la cosa più preziosa, vale più di ogni bene e merita ogni sacrificio. Non lasciate che ve lo rovinino; proteggetelo e difendetelo ad ogni costo. L'Amore, l'abbiamo già detto, è l'Essere stesso di Dio. E Dio è fedele; non venite meno alla vostra alleanza con lui!

48 - Dio, autore della famiglia Ciò che abbiamo detto dell'amore umano e del matrimonio, dobbiamo dirlo anche, e in certo senso a maggior ragione, di quella realtà che nasce dal matrimonio e ha in esso il suo fondamento: la famiglia. Non potevamo concludere questi incontri senza soffermarci su alcune fondamentali riflessioni intorno a questa realtà oggi così maltrattata e brutalmente aggredita da tante parti. La prima constatazione la desumiamo dalla Bibbia: la famiglia è icona della Santissima Trinità, una metafora della divinità, figura che manifesta la vita intima di Dio. Infatti Dio è uno e unico, ma non è solo. Se Dio fosse solo, fosse un essere monolitico come pensano i mussulmani, non sarebbe Amore. L'amore infatti, sancisce il rapporto fra persone. Ora, Dio è amore proprio perché è Padre, Figlio e Spirito Santo: è famiglia.

Quando Dio creò l'essere umano, lo volle a sua immagine e somiglianza. "E Dio creò l'uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò". L'essere umano è dunque immagine di Dio - porta la sua firma - non solo come singolo individuo, come persona, ma anche come coppia, come uomo-donna indissolubilmente uniti - "saranno due in una sola carne" - da un amore che è partecipazione all'amore sponsale di Dio. La famiglia affonda perciò le sue radici nell'essere stesso di Dio, è Lui il suo autore, è Lui il suo legislatore. Dio è un autore geloso, perché quello che fa lo fa per il bene delle sue creature e per la loro felicità. Nessuno dunque può mettere le mani sulla famiglia con la pretesa di alterarne la natura e le leggi: non gli sposi, non la società, nemmeno la Chiesa e tanto meno lo Stato. Si comprende anzi perché la Chiesa proclami e difenda a gran voce a davanti a tutti la dignità e la sacralità del matrimonio e della famiglia: sono cose di Dio. Si capisce anche perché, avendo voltato le spalle a Dio e avendolo emarginato dalla vita, la so-cietà attuale, soprattutto la cultura occidentale, abbia profanato l'amore umano e rovinato la famiglia, riducendo il matrimonio a un affare privato, abban-donandolo alla mercé di opinioni, costumi e leggi che non rispettano il disegno di Dio. 49 - La famiglia: realtà inscritta nella natura umana Se, dunque, da una parte la famiglia è specchio della Trinità santissima e ha nel disegno di Dio le sue radici, da parte dell'uomo essa si configura come una realtà inscritta nella natura stessa dell'essere umano. Riguardo all'uomo, la famiglia è una istituzione naturale, universale, non evolutiva. In altre parole, analizzando la natura dell'uomo in tutte le sue dimensioni, vediamo che la famiglia risponde a esigenze costitutive dell'essere umano in quanto essere aperto alla solidarietà e alla comunione. Come individuo, infatti, l'uomo è "persona", un assoluto unico e irrepetibile che rimanda a Dio, ma l'uo-mo è anche creatura e come tale è limitato, è perciò relativo a Dio quanto all'esistenza e relativo ad altre creature quanto alla vita. Da queste due relazioni, che definiscono gli aspetti più profondi ed essenziali dell'uomo come creatura razionale, nasce la famiglia. Essa perciò è il luogo dove l'essere umano trova il suo "habitat" naturale. La stessa differenziazione sessuale non è un fatto marginale nella natura umana. Essa rende possibile quella relazione uomo-donna che è fondante della famiglia e configura tutti gli aspetti del-la vita famigliare. L'uomo da solo non dà origine ad una famiglia e la donna da sola non dà origine ad una famiglia. E nemmeno un uomo con un altro uomo, o una donna con un'altra donna danno origine ad una famiglia. Non è rispettoso della verità e della natura delle cose confondere la famiglia con qualsiasi altro tipo di convivenza. La famiglia scaturisce dalla comunione di vita e dalla solidarietà dell'amore tra un uomo e una donna che sono ordinati per loro natura al servizio della vita. Solo da una famiglia così intesa l'essere umano viene al mondo e si realizza pienamente co-me persona. L'esistenza e la vita dell'uomo - la sua crescita e la sua formazione - trovano nella famiglia naturale il luogo proprio e specifico per attuarsi, e l'uomo e la donna realizzano lì il loro servizio primario e fondamentale all'essere umano, e nello stesso tempo trovano lì il modo di realizzare se stessi come uomo e donna. Allontanarsi da questo modello di famiglia corrispondente al disegno di Dio e alla struttura dell'essere umano non è instaurare un "modo diverso" di fare famiglia, ma è fare violenza alla natura, falsare la realtà delle cose e stravolgere i significati dell'amore umano.

50 - Stabilità della famiglia Non è dunque la stessa cosa essere marito e moglie o essere "compagni", o amanti o semplicemente conviventi. E tanto meno essere i "dongiovanni" del cosiddetto "libero amore". Cosiddetto perché non è né libero né ancor meno è amore. La famiglia esige un marito e una moglie; è come dire che la famiglia si fonda sul matrimonio. Non semplicemente su un uomo e una donna, ma su un uomo-donna uniti da un patto d'amore che li lega indissolubilmente per tutta la vita. Questa esigenza, di avere come fondamento il matrimonio, nasce per la famiglia da una delle sue caratteristiche fondamentali: la stabilità.

L'uomo, soprattutto nelle fasi della sua nascita, del suo sviluppo fino alla maturità della sua persona, ha bisogno di un ambiente familiare stabile. Non si tratta di una stabilità puramente esteriore, ambientale, ma di una stabilità più profonda che attinge al rapporto stesso interpersonale dei coniugi, cioè a quel vincolo libero e irrevocabile con il quale gli sposi si sono fatti dono l'uno all'altro, si sono uniti intimamente donandosi tutto ciò che di coniugabile esiste nella loro persona, fino ad essere non più due ma uno. Questa unità degli sposi fondata sul vincolo coniugale, unità che nessuna volontà può rompere, è la vera garanzia della stabilità della famiglia. Non si tratta dunque di una unità materiale, quella di chi vive insieme sotto lo stesso tetto, ma di una comunione di vita tra persone che si appartengono intimamente, comunione che crea un modo di pensare e dà un tono ben preciso e caratteristico a tutto il comportamento degli sposi, al loro esprimersi e al loro muoversi in casa. Quando manca questa unità, anche se apparentemente non sembra, i figli, specialmente i figli piccoli che hanno come un sesto senso, lo avvertono, sia pure inconsciamente, e lo esprimono in una inquietudine che è malessere, un malessere da insicurezza, dovuta al senso di instabilità che respirano dalla famiglia. La stabilità della famiglia non è soltanto una esigenza che riguarda i figli, la loro crescita e la loro formazione, ma risponde anche a una condizione essenziale per la vita della coppia come tale. Anche gli sposi devono crescere e maturare come sposi. Non basta essere marito e moglie se poi non si realizza una sempre più matura e profonda comunione di vita. La stabilità familiare, se da una parte è conseguenza dell'unità del matrimonio, dall'altra è condizione necessaria per la crescita umana e spirituale dei singoli sposi. Senza questa maturazione, il matrimonio rimane un atto puramente formale, i rapporti coniugali si riducono a un freddo scambio di prestazioni fisiche, che hanno perduto ogni calore e non hanno nulla a che vedere con l'amore.

51 - Le componenti dell'amore coniugale Se la stabilità della famiglia deriva dall'unità del matrimonio, quest'ultima esige la "solidarietà dell'amore". Non possiamo qui tornare sul tema dell'amore coniugale di cui abbiamo trattato nel secondo incontro (numeri nn. 27-35), sarà tuttavia utile un approfondimento per comprendere meglio e quindi vivere con pienezza quell'unità del legame sponsale che è alla base della stabilità della famiglia. Abbiamo già detto che l'amore coniugale, l'a-more degli sposi è l'asse portante di tutti gli altri amori o espressioni dell'amore che si vivono in famiglia: l'amore paterno, materno, fraterno, figliale e la stessa amicizia fra i vari personaggi della famiglia. Quando viene meno l'unità dell'amore sponsa-le ne soffrono tutte le altre espressioni dell'amore. Ora, che cosa comporta veramente l'amore nel matrimonio? Qual è la sua natura e le sue caratteristiche essenziali? Finora abbiamo parlato dell'amore come virtù e come comportamento spirituale della persona; cioè l'amore dal punto di vista morale, psicologico e ascetico. Dal punto di vista morale, l'amore negli sposi riguarda l'esercizio della sessualità secondo una norma che regola l'istinto, regola cioè l'attrattiva fisica che è legata all'aspetto concupiscibile dell'a-more. Dal punto di vista psicologico, l'amore coniugale riguarda l'aspetto sentimentale e sensitivo dell'amore che ha come movente e come oggetto le qualità della persona amata; è l'amore tipico degli innamorati ed è caratteristico del fidanzamento. Dal punto di vista ascetico, l'amore coniugale riguarda l'esercizio della virtù della carità con tutte le virtù che le fanno corona: la stima, la pazienza, l'allegria, la comprensione, il perdono ecc.; copre tutto lo spazio della vita spirituale e si apre alla sfe-ra soprannaturale dell'amore cristiano. Va da sé che tutti questi aspetti devono essere presenti nell'amore coniugale. Se infatti mancasse la componente sessuale (l'attrattiva fisica), o la componente psicologica (l'attrattiva sentimentale e affettiva), o fosse carente la componente spirituale (l'attrattiva delle doti morali e delle virtù), difficilmente l'amore coniugale reggerebbe, resterebbe comunque esposto a crisi ricorrenti e pericolose. Tuttavia, queste componenti dell'amore coniugale si fermano alle "circostanze", vale a dire a ciò che sta attorno alla persona amata e che è fonte di gratificazione per me; mi do a quella persona per ciò che quella persona può darmi. Questo è inevitabile perché l'uomo non può vivere senza amare e senza essere amato.

L'amore in noi, che siamo creature, ha due movimenti: il dare e l'avere, va e torna. In Dio, che è la pienezza dell'essere, c'è solo il dare: Dio, nei nostri confronti, è tutto e solo dono. Perciò il nostro amore a Dio è, in realtà, il suo stesso Amore che dimora in noi, e chiede di essere accolto per realizzare con noi un'intima e perfetta comunione.

52 - La componente "personale" nell'amore coniugale. Proprio il concetto di "comunione" ci permette di andare oltre le componenti dell'amore coniugale che abbiamo fin qui esaminato. Quelle componenti lasciano gli sposi ancora l'uno di fronte all'altro, con un legame tra loro che si limita all'attrazione reciproca; sono un "io" e un "tu" che si vogliono bene, ma non realizzano ancora il "non sono più due ma una sola carne", anche se si scambiano rapporti fisici. Sono due amori - il "mio" e il "tuo" - che si attraggono, ma che non si sono ancora fusi in "unità". Si potrebbe dire che sono un amore coniugale, ma non sponsale. Il vero amore sponsale, ha scritto Giovanni Paolo II, "consiste nel dono della persona. La sua essenza è il dono di sé, del proprio "io". È cosa diversa e nello stesso tempo qualcosa di più dell'attrazione, della concupiscenza, e perfino della benevolenza. ( ) Donarsi è più che "voler bene" ( ) L'amore sponsale ha dunque un carattere che possiamo dire metafisico, attinge cioè alla persona stessa, e realizza il reciproco donarsi di due persone in un unico dono che diventa intima comunione. Insomma, l'amore sponsale realizza il passaggio del-l'"io" e del "tu" al "noi". Il "noi" è sempre un plurale; in esso cioè non si annulla l'identità personale dell'io e del tu, e tuttavia in quell'unico "noi", l'io e il tu s'incontrano nella comunione di una sola carne.". Questi ragionamenti, che hanno l'apparenza di essere discorsi astratti, lontani dalla vita reale di ogni giorno, sono invece carichi di conseguenze pratiche. Occorre fare un po' di sforzo ed entrarci dentro con semplicità e convinzione per scoprirne tutta la ricchezza. 53 - La dinamica del "dono di sé". Maturità dell'io Innanzitutto occorre comprendere con chiarezza che tutta la dinamica dell'amore sponsale sta nel dono di sé, nella capacità degli sposi di farsi dono reciproco. Ho detto "capacità" di farsi dono: per donarsi intimamente l'uno all'altro bisogna essere capaci di farlo; è una capacità che suppone una solida maturità umana. Purtroppo l'attrattiva dell'uomo verso la donna e della donna verso l'uomo può ingannare, e quanto più questa attrattiva è intensa (a volte addirittura travolgente), tanto più facilmente essa può nascondere l'inganno, può coprire l'interiore incapacità di donarsi. Il farsi dono come persona non si improvvisa, richiede una provata maturità personale. Occorre innanzitutto un sicuro dominio di sé; non può donarsi chi non si possiede. Il responsabile dominio di se stessi, del proprio io e delle proprie facoltà, è il segno più sicuro di una vera maturità umana. Chi si lascia trascinare abitualmente, dico abitualmente, dalle proprie intemperanze di carattere, di sentimenti, di emozioni, di cattivo temperamento, difficilmente raggiungerà la maturità umana necessaria per farsi dono; finirà per costruirsi una egocentrica rete di egoismi che gli impedirà non solo di capire l'altro, ma semplicemente di "vederlo", di pensarlo come un "tu" personale capace di farsi dono. Abbiamo detto che il "noi" non annulla l'identità personale dei singoli sposi, ne esige invece una profonda maturità umana e, se fosse possibile, una forte personalità. Questo deve spingere gli sposi al-la stima reciproca e al rispetto della libertà di ciascuno. Quando un coniuge teme la libertà dell'altro significa che non ha stima di se stesso, non è sicuro del proprio amore e quindi non sa farsi dono per l'altro. Anche in questo caso finisce nella rete dell'egocentrismo, cioè della paura e della preoccupazione del proprio io, con la conseguente incapacità di capire l'altro. È questo infatti il secondo segno della vera maturità umana: la capacità di capire l'altro. Non si tratta soltanto di conoscere e capire, ripeto: "conoscere e capire" la singolarità dell'altro nella sua personalità, ma per il nostro discorso si tratta di un capirsi dell'uomo e della donna all'interno del loro amore coniugale. Comprendere la personalità di un altro può risultare anche abbastanza facile. La donna soprattutto, dotata com'è per natura di una psicologia molto concreta, quasi elementare ma sottile, capisce intuitivamente la personalità dell'uomo, ma con fatica riesce a capire se stessa e il modo di comportarsi dell'uomo all'interno dell'amore coniugale. Per questo la donna ha un forte bisogno di essere capita, soprattutto dall'uomo che ama, e sentirsi da lui intimamente accolta.

La donna vive il dono di sé all'interno dell'amore coniugale come "abbandono" totale di se stessa all'uomo, e quando l'uomo non si rende conto di questo atteggiamento o, immaturo nel suo egoismo, non si apre a questo dono, causa nella donna un angoscioso senso di frustrazione; essa si sente rifiutata nel suo amore e svalutata nella sua femminilità. L'uomo da parte sua vive il dono di sé nell'amore coniugale come "possesso". Dico possesso in senso positivo in quanto l'uomo accoglie la donna come parte di se stesso, come un tesoro che entra nel suo cuore e lo dilata togliendolo dalla solitudine e facendogli scoprire l'amore. È per questo che la donna nel suo "abbandono" avverte l'impellente bisogno di sentirsi "posseduta" dall'uomo, perché in quel momento essa avverte di essere per lui un valore e una ricchezza. Quando manca questa reciproca conoscenza e questa reciproca comprensione, con la conseguente difficoltà di farsi dono, "l'abbandono" da parte della donna diventa una sofferta rassegnazione unita ad un umiliante complesso di inferiorità, e nei casi peggiori un'arma di ricatto contro l'uomo; mentre da parte dell'uomo, il "possesso" diventa fredda strumentalizzazione, a volte ignobile, della femminilità della donna. Molti matrimoni sono falliti perché gli sposi si sono accontentati di "volersi bene", si sono lasciati condurre dalla attrattiva dell'amore che li ha spinti l'uno verso l'altro, anche intensamente, creando in loro la convinzione che quell'amore sarebbe stato eterno e infrangibile. In realtà non era un "unico" amore, ma due amori, l'uno di fronte all'altro che si scambiavano reciprocamente. Finché i due amori non diventeranno un "unico" amore attraverso il dono di sé in un'intima comunione di vita, non si realizza quell'unità del matrimonio che è fondamento della stabilità della famiglia. Quando sarete sposati, vi accorgerete, col passare del tempo, che anche dopo tanti anni non vi conoscete ancora pienamente. Anno dopo anno andrete scoprendo nel coniuge aspetti nuovi della sua personalità che non conoscevate. Spesso sono limiti e difetti che subito non apparivano tali, ma che col passare del tempo rivelano tutto il loro peso e la loro gravità. Ora, anziché costituire un ostacolo o un motivo di pessimismo, la difficoltà a capirsi diventa un'ulteriore provocazione a maturare come persone e come sposi.

54 - Unicità dell'amore coniugale Il dono di sé è possibile solo mediante l'amore. La persona, infatti, nell'ordine dell'essere, è inalienabile e impartecipabile. Per sua natura - è un assoluto - la persona non può appartenere a nessun altro, solo a se stessa e a Dio. Non può dunque alienarsi per farsi dono ad un'altra persona. È sul piano della vita e non dell'essere che una persona è relativa ad un'altra persona e può farsi dono ad essa in una intima comunione di vita. È appunto questo l'amore. Per cui Gesù poteva dire: "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona amata" (e si potrebbe dire anche alla persona amata). E San Paolo affermava: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me". La vita è amore e perciò può farsi dono, un dono così pieno e intimo che i due sposi non sono più due vite parallele che camminano insieme, ma una intima comunione di vita che realizza l'unità dell'amore. Ricordate l'analogia su cui abbiamo riflettuto all'inizio tra la famiglia e la Trinità Beata: in Dio le Persone sono distinte, l'una non è l'altra, e tuttavia circola in esse un'unica vita divina; le unisce un unico amore. L'uomo e la donna sono nella loro individualità persone distinte, ma attraverso l'unità dell'amore possono tendere a una piena comunione di vita. Questa unità dell'amore ci aiuta anche a capire la "unicità" dell'amore coniugale: nel matrimonio si uniscono un solo uomo e una sola donna. Il dono di sé include tutto ciò che di coniugabile possiede una persona. Il "saranno due in una sola carne" esclude la pluralità del vincolo coniugale. Unica è la persona, unica la vita, unico l'amore coniugale. Questo non esclude che gli sposi vivano altre forme di amore e di dedizione in seno alla Chiesa e alla società, impegnando i propri valori umani di uomo e di donna, ma queste forme hanno una natura diversa dall'amore coniugale e, semmai, possono fare riferimento ad una sponsalità trascendente. Pensiamo, per citare l'esempio a noi più vicino, alla dedizione totale della propria vita e della propria femminilità verginale di Madre Teresa di Calcutta, come, del resto, la praticarono in passato San Vincenzo de Paoli e mille altri santi e sante che hanno vissuto il dono di sé nelle forme più diverse ed eroiche.

55 - Il dono di sé nella reciprocità dell'amore Questa unicità dell'amore coniugale è conseguenza anche della "reciprocità". Farsi dono potrebbe essere espresso in altro modo; si potrebbe dire che consiste nell'aprire il nostro io per ospitare dentro di noi la persona amata; è fargli posto dentro il nostro cuore, nei nostri pensieri, nei nostri progetti, è farla entrare con pienezza nella nostra vita. La stessa cosa, però, deve potersi dire della persona amata: essa deve aprire il suo "io" e far posto a "me"; devo anch'io poter entrare nella sua vita con pienezza, essere ospitato a pieno titolo nel suo cuore, nei suoi pensieri, nei programmi della sua vita. È questa la reciprocità dell'amore che realizza quell'unità coniugale di un cuor solo e un'anima sola. Come segno visibile, possiamo pensare allo sposo che introduce la sposa nella propria casa, o alla stanza della sposa che diventa un tutt'uno con la stanza dello sposo. L'amore coniugale non può essere unilaterale né può limitarsi allo scambio di due amori. Se così fosse, gli sposi finirebbero col dubitare l'uno dell'altro, e non potrebbero dirsi reciprocamente e con verità: "Tu sei il mio uomo" - "Tu sei la mia donna", non con significato possessivo, ma nel senso complementare e unico. Inoltre essi non sarebbero più sicuri del loro amore che andrebbe pian piano spegnendosi o rimarrebbe pericolosamente superficiale, quando non prenderebbe direzioni di egoismo e di pura utilità reciproca. Allora gli sposi resterebbero uniti da esclusivo interesse soggettivo di tipo sessuale o di tipo affettivo. L'amore coniugale è uno e unico solo nella re-ciprocità, e solo nella reciprocità acquista il carattere della certezza e della stabilità. Scrive Giovanni Paolo II: "Perché nasca il 'noi', il solo amore bilaterale non basta, perché in esso, malgrado tutto, ci sono due 'io', sia pur già pienamente disposti a diventare un solo 'noi'. È la reciprocità che, nell'amore, decide della nascita di questo 'noi'. Esso prova che l'amore è maturato, è diventato qualcosa tra le persone, ha creato una comunità ed è così che realizza pienamente la sua natura". La stabilità della famiglia poggia dunque sulla reciprocità di un amore coniugale uno e unico che sa farsi dono gratuito e totale in una comunione di vita sempre più profonda, frutto di una maturità umana mai pienamente raggiunta, e tuttavia sempre umilmente cercata e conquistata sul campo delle varie circostanze della vita e nelle piccole situazioni di ogni giorno. 56 - L'amore "vero" L'amore non può essere dato per scontato, e il dono di sé non può essere fatto "una volta per sempre", anche se si ha sempre l'intenzione di donarsi. Frasi come: "Fra noi tutto è finito" - "Ormai non abbiamo più nulla da dirci" - "Non sento più niente per lui (o per lei)" - "Non ce la facciamo più a sopportarci" , rivelano un grave errore di impostazione dei problemi o superficialità nella loro valutazione, superficialità che spesso va unita a povertà morale e spirituale, quando non è gretto egoismo. Sono comunque segno di una avvilente immaturità della persona. Non ci sono difficoltà o sacrifici che siano più importanti o valgano di più dell'amore e della famiglia. Certo, vivere con una moglie depressa o eternamente insoddisfatta non è un bel vivere, o convivere con un marito poco espansivo o prepotente o latitante all'ambiente familiare non è una convivenza facile né gratificante. Ma l'amore e la famiglia valgono di più e, salvo situazioni estreme per le quali può essere consigliabile una temporanea o parziale separazione a scopo medicinale, l'a-more sa andare oltre le difficoltà, sdrammatizza le situazioni, sa dare tempo alle cose, spinge a cambiare prima se stessi perché cambino gli altri, non vede solo gli ostacoli o gli aspetti negativi delle vicende, ma cerca di ricavare il bene da ogni circostanza; spesso una litigata dovuta a incomprensione o a divergenza di opinioni può essere utile per chiarirsi meglio, per rinnovare l'amore e capirsi di più in avvenire. Farsi dono reciprocamente vuol dire che ognuno pensa alla felicità dell'altro. È una felicità che l'amore vero costruisce gior-no per giorno con tanti piccoli gesti che sono come piccoli fiori freschi e profumati, che vi offrite l'un l'altro. L'amore vero porta ciascuno di voi a dimenticarsi di se stesso, delle proprie comodità, dei propri gusti, dei propri criteri. L'amore vero ama la persona integralmente, anche con i suoi limiti e i suoi difetti.

E d'altra parte l'amore vero spinge a lottare e superare i propri difetti per rendersi amabile alla persona amata. Come già abbiamo ricordato, l'amore vero non tiene in tasca l'elenco dei torti e delle ragioni, non umilia, non rinfaccia le manchevolezze e gli in-successi, non ricorda il male ricevuto, ma perdona di cuore mille volte. L'amore vero si fa sorriso nei momenti di stanchezza, si fa silenzio nei momenti di tensione e di insofferenza, si fa servizio gioioso quando è il momento del sacrificio, si fa umile pazienza nelle piccole contrarietà della vita. Ancora, l'amore sa addolcire con un sorriso o una carezza i momenti di tensione o di rimprovero, e sa dire tante cose con il linguaggio del cuore e con parole di silenzio. Il dono di sé, quando è vero e autentico, conosce l'allegria e la gioia, diffonde serenità e ottimismo. Due sposi che si amano hanno lo sguardo limpido, si guardano l'un l'altro senza timore e leggono nei loro occhi il segreto dell'anima che ormai non ha più segreti. L'amore vero conosce anche la risata e l'amabile ironia perché sa prendersi in giro quando è minacciato dall'inquietudine o dall'ira. L'amore coniugale diventerebbe tremendamente noioso se non conoscesse l'umorismo e non illuminasse la routine quotidiana con le invenzioni creative del buon umore. La strada del dono di sé non finisce mai, perché la famiglia è un'impresa che impegna per tutta la vita.

57 - La famiglia: un'impresa C'è una frase popolare che può aiutarci a capire quest'ultima affermazione e che ci dice quale spirito due fidanzati devono acquisire e poi dovranno coltivare per tutta la vita coniugale, di fronte al matrimonio. Di due che si sposano la gente dice che "mettono su famiglia" o "mettono su casa". Ciò significa che costruire una famiglia è come mettere mano a un'impresa. Cioè, voi sposi, se volete muovervi con l'atteggiamento giusto quando pensate alla famiglia, dovete fomentare in voi uno "spirito imprenditoriale". Siete "imprenditori" di un'impresa che non ha eguali per importanza, dignità e valore, con nessun'altra impresa terrena. Potreste mettere su un impero economico, una istituzione gigantesca a livello mondiale o un monumento meraviglioso che possa sfidare i secoli, saranno sempre imprese che finiranno, diventeranno nel migliore dei casi ruderi per archeologi o turisti, ma ciò che la famiglia può dare non finirà mai, ogni essere umano che sboccia in una famiglia e in essa cresce e matura è qualcosa di eterno, va oltre il tempo e la vita terrena, si immerge nell'eternità perché ogni essere umano è partecipazione all'Essere di Dio. Le energie e le risorse impiegate per crescere un figlio in una famiglia che sia secondo il disegno di Dio, sono l'investimento più duraturo, più redditizio e più gratificante che si possa fare; per tutta l'eternità quel figlio sarà per voi "gaudio e corona". Come ogni impresa, anche la famiglia non si improvvisa; richiede tempo, dedizione, sacrificio, ri-chiede soprattutto fiducia e volontà di farcela, una volontà che non si arrende, non si scoraggia, non ce-de alla fatica o alla stanchezza o all'insuccesso, che è sempre apparente e provvisorio, perché il tempo e l'aiuto di Dio vi renderanno giustizia: sì, l'aiuto di Dio, perché col sacramento del matrimonio Dio si è impegnato con voi. Per costruire una famiglia, devono prima di tutto crederci gli sposi e crederci fino in fondo. Come per ogni impresa, il fallimento si ha quando non si mettono i mezzi e ci si lascia intimorire dal dubbio, dalla paura, dalla incertezza; quando cioè viene a mancare agli sposi la convinzione di chi ci crede seriamente. Purtroppo, oggi, gli sposi che vogliono "mettere su famiglia" non possono contare molto sull'aiuto dello Stato e sulla considerazione da parte della cultura attuale. La mentalità dominante sfacciatamente secolarizzata e, in Italia, leggi inique penalizzano la famiglia, la minano nella sua natura e nella sua stabilità e ne svalorizzano i compiti e la missione. Vi dico questo non per scoraggiarvi ma semmai per stimolare la vostra volontà e le vostre risorse interiori perché sappiate, se necessario, andare contro corrente, sfidare il nichilismo di una società che ha smarrito e tradito i valori perenni dell'uomo, e perché vi convinciate che alla fine ciò che vale veramente, ciò che è di Dio, risulterà vincente.

Voi siete i protagonisti della famiglia e voi dovete difenderla, perché nessuno oggi ve la difenderà, tranne la Chiesa. È lei, oggi, l'unica voce nel mondo che difende l'uomo nella sua dignità di persona e nella sua missione di "essere sociale", l'unica che promuove una società umana che sia conforme al progetto di Dio, società di cui la famiglia è radice e cellula fondamentale. Non abbiate dunque paura di mettervi dalla parte di Dio e della Chiesa. 58 - I protagonisti della famiglia Certo, la famiglia è un'impresa tutta particolare: in essa tutti sono "soci" e tutti sono protagonisti. Vale la pena che passiamo ora brevemente in rassegna i vari protagonisti della famiglia e il loro ruolo. Il primo protagonista è colui che comunemente viene chiamato "Capo famiglia". Il Capo-famiglia è insieme marito e padre. Queste due dimensioni, sebbene siano in se stesse ben definite come ruoli e come realtà antropologiche, per il fatto di coesistere nella stessa persona possono presentare qualche difficoltà a chi le deve gestire. Questo però è imputabile non alla coabitazione dei due ruoli, ma a difficoltà o immaturità psicologiche dell'uomo; in generale colui che sa essere un buon marito sa essere anche un buon padre, e chi sa ben gestire il ruolo di padre sa anche vivere positivamente il suo ruolo di marito. Tutto dipende dal suo equilibrio e dalla sua maturità umana. Il capo-famiglia deve saper armonizzare i due ruoli di marito e di padre secondo le circostanze e secondo l'età. Quando in una famiglia fa la sua apparizione un figlio, tutto cambia, l'equilibrio dei rapporti di coppia si sposta; si avverte subito che un figlio non è un soprammobile o un oggetto in più in famiglia. Un figlio è una presenza determinante nella vita della coppia e nell'ambiente familiare ed è importante che il capo famiglia si renda conto che questo equilibrio deve spostarsi senza entrare in crisi o subire tensioni pericolose. Innanzitutto l'uomo deve rispettare il rapporto madre-figlio, specialmente nella prima infanzia del bambino. Nei primi anni di vita il bambino ha un rapporto fisico con la madre, un rapporto tattile e olfattivo, sente l'odore della madre, il profumo e il velluto della sua pelle. Il rapporto col padre è invece uditivo. Ciò che del padre il bambino percepisce è dapprima la voce, e solo a poco a poco scopre il suo volto. Certe intemperanze vocali del padre possono provocare un sussulto nel bambino e possono creare nella sua esperienza associazioni negative. Se il padre non capisce e non rispetta questo rapporto "madre-figlio" si espone inconsciamente a crisi di gelosia; dovrebbe invece capire che, nel suo immaginario materno, la donna vede in lui più il padre del proprio figlio che non il marito. Col passare degli anni, il bambino vede nel padre la "norma", cioè con termine più crudo la "legge". A questo punto deve corrispondere nel pa-dre la scoperta dell'autorità o acquisire di essa una consapevolezza più chiara. È allora infatti che comincia il periodo più delicato e importante del ruo-lo paterno. Da come viene gestita, da quel momento in avanti, l'autorità paterna, si può valutare la maturità dell'uomo come padre di famiglia. Naturalmente ha la sua importanza, come vedremo, il comportamento della donna come madre e come sposa, ma non c'è dubbio che il ruolo più difficile è quello del padre e il peso maggiore dell'autorità è sulle spalle dell'uomo. Per due motivi soprattutto diventa più difficile il ruolo paterno: primo, perché occorre possedere la non facile virtù della prudenza per gestire opportunamente l'autorità e saper prendere le decisioni più giuste nelle singole circostanze della vita dei figli; secondo, perché in questo periodo il padre può trovarsi al centro di un fuoco incrociato, cioè tra la contestazione dei figli e l'incomprensione o le critiche della moglie. Nel primo caso, quando fa difetto la prudenza, il padre diventa facile preda dell'ambiguità, oscilla tra autoritarismo e permissività, e finisce miseramente travolto nelle proprie contraddizioni. L'alternativa a questo dilemma è la fuga, è sottrarsi alla propria autorità e rifugiarsi nell'assenteismo. La tentazione è forte e purtroppo molto diffusa, anche perché trova come alleate la timidezza e la vigliaccheria. Nel secondo caso, quando prevale il timore per le critiche o le contestazioni, il padre è tentato all'ammutinamento rifiutando ogni dialogo o all'irrigidimento usando forme di violenza verbale e di durezza comportamentale.

Ora, non è possibile educare senza l'autorità, e il padre di famiglia deve affrontare la "fatica" dell'autorità per non venir meno non solo al suo ruolo e alla sua responsabilità, ma anche alla piena realizzazione di se stesso come persona, da cui discende la gioia di essere padre. 59 - La "fatica" dell'autorità Per affrontare positivamente e gioiosamente la fatica dell'autorità, possono servire alcuni suggerimenti da tenere presenti nel gestire il ruolo di padre. Innanzitutto l'uomo deve ricordarsi della sua adolescenza, di come ha vissuto lui i problemi di quell'età, e valutarli alla luce della sua maturità di adulto e di padre. Questo lo aiuterà a capire il figlio adolescente, e a non disunirsi con reazioni sproporzionate o con ostinate discussioni che lo danneggerebbero nel suo prestigio di padre. Secondo, non impedire al figlio di dire le cose anche se questi usa un linguaggio impertinente salvo poi usare la severità necessaria per richiamar-lo al rispetto delle persone, e non stroncare mai le sue argomentazioni anche se superficiali e sciocche, favorendo invece tutto ciò che può facilitare il dialogo personale, dialogo che è condizione essenziale per qualsiasi intervento educativo. Ancora, saper dire di no nelle cose che hanno importanza o in cose che rispondono a puri capricci. Perciò i "no" non saranno molto frequenti e possibilmente saranno motivati, perché il padre, nel lessico familiare, non diventi il "signor no" e neanche il "signor ni" per l'incertezza o l'insicurezza del-le decisioni. I "no" paterni dovranno essere concertati con la moglie e da lei condivisi perché l'autorità non si presenti divisa in se stessa e perciò fragile e inefficace dal punto di vista educativo. Nei loro "no" padre e madre condividono l'autorità e non devono temere le contestazioni. Sappiamo che l'adolescente vive un momento importante anche se scomodo e difficile della sua vita. Egli sta scoprendo il suo "io", la sua individualità personale, e soffre un imperioso bisogno di autonomia. Ora, il primo legame dal quale tende a rendersi indipendente è il legame con le persone più vicine, i genitori. Egli, per realizzare la coscienza di se stesso e la sua autonomia, è spinto a prendere le distanze da loro, pur sentendosi ancora confuso e insicuro di sé. Perciò l'adolescente, mentre contesta l'autorità, ne sente contemporaneamente un assoluto bisogno, e guai se in quel momento l'autorità paterna fosse latitante. Il passaggio all'adolescenza segna il momento del vero taglio del cordone ombelicale. Il rapporto con la madre, che fino a quel momento era stato privilegiato dal figlio, entra in crisi, ed è in questa crisi che la presenza del padre ha un'importanza decisiva. Ed è anche in questo momento che il padre si gioca tutta la sua credibilità. A partire dall'adolescenza dei figli, l'autorità paterna sul piano di interventi decisionali va mano a mano diminuendo, e acquista invece sempre più importanza la sua autorità morale. L'autorità morale il padre se la conquista con l'esemplarità della vita, con l'integrità della condotta e con la coerenza con i principi. Gli adolescenti sono giudici spietati, soprattutto del padre, e difficilmente accettano giustificazioni. È questo il momento in cui, spesso, si assiste alla "Caduta degli dei". La figura mitica del padre forgiata nell'immaginario infantile rischia di andare a pezzi appena il figlio scopre una incoerenza o peggio una doppia vita nel padre. In quel momento l'autorità morale paterna può dirsi tramontata. C'è infine un modo molto gratificante e pedagogicamente vincente di esercitare l'autorità paterna: è la gestione collegiale dell'autorità. Quando si devono prendere decisioni che riguardano tutta la famiglia - e sono tante - è estremamente utile rendere partecipi della decisione tutti i membri della famiglia, anche i bambini. Si tratta di instaurare una specie di "Consiglio di famiglia" al quale, "democraticamente", tutti si sentono vincolati con l'obbligo di rispettarne le decisioni. È un modo elegante per impedire al padre di cadere nell'autoritarismo con la conseguenza di sentirsi addosso da parte di tutti l'etichetta di padre-tiranno.

60 - I compiti educativi dell'autorità paterna Ci sono tre compiti educativi particolarmente importanti nei quali l'autorità paterna e, come vedremo, la presenza materna hanno un ruolo decisivo; essi sono: l'educazione sessuale (la più delicata), l'educazione alla libertà (la più difficile), la trasmissione della Fede (la più importante).

La famiglia è il luogo dove si viene iniziati al mistero della vita, dove si scopre l'amore e dove si impara cosa vuol dire essere uomo e donna che si amano, si rispettano e si donano l'una all'altro. Non dovete aver paura di parlare apertamente, con naturalezza e con tempestività dell'amore umano con i vostri figli, ed essi scopriranno cosa significa l'amore fra l'uomo e la donna da come sapete volervi bene voi. Nulla è più rassicurante per un bambino del vedere papà e mamma strettamente uniti che si scambiano gesti d'affetto. Da voi, poi, impareranno il pudore come sentinella dello spirito, come delicato custode dell'intimità della propria persona e come espressione del rispetto profondo dovuto alla propria e all'altrui dignità. La famiglia poi è il luogo dove ci si educa alla libertà. La conquista della libertà è la più difficile e la più scomoda. La "fatica" dell'autorità trova qui il terreno più impegnativo, e costringe a partire da lontano. Innanzitutto il padre deve avere idee chiare e precise sulla libertà per trasferirle efficacemente ai figli. La libertà è un fatto interiore, una prerogativa della nostra intelligenza e della nostra volontà. Si è liberi veramente se si è nella verità e se si vuole ciò che è bene. La libertà è "condizionata" da due soli legami: la verità e il bene, legami che, lungi dal condizionare l'uomo, lo rendono veramente e pienamente libero. Non quindi l'istinto, la comodità, il capriccio, l'interesse egoistico, non la moda corrente, la mentalità dominante, il consenso degli amici, il comportamento massivo del gruppo, e nemmeno i luoghi comuni del "Tutti fanno così", "Tutti la pensano così", "Ormai è convinzione comune di tutti " ecc., non in queste cose c'è libertà; c'è semmai plagio, dipendenza, schiavitù. La conquista della libertà passa attraverso l'emancipazione interiore da tutte queste cose, emancipazione che porta ad essere se stessi con sincerità e fermezza, quando si è leali verso la verità e responsabili verso il bene. Ecco appunto: lealtà e responsabilità, sono i due atteggiamenti che un padre deve esigere se vuol aiutare i figli nella conquista della libertà. E lui, il padre di famiglia, deve essere per primo libero di questa libertà, se no la sua autorità paterna rischia il fallimento. Per educare alla libertà bisogna essere liberi, e un figlio lo nota dal comportamento dei genitori e dagli stessi discorsi che sente fare in casa. Lealtà e responsabilità. Un padre deve far capire al figlio che si fida di lui, anche quando sente che lo sta ingannando. Sarà, in questo campo, molto esigente e prenderà, se necessario, le opportune decisioni, ma continuerà a fidarsi di suo figlio. Inoltre, per educare alla libertà occorre dare libertà, anche se in proporzione alla responsabilità, cioè alla capacità di rendere ragione delle proprie azioni e di assumersene il peso. La lealtà è già un segno di responsabilità e perciò di maturità. È questo un binomio di fondamentale importanza non solo nell'esercizio dell'autorità paterna in vista dell'educazione dei figli, ma in ogni campo dei rapporti umani. In particolare, è essenziale nel rapporto marito-moglie. Due sposi devono potersi guardare negli occhi senza timore, senza alcuna esitazione, perché non c'è doppiezza nei loro sentimenti, e non c'è nulla di nascosto nella loro vita dal momento che esiste tra loro pieno rispetto della libertà di coscienza nella fedeltà alla verità e all'amore.

61 - Trasmissione della fede La famiglia, infine, è il luogo dove si trasmette la fede. La fede è, con la vita, il dono più prezioso che abbiamo ricevuto da Dio. Per questi doni i nostri genitori sono stati collaboratori con Dio: quanto al dono della vita naturale con il loro amore, quanto al dono della fede chiedendo per noi alla Chiesa il Battesimo. Nel Battesimo, infatti, insieme alla grazia che ci fa figli di Dio, riceviamo anche la fede, e i ge-nitori diventano della fede i primi testimoni e i primi educatori. Per educare bisogna insegnare, ed essere poi testimoni coerenti di ciò che si insegna. Ora, per vivere la fede bisogna conoscerla anche nel suo contenuto dottrinale; da qui la necessità dell'insegnamento. Tale insegnamento prende il nome di catechesi, nome usato da sempre nella Chiesa fin dai tempi apostolici. Occorre oggi una catechesi che dia una conoscenza progressiva, chiara, completa e organica degli elementi fondamentali della nostra fede, tenendo conto dell'ambiente culturale secolarizzato in cui viviamo. Quanta "catechesi" secolarizzata da ideologie (materialismo, sociologismo, edonismo, evoluzionismo, scientismo ) viene distribuita silenziosamente e proditoriamente dai mass-media e perfino dai testi scolastici che diffondono concezioni distorte sull'uomo, sulla vita, sul mondo, sulla religione !

Il compito di testimoni e di educatori della fede compete indistintamente al padre e alla madre, ma con modalità e tempi diversi. Nel periodo dell'infanzia è prevalente il ruolo della madre; è lei che al bambino fa conoscere Gesù, la Vergine, l'Angelo Custode; è lei che insegna le prime preghiere e i primi gesti di devozione. Possiamo dire che la fede tutti noi l'abbiamo succhiata col latte materno. Nell'infanzia e nella fanciullezza la fede è tutta "ricevuta", e di solito non presenta particolari problemi perché il bambino crede tranquillamente quello che dicono e in cui credono i genitori. In questo periodo ha una straordinaria importanza la preghiera in famiglia. Non basta infatti ricordare al bambino che deve dire le preghiere, egli ha bisogno di vedere il papà e la mamma che per conto loro si inginocchiano a pregare Le cose si complicano e il compito dei genitori diventa più difficile nell'età dell'adolescenza: è il momento in cui il figlio ha bisogno di passare da una fede "ricevuta" a una fede "voluta". In questo compito il ruolo principale passa al padre, anche se rimane sempre necessario l'esempio dei due genitori. Un figlio infatti si rende conto che la Messa domenicale è importante più di ogni altra cosa quando vede che il papà e la mamma , nonostante la stanchezza, la malavoglia, il brutto tempo e qualche leggera indisposizione o altri impedimenti, fanno di tutto per non mancare a questo "dovere". Chiamiamolo pure così, senza paura: un dovere. Nei suoi comandamenti Dio ci chiede non solo di non mentire, di non rubare, di non fare male al prossimo, di non compiere cose oscene o usare linguaggi offensivi, ma ci chiede anche di santificare il "Suo" giorno, il "Giorno del Signore", recandoci ad ascoltarlo (la Parola di Dio) e a ringraziarlo attraverso Gesù di tutto il bene che ci fa e che ci vuole. Troppo facilmente oggi la gente, e i ragazzi in particolare, pensano che la religione, la preghiera, la Messa, siano un optional per chi ha tempo, o voglia, o per chi se la sente, così che la fede appartiene all'opinabile, e andare o no in Chiesa è una cosa facoltativa, alla quale si può impunemente sottrarsi. Perciò il padre non deve temere di esigere dal figlio, anche nei primi anni dell'adolescenza, quando il figlio per prendere le distanze dai genitori li contesta perfino sul piano religioso, di santificare la festa come dovere di obbedienza non tanto ai genitori, ma a Dio, perché la buona educazione e il comportamento corretto esigono che uno risponda quando una persona lo chiama, e sappia ringraziare quando viene beneficato. Dopotutto, Dio non è l'ultimo arrivato che incontriamo per strada e possiamo permetterci di ignorarlo o di non salutarlo. È un'esigenza che il padre di famiglia deve condurre con fermezza ma in modo amabile e suasivo, senza ricatti e soprattutto dando motivazione. Naturalmente arrivato alle soglie della giovinezza il figlio deve essere lasciato totalmente libero, restando chiaro però che se egli non frequenta la chiesa è perché non "vuole", e non per altri motivi. È sempre un problema di sincerità, cioè di lealtà e responsabilità con se stessi e con la propria coscienza. Semmai ciò che i genitori devono evitare è di rendere sgradevole, se non odiosa, la fede con com-portamenti goffi e bigotti al limite della stranezza, come anche di pesare sui figli con insistenti e ripetute raccomandazioni moralistiche. La fede è qualcosa di solare, gioioso e promozionale dei valori belli e nobili della vita. Un cristianesimo inibitorio, ripiegato su se stesso, e che conosce solo la fatica e la rinuncia, o addirittura intriso di tristezza e melanconia non è per niente vendibile, e oltretutto non risponde a verità, è un cristianesimo noioso e falso. Il Vangelo è un "lieto annuncio", e Gesù è venuto a portare la gioia, la gioia di essere salvati e di diventare figli di Dio. La lotta interiore, forte ed esigente che il Signore ci chiede, il sacrificio generoso per seguire con fedeltà Gesù Cristo, esigono un atteggiamento sportivo, e quando, con l'aiuto di Dio, è coronato da vittoria - penso alle tante piccole vittorie nelle circostanze ordinarie del-la vita quotidiana - libera la nostra anima da egoismi, pigrizie, malumori, intenzioni o sentimenti poco limpidi, e apre il cuore a una vita nobile e pulita, fatta per la gioia e per l'amore.

62 - Famiglia e lavoro Per concludere le riflessioni sul ruolo del padre nella famiglia è indispensabile un accenno al rapporto del capo famiglia con il proprio lavoro. È un rapporto che tende ad essere gestito dall'uomo in modo esclusivo e solitario, al di fuori cioè dei rapporti familiari. In tempi non molto lontani, nella società a regime artigianale in cui la famiglia partecipava al lavoro del padre e i figli imparavano da lui il mestiere che spesso continuavano poi loro stessi, oggi nella nostra società

industrializzata e super-orga-nizzata i famigliari non sono presenti al lavoro paterno che diventa una sorta di mistero, di oggetto sconosciuto che interessa solo al padre. Di conseguenza l'uomo è portato a vivere molto fuori casa, in un ambiente diverso e lontano dall'ambiente familiare che spesso viene tenuto vo-lutamente fuori dal lavoro paterno. Ciò nonostante la vita professionale del capo famiglia ha una risonanza inevitabile nell'ambiente familiare. I successi e gli insuccessi professionali si percuotono in maniera a volte pesante nel comportamento dell'uomo all'interno della famiglia. È perciò molto importante che l'uomo viva un rapporto sereno e, per quanto possibile, positivo col proprio lavoro, e comunque non deve portare le tensioni e i problemi di lavoro all'interno della vita familiare. È un problema delicato e a volte difficile che l'uomo deve affrontare misurandosi con la propria maturità e con la propria fede in Dio. Semmai ne parlerà con la moglie; la donna, oltre a una innata fiducia nella vita, ha talvolta intuizioni illuminanti che sfuggono alla razionalità maschile. Altro aspetto che l'impegno professionale può presentare è dato dal pericolo di un eccessivo attaccamento o un'eccessiva preoccupazione del padre di famiglia per il proprio lavoro, che viene privilegiato rispetto alla vita familiare. Quando è la sete di guadagno o l'ambizione professionale il movente di questo disordine, allora il lavoro diventa un serio pericolo per l'unità della famiglia, per la sua stabilità e per la crescita ordinata dei figli. Quando un padre di famiglia riserva ai figli i ritagli di tempo nei quali indossa la divisa del garante dell'ordine che impone la pace tra i componenti della famiglia, oppure si ricorda della moglie solo per il suo appagamento fisico, questo padre sta pagando i suoi successi e le sue ansie professionali ad un prezzo troppo alto che può diventare fallimentare sul conto di valori ben più importanti e preziosi. Il lavoro, anche il più redditizio o il più gratificante, non vale più della famiglia. Un uomo sposato è prima di tutto marito, poi padre, e poi professionista. Certo, in una società competitiva, governata dalla legge del profitto, dove conta la produttività, il mercato e la concorrenza, il lavoro può subire la tirannia di criteri estranei alla volontà del professionista, ma proprio per questo è necessario che l'uomo difenda il più possibile la sua libertà per i ruoli familiari, e curi la qualità del tempo dedicato alla famiglia. Se poi all'attività professionale si aggiungono impegni sociali, culturali, o religiosi, la vita del padre di famiglia dovrà inventarsi ritmi e percorsi che esigeranno generosità e sacrificio, ma anche faranno emergere le sue doti di fantasia e di spirito sportivo. È necessario comunque che il marito trovi la comprensione della moglie che egli cercherà di rendere partecipe della sua attività e delle sue vicende, soprattutto di quelle belle e positive, così come la moglie deve poter contare sulla comprensione del marito nelle sue attività e nei suoi impegni familiari. Quando un marito non si sforza di capire la moglie nelle sue preoccupazioni per i figli e per la casa, e la moglie non cerca di capire il marito nei suoi impegni di lavoro, il rapporto dei due rimane sfasato e corre un serio pericolo, e comunque quegli sposi hanno ancora molti passi da compiere sulla strada del vero amore. Gli sposi possono compiere un passo decisivo verso questo traguardo se capiranno che il loro lavoro non è semplicemente un mezzo per mantenere la famiglia o per procurarsi i mezzi e le comodità della vita, ma è, insieme al loro amore, la materia prima per la loro santificazione, il luogo dove incontrare Dio e servirlo con gioia e con spirito di figli, cercando il bene di tutte le anime.

63 - Il ruolo della donna Altro protagonista della famiglia, protagonista fondamentale e non secondo per importanza, è la donna, colei che normalmente viene chiamata "madre di famiglia", termine che esprime la generale convinzione che "chi fa la famiglia" è la donna. Anche lei è chiamata a gestire il doppio ruolo di sposa e di madre, due ruoli che non sempre coesistono serenamente e spesso mettono chi li gestisce in una condizione conflittuale. È la donna stessa che, come sposa-madre, si sente in mezzo tra i figli e il marito, e non sempre riesce ad armonizzare i due piatti della bilancia. Il motivo è scritto nella natura: la donna sente il figlio come parte di se stessa, qualcosa che la riempie e la gratifica esistenzialmente, mentre non è così del marito. La riprova l'abbiamo, ad esempio, nel diver-so comportamento che essa ha nei confronti dei figli e del marito: una donna è disposta a perdonare qualsiasi cosa a un figlio, mentre è portata a non perdonare nulla al marito. Nel suo pensiero, un figlio è sempre un figlio, e va capito, protetto e ricuperato a qualsiasi prezzo, per cui le offese che riceve da un

figlio non le sente come offese o per lo meno non bruciano, mentre il marito è un uomo fat-to, magari grande e grosso, comunque con la testa sulle spalle e responsabile, e perciò non è scusabile; le offese del marito sono offese, e bruciano perché umiliano. Il diverso comportamento, abbiamo detto, è comprensibile, va capito e in parte giustificato; ciò che non deve accadere è che venga esasperato fino a rovinare l'armonia familiare o a compromettere la serenità interiore della donna che rischia così di vivere in permanente conflitto con se stessa. Per evitare questo pericolo, la donna deve realizzare una grande chiarezza interiore, deve capire che la maternità e la nuzialità sono due realtà completamente diverse e si appoggiano su sentimenti e comportamenti che sono propri. I rapporti col marito e gli eventuali problemi che ne derivano vanno risolti sul piano dell'amore coniugale, quello vero e profondo che abbiamo già descritto nei numeri precedenti, mentre il rapporto con i figli va risolto sul piano della responsabilità: un figlio è un essere umano che le viene affidato per farne un uomo libero e responsabile. I due ruoli non vanno confusi, soprattutto sul piano dei sentimenti, ma devono restare distinti per poter collaborare efficacemente tra loro. I conflitti interiori della donna nascono non soltanto da difficoltà all'interno della famiglia, nel rapporto con i figli o col marito, ma anche dalla sua posizione sociale. La donna vive tra la famiglia e la società. Purtroppo l'ideologia marxista, che ha contagiato non solo i paesi socialisti ma ormai tutti i paesi a qualsiasi regime, ha tolto alla famiglia ogni rilevanza sociale che è stata invece attribuita tutta al lavoro. È sintomatico che nelle Carte Costituzionali delle (cosiddette) democrazie occidentali si decreti che lo Stato è fondato non sulla famiglia, ma sul lavoro. E si ha un bel dire che la Società civile e lo Stato non sono la stessa cosa, e che la famiglia è pilastro e fondamento non dello Stato, ma della Società; sta di fatto che sia negli Stati socialisti che nelle Democrazie la famiglia non viene considerata nemmeno come soggetto sociale. Di conseguenza il lavoro in casa a servizio della famiglia non viene considerato socialmente rilevante e la qualifica di casalinga è rimasta "squalificata", tanto da non essere socialmente tutelata né retribuita. Tutto questo ha portato la donna a sentirsi socialmente esclusa ed economicamente dipendente (se è moglie, è considerata un "carico" del marito), e perciò ha spinto la donna a cercarsi un lavoro extra-familiare, a volte per necessità economiche, spesso per il bisogno di una sua qualifica sociale.

64 - Le ambiguità del femminismo Su queste problematiche si è scatenato il populismo radical-marxista attraverso i movimenti femministi i quali, lungi dal risolvere degnamente i problemi della situazione femminile, hanno falsificato l'identità della donna e impedito il suo vero in-serimento nella società. Accanto a questo femminismo acido e arrabbiato, che si squalifica da solo e finisce vittima della propria rabbia e della propria stupidità, si è aggiunto - provocando forse un danno ancora maggiore - un femminismo soffice, strisciante, che si manifesta paludato di serietà e di solidarietà verso la presunta inferiorità in cui è tenuta la donna, eternamente condannata ad essere "l'angelo della casa" e a vivere, rassegnata, la sua sottomissione all'uomo. Questo tipo di femminismo, che ha fatto leva sugli aspetti più vulnerabili della femminilità, ha creato, soprattutto nelle giovani generazioni, uno stuolo di donne insoddisfatte, che mal sopportano di essere donna. Purtroppo, è una campagna che risponde a un preciso disegno eversivo; sanno che, corrotta la donna, viene a crollare l'istituzione "borghese" della famiglia e del matrimonio. Quando una donna non è felice di essere donna, diventa facilmente vittima di strumentalizzazioni maschili; si lascia attirare da forme di compensazione illusorie come quella di esibirsi scioccamente con superficiale leggerezza, o di svendere la propria femminilità su rotocalchi ga-leotti, negli spogliarelli televisivi, o nelle stravaganze provocatorie della moda. Ebbene, la donna deve ribellarsi all'immagine di donna che la cultura edonistica e secolarizzata di questo ultimo secolo ha vo-luto imporle; essa ha più che mai bisogno di liberarsi dai condizionamenti ideologici che l'hanno spiritualmente e psicologicamente violentata, derubandola dei suoi valori e della sua dignità. Non è dunque un problema di "lavoro sì o lavoro no"; la donna deve riappropriarsi di se stessa, perché solo così potrà dare alla società, a partire dalla famiglia fino ai più diversi ambienti della vita sociale, ciò che è proprio e specifico della sua femminilità. Quando la donna sa essere se stessa, con la sua dignità e i suoi valori, diventa un elemento umanizzante dell'ambiente dove vive e dove lavora, e potrà portare nel lavoro lo spirito e

l'aria di famiglia. Il lavoro esterno non dovrebbe comunque essere mai a tempo pieno, ma a mezzo tempo e possibilmente anche meno. La donna dovrà dunque liberarsi dal complesso della casalinga. Il lavoro domestico riveste una dignità e un valore che nessun'altra occupazione possiede. Abbiamo già detto che non esiste al mondo impresa più grande e duratura di quella di "costruire uomini". E la famiglia è il luogo dove l'uomo viene al mondo e dove si realizza come persona. Perciò la qualifica di "casalinga" è quella a più alto contenuto sociale, e la donna dovrebbe portare questa sua qualifica a testa alta, senza timori verso la mentalità corrente o complessi di inferiorità verso "colleghe" socialmente più riverite. Va detto, inoltre, che oggi governare la casa non è affatto un lavoro di poco conto; richiede non solo dedizione e pazienza, ma anche conoscenze scientifiche di base, capacità tecniche e organizzative, e poi fantasia, gusto, inventiva, e anche forza fisica. Una casalinga che si dedichi alla famiglia e alla casa con questa consapevolezza e con queste disposizioni d'animo arriverà ad acquisire tra l'altro due prerogative: il gusto della vera libertà personale e il godimento della "poesia delle cose". In una casa, chi dà di più è la donna, ed è quella che meno riceve. Questo lo dico perché venga recepito e considerato opportunamente sia dall'uomo che dalla donna. Non lo dico per i figli, perché un figlio abituato fin dal grembo materno ad avere la madre sempre e totalmente disponibile, quasi a nutrirsi di lei, del suo sangue e della sua carne, difficilmente si rende conto di quanto ha ricevuto e riceve gratuitamente; gli manca sul piano dell'esperienza un ter-mine di confronto. Del resto un figlio mai potrà restituire quello che ha ricevuto da sua madre. Questo la donna lo capisce e lo accetta. Quello che invece la ferisce e la umilia, è vedere che "l'amore non è amato", l'amore che lei dona non trova amore in chi lo riceve.

65 - Il bisogno di amare Quest'ultima considerazione ci aiuta a capire l'altro aspetto della natura della donna, che spesso è causa di sofferenza e di crisi esistenziali: il bisogno profondo che la donna ha di amare e di essere amata. È un bisogno che si nasconde in ogni essere umano, ma nella donna si configura come un dato esistenziale; è in gioco la sua vita interiore e il suo essere nel mondo. Cioè, amare ed essere amata sono come le coordinate della sua esistenza; rappresentano nella vita della donna ciò che la diastole e la sistole del cuore rappresentano nell'organismo umano. Il punto debole di questa esigenza, che può diventare fonte di conflitti interiori, è la convinzione, che spesso diventa pretesa, di essere amata allo stesso modo con cui lei ama. La donna getta nel suo amore tutto il peso e la ricchezza della sua femminilità: instancabile generosità di donazione, ricchezza di sensibilità e di affetto, tenerezza e delicatezza di sentimenti, cura dei tanti piccoli gesti di attenzione, di considerazione e di affetto, nessun risparmio nel dono di sé fino ad avere un senso di colpa per non aver fatto di più, o per non essersi data to-talmente, senza dire l'amabilità e la pazienza con cui affronta le fatiche e le difficoltà. Questo modo appassionato di amare e di donarsi può non trovare risposte ugualmente vibranti o che esprimano una pari corrispondenza emotiva e una pari consapevolezza; mancate risposte che la donna interpreta come egoismo o indifferenza. Il che può spingere la donna ad avvilirsi, a chiudersi e a considerare inutili i suoi sacrifici. Essa invece deve capire che il suo modo di amare è unico, deriva dal privilegio di sperimentare il mistero della vita dall'interno e di gioirne in prima persona, un modo di amare che la rende partecipe della assoluta gratuità dell'amore di Dio, il quale si dona a lei in maniera unica e speciale proprio nell'essere umano che le viene affidato e di cui essa si prende cura; deve anche capire che l'amore paga di per se stesso, è già esso stesso un dono perché l'amore è fecondità, è trasfondere la propria vita nella persona amata, è come prolungare la propria esistenza verso l'eternità. Inoltre, su questa terra, amare è gioire e soffrire per la persona amata, e l'amore non è mai pienamente compreso né totalmente corrisposto. Infine, nel suo modo appassionato di darsi, la donna è portata a non pensare a se stessa, e rischia così di trascurarsi. Invece, la donna deve trovare il tempo per se stessa e per la sua persona, per la sua formazione

culturale e professionale, per la sua vita spirituale, e anche per le sue "chiacchiere". Le chiacchiere hanno un effetto sedativo sulla psiche della donna e, in fondo, esse altro non sono che l'espressione del bisogno di comunicare insito nella donna. Voi donne siete una rivelazione di Dio all'uomo perché siete depositarie del mistero della vita. Perciò non c'è gesto più triste e assurdo, più brutalmente offensivo della vostra dignità e della vostra missione del crimine dell'aborto. Respingere la creatura che Dio ha fatto sbocciare in voi, col vostro consenso o senza la vostra volontà, attraverso un atto d'amore o un atto di violenza o altre circostanze, uccidere il bambino dentro il vostro grembo, quel grembo che Dio ha creato perché fosse il "giardino della vita", è come l'assurda pretesa di uccidere Dio, il Dio della vita. Ma Dio non muore e non muore nessuna creatura concepita. Gli occhi di quel bambino, ai quali fu negato di vedere la luce di questo mondo ma vedono eternamente la luce di Dio, gli occhi di quel bambino vi seguiranno per tutta la vita. Nessuna autorità di questa terra può farli tacere, nemmeno l'autorità dello Stato. Lo Stato, compreso quello italiano, mentre persegue la criminalità organizzata, diventa esso stesso criminale quando autorizza e finanzia coloro che uccidono con l'aborto un essere umano innocente nel grembo materno. Vedete fino a che punto può arrivare l'ipocrisia dello Stato e la sua menzogna! Ma voi non lasciatevi ingannare. Il mistero della vita che portate dentro di voi è la vostra forza. Per questo Dio vi ama con amore di predilezione. Quando ha inviato il suo Figlio sulla terra ha escluso completamente l'uomo e ha fatto tutto per mezzo vostro, lo ha affidato al vostro grembo e la vostro seno. Perciò ha dato a voi la capacità di avvertire in modo quasi sensibile la sua divina presenza nel mondo e nell'intimo del vostro cuore. Voi conoscete Dio e lo percepite in maniera molto più immediata, diretta e intima dell'uomo. Perciò potete rivelarlo a lui. Soprattutto all'uomo freddo e razionale della nostra civiltà secolarizzata dovete insegnare la saggezza della fede, il dovere, che è giustizia, di aprirsi a Dio e di riconoscere la propria identità di creatura. Sapete che l'uomo fa fatica a inginocchiarsi; lo ritiene poco virile e poco consono alla sua presunzione di demiurgo del creato e della storia. L'uomo, nella sua superbia, è tentato di imitare Lucifero, voi lasciatevi sedurre dall'umiltà della Madonna; è attraverso di lei che venne agli uomini il Salvatore. Infine, voi donne, dovete riappropriarvi della famiglia. È lo spazio naturale della vostra persona e della vostra missione. E dovete "costringere" gli uomini a difendere e proteggere questa realtà così umana e così divina, perché è di Dio. E voi siete le più efficaci alleate di Dio. Non vi scoraggiate se vi sembra una battaglia perduta; con la "cocciutaggine" che vi contraddistingue, state davanti al mondo col vostro impegno e davanti a Dio con la vostra preghiera: la vittoria sarà vostra. Non a caso è stata una Donna a schiacciare la testa al Serpente.

66 - Gli altri protagonisti della famiglia Ci siamo dilungati a parlare dei due principali protagonisti della famiglia: gli sposi; sono essi l'asse portante dell'edificio familiare. Non possiamo però concludere le nostre riflessioni senza accennare agli altri personaggi che possono essere presenti nella famiglia. Innanzitutto i figli. Riguardo ad essi, la prima considerazione fondamentale è questa: i figli sono un dono, un dono di Dio e un dono che gli sposi si fanno reciprocamente. I figli non possono essere né oggetto di pretesa, né considerati un peso, quasi un male da evitare o da limitare. Nel primo caso il figlio è considerato una proprietà, una gratificazione all'egoismo affettivo materno, che è una contraffazione della nobile e naturale aspirazione alla maternità. Se poi il figlio è voluto a tutti i costi e con qualsiasi mezzo non sarà mai un figlio dell'amore, ma un orfano di laboratorio. Nel secondo caso, il figlio è "sopportato", accudito "per dovere", facilmente causa di fastidio e di litigi. Sono i bambini accontentati nei loro capricci perché non diano fastidio e non condizionino più di tanto la vita dei genitori, soprattutto della madre. Le conseguenze sulla loro psicologia sono disastrose. Seconda considerazione: è sommamente auspicabile che un figlio faccia anche l'esperienza della fraternità. Un figlio dovrebbe realizzare la duplice condizione: di figlio e di fratello. Gesù stesso, pur essendo l'Unigenito

del Padre, ha voluto prendere la nostra natura per farsi Primogenito di una moltitudine di fratelli. È nota a tutti la sindrome del figlio "unico", che è stato l'unico oggetto dell'attenzione di tutti, che non ha mai avuto la necessità di far posto ad altri nel territorio vitale da lui occupato, non ha mai avuto il problema di condividere, di spartire, di misurarsi con altri accanto a lui, di litigare o picchiarsi per un giocattolo, per una fetta di dolce, o per un dispetto ricevuto, di doversi arrangiare perché papà e mamma erano impegnati con i figli più piccoli La famiglia numerosa è l'ideale per una educazione equilibrata, completa, realistica dei figli. Oserei dire che la vera famiglia comincia col terzo figlio. Non possiamo proseguire su queste considerazioni che del resto potrete trovare ampiamente sviluppate in una abbondante letteratura sulla famiglia. Quello che vorrei suggerirvi è di richiamare frequentemente alla memoria quello che dentro di voi avete provato nel momento in cui avete avuto per la prima volta fra le vostre mani il figlio appena nato: avete sentito che tenevate in mano un miracolo, lì c'era il dito di Dio; quello che tenevate tra le mani superava enormemente le vostre forze e le vostre possibilità. Siete stati collaboratori di Dio, avete messo le condizioni perché lui misteriosamente e silenziosamente agisse. Sì, misteriosamente, perché la scienza può spiegarmi tutto ciò che biologicamente accade nel silenzio del ventre materno, ma non può dirmi chi interviene e come, perché quell'essere che si sta formando nel silenzio delle leggi biologiche è una persona, è un essere umano, biologicamente ed ontologicamente unico e irrepetibile, che non appartiene a nessuno se non a se stesso e a quel Principio che lo ha immesso nel mondo. Siete voi sposi a prendere le vostre decisioni davanti a Dio sulla consistenza numerica della vostra famiglia, tuttavia lasciatevi consigliare dalla Paternità di Dio, dalla sua immensa generosità di creatore e di padre! Non siate tirchi e paurosi di fronte alla vita! La provvidenza di Dio ha mani grandi, e la sua grazia non conosce ostacoli. Una famiglia numerosa richiede certamente maggiori sacrifici, ma offre in proporzione gratificazioni e gioie ben più grandi, oltre ad essere pegno di fedeltà e oggetto di copiose benedizioni di Dio. Non private i figli della esaltante esperienza della fraternità. Certo, dai tempi di Caino e di Abele il rapporto tra fratelli non è mai stato facile: si nasce fratelli, ma poi bisogna imparare a vivere da fratelli. Ed è questo uno dei compiti più delicati e anche più urgenti di voi genitori. Cominciate educandoli alla responsabilità degli uni verso gli altri, e insieme al rispetto della libertà di ciascuno perché possa fare le proprie scelte e intraprendere la propria strada. Instillate poi nei figli un grande amore, fatto di solidarietà e di rispetto, verso la propria famiglia, unito a un nobile orgoglio di appartenervi.

67 - Il clan familiare Sugli altri personaggi che s'incontrano nella famiglia diremo solo un breve cenno a mo' di conclusione. I nonni: da sempre hanno rappresentato, nella famiglia, la tradizione e la saggezza, e venivano trattati con grande rispetto e venerazione. Emarginati dalla famiglia alla fine del millennio, vengono oggi ripescati come baby-sitters. È stato, sì, rivalutato il loro ruolo sociale, ma sono venuti meno il loro peso e la loro figura morale. La distruzione della famiglia ha travolto anche la secolare sacralità del "Vecchio", grande bandiera e assoluto riferimento per le generazioni. Cognati e cognate, suocera e nuora, zii e nipoti: costituivano un giorno il clan familiare, oggi è la parentela. Tanti caratteri, tanti gusti, tante opinioni, diverse provenienze, diversi percorsi educativi ; è fondamentale che tutto questo venga considerato dai vari componenti della parentela non come un ostacolo ai buoni rapporti, o peggio, come motivo di divisione e di conflitto, ma come una ricchezza, un patrimonio che arricchisce tutti. Nulla di più facile dell'insorgere di sentimenti di invidia, di gelosia, di rivalità quando all'interno della parentela ci si guarda gli uni gli altri come avversari, o addirittura come nemici. Tutto dipende dall'atteggiamento interiore di ciascuno. Occorre un cuore grande, magnanimo, ospitale, disponibile alla fraternità. Il pericolo maggiore viene dalla successione di eredità o dalla ripartizione dei beni. In questo caso vale la pena di tener presente che i beni acquisiti ingiustamente restano come motivo di condanna, e spesso vanno in cancrena. E vale anche la pena ricordare l'avvertimento del Signore: "Se uno pretende la tua tunica, tu dagli anche il mantello", cioè la concordia e l'amore fraterno valgono più di tutti i guadagni di questo mondo. In pratica il

Signore ci dice che piuttosto di perdere l'armonia e la carità fraterna, meglio perdere qualche vantaggio economico. Del resto, San Paolo ammonisce che la cupidigia - l'attaccamento al denaro - è la radice di tutti i mali, anche di molte sofferenze nell'avaro stesso, fino alla perdita della fede. Infine, qualche suggerimento per gli altri personaggi del clan familiare. Le cognate dimentichino di essere cognate e pensino piuttosto ad essere zie; zie che apprezzano, amano e si compiacciono dei figli della cognata, astenendosi da ogni intervento, soprattutto da giudizi e da considerazioni negative. L'invidia e la gelosia sono sempre in agguato, e sono sottili e perniciose. Suocere e nuore. Una regola d'oro per la suocera: silenzio, disponibilità sorridente, preghiera. Una regola d'oro per la nuora: parlare bene del marito, non pretendere una suocera secondo i propri desideri, "perdonarle" affettuosamente l'età. Per le zie, soprattutto nubili, e in genere per tutti i componenti della parentela: non cercare compensazioni ai propri ideali o desideri mancati, o alle proprie frustrazioni, essere felici del successo e del bene dei vari parenti, infine, dedicare tutto il tempo possibile a opere di volontariato assistenziale e sociale. In una famiglia, tutti dobbiamo rinunciare a qualcosa e tutti dobbiamo cercare di dare molto. Alla fine, la concordia e la pace sono beni che ripagano ampiamente; ci renderemo conto che nella famiglia, se essa rispetta il disegno di Dio, si riceve molto di più di quello che si dona.

68 - La casa Nella famiglia l'importanza fondamentale l'hanno i personaggi che la vivono e la interpretano, ma non è pensabile la famiglia senza il luogo, l'abitazione dove scorre la vita e dove si snodano i destini, dei vari protagonisti. È necessario cioè dire una parola sulla casa o sull'ambiente fisico dove dimora la famiglia. Ogni essere vivente, anche il più nudo come i vermi, hanno un luogo dove "abitano"; alcuni, come molti molluschi, si portano la casa appresso, altri se la fabbricano di volta in volta, altri se la adattano dove la natura lo permette. Per l'uomo la casa è molto di più che una abitazione o un rifugio. La casa è per la famiglia quello che il vestito è per la persona. Come esiste una intimità della persona, che va custodita e difesa, così esiste una intimità della famiglia che esige un luogo che la difenda e la custodisca, un luogo dove ognuno gode dell'intimità dell'altro, secondo le leggi proprie della convivenza familiare, e tutti rispettano e difendono l'intimità di ciascuno. Come l'abito rivela il gusto, la fantasia, le proprietà della persona, anche la casa esprime la personalità di una famiglia. E poiché la casa è soprattutto l'habitat della donna, è la personalità della donna che emerge dall'aspetto interno della casa. L'ordine, la pulizia, l'arredo, la distribuzione dei mobili e degli oggetti non sono particolari insignificanti e banali, hanno un loro linguaggio, quello della fantasia, della sensibilità, del gusto, ma soprattutto dell'amore alle persone, che una madre di famiglia ha saputo coltivare. E non si tratta di quantità o preziosità degli oggetti; spesso pochi oggetti e niente affatto costosi, ma ordinati con semplicità e grazia, ben curati e ben disposti, rendono la casa ridente e accogliente, espressione della serenità e della disponibilità all'accoglienza della padrona di casa. Questo aspetto positivo ha però il suo rovescio che può disturbare e può trasformare la casa in un luogo faticosamente vivibile, a volte anche opprimente: è il morboso attaccamento della donna alla sua casa. È un attaccamento che rischia di mettere in castigo gli abitanti di quella casa, che non si sentono più membri di una famiglia, ma inquilini mal sopportati; viene messa in pericolo quella simbiosi gioiosa della famiglia con la casa che è garanzia dell'unità familiare e della crescita serena delle persone che vi abitano. Non dobbiamo dimenticare che la casa è per l'uomo e non l'uomo per la casa. Questo significa che la casa è per tutti, ma anche che ognuno deve avere il "suo" posto. Evidentemente il luogo più intimo e delicato della casa è la stanza nuziale. È il "grembo" della famiglia, il luogo di cui la donna deve essere estremamente gelosa. Perfino la famiglia nomade riservava una parte del-la tenda all'intimità, ed era un luogo rispettato da tutti come sacro e inviolabile. Sappiamo che il matrimonio è un sacramento che accompagna gli sposi per tutta la loro vita; perciò quando essi si uniscono nel loro dono d'amore è come se celebrassero il sacramento. Ecco perché al-cuni santi,

come il Beato Josemaria Escrivà, paragonavano il letto nuziale a un altare, e profanare il matrimonio è come profanare un sacramento. Vengono poi i figli. La casa deve offrire un posto anche per loro. È fondamentale che i figli, fin da piccoli, abbiano un luogo tutto per loro, dove godano una loro libertà, dove la parola "ordine" abbia un significato sommario e approssimativo, e dove trovino posto i loro riferimenti infantili. Lì dovranno imparare a gestirsi, a espletare le loro prime responsabilità e a svolgere i loro primi incarichi. Già, perché tutti in famiglia dovrebbero essere titolari di incarichi personali, incarichi che siano per il bene di tutti in famiglia, perché nessuno in casa deve considerarsi "a carico" degli altri, ma compartecipe e protagonista della vita familiare. E finalmente veniamo alla sala da pranzo: è il luogo che esprime l'unità familiare, la condivisione, l'amore fraterno, e nello stesso tempo il luogo dove vengono rispettati e accettati pacificamente i ruoli dei vari protagonisti della famiglia. Contiene l'arredo più significativo di tutta la casa: la tavola. Gli altri luoghi della casa sono per l'intimità di ciascuno, la sala da pranzo è di tutti. La visibilità della famiglia come comunione di persone trova la sua espressione più perfetta nel momento in cui tutta la famiglia è riunita intorno alla tavola. La tavola, da sempre, ha rivestito nella simbologia umana una grande ricchezza di significati: essere a tavola è partecipare alla intimità di una famiglia, è condivisione di sentimenti, di affetti, di legami profondi; è segno di gioia, di festa, di particolari celebrazioni che segnano momenti importanti nella vita familiare. Gesù stesso ha paragonato il Regno dei cieli a un banchetto nuziale. Purtroppo la vita frenetica, efficientista, industrializzata dei nostri giorni, e soprattutto la perdita del senso della famiglia, hanno inferto un duro colpo al ruolo della tavola e al suo significato. Fast-food, self service, snack bar, e altre anonime invenzioni sono i tristi surrogati della tavola; essi tolgono alla vita familiare uno dei momenti più intensi nei quali la famiglia ritrova sé stessa e si riconosce nei suoi valori di unità, di condivisione, di accoglienza intorno al dono della vita. Spetta a voi genitori ricuperare il senso umano e cristiano della tavola; ricuperatelo almeno nei giorni festivi nei quali più facilmente la famiglia si ritrova al completo. Pensate quale impatto fortemente educativo può avere il gesto del padre di famiglia che, nel giorno del Signore, con tutta la famiglia riunita a tavola, benedice la mensa e prega insieme con tutti il "Padre nostro", con l'atteggiamento di doverosa riconoscenza verso Dio che, nel pane quotidiano, rivela la sua amorosa provvidenza di Padre. Infine, la madre di famiglia deve cercare di essere non solo la regina della casa, ma anche la regina della tavola; attraverso le "invenzioni" dei suoi menù essa può conquistarsi tutta la famiglia, può tenere tutti per la gola; nelle sue mani tiene un mezzo formidabile per fomentare in tutti, in maniera sempre più efficace, il senso della famiglia. 69 - Esperienza del dolore Nella famiglia si nasce, si cresce e ci si forma come persone; un giorno in famiglia ci si ammalava, si veniva assistiti e in famiglia si concludeva la propria vita. Si imparava così a condividere la sofferenza e si scopriva il valore del dolore. Oggi per queste cose ci sono gli ospedali. Motivi di ordine pratico: necessità di terapie specialistiche, di attrezzature adeguate, impossibilità di assistenza domiciliare ecc. fanno sì che esperienze di così importante spessore umano e spirituale come la malattia, la sofferenza e la morte stessa vengano, nella maggioranza dei casi, dislocate negli ospedali, nelle case di cura o simili, lontano comunque dalle pareti domestiche e dalla famiglia. La nostra civiltà edonistica ha sviluppato nell'animo dell'uomo moderno un forte senso di rigetto del dolore e della morte fino a cercare di sottrarli con ogni mezzo alla vista e all'esperienza diretta delle persone. Se la difesa dal dolore e la ripugnanza della morte sono moti istintivi della nostra natura e perciò pienamente comprensibili, resta però vero che l'esperienza del dolore, che rimane un ingrediente inevitabile dell'esistenza umana, ha sempre forgiato anime forti e generose di fronte alla vita.

La scuola della sofferenza insegna e fa capire molte cose, spesso trasforma completamente il cuore dell'uomo, lo rende certamente più profondo e più saggio, capace di valutare con sapienza gli avvenimenti di questo mondo e di capire il vero senso del vivere. *** La famiglia: "via della Chiesa", l'ha chiamata Giovanni Paolo II. Ma è anche la via della società, la via dell'intera umanità e del suo futuro. A conclusione dei nostri incontri, vorrei ora richiamare alla vostra memoria, perché resti scolpito nel vostro cuore, quello che fu il disegno iniziale di Dio nella creazione: la famiglia è la via dell'uomo. È perciò la via di voi genitori che siete chiamati a realizzare attraverso le vie della famiglia la vostra vocazione umana e cristiana, in altre parole la vostra vocazione alla santità. Vedere la famiglia in prospettiva vocazionale, come cammino di santità, aiuterà voi sposi a risolvere positivamente e nella pace tutti i problemi e le difficoltà che la vita familiare potrà presentarvi. Tutto quello che farete perché la vostra famiglia sia "un focolare luminoso e allegro" (Beato Escrivà), vi ripagherà ampiamente, e la via della famiglia sarà la via della vostra felicità, una felicità che qui sulla terra potrà avere "le radici in forma di croce" (Beato Escrivà), ma che in cielo esploderà in un canto corale senza fine, con i vostri figli e con tutti i protagonisti della vostra famiglia. BIBLIOGRAFIA: •

DOCUMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA: • Concilio Vat. II "Gaudium et spes" nn. 47-52. • Pio XI - Lett. ecum. "Casti connubii". • Paolo VI - Lett. ecum. "Humanae vitae" • Giovanni Paolo II - "Familiaris Consortio" • Giovanni Paolo II - "Mulieris Dignitatem" • Giovanni Paolo II - "Lettera alle famiglie"



CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE: • Orientamenti educativi sull'amore umano. • Rispetto della vita nascente e dignità della procreazione.



AUTORI: • J. Guitton: L'Amore umano Ed. Rusconi - Milano 1989. • Tettamanzi: La chiesa domestica Ed. Dehoniane, Napoli 1979. • Cormac Burke: La felicità coniugale. Ed. Ares, Milano • G.Battista Torello: La famiglia: personaggi & interpreti. Ed. Ares, Milano, 1997 • G.Cottini - A.Zani: Fidanzamento, matrimonio & dopo. Ed. Ares, Milano, 1997 • Arturo Cattaneo: Matrimonio d'amore Ed. Ares, Milano, 2000

INDICE



PRESENTAZIONE

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DIO ESISTE: SCOPRIAMOLO INSIEME Appendice alla prima lezione

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6 27

AMORE E MATRIMONIO NEL PROGETTO DI DIO

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35

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

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70

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LA FAMIGLIA

(cenno biografico da apporre sulla parte posteriore della copertina)

Don Ferdinando Rancan è nato a Tregnago, Verona, il 14 giugno 1926. Dopo aver conseguito la maturità classica, si laurea in Scienze Naturali nel 1955 presso l'Università La Sapienza di Roma. Tornato a Verona e completati gli studi teologici, riceve l'Ordinazione Sacerdotale e si dedica per parecchi anni all'insegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della città. Dal 1980 svolge il suo ministero pastorale presso la Pieve dei Santi Apostoli, in Verona.

Altri suoi scritti: • • • •

Il senso del vivere - Uomo - Tempo Eternità Ed. Ares Mi invocherete e io vi esaudirò La preghiera e la Messa nella vita del cristiano Non presentarti a mani vuote davanti al Signore - Come santificare il tempo Fiori melograno Poesie Ed. Athesis

PER ORDINAZIONI RIVOLGERSI A: DON ENZO BONINSEGNA Via Polesine, 5 - 37134 Verona Tel.: 0458201679 * Celi.: 338-9908824 DON FERDINANDO RANCAN Via Risorgimento, 25 - 37126 Verona Tel.: 3492134621

Ed. Segno Ed. Segno

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