Avevo
solo
sedici
anni,
quando
mi
accorsi
per
la
prima
volta
nella
mia
vita
che
piacevo
alle
donne.
Già
le
femmine
se
non
ci
fossero,
e
se
madre
natura
non
fosse
stata
così
generosa
con
me
probabilmente
ora
o
non
ci
sarei
più,
o
più
probabilmente
sarei
in
galera,
portato
sulla
cattiva
strada
da
brutte
compagnie.
La
mia
storia
è
simile
a
quella
di
molti
altri
ragazzi,
una
vita
normale,
con
un
padre
e
una
madre,
un
fratello
più
grande
e
una
sorella
più
piccola.
La
scuola
per
la
durata
di
cinque
anni,
poi
mio
padre
morì
e
mia
madre
si
trovò
da
sola
a
tirare
avanti
con
tre
figli
in
età
adolescenziale,
la
vita
era
stata
fino
a
quel
punto
generosa
con
noi
sino
a
che
venne
il
colpo
di
grazia.
Mia
madre
che
è
una
donna
come
penso
ve
ne
siano
poche,
dopo
la
morte
del
marito
si
tirò
su
le
maniche
ed
è
grazie
a
lei
e
ai
suoi
sacrifici
che
adesso
sono
qui
a
raccontare
la
mia
vita,
almeno
la
parte
che
va
dai
sedici
anni
in
avanti.
Il
primo
periodo
l'ho
scordato,
(ho
voluto)
farlo,
anzi
a
onor
del
vero
sto
ancora
tentando
di
farlo,
ma
la
figura
di
mio
padre,
quella
no,
è
l'unica
cosa
di
quel
periodo
che
ho
ben
fissa
nella
mente,
il
suo
sguardo
serioso,
la
sua
aria
mite
quando
la
sera
rincasava,
poi
un
flash
e
nulla
più,
ed
ora
mi
ritrovo
a
sedici
anni,
che
cammino
per
la
strada,
lo
sguardo
sempre
in
avanti,
il
sole
che
luccica
sulla
mia
pelle
abbronzata,
su
un
corpo
longilineo
e
atletico
dai
passi
svelti,
perlato
di
sudore,
e
l'aria
estiva,
che
invita
fuori
a
godere
della
natura,
ho
tutta
una
vita
davanti
e
nessun
pensiero,
quando
una
macchina
si
ferma,
e
dal
finestrino
abbassato,
una
chioma
bionda
si
sporse,
per
chiedermi
un'informazione.
Io
mi
volgo
e
le
vado
incontro,
con
assoluta
innocenza
infilo
la
testa
dal
finestrino
e
vedo
la
visone
d'un
angelo
col
vestito
corto
e
dal
petto
prorompente.
“Sali”
mi
dice
lei,
non
ho
neanche
il
tempo
di
pensare
che
la
porta
è
già
aperta
allora
mi
siedo
e
la
macchina
riparte.
Lei
non
mi
guarda
il
suo
sguardo
è
fisso
a
guardare
fuori
la
strada.
È
la
prima
volta
che
vedo
una
donna
in
tutto
il
suo
esplosivo
splendore,
i
suoi
capelli
che
come
una
cornice
di
miele
scendono
incorniciandole
un
volto
d’angelo,
le
labbra
rosse
come
il
sangue
che
pulsa
da
una
ferita
aperta,
il
suo
collo
levigato,
i
suoi
seni
scolpiti
nel
marmo,
un
corpo
fasciato
da
un
vestito
dai
colori
della
primavera
e
due
gambe
lunghe
e
snelle,
dalla
pelle
come
il
velluto
morbida
e
profumata
e
abbronzata,
agili
i
piedi
sui
pedali,
calda
la
voce,
io
sono
incantato,
imbambolato,
drogato
da
tanta
bellezza,
ora
si
che
saprei
cosa
fare,
adesso
si
che
saprei
come
agire,
ma
allora,
avevo
appena
aperto
il
mio
quaderno,
le
pagine
erano
tutte
bianche,
lei
intinse
la
penna
nel
calamaio
e
cominciò
a
scrivere.
Ricordo
ancora
che
non
distolse
mai
il
suo
sguardo
dalla
strada,
neanche
mentre
con
la
sua
mano
cercava
di
aprirmi
la
patta
dei
pantaloni,
sentivo
la
sua
presa
calda
sul
mio
arnese,
sentivo
carezzarlo
per
tutto
il
suo
volume,
con
un’intensità
tale
che
avevo
paura
mi
esplodesse.
Così
prima
che
potesse
succedere
le
allentai
la
cerniera
delle
braghe,
detto
fatto
la
sua
mano
entrò
afferrando
il
mio
pene,
potevo
sentire
il
calore
della
sua
pelle,
la
sua
mano
che
ora
a
stento
tentava
di
contenere
il
mio
affare,
mi
sentivo
a
disagio
così
decisi
di
liberarlo
del
tutto,
lo
vidi
scattare
sugli
attenti
come
un
soldato
turgido
e
duro
come
mai
l’avevo
visto
prima,
che
quasi
ne
ebbi
timore.
Per
un
attimo
anche
la
mia
compagna
di
viaggio
guardò
ciò
che
aveva
per
le
mani
e
un
gridolino
di
meraviglia
uscì
dalle
sue
labbra.
Nonostante
tutto,
continuava
a
guidare,
ma
più
nervosa,
scorgevo
il
piede
premere
sull’acceleratore
come
se
avesse
premura
di
arrivare
da
qualche
parte.
Più
il
suo
piedino
faceva
forza
sull’acceleratore,
più
la
sua
mano
afferrando
il
mio
coso
lo
menava
su
e
giù.
Arrivammo
a
tutta
velocità
a
due
passi
dal
mare,
nella
confusione
del
momento,
potei
solo
sentire
lo
stridore
dei
freni
sulla
sabbia
e
vedere
dal
vetro
dell’auto
i
bagliori
delle
onde
riflesse
sotto
il
sole.
In
un
lampo
la
sua
bocca
si
aprì
e
come
una
voragine
che
inghiotte
tutto,
lei
ingollò
il
mio
pene
facendolo
sparire
tra
le
sue
fauci
cominciando
a
pompare
come
una
forsennata,
gemendo,
emettendo
esagerati
rumori,
sentivo
i
suoi
denti
mordermi
le
carni,
la
sua
lingua
leccare,
le
sue
labbra
ciucciare,
mordeva,
gemeva
e
succhiava
avidamente
come
se
quello
che
aveva
in
bocca,
fosse
dovuto
sparire
da
un
momento
all’altro.
Io
ero
impietrito,
ma
non
da
lei,
dalla
sua
ingordigia,
sembrava
un
porco
in
mezzo
ad
un
baccanale.
Senza
fermarsi
un
attimo,
si
alzò
la
gonna,
si
scostò
le
mutandine
e
gettandosi
quasi
a
corpo
morto
sul
mio
pene
se
lo
infilò
nella
sua
natura.
Entrò
dentro
come
un
coltello
caldo
nel
burro,
mi
sentii
invadere
dal
fuoco,
ma
allo
stesso
tempo
ero
come
paralizzato
incapace
di
fare
qualsiasi
movimento,
inchiodato
al
sedile
dell’automobile,
ero
in
balia
delle
sue
voglie.
Da
prima
il
suo
bacino
cominciò
lentamente
a
roteare
in
senso
orario
sopra
di
me
mentre
vedevo
a
malapena
affiorare
il
mio
arnese
dalla
sua
vagina,
poi
come
presa
da
un
raptus
cominciò
un
su
e
giù
sempre
più
spedita
e
più
andava
veloce,
più
sentivo
il
mio
coso
indurirsi
e
ingrossarsi.
Si
strofinava
in
maniera
così
energica
che
pensavo
me
lo
volesse
staccare,
in
preda
alla
lussuria
più
sfrenata
la
“signora”
cominciò
allora
a
saltare,
su
e
giù,
balzava
così
in
alto
che
pensavo
volesse
sfondare
il
tettuccio
dell’automobile,
lei
era
in
preda
ad
un
raptus
ed
io
alla
paranoia.
In
un
battibaleno
si
liberò
dal
vestito
parandomi
dinanzi
agli
occhi
due
seni
pieni
e
rotondi
con
due
capezzoli
turgidi
e
duri
da
poterci
appendere
un
quadro.
Uno
me
lo
infilò
in
bocca,
che
quasi
mi
soffocò,
così
al
grido
di
“succhia”,
cominciai
a
poppare
come
un
neonato,
a
poppare
e
mordere
e
più
succhiavo,
più
lei
si
eccitava
e
più
si
stimolava,
più
saltava
sopra
il
mio
arnese
che
era
arrivato
quasi
sul
punto
di
esplodere,
ma
la
signora
che
doveva
averne
di
esperienza
in
merito,
capì
cosa
sarebbe
successo
di
li
a
poco
ed
in
un
batter
d’occhio
la
vidi
smontare
da
cavallo
e
posizionarsi
prona
dinnanzi
a
me,
in
meno
che
non
si
dica
ingollò
per
tutta
la
sua
lunghezza
il
mio
pene
e
lo
fece
sparire
nelle
sua
capace
gola,
succhiando
come
una
forsennata,
gemendo,
muovendo
i
fianchi,
dimenandosi
come
in
preda
al
ballo
di
San
Vito,
lentamente
me
lo
stava
divorando,
fino
a
quando
al
colmo
del
piacere
non
esplose
in
un
orgasmo
tremendo
ed
a
quel
punto
io
le
inondai
la
bocca.
Sentivo
uscire
dal
mio
arnese
come
un
fiume
in
piena
che
avesse
rotto
gli
argini
e
ora
in
tutta
la
sua
potenza
stava
straripando,
ma
quale
sorpresa
fu
che
dalle
sue
labbra
non
una
goccia
del
mio
liquido
ne
uscì.
Ingurgitò
tutto
con
un
rumore
anomalo,
poi
come
un
lampo,
si
pulì
le
labbra,
si
rivestì
in
fretta,
mi
disse
di
fare
lo
stesso
e
dopo
di
che
mi
fece
scendere
dalla
sua
automobile,
chiuse
lo
sportello
e
ripartì
senza
neanche
salutarmi.
Il
sole
stava
tramontando,
l’aria
andava
rinfrescandosi
ed
io
ero
lontano
di
casa
per
tornarmene
a
piedi,
mi
misi
quindi
a
pensare,
era
la
prima
volta
con
una
donna
e
qualcosa
che
quella
sarebbe
stata
la
mia
strada,
il
mio
futuro,
sedici
anni
sono
ancora
pochi
per
decidere
per
proprio
destino,
ma
una
cosa
era
sicura,
le
donne
avrebbero
fatto
parte
in
un
modo
o
nell’altro
della
mia
sorte
e
imparai
da
quel
giorno
una
grande
lezione.
Il
sesso
non
va
consumato,
piuttosto
gustato.
(M.R.
Parsi)