Ragione del commercio (Lanza del Vasto – “I Quattro Flagelli” – SEI) I punti di vista di Marx sui principi del commercio e sulla ragione del profitto risentono della stessa ignoranza della natura delle cose. Quando egli afferma che il mercante non ha altra funzione e professione che vendere i beni ad un prezzo più alto di quanto valgano, gli attribuisce un’arte da prestigiatore o forze magiche che non sono di sua competenza. Se è vero che vive a spese del pubblico, grazie a giochi di prestigio, ci domandiamo perché, dopo quaranta secoli e più che dura questa manovra, nessuno (eccetto Marx) abbia ancora svelato i suoi trucchi. E’ falso affermare che il mercante non ha cambiato niente nell’oggetto che rivende più caro di quanto l’ha pagato. Lo ha fatto cambiare di posto. “Un dettaglio del tutto contingente !” “Sì, grande pensatore, economista politico, realista perfetto: un dettaglio !” Lo spazio ed il tempo : due dettagli ! (ma poco fa non ne avevi dimenticato un altro, il Creatore?) Facendo cambiare di posto all’oggetto, al momento giusto, il mercante l’ha dotato di una qualità nuova, senza la quale le altre sue qualità non servono a niente, l’utilità. Avendo l’oggetto cambiato di posto, tutto è cambiato. Se il mercante ignorasse, come il nostro filosofo, questa verità, farebbe fallimento (i filosofi hanno il vantaggio di fare fallimento senza accorgersene). Portando la merce dove essa è più richiesta, il mercante è lo stimolo più forte alla circolazione dei beni ed il regolatore più sensibile dei prezzi. Il suo vantaggio, contrariamente a quanto si possa credere, è quello di vendere ad un prezzo più basso. La merce ed il denaro sono ricchezze morte se marciscono. Portarle al luogo di destinazione nel modo più rapido possibile è farli vivere ed essere. E’ falso vedere nel commercio un ingrossamento morboso, un’escrescenza parassitaria, come dire che il cuore, perché non secerne il sangue che attira e sospinge, è una sanguisuga o un gonfiore. Il commercio non è esente da abusi, è vero. Ma niente può essere definito in base ai suoi difetti. Si può falsare o forzare il mercato con la rèclame, l’accaparramento, la frode. Ma la concorrenza è quella sorveglianza e quel correttivo che un mercante esercita sull’altro meglio della legge più rigorosa, a maggior vantaggio del cliente, cioè di tutti. Che, da un momento all’altro, il prezzo di un oggetto decuplichi o crolli senza che l’oggetto stesso sia aumentato o deperito è un fatto incontestabile di cui tener conto e render conto. Ma se crede che il valore sia prodotto dalla mano del lavoratore e poi incorporato nell’oggetto come il tuorlo nella farina e nello zucchero il dolce, la crescita o il calo dei prezzi non gli possono apparire che come un miracolo o uno scandalo.
Il valore non è un prodotto. Il valore non è un oggetto. Il valore non è negli oggetti. Ma è nel cuore dell’uomo, nei suoi desideri e nel suo giudizio. Esso è nei rapporti tra persona e persona. Il valore commerciale è la misura dell’intensità del desiderio, o, meglio, della tensione tra due o più persone i cui desideri convergono su di un oggetto e si escludono a vicenda. Ma niente è più mutevole del desiderio, che può trasformarsi in indifferenza o addirittura in ripulsa. E la causa più comune dell’estinzione del desiderio è il suo appagamento. Allora se l’appagamento è facile, l’oggetto che lo procura rimane senza valore commerciale, anche se corrisponde perfettamente ai bisogni più elementari e più forti, quali per esempio l’aria, l’acqua o la luce. Occorre quindi che l’oggetto sia raro e di difficile raggiungimento, ma di possibile possesso. Tutti i beni spirituali sono rari e di difficile raggiungimento, e per questo hanno un valore, o meglio, sono dei valori. Ma è impossibile possederli nel senso che se ne gioisce tanto meglio quanto più lo si fa in comune, e coloro che li desiderano, desiderano che altri li desiderino e li ottengano. Sono tali beni, per esempio, la musica o la verità. Essi non comportano un valore commerciale, sono “senza prezzo”. Senza prezzo sono anche i beni che non sopportano divisione né scambio. L’amore della sposa, per esempio, o la libertà interiore o la gloria procurata dall’opera al suo autore o l’autorevolezza che deriva dalla virtù unita al sapere. Hanno valore commerciale solo i beni di distribuzione e di scambio che appartengono all’ordine inferiore, limitato, materiale. E questi beni hanno un valore solo in quanto viene a loro attribuito. Il valore attribuito cresce in ragione inversa del loro numero ed in ragione diretta del numero di coloro che li vogliono e della resistenza di quelli che li possiedono. Quindi, se possedere significa difendere, guadagnare vuol dire conquistare. Ogni convergenza di cupidigia su un determinato oggetto è un conflitto latente. Se il conflitto scoppiasse ogni volta non sarebbe possibile alcuna società. Quando il conflitto scoppia tra membri di una stessa società c’è rapina e crimine. Se scoppia tra due società sovrane si ha la guerra. Ma la conquista costante, tacita e senza spargimento di sangue, se non senza lotta, si chiama profitto o guadagno. Invece di colpire o di provocare colui che si vuole espropriare, viene convocato a parlamento e gli viene offerto un trattato. Viene pagato, e pacare, pagare, vuol dire pacificare. E questo ci riporta a ciò che abbiamo già dimostrato, che cioè il commercio si colloca tra il gioco e la guerra. Se il commercio è un mestiere, questo mestiere è la natura del giuoco e della guerra, piuttosto che del lavoro. Sì, del gioco d’azzardo. E’ il profitto non comprato a prezzo di fatica come nel lavoro, ma a prezzo del rischio. Il rischio di perdere compensa la possibilità di guadagnare. Questo costituisce l’onore del soldato e l’onestà del mercante. (Lanza del Vasto – “I Quattro Flagelli” – SEI)