Profilo Filologico Di Efesini

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Profilo filologico di Efesini: Unità e totalità del mondo in Dio, in Cristo e nella Chiesa Nel testo originale, in greco, Efesini è composta di 2422 parole flesse di 525 voci o lemmi. I lemmi più frequenti descrivono la nuova teologia, trinitaria, di Paolo, che si riscpecchia nella chiesa, corpo e sposa di Cristo, il capo. Se osserviamo testa e coda di inclusioni letterarie per le voci tematiche più frequenti, possiamo creare una lista dei tratti più marcati del messaggio di Efesini.

I grandi temi imparentati tra loro Di questa lista di temi dovrebbero far parte, in ordine decrescente di frequenza, innanzitutto pâs, "tutto, ogni", che ricorre 52 volte; segue subito eimí, "io sono", un verbo che è coniugato in almeno 17 forme diverse e ricorre 48 volte; "Cristo" (46); "Dio" (31); kýrios, "Signore" (26), solitamente associato a Gesù in quanto il Cristo; "Gesù" (20); "santo", di solito al plurale "santi" (15); pneûma, spirito, solitamente lo "Spirito Santo" (14) in associazione a "santo"; dídomi, "dare, donare" (12 volte, nell'inclusione che inizia in Ef 1,17 e termina in 6,19); cháris, "grazia" (12 volte in Ef 1,2 – 6,24); patér, "padre", solitamente il "Padre" celeste (11 volte in 1,2 – 6,23); il verbo agapáo, "io amo" (10 volte in 1,6 – 6,24) che va ad addizionarsi al sostantivo agápe, "amore" (10 volte, in 1,4 – 6,23); poiéo, "io faccio, opero" (10 volte in 1,16 – 6,9); ánthropos, "uomo" (9 volte in 2,15 – 6,7) che fa ad aggiungersi ad anér, "marito" (7 volte in 4,13 – 5,33) ; il termine gyné, "generatrice, moglie" ricorre 9 volte solo in Ef 5,22ss.28.31.33; ekklesía, "con-vocazione o assemblea di tutti, chiesa" (9 volte, in 1,22 – 5,32); sárx, "carne" (9 volte in 2,3 – 6,12); sôma, "corpo" (9 volte in 1:23 – 5:30). Altre parole significative, ma meno frequenti sono: dóxa, "gloria" che compare in Ef 1,6.12.14.17s; 3,13.16.21; eiréne, "pace" da intendere in senso ebraico di pieno benessere, sia personale che ecclesiale e come un dono di Dio, compare 8 volte in Ef 1,2; 2,14s.17; 4,3; 6,15.23; pístis, "fede, fiducia, fedeltà" che come contenuto storico ha solitamente il "vangelo" di Paolo (cfr. Ef 1,13; 2,17; 3,6.8; 4,11; 6,15.19); l'alétheia-verità anche nel senso di fedeltà di Dio alla parola data, alla promessa fatta (cfr. Ef 1,13; 4,21.24s; 5,9; 6,14) compare 8 volte in Ef 1,15; 2,8; 3,12.17; 4,5.13; 6,16.23. Oltre le frequenzae dei termini, che strutturano Efesini, è particolarmente significativa l'ampiezza delle loro inclusioni tematiche, che generalmente comprendono sia l'introduzione che la conclusione dello intero scritto. Una sintesi oggettiva di Efesini, dal punto di vista dell'autore e non tanto del lettore attuale, è quindi possibile ottenerla leggendo di seguito almeno alcuni versetti nei quali due o più dei temi elencati sopra si intrecciano tra loro in modo stretto. Leggiamo per esempio Ef 1,1.17; 3,1.10.21; 4,30; 5,23ss.29.32; 6,17.24 e avremo uno schema articolato e preciso del messaggio di questo documento, così importante per la conoscenza della Trinità, della chiesa, e della famiglia umana.

È però necessario esaminare le inclusioni tematiche più dense ritrovare l'insegnamento completo e complesso da un punto di vista sia teologico, che cristologico e spirituale ed ecclesiale, ma anche antropologico di questo scritto. A mo' d'esempio analizziamo l'inclusione del tema più frequente,cioè di pâs, traducibile con termini diversi ma che puntano al concetto di totalità e alla necessità di integrare tanti elementi in una sola composizione: "tutto, tutti; ogni cosa; ognuno".

Tutto, spazio e tempo, e tutti in tutto Dio La parola più frequente, se prendiamo in considerazione soltanto i nomi o sostantivi e aggettivi, verbi e avverbi, abbiamo visto che è pâs ricorrente la prima delle 52 volte in Ef 1,3 e l'ultima in 6,24, che è anche l'ultimo versetto del documento– che non chiamiamo "epistola" o "lettera" o "missiva" in quanto la parola epistolé è sconosciuta ad Efesini. Tuttavia, a questo riguardo, per inciso almeno va detto che Paolo mostra di aver scritto personalmente Efesini (cfr. 3,3-4). In Ef 1,3 chi scrive – che si presenta appunto come "Paolo, apostolo di Gesù Cristo" (in Ef 1,1; ma cfr. apóstolos anche in Ef 2,20; 3,5; 4,11) e come "Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili" (in Ef 3,1) – ancora saluta i propri destinatari con una benedizione cordiale a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ricordando come Egli, Dio, "ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale" nei cieli, in Cristo. In Ef 4,6, Paolo usa ancora pâs 4 volte nello stesso versetto, per marcare l'unità del corpo di Cristo, cioè dell'ekklesía, (nominata in almeno 9 versetti a partire da 1,22 ad arrivare a 5,32). In Ef 4,6 Paolo scrive che Dio è uno solo e che è Padre "di tutti"; sta al di sopra "di tutti"; agisce "tramite tutti" ed è presente "in tutti". Non esiste quindi spazio vuoto, né tempo teologicamente insignificante, in quanto ogni dimensione del reale è interamente abitata da Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, e il cui disegno è solo quello di ricapitolare, nella pienezza dei tempi, "tutte le cose in Cristo" dappertutto si trovino (Ef 1,10), sulla terra o lassù (Ef 4,8-9). Questo tutto da sottomettere al capo che è Cristo abbraccia evidentemente non solo cose neutre, o una cosa amorfa, indistinta, ma ogni creatura vivente e ogni persona umana, sia maschile che femminile, come sono "tutti i santi" (Cfr. Ef 1,15; 3,8.18; 6,18) che siamo "tutti noi" (Ef 2,3). In Ef 6,18, Paolo usa ancora 4 volte pâs, per descrivere l'armatura completa e perciò inespugnabile del credente in Dio intero. Usa due imperativi con pregare e vegliare. Pregare "ogni preghiera e supplica", in "ogni occasione", vigilando "in tutta perseveranza" e, ripete, pregando "per tutti i santi" – i credenti di tutta la chiesa non solo quella di Efeso (città che potrebbe non aver menzionato neppure; cfr. Ef 1,1). Come finale dello scritto Paolo augura che la "grazia" (termine usato in almeno altri 11 versetti, a partire da Ef 1,2) sia "con tutti quelli che" amano Gesù come unico Cristo e Signore, di un amore incorrotto, non fisico ma spirituale. Sono amici di Gesù, quelli che, formando un solo corpo tra loro e con lui, lo considerano unico Signore e gli obbediscono in ogni circostanza (Ef 1,6; 2,4; 5,2.25.28.33; 6,24).

Un linguaggio speciale Se a questo punto compariamo il vocabolario di Efesini con quello di altre 13 lettere (includendovi anche Ebrei) notiamo che alcune parole presenti in questo scritto sono assenti altrove. Perché?

La diversificazione del vocabolario ci induce a riflettere sulla diversità tematiche, ma soprattutto di tempo e di luogo. L'ambiente storico geografico e la chiesa a cui lo scritto è rivolto, ha dei problemi particolari, che possiamo intuire soltanto osservando parole specifiche. Queste sono 73, con 83 occorrenze. Quelle che ricorrono almeno 2 volte in Efesini (e mai altrove nelle altre 13 lettere, e qualche volta neppure nel resto della Bibbia) sono 9. Le esaminiamo nel loro contesto immediato. Usare spesso "entrambi" amphótera. "entrambi". Il termine, usato spesso nell'AT greco, fin da Gn 21,27 (dove si parla di alleanza a due, fra Abramo e Abimelech) e nel resto del NT (cfr. Mt 9,17) è usato tre volte in Ef 2,14.16.18 dove serve a illustrare una nuova alleanza e ancor più l'unità tra due popoli per origine diversi, nell'unico Cristo, "nostra pace", che ha fatto "dei due un popolo solo" e quindi per riconciliare "tutti e due" con Dio Padre, formando un solo corpo, di figli e figlie, fratelli e sorelle, grazie alla sua croce, con la quale ha distrutto l'inimicizia e ha fatto crollare il muro divisorio. Per mezzo suo, del corpo di Gesù, è ora possibile a "entrambi" presentarsi al Padre in un solo Spirito. Paolo insiste sul superamento della separazione culturale e religiosa tra giudei – in verità scarsamente nominati - e gentili (cfr. Ef 2,11s; 3,1.6.8; 4,17) di cui Paolo si considera l'apostolo per eccellenza. Imparare a nutrirsi ektrépho. È un verbo composto che non compare nel NT se non qui in Efesini, e che nell'AT è utilizzato la prima volta nella traduzione greca di Gn 45,7 dove Giuseppe, in Egitto, spiega ai suoi fratelli come Dio lo abbia mandato in Egitto prima di loro per assicurare loro la sopravvivenza e "per farvi vivere con una grande liberazione". Il testo ebraico usa chayah, "vivere", anche nel senso intensivo di "far vivere nutrendo", e giustamente il traduttore alessandrino usa ektrépho, "nutro; cibare". In Ef 5,29 Paolo usa lo stesso termine a proposito del matrimonio e della famiglia: il marito ami la moglie come il proprio corpo; nessuno infatti, egli ragiona, se è una persona normale odia la propria carne; al contrario, "la nutre e la cura", a imitazione di Cristo con la sua sposa, la chiesa. Nutrire il proprio corpo è la stessa cosa che prendersi cura dell'altro, dell'altra e il gesto, continuato nella quotidianità, ha il sapore cristologico ed ecclesiale della fede evangelica e dell'amore fraterno. In Ef 6,4, dove ektrépho ritorna, Paolo l'utilizza come un ponte che mette in relazione genitori e figli. Ai padri, prima che alle madri, ordina di non inasprire i figli ma piuttosto di "nutrirli di pedagogia e mentalità del Signore". Di questo speciale nutrimento, costituito da fede e sana dottrina, "latte" e insieme "nutrimento solido", nel corpus paulinum si parla almeno in 1Cor 3,2 e in 1Tm 4,6. Paolo stesso si presenta non come "pedagogo" ma "padre" (cfr. 1Cor 4,15; Gal 3,24-25) che ha generato evangelizzando, o al femminile come amorevole "nutrice", o proprio madre che si cura dei figli piccoli (cfr. 1Ts 2,7). Imparare dunque a nutrire, ogni giorno, mogli e figli, di vangelo di Cristo è quanto Paolo sta insegnando agli efesini.

Ancora unità con tutto e con tutti henótes. Questo termine che significa letteralmente "unità" non è utilizzato altrove nella Bibbia, tranne le due volte di Ef 4,3.13. Nel mondo greco è usato da Aristotele e da Plutarco, come termine politico, indicando l'"unanimità" raggiunta dialogando, o comunque confrontandosi gli uni con gli altri, discutendo. Paolo, e solo lui, evangelizza henótes esortando gli efesini a interessarsene affettivamente per conservarla con il "vincolo della pace", che presuppone un desiderio personale di incatenarsi all' "unità dello spirito", come ad un tesoro proprio della chiesa. Lo "spirito" unito è questa volta la mente comune (cfr. Ef 4,23), il pensare al bene degli altri prima che al proprio; è la dimensione antropologica non materialista ma gratuita della persona, nella quale è proprio attivo "lo Spirito della promessa" (cfr. Ef 1,13) o "lo spirito della sapienza e della rivelazione" della conoscenza di Cristo (Ef 1,17), lo Spirito Santo della koinonía (cfr, 2Cor 13,13) e non certamente "gli spiriti della bassezza morale", divisori. che pure però abitano regioni celesti. In Ef 4,13, utilizzando il "noi", in un'associazione voluta con i suoi destinatari, Paolo prospetta come meta di un cammino da percorrere da parte di "tutti", "l'unità della fede e della conoscenza approfondita del Figlio di Dio". È questa "unità" dei credenti in Gesù, riconosciuto unanimente come Figlio del Padre (Ef 1,2s.17; 2,18; 3,14; 4,6; 5,20.31; 6,2.4.23), il segno della "perfezione" personale ed ecclesiale secondo "il metro di maturità del pléroma-pienezza del Cristo". L'unità in Cristo è la maturità della chiesa – e del mondo che essa costantemente convoca anche attraverso di Paolo. Lontananze superate tra noi makrán. Si tratta di un avverbio che indica distanza; significa "lontano". È utilizzato nel NT soprattutto da Luca, sia nel vangelo che negli Atti, ma non d Paolo nella altre lettere. Per esempio in Lc 15,20, l'evangelista usa makán per indicare l'ansiosa attesa del padre dei due figli, che vede il figlio minore rientrare a casa quando egli era "ancora lontano" e tutto emozionato gli corre incontro e lo abbraccia, con violenza paterna. Le lontananze, morali e fisiche, psichiche soprattutto, sono abolite nell'attimo dell'andarsi incontro e dell'abbracciarsi. In Ef 2,13 Paolo parla del superamento d'ogni distanza da Dio. "Voi", scrive pensando ai suoi ex-pagani, un tempo "eravate lontano", ma in Cristo Gesù, grazie al suo sangue versato per tutti, siete ora diventati "vicino". Più che l'idea di vicinato, come superamento di distanza, qui, e nel contesto più generale dello scritto agli efesini, Paolo parla di "unità" o "unanimità" di menti e d'unione di cuori e corpi, nella chiesa. Parla del diventare prossimo l'uno dell'altro, innestandosi nel corpo di Cristo. La morte violenta dell'uomo Gesù, il suo sangue versato, accorcia prima e consuma poi del tutto qualsiasi distanza tra uomini e popoli. La missione di Cristo è stata infatti quella di proclamare il vangelo della pace con il dono di sé, "a voi che eravate lontano" e l'identico vangelo di pace, patto di sangue, "a coloro che erano vicino".

L'antitesi "pagano-giudeo", eslcusiva in entrambe le direzione polari, diventa coppia inclusiva, cristiana, germe di vita del tutto nuova grazie a Cristo, nell'unità appunto della chiesa, corpo della sua sposa amata e di Dio intero. Trucchi fittizi da combattere methodeía. Questo termine, che indica letteralmente la "metodologia", è proprio solo di Ef 4,14 e 6,14. Non compare nel resto della Bibbia greca (LXX-NT) ma neppure nel mondo classico risulta utilizzato alla maniera di Paolo. Il significato ricavabile dal verbo, che è più frequente, è quello di "trucco" o di "stratagemma". Paolo lo usa, con connotazione peggiorativa, nel contesto della preservazione e rafforzamento dell'unità della chiesa in Cristo, per mettere in guardia dal modo di ragionare e di parlare settario di alcuni che, evidentemente, insegnano dottrine diverse dal vangelo. Paolo, che ha in mento la perfezione come pienezza di vita, unità o maturità in Cristo, percepibile e fruibile solo formando un'unica chiesa compatta come un corpo giovane di sposa, mette in guardia gli efesini, giovani nella fede cristiana, perché non si comportino da ragazzi "sballottati da onde" di mode spiritualistiche e trasportati da novità dottrinali fittizie di uomini che agiscono e parlano con "astuzia orientata alla metodologia dell'inganno". Paolo invita a non sostituire mai il vangelo con il nulla, e quindi la fede nell'unica signoria e messianicità di Gesù, il Figlio di Dio, con delle spiritualità e dottrine incomplete e artificiose "del diavolo". In Ef 6,11, Paolo chiede gentilmente ai lettori di rivestirsi d'una armatura completa, intera, per contrastare questa " metodologia del diavolo", una tattica o trucco visivo, sempre mirante all'inganno. Paolo chiama alle armi non contro creature di carne e sangue, ma contro "principati e potestà, dominatori di questo mondo di tenebra" e contro "spiriti del male". Spiriti reali, celesti, ma ingannevoli. Proprio ancora in Ef 6,11, Paolo usa panoplía, del vocabolario militare, rara nella Bibbia, ma che è usata anche da Luca in 11,12 a proposito di Beelzebul: se arriva uno più forte di lui combatte il prepotente, lo vince e gli strappa via "l'armatura". Agli efesini Paolo ordina di indossare un'"armatura di Dio" composta di "armi di luce" (cfr. Rm 13,12), "armi di giustizia (cfr. 2Cor 6,7), non carnali ma spiritualmente potenti (cfr. 2Cor 10,3) rivestendosi nel battesimo di fede in Cristo (cfr. Rm 13,14) che è il più forte contro qualsiasi potere oppressivo o riduttivo e divisorio della chiesa. Ancora con una terminologia militare, in Ef 6,13, Paolo raccomanda di indossare questa "armatura di Dio" che ora, nei versetti successivi, descrive nelle sue componenti importanti: cintura di verità per i fianchi, corazza di giustizia, calzatura di zelo per piedi pronti a portare ovunque il vangelo, scudo di fede contro i dardi infuocati del maligno, elmo di salvezza e spada di Spirito Santo, che è la parola di Dio. Soci di Cristo e non del diavolo symmétochos. In Ef 3,6 la prima volta e in 5,7 incontriamo un'altra parola apostolica di conio originale paolino. Paolo informa che i pagani o etnici, che sono le genti del mondo, sono chiamati ad essere con-corporei e co-partner della promessa di Cristo accogliendo il vangelo. Sta pensando alla chiesa, come l'espressione

della maturità e unità della fede in Cristo. Questa com-partecipazione alla salvezza oggetto nella predicazione di Paolo, comporta una dissociazione dal mondo ateo. In Ef 5,7, ancora usa symmétochos per ribadire la necessità di "non essere partner" o soci nel modo di pensare e agire come se Dio non esistesse e non fosse il Padre di tutti. Dunque, se si è uniti al Cristo, Figlio di Dio, e alla chiesa suo corpo e sposa non si può più restare associati o collaboratori del diavolo o di paralleli principati e potestà.

Conclusione Ci sono molte altre parole, almeno 64, mai utilizzate altrove nel corpus paulinum, in cui, per un confronto linguistico questa volta abbiamo incluso Ebrei. C'è il sostantivo neutro hýpsos, "altezza" usato due volte in Ef 3,18 e 4,8 e synarmologéo, "mi incastro bene", verbo composto di conio chiaramente paolino, in quanto compare solo in Ef 2,21 e 4,16 e mai altrove nella Bibbia. Si tratta di due termini che servono alla sintesi alta di Efesini: l'unità in Cristo nel quale ogni costruzione, come la chiesa, "è a perfetto incastro", un organismo capace di crescere in tempio santo nel Signore. Da Cristo, che è capo, o vertice, "altezza" verso cui tutto il corpo cresce o evolve unitariamente secondo la verità nella carità, "ben compaginato e connesso" mediante l'interattività di ogni giuntura e di ogni membro, ricevendo la forza vitale in modo da edificarsi "in amore". Ci sono altre parole in Efesini che non compaiono mai altrove nell'intera Bibbia: in 1,12 "pre-sperare"; in 2,12 "ateo"; in 2,14 "muro di mezzo"; in 2,19 "concittadino"; in 3,10 "multivalente"; in 3,6 "con-corporeo"; in 3,18 "essere in forza per, o in grado di"; in 4,9 "strati inferiori"; in 4,12 "equipaggiamento"; in 4,14 "truccatura"; in 4,19 "diventare un corpo calloso, impenetrabile"; in 5,4 aischrótes "oscenità"; eytrapelía, "buffonata"; morología, "scienza del non senso"; in 5,16 "insipiente"; in 5,27 "ruga"; in 6,12 "cosmocrata"; pále, "polemica" o "lotta"; in 6,18 "persitenza". Anche queste parole servono a marcare il messaggio della totalità e unità o completezza nella teologia, cristologia, spiritualità ed ecclesialità mondiale di Efesini, con un linguaggio moderno, flessibile, coniato di proposito. Angelo Colacrai

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