Profilo Filologico-storico Della 2tessalonicesi

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PARUSIA E APOCALISSE DI GESÙ, IL SIGNORE DEL FUTURO La 2Tessalonicesi è un’epistola e serve come strumento di apostolato e di pastorale a distanza. È composta di 248 lemmi, complessivamente ripetuti 823 volte in forme grammaticali distinte. I versetti sono 47 e i capitoli 3. Nel corpus delle 13 epistole riconducibili a Paolo come il mittente esplicito principale, la 2Ts occupa il terzultimo posto per (scarso) numero di versetti, seguita da Tito (con 46 vv) e da Filemone (con soli 25). È tra le più brevi. La 1Ts, per esempio, con la quale è utile una comparazione, nella stessa edizione critica (la 27esima del Nestle-Aland) risulta composta di 89 versetti con 359 parole ripetute in ben 5 capitoli 582 volte. La 1Ts occupa il sesto posto per numero di versetti (113) dopo Galati (che di vv ne 149) e prima di Filippesi (104). La 1Ts è tra le lettere importanti. Tanto per 1Ts che 2Ts, prima destinataria è comunque la stessa “chiesa dei tessalonicesi”. Inoltre, tanto la 1Ts che la 2Ts non sono testi omiletici come, per esempio, potrebbe considerarsi la “Lettera agli Ebrei” che non ha un indirizzo né un mittente, né il saluto iniziale. La 2Ts somiglia a tutte le altre 12 epistole attribuite a Paolo, stando a quanto questi che pretende di essere l’autore sia della 1Ts (1,1; 2,18) che della 2Ts (1,1; 3,17) – e anche “apostolo” ma solo per la 1Ts (2,7) – esige (in 1Ts 5,27) e scongiura: che per il Signore “questa epistolé sia letta a tutti i fratelli”. Scrittore apostolo, Paolo desidera essere letto e capito, anche a distanza, assente fisicamente, da tutta la “chiesa” (1Ts 1,1; 2,14; 2Ts 1,1.4) di Tessalonica, una città macedone menzionata direttamente in At 17,1.11.13; 20,4; 27,2 come campo apostolico di Paolo che ne parla anche in Fil 4,16 e in 2Tm 4,10. Le due epistole ai tessalonicesi hanno forti somiglianze e differenze tra loro, pur avendo origine da uno stesso gruppo apostolico composto da Paolo, Silvano e Timoteo, menzionati in quest’ordine, sia in 1Ts 1,1 che in 2Ts 1,1 ma anche in 2Cor 1,19. Che le due epistole siano partite dallo stesso luogo oltre che dalle stesse persone?

Poco spazio fisico Da dove questo gruppo, espresso quasi sempre con un “noi”, scriva non è dato capire, neppure investigando su indizi di altro genere, come i nomi geografici, in esse contenuti. Anzi, a questo riguardo si notano importanti differenze tra le due lettere sorelle.

La 2Ts praticamente non ha riferimenti spaziali mentre nella 1Ts sono menzionate diverse regioni storiche come: la Macedonia e l’Acaia (la Grecia antica: 1Ts 1,7s; 4,10), la città di Atene (1Ts 3,1), la Giudea (1Ts 2,14) e Filippi (in Macedonia come Tessalonica: 1Ts 2,2). La 2Ts non ha dunque un definito riferimento storico-geografico rispetto alla 1Ts, che è considerata il testo d’apertura del Nuovo Testamento.

Comparazioni linguistiche Inoltre, se chi scrive la 1Ts tende ad usare, in media, 4,12 volte la stessa parola, chi scrive la 2Ts la stessa parola la usa di meno, in media 3,21 volte, mostrando così di possedere un vocabolario più ricco, più paragonabile a quello di Colossesi (dove uno stesso termine è mediamente ripetuto 3,70 volte) e di Filippesi (3,71). La 2Ts somiglia dunque, statisticamente parlando, più a 1Tm (2,98), 2Tm (2,75), Fm (2,39), Tt (2,21) che a 1Cor (7,20), Rm (6,77), 2 Cor (5,76). Variazioni più precise, ma anch’esse utili più a descrivere obiettivamente un profilo della 2Ts che a provarne o contraddirne l’autenticità, si notano osservando le distinte posizioni occupate nella lista dai temi che le due epistole hanno in comune.

Tre parole comuni importanti Tre parole, ma anche altre, sono comuni a 1Ts e a 2Ts ed occupano la stessa posizione nelle due liste: a) l’articolo ho, “il” (112 volte nell’inclusione 2Ts 1,1 – 3,18) anche nella 1Ts occupa il primo posto (193 volte in 1Ts 1,1 – 5,28); la media d’uso è solo leggermente diversa: 7,34 volte nella 2Ts contro le 7,67 volte di 1Ts. b) Il secondo posto è occupato dalla congiunzione kaí, “e”, in entrambe le lettere: 102 volte in 1Ts (14,51) e 50 in 2Ts (16,46); la costruzione testuale della 2Ts sembrerebbe leggermente più paratattica che della 1Ts. c) Il terzo posto, occupato nella 2Ts da sý, “tu-voi” (40 volte in 1,2 – 3,18) è occupato dallo stesso pronome di seconda persona in 1Ts (84 volte in 1,1 – 5,28). Entrambe le epistole mettono al primo posto il tu-voi, anziché l’io-noi, con qualche differenza a vantaggio della 1Ts. Qui le 84 volte di sý costituiscono il 5,67% delle 1481 occorrenze dei 359 lemmi. Leggermente più bassa è la percentuale in 2Ts (4,86%). La differenza è meno di un punto percentuale (0,81).

Fraternità tra chi scrive e chi legge L’egó occupa il quarto posto in 2Ts (26/823) e il quinto in 1Ts (50/1481 in 1,2 – 5,28). Ma le percentuali si somigliano molto: 3,76% nella 1Ts e 3,16% nella 2Ts. Questa somiglianza è indizio di una volontà di dialogo, presente in modo equivalente nelle due epistole.

Nel saluto iniziale della 2Ts la presenza dell’egó è discreta e inclusiva: Paolo, Silvano e Timoteo si rivolgono alla chiesa (cf. ekklesía in 1Ts 1,1; 2,14; 2Ts 1,1.4) dei tessalonicesi che sono “in Dio nostro Padre”. Il credo basilare riguarda dunque Dio che è “Padre nostro”, sia di chi scrive cioè che di chi legge e la seconda, più implicita affermazione è che i tessalonicesi sono dei figli di Dio, per cui sono tutti fratelli (adelphós, “fratello” è menzionato 19 volte in 1Ts e 9 volte in 2Ts, che mai registrano il termine “sorella”). Il dialogo supposto dall’uso ravvicinato di “voi-noi” deriva da questa certezza sia circa la paternità di Dio, inclusiva di tutta la chiesa, compreso Paolo e i suoi stretti collaboratori. In 2Ts 1,12, oltre l’appartenenza intima di tutti a Dio, con il doppio uso di egó è messa in risalto anche la signoria di Gesù. La comunicazione tra il “noi” e il “voi” ha in questo caso per argomento il giudizio di Dio nella parusia (2Ts 2,1.8s) del Cristo. Di questo tema parleremo più avanti. Già però in 2Ts 1,11 Paolo assicura di restare “continuamente” in preghiera “per voi perché il nostro Dio vi renda degni della sua klêsis-vocazione”, che è logicamente quella di formare l’ekklesía, convocazione permanente di tutta l’umanità, operando il bene verso tutti i fratelli, per la glorificazione del nome del “Signore nostro Gesù in voi e voi in lui”, secondo la grazia “del nostro Dio”. Paolo insiste su Dio che è “nostro” soprattutto come Padre, mescolando in tal modo un’intimità abissale, sia la paternità che la figliolanza e la fraternità con la divinità di Gesù che vedremo fra poco. L’uomo Gesù (menzionato da solo, senza “Cristo”, in 1Ts 1,10; 2,14s.19; 3,11.13; 4,1.14; 5,18; 2Ts 1,7.12; 2,8; da leggere è soprattutto 1Ts 4,14) è il “nostro” kýrios (menzionato insieme a Cristo o a Gesù in 13 vv della 2Ts e in solo 12 della 1Ts: 1Ts 1,1.3; 2,15.19; 3,11.13; 4,1s.16; 5,9.23.28; 2Ts 1,1s.7s.12; 2,1.8.14.16; 3,5s.12.18). Questa signoria di Gesù, in quanto vero Cristo-Messia (quindi l’unto re, sacerdote e profeta) è immediatamente più percepibile, perché più marcata della paternità divina. Di Dio in quanto “padre” si parla comunque spesso nelle due lettere: in 1Ts 1,1.3; 3,11.13; 2Ts 1,1s; 2,16. È un modo, ci sembra, di suggerire la divinizzazione della stessa chiesa dei tessalonicesi. In 1Ts 2,11, Paolo considera “padre” se stesso, stabilendo con i lettori un rapporto più originale che quello di “fratello”. Con fare familiare ricorda infatti la sua permanenza a Tessalonica, allorché “come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi”. Ha esortato, naturalmente, come appare dal contesto, all’obbedienza della fede alla verità del vangelo. Infatti, sia la figliolanza a Dio e a Paolo, che la fraternità estesa a tutti i tessalonicesi, è regolata dalla signoria di Gesù, il Cristo – che nelle due epistole Paolo non considera esplicitamente “Figlio di Dio”.

In 2Ts 2,1 esorta i tessalonicesi, chiamandoli “fratelli” a prepararsi bene alla parusia “del Signore nostro… e alla nostra riunione con lui”. A Tessalonica, mai nominata esplicitamente, la presenza catalizzante è quella del christós che è kýrios: si appartiene al Padre come figli e si deve appartenere agli altri come fratelli per obbedienza “nostra”, di ciascuno, a Gesù il Signore.

È Dio la (santa) sede della chiesa In quinta posizione, nella lista delle parole di 2Ts preparata in ordine di frequenza, compare la preposizione en, “in”, che è una parolina, ma è importante per Paolo che la usa, percentualmente, soprattutto in Colossesi (88 volte su 1582 occorrenze di tutti i lemmi) e in Efesini (122/2422), considerate dai più lettere non autentiche. La si trova comunque più spesso che altrove anche in Filippesi (66/1629) e in 1Ts (55/1481) che sono considerate invece lettere di Paolo. In 2Ts la preposizione ricorre 26 volte su 823 occorrenze del totale dei lemmi, formando un indice di frequenza del 3,16%, inferiore al 3,57% di 2Corinzi e superiore al 2,98% di 2Timoteo. Né in Romani (2,43%), né in Galati (1,83) che occupa l’ultimo posto nelle percentuali di frequenza, l’en è particolarmente rilevante. Nulla si può quindi dedurre sull’autenticità o inautenticità di 2Ts a partire dall’uso dell’“in”. In 2Ts l’en ricorre dunque 26 volte formando una inclusione che va dal primo versetto (1,1) al penultimo (3,17). In 2Ts 1,1 Paolo colloca la chiesa “in Dio e” – ma l’en in greco non è espresso la seconda volta – anche “[nel] Signore Gesù Cristo”. Dio è la prima vera sede della chiesa dei tessalonicesi. Ma Dio non è solo, essendo sempre, nel testo, accompagnato da Gesù, Cristo e Signore. La presenza dell’intero Dio è percepibile leggendo 2Ts 2,13, allorché Paolo, colmo di stupore reverenziale, riconosce il dovere di rendere sempre grazie a Dio, quindi di celebrare un’eucaristia permanente, “per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, [en] nell'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità” che è quella del “vangelo di Gesù, nostro Signore” (cfr. 2Ts 1,8) che è “il nostro vangelo” a cui è necessario credere e obbedire per arrivare a possedere la gloria del “Signore nostro Gesù Cristo” (2Ts 2,14). La struttura teologica del testo di 2Ts è trinitaria, anche se non sempre esplicita. I tessalonicesi per non uscire dalla chiesa, non devono allontanarsi da Dio che è uno anche se distinto in relazioni personali diverse. Nel ringraziamento iniziale, in 2Ts 1,4 Paolo aveva già utilizzato tre volte en, in un modo particolarmente personalizzato e dialogico: per la fede (pístis) e l’amore responsabile e servizievole (agápe), virtù che congiunte abbondano a Tessalonica – secondo 1Ts 1,3; 3,6; 5,8; 2Ts 1,3; 2,13 – egli, assieme probabilmente a Silvano e Timoteo che non dimentica mai utilizzando il “noi”, scrive che “possiamo

gloriarci di [en] voi [en] nelle chiese di Dio” per la fermezza e la fiducia in Dio mostrata “[en] intutte le persecuzioni e tribolazioni che sopportate”. I tessalonicesi sono depositari dell’orgoglio apostolico di Paolo, in o presso altre chiese che sono evidentemente costituite in altri luoghi. Questo avviene per la capacità, evangelica, di navigare in un mare di sofferenze, indefinite ma provenienti da ogni parte perché imposte come a Gesù la croce. Restare saldi nella prova, restando insieme con speranza (cfr. elpís in 1Ts 1,3; 2,19; 4,13; 5,8; 2Ts 2,16) garantisce una crescita e la durata della chiesa, retta dalle tre regole teologali, della fede, speranza e amore. In 2Ts 1,10 la preposizione en ricorre altre tre volte e serve, letterariamente, a rapportare i tessalonicesi al Signore che verrà “per essere glorificato [en] suoi santi”, “ed essere riconosciuto ammirevole [en] in tutti quelli che avranno creduto – perché è stata credutala nostra testimonianza presso di voi”. Siccome proprio “questo accadrà [en] in quel giorno”, i tessalonicesi non hanno da temere. Sono santi di Dio per la fede che li abita, e perciò invitati alla rivelazione della gloria mirabile del Cristo. La parusia sarà il giorno della glorificazione, mista, di Cristo e della chiesa. Davanti a chi? Paolo non lo dice, in quanto non menziona, in nessuna delle due epistole, né il “mondo”, né le “nazioni” e neppure la “città”. È interessato più alla dimensione del tempo, del “giorno” ancora indefinito e alla visibilità grandiosa e gioiosa del Signore, che allo spazio incapace di contenere questa venuta del Signore. Quel “giorno” (cf. heméra in 1Ts 2,9; 3,10; 5,2.4s.8; 2Ts 1,10; 2,2; 3,8) finale rispetto a tanti altri di pena e iniziale di un’era nuova, è parusia. In 2Ts 1,12, Paolo e il suo “noi” pensano ad uno scopo alto. La parusia è finalità del tempo e dello spazio e quindi della storia: “perché sia glorificato” il nome del kýrios “nostro Gesù [en] in voi e voi [en] in lui”. Quest’intima reciprocità di un’immersione di tutti in Cristo – essendo già nella chiesa – è meta da non perdere di vista per nessun motivo, essendo il futuro certo, glorioso e vitale per tutti quelli che obbediscono alla verità. Paolo sottoscrive questa attesa, fattiva e fedele, in un saluto finale, “di mia mano, di Paolo”, che serve da “segno” (semeîon nelle 13 lettere compare solo in Rm 4,11; 15,19; 1Cor 1,22; 14,22; 2Cor 12,12; 2Ts 2,9; 3,17 e il verbo semeióo solo in 2Ts 3,14) o firma “[en] in ogni epistola; io scrivocosì”. Chi tenta in tal modo di autenticare la propria visione e descrizione della parusia come una prospettiva immediata per la chiesa che è invitata a crescere camminando in avanti e non indietro, senza però correre troppo, difficilmente può essere un falsario.

L’esclusiva sovranità del kýrios Unico Signore che comanda a Tessalonica è Gesù Cristo. Al sesto posto, infatti, nella lista di frequenza dei 248 lemmi di 2Ts c'è il termine kýrios, “dominatore, padrone”, sempre, nelle sue 22 occorrenze (in 2Ts 1,1 – 3,18), riferito a Cristo Gesù. Rispetto alla 1Ts, dove ricorre 24 su 1481 occorrenze dei 359 lemmi, la 2Ts ha la percentuale di frequenza maggiore, il 2,67% contro l’1,62% della 1Ts. A osservare meglio le cose, notiamo che la 2Ts ha in realtà la percentuale più alta di frequenza di kýrios rispetto a qualsiasi altra lettera del corpus e quindi di tutta la Bibbia. Se infatti al secondo posto c'è la 1Ts – e questo depone a favore di una loro vicinanza non solo geografica ma linguistica – al terzo posto risulta Filemone (con 1,49% di frequenza), al quarto 2Timoteo, al quinto Efesini, al sesto Colossesi. All’ultimo posto c'è Galati con lo 0,27%. In Tito, kýrios è addirittura assente. Che dire allora sull’autenticità della 2Ts? che l’insistenza sulla signoria di Cristo, dilatata anche con i suoi aspetti escatologici ed apocalittici, come vedremo, rende davvero la questa epistola meno paolina di 1Ts o di altre come Filemone, o Romani, dove Paolo parla addirittura meno di “Signore” (lo 0,60% pari cioè a 43 occorrenze su 7111 occorrenze totali dei lemmi che la compongono) e molto di più di “Dio”? In 2Ts, kýrios è il tema centrale, più marcato di theós, “Dio” (18 volte nei 14 vv: 2Ts 1,1ss.8.11s; 2,4.11.13.16; 3,5); di christós, “Cristo” (10 volte nei 10 vv: 2Ts 1,1s.12; 2,1.14.16; 3,5s.12.18); di iesoûs, “Gesù” (13 volte nei 12 vv: 2Ts 1,1s.7s.12; 2,1.8.14.16; 3,6.12.18). Lo Spirito è menzionato, come il santificatore e la guida unificante della chiesa in 2Ts 2,13. Al centro della 2Ts sta quindi proprio la signoria di Cristo Gesù, prima di Dio (Padre) e dello Spirito Santo. È il Signore Gesù il protagonista di 2Ts anche se Paolo ne parla solo in terza persona. Il nucleo essenziale della sua predicazione è questo: “Gesù, il Cristo, è il kýrios” (cfr. Rm 10,9; 1Cor 12,3; 2Cor 4,5; Fil 2,11; 3,8) – ed è da supporre, data l’insistenza, che altri signori non esistano o che Mosè o l’imperatore romano non gli sono pari. La prima occorrenza di kýrios, lo dicevamo sopra, è nel primo versetto e l’ultima nell’ultimo (3,18) sicché testa e coda includono ogni altra parola della lettera. Ciascun termine è messo in contatto con la signoria del Cristo, per cui cresce la stessa autorevolezza di chi scrive. Paolo rapporta tutto al Signore, pensa e comunica con la chiesa lontana in obbedienza al Signore presente ovunque. L’intera 2Ts è frutto di un alto ministero di fede; è una testimonianza all’uomo Gesù e non più a una “legge” giudaica (nómos non appare – come del resto “Mosè” o “Scrittura” – nelle due epistole) o una “sapienza” (sophía è anche del tutto assente) greca in quanto è Signore è uno solo e basta.

Spazi, tempi e modi della signoria di Gesù Paolo, assieme a Silvano e Timoteo (ricordati anche in 2Cor 1,19 come gli autentici evangelizzatori o apostoli fondatori della chiesa di Dio a Corinto, avendovi predicato Gesù Cristo come “Figlio di Dio”) ora, in 2Ts 1,1 (simile a 1Ts 1,1) si rivolgono alla chiesa per ricordare che Dio è “nostro Padre” e che Gesù Cristo è “Signore”. È questo il buongiorno iniziale che sfocia in un solenne augurio finale in 2Ts 3,16.18 dove è espressa la caratteristica forse più importante del kýrios: “Il kýrios della pace, egli stesso via dia la pace”: la signorilità di Gesù è la pace, che ha la sua origine e fine in Dio. L’eiréne, infatti, assieme alla “grazia” (cháris è distribuita in 1Ts 1,1; 5,28; 2Ts 1,2.12; 2,16; 3,18) Paolo l’aveva augurata ai tessalonicesi in 2Ts 1,2 come proveniente da Dio in quanto Padre; ma anche da parte del kýrios che è Gesù il Cristo, e quindi una pace ecclesiale, antropologica o fraterna, frutto della signoria di Gesù. Alla fine della 2Ts la “pace” (cfr. anche 1Ts 1,1; 5,3.23) diventa dono diretto del kýrios, come per dire che “sempre e in ogni modo” si è in pace se si è “in Cristo” – espressione utilizzata solo in 1Ts 2,14; 4,16; 5,18 e mai nella 2Ts – dipendenti in tutto dal Signore. In 2Ts 1,7, Paolo, Silvano e Timoteo, che pensano e sembra anche scrivere insieme la 2Ts, entrano in un discorso sul futuro che serve a mettere nella prospettiva della risurrezione e del giudizio di Dio un presente difficile. L’invito è quello di guardare avanti e non indietro, e non piangersi addosso, e neppure sforzarsi di decifrare per autogiustificarsi o meglio adattarsi ad un mondo circostante, per evitare contrasti necessari. Meglio è rompere protendendosi in avanti, almeno con la mente: “a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi nell’apocalisse del kýrios Gesù”, dal cielo, con i suoi angeli. Quel giorno della rivelazione di ogni segreto nascosto, si manifesterà per quello che è da quando è risorto dai morti: il Yhwh-Adonai tsabaoth, il kýrios di cielo e terra, il Signore di eserciti. È questa la poco psicologica e molto militare consolazione (1Ts 2,19s; 3,7.9; 4,18; 5,11.14; 2Ts 2,16s) trasmessa dal gruppo apostolico ai tessalonicesi. Dov’è grande la tribolazione, grandissima deve essere, in speranza, la gioia, che è un dono dello Spirito Santo (cfr. 1Ts 1,6). Secondo 2Ts 1,8-12 ben diversa, del tutto opposta, ma altrettanto realistica, sarà la situazione in cui verranno a trovarsi, il giorno del giudizio, coloro che “non obbediscono al vangelo del kýrios nostro Gesù”. A costoro spetterà, secondo un insieme di allusioni veterotestamentarie (cfr. Gr 10,25; Sal LXX 79(80),6; Is 66,15), una “fiamma ardente”, visualizzazione della giustizia punitiva di Dio, che in 2Ts non è affatto abolita. È rimandata al giorno del Signore.

Il linguaggio è inequivocabilmente apocalittico ed escatologico: i disobbediente alla verità, i menzogneri, saranno castigati “in una rovina eterna”, che sembra consista in un “distacco” o “lontananza forzata” dalla visione della “faccia” luminosa o “presenza del kýrios” e dallo “splendore del suo potere”. Staccarsi dalla gloria della verità che splende sul volto bene identificabile di Cristo da parte chi l’ha seguito obbedendogli, che altro potrebbe significare oltre un vano rintanarsi nella menzogna dell’apparenza? Parlare in modo netto, chiaro ma duro, serve ai tessalonicesi come uno sprono a vivere di fede, secondo la “vocazione” ricevuta attraverso l’accoglienza del vangelo, annunciato a Tessalonica dallo stesso Paolo (e Sila, uguale a Silvano?) secondo At 17,1.11.13.

Il giorno del Signore I tempi presenti sono oscuri e “il giorno del kýrios” (che non è la domenica, la kyriaké heméra di Ap 1,10) non è affatto imminente, come si potrebbe credere fermandosi ad una lettura superficiale di 2Ts 2,2. L’espressione utilizzata è veterotestamentaria e come tale è riferita a YhwhAdonai, tradotto con kýrios dai LXX. È un’espressione profetica (cfr. Is 2,12; 13,6.9; Ez 13,5; 30,3; Gl 1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14; Am 5,18.20; Ab 1,15; So 1,7.14) che nel NT è ripresa non solo in 1Ts 5,2; 2Ts 2,2 ma anche in At 2,20 e in altre lettere di Paolo come 1Cor 1,8; 5,5; 2Cor 1,14 oltre che nel corpus petrinum (2Pt 3,10) – ed è riferita a Gesù Signore. Il giorno di Yhwh diventerà il giorno in cui Gesù agirà e deciderà da kýrios. Paolo si premura però di ritmare il passo di fede, speranza e carità dei tessalonicesi perché non fuggano in avanti, evitando il continuo necessario interrogarsi per sano discernimento. Tutto il discorso sulla parusia serve a una giovane chiesa solo per diventare adulta. I tessalonicesi sono pregati di non lasciarsi confondere e turbare, “né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche epistola…” falsificata, “quasi che il giorno del kýrios sia imminente”. Non lo è, e non ci sono regole facili per evitare di auto-illudersi. Sulla parusia investigheremo ancora meglio più sotto, intanto, secondo 2Ts 2,1316, nella quotidianità della vita ecclesiale, Paolo e il suo gruppo (“noi” è il soggetto parlante e mai si materializza l’egó in prima persona singolare, come “io” o “me” nella 2Ts, tranne che in 3,17, mentre in forma enfatica lo si trova in 1Ts 2,18: “proprio io, Paolo volevo venire da voi, ma Satana me lo ha impedito”) si sentono obbligati a ringraziare Dio per i lettori e uditori, “fratelli amati dal kýrios”, scelti come “primizia per la salvezza” attraverso l’infaticabile presenza dello Spirito e per la fede nella “verità”. Questa “verità” (alétheia: compare ben tre volte in 2Ts 2,10.12s e mai nella 1Ts) diventa ora vocazione “con il nostro vangelo” per arrivare a possedere “la gloria del nostro kýrios” che è Gesù Cristo.

Vivere nella verità è vivere in fedeltà al vangelo, che è inizio della rivelazione di quell’identità più profonda e splendente, metastorica, di Gesù kýrios. Si tratta di non perderlo di vista allontanandosi dalla sua “gloria” che per fedeltà diventerà “nostra”. La verità è che è Gesù, il Cristo è il solo kýrios storico uguale a Dio, indissolubile da “Dio nostro Padre”. È questa certezza la “consolazione eterna” e la “buona speranza” per i lettori di Tessalonica, per i quali il linguaggio di Paolo risulta certamente meno oscuro che per noi. In 2Ts 3,1-18, il gruppo apostolico coinvolge i tessalonicesi nella loro stessa missione: “pregate per noi, perché la parola del kýrios” (si noti come la “parola del Signore” ricorra, in tutto il corpus, solo in 1Ts 1,8; 4,15; 2Ts 3,1), si diffonda e “sia glorificata come lo è anche presso di voi”. La chiesa cresce non solo grazie ad itineranti come Paolo (Silvano e Timoteo) ma anche attraverso la preghiera di persone stanziali come gli abitanti cristiani di Tessalonica (città fondata attorno al 315 a.C. ma accresciuta grandemente dopo il 146 come capitale della provincia romana di Macedonia, e con una forte colonia di ebrei). L’orazione apostolica è cristologicamente motivata con la certezza che la parola degli apostoli è la stessa “del kýrios”, e che vale per la salvezza (cfr. 2Ts 2,10.13) di tutti; che non è impotente come le parole “di uomini”. Ha una valenza divina da riconoscere per essere accolta, creduta e “glorificata”. La preghiera serve a diffondere la verità del vangelo anche altrove per l’impero romano. Gli ostacoli alla missione esistono e sono gravi “ma il kyrios è fedele” e come libera gli apostoli da uomini maliziosi, “confermerà” anche “voi e vi custodirà dal malvagio”. Riguardo alla forza dei lettori, basata sulla certezza della fedeltà del kyrios onnipotente, il gruppo apostolico non teme: “abbiamo questa fiducia nel kyrios”, che quanto “vi ordiniamo già lo facciate e continuiate a farlo”. A questo punto, tuttavia, è necessaria un’altra preghiera, questa volta in forma di esortazione alla chiesa, stilisticamente ridondante: “il kyrios diriga i vostri cuori nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo”. Il Cristo paziente, è presumibilmente un accenno al Gesù che ha sofferto in umiltà e debolezza la morte di croce. Kýrios è invece il Cristo glorioso e potente. Chi scrive ha una necessità pastorale di distinguere i due stati di vita di una stessa persona, quella del Cristo. Il tono del testo si è fatto particolarmente autorevole: “vi ordiniamo, pertanto, nel nome del kýrios nostro Gesù Cristo” di tenervii a distanza da ogni “fratello” che si comporta in maniera indisciplinata o non conforme alla “tradizione (vedi parádosis in 1Cor 11,2; Gal 1,14; Col 2,8; 2Ts 2,15; 3,6) ricevuta da noi”. È il kýrios che sta dietro questi ordini. La fedeltà al vangelo così come è stato trasmesso a voce e di persona, è già una disciplina insuperabile e sempre

necessaria di sottomissione intima al kýrios. Si tratta di non cedere ad altri “vangeli” e non considerare altri uomini i padroni della propria fedeltà a Cristo. Dal contesto percepiamo che a Tessalonica è cresciuto il numero di sfaccendati che hanno imparato a ideologizzare la pigrizia e la loro mancanza di responsabilità verso i fratelli. Alcuni, infatti, per le informazioni ricevute da chi scrive o detta la 2Ts e che ora riporta, pur vivendo nella chiesa “vivono senza far nulla” intromettendosi però volentieri negli affari altrui (cfr. periergázomai, che ricorre solo un’altra sola volta nella Bibbia, in Sir 3,23). A questi tali noi “ordiniamo” – il verbo è parangéllo come solo in 1Cor 7,10; 11,17; 1Ts 4,11; 2Ts 3,4.6.10.12; 1Tm 1,3; 4,11; 5,7; 6,13.17) esortandoli “nel kýrios Gesù Cristo” a mangiare il proprio pane “lavorando in pace”. A non farsi mantenere dalla chiesa. La signoria di Gesù non è dunque solo quella che si manifesterà, gloriosa e potente, nel giorno della parusia. È esigente ed efficace anche al presente, attraverso ordini, che sono esortazioni apostoliche alla responsabilità rispetto ai fratelli della chiesa. Guadagnarsi il pane è necessario per fedeltà allo stesso kýrios “della pace e che dà egli stesso la pace” a chi non si scoraggia di fare con bellezza il bene, senza trattare da nemico neppure quei irriducibili scansafatiche, dei quali comunque vale la pena prendere nota, interrompendo i rapporti diretti con loro (cfr. 2Ts 3,14). In sintesi, per la 2Ts è l’uomo Gesù il christós e glorioso kýrios del presente e del futuro, non tanto immediato, della parusia, allorquando la rivelazione della sua identità sarà resa pubblica in forma di giudizio. Nessuno, quel giorno, potrà disconoscere che è Gesù il “Signore della gloria” (cfr. 1Cor 2,8), mentre nell’attualità è necessario sopportare ogni tipo di umiliazione e sofferenza senza smettere di sperare e fare il bene. Questo messaggio della 2Ts non è distante da quello fatto, ironicamente, da Paolo ai corinzi, considerati già sazi, ricchi e già re gloriosamente regnanti in rapporto al “ignore della gloria” di fatto sconosciuto ai potenti di questo mondo (cfr. 1Co 2,8; 4,8-10) che l’hanno fatto morire ingiustamente. Anche questa somiglianza, come altre con il corpus sembra un indizio a favore dell’autenticità, più che della non-autenticità paolina di 2Ts.

Una missione scritta Altri approfondimenti sulla 2Ts sono possibili a partire dalle posizioni, tutte di rilievo, che alcuni altri temi hanno più in 2Ts che in altre lettere prendendo in considerazione la percentuale di frequenza, calcolata sul numero di lemmi o voci contenute in ciascuna delle 13 del corpus. Questo, a nostro parere, è un modo di leggere più obiettivo la 2Ts.

In questa lista, a parte il kýrios-Signore ha un particolare rilievo soprattutto il tema dell’epistolé. Questo termine, che è corretto tradurre come “missiva” o “messaggio scritto”, ricorre 4 volte su 823 occorrenze dei 248 lemmi costitutivi della 2Ts: qui è frequente l’0,48%. Il secondo posto, nell’uso di epistolé, è occupato da 2Cor (8/4477 = 0,17%); l’ultimo da Romani (1/7111 = 0,014%); mentre è il termine non compare in Galati, Efesini, Filippesi, 1Timoteo, 2Timoteo, Tito, Filemone. È un tema quindi rilevante nella corrispondenza con i tessalonicesi, dove comunque epistolé ricorre in 1Ts 5,27 e 2Ts 2,2.15; 3,14.17. Paolo chiude 1Ts con un vero scongiuro religioso: “per il kyrios, si legga questa epistolé a tutti i fratelli”. Evidentemente, il rischio sotteso è quello di non fare arrivare, attraverso una lettura pubblica, la proclamazione scritta del vangelo alla sua più naturale destinazione, la chiesa. Indiscusso autore della 1Ts Paolo è attento a come questa epistola sia letta. La sua insistenza a che la sua parola arrivi, per scritto e interposti interpreti, a tutti, è motivata dal suo personale riferimento al kýrios e suppone la certezza che quanto è scritto, a nome e per volontà di Cristo, è parola di Dio tanto quanto la predicazione orale. Per queste ragioni è importante proclamare ad alta voce a tutti la 1Ts. Una sua lectio serve a confermare i fratelli nella fede e immediatamente nell’appartenenza di ciascuno di loro all’unica chiesa. Nella 2Ts, epistolé è dunque percentualmente più frequente che in tutto il resto del corpus paulinum e dell’intera Bibbia. In 2Ts 2,2, dove ricorre la prima volta, epistolé ha un senso sfuggente. In atto è un’operazione di falsificazione delle epistole di Paolo e dei suoi collaboratori. La chiesa è esortata a fare un discernimento, senza lasciarsi confondere “da qualche epistolé fatta passare come nostra”. Scopriamo cioè che Paolo è riproducibile nei suoi testi; è falsificabile più che imitabile. Del resto le sue epistole si prestano a interpretazioni ambigue. Vale sempre, a questo riguardo, la testimonianza, fraterna, considerata canonica, resa da 2P 3,15-16 sul tema della magnanimità del kyrios da non confondere con una sua presunta assenza o lontananza, ma che va giudicata come salvezza, “come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto” e “così egli fa in tutte le epistole, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina”. Paolo si rifiuta d’ingannare ma non rinuncia ad uno stile articolato e complesso, anche conciso e perciò di difficile interpretazione. Non si sforza di popolarizzare i contenuti per farsi capire dalla maggioranza delle persone semplici. Pretende piuttosto farsi capire da tutti comunque.

Come contenuto fondamentale delle sue epistole c'è, infatti, la semplicissima verità del vangelo, che cioè l’uomo crocifisso Gesù è lo stesso Cristo risorto e il Signore della storia. Punto. Ma è questa rivelazione quella più difficile da digerire da parte della cultura dominante, sia essa greca o gnostica o giudaizzante. In 2Ts 2,15 i fratelli sono invitati a restare saldi al vangelo appreso oralmente come anche “dalla nostra epistolé”, non quindi dalla 2Ts quanto, forse, dalla 1Ts. L’epistolé in generale è un indiscutibile strumento dell’autorità apostolica e serve come controllo a distanza di una chiesa ancora adolescente. In 2Ts 3,14, il “noi” di sempre ordina che di chiunque non obbedisca “alla nostra parola attraverso l’epistolé” sia messo da parte: si prenda nota di lui e con lui s'interrompano i rapporti normali. Anche se a distanza e scrivendo il “noi apostolico” è l’attuale responsabile della vita comune. La fraternità non la si accresce con l’inganno o la disobbedienza al kýrios che Paolo rappresenta, di solito, come un plenipotenziario. In 2Ts 3,17, è lui che chiude l’epistolé con un tratto autografo che deve essere somigliante a quello di ogni altra epistolé. Dice, chiudendo l’autenticazione: “[io] scrivo così”. Evidentemente la firma dovrebbe essere riconoscibile e garantire l’autenticità di 2Ts. Potremmo pensare, grazie a quest’ultima occorrenza di epistolé, che questa 2Ts sia alquanto tardiva, considerati i tentativi di far passare come di Paolo lettere non sue. Non ci sembra comunque questo timore, un motivo sufficiente per ritenere falsificata, di fatto, la stessa 2Ts. In sintesi, l’epistola è una comunicazione a distanza, un tentativo quasi sempre riuscito solo in parte, di farsi presente con la stessa autorevolezza personale e della parola orale. È mezzo di pastorale o di governo perché è, o deve essere per essere valida, una ri-proclamazione del vangelo per scritto, spiegato con indicativi e imperativi derivati dal primato dell’uomo Gesù, christós e kýrios ovunque. Contenuto sostanziale dell’epistolé è questa “verità”, o rivelazione di Cristo, ed è da considerarsi come la regola fondamentale della chiesa. Il rapporto con il Signore della gloria si espande in rapporti fraterni, che vengono dopo, con coloro che si rivolgono a Dio come “Padre nostro”. Chi disobbedisce a Cristo che governa anche per lettera si allontana dalla chiesa.

La tradizione che dura sempre Altro termine sulla frequenza del quale la 2Ts ha un primato sia assoluto che relativo rispetto a tutto il corpus è parádosis, “trasmissione, consegna”, normalmente tradotto con “tradizione” o “trasmissione” di una comunicazione. Nella 2Ts è utilizzato 2 volte, una in Colossesi, una in Galati e una in 1Corinti. Scompare da tutte le altre lettere di Paolo. Trattandosi di un termine utilizzato anche in epistole considerate autentiche, la sua frequenza marcata in 2Ts non depone a favore della sia inautenticità.

Vale la pena, per un approfondimento del significato del termine analizzarne le occorrenze. In 1Cor 11,2, Paolo parla al singolare e inserisce tra le parole che usa un alto profilo di sé come autentico apostolo: vi lodo perché in ogni cosa “vi ricordate di me e conservate le tradizioni cosí come ve le ho trasmesse”. Evidentemente ogni tradizione, per essere autentica, va trasmessa con fedeltà. Che non si tratti poi del vangelo soltanto, e quindi del credo essenziale nella crocifissione, morte, sepoltura, risurrezione e apparizioni di Cristo (cfr. 1Cor 15,17), ma anche di altro, come per esempio della cena del Signore (1Cor 11) e di precetti particolari (si osservi l’oggetto del verbo paradídomi che non ricorre comunque mai nella 2Ts, ma: in Rm 1,24.26.28; 4,25; 6,17; 8,32; 1Cor 5,5; 11,2.23; 13,3; 15,3.24; 2Cor 4,11; Gal 2,20; Ef 4,19; 5,2.25; 1Tm 1,20). È il plurale “tradizioni” che ci sollecita ad investigare su quante e quali esse possano essere. Non è detto nella 2Ts che rimanda, come solitamente, alla tradizione orale precedente. In Gal 1,14, Paolo non è che formalmente positivo rispetto a “tradizioni” con cui lo stesso Gesù ha lottato fino a rimetterci la vita. Paolo che ricorda con orgoglio il proprio passato a gente troppo affascinata dal giudaismo e con il rischio di decadere dalla grazia che è la fede nella signoria di Gesù, si vanta d’essere stato superiore, nel giudaismo, alla maggior parte dei suoi coetanei e connazionali, per essere stato “accanito” sostenitore delle “tradizioni dei padri”. In Col 2,8, chi scrive ha invece in mente la pienezza di vita, divina e umana, in Cristo, il “corpo” rispetto all’“ombra” – equivalente questa a tutte le sue rappresentazioni simboliche, liturgiche, rituali – e mette in guardia i lettori facili alle mode: che nessuno vi inganni “con la sua filosofia” o con vuoti ragionamenti mentali “ispirati alla parádosis umana”, quindi sempre conforme ai poteri che governano il mondo attuale “e non secondo Cristo”. Per il fatto che è antica, o accettata della maggioranza, una tradizione non vale più del vangelo scritto o dell’epistola apostolica. La validità di una parádosis la si commisura con la fedeltà al riconoscimento di Gesù come Cristo e Signore. Finalmente, in 2Ts 2,15, Paolo si considera trasmettitore di tradizioni giuste, quelle che “avete apprese” sia “dalla nostra parola” che “dalla nostra epistola”. In queste e non in altre tradizioni è necessario restare saldi conservandole fedelmente e trasmettendole ad altri. In 2Ts 3,6 Paolo con il suo gruppo apostolico può ordinare, nel nome del kýrios, di stare alla larga da chiunque, in comunità, si comporti “non secondo la parádosis ricevuta da noi”. In sintesi, ci sono tradizioni che è necessario seguire e sono quelle la cui origine e fine è il culto a Cristo Signore, lo stesso ieri, oggi e domani, ovunque. Ci sono tradizioni culturali e religiose che invece ostacolano questa fede e che hanno

origini in una sapienza o religiosità di un passato senza Cristo. Diverso è l’atteggiamento suggerito da 2Ts sulle une (da seguire) o sulle altre (da abbandonare).

Apocalissi & Parusia non trascurando i particolari La 2Ts ha diversi altri primati nella frequenza percentualmente più alta di diversi termini quali, già all’inizio della lettera: una volta apokálypsis, “rivelazione” di cose nascoste o “manifestazione” di cose invisibili; tre volte il verbo corrispondente, apokalýpto, termini usati in 2Ts 1,7; 2,3.6.8 – mai in 1Ts (cfr. comunque le ricorrenze di questi termini in Rm 1,17s; 8,18; 1Cor 2,10; 3,13; 14,30; Gal 1,16; 3,23; Ef 3,5; Fil 3,15); due volte parousía, “il farsi presente; presenza, l’esserci” o “la venuta” o ritorno del Signore nella sua gloria, in 2Ts 2,1.8.9 – lo stesso termine è presente, nel corpus paulinum, ancora in 1Cor 15,23; 16,17; 2Co 7,6s; 10,10; Fil 1,26; 2,12; 1Ts 2,19; 3,13; 4,15; 5,23. Non si tratta quindi di un linguaggio proprio ed esclusivo della 2Ts, ma qui l’insistenza su questi temi è più evidente. Apocalissi e parusia sono temi che si intrecciano (cfr. 2Ts 2,8) in un contesto difficile dopo la ricezione e lettura 1Ts. A Tessalonica i credenti nel sono in situazioni difficili: “anche voi avete sofferto da parte dei vostri connazionali…” (cf. 1Ts 2,14). A questi lettori, “ora tribolati”, insieme a Silvano e Timoteo, Paolo ricorda come sia “giusto (díkaios: cfr. 1Ts 2,10; 2Ts 1,5s) presso Dio ricompensare (antapodídomi come solo in Rm 11,35; 12,19; 1Ts 3,9; 2Ts 1,6) coloro che vi affliggono con l’afflizione (thlîpsis e thlíbo: cfr. 1Ts 1,6; 3,3s.7; 2Ts 1,4.6s)”; e subito aggiunge, pensando positivo, che altrettanto giusto è il “sollievo (ánesis, come solo in 2Cor 2,13; 7,5; 8,13; 2Ts 1,7) insieme a noi” che ci sarà “nell’apocalisse” di Gesù come “Signore” degli angeli. Questa apocalisse del Signore non è quella storica di Gesù nella sua vita pubblica. È futura e ambigua, se si avverte al riguardo della “parusia del kyrios”, e “alla nostra riunione (episynagogé, solo ancora in 2Mc 2,7; Eb 10,25) con lui”, che formalmente vi corrispondono in 2Ts 2,1-2, la necessità di mettere i tessalonicesi in guardia di non lasciarsi confondere e turbare né dallo “spirito”, né dalla “parola” scritta od orale che sia stata fatta passare come proveniente dal gruppo apostolico. In 2Ts 2,3, ancora si insiste sulla necessità di non lasciarsi ingannare. Subito si aggiunge una duplice annotazione cronologica: prima infatti della parusia del Signore ci sarà l’apostasia (apostasía: come solo in LXX Gs 22,22; 2Cr 29,19; 1M 2,15; Gr 2,19; At 21,21) l’apocalisse (letteralmente: “sarà svelata l’identità”) dell’uomo dell’illegalità (ánomía: cfr. Rm 4,7; 6,19; 2Cor 6,14; 2Ts 2,3.7; Tt 2,14)” destinato al disfacimento. Si tratta di un anticristo, un menzognero che si contrappone e si innalza al vero culto fino ad assidersi nel tempio di Dio additando se stesso come dio. A questo punto, in prima persona, presumibilmente Paolo chiede se essi, i tessalonicesi, ricordano ancora le cose che quando era tra loro egli veniva insegnando. Non è una dottrina nuova né quella del giorno del Signore, né la sua

parusia e neppure l’apocalisse dell’uomo senza legge e senza una morale che si fa passare per vero kýrios o per Dio stesso. I tessalonicesi dovrebbero aver capito chi ritarda l’apostasia e l’apocalisse o rivelazione dell’anticristo (anche se questo nome è usato solo in 1Gv 2,18.22; 4,3; 2Gv 1,7) che avverrà quando sarà tempo. Non ancora. Il “mistero dell’illegalità” è già in attività, ma “è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene”. Chi frena il “mistero dell’illegalità” dal rivelarsi non è dato comprenderlo. Il linguaggio apocalittico, qui utilizzato intensamente, punta però verso ciò, o chi è nascosto dietro il bene (Dio, il Cristo, la chiesa, gli apostoli) e il male-illegalitàempietà (il diavolo, esplicitamente menzionato, non in 2Ts ma in Ef 4,27; 6,11; 1Tm 1,7; 3,6s.11; 2Tm 2,26; 3,3; Tt 2,3; 3,8) che si danno battaglia. Solo “allora”, quando cioè è tolto di mezzo qualcuno che non conosciamo per nome, “sarà svelata l’identità del senza-legge (ánomos: 1Co 9,21; 2Ts 2,8; 1Tm 1,9)” e “ il kýrios [Gesù] lo disintegrerà con l’alito (pneûma) della sua bocca [cfr. Is 1,4] e lo disattiverà con l’epifania (epipháneia, come ancora solo, nel corpus, in 1Tm 6,14; 2Tm 1,10; 4,1.8; Tt 2,13) della sua parusia”. Dunque, dopo una lotta tra bene e male, tra la chiesa e i potenze diaboliche, la parusia, come presenza del kýrios che si manifesta come il Cristo Gesù, ma in tutto pari a Dio, distrugge ogni male che, ora Paolo lo dice, è impersonato dalla “parusia” dell’ancora anonimo “senza-legge”, ma “secondo l’energia di satana (satanâs: Rm 16,20; 1Co 5,5; 7,5; 2Co 2,11; 11,14; 12,7; 1Ts 2,18; 2Ts 2,9; 1Tm 1,20; 5,15)” che dota chi lo segue, di ogni specie di potere di fare “segni e prodigi” ma “falsi”. in 2Ts 2,9 si chiude questo intreccio tra paure ed apocalissi che, in sintesi ci suggeriscono alcune conclusioni: che le parusie sono due; la prima, in ordine di tempo, che si materializzerà dopo vittorie intermedie del male, è la parusia dell’illegalità, o della menzogna, ma che è impersonata da un anonimo “senzalegge”, parallelo e apparentemente somigliante al Cristo, per i suoi poteri magici; questa parusia sarà distrutta nel giorno del Signore che conclude la lunga e faticosa storia della chiesa, dalla parusia di Gesù svelato manifestato come il kyrios, glorioso e potente come Dio e Dio egli stesso alla maniera di Yhwh-Adonai. Indicazioni utili per quanto riguarda il presente non vengono dimenticate: ricevere e coltivare la “pace”, che è da Dio (2Ts 1,2; 3,16); la “bontà” come imitazione di Dio a abilità a lavorare facendo il bene (cfr. 2Ts 1,11; 2,16s); la preghiera incessante e apostolica (cfr. 2Ts 1,11; 3,1). Il misterioso e difficile linguaggio apocalittico ed escatologico, non deve favorire fughe in avanti della chiesa dei tessalonicesi.

Un linguaggio più proprio Le parole che compongono la 2Ts, lo abbiamo visto, non sono molte. Il vocabolario paolino è molto più ricco, di almeno altre 2,365 lemmi che non compaiono affatto in questa epistola. Per esempio, in 2Ts non compare nómos, “legge”, polýs, “molto”; “carne”; “corpo”; hamartía, “fallimento”; gyné, “donna,

moglie”; laléo, “parlo”; anér, “uomo, marito”; záo, “vivo”; dikaiosýne, “giustificazione, giustizia misericordiosa”; éthnos, “nazione, gruppo etnico”; oudeís, “nessuno”; ginósko, “conosco, so”; thánatos, “morte”; kósmos, “mondo”; nekrós, “morto”; apothnésko, “muoio”; egeíro, “risorgo, risuscito”; kalós, “bello, buono”; aspázomai, “saluto”; téknon, “creatura”; zoé, “vita”; apóstolos, “apostolo”; doûlos, “schiavo”; peritomé, “circoncisione”. Eccetera. Nessuno di questi temi è esplicitamente menzionato nella 2Ts mentre essi hanno una portata grande in almeno alcuna delle altre 12 epistole. L’ultima parola di questo elenco, “circoncisione” è altrove usata da Paolo almeno 31 volte, mentre la prima, “legge”, è usata 121 volte, soprattutto in Galati e Romani. Anche questo elenco di assenze orienta a un approfondimento della 2Ts, nella quale non bisogna eventualmente cercare argomenti che non tratta. Neppure si può dedurre, da questo elenco, che la 2Ts non somiglia alle lettere autentiche e che è molto tardiva. In un profilo filologico, utile a stabilire origini e ambiente della 2Ts grazie alla sua comparazione con le altre 12 lettere del corpus bisogna scoprire anche quel che le è proprio. Almeno 24 parole, presumibilmente usate da Paolo con i suoi collaboratori Silvano e Timoteo, non ricorrono mai nel resto del corpus paulinum ma si rintracciano facilmente nei seguenti 19 vv di 2Ts: 1,3 (hyperauxáno: il crescere smisurato della fede); 1,4 (engaucháomai: il gloriarsi noi stessi di voi davanti alle chiese di Dio); 1,5 (éndeigma + kataxióo: l’indice del giusto giudizio di Dio per essere considerati degni del regno di Dio); 1,8 (phóx: la fiamma ardente che farà vendetta di chi rifiuta il vangelo); 1,9 (díke: la penalità che consiste nell’essere allontanati dalla presenza del kyrios); 1,10 (endoxázomai: l’essere glorificato del Signore nei suoi santi); 1,12 (endoxázomai: l’essere glorificato nei tessalonicesi il nome del kýrios); 2,1 (episynagogé: il meeting celestiale alla parusia del kýrios); 2,2 (saleúo + throéo: non lasciarsi scuotere né spaventare né da spirito né da parola o epistola fatta passare come inviata da Paolo); 2,3 (l’apostasia); 2,4 (sébasma: oggetto di culto); 2,8 (anairéo, “togliere di mezzo” – o “sollevare dall’incarico”); 3,2 (átopos: “fuori luogo”, “atopico”); 3,6 (atáktos: “indisciplinatamente”); 3,7 (miméomai + ataktéo: “dove imitarci perché non siamo stati fannulloni tra voi”); 3,9 (miméomai: ci offriamo come modello da imitare); 3,11 (atáktos + periergázomai: alcuni vivono da indisciplinati, non lavorando ma impicciandosi di tutto); 3,13 (kalopoiéo: non smettete di fare ciò che è bello); 3,14 (semeióo: annotatevi con un segno chi disubbidisce alle ingiunzioni della 2Ts, e non rivolgetegli più la parola). In sintesi, un profilo linguistico come abbiamo tentato di fare, è in realtà un’analisi delle parole principali, più frequenti o più rare utilizzate normalmente da un “noi” apostolico (Paolo, Silvano e Timoteo). Una volta almeno abbiamo anche incontrato Paolo che scrive in prima persona, quando, alla fine, tenta di autenticare la propria firma all’epistola. A tante domande sull’autenticità, sulle origini e sulla data di composizione di questo documento, non bastano gli indizi raccolti per arrivare ad una certezza. Ci sembra tuttavia poco saggio depennare la 2Ts dalla lista dei testi da leggere, non tanto

per capire Paolo, quanto per arricchirsi di un messaggio che è canonico e sempre valido: la parusia di Gesù, nel giorno del Signore, è la manifestazione e rivelazione della sua parità con Yhwh-Adonai, il Signore degli eserciti. Quest’identità, che non sarà più nascosta, costituirà la conclusione della storia della salvezza di tutte le chiese che tribolano per restare fedeli a Gesù Cristo e già kýrios del mondo. Angelo Colacrai Pontificia Università Gregoriana (Roma) – SOBICAIN (Madrid)

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