Riassunto Del Cap. 2 Del Saggio "mimesis"

  • April 2020
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View Riassunto Del Cap. 2 Del Saggio "mimesis" as PDF for free.

More details

  • Words: 1,922
  • Pages: 3
Riassunto del cap. 2 del saggio “Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale” di Erich Auerbach.

Mimesis rappresenta un’indagine sul realismo letterario europeo e prende in esame testi fondamentali della nostra letteratura dall’antichità biblica e classica sino al Medioevo, al Rinascimento e, attraverso la tappa obbligata del realismo francese del XIX secolo, sino ad autori come Proust e la Woolf, giungendo a una storia del realismo attraverso una metodologia stilistica. In questo riassunto si prende in considerazione il secondo capitolo del primo volume, dedicato al realismo nella letteratura latina. Il capitolo si apre con un brano tratto dal Satyricon di Petronio in cui un commensale durante la cena di Trimalchione descrive la moglie del rex convivii con un lessico espressivo e vivace, in un discorso pieno di frasi fatte e senso comune che però rivela come egli stesso si trovi ad essere perfettamente inserito armonicamente nell’ambiente che descrive e come in certa maniera la descrizione della padrona di casa riveli anche chi è lui. Come gli altri invitati, anch’egli è dell’opinione che la ricchezza sia il bene maggiore e alla sua visione dei presenti fortemente unilaterale e soggettiva dobbiamo riconoscere paradossalmente una sorta di obiettività, dato che, come Omero, parla estesamente, descrive tutto e non lascia nulla in ombra o sullo sfondo. Ci sono però delle differenze importanti con la maniera omerica, osserva Auerbach. In primo luogo la forma soggettiva, poiché la scena ci viene presentata quale si forma nella mente del commensale, e poiché Petronio lascia che sia questa immagine a emergere, offrendoci una visione in prospettiva doppia, la cui profonda differenza con i racconti in prospettiva presenti nei poemi omerici sta nel fatto che tali racconti o sono anch’essi dominati dall’obiettività di chi narra o sono fortemente soggettivi in virtù della particolare situazione su cui esprimono un’opinione. Qui invece il soggettivismo è più spinto, grazie al linguaggio individuale e caratterizzato e all’intenzione di obiettività del parlante, per cui si ottiene un’illusione di vita più concreta, dal momento che il punto di vista è portato dentro l’immagine stessa che sembra essere illuminata dal suo interno. La seconda differenza riguarda la concezione del cambiamento della sorte. Omero espone notizie sul passato dei personaggi e li colloca in un universo mitologico a tutti ben noto, un punto di riferimento che dà l’idea di un’immutabile saldezza della struttura sociale di fronte alla quale i rivolgimenti della sorte hanno relativa importanza. Il commensale di Petronio invece parla in continuazione dell’instabilità della sorte, per cui chi oggi è ricco domani potrà perdere tutto e viceversa. Tale tema è topico nella letteratura antica, ma non produce mai l’impressione di vita storica: nella tragedia è il destino orribile e unico (Edipo) e nella commedia è il prodotto di circostanze speciali (Menandro), ma in entrambe è sempre un evento preordinato che tocca uno solo, dato da un destino che irrompe dal di fuori e che non possiamo determinare, mai un moto interno alla dimensione storica. In Petronio invece i cambiamenti di sorte sono visti come storia interna e tutta umana, come dimostrano le storie dei liberti presenti, tutte contraddistinte da un continuo movimento lungo la scala sociale. La terza differenza è che il Satyricon più d’ogni altra opera antica si avvicina alla moderna concezione realistica per la sua descrizione non schematica ma precisa dell’ambiente sociale, mentre ricordiamo che tale ambiente è descritto in maniera generica nella commedia nuova, in modo moralistico-critico nella satira, in maniera irreale e retorica nella fabula milesia e in maniera ancora linguisticamente stilizzata nei mimi di Teocrito ed Eroda. Petronio invece imita senza stilizzare, con una lingua vera, un risultato che dunque rappresenta il limite estremo del realismo antico. Tuttavia, di qui possiamo anche rilevare la profonda distanza del realismo antico dalla concezione moderna. La cena di Trimalchione ha carattere solo comico e tutti i personaggi sono mantenuti sul gradino stilistico più basso: la visione tragica o comunque seria dei problemi connessi alla ricchezza e alla sorte è sempre tenuta lontana, e si ha semmai una nota caricaturale nella loro descrizione, al perfetto opposto della concezione

moderna, per cui anche il grottesco può e deve essere trattato problematicamente. Nell’antichità vige la legge della separazione degli stili, per la quale la realtà “bassa” non può che venir trattata comicamente e in ciò sta il limite del realismo antico. Gli individui possono o adattarsi alla società o isolarsene, ma essa, per quanto possa essere rappresentata in modo vivace, resta sempre uno sfondo immutabile nel quale si svolge una vicenda e non necessita spiegazioni. Ciò è dovuto al fatto che per la letteratura antica la società non esiste come problema storico ma moralistico dell’individuo. Anche Petronio infatti non svela l’interdipendenza economico- politica dei fatti e il movimento storico che leggiamo è solo di superficie, perché gli accenni alla storia economica non sono valorizzati dall’autore. Questo dipende dal fatto che all’autore antico non interessano la storicità delle circostanze e la rappresentazione della forze storiche, perché ciò implicherebbe una lettura problematica del reale, mentre invece interessa restituire un quadro sociale che, per quanto mosso, resta sempre il quadro immutabile del “qui e ora”. A questo punto, Auerbach pone un’altra questione: se il realismo antico non sa rappresentare la realtà quotidiana né problematicamente né storicamente, il limite non è soltanto del realismo, ma è anche un limite della coscienza storica. Il saggista introduce ora un brano degli Annales di Tacito in cui un soldato espone vivacemente le condizioni dei soldati e, a suo giudizio, le ragioni di tale situazione. Sembra che lo scrittore esprima in modo serio la condizione dei soldati e ne discuta le concrete ragioni, ma, osserva Auerbach, lo fa facendo parlare un personaggio, mentre un vero storico si sarebbe servito di fonti e ricerche e avrebbe discusso tutti quei punti che Tacito non cita nemmeno. Oltre a ciò, Tacito ha già svalutato il significato delle parole del personaggio, dando ai fatti esposti una causa d’ordine esclusivamente morale: l’arroganza e l’indisciplina dei soldati che emergono dal testo. Lo scrittore antico non ha un interesse positivo verso l’evento esposto, non adduce argomenti di sostegno o confutazione, perché la visione morale già lo invalida o lo conferma. Tutto questo è dovuto al fatto che nell’antichità non vi era l’idea di una profonda indagine storica che tratti metodicamente lo sviluppo dei movimenti sociali, poiché gli antichi non vedono forze storiche, ma vizi e virtù, e l’impostazione non cessa mai di essere moralistica e per di più originatasi in un ambiente aristocratico e autoreferenziale. La storiografia moralistica, infatti, non può produrre concetti sintetico-dinamici come quelli che usiamo oggi: concetti come “capitalismo industriale” o “Romanticismo” rappresentano una sintesi di fatti ed epoche e nel contempo foggiano i fenomeni nel loro divenire, per cui hanno necessariamente implicita in sé l’idea dello sviluppo. Al contrario, i concetti moralistici costituiscono concezioni aprioristiche e statiche, delle categorie assolute che si applicano di volta in volta al particolare. Auerbach si chiede a questo punto perché allora l’autore latino faccia parlare un personaggio con così notevole vivacità di fatti che poi comunque non approfondirà. Vi sono due ragioni, spiega il saggista, ed entrambe proprie della storiografia antica. In primo luogo le orazioni rappresentano i pezzi più brillanti dell’opera storiografica – della quale emerge dunque la natura puramente letteraria e non scientifica – e poi derivano direttamente dalle esercitazioni delle scuole di retorica, per cui l’autore si esercita sul carattere e sulle parole del personaggio restando però sempre saldamente legato alla tradizione retorica ed usando sempre la propria lingua fortemente elaborata. Il moralismo e la retorica dunque sono i tratti distintivi della storiografia antica e ad essa danno quell’ordine e quella efficacia drammatica che le era richiesta, ma non possono certo conciliarsi con l’idea di una realtà storica quel sviluppo di forze, per cui in essi stanno i limiti del realismo e della coscienza storica antica. Per cercare un esempio in cui tali limiti siano portati più lontano il saggista sceglie il brano della rinnegazione di san Pietro dal vangelo di Marco e dimostra come qui non si attui la separazione degli stili, per cui una situazione estremamente realistica e personaggi tutti di bassa condizione sociale siano trattati in modo problematico e addirittura tragico per l’importanza che l’episodio assume nella vicenda dei discepoli di Gesù. La mescolanza degli stili nei vangeli è resa ancora più forte dall’incarnazione del divino in un’umanità umile e dalla diffusione di questi testi nei tempi posteriori deriverà una nuova concezione del tragico che marca l’enorme distanza dalla concezione antica, poiché una figura tragica di tale origine e tale continua oscillazione fra debolezza e forza è inconciliabile con lo stile illustre della letteratura antica. In episodi come questo si rappresenta la

nascita di un movimento spirituale nelle profondità della vita spirituale di un popolo e tale movimento è destinato col tempo ad affacciarsi alla superficie della storia, per cui ogni evento circoscritto alla cornice quotidiana si rivela quale moto e forza storica perché esemplifica di volta in volta in ciascuno gli effetti della dottrina di Gesù. Mentre uno scrittore greco o romano descrive un moto popolare soltanto come si vedrebbe dall’alto, senza mai scendere a cogliere le singole reazioni degli uomini, nei Vangeli si rappresenta lo sviluppo di forze storiche per le quali è essenziale che siano persone qualunque ad essere in contatto con l’evento storico poiché in esse se ne coglie lo sviluppo necessariamente problematico. Appare evidente come l’antica norma stilistica che voleva l’imitazione del reale solo di registro comico sia inconciliabile con la rappresentazione di forza storiche e, sebbene il modo con cui i Vangeli mettano in luce tali forze non sia scientifico – ricordiamo che il movimento dei Vangeli conduce in un tempo fuori della storia, non resta orizzontale come quello della scienza – né ordini sistematicamente le esperienze in concetti, tuttavia essi possiedono un movimento maggiore delle categorie storiografiche greco-romane. È chiaro come con questa visuale cadano sia il moralismo, poiché un fatto come la rinnegazione di Pietro si sottrae a un giudizio elaborato mediante categorie ferme, sia la retorica, poiché tale fatto non si inquadra più in un genere determinato, in una forma stilistica che in qualche modo “vesta” di sé l’argomento. In ultima istanza, la diversità stilistica fra gli scritti antichi e i primi scritti cristiani poggia sul fatto che sono stati scritti da punti di vista diversi e per altri uomini. Tacito guarda dall’alto la massa degli eventi e degli uomini e li giudica come uomo di altissima condizione ed educazione così come anche Petronio vede dall’alto ciò che descrive, ma entrambi scrivono per la stessa categoria di uomini, un ceto di persone dotte e ricche che da un lato pretendevano la ricostruzione storiografica nel solco del gusto stabilito da una lunga tradizione e dall’altro erano capaci di cogliere la raffinatezza e la qualità delle allusioni letterarie e del pastiche linguistico. Nei testi evangelici non c’è questa visione razionalmente ordinata dall’alto né si ha intenzione d’arte: essi sono rivolti a tutti e in particolare ai pagani, per cui fu fatto largo uso dell’interpretazione simbolica dei testi sacri, un’interpretazione che manteneva un sottilissimo legame col sostrato sensibile dell’evento cristiano per portare l’attenzione del pubblico al significato. Alcuni esempi possono essere la creazione da una costola di Adamo di Eva, madre degli uomini secondo la carne, e la nascita dal sangue di Cristo della Chiesa, madre degli uomini secondo lo spirito. Da ciò l’ultima profonda differenza col realismo antico: infatti esso non è mai così problematico, ma è sempre sicuro della propria esistenza sensibile, per cui non vi è mai lotta fra fenomeno sensibile e significazione, che invece è propria della realtà cristiana.

Related Documents