Marco Roncadelli e Antonio Defendi
I CAMMINI DI FEYNMAN
QUADERNI DI FISICA TEORICA Universit`a degli Studi di Pavia Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica
QUADERNI DI FISICA TEORICA Collana curata da Sigfrido Boffi
Comitato Scientifico Bruno Bertotti Sigfrido Boffi Italo Guarneri Alberto Rimini Marco Roncadelli Volumi gi`a pubblicati: 1. Le onde di de Broglie, a cura di Sigfrido Boffi 2. Onde di materia e onde di probabilit`a, a cura di Sigfrido Boffi 3. Il principio di indeterminazione, a cura di Sigfrido Boffi 4. La meccanica delle onde, a cura di Sigfrido Boffi 5. Paradosso EPR e teorema di Bell, a cura di Oreste Nicrosini 6. I cammini di Feynman, a cura di Marco Roncadelli e Antonio Defendi 7. L’interpretazione statistica della meccanica quantistica, a cura di Sigfrido Boffi 8. L’origine delle statistiche quantistiche, a cura di Fulvio Piccinini 9. Le radici della quantizzazione, a cura di Sandro Graffi 10. La fase di Berry, a cura di Franco Salmistraro 11. Il postulato dei quanti e il significato della funzione d’onda, a cura di Sigfrido Boffi 12. Indice di rifrazione adronico, a cura di Francesco Cannata 13. La formulazione delle storie della meccanica quantistica, a cura di Irene Giardina 14. La regola d’oro di Fermi, a cura di Paolo Facchi e Saverio Pascazio 15. Le radici del dualismo onda-corpuscolo, a cura di Sigfrido Boffi e Michele D’Anna 16. Teoria delle caratteristiche ed equazioni ondulatorie quantiche, a cura di Paola Orsi I primi dieci Quaderni sono disponibili su richiesta presso il Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica dell’Universit`a di Pavia. I successivi sono pubblicati dalla Casa Editrice Bibliopolis
Marco Roncadelli e Antonio Defendi
I CAMMINI DI FEYNMAN
QUADERNI DI FISICA TEORICA Universit`a degli Studi di Pavia Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica
Prima edizione: gennaio 1992 Edizione web: ottobre 2001 ISBN 88–85159–06–0
INDICE Premessa 7
1. Concetto di propagatore quantistico 11
2. Aspetti dell’integrale di Feynman 15
3. Analogie fra meccanica quantistica e processi stocastici classici
34
4. Osservazioni storiche 51
–
Approccio spazio-temporale alla meccanica quantistica non relativistica 57
5. Nuova formulazione della meccanica quantistica 95 6. Bibliografia 122
–
Addendum 129
PREMESSA
Un fondamentale cambiamento di prospettiva nell’impostazione dei problemi di meccanica quantistica si `e avuto agli inizi degli anni ’50 principalmente ad opera di Richard Feynman, al quale si deve una formulazione della teoria quantistica diversa da quella usuale di Heisenberg, Schr¨odinger e Dirac. La formulazione di Feynman e` basata sul concetto di “ ” e permette di esprimere l’ "!"! (quantistica) di transizione fra due punti spazio-temporali senza far ricorso a vettori di stato ed operatori in uno spazio di Hilbert. Questo approccio fornisce inoltre una rappresentazione intuitiva del #$% &' "( della meccanica quantistica. L’importanza pratica della strategia di Feynman e` dovuta al fatto che essa rappresenta un’ ) * *+%,- alle tecniche di soluzione dei problemi quantistici basate sull’equazione di Schr¨odinger. Naturalmente, nei casi in cui tale equazione sia risolubile .*/0 1 , il nuovo metodo non aggiunge nulla di nuovo. Tuttavia e` ben noto che si tratta di pure eccezioni: per la maggior parte dei problemi fisicamente rilevanti risulta impossibile risolvere l’equazione di Schr¨odinger. E` proprio in queste circostanze che un nuovo approccio alla teoria quantistica diventa molto importante, in quanto esso permette di sviluppare ( , metodi di soluzione approssimate. Ora, nell’ambito pi`u ristretto della meccanica quantistica ( relativistica, i vantaggi derivanti dalla formulazione di Feynman si manifestano principalmente in alcuni tipi di problemi, come quelli basati sull’approssimazione semiclassica e sulla trattazione dei fenomeni quantistici nei sistemi macroscopici. La situazione cambia radicalmente se si considera l’estensione relativistica, cio`e la teoria quantistica dei campi. Il motivo di fondo e` molto semplice. La quantizzazione canonica e` basata sul formalismo hamiltoniano, in cui il tempo gioca un ruolo 2,' . ( dalle coordinate spaziali: la teoria non pu`o quindi essere “covariante a vista” rispetto a trasformazioni di Lorentz. Questo serio inconveniente e` ovviato nell’approccio di Feynman, poich´e il tempo e le coordinate spaziali vengono poste sullo . . ( piano. Un ulteriore importantis-
8 simo vantaggio rispetto al metodo canonico e` di permettere la quantizzazione delle teorie di gauge in modo notevolmente pi`u semplice. Si noti che le “ ( & 32546 7- 8 ” per tali teorie sono state derivate proprio facendo uso dell’“ 9& : $ ”. Scopo del presente Quaderno e` fornire un’ $+% ( 2/!* ( ; alla formulazione di Feynman della teoria quantistica. Ci limiteremo quindi a considerare solo la meccanica quantistica non relativistica (per ci`o che concerne la teoria quantistica dei campi verr`a data soltanto una traccia bibliografica). Com’`e consuetudine dei Quaderni di Fisica Teorica, presentiamo in traduzione l’articolo fondamentale sull’argomento, che e` stato pubblicato da Feynman nel 1948. Desideriamo sottolineare che questo lavoro e` oggigiorno pi`u un documento storico che non un’esposizione consigliabile a chi voglia imparare il metodo di quantizzazione di Feynman. Pensiamo per`o che la sua lettura costituisca una notevole esperienza intellettuale – anche per gli studenti di Fisica – se corredata da un’opportuna introduzione in chiave moderna e da alcuni commenti che illustrino il contesto storico in cui si colloca il lavoro di Feynman. Il presente Quaderno si articola nel modo seguente. Dopo un breve richiamo del concetto di ( < ( " >= %?*% ( (capitolo 1), discutiamo gli aspetti pi`u importanti della strategia di Feynman (capitolo 2). Segue una trattazione schematica della teoria dei processi stocastici classici, che mette in particolare evidenza il parallelismo .% *@0% 9& fra questa e la meccanica quantistica (capitolo 3). In effetti, tale analogia costituisce il punto di partenza del lavoro di Feynman e chiarisce notevolmente la natura dell’“ A ”. Sottolineiamo che ( ci stiamo riferendo al fatto che la meccanica quantistica a tempo 8 + . ( diventa (formalmente) una teoria probabilistica )". (sfortunatamente ci siamo trovati costretti ad ignorare quest’ ) * * ( " analogia per ragioni di spazio e di semplicit`a; tuttavia il lettore interessato a questo argomento pu`o trovare una discussione di facile lettura in: M. Roncadelli, Nuovo Cimento 11D, 73 (1989)). Prima di presentare la traduzione del lavoro originale, consideriamo brevemente (capitolo 4) quali siano state in realt`a le motivazioni che hanno indotto Feynman a riformulare la teoria quantistica (difficilmente il lettore di oggi potrebbe immaginarle!). La nostra esposizione differisce dalle (molte) altre per una maggiore attenzione al concetto di “ $B2C4D *7'8 ”. Mostreremo (capitolo 5) che il desiderio di interpretare tali cammini come soluzioni di un’opportuna
"=E! ( F2 G * " *!*0 H* ( .% – secondo un punto di vista suggerito proprio dall’analogia formale fra teoria quantistica e teoria dei processi stocastici classici – permette di giungere in modo del tutto naturale ad una ( ,' formulazione della meccanica quantistica (ottenuta molto recentemente da uno degli autori), che appare quindi come un ulteriore sviluppo delle idee di Feynman. Conclude il presente Quaderno una bibliografia sull’integrale di Feynman e questioni connesse, che pu`o fornire utili suggerimenti al lettore che voglia approfondire alcuni degli argomenti trattati nel testo.
9 L’articolo originale di Feynman, pubblicato su IJ *, *KL (9MN( 2< . 7- , e` tradotto con il permesso dell’American Physical Society. Desideriamo ringraziare Sara Dalpr`a, Antonia Frangipani ed Elena Giudici per un attenta lettura del testo e Italo Guarneri e Alberto Rimini per utili discussioni. Un particolare ringraziamento va a Sigfrido Boffi per il costante incoraggiamento ricevuto, senza il quale questo Quaderno non sarebbe probabilmente mai stato scritto. OQP
1. Concetto di propagatore quantistico
1.1 – Consideriamo per semplicit`a il moto 021 *@. ( + di una particella non relativistica in presenza di un potenziale scalare stazionario RTS%U;V (situazioni pi`u generali verranno discusse in seguito). E` ben noto che la corrispondente equazione di Schr¨odinger ha la forma X+ -` Y ` [ X- Y [ [ W 3 S%U6\ Z V5]_^ a'b ` %S U6\ Z V6cdRTS%U;V S%Ue\ Z V Y Z Y U
S9f fEV
Ora, un fisico degli anni ’30 ( avrebbe cercato di risolvere 2 " 0 1 * tale equazione! Egli avrebbe invece osservato che – essendo RTS%U;V indipendente dal tempo – e` conveniente porre [
S%Ue\ Z Vhgjikl$mon p
Xe -q
S%UoV
S9f
a V
cosicch´e l’eq. (1.1) diventa r ` q r ` S%UoVoc U
a'b X - `Qs t
^uR1S0U;Vwv
q
S9f |{ V
S%UoVx]zy
A questo stadio, t e` ovviamente un parametro (reale) indeterminato } . Sup` poniamo ulteriormente che RTS%U;V soddisfi la condizione S9f
V
~Elim : R8S%UoVL]c q
Si pu`o allora dimostrare che l’eq. (1.3) ammette soluzioni S%U;V soddisfacenti alle usuali condizioni di regolarit`a 5 ( ( per certi valori 2$ " % del parametro t (li indicheremo con tJ \ t } \ t ` \ e supporremo che si abbia tJFt } t ` ). Quindi, in corrispondenza ad ognuno dei suddetti valori tC si avr`a una 1
Naturalmente ha il significato fisico di energia della particella. Tuttavia questa circostanza e` irrilevante per le considerazioni esposte in questo paragrafo.
2
Se l’eq. (1.4) non valesse, si avrebbe in generale uno spettro continuo di autovalori per l’eq. (1.3), ma il ragionamento che segue rimarrebbe inalterato.
3
Queste condizioni seguono direttamente dal significato fisico della funzione d’onda (il suo modulo quadrato fornisce la densit`a di probabilit`a) e sono discusse in tutti i testi di meccanica quantistica.
12 q
soluzione dell’eq. (1.3): esse q verranno indicate come S%U;V . Sotto ipotesi ` molto generali l’insieme delle S%U;V e` "( ;& ( in , per cui l’
* dell’eq. (1.1) pu`o essere rappresentato come [
S%U6\ Z V5]
i k+l$mEn0p
X- q
S%U;V
S9f V
ove sono coefficienti (complessi) arbitrari. Possiamo schematizzare il suddetto procedimento nel modo seguente. L’originaria equazione di Schr¨odinger alle derivate parziali (1.1) `e stata ridotta – mediante l’introduzione di un parametro arbitrario – ad un’equazione differenziale ordinaria. La richiesta di regolarit`a imposta alla funzione d’onda porta a considerare il ; ( *8> C ( ,- ( . associato a quest’ultima equazione. L’ 9& < * & dell’equazione di Schr¨odinger di partenza pu`o allora essere ottenuto come opportuna combinazione lineare delle @ (9M !* ( in questione. Vogliamo osservare che questo e` proprio il modo in cui Schr¨odinger e` arrivato alla sua equazione – non a caso il titolo dei suoi lavori e` “Quantizzazione come problema agli autovalori” . 1.2 – L’approccio di Feynman all’equazione di Schr¨odinger (1.1) e`
<2 #1 *+ B2,' ( . La sua proposta consiste nel considerare 2 " 0 1
4 5 6
Supponiamo (per semplicit`a) che nessuno degli autovalori dell’eq. (1.3) sia degenere. Si veda il Quaderno di Fisica Teorica: S. Boffi, /JF w.' &wJ¡9¢#¢|J£o¡ (1991). Richard Phillips Feynman (1918–1988) e` considerato, per consenso pressoch´e unanime, il pi`u grande fisico teorico del dopoguerra. A lui si devono risultati fondamentali in vari settori della fisica teorica, il pi`u importante dei quali e` la rappresentazione diagrammatica di una generica espansione perturbativa, che semplifica enormemente i calcoli in teoria quantistica dei campi (si tratta dei famosi ¡. ¤.¥ .¦§¦Q ¨¡. Q©<«ª.-¦¨. ). Sottolineiamo che egli e` giunto a questo risultato proprio applicando l’“ )-¬%?¤.¥ *¢|e®E /.¦Q¦Q #' ” all’elettrodinamica quantistica. Libert`a e anticonformismo, combinate con una grande creativit`a, hanno spinto Feynman a ripensare in modo autonomo gran parte della fisica teorica. Egli possedeva anche notevoli doti di “attore”, che lo rendevano un eccezionale didatta: sono giustamente famose le sue lezioni di fisica (R. P. Feynman, /¨© #w ¡. ©<«ª.'¦¯. (Addison-Wesley, Reading, 1968)). Si narrano innumerevoli aneddoti in cui Feynman e` protagonista di situazioni curiose o impensabili; alcuni li racconta egli stesso nei suoi libri autobiografici: R. P. Feynman, °&±'®¥²¢ ªCª³.®+´ ¥µ9³"¶ )¤.·;B¥9¸x©<«ª'¦¨./¹ºB»6¡.¼.²-¬?®¥«5³ ½5F¾®¥« ³.® ¾ Á ¿-.¥ ²¬²¥ , Norton, New York (1985) (trad. it., °&±'¬$:««¿'«¥0À".¡³:B¥9¸1©<«ª.'¦¨.¹º Ä #¬Â¨»D¼¼.«'¬®E¥ H¡. D®³F«9 ²À9 .¬$³Â²®¥« ³.«³ , Zanichelli, Bologna (1988)); °«Ã¿-.¬
³1ų.®T¾+.¥Fÿ-.¬§£o¬)¿'«¥QÆo³«Ç¢|È<¿ )E¶É*ºT©®E¥w¬)¿'²¥h»6¡.¼.²-¬?®¥«¨³ ½L»¾®¥« ³.® ¾ ¿-.¥ ²¬²¥ , Norton, New York (1988) (trad. it., °0¾¿'J¬"´ )¦DÇ-³.¥w¬$¡. x²  ʳ w¿'B¡. w¢
¤«'¬É*ºË»D¢ ¬¥B.¼¼*«'¬®¥B¡. Ì®³:²² ?«À² .¬$³²®E¥w ³.«³ , Zanichelli, Bologna (1989)).
Ne riportiamo qui soltanto uno, che riguarda direttamente l’argomento trattato nel presente Quaderno. L’idea dell’“ )'¬$¤.¥ *¢|Bw® h.¦Q¦Q )' ” venne a Feynman da una precedente osservazione di Dirac, in cui si affermava che una certa grandezza quantistica e` .*¢
³¤ ad un’altra classica. Egli riusc`ı a dimostrare – cosa di fondamentale importanza – che in realt`a tali grandezze sono Ç¥ ³«ÇE³.¥ À² ³.*¢ . Successivamente, ebbe l’occasione di parlare con Dirac di queste questioni e non resistette alla tentazione di dirgli: “Sai che quelle grandezze sono proporzionali?”. Dirac, stupito, chiese: “Davvero?”. “S`ı”, rispose Feynman, al che l’unico commento di Dirac fu: “Oh, interessante!”. Il lettore pu`o trovare molte informazioni
13 l’eq. (1.1) fissando l’attenzione sul cosiddetto ( < ( " := %?*% ( – che indicheremo con Í%U6\ ZÎ U \ Z -Ï – vale a dire su quella particolare soluzione (nelle variabili U6\ Z ) che e` definita dalla condizione iniziale S9f |Ñ V
Í0Ue\ Z Î U \ Z Ï ]zÐS%U1^U V
ove ÐS%U3^ËU V e` la funzione delta di Dirac. Fisicamente Í%Ue\ ZÎ U \ Z Ï fornisce l’Ô "!!2o% !* ( da S%U \ Z V a S%Ue\ Z V e la corrispondente (< $#xÒ Ó =+%?*% *Õ32L% @.&! ( e` data da Öx×
S%U6\ ZÎ U \ Z VL]
Î Í0Ue\ ZÎ U \ Z Ï Î
`
S9f Ø V
Osserviamo che la notazione Í0Ue\ ZÎ U \ Z Ï e` estremamente opportuna, in quanto il propagatore quantistico da S%U \ Z V a S%U6\ Z V e` proprio il prodotto scalare di due autostati dell’operatore posizione in descrizione di Heisenberg (uno a Z e l’altro a Z ). L’importanza del concetto di propagatore risiede nel fatto che un’ [ % *0 soluzione dell’eq. (1.1) individuata dalla condizione iniziale [ S%Ue\ Z Vhg S%UoV pu`o essere rappresentata come [
Ú S%Ue\ Z Vh]
Ù r
k
U Í%Ue\ ZÎ U \ Z Ï
[
S%U V
S9f |Û V
E` facile verificare quest’ultima affermazione se si tiene conto che Í0Ue\ ZÎ U \ Z Ï soddisfa per definizione l’eq. (1.1) nelle variabili Ue\ Z . Inoltre dall’eq. (1.6) segue [
Ú S0Ue\ Z VL] Ú k
7
k
Ù
r
Ù
r
U Í%Ue\ Z Î U \ Z Ï
U ÐS0U1^ÜU V
[
S%U VL]
[
S9f |Ý V S%U VL] Ä
[
S0U;V Á
«¼.²¢
³«Ç¦C«'¬;³ ½Þ¬&¿'̱*ÇEw9ß«È )¦C ?«à sull’opera di Feynman in: R. P. Feynman, È<¿' ³ ½âáo®-.'¬Á ®E¦äã;¢| 9¬¥ ³¡.ª.¦Q ² , Science 153, 699 (1966); S. S. Schweber, ©<«ª.'¦¯. .¡H¬)¿' )®'*¢
À".¬ ³.1³ ½h±*ÇEw²ß²È )¦CQÆ¥ ³w«w²« , Rev. Mod. Phys. 58, 449 (1986). Si veda inoltre il fascicolo di Physics Today (febbraio 1989) dedicato a Feynman. Considereremo sempre distribuzioni di ampiezza o di probabilit`a relative a variabili ³.ß ¬ )'®' (usualmente la posizione di una particella), per cui non ha senso parlare di ampiezza o di probabilit`a di ottenere un )¤³*¢
³ valore (essa e` sempre nulla!). In realt`a, le ampiezze o probabilit`a di cui ci occuperemo sono delle ¡«' )¬Ê ; ad esempio å@æ (çè0é²ê ç 0 è0é 0 ) nell’eq. (1.7) e` una densit`a nella variabile ç . Questa osservazione ci permette di omettere (per semplicit`a di linguaggio) l’attributo ¡«' )¬Ê . Ci auguriamo che ci`o non tragga in inganno il lettore!
14 Pertanto la conoscenza del propagatore permette di calcolare un’ %% *% soluzione dell’equazione di Schr¨odinger. Questo fatto – non sempre apprezzato appieno – costituisce il " *E/ ( . (BM*( +2/1 * & alla formulazione di Feynman della teoria quantistica. E` opportuno osservare che, bench´e l’uso del propagatore per risolvere l’equazione di Schr¨odinger non sia certo opera di Feynman ë , egli e` stato indubbiamente il primo a capire il ruolo cruciale che esso gioca in meccanica quantistica. 1.3 – Sussiste una notevole relazione fra il propagatore dell’equazione di Schr¨odinger (1.1) ed il problema agli autovalori associato all’eq. (1.3). Abbiamo infatti Í%U+ì|ì%\ Z ì
ì Î U+ì0\ Z ì Ï ]
ío /
q
S%U+ì
ìV
Xqhî + k l + m # ï 0 n ñ ð ð + k % n ð % ò p % S + U ? ì V i
S9f fy
Vogliamo dimostrare l’eq. (1.10). Usando la ben nota legge di trasformazione fra le descrizioni di Heisenberg e di Schr¨odinger, possiamo scrivere Xõ Í%U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì \ Z ì Ï ]óÍ0U+ì
ì Î i k+lô ï#n0ðñð$k n0ð)ò%p Î U+ì Ï
S9f ff-V
ove Î U Ï e` l’autovettore (associato all’autovalore U ) dell’operatore posizione ÷ in descrizione di Schr¨odinger e ö l’operatore hamiltoniano corrispondente ÷ all’eq. (1.1). Scriviamo il problema agli autovalori per ö nella forma ÷
ö Îø Ï ]
tC Î ø Ï
S9f f
a V
supponendo che l’insieme degli autostati Î ø Ï sia ortonormale e completo. Naturalmente proiettando l’eq. (1.12) sullaq rappresentazione delle coordinate si deve ritrovare l’eq. (1.3), il che implica S%U;Vh]óÍ%U Î ø Ï . Allora segue Xõ Í%Uì
ì%\ Z ì|ì Î U+ì0\ Z ì Ï ù ] Í%U+ì|ì Î i kl@ô ï#n%ðñð$k n0ð&ò%p Î U+ì Ï ] Xõ Í%U ì
ì Î ik+lô ï#n ðñð k+n ð ò%p Î ø Ï Í ø5Î U ì Ï ] /ío XÍ%U ì
ì Î ø Ï Í ø5Î U ì Ï i k+l$m ï#n ðñð k n ð ò%p ] /ío Xq qhî ñ ð ð ð k $ l m ï n k n ò p % S U
ì ? ì V % S U ? ì V i /ío 8
S9f f { V
Esso era noto da molto tempo nella teoria delle equazioni differenziali lineari. Si noti che i matematici parlano di ²³*¢ ®*À² ³./;½«³.¡.¦C«'¬$*¢| anzich´e di Ç¥ ³«ÇE¤.¬$³.¥ .
15 che e` proprio l’eq. (1.10). Notiamo infine che il propagatore soddisfa la " ( + 2!* ( ; Â2L% * Ò Í%U ì
ì \ Z
ì ì Î U ì \ Z ì Ï
î
]óÍ%U ì \ Z ì Î U ì
ì \ Z
ì ì Ï
S9f f V
Essa e` conseguenza diretta dell’hermiticit`a dell’hamiltoniana, come si vede facilmente usando l’eq. (1.11).
2. Aspetti dell’integrale di Feynman
2.1 – La formulazione di Feynman fornisce il propagatore dell’equazione di Schr¨odinger come C ( 9& 24D *7'8 ). Risulta quindi possibile calcolare il propagatore quantistico ! che sia necessario risolvere l’equazione di Schr¨odinger. Sottolineiamo che e` proprio quest’ultima circostanza che rende questo approccio cos`ı importante da un punto di vista applicativo. Infatti, anche nei casi in cui non si riesca a calcolare esattamente l’integrale di Feynman, e` peraltro possibile sviluppare nuovi metodi di soluzione approssimati ú . 2.2 – Pensiamo di fare cosa utile al lettore mostrando – nel semplice caso dell’equazione di Schr¨odinger (1.1) – come l’integrale di Feynman emerga in modo naturale partendo dalla usuale formulazione operatoriale della teoria quantistica. Questo modo di procedere e` , in un certo senso, ( / ( . ( a quello originario di Feynman (si veda il paragrafo 2.4 e l’articolo tradotto): egli ha infatti 2< * *,-/ ( l’equazione di Schr¨odinger e l’algebra degli operatori assumendo il suo integrale sui cammini come ( *%)/ ( (a cui giunge con considerazioni euristiche). Sfortunatamente e` quasi impossibile rendere l’integrale di Feynman un concetto matematicamente rigoroso } e la definizione datane da Feynman stesso pu`o apparire (pensiamo a ragione!) troppo “ingenua” }"} – ci sembra che il procedimento esposto qui sotto sia un compromesso accettabile ` fra rigore formale e semplicit`a concettuale } . û ü Consideriamo preliminarmenteû due operatori ö e ö definiti su un certo ü spazio di Hilbert. Supponiamo che ö e ö ( commutino, cosicch´e si avr`a 9
10
11
12
Oltre ai testi citati nella bibliografia, si veda in particolare il libro: L. S. Schulman, Èw¿Eß ' ý²®'«§.¡¯»oÇÇ¢ &w.¬ ³.'5³ ½ÌÆo.¬)¿þ-¬%?¤.¥ .¬ ³. (Wiley, New York, 1981). Non vogliamo addentrarci in queste difficili questioni che – di fatto – non condizionano minimamente le applicazioni fisiche. Il lettore interessato a questi aspetti matematici pu`o consultare i seguenti lavori di rassegna: S. A. Albeverio and R. J. Hoegh-Krohn, â.¬)¿'«¦¨.¬ w*¢ÌÈ¿' ³.¥«ª:³ ½Q©<²ª'¦¨.1Æo.¬)¿:þ'¬?¤.¥ *¢ (Springer, Berlin, 1976); C. De Witt-Morette, A. Maheshwari and B. Nelson, Phys. Rep. 50, 255 (1979). Il vantaggio di derivare l’integrale di Feynman dall’approccio operatoriale e` di ragionare in modo matematicamente pi`u soddisfacente. Seguiamo (in modo semplificato) un metodo proposto in: E. Nelson, J. Math. Phys. 5, 332 (1964). Rimandiamo il lettore a questo articolo per maggiori dettagli riguardo al presente paragrafo. La ½«³.¥«¦Q®E¢
¡. LÈ-¥ ³.¬¬«¥ e` discussa in: H. Trotter, Proc. Am. Math. Soc. 10, 545 (1959).
16
ÿ Ù ÿ i ô ô ]i ô i ô
a S
fEV
E` pertanto un fatto notevole che – sotto ipotesi piuttosto generali – si abbia invece
ÿ Ù i ô ô ]
ÿ i ôp
lim :
i ô p
S
a a V
che e` essenzialmente la M*( *&2 ( 0 * . Come vedremo, l’integrale di Feynman altro non e` che una conseguenza di tale formula, combinata con un’osservazione dovuta a Dirac! Fissiamo ora l’attenzione sul propagatore Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï dell’equazione di Schr¨odinger (1.1). Ponendo
W XJ - S Z ì
ì ^ g ÷
ö
ö g
c
a S |{ V
Z ì V.\
a S
V
Rö
e facendo uso dell’eq. (1.11) possiamo scrivere
Ù ô ò Î U ì Ï
a S V
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]óÍ%U ì
ì Î i k <ï'ô
che – in virt`u della formula di Trotter (2.2) – diventa
ô p i k ô p V Î k % Í U S i
ì ì lim F
Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]
a S |Ñ V
ÎU ì Ï
E` ben noto che la relazione di completezza per gli autostati dell’operatore posizione (in descrizione di Schr¨odinger) Î U Ï si scrive Ú k
Inserendo l’eq. (2.7) fra gli nell’eq. (2.6) abbiamo
Ù r
a S Ø V
Î U Ï Í0U Î ]_f U
i kx ô p
fattori i k §ô p
che sono presenti
i k x ô p Î U k k r r Î i k5ô p i kÌô p Î U ` Ï U ` U Í%U } } k k k
k r U Í%U Î ik Qô p ik xô p Î U ì Ï } }
Í%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì \ Z ì Ï ]
lim :
Ú
Ù
Ú
Ù
Í0U+ì
ì Î i k §ô p
Ï k }
a S |Û V
E` conveniente porre U ì g U e U ì
ì g riscritta nella forma pi`u compatta }w
Í%Uì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï Ú
lim : ]
k
Ù
Ú
k }
Ù
k
l
U
17 , cosicch´e l’eq. (2.8) pu`o essere
k }
U Í%U Ù Î i k§ô p i k xô p Î U Ï } l ío r
í }
a S |Ý V
Questa equazione – che segue direttamente dalla formula di Trotter – esprime il propagatore Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï in funzione del propagatore relativo ad un intervallo ). di tempo L * ( (vale a dire S Z ì
ì ^ Z ì V per ( ( ( Ù Îi k ô p i k ô p ÎU Ï . Calcoliamo ora il ; @E // " L% ..$ Í%U } E` evidente che qui R ö non e` altro che R1S%U;V , quindi
Í%U
Ù } Î i k§ ô p i k x ô p Î U Ï
ï ~ ò%p Í0U Ù } Î i k § ô p Î U Ï
a
]i k
S
fy
Analogamente alla eq. (2.7), per gli autostati dell’operatore impulso (in descrizione di Schr¨odinger) Î Ï abbiamo Ú
Ù
Î Ï Í DÎ ]_f r
k
a S
ff-V
che ci permette di scrivere
Í%U Ù Î i k ô p Î U Ï }
Ú ] k
Ù
r
Í%U Ù } Î i k ô p Î Ï Í Î U Ï
` a'b
Í%U Ù Î i k §ô p Î Ï }
a S
a f
V
Nel caso in questione ö ] ö , che (per definizione) e` diagonale nella rappresentazione dell’impulso, cosicch´e ]
"! p `$# Í0U Ù } Î Ï
i k
S
a
f { V
Inserendo l’eq. (2.13) nell’eq. (2.12) otteniamo 13
Sottolineiamo il fatto che la presenza di un indice nell’eq. (2.9) e` pura conseguenza dell’uso ¥« Ç'«¬®¬³ dell’eq. (2.7).
18
Í%U Ù Î ik ô p Î U Ï }
Ú
ik ! p `# Í%U Ù } Î Ï Í Î U Ï
Ù
] k
r
a
f V
S
Ma Í%U Î Ï e` l’autofunzione dell’impulso (corrispondente all’autovalore ) nella rappresentazione delle coordinate, cio`e
q
Í%U Î Ï ]
% a'f & X- i l( ~ p X-
S0U;Vx]
a
f V
S
quindi possiamo riscrivere l’eq. (2.14) come
f Í%U Ù Î i k §ô p Î U Ï ] a'& X} Ú
Ù r
k
X i k ! p `$# i l( ï ~*),+ k ~ ò%p -
a
f Ñ V
S
L’integrale che figura nell’eq. (2.16) e` /<0 ( e pu`o essere calcolato facilmente usando la ben nota formula } Ú k
&6 2 .- i k /10 ! Ù32 0 5 ] 4 i ! p /
Ù
r
Otteniamo
Í%U Ù } Î i k5 ô p Î U Ï ]87 a'&b X- `
:9
} p
`
;
exp ^âS
a VS%U Ù b
a
}
^
U
V ` < X+- `>= a
S
?
f Ø V
S
f Û V
A questo punto e` conveniente porre g 14
S Z ì
ì ^
@
Z ìV
A
S
a
f Ý V
Va tenuto presente che nell’eq. (2.17) sia che sono numeri )¦§¦¨¤. ).¥« , per cui e` necessario effettuare una continuazione analitica. Essa e` a ¡.® valori, dando cos`ı luogo ad una ambiguit`a di fase. Si ottiene tuttavia il risultato corretto anche procedendo in modo ingenuo. Questo punto e` spiegato in: B. Felsager, D ³.¦C«¬¥«ª.·LÆ;.¥«¬ 9¢|«B.¡:© ?²¢
¡. (Odense University press, Odense, 1981).
B
19 Inserendo l’eq. (2.18) nell’eq. (2.10) ed usando le eq. (2.3) e (2.19) abbiamo infine l’espressione . ; % del propagatore infinitesimo
?'E
Í%U Ù } Î i k 5?H ô G p i kx ô p ? Î U Ï ]DK C a'&;W X- } p ` ` b U Ù ^ÜU W XF S V aJI } ^ R8S%U VMLON exp H b
S
a a
y
Questa espressione del propagatore infinitesimo e` stata suggerita per la prima volta da Dirac } . Non era invece chiaro a Dirac come ottenere il propagatore relativo ad un intervallo di tempo h ( }w . Oggi sappiamo – 1 * ( 246 7'8 – che Í%U ì|ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï e` dato da L% "( , ( /!* ( del propagatore infinitesimo, secondo l’eq. (2.9) (come abbiamo visto, ci`o deriva dalla formula di Trotter). Esplicitamente, e` ora sufficiente inserire Í0U Ù Î i k Qô p i k xô p Î U Ï – dato dall’eq. (2.20) – nell’eq. (2.9) } Ó :
}
b
?QE
` Ú
Ù
p P lim : C aQ&;W X?H G ? k K k } b U Ù ^ÜU W X} F S V exp B aSI
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]
ío
Ma
Ú
`
k
k }
Ù
r
í l }
^uR1S%U
U
R l
a a
VTLUN
S
f-V
?HG
? K` k } b W X U Ù ^ÜU } ^uR1S%U VTLUNd] exp FBS - V a I íÞ ? G ? K WYX W X- k } b U Ù } ^U ` exp V S V ^ËRTS%U VTL[ZY\ ] a I S
a aa V
ío
15
16
17
P. A. M. Dirac, Phys. Zeit. der Sowjetunion 3, 64 (1933). Questo articolo e` ristampato in: ±/²¢| 9¬ ¡JÆo«Ç-«¥«L )1áo®'.-¬?®¦ ã¢|²¬¥ ³¡.ª..¦Q ² , J. Schwinger ed. (Dover, New York, 1958). Si veda anche: P. A. M. Dirac, þQÆ¥« #² Ç Ì¡²¢)¢
F.' 1áo®'.-¬? #w¬ (IV ed.) (Boringhieri, Torino, 1959), cap. 32. E` a questa circostanza che si riferisce l’aneddoto riportato nella nota 6 (ritorneremo su questo punto nel capitolo 4). implica 0 (e viceversa), in quanto E` evidente dall’eq. (2.19) che il limite l’intervallo di tempo considerato é é e` «³ . Per maggior chiarezza indicheremo entrambi i limiti, nonostante essi ³. siano indipendenti.
cYced ^5fc _ag `
b:_
20 per cui otteniamo in definitiva
?QE
b
` Ú
Ù
: C aQ&;W X? P lim G ? k K W X W X- k } b U Ù } ^ U exp V S V ío a I
Í0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï ]
p
Ú k `
k }
Ù
r U
í l }
^ËRTS%U
R
l
a a S
VTL Z] \
{ V
h
Questa e` l’ . ; " .". ( L+& del propagatore quantistico come 12 4D *7'8 . Vedremo nel paragrafo successivo che l’eq. (2.23) pu`o essere riscritta in modo pi`u compatto ed elegante. Tuttavia e` bene tenere sempre presente che ogni altra espressione equivalente ( ha alcun significato diverso da quello mostrato .# 1 * dall’eq. (2.23). 2.3 – A questo punto il lettore potrebbe chiedersi (giustamente!) dove siano i “ h2Ì46 7- 8 ” }wë . Al fine di rispondere a questa domanda e` conveniente porre
?QE
Ù
Ù
k }
r ji P g C aQ&;W X- p U l ? G í } l ? k K k W X W X- k } b U Ù } ^ÜU ` exp V S V ^uR8S%U V LUZ \ ] ío a I b
Í0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï
` Ú
Ú
a a S
V
cosicch´e l’eq. (2.23) assume la forma Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]
F P lim
Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï
ji P ?
S
a a
V
?
Discretizziamo ora l’intervallo di tempo considerato Z ì
ì ^ Z ì mediante ^f W punti intermedi equidistanti Z , Z ` , , Z spaziati di (Z ] Z c , } W k } l Z g Z ì, Z ) (si noti che questa discretizzazione era gi`a g Z ì
ì , y stata usata $; % 1 nell’applicare la formula di Trotter). Ragionando nello spazio delle configurazioni .. * ( S%Ue\ Z V } ú , il generico insieme di punti
lk km
18
Talvolta essi sono anche detti ¬³.¥w ? .
19
Esso si ottiene rappresentando geometricamente il tempo come ®E¢ ¬«¥« ³.¥ coordinata.
n U ì \9U
o
p
Oq
\9U ì
ì che figura nell’eq. (2.24) pu`o essere interprek } ` tato come l’insieme dei vertici di una !"! S²\9UDS Z V*\#V definita nel modo seguente }
\\9U \\9U
21
o
n UDS Z ì?VLg Uì0\9UDS Z VLg U \-\9UDS Z oVLg Uo\E\ } } UÌS Z VLg U \9UÌS Z ì
ì VLgzU ì
ì p a a k } k } Ñ V S Indichiamo con r ji P S%U ì \ Z ìs U ì
ì \ Z ì
ì V l’insieme di %@0 le q S²E\9UDS Z oV.\)V con estremi fissi UDS Z ì VTg U ì , UÌS Z ì|ì V1g U ì
ì . Dato che q S²\9UÌS Z o V.\)V e` completamenten caratterizzata dai suoi vertici, l’eq. (2.24) non e` altro che la ( 8 di exp p su r ji P S%U ì \ Z ì s U ì
ì \ Z ì
ì V . Alla luce di questa osservazione e` q
o
S²\9UÌS Z V*\)VLg
conveniente riscrivere l’eq. (2.24) come
?QE
Ù
Ù
ji P ] C a'&;W X- p ? G ? k kK WYX W X- k } b UÌS Z Ù } VD^UÌS Z V ` exp V S V a I b
Í0U+ì
ì0\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï
` Ú
Ú
ío
k } r
UDS Z V l
í l }
a a S
TL[ZY] \
Ø V
^ËRTS%UÌS Z VV
Ricordando che (nel caso in questione) l’azione classica calcolata lungo una arbitraria traiettoria UDS Z V e`
t
s UDS²Vwv n ñð ð ] nð
Ú n ðñð r
9
7 af bvUÌu S Z V ` Z
a a
^uR1S0UDS Z VV S
Û V
nð
scopriamo che la sommatoria nell’eq. (2.27) e` proprio l’ E! ( &' calS²E\9UDS Z V.\&V . Quindi possiamo scrivere colata lungo la spezzata
q
ji P w ] C a'&;W XW X ty exp xDS - V q b
Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï
20
?'E
p
o
` Ú k
Ù
Ú
o
k
Ù
k í l }
{z }|
} r
UÌS Z V l
S
a a
Ý V
S²\9UDS Z V.\)V n0ðñð nð
Come $Ç- ÀÀ".¬$ intendiamo un insieme discreto di punti uniti da segmenti. Una curva ordinaria pu`o essere definita specificando i suoi punti in funzione di una variabile indipendente é . Analogamente si pu`o fare per una spezzata, solo che ora l’insieme dei punti (vertici) e` discreto anzich´e continuo.
?
22
~
q r Oi P
o
Naturalmente quanto detto vale per arbitrario. Consideriamo ora il limite una spezzata ( S²E\9UDS Z V.\)V y ). Al crescere di Z approssima vieppi`u una curva continua UDS V (con gli stessi estremi), fino a coincidere con questa nel limite . Pertanto l’insieme S%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V diventa lo E!* ( 2 * xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V , cio`e l’insieme delle funzioni (reali) continue UÌS Z V con estremi fissi UÌS Z ì V¯g_U ì , UÌS Z ì|ì V¯gäU ì
ì . Quindi nel li l’eq. (2.29) da somma su S%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V diventa una ( 8 mite ` su LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . E` altres`ı evidente che }
r
s
r
t y q P lim F
s
r ji P
s
o
s
t
{z
S²\9UDS Z V.\)V n0ðñð ] nð
s UÌS²Vwv n0ðñð nð
a S |{ y
cosicch´e dalle eq. (2.25), (2.29) e (2.30) otteniamo
Ú
Í%U+ì
ì%\ Z
ì ì Î U+ì0\ Z ì Ï ]
UÌS Z V9ÐS%U+ì
ì@^UDS Z ì
ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V.
exp D x S Vt W
X-
s UDS²V"Vwv n%ðñð nð
|
a S |{ f V
\
?E ` C a'&;W X p k } r UDS Z
avendo posto (molto formalmente!)
UÌS Z Vxg
: P lim
b
-
l
r
í }
l
V
a a S |{ V
s
Le due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.31) servono unicamente ad indicare in modo esplicito che si sta sommando su xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . Molto spesso, la rappresentazione di Feynman del propagatore quantistico e` scritta proprio nella `"` forma (2.31) . Siamo cos`ı giunti in modo naturale al concetto di “ ( 8â ” come #$% :2D$ L%%L$+ ( 2$+ * . E` invalso l’uso di parlare a questo proposito di $ 2Q4D *7'8 (uso a cui del resto anche noi ci siamo attenuti). Va per`o precisato che tale denominazione e` ( *% , perch´e
21
22
$M $$M
3
)] e` una somma di Cauchy-Riemann. Inoltre [ç ( )] nel Si noti che [Γ ( 9è%ç (é ) è secondo membro dell’eq. (2.30) e` un )-¬%?¤.¥ *¢|¨¡. o ?«¦¨.' . Avvertiamo per`o il lettore che questo secondo fatto ³. e` una conseguenza ³.¼¼" & del primo (questo punto verr`a chiarito nel paragrafo 2.6). Per ovvi motivi, l’eq. (2.31) e` spesso detta forma ¢
¤.¥ .¤* &. dell’integrale di Feynman. Ne esiste anche una (equivalente) forma ¿-.¦Q &¢ ¬$³.' . . Strutturalmente, quest’ultima e` molto simile all’eq. (2.31), ma vi sono due differenze essenziali: (i) i .¦Q¦Q )' sono ora funzioni a valori nello $ÇEÀ² ³:¡²¢)¢|6½«. (anzich´e nello spazio delle configurazioni); (ii) l’azione [ç ( )] scritta in termini della lagrangiana e` sostituita dalla (stessa) azione [ç ( ) è ( )] definita sullo spazio delle fasi, in cui compare l’ ¿-.¦Q &¢ ¬$³.' . . Oltre al gi`a citato testo di Schulman, si veda anche: C. Garrod, Rev. Mod. Phys. 38, 483 (1966).
23 esso ( e` (da un punto di vista matematico) un’integrale su uno spazio di ` funzioni (integrale funzionale). Pi`u semplicemente, in questo contesto la parola integrale (ed il relativo simbolo) e` da intendersi ( ( come sinonimo di ( 8 (su un insieme di funzioni). Ulteriormente – per quanto suggestiva l’eq. (2.31) possa apparire – va ricordata l’osservazione fatta alla fine del paragrafo precedente. Bench´e l’eq. (2.31) sia stata derivata qui nel caso unidimensionale in cui e` presente solo un potenziale scalare stazionario R1S%U;V , essa vale anche nel caso ` multidimensionale per un’azione classica del tipo
t
s UÌS²Vwv n ñð ð ] nð
Ú n ðñð r
Z
7 af bU u l S Z V U u l S Z Voc l
S%UÌS Z V*\ Z V U
u l
lBS%UÌS Z V*\ Z V
S Z VD^
9
a S |{{ V
nð
L’eq. (2.31) corrispondente a quest’ultima forma dell’azione classica va ancora definita come limite di un’espressione discretizzata, molto simile a quella che figura nell’eq. (2.23). Vi e` per`o un’ ( 2 G ! . Nell’espressione (2.20) del propagatore infinitesimo fra U e U Ù , R1S%U;V e` calcolato in U . } a Ora invece S0Ue\ Z V va calcolato nel ; ( $+ * *1 2 ( U g S0U cU Ù V } nell’analoga espressione del propagatore infinitesimo. Ci`o si riflette nell’identica prescrizione per quanto concerne la forma discretizzata dell’eq. (2.31) ` (simile all’eq. (2.23)) (a questo proposito si veda l’articolo tradotto).
23
24
25
Ci`o e` stato dimostrato in: R. H. Cameron, J. Math. and Phys. 39, 126 (1960). Sottolineiamo che le difficolt`a matematiche menzionate all’inizio del paragrafo 2.2 traggono origine proprio da questo fatto. E` immediato accorgersi che questa azione classica ha la forma tipica dell’interazione di una particella con un campo elettromagnetico o gravitazionale esterno nell’approssimazione Ê ¤«/«¥ *¢ semirelativistica. In realt`a, l’eq. (2.31) vale anche per azioni classiche [ç ( )] Ç ®Q dell’eq. (2.33). Un esempio e` quello di spazio delle configurazioni 9®¥«¼³ . Rimandiamo il lettore al testo di Schulman. E` opportuno tenere presente che l’eq. (1.11) vale «³*¢
³ se l’hamiltoniana ³. dipende dal tempo (invece l’eq. (1.14) ha validit`a generale).
g Hg
L’origine matematica di questo fatto verr`a spiegata nel paragrafo 2.6. Discutiamo qui invece il suo |¤.' .¬$³ w³ (si tratta di una tipica situazione in cui una difficolt`a matematica ha una radice fisica). Un problema che ha preoccupato i fondatori della teoria quantistica e` l’esistenza delle cosiddette .¦ ² |¤.®E #¬E1 Ê ¡. 5ý9®-.'¬ |ÀÀ"À² ³./ . Si supponga che nell’hamiltoniana ¢
. w compaia un termine in cui l’impulso e` moltiplicato per una funzione delle coordinate (questo e` effettivamente quanto avviene nel caso descritto dall’azione (2.33)). Come e` ben noto, la corrispondente hamiltoniana ý²®'.-¬? #w¬ si ottiene sostituendo gli operatori alle grandezze classiche. Ora, gli operatori posizione e impulso ³. commutano, quindi vi sono Ç ® Ê hamiltoniane quantistiche distinte associate alla ¬²« hamiltoniana classica. Senza ulteriori argomenti (ritorneremo su questo punto pi`u avanti in questa nota) e` privo di significato chiedersi quale di esse sia l’hamiltoniana “giusta”, perch´e esse sono concettualmente sullo stesso piano, nonostante portino a risultati diversi. Qual’`e l’origine di queste ambiguit`a? Storicamente, vi e` stata una notevole confusione al proposito. Inizialmente si riteneva che esse fossero una Ç®¥ B³.'9?¤.®«À dell’uso degli operatori.
24 D’ora in poi considereremo il caso generale di uno spazio delle configurazioni )%%2$1 @ ( +& . Al fine di semplificare la notazione, ,% * " * ( 2h* " â ( #h, 0 ( .0# ( +2 ogniqualvolta ci`o non dia luogo a fraintendimenti. 2.4 – Ci sembra molto istruttivo confrontare la derivazione dell’eq. (2.31) presentata nel paragrafo 2.2 con la strategia seguita originariamente da Feynman (essa e` discussa nell’articolo tradotto). Come abbiamo gi`a sottolineato, egli ( parte dalla formulazione operatoriale della teoria quantistica, bens`ı procede in modo euristico: estende il principio di sovrapposizione delle ` ampiezze e sviluppa un’osservazione – dovuta a Dirac – sul ruolo dell’azione classica in meccanica quantistica. Cercheremo di riassumere (in modo molto schematico) i punti nodali di tale approccio. Consideriamo una particella descritta dall’azione classica (2.33) e fisû siamo l’attenzione sull’evento “ó,' 2/ S0U ì \ Z ì V: S%U ì
ì \ Z ì
ì V ”. Si noti che l’ "!! (totale) Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï associata a questo evento non e` altro che il ; ( @E // ( " dell’equazione di Schr¨odinger (nelle variabili U ì
ì \ Z ì
ì ). A questo
Successivamente ci si e` per`o resi conto che ci`o non poteva essere vero: infatti la meccanica classica pu`o venire espressa in un linguaggio ³«Ç-«¥ .¬$³.¥« *¢| molto simile a quello quantistico (B. O. Koopman, Proc. Nat. Acad. Sci. 17, 315 (1931); J. Von Neumann, Ann. of Math. 33, 587 (1932)), mentre la meccanica quantistica pu`o essere formulata nello $ÇEÀ² ³B¡²¢)¢| ½«. analogamente alla meccanica classica (E. P. Wigner, Phys. Rev. 40, 749 (1932); J. E. Moyal, Proc. Camb. Phil. Soc. 45, 99 (1949); M. Hillery, R. F. O’Connell, M. O. Scully and E. P. Wigner, Phys. Rep. 106, 121 (1984)). L’origine delle suddette ambiguit`a e` dovuto in realt`a all’ .9«À¨¡. )«³.¦¨³.¥ w¦¨³ fra i gruppi delle trasformazioni canoniche classiche e quantistiche (indipendentemente dalla ¥ «ÇÇ¥«9«'¬$À² ³./ di tali gruppi nell’ambito della ?Ç' ² formulazione della teoria) (L. Van Hove, Acad. Roy. Belg. Bull. Cl. Sci. M´em. (5) 37, 610 (1951); T. F. Jordan and E. C. G. Sudarshan, Rev. Mod. Phys. 33, 515 (1961)). Ci`o nonostante e` stato ripetutamente affermato che l’integrale di Feynman ²¢ )¦Q ) le ambiguit`a di quantizzazione, dato che esso non contiene operatori (citiamo un solo esempio: E. Kerner and W. Sutcliffe, J. Math. Phys. 11, 391 (1970))! Come vedremo nel paragrafo 2.6, queste ambiguit`a sono presenti in ®*¤*®-*¢¦Q #w®¥ nella formulazione di Feynman, anche se compaiono in forma meno evidente. Il primo calcolo esplicito che mostra la ³. invarianza dell’integrale di Feynman sotto trasformazioni canoniche classiche e` stato dato da: S. F. Edwards and Y. V. Gulyaev, Proc. Roy. Soc. A 279, 229 (1964). Per una discussione molto chiara e generale si veda: J. L. Gervais and A. Jevicki, Nucl. Phys. B110, 93 (1976). Si pone quindi il problema di scegliere ®E hamiltoniana quantistica. Nel caso dell’azione classica (2.33) la richiesta che la corrispondente equazione di Schr¨odinger sia invariante sotto trasformazioni di gauge determina ®' )¼³.¦C«'¬ l’hamiltoniana quantistica. Anticipiamo che a livello dell’integrale di Feynman ci`o equivale proprio alla prescrizione del Ç®'¬$³â¦C ¡. ³ menzionata nel testo. La situazione e` meno semplice nel caso di una particella (non relativistica) in spazio curvo. Qui e` piuttosto naturale richiedere l’invarianza dell’equazione di Schr¨odinger sotto trasformazioni generali di coordinate. Tuttavia questo criterio ³. e` sufficiente per fissare univocamente l’hamiltoniana quantistica. Se invece si considera la meccanica quantistica ®Ç-«¥« )¦Q¦C«¬¥« &w (E. Witten, Nucl. Phys. B188, 513 (1981)) l’invarianza sotto supersimmetria trasformazioni generali di coordinate determina ³.¦ÌÇ¢|«¬.¦¨²-¬% l’hamiltoniana quantistica (V. De Alfaro, S. Fubini, G. Furlan and M. Roncadelli, Nucl. Phys. B296, 402 (1988); V. De Alfaro and G. Gavazzi, Nucl. Phys. B335, 655 (1990)).
g
26
Si veda la nota 15.
g
25 `
punto, il primo postulato di Feynman e` Ó `
F1) Tutte le # .%,' Â2$² $ ë secondo le quali l’evento xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V . zarsi sono descritte da UÌS Z V
jr
s
û
pu`o realiz-
Nella formulazione usuale della teoria quantistica si associa una "!! 2 ; (< % Ò (la funzione d’onda!) alla posizione di una particella ad un % "( ) " istante. L’ %2 M( +2<1 *+ di Feynman e` di associare un’ "!! 2o; ( % Ò ad ogni ) * *+/%$,' 2$² $ relativa all’evento in questione. Ne consegue che egli postula l’esistenza della seguente "!"! 2H% .&! ( associata ad un ( ( UDS Z V LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V
1
jr
Í0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s D U S9Vwvg
I
s K
a S |{ V
ampiezza che si muova lungo UDS Z V
Questa grandezza ha la struttura Í%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²Vwvg
ÐS%U ì
ì ^
UDS Z ì
ì VVÐS0U ì ^ÜUÌS Z ì V"V
û
a S |{/ V
s UÌS²Vwv
in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale ampiezza si annulli – ` come e` ovvio che debba essere– qualora si abbia UDS Z ì V ] U ì e/o UDS Z ì
ì V ] U ì
ì ú . û Nell’eq. (2.35) s UDS9Vwv e` un funzionale continuo determinato dal secondo postulato û
t
& per %@0% i cammini UÌS Z V , mentre la M ' e` F2) Il ( 2 ( di s UDS²V«v e` X data dall’ -!* ( &'". s UÌS²Vwv n ðñð associata a UDS Z V (in unit`a di - ). Vale nð a dire Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS9Vwv;]zÐS%U
ì ì ^UÌS Z ì
ì VV9ÐS%U ì ^ÜUDS Z ì VV. W X exp DS - V s UÌS²Vwv n0ðñð nð
x t
27
28
29
30
|
a S |{Ñ V
Come risulta chiaro dall’articolo tradotto, questo postulato non e` enunciato esplicitamente da Feynman, per`o viene assunto implicitamente. Tuttavia esso e` essenziale da un punto di vista logico. Useremo per semplicit`a l’espressione *¢ ¬%«¥w.¬ )¼.¡. #0¤. )®'¬ , mentre dovremmo parlare pi`u propriamente di *¢ ¬«¥«.¬ )¼.h )¡. Ç-²¡²-¬? +¦Q®¬?®-.¦C«'¬¯«²9¢ ®w #¼* . In altre parole, la presenza delle due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.35) e` necessaria affinch´e ç (é ) appartenga effettivamente a (ç è0é ; ç è%é ). Ci sembra opportuno richiamare il concetto di ½ ®EÀ² ³.*¢| . Tutti sanno che una ½®EÀ9 ³. e` una regola per associare un numero ad un altro '®E¦¨²¥0³ : essa e` quindi definita su un )-w ?«¦C '®¦C«¥« ³ . Analogamente, un ½®EÀ9 ³.*¢| e` una regola per associare un numero ad una ½®À² ³./ : esso e` pertanto definito su un #'w ²¦¨¡. ½®EÀ9 ³.- . Un’ottima introduzione al calcolo funzionale in vista delle applicazioni ai procesi stocastici (che discuteremo nei Ä capitoli Ä 3 e 5) e` contenuta in: Ä P. H¨anggi, È<¿'¯©®²¬ ³.*¢ «¥« #¼..¬ )¼.¨.¡ )¬ ²¯ ) ¬)¿' ««9¥w Ǭ ³.T³ ½ ̳. )ª ª..¦Q &w*¢ ±'ª.¬²¦§ , in ±-¬³w¿-.¬? &JÆ¥ ³w«w²«§»oÇÇ¢ ? ¡ ¬$³QÆ ¿ª. ² (ed. by L. Pesquera and M. A. Rodriguez) (World Scientific, Singapore, 1984).
Qc c .cYc cYc
O
26 Ovviamente nel nostro caso l’azione classica e` fornita dall’eq. (2.33). E` ben noto che le ampiezze quantistiche – convenzionalmente associate alla posizione $. ; di una particella – soddisfano il * | ( 2 ( , * ( .&! ( . Avendo associato un’ampiezza ad un ( cammino UÌS Z V , e` naturale supporre che il principio di sovrapposizione "( +%$¯1,- * " (si veda la discussione dell’esperimento di diffrazione da doppia fenditura nell’articolo tradotto). Ora, tale principio di sovrapposizione generalizzato implica che û l’ampiezza (totale) Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï per l’evento debba essere la ( 8 delle ampiezze Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv relative ad ogni singola alternativa disgiunta. Di conseguenza – in virt`u del postulato F1 – il terzo postulato di Feynman e`
F3) Il ( < ( " F=+%?*% ( e` dato da Ú Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï ]
a S |{/Ø V
UDS Z VÍ0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²V«v
Sostituendo infine l’eq. (2.36) nell’eq. (2.37) ritroviamo proprio l’eq. (2.31)! 2.5 – Non resistiamo alla tentazione di discutere la natura dei “ 2J46 7'8 ” (peraltro questo e` proprio il soggetto principale del presente Quaderno!) in modo pi`u esauriente di quanto usualmente venga fatto ( a tale argomento e` dedicato il presente paragrafo ed i tre successivi). E` ben noto che il modo migliore per evitare i famosi “paradossi” quantistici e` di dimenticarsi dell’idea classica che una particella si muova lungo una traiettoria 2< h – ci`o e` infatti incompatibile col principio di indeterminazione. Viene quindi spontaneo chiedersi se i cammini di Feynman abbiano un .) / ( x "( . Al fine di chiarire questo punto `e opportuno considerare ancora l’ampiezza Z Í0U ì
ì \ ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS9Vwv definita dall’eq. (2.34). Ragionando in termini pi`u geometrici, Í%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv pu`o anche venir interpretata come "!!C e@ % "( ) $ ( UDS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V , cosicch´e una distribuzione di ;0 !"! risulta definita sullo spazio dei cammini *} . Scegliamo ora un sottoinsieme di LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . Grazie al principio di sovrapposizione generalizzato, l’ampiezza che un (generico) cammino UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V sia contenuto in e` data da
f
r
6
b
s
<r
Ú n UD S Z Vj p ]
s
r
UÌS Z VÍ%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s D U S9Vwv
s
a S |{Û V
Sappiamo per`o che il modulo quadrato di un’ampiezza e` sempre una probabilit`a, quindi abbiamo evidentemente 31
Quanto detto nella nota 7 vale naturalmente anche nel caso di distribuzioni di ampiezza o di probabilit`a su uno spazio di funzioni. Ometteremo quindi l’attributo ¡²-w )¬Ê .
27
6
e¡Q¢Q£ ¤ n UD S Z Vj p ] Î b n U6 S Z VO¤ ` p Î ` ¤¤ Ú UDS Z VÍ0U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²V«v ¤¤ ¤ ¤ ]
a S |{Ý V
Un’importante conseguenza dell’eq. (2.39) e` che ( esiste alcuna distribuzione &' di (< $# Ò definita su xS0U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V . A prima vista, questa ` affermazione pu`o apparire strana. Infatti, dall’eq. (2.34) segue
r
Öx×
S0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UDS9Vwv;g
I
s
K
Î Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²V«v Î
` ]
a S
< y V
probabilit`a che si muova lungo UÌS Z V
che (analogamente a Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv ) pu`o essere reinterpretata come ; ( $#3 Ò 8Þ % ( & " $ ( UDS Z V . A questo punto per`o secondo il calcolo &' "( delle probabilit`a si dovrebbe avere " Ú n ¡.¢Q£ UÌS Z VU p ] UDS Z V Öx× S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv;] Ú ` UDS Z V Î Í0U+ì
ì\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²V«v Î
a S
f V
che e` manifestamente ( @/% $ con l’eq. (2.39). Concludiamo che la ( validit`a del calcolo &' "( delle probabilit`a in meccanica quantistica implica che i cammini di Feynman ( possano essere visti come possibili traiettorie descritte da una particella in accordo col *@ (F( . Usando un’espressione di Feynman, si deve pensare che una 32
E` evidente che se inserissimo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40) otterremmo un’espressione matematicamente priva di significato, a causa del quadrato delle funzioni delta di Dirac. Tuttavia questo problema pu`o essere evitato omettendo tali funzioni delta nell’eq. (2.36), a patto di restringere l’attenzione alle sole ç (é ) che appartengono a (ç è%é ; ç è%é ) (si tenga presente la nota 29). Questo punto verr`a discusso nel paragrafo 3.9. Questa circostanza e` stata sottolineata ripetutamente da Feynman. Vogliamo aggiungere un’osservazione un po’ polemica. Se il calcolo classico delle probabilit`a non vale nella teoria quantistica, come e` possilbile pretendere che questa sia equivalente ad una cosiddetta ¬³.¥w :¢
³*¢|H¡. D¼.¥« ² &¢ 6.«w³.¬ ? (Per questa problematica si veda il Quaderno di Fisica Teorica: O. Nicrosini, Æo.¥0¡³.w«³ EPR È ³.¥«¦¨¡. 69¢#¢ (1991)). E` stato ripetutamente affermato che i cammini di Feynman sono “reali” e che rappresentano “traiettorie medie” del moto (vedasi ad es.: P. Holland, A. Kyprianidis and J. Vigier, Found. Phys. 17, 531 (1987)). Non riusciamo a capire cosa ci`o voglia dire!
c c cYc cYc
33 34
35
¦¥
28 particella segua “tutti i cammini simultaneamente”! In realt`a, la mancanza di un’interpretazione fisica intuitiva per questi cammini non deve stupire: infatti e` ben noto che in meccanica quantistica ( si possono attribuire propriet`a fisiche ben definite ad oggetti ( ( " * *,-/% . 2.6 – Una precisazione e` ora quanto mai opportuna. Da quanto detto, il lettore potrebbe farsi l’idea che i ¯2h46 7'8 – vale a dire quei cammini che contribuiscono 0G 0%,-1 * nell’eq. (2.31) – siano %@0 le funzioni UDS Z V xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V . Ci`o e` M | ( ! Si pu`o infatti dimostrare (si veda l’articolo tradotto) che ( # ( quei particolari cammini che godono della propriet`a
Or
s
§
§
§
:¨
UÌS Z V óS
?
Z V } p
`
a a S
V
( Z molto piccolo) danno un contributo ( ( all’integrale di Feynman. Un modo euristico per rendersi conto di questo fatto e` di ritornare all’eq. (2.23), scrivendo U gùUDS Z V (come spiegato nel paragrafo 2.3). E` evidente che nel limite y si ottiene un risultato L% ( solo nel caso in cui la grandezza ` Î UÌS Z Ù V§^uUDS Z V Î si mantiene L% , ma ci`o implica proprio l’eq. (2.42). } E` altres`ı chiaro che il contributo di cammini che ( soddisfano l’eq. (2.42) ` y ( se Î UDS Z Ù V/^FUDS Z V Î scompare nel limite diverge, il meccanismo per } cui ci`o avviene e` molto simile a quello considerato nel paragrafo successivo). Ora, l’eq. (2.42) implica che la funzione UÌS Z V – seppur continua – ( sia differenziabile per alcun valore di Z . Concludiamo che i cammini di Feynman sono M 0 con dimensione di Hausdorff uguale a 2 Ó ë . Qualitativamente, essi sono identici alle traiettorie a zig-zag tipiche del moto browniano (ritorneremo su questo punto in seguito). Osservando tali traiettorie, si nota immediatamente il loro carattere fluttuante: esse appaiono come se il punto rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad una traiettoria liscia. E` facile rendersi conto che questo fatto proprio dall’eq. (2.42). Consideriamo infatti una curva $ %6UÌS Z V , vale a dire una funzione 2 G * " *!*0 del tempo. Avremo allora (per Z molto piccolo)
? ?
?
i
§
§
§
ª©1S
UDS Z Vx]
Z V
a S
/{ V
mentre per i cammini di Feynman dall’eq. (2.42) segue 36
Vogliamo mettere in chiaro che ¬®¬¬ la discussione fatta nel presente Quaderno si riferisce (salvo «$Ç¢ &9 #¬³ avviso) a sistemi quantistici ³. osservati.
37
Il concetto di ½¥ .¬¬$*¢| e` entrato ormai nella cultura scientifica di ogni fisico. Un’esposizione divulgativa e` contenuta in: B. Mandelbrot, e¢ e£+¤¤«¬¬? +©¥ .¬¬$*¢ (Einaudi, Torino, 1987).
38
Si noti che questo fatto ³. e` in contraddizione col postulato F1. Semplicemente, l’ampiezza che si muova lungo molti dei cammini 5Ç¥w ³.¥« possibili e` di fatto '®E¢)¢
.
«
B
§ Ma essendo
§
§
¬©®"S Z §V } p `¯ § piccola ( Z:§ ° Z una quantit`a molto ©± S Z V } p ` ¯² 1© S Z V
29 a S
V
UÌS Z Vx]
f ), e` evidente che a S
< V
per cui una funzione UDS Z V che soddisfi la condizione (2.42) varia ( ) ( Ò
*02/1 (rispetto a Z ) di una funzione UÌS Z V che sia differenziabile. Ci`o spiega il 0 * " Q@0% dei cammini di Feynman. L’esistenza di tali Q@0%E!* ( e` concettualmente molto importante, perch´e esse rappresentano gli 0G 0%B=+%?*% nell’evoluzione temporale descritta dall’integrale di Feynman. Come e` spiegato nell’articolo tradotto, l’eq. (2.42) e` "=,- *+ al * | ( 2¨+2 * *+E! ( ! Di fatto, che quest’ultimo e la propriet`a (2.42) siano aspetti diversi della * ." realt`a appare chiaro in un contesto diverso ú . Se si misura la traiettoria di una particella, si vede che le limitazioni dettate dal principio di indeterminazione implicano proprio la validit`a dell’eq. (2.42) } ! Un’ulteriore conseguenza dell’eq. (2.42) e` l’esistenza delle ) Ò 2¨= %!"!E! ( nell’integrale di Feynman. Supponiamo infatti di inserire l’azione classica (2.33) nell’eq.(2.31), ed immaginiamo di considerare la corrispondente espressione discretizzata (assumiamo per semplicit`a che i potenziali siano stazionari). Quest’ultima differisce dall’eq. (2.23) per un termine î sotto il segno di sommatoria nell’esponente – del tipo S%U Ù ^dU V S%U V } l’asterisco indica che non e` chiaro in quale particolare punto dell’intervallo
´³
³
i
?
39
40 41
$
Ä
)¼.«¥««³ in quanto ci`o che segue presuppone che una ¦§ )w®¥ À² ³./ venga effettuata sulla particella. Questo risultato e` discusso in: L. Abbott and M. Wise, Am. J. Phys. 49, 37 (1981). Una questione molto interessante e` la seguente. Sostituendo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40) ed adottando le precauzioni discusse nella nota 32, si ottiene å@æ (ç èé 0ê ç $è0é )[ç ( )] = 1 ý²®'*¢ ®ý²®' sia ç (é ) (ç $è0é ; ç $èé )! Bench´e a prima vista ci`o possa apparire .®E¥ ¡³ , ³. e` cos`ı. Ricordiamo (preliminarmente) che se si ¦Q #w®¥ la posizione #w¬$.'¬$./ di una particella al tempo é e ci si chiede quale sia la (densit`a di) probabilit`a di ottenere un particolare valore ç ¯ , la risposta e` data da å æ (ç ¯ è0é ) = ê (ç ¯ è%é ) ê 2 . Supponiamo ora di effettuare una ¦Q )®¥ ³.'¬ )'®- per stabilire quale sia la (densit`a di) probabilit`a che la particella si muova lungo un particolare cammino ç (é ) (ç èé ; ç è%é ) (é é é ). ¯ è%é ) abbiamo ora &ç $è0é %ê ç $è0é [ç ¯ ( )], cosicch´e la risposta e` Naturalmente al posto di (ç data analogamente da åæ (ç è%é 0ê ç $è%é )[ç ¯ ( )] = ê &ç $èé 0ê ç $è%é [ç ¯ ( )] ê 2 . Ma abbiamo visto che åæ (ç è%é ê ç è%é )[ç ¯ ( )] = 1, il che significa che la particella segue con w«¥«¬ ÀwÀ la traiettoria che si misura! Un’analisi operativa della situazione considerata mostra che le cose stanno proprio cos`ı ( Y. Aharonov and M. Vardi, Phys. Rev. D 21, 2235 (1980)). Una discussione approfondita del concetto di ¦Q )®E¥0À9 ³.§w³.-¬? #'®' in meccanica quantistica e` contenuta in: A. Barchielli, L. Lanz and G. M. Prosperi, Nuovo Cimento 72B, 79 (1982); A. Barchielli and V. P. Belavkin, J. Phys. A24, 1495 (1991). Una domanda sorge spontanea. E` il cosiddetto ÇE.¥ ¡³.w«³ý²®'.'¬ )¬ ³F¡. @²³./ (G. R. Allcock, Ann. Phys. 53, 251 (1969); B. Misra and E. C. G. Sudarshan, J. Math. Phys. 18, 756 (1977)) una conseguenza del fatto che åæ (ç $è0é 0ê ç ?è0é )[ç ( )] = 1?
.cYc cYc .c c
µ .c fc .cYc cYc
¶ ¶QcYc cYc .c fc ¸ .Y¸ cY.c cYc fcYc cYQc µc. c cºf¹ c»c ¹ c cYc cYc c¦· · cYc Yc c cYc c c .cYc fcYc Qc c
3¼
30 U
Ù
î
vada calcolato U . Abbiamo visto che nel caso dell’azione classica } (2.28) tale sommatoria e` una tipica somma di Cauchy-Riemann che definisce s UDS²Vwv come 9& F2oIJ0 8 . Chiaramente, questa circostanza continuasse adî essere vera, il risultato ( dovrebbe dipendere dalla particolare scelta di U : questa e` infatti una propriet`a fondamentale dell’integrale di Riemann. Notiamoî in particolare che le due somme corrispondenti alle due situaî ` zioni estreme U ]zU e U ] U Ù differiscono per termini 8S"S%U Ù ^8U V V . } } Ora, i cammini di Feynman fossero funzioni 2 G * " !*0 $# del tempo – cio`e ` tali per cui U Ù ^U – esse differirebbero per termini 1S V , che sareb} bero . *& ,- % in quanto infinitesimi di ordine superiore. Sappiamo per`o che per i cammini di Feynman vale la propriet`a (2.42), quindi le due somme suddette differiscono in realt`a per termini 8S V , che "( % * $ ( ( al risultato. Siamo cos`ı giunti ad un’importante conclusione. Da un punto di vista matematico, vediamo che nel caso dell’azione classica (2.33) l’integrale d’azione che figura nell’eq. (2.31) ( e` pi`u un integrale di Riemann, î perch´e le somme che lo definiscono 2
*+2 ( ( dalla particolare scelta di U (si tratta di un oggetto molto simile agli $+ 6. (E '*% che incontreremo nel paragrafo 3.9). Sul piano fisico, l’eq. (2.31) ( fornisce pi`u il propagatore quantistico inî modo , (E"( , dato che e` necessario specificare in che modo vada scelto U nella discretizzazione che la definisce – ecco come le ambiguit`a di quantizzazione ` nascono nell’approccio di Feynman ! 2.7 – E` ben noto che la meccanica quantistica X contiene la meccanica classica come caso limite. Ci`o significa che quando - risulta ( ) ( ( "
di qualunque altra grandezza in gioco (avente le dimensioni di un’azione), gli effetti quantistici scompaiono ed il comportamento classico emerge. Un vantaggio della formulazione di Feynman e` di permettere una comprensione %%,- del limite classico. Fissiamo l’attenzione sull’eq. (2.31) e supponiamo che in una situazione specifica si abbia
t
^>U
? ¨
© ? ©
?
©
t½y UÌS²VMz n ðñð ² nð
X-
a S
/Ñ V
per cui la M ' che compare nell’integrale di Feynman e` un numero ( ) ( +2 . Consideriamo ora due < * * cammini U S Z V e U ` S Z V tali che la loro } distanza Î U S Z VÌ^ÜU ` S Z V Î sia ( # ( ; "( & su scala )". . Corrispondente} ( ( "( & se misurata mente anche la grandezza Î s U S²Vwv^ s U ` S9Vwv Î sar`a ) ;
t
42
}
t
Esiste un teorema dovuto a Berezin (F. A. Berezin, Theor. Math. Phys. 6, 194 (1971)) che stabilisce una w³.¥w¥« )?ÇE³.¡«À®³*ß¡*ß$®³ fra le ambiguit`a di quantizzazione nel formalismo operatoriale e nel formalismo di Feynman. In particolare, esso asserisce che la prescrizione del Ç®E'¬$³B¦C ¡. ³ (come osservato nel paragrafo 2.3, essa preserva la gauge invarianza per l’azione classica (2.33)) corrisponde alla quantizzazione operatoriale con ³.¥ ¡. ).¦C«'¬$³*¢)¢
:ÃF«ª*¢ (M. Mizrahi, J. Math. Phys. 16, 2201 (1975). Si veda anche: T. D. Lee, Æ;.¥«¬ 9¢|¨Æ¿ª. ²¨.¡Jþ'¬¥ ³¡.®'²¬ ³.A¬$³© ?²¢
¡AÈ<¿'³.¥wª (Harwood, New York, 1981)).
31 P
in unit`a )". . Quantisticamente la situazione e` radicalmente 2,' * . , perch´e in virt`u dell’eq. (2.46) abbiamo $ < * &
¤¤ t y n ðñð t y n ðñ𠤤 ² ¤ U } S²V z n ð ^ U ` S²V z n ð ¤
X-
a S
<Ø V
Di fatto, l’eq. (2.47) mostra che – nel limite classico – passando da un cammino ad uno contiguo, la fase dei loro contributi all’integrale varia in modo ( ) (
*02 ( . Ne consegue che tali contributi tendono a *) . . Bench´e questo fenomeno sia generale, vi e` tuttavia un’importante " !* ( . Consideriamo nuovamente i due cammini U S Z V e U ` S Z V , supponendo per`o che ora U S Z V sia } } la % 0 ( .0 2$ )". che congiunge S%U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Allora U S Z Vh *.% " *!"! s UÌS²Vwv . Adesso e` possibile avere
t
}
¤¤ t y n%ðñð t y n%ðñ𠤤 ¤ U } S²V z n ð ^ U ` S²V z n ð ¤ ¨
X-
a S
/Û V
Quindi le fasi dei cammini vicini a U S Z V¯2 G * *$ ( ( 2Þ (( , per cui i cor} rispondenti contributi ( si cancellano. Concludiamo che nel limite classico ( ) ( i cammini "( %) alla traiettoria dinamica classica che congiunge S0U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì
ì V contribuiscono 2 M 0 ( all’integrale di Feynman: questi sono i $ §2x46 7'8Ü * &' . Quest’ultima circostanza e` di notevole importanza, in quanto permette di calcolare .# 1 * l’integrale di Feynman nell’approssimazione semiclassica. E` infatti chiaro che basta effettuare un’espansione (funzionale) alla Taylor di s UÌS²Vwv intorno a U S Z V , } arrestandosi al "( 2 ’ordine in UDS Z Vh^ U S Z V (U S Z V e` la traiettoria dinamica } } classica che congiunge S0U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì|ì Vo" , quindi termini del * ’ordine in UÌS Z Vx^ÜU S Z V sono assenti). Un calcolo esplicito fornisce
t
}
K ` p
¤¤
` t Y ¤ Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì ϾÀ¿ ] I '& det ¤ ^ ¤ Y U ìl Y U ì
ì W X t exp x S - V S%U+ì
ì \ Z ì
ì s U+ì0\ Z ì$V | f a ;W X-
43 44
¤¤
¤ S%U ì
ì \ Z ì
ì s U ì \ Z ì V ¤
¤
} p
`
d
a S
/Ý V
Questo perch´e il secondo membro dell’eq. (2.48) e` nullo al prim’ordine in ç 2 (é ) :ç 1 (é ). E` naturale chiedersi quale sia la distanza dei cammini di Feynman semiclassici dalla traiettoria classica. Argomenti euristici basati sull’eq. (2.48) suggeriscono che essi siano compresi in un “tubo” di sezione ( - 1 2 ) intorno alla traiettoria classica. Una risposta pi`u accurata dipende tuttavia dalla specifica situazione fisica che si considera.
Á ÂÃ
45
Supponiamo per semplicit`a che di tali traiettorie ne esista soltanto ® .
46
Si veda ad es. il testo di Schulman pi`u volte citato.
32
t
s
i
ove S0U ì
ì \ Z ì
ì U ì \ Z ì V e` l’azione classica (2.33) (calcolata lungo U S Z V ) come } funzione delle coordinate Ó ë . Talvolta si dice che ( ) ( la traiettoria dinamica classica U S Z V con} tribuisce all’integrale di Feynman nell’approssimazione semiclassica. Ci`o e` M ( . Come abbiamo gi`a visto, sono i cammini di Feynman , a U S Z V } che in realt`a contribuiscono. Ma sappiamo che tali cammini godono della propriet`a (2.42), quindi nell’eq. (2.49) sono presenti effetti quantistici. Di fatto, l’approssimazione semiclassica contiene i “; . ” effetti quantistici, X cio`e quelli 8S - V "ú .
©
2.8 – Si incontra spesso l’affermazione che vi e` uno stretto legame fra l’integrale di Feynman e la meccanica classica. Ci`o e` senz’altro vero, in quanto l’unica grandezza che compare .# 1 * e` proprio l’ E! ( )". , anche se calcolata non gi`a lungo traiettorie classiche, bens`ı lungo i cammini di Feynman. Questi ultimi ( hanno invece alcun & / ( &'". ( , proprio perch´e rispecchiano gli effetti quantistici (`e inoltre impossibile associare delle ; ( % Ò a tali cammini in modo consistente con la teoria quantistica). D’altra parte, abbiamo visto che nell’approssimazione semiclassica i cammini di Feynman si addensano intorno alla traiettoria dinamica classica che unisce S0U ì \ Z ì V con S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Non solo, ma e` anche stato notato che tali cammini appaiono come se il punto rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad una traiettoria #? 0 (cio`e differenziabile). Alcune domande sorgono spontanee. Queste traiettorie lisce posseggono un significato in meccanica classica? P Pi`u in generale, esiste una = "( . ( fra cammini di Feynman e traiettorie dinamiche classiche? Sarebbe peraltro molto bello se un simile legame esistesse realmente, in quanto ci`o evidenzierebbe una radice classica della teoria quantistica pi`u pronunciata di quanto usualmente si pensi. Evidentemente una comprensione dell’eventuale meccanismo che genera i cammini di Feynman partendo da una traiettoria dinamica classica farebbe luce sulla natura stessa della quantizzazione. Vedremo nel capitolo 5 che una relazione 2 " 0 fra cammini di Feynman e traiettorie dinamiche classiche ( esiste. Ma ci`o e` unicamente dovuto al fatto che l’eq. (2.31) rappresenta un contesto % ( < ( .$.% " 0 ( per la questione
47
48
49
Questo concetto e` discusso ad es. in: L. D. Landau e E. M. Lifshits, F.' (MIR, Mosca, 1976). In tutto il presente Quaderno ignoriamo (per semplicit`a) i problemi dovuti all’esistenza di Ç®'¬ ½«³*¢ e .®w¬ w¿' nello spazio delle configurazioni (il lettore interessato pu`o consultare il testo di Schulman). Purtroppo e` facile imbattersi nell’affermazione opposta, che l’approssimazione semiclassica e` Ç®E¥ .¦¨²-¬% classica. A sostegno di ci`o viene addotto il fatto che il propagatore semiclassico (2.49) e` espresso ³.¦ÌÇ¢|«¬$.¦C«'¬ in termini di grandezze classiche. Alla base di questa confusione sta le circostanza che le correzioni quantistiche ( - ) alla dinamica classica ³. dipendono da - , per cui esse sono descritte soltanto da grandezze classiche, nonostante si tratti di un effetto ý²®-.'¬ )¬? &w³ ! Si pu`o trovare una chiara discussione di questo punto in: L. O’Raifeartaigh and A. Wipf, Found. Phys. 18, 307 (1987).
Â
Á Â
33 che vogliamo affrontare. E` infatti necessario #% " la nostra prospettiva, rendendoci conto che esistono $ h% insiemi di cammini di Feynman *
!"!% , peraltro tutti =,-& % dal punto di vista quantistico. Ci`o risulta evidente da una riformulazione dell’integrale di Feynman che ora descriviamo (questo risultato e` riportato qui per la prima volta ). Consideriamo la formulazione di Hamilton-Jacobi della meccanica classica, nel caso della particella descritta dall’azione (2.33). Come e` ben noto, l’equazione di Hamilton-Jacobi corrispondente ha la forma
t
Y Y Z
f
S%U6\ Z V6c
a-b
I
t
Y Y U
Ä
S%Ue\ Z Vx^
l
l
K S%Ue\ Z V
`
BS%U6\ Z Vh]zy
a S y
c
t
Supponiamo ora di conoscere un (arbitrario) integrale % "( & "
S%U6\ Z V dell’eq. (2.50) } . La corrispondente traiettoria dinamica classica nello spazio ` delle configurazioni e` data dall’equazione
i
r r
'Å Z
l
Åts Å s Rs t
S Z Vh] b
f
K¤ I Y Y U t S%Ue\ Z VÌ^Ä l S%Ue\ Z V ¤¤¤ ~ í × l
st
a S f V ï#n0ò
Æ .
Indichiamo con S Z U ì \ Z ì s S9VwvV la soluzione dell’equazione (2.51) "( % ( & da S%Ue\ Z V e corrispondente alla condizione iniziale S Z ì VH] U ì . 45$ 1 S Z U ì \ Z ì s S²V«vV e` la traiettoria dinamica nello spazio delle configuVS%U ì \ Z ì V . razioni determinata dai dati iniziali S Z ì Vh] U ì , S Z ì Vx] S Non e` difficile dimostrare 9 che vale la seguente rappresentazione ) * %,- del propagatore quantistico
Å
RÇ
Åt
1
3
50
M. Roncadelli, x«àuÆo.¬)¿þ'¬?¤.¥ *¢ ÞÇ¥«9«'¬$.¬ ³. ³ ½J¬)¿':áo®-.'¬®E¦_F w¿-.' *¢ Æ¥0³«Ç-¤.¬$³.¥ , Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).
51
Esiste un metodo alternativo (dovuto a Jacobi) per ottenere la traiettoria dinamica classica nella formulazione di Hamilton-Jacobi (vedasi ad es.: H. Goldstein, F.' F¾ ¢
.w (Zanichelli, Bologna, 1971)). Esso ha il vantaggio di ³. coinvolgere l’eq. (2.51), ma il suo svantaggio e` di richiedere la conoscenza di un integrale w³.¦ÌÇ¢|«¬$³ dell’equazione di Hamilton-Jacobi. Spesso capita di conoscere solo un integrale Ç-.¥w¬ w³*¢
.¥ dell’eq. (2.50), cosicch´e «³*¢ ¬.-¬³ il metodo esposto nel testo pu`o venir usato.
52
Si veda ad es.: V. Arnold, F«¬³¡. hâ.¬²¦¯.¬? &9 5¡²¢)¢
F.' Riuniti, Roma, 1988).
53
Si ricordi quanto osservato nella nota 48.
54
Si veda la nota 50.
¾ ¢
.w (Editori
34
¾*È i ¾ ï ~ ð i n ð òÊÉ ÚË
Í%U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì Ï X~ ]i/ï)l$p ò ï ñð ð n ðñð ò k
Ì
Í W
exp ¯S
X-
VS
b
aV
Ú n ðñð r
C U u l S Z VD^ Z
nð
t
E ¤ `ÏÎ t S%Ue\ Z Vx^l S%Ue\ Z V ¤¤ ~ í ~ l
UDS Z V9ÐS%U ì
ì ^ÜUDS Z ì
ì VV9ÐS%U ì ^
b
f
Y
Y U l
UDS Z ì VV
ï#n0ò
a a S V
essendo %S Ue\ Z V un’ % *0 soluzione dell’equazione di Hamilton-Jacobi (2.50) . Ovviamente il secondo membro dell’eq. (2.52) e` (globalmente) +2
*+2 * dalla scelta di S0Ue\ Z V . Ora, dato che esistono L soluzioni dell’eq. (2.50), vi sono L espressioni esplicite del propagatore date dall’eq. (2.52) – in ognuna di esse contribuiscono ( ( cammini che soddisfano l’eq. (2.42), ma l’insieme di tali cammini 2
*+2 da S%Ue\ Z V , per cui ve ne sono $ h% . Siamo cos`ı giunti alla conclusione che esistono $ L%% insiemi di cammini di Feynman < * #!"!/% – quelli cio`e che contribuiscono %G 0%$,'1 nell’eq. (2.52) – ognuno ( % ( $& ( da una soluzione S%Ue\ Z V dell’equazione di Hamilton-Jacobi per il problema classico corrispondente ! Osserviamo infine che fra le eq. (2.51) e (2.52) sussiste una notevole somiglianza: ci`o induce a sospettare che vi sia davvero un qualche legame fra i cammini di Feynman < * !"!% e le traiettorie dinamiche classiche (nello spazio delle configurazioni)...
t
t
t
3. Analogie fra meccanica quantistica e processi stocastici
3.1 – Notevoli analogie M*( *8# sussistono fra la meccanica quantistica e la teoria dei processi stocastici classici. Queste somiglianze – scoperte fin dalle origini della teoria quantistica Ó – possono essere interpretate in 2
55
Coerentemente con quanto affermato nella nota 48, non dovremmo porci alcun problema riguardo ai limiti di validit`a dell’eq. (2.52). Ci sembra per`o doveroso osservare quanto segue. E` noto (si veda ad es.: R. Courant and D. Hilbert, F«¬&¿-³¡.J³ ½¨â.¬)¿'«¦¨.¬ *¢ Æ ¿ªw &9 (vol. II) (Interscience, New York, 1962)) che una ¤«/«¥« soluzione (çè0é ) dell’equazione di Hamilton-Jacobi e` regolare soltanto su un intervallo di tempo - )¬$³ (ci`o riflette l’esistenza di Ç®E-¬? ½«³w*¢ nello spazio delle configurazioni). Di conseguenza . Ci`o ³. e` per`o una vera la rappresentazione (2.52) vale solo nell’ipotesi ê é é 0ê limitazione. Infatti – una volta che &ç è0é ê ç è0é sia stato calcolato usando l’eq. (2.52) – esso pu`o venire esteso in modo banale a tempi .¥ 9 #¬?¥0.¥« grazie alla per ê é Aé ê propriet`a di convoluzione (3.4). L’equivalenza quantistica di insiemi diversi di cammini di Feynman ¤«/«¥ *¢ |ÀÀ".¬ segue dal fatto che il secondo membro dell’eq. (2.52) ³. dipende da quale particolare soluzione (çè0é ) venga scelta. E` stato Schr¨odinger a discutere per primo tali analogie: E. Schr¨odinger, Berl. Sitzber 144 (1931); Ann. Inst. H. Poincar`e 2, 269 (1932). Si veda anche: R. F¨urth, Zeit. Phys. 81, 143 (1933). Va detto tuttavia che il punto di vista di Schr¨odinger e` ¡. )¼.«¥««³ da quello esposto nel presente Quaderno, ed e` stato sviluppato recentemente in: J. C. Zambrini, Phys. Rev. A 33, 1532 (1986).
cYc d c >Ò±Ð
56
57
¸ cYc cYc c c cY¹ c>d fc .Ò±Ð
g
ÑÐ
{
35 modi 2$.% % , a seconda dell’importanza che si vuole attribuire al concetto di ` infatti ben noto che in meccanica quantistica le "!! di probabilit`a. E probabilit`a nascono *; " come modulo quadrato di una certa "!"! . Se si decide di & ( 9 " il gioco delle ampiezze e si fissa l’attenzione sulle distribuzioni di (< # Ò , alcune analogie strutturali suggeriscono di interpretare la teoria quantistica come un particolare modello di processo stocastico classico ë . Effettivamente, e` possibile riformulare la meccanica quantistica in termini di concetti probabilistici classici – ci`o e` stato fatto originariamente da F´enyes ú nel 1952 e successivamente, in modo pi`u completo e rigoroso, da Nelson nel 1966. Per`o, dato che questo approccio ( e` di 2$ " 0 rilevanza per l’integrale di Feynman, preferiamo rimandare il lettore interessato alla bibliografia. A differenza dell’atteggiamento precedente – che di fatto “forza” una fisica ( classica entro un formalismo classico – si possono considerare le "!"!E come +2< !"! M*( +2/1 * . Risulta allora che la struttura concettuale della meccanica quantistica e` ( ) ( $ – anche se ( identica – a quella della teoria dei processi stocastici markoviani *} classici. Come si vedr`a leggendo l’articolo di Feynman, e` proprio questo secondo punto di vista che gli e` stato di guida nel formulare la dinamica quantistica come “ ( 8 . $ ”. Quanto appena osservato pu`o venire schematizzato dicendo che le P P ` ;0 !"!E di probabilit`a = %?*% soddisfano regole formali quasi 02< *+%
a quelle che valgono per le (< # Ò relative ad un processo stocastico markoviano &' "( . Al fine di sottolineare questo fatto fondamentale scriviamo simbolicamente
½
ûÜÛ ÖÔ Ó © ü û üÕÔ Ô ×û Ö Ø û Ùt t Ô Ø ÷ t Ú ÞÕß û Ô t tÕ ÝÜÔ ÝJØ t ÷ t \ S { fEV Ø û Ø ©âj© Ø û tÙt Ô Ø © Ø û Ø ©âj© ÞÕß û Ô t Ô Ø © à t h t ÖÓ © ü û üÕÔ Ô û Ö á à t h t ûÜÛ ÖâÔ tÝÝJt a { Ö
S
58
59 60 61 62 63
V
Questo modello e` per`o ¥ ¡. *¢ ¦C«'¬F¡. )¼.«¥««³ da quelli usati nelle applicazioni fisiche ordinarie, come ad es. in connessione con il moto browniano macroscopico. Inoltre, quando si considerano correlazioni a tempi ¡. )¼.«¥« , e` necessario introdurre il concetto di “ w³*¢)¢
.«³8¡²¢)¢
Q½®EÀ9 ³.â¡´ ³.¡ ”. Si veda: Ph. Blanchard, S. Golin and M. Serva, Phys. Rev. D 34, 3732 (1986). I. F´enyes, Zeit. Phys. 132, 81 (1952). E. Nelson, Phys. Rev. 150, 1079 (1966). Questi processi verranno considerati nel paragrafo 3.3. L’unica differenza sta nella condizione di normalizzazione. Naturalmente le ampiezze quantistiche sono quantit`a ³.¦ÌÇ¢|«w² , mentre le probabilit`a sono grandezze ¥ *¢ e ³.â/?¤.¬? #¼* .
36 Passiamo ora ad illustrare in dettaglio queste affermazioni. 3.2 – E` ben noto che in meccanica quantistica l’evoluzione temporale e` descritta "( 1 * da 2 grandezze :
äã
[ i) M !* ( Â2 ( +2/1&!%& S%U6\ Z V ;
Ô ii) ;0 !"!T2h% @.&! ( ; ( @E // ( " «ÕCÍ%U6\ ZÎ U \ Z Ï .
Sappiamo infatti che la funzione d’onda ad un qualunque tempo Z e` data dalla relazione [
Ú
Ù r
S%U6\ Z V5]
U Í%U6\ ZÎ U \ Z Ï
k
[
S0U \ Z V
S {|{ V
Ò 2x ) .E< ( Inoltre il propagatore soddisfa la cosiddetta ( ; *0 1 Ú Í%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì Ï ] k
Ù r
U Í%Ue\ ZÎ U \ Z EÏ Í%U \ Z Î Uì0\ Z ì Ï
S {
V
che si ottiene immediatamente facendo uso della relazione di completezza Ú k
Ù r
S { V
U Î U \ Z EÏ Í0U \ Z Î ]óf
Abbiamo gi`a ricordato che in meccanica quantistica le probabilit`a appaiono sempre come il modulo quadrato di una ampiezza, pertanto la 2< @%1 Ò 2; ( $# Ò Ö × S%U6\ Z V e la ; ( % Ò 25% @.&! ( Ö × S%Ue\ ZÎ U \ Z V¨= %$.% P
ì ì sono definite come ÖÌ×
Öx×
S0Ue\ Z VLg
S%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì$VLg
Î
[
` S0Ue\ Z V Î \
Î Í0Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì Ï Î
S {|Ñ V `
S {Ø V
A questo punto e` immediato verificare che le eq. (3.3) e (3.4) implicano 64
Una tale schematizzazione e` molto conveniente perch´e la funzione d’onda iniziale specifica il particolare stato del sistema )¡. Ç-«¡«'¬«¦C«'¬ dai campi di forza presenti, mentre il propagatore contiene l’informazione sull’effettiva dinamica che si considera, )¡. Ç'«¡«ß ¬«¦C«'¬ dallo stato iniziale.
37
Öx×
S%Ue\ Z V } p
Ú
k `
Ù
k
Öx×
S%Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì$V } p
Ú
k `
r
S0Ue\ ZÎ U \ Z V } p
` Öx×
` S%U \ Z V } p \
S {|Û V
Ù r
U
k
ÖÌ×
U
Öx×
S%Ue\ ZÎ U \ Z V } p
` ÖÌ×
S0U \ Z Î U+ì \ Z ì$V } p
`
S {|Ý V
E` molto importante tenere presente che le eq. (3.3), (3.4) – e quindi anche le (3.8) e (3.9) – valgono ( ( sotto un’implicita assunzione: ( j,E0
0G 0%/ + ?. 9-!* ( . Se invece una misurazione venisse eseguita al tempo Z , le eq. (3.8) e (3.9) verrebbero sostituite dalle seguenti Öx×
Ú
Ù r
S%U6\ Z Vh] k
Ú
ÖÌ×
S0Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$VL] k
U
Öx×
S%Ue\ ZÎ U \ Z V
Öx×
{ S f y
S%U \ Z V.\
Ù r
U
Öx×
S%Ue\ ZÎ U \ Z V
ÖÌ×
S { ff-V
S0U \ Z Î U+ì \ Z ì$V
3.3 – Consideriamo ora un ; (E *" ( . (E .% "( &' "( , che e` essenzialmente una ,- *% & T / ( *0Ü2| *2< *+ 32/5 * ( S Z VQ" . Secondo Kolmogorov, una descrizione "( (in senso probabilistico) di tale processo pu`o essere ottenuta discretizzando il tempo in un numero arbitrario di istanti Z (Z Z ` ) e specificando le 2 *@. Ò 2e (< $# Ò "( <
} Ö l S%U \ Z U } \ Z } U } \ Z } V Ó . Queste grandezze sono definite in modo k k tale che si abbia (con ovvio significato dei simboli)
Hå
s
s s
65
Questo punto e` discusso in dettaglio nell’articolo tradotto.
66
Si vedano al proposito i testi citati nella bibliografia. Ci limitiamo qui a ricordare che una ¼.¥« ² &¢|h*¢|.¬$³.¥w e` specificata dall’ )-w ?«¦Ch¡« @w®-³. Ç-³. ² &¢ @¼*¢
³.¥« ?$ÇEÀ² ³J.¦¯ß Ç ³./ e da una ¡. )w¬¥w ²®À² ³./¨¡. Ç¥ ³ ² &¢ )¬Ê definita sullo spazio campione; essa deve essere una funzione reale non negativa e normalizzata. Sottolineiamo che la visualizzazione di una distribuzione di probabilit`a mediante un’ «'9«¦ 9¢| e` una pratica comune in fisica, bench´e ³. sia affatto necessaria in linea di principio.
67
fç
3æ
Nel seguito ometteremo per semplicit`a l’attributo ¡«' )¬Ê . Invitiamo per`o il lettore a tener ²«¦ÌÇ¥ presente che ogniqualvolta parleremo di “Ç¥ ³ 9 )¢ )¬Ê ” intenderemo ²²¦DÇ¥ °?¡«' )¬H Ê ¡. <Ç¥0³ w ² &¢ )¬Ê º (si ricordi quanto osservato nella nota 7).
38
¡.¢Q£ n U å Ö S Z V
U c
S%U \ Z
r
s s U
s r s U
U
\ Z V } }
å
SZ V } r } U U } U
}
c
r U
}
p g
S { f
a V
s s
Ö
In linea di principio e` necessario conoscere tutte le S%U \ Z U \ Z V } } (per ø arbitrario) al fine di avere una caratterizzazione completa del processo. Ö E` inoltre chiaro che le S%U \ Z U \ Z V devono soddisfare le seguenti } } condizioni ( " ( §2 ( # ( ( ( , ) ë :
s s
Ö
s s
äè
Oé Mê s s
y@\ ø ; S%U \ Z U } \ Z } V Ù r Ö Ö ii) U S%U \ Z U \ Z VL] } S%U } \ Z } U } \ Z } V ; } } k k k kÙ r Ö U S%6 U \ Z Vx] f . iii) k Un concetto molto importante e` quello di 2 *@.u Ò 2L (< $# Ò "( ( 2&! + . Supponiamo ad esempio che i valori assunti dal processo S Z V ai tempi Z \E\ Z , S Z Z V siano noti con * "!! . Siamo allora } }
i)
ë ë
#
s s
å
#
portati a considerare la seguente probabilit`a
¡.¢Q£ n U å S Z V U c r U s s U # Ù } å S Z # Ù } V U # Ù } c r U # Ù } Î å S Z # VL] U # s s å S Z } VL] U } p g r r Ö S%U \ Z s s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s s U \ Z V U U # Ù } } } } } S { f { V Ö La quantit`a S%U \ Z s s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s s U \ Z VhS Z Z # } } } } } Z # Ù Z V definita in tal modo e` detta appunto densit`a di probabilit`a }
condizionata ú . E` molto facile convincersi che fra le densit`a di probabilit`a condizionate e congiunte sussiste la relazione Ó Ö
68
S%U \ Z
70
}
s s # # # #s s
#
Ö \ Z L V ] %S U \ Z U Ù \ Z Ù Î U } } } Ö S%U \ Z U \ Z V } }
# \ Z # s s U } \ Z } V.
.í í "î ,Êì î .ì ·ì ï ñ$ð M ·ò
S { f V
Alcuni autori includono l’ulteriore condizione: å (ç @è%é ; ; ç 1 è%é 1 ) non cambia scamè biando fra loro due qualsiasi coppie (ç è0é ), (ç è%é ) (1 ). Essa e` per`o notevolmente restrittiva, in quanto formalizza il concetto di )'¼.¥w .ÀJ²³.¬¬$³J )-¼*«¥ww ³.Q¬«¦¯ß ÇE³.¥ *¢| $¥«¼.«¥« ² &¢ )¬Ê per un processo stocastico. Si veda ad es.: M. Kac and J. Logan, © ¢ ®'²¬®-.¬? &³.' , in ±'¬®'¡. ²6 )H±'¬$.¬ )¬ w*¢F w¿-.' ² , vol. VII, ed. by E. W. Montrol and J. L. Lebovitz (North-Holland, Amsterdam, 1979). Si noti che – in virt`u dell’eq. (1.14) – å æ (çè0é9ê ç èé ) definita dall’eq. (3.7) soddisfa quest’ultima condizione, in accordo col fatto che l’evoluzione quantistica e` temporalmente ¥«¼*«¥ww ² &¢| . Si assume cio`e la condizione che si abbia con certezza (é 1 ) = ç 1 è 9è (é ) = ç . Essa e` nota come ¥?¤³*¢
¡. e.ª« .
Üæ
69
s s U
c c
{ç
e¥
ó
M${ ôó õ Qõ
39
Una classe particolarmente importante di processi stocastici e` quella dei ; ( .¯2 N ( , , caratterizzati dal fatto che la generica probabilit`a condizioÖ nata S0U \ Z U Ù \ Z Ù Î U \ Z U \ Z V e` +2
*+2 * dalle va} } } } , mentre 2
*+2 da U \ Z Ó } . Possiamo dire riabili U \ Z U \ Z } } k } k } in modo pi`u intuitivo che secondo la propriet`a di Markov “ il futuro dipende dal passato ( ( attraverso il presente”, cio`e il presente determina "( 1
il futuro, $+2
*+2 * 1 * da quanto e` avvenuto nel passato. E` facile rendersi conto che per un processo markoviano l’infinita gerarchia delle densit`a Ö di probabilit`a congiunte S%U \ Z U \ Z V e` ( 1 * determinata } } da 2 sole grandezze:
÷ö
s s # # s s # #
# #s s
# #
s s
Ö ( #1 i) 2< @% Ò 2o < Ò &!%&
S%Ue\ Z V ;
k
Ö ( $#%T ii) Ò 2h% @.&! (
S0Ue\ ZÎ U \ Z V , (Z
Z ).
Esse sono connesse dalla relazione Ö
Ú
Ù r
S%U6\ Z Vx] k
Ö
U
S%U6\ ZÎ U \ Z V
Ö
S { f V
S%U \ Z V
Infatti abbiamo
Ö
Ú
Ù r
S%Ue\ Z Vx] k
U
[ø
Ú
s
Ö
` S%U6\ Z U \ Z VL] k
Rè
Ù r
U
Ö
S%U6\ ZÎ U \ Z V
Ö
S0U \ Z V
S { f Ñ V
Si pu`o ulteriormente mostrare che la propriet`a di Markov implica la cosiddetta
"=E! ( 2
Ö
P
( # ( ( ( , ` Ó
.;8
Ú S0Ue\ ZÎ U ì \ Z ì Vx] k
k
Ù r
U
Ö
S%U6\ ZÎ U \ Z V
Ö
S%U \ Z Î U ì \ Z ì V.\
S { f Ø V
k
Z Z . Nel seguito, useremo l’abbreviazione PSMC in cui si suppone Z ì (; ( *" ( . (E '*% ( 8 ( , 0 (1 )" "( ).
÷ö
3.4 – E` ora chiaro che esiste un’analogia molto stretta fra le eq. (3.3), (3.4) da un lato, e le eq. (3.15), (3.17) dall’altro – si pu`o infatti passare da 71 72
õ õ
¦¥
Se essa non dipendesse neppure da ç è0é si avrebbe un Ç¥ ³w«w«³¡. 6²¥w³.®E¢)¢ . Si veda un qualunque testo di processi stocastici citato nella bibliografia.
40 queste a quelle mediante la sostituzione (3.1), che assume pertanto la forma pi`u specifica Ö Ö
S%U6\ Z V
S%Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$V
Ú Ú
[
S%Ue\ Z V.\ Í%Ue\ ZÎ U+ì\ Z ì Ï
{ f Û V S { f Ý V S
Ma c’`e di pi`u! Se ( 0G 0% alcuna misurazione, le probabilit`a quantistiche soddisfano le eq. (3.8), (3.9) che 2 G * *$ "( ( dalle formule classiche (3.15), (3.17): il manifestarsi di tale comportamento ( &' "( sta alla base del famoso “ ' 0 (( +2)/ ( * ( 2 *)Ü8 * *0 ”. Se invece %G % una misurazione al tempo Z , le probabilit`a quantistiche ubbidiscono alle eq. (3.10), (3.11), che manifestamente ( 02 ( ( con le corrispondenti formule classiche (3.15), (3.17): in questo secondo caso la materia si comporta come ci si attenderebbe in fisica classica, vale a dire “ ( 2 (8"( w;< "( ) ”. L’analisi dell’esperimento di diffrazione da doppia fenditura data da Feynman nell’articolo tradotto illustra questi concetti in modo estremamente chiaro Ó . Notiamo a questo punto che l’analogia schematizzata dalle eq. (3.1), (3.2) e` 9GJ/0 ( < *; * , in quanto ( e` stata fatta alcuna ipotesi sulla forma
* ; % dell’hamiltoniana.
f
ù
3.5 – D) * * ( " conseguenza delle eq. (3.1) e (3.2) e` che si deve avere una ( ) 0! M( *8 fra le varie descrizioni di un PSMC e le possibili formulazioni della meccanica quantistica Ó . Se questo fatto fondamentale fosse stato apprezzato appieno fin dai primi tempi della teoria quantistica, la scoperta dell’integrale di Feynman sarebbe potuta avvenire vent’anni prima (questo punto verr`a discusso nel paragrafo 3.10)! Cosa ancor pi`u sorprendente, una ( ,- formulazione della meccanica quantistica emerge spontaneamente – proprio in virt`u delle eq. (3.1) e (3.2) – dalla descrizione di Langevin di un PSMC (questo argomento sar`a trattato nel capitolo 5).
3.6 – Considereremo (d’ora in poi) un generico PSMC nello @E! ( 2< $
Esso e` caratterizzato dalla "( .
( D E!* ( (tridimensionale) Ó .
g 74
75
E` importante osservare che il punto di vista qui adottato suggerisce in modo .¬®¥ *¢| di interpretare la meccanica quantistica come una ¬³.¥w ³.9¢
.w A¡²¢)¢|§Ç¥ ³ w ² &¢ #¬EÊ . Si vede quindi in modo esplicito che anche le probabilit`a – come gi`a la geometria con Riemann ed Einstein – non sono verit`a 6Ç¥« ³.¥w , ma ¡. Ç-«¡³.³ dalla specifica w #¬?®-À² ³./ che si considera. Corrispondentemente il famoso dualismo onda-particella appare “sbilanciato”: ad es. un elettrone e` 9«¦ÌÇ¥ una particella, mentre l’aspetto ondulatorio e` una semplice conseguenza del fatto che le probabilit`a ³. soddisfano il calcolo 9¢
.w ³ . Naturalmente ci`o ³. significa che non possano esistere formulazioni della teoria quantistica ²²À" un analogo per i processi stocastici classici. L’esempio fisico pi`u noto di questo tipo di processi stocastici e` il moto browniano macroscopico nell’ «ÇÇ¥ ³.w )¦¨À² ³./C¡. oã )-w¬« )ß?±'¦¨³*¢ ®-«¿-³.à 0¶. , che corrisponde al caso di ¤.¥ .¡Ì.¬¬¥« )¬$³ . Si veda a tale proposito ad es.: N. G. Van Kampen, ±'¬$³w¿-.w¬ 6Æ+¥ ³««9« )âÆ ¿ªw ²5.¡¾@¿'«¦Q #w¬¥«ª (North-Holland, Amsterdam, 1981).
73
§
41
à
³
che descrive l’effetto delle Q@0%@-!* ( , mentre la “ 2 * M ” 2 â2 G¨ (
RTS%U6\ Z V descrive gli effetti 2 * *$.% di campi di forza eventualmente pre-
§
ö
senti. Supponiamo inoltre che le particelle che realizzano il processo possano venir *1 . e " ( % dall’ambiente: ci`o e` specificato dalla “ E$#$ 3 ” S%Ue\ Z V , che esprime la ; ( % Ò 2h" ( 1 * ( % Ò 2h ( Ó . E` fondamentale notare che gli effetti rappresentati da , RTS U6\ Z V e S U6\ Z V ( interferiscono fra loro, per cui ne possiamo tenere conto in modo /2<2%%$, ( . Possiamo cio`e analizzare il PSMC in questione supponendo ad es. dapprima ]jy , R1S0Ue\ Z Vh]jy e S%Ue\ Z V5]jy , poi ] y , RTS%Ue\ Z V ] y e S%U6\ Z V5] y ed Z Z infine ]jy , RTS%U6\ V§]äy e S%U6\ V ]äy . La “sovrapposizione” di queste tre situazioni fisiche fornisce allora la rappresentazione del PSMC originario.
à
§
à
§
à
§
à
3.7 – La descrizione “standard” di un PSMC e` basata sull’equazione difÖ ferenziale lineare di Fokker-Planck ÓÓ per la densit`a di probabilit`a S0Ue\ Z V . Si Ö noti che la probabilit`a di transizione S0Ue\ ZÎ U \ Z V non e` altro che il ( @ < ( " di tale equazione, in virt`u dell’eq. (3.15). Nel caso considerato, l’equazione di Fokker-Planck assume la forma
Q
Y Ö
ø Ö
YZ
S%Ue\ Z Vx]
§
à
Y Y U
`
§
`
Ö
S%U6\ Z V<^
Y Y U l
sR l
S%U6\ Z V
Ö
S%Ue\ Z Vwv^
S%Ue\ Z V
Ö
S%Ue\ Z V
a S { < y V
à
( 0%#1 * , il ruolo di questa equazione e` chiarito dal fatto che , Ö S Ue\ Z V e S Ue\ Z V possono venir definite in termini di S Ue\ ZÎ U \ Z VCÓ ë . Allora l’equazione di Fokker-Planck appare come un’espressione 2 G !*0 (ap-
prossimata) dell’equazione di Chapman-Kolmogorov (3.17). Discutiamo ora il .) / ( x "( dell’eq. (3.20). Sfruttando l’osservazione fatta nel paragrafo 3.6, cominciamo col considerare il caso limite in cui le fluttuazioni abbiano un ruolo trascurabile – ` anche ] y (almeno in prima approssimazione). E ci`o consente di porre conveniente supporre momentaneamente che non si abbia emissione o assorbimento di particelle da parte dell’ambiente, per cui poniamo S%Ue\ Z VÂ] y . Corrispondentemente l’eq. (3.20) diventa
à
Y Ö Y Z 76
77
78
§
S%Ue\ Z VL]_^
Y Y U l
sR l
S%U6\ Z V
Ö
a S { f V
S%Ue\ Z Vwv
Ci sembra abbastanza strano che effetti di quest’ultimo tipo vengano spesso ignorati nella letteratura. Un’eccezione e` : F. W. Wiegel, þ'¬¥ ³¡.®'²¬ ³. ¬$³:Æo.¬)¿þ'¬?¤.¥ *¢;F«¬&¿-³¡. )ÂÆ¿ª. ²Q.¡Æo³*¢ ª.¦¨²¥5±² ?«w (World Scientific, Singapore, 1986). Come risulter`a evidente, e` invece molto conveniente considerare questi effetti discutendo le analogie formali con la meccanica quantistica. A. D. Fokker, Ann. Phys. 43, 810 (1914); M. Planck, Sitzber. Preuss. Akad. Wissens. 324 (1917). Per una trattazione molto chiara di questo punto si veda: C. W. Gardiner, Ì.¡ w³³"¶F³ ½ ±'¬$³w¿-.w¬ §F«¬)¿-³¡. (Springer, Berlin, 1983).
ú
42 Questo risultato e` in perfetto accordo con l’intuizione fisica: dato che il numero di particelle e` costante, le probabilit`a si conservano, per cui la densit`a di probabilit`a deve soddisfare un’equazione di continuit`a. Ora, all’eq. (3.21) e` associata l’equazione r r
Ål Z
S Z Vx]jR
Å
S {
l
S S Z V.\ Z V
aa V
Poich´e di fatto l’eq. (3.22) segue dall’eq. (3.21) ponendo Ö
Å
S%Ue\ Z VL]zÐS%UT^
a S { { V
S Z VV
§
e` evidente che entrambe descrivono la . .* evoluzione temporale dovuta agli effetti deterministici Ó ú (i soli ora presenti!). Arriviamo cos`ı alla conclusione P che le soluzioni S Z V dell’eq. (3.22) descrivono le % 0 ( *0 x. del PSMC ]y , R1S0Ue\ Z V ]zy e S%Ue\ Z VL]y . considerato $ ./; ( ".$8-!* (
Se ( avessimo supposto la costanza del numero delle particelle, al posto dell’eq. (3.21) avremmo ottenuto dall’eq. (3.20)
à
$Å ã
}
§
Y Ö Y Z
S%U6\ Z Vh]_^
Y Y U l
sR l
S0Ue\ Z V
Ö
S%U6\ Z V«v ^
S%U6\ Z V
Ö
S%Ue\ Z V
a S { V
§
Vediamo quindi che il termine aggiuntivo nell’eq. (3.24) tiene conto proprio del fatto che le probabilit`a in realt`a non si conservano, a causa dei processi di emissione e di assorbimento (si noti che ci`o e` in accordo con l’interpretazione di S0Ue\ Z V come probabilit`a di assorbimento per unit`a di tempo). Naturalmente P le % 0 ( *0 x. restano le . *" di prima – cambia ( ( la distribuzione di probabilit`a: si pu`o infatti dimostrare che ora l’eq. (3.22) segue dall’eq. (3.24) ponendo
:
Ö
S%Ue\ Z Vx]ÐS%UT^
Å
S Z VV exp
WX
V^
Ú n
fû n
r
§
Z ì
Å
S S Z ì&V*\ Z ì$V
Z] \
a S { V
Abbiamo cos`ı chiarito il significato del secondo e terzo termine nel secondo membro dell’eq. (3.20). 79
Non c’`e da stupirsi che un’evoluzione temporale deterministica sia descritta da una distribuzione di probabilit`a: ci`o significa semplicemente che lo stato iniziale ³. e` noto esattamente.
43
§
Qual’`e il significato del primo termine? Consideriamo adesso il caso limite opposto, in cui le fluttuazioni abbiano un ruolo predominante – supporremo pertanto ]zy , R1S%Ue\ Z VL] y e S%U6\ Z Vh]zy . Quindi l’eq. (3.20) diventa
à
Y Ö
à
S%U6\ Z Vx]
Y Z
Y Y U
` `
Ö
a S { Ñ V
S%Ue\ Z V
ü
Questa e` la ben nota “equazione del calore”, che descrive un (E . ( 2 0 * , cio`e un PSMC definito dalla seguente probabilit`a di transizione Ö
S%U6\ ZÎ U \ Z VL]
ý &à f
SZ ^
Z V
Í à f
exp ¯^
S%UT^ÜU V SZ ^ Z V
`
Î
a S { Ø V
E` dunque evidente che le fluttuazioni associate al processo stocastico descritto dall’eq. (3.20) sono caratterizzate da una distribuzione /0+ di probabilit`a ë ë} . C’`e un punto che va ulteriormente chiarito. E` naturale aspettarsi che P
nel caso ] y , RTS%U6\ Z V ] y e S%Ue\ Z V]y la densit`a di probabilit`a debba soddisfare un’equazione di continuit`a, dato che il numero di particelle e` costante. Ma ora l’eq. (3.20) si riduce a
i
à
Y Ö
à
S%Ue\ Z VL]
Y Z
§
Y Y U
` `
Ö
S%U6\ Z VD^
Y Y U l
sR l
S%U6\ Z V
Ö
S%U6\ Z Vwv
a S { Û V
che non sembra avere la forma di un’equazione di continuit`a. E` senz’altro vero che l’eq. (3.28) differisce dall’eq. (3.21), per`o va tenuto presente che adesso la situazione e` pi`u complessa, perch´e si sta tenendo conto anche dell’effetto delle fluttuazioni. Procedendo formalmente, notiamo che l’eq. (3.28) pu`o venire riscritta come Y Ö Y Z
S%U6\ Z Vh]_^
Y Y U l
7²^ à
Y Y U l
Ö
S%U6\ Z VocR l
S0Ue\ Z V
Ö
9
S%U6\ Z V
a S { Ý V
per cui, ponendo 80
81
E` importante apprezzare il fatto che la distribuzione di probabilit`a relativa a tali fluttuazioni e` )¡. Ç-²¡²-¬% dallo stato dinamico del sistema considerato. E` per questo motivo che parleremo di “;®¬¬®'À² ³.' ;¡. ½«³.¡³ ”. Questo aspetto verr`a sviluppato nel capitolo 5. E` ben noto che le distribuzioni ¤.®w ./ di probabilit`a hanno un ruolo preminente in fisica. Ci`o e` dovuto essenzialmente al ¬³.¥ ²¦¯:w²-¬?¥0*¢|J¡²¢+¢ #¦Q )¬ (si veda ad es.: A. Á Papoulis, Æ¥0³ w ² &¢ )¬.Ê · .¥« ² &¢ /»Ì¢| .¬$³.¥« ?h6Æ¥0³"w«w @±'¬$³w.¬ ² (Boringhieri, Torino, 1973)).
þ
44
ÿ
ß l
S%U6\ Z VLgó^ l
S%Ue\ Z VLg
à ß
Y
Ö
Y U
l S%Ue\ Z Þ V cR l
S {|{ y
ln S%U6\ Z V*\ l
S {|{ f-V
S%U6\ Z V
l’eq. (3.29) diventa Y Ö
Y
Y Z
S%U6\ Z VL]ó^
Y U l
s
ÿ l
S%Ue\ Z V
Ö
S {|{
S%Ue\ Z Vwv
a V
che ha la forma usuale di un’equazione di continuit`a! Pertanto l’equazione di Fokker-Planck (3.28) pu`o effettivamente essere vista come un’equazione S0Ue\ Z V . Fisicamente di continuit`a, in cui compare la ,' (E % Ò 2 "( *
non vi e` proprio nulla di misterioso in quanto abbiamo fatto: la velocit`a con cui si muove una particella ha un contributo dovuto agli effetti deterministici (come nel caso dell’eq. (3.21)) Ò un contributo dovuto all’ %G 0 ( 1 2 ( delle fluttuazioni. Quest’ultimo e` la cosiddetta , * ( Ò ( . ( % , definita ` dall’eq. (3.30) ë . Si noti che la validit`a dell’eq. (3.31) e` conseguenza diretta della non interferenza fra i due tipi di effetti. Ci preme sottolineare due aspetti caratteristici della descrizione di un PSMC basata sull’equazione di Fokker-Planck. Si tiene conto delle fluttuazioni Ö in modo +2$ " 0 ( , considerando solamente il loro %G 0 ( 1 2 ( su S%U6\ Z V Ö e S%U6\ ZÎ U \ Z V . Ulteriormente tale approccio ( fa alcuna affermazione P sulle % 90 0 ( * x. di un PSMC. Notiamo infine che quest’ultimo pu`o venire schematizzato come un’ *, ( #! ( 3 ( & 32 * *$.% – dettata dall’eq. (3.22) – * % / 2/ Q0%-!* ( L /"0; 82 M( 2 ( (eventualmente le particelle possono essere emesse o assorbite dall’ambiente).
ÿ
Ü
H³
3.8 – Da quanto abbiamo visto e` chiaro che la formulazione della meccanica quantistica basata sull’equazione di Schr¨odinger e` concettualmente sullo * . ( 0 ( della descrizione di un PSMC basata sull’equazione di FokkerPlanck. Scriviamo quindi simbolicamente
ÓÛ ß û Ô à Ô © © t Ó ^ Ý Ö © û t Ø 82
Ú
ÓÛ ß û Ô à Ô © :t Ø ÷Ó © à Ý Ô ©H t t Ó
S {|{{ V
E` proprio la velocit`a osmotica l’elemento caratteristico di un Ç¥ ³««²³J¡. ;¡. o®E ³./ , che poi non e` altro che un PSMC con traiettorie fisiche continue. Dall’eq. (3.30) segue che la ³.¥«¥«'¬Q³.¦¨³.¬ w e` (çè0é ) = Qå (çè0é ). Dato che nella trattazione fenomenologica di un processo diffusivo macroscopico å (çèé ) e` proporzionale alla concentrazione delle particelle considerate, si ritrova un risultato ben noto di fisica elementare.
d
45 Vi e` tuttavia qualcosa che va 2: Ò delle semplice corrispondenza schematizzata dall’eq. (3.33). Infatti – come il lettore avr`a certamente notato – anche la M( *8 * ; % dell’eq. (3.20) e` molto simile a quella tipica dell’equazione di Schr¨odinger. Vogliamo studiare in dettaglio questo aspetto. Consideriamo ancora la particella descritta classicamente dall’azione (2.33). Come e` ben noto, l’equazione di Schr¨odinger corrispondente e`
I
X- Y [ W 3 S%Ue\ Z Vh] YZ W X Y ^ Y U
Ä ^
l
l
a-b
KI ^ f
[
S%U6\ Z V
Ponendo per convenienza formale
S%U6\ Z L V g
Y f
a-b
Y U l
l
S%U6\ Z Þ V c
X-
^
I
a-b
f
f
S {|{/ V
l
S%Ue\ Z V.\ l
$
S0Ue\ Z V
l
l’eq. (3.34) pu`o essere riscritta come
?
Y [ YZ
Y
S%Ue\ Z VL]
Y U
` `
[
S%U6\ Z V^
Y Y U l
S {|{ V
W Xa-b \
S%U6\ Z V5g_^ b W
l
l l S0Ue\ Z V l S%Ue\ Z VÞc S%Ue\ Z V [ S0Ue\ Z V W X- Y Y U
? g
K
C l
S%U6\ Z V
[
S%Ue\ Z V
S%U6\ Z Vec
E ^
BS%U6\ Z V
S%U6\ Z V
[
K
S%U6\ Z V
S {|{Ñ V \ S {|{/Ø V
S {|{Û V
Nella forma (3.38) l’equazione di Schr¨odinger considerata e` .% *@0% 1
02< % all’equazione di Fokker-Planck (3.20). Vediamo quindi che – in virt`u della corrispondenza (3.18) – l’una si trasforma nell’altra, a patto di assumere l’ulteriore corrispondenza
à
§R8S%U6\ Z V S%U6\ Z V
?
Ú Ú Ú
S {|{Ý V \ S%U6\ Z V.\
S {
y
S0Ue\ Z V
S {
f-V
Siamo cos`ı giunti a stabilire una "( ( * *? ( +2< ! fra la dinamica quantistica di ed un generico PSMC.
46 3.9 – Una descrizione alternativa di un PSMC e` stata iniziata da Wiener ë e sviluppata successivamente da Kac ë ed Onsager e Machlup ë . SostanzialÖ mente, questo approccio fornisce la probabilit`a di transizione S%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì V come $ M !* ( +& ( $ 2 * ë ), permettendo cos`ı di calcolare tale grandezza *! che sia necessario risolvere l’equazione di Fokker-Planck. La presentazione che segue metter`a in evidenza la profonda + ( %1*% *0% fra gli integrali di Wiener e di Feynman ë Ó . Denotiamo con una particella che “materializza” un generico PSMC ü e consideriamo l’evento “ ,- 2/ S%U ì \ Z ì VS%U ì
ì \ Z ì
ì V ”. E` evidente che la Ö ; (< % Ò (totale) S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V associata a questo evento non e` altro che la probabilit`a di transizione relativa al PSMC in questione. Indichiamo anche in questo caso con xS0U ì \ Z ì U ì|ì \ Z ì
ì V lo spazio dei $ , cio`e delle funzioni (reali) continue UDS Z V con estremi fissi UDS Z ì VÂg U ì , UDS Z ì
ì Vg U ì|ì . Di fatto, il primo postulato di Wiener e`
ü
r
s
W1) Tutte le ) * *+/%$, :2$² Ìëë secondo le quali l’evento xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V . zarsi sono descritte da UÌS Z V
jr
s
ü
pu`o realiz-
s s
Prima di Wiener, le pi`u generali distribuzioni di probabilit`a erano le Ö probabilit`a congiunte S%U \ Z U \ Z V che si riferiscono ad un insieme } } 2? " ( di punti. Egli ha esteso tale concetto al caso di un insieme "( %$ ( , Ò 2Þ% @!* ( associata postulando cos`ı l’esistenza della seguente (< $#: ( ( UDS Z V LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V ad un *
jr
Ö
s
S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UDS9Vwv;g
I
K
probabilit`a che si muova lungo UDS Z V
S {
a V
1
( %A Ò * 8$; Questa grandezza pu`o anche venir interpretata come ; " ( ( % ) " UÌS Z V : in tal modo una distribuzione di ( $#% Ò risulta 83
N. Wiener, J. Math. and Phys. 2, 132 (1923); Proc. London Math. Soc. 22, 454 (1924) e 55, 117 (1930).
84
M. Kac, in Æ+¥ ³« ¡. )¤.F³ ½¬)¿'F±/ w³.¡ 6²¥ ¶9¢|«ª1±'ª.¦ÌÇE³. )®¦³.>â.¬)¿'«¦¨.¬ *¢ ±'¬$.¬ )¬? &9H.¡:Æ¥0³ w ² &¢ )¬ª , (University of California Press, Berkeley, 1951). Si veda anche: M. Kac, Æ¥ ³ ² &¢ )¬ªB.¡ Þ²¢
.¬ ¡È³«Ç ²h #:Æ ¿ªw &w*¢±9 ²«« (Interscience, London, 1959).
85
L. Onsager and S. Machlup, Phys. Rev. 91, 1505 (1953); S. Machlup and L. Onsager, Phys. Rev. 91, 1512 (1953).
86
In realt`a, Wiener ha considerato soltanto il caso in cui (çè0é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Tuttavia per “ #'¬$¤.¥ *¢|¡. FÃH ?«/«¥ ” intenderemo nel presente Quaderno la ¤²²¥0*¢ |ÀwÀÀ² ³./ dell’integrale di Wiener originale in cui si abbia (çè%é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Si veda: I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960); R. Graham, Zeit. Phys. B26, 290 (1977).
[
<¥
87
I ragionamenti che seguono sono ¡. )¼.«¥« da quelli che hanno condotto Wiener alla formulazione del suo integrale. Si veda la nota 104.
88
Vale anche qui quanto osservato nella nota 28.
47
r
s
Ö
definita su xS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì|ì V ë ú . Ancora, Ö
S%Uì
ì%\ Z ì|ì Î U+ì0\ Z ì$V s UÌS²Vwvg
S0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V ha la struttura Ö
ÐS0U+ì
ì^UDS Z ì
ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V
S {
/{ V
s UÌS²Vwv
in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale probabilit`a si annulli – Ö come deve essere – se UDS Z ì V ]zU ì e/o UDS Z ì
ì V ] U ì
ì . Nell’eq. (3.43) s UDS²V«v e` un funzionale continuo determinato dal secondo postulato ( $# Ò 2L% @.&! ( lungo UÌS Z V e` W2) La < Ö
S%U ì|ì \ Z
ì ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv]ÐS%U ì
ì ^ÜUÌS Z ì
ì VV9ÐS%U ì ^ÜUDS Z ì VV*
x t s UDS9Vwv n%n ðñð ð |
S {
V
exp ^
t
ove s UDS²Vwv n ðñð ha la stessa forma di un’azione classica nð
t s UDS²Vwv n0ðñð ] nð
ü
Ú n0ðñð
u
r
Z S%UDS Z V.\ U6S Z V.\ Z V
* ” S%Ue\ UDu \ Z V nð
§ à
S {
< V
in cui la “ & < %+2 e` determinata completamente dalle tre grandezze che definiscono il processo , RTS Ue\ Z V e S Ue\ Z V . Esplicitamente
u]
à S U u l ^ËR l S%Ue\ Z VV ` f
c a
Y f
R
Y U l
l
S0Ue\ Z VÞc
§
S0Ue\ Z V
S {
/Ñ V
Ora, secondo il "( (> &'". ( 2< * ; ( % Ò ú , la probabilit`a (totale) di un evento e` la ( 8 delle probabilit`a relative ad ogni singola alternativa disgiunta secondo cui esso pu`o realizzarsi. Conseguentemente – in virt`u del Ö Ö postulato W1 – S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V risulta essere la ( 8 di S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UDS²Vwv su LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V ú } . Pertanto il terzo postulato di Wiener e`
r
s
( $# Ò 2L% @.&! ( e` data da W3) La < Ö
m Ú
S%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì\ Z ìVL]
UDS Z V
Ö
S%U+ì|ì?\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì$V s UDS9Vwv
S {
<Ø V
Concludiamo che l’integrale di Wiener per un generico PSMC ha la forma 89 90 91
Si ricordi la nota 31 Si veda, ad es.: B. V. Gnedenko, È ³.¥« J¡²¢)¢|LÆ+¥ ³ w ² &¢ #¬EÊ (Editori Riuniti, Roma, 1987). Come promesso, abbiamo ora una ¤. )®w¬ À² ³./ dell’eq. (2.41).
g
48
m
x t s UÌS²Vwv n0n ðñð ð |
Ú Ö
S%U+ì
ì%\ Z ì
ì Î Uì0\ Z ì$VL]
ove
UÌS Z VÐS0U+ì
ì@^ÜUÌS Z ì
ì$VV9ÐS%Uì^UDS Z ì?VV exp 6^
S {
/Û V
t s UÌS²Vwv e` data dalle eq. (3.45) e (3.46).
A questo punto la ( ) 0! fra gli integrali di Wiener e di Feynman e` evidente, ed essa verr`a considerata pi`u in dettaglio nel prossimo paragrafo. Osserviamo che al primo si applicano molte delle considerazioni fatte a proposito del secondo. L’eq. (3.48) va intesa come limite di un’espressione discretizzata – proprio come nel caso dell’eq. (2.31) (la discussione fatta nel paragrafo 2.3 pu`o essere ripetuta qui quasi alla lettera) – ed e` importante sottolineare che in tale discretizzazione R1S0Ue\ Z V va calcolato nel ( 1 2 ( a ` ú . Ancora, i 52 * – cio`e quei cammini U g S%U c U Ù V } che contribuiscono 0G 0%,-1 * nell’eq. (3.48) – godono della propriet`a
§
ü
§
:¨
UÌS Z V óS
Z V } p
`
i i
S {
/Ý V
per cui sono M 0 # con dimensione di Hausdorff uguale a 2 Ìú ú9 ú . Abbiamo visto che la propriet`a (3.49) per i cammini di Feynman e` equivalente al principio di indeterminazione. Esiste forse un principio di indeterminazione 92
Qui la situazione e` ½«³.¥w¦¨*¢ ¦C«'¬C ¡«'¬ a quanto avviene per l’integrale di Feynman con azione classica (2.33) (si ricordi quanto e` stato detto al proposito nel paragrafo 2.6), e ˜ [ç ( )] ³. e` pi`u un integrale di Riemann. L’unica differenza e` che nel presente contesto si pu`o attribuire un significato matematicamente ¥w |¤³.¥ ³.«³ a ˜ [ç ( )] interpretandolo come )'¬?¤.¥ *¢|:w¬$³w.¬ ³ . Questi integrali sono ancora definiti come limite di somme di Cauchy-Riemann, per`o ¡. Ç-«¡³.³ dalla particolare discretizzazione che e` stata scelta (nel caso in questione ci`o e` conseguenza dell’eq. (3.49)). Anche se esistono eÇ¥« &³.¥« infiniti modi di scegliere una discretizzazione, ve ne sono solamente due che hanno un reale interesse. Una scelta consiste nel calcolare il valore dell’integrando nei Ç®'¬ @ )'
À9 *¢ degli intervalli infinitesimi e definisce l’ )'¬?¤.¥ *¢|x¡. Eþ¬ ³ (esso soddisfa regole ¡. #¼*«¥w9 da quelle dell’usuale calcolo integrale). L’altra scelta corrisponde ai Ç®'¬ ¦C ¡. degli intervalli infinitesimi (in cui e` calcolato il valore dell’integrando) e d`a luogo all’ )-¬%?¤.¥ *¢|B¡. D±'¬¥ .¬$³.³.¼ w¿ (per il quale valgono le ¬²² regole dell’ordinario calcolo integrale). Quindi la nostra scelta e` di interpretare ˜ [ç ( )] nell’eq. (3.48) come )-¬%?¤.¥ *¢|¡. x±'¬¥ .¬$³.³.¼ w¿ . Osserviamo che, se invece preferissimo la scelta “alla Itˆo”, dovremmo omettere il secondo termine nella lagrangiana di Wiener (3.46) al fine di ottenere lo ¬²«³ risultato. Gli integrali stocastici sono discussi in tutti i testi avanzati di teoria dei processi stocastici. Si veda ad es.: H. P. McKean, ±'¬$³«¿-.¬ hþ'¬?¤*¥0*¢ (Academic Press, New York, 1969).
93
Si veda la nota 37.
94
Nel contesto dell’integrale di Wiener, funzioni che godono della propriet`a (3.49) vengono anche dette ³*¢
¡«¥§w³.'¬ )-®¯¡. o9¢
.95®:¦¨ÀÀ³ . Questo argomento e` discusso ad es. nel testo di McKean citato nella nota 92.
95
Analogamente a quanto avviene per l’integrale di Feynman, ci`o ³. e` in contrasto col postulato W1: la probabilit`a che Σ si muova lungo molti cammini LÇ¥w ³.¥« possibili risulta essere '®-¢#¢
.
ú
49 P per un PSMC? Contrariamente a quanto spesso si crede – che il princi-
§ §
pio di indeterminazione sia “l’emblema” della quantizzazione – la risposta e` ` infatti noto da lungo tempo ú che si ha ú Ó G * *8/%$,' ! E U
ß
l
ß é Ð à l
S { y
ove e` la velocit`a osmotica definita dall’eq. (3.30). Vi sono per`o anche notevoli 2,' .% Ò fra gli integrali di Wiener e di Feynman. Prima fra tutte e` Ö che S%U ì|ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²Vwv ha il significato di una probabilit`a, quindi essa e` una grandezza " & J ( 3 <%,- , mentre Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²V«v e` una quantit`a ( ;& *" . Ne consegue che l’integrale di Wiener e` un “ ,' ( $+ & , in quanto esiste una $ (nel senso matematico del termine) su LS%U ì \ Z ì U ì
ì \ Z ì
ì V ú ë ; ci`o permette di attribuire un significato matematicamente *) ( ( ( all’eq. (3.48) úú . Altra differenza e` che i cammini di Wiener possiedono un significato fisico P diretto, e rappresentano le % 0 ( . x. di un PSMC fra due punti assegnati S%U ì \ Z ì V e S%U ì
ì \ Z ì
ì V . Ulteriormente il loro /0 * " Q@0%@ (implicato dall’eq. (3.49) } ) rispecchia le Q@0%@-!* ( h <".% 12 M*( +2 ( che caratterizzano il PSMC in questione. Osserviamo infine che ( esistono cammini di Wiener < * #!"!/% , simili a quelli considerati nel paragrafo 2.8 } } . Prima di concludere questo paragrafo, vogliamo considerare ancora il ( ; *" ( 2 0 * (questo punto sar`a molto utile nel paragrafo 5.2). Abbiamo gi`a visto che esso e` descritto dalla probabilit`a di transizione specificata dall’eq. (3.27). Nello spirito dell’approccio di Wiener, tale processo va definito Ö Ö assegnando – anzich´e S%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì V – un’opportuna probabilit`a s UDS²Vwv sullo spazio delle sue traiettorie. Q ? Dalle eq. (3.43), (3.44), (3.45) e (3.46) e` ` } chiaro che si deve avere }
r
³
´
s
½
j³
ü
i
96
R. Furth, Zeit. Phys. 81, 143 (1933). Vogliamo sottolineare che anche nell’ambito della formulazione di Nelson della meccanica quantistica vale l’eq. (3.50), che qui esprime proprio il principio di indeterminazione di Heisenberg. Si veda: D. De Falco, S. De Martino S. De Siena, Phys. Rev. Lett. 49, 181 (1982); S. De Martino and S. De Siena, Nuovo Cimento 79B, 175 (1984).
97
Poniamo come di consueto ∆ ( )2 1 2 . Questa e` la famosa ¦Q )®¥ B¡. 5ÃB ²²¥ (e sue generalizzazioni). Si veda ad es.: M. Kac, Æ¥0³ w ² &¢ )¬ªH.¡ Þ²¢
.¬ ¡Âȳ«Ç ²L ):Æ¿ª. w*¢±9 ²«« (Interscience, London, 1959); I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960). Questa circostanza e` in contrasto con quanto avviene per l’integrale di Feynman (si ricordi la nota 23). Le considerazioni fatte a questo proposito nel paragrafo 2.6 possono essere ripetute qui alla lettera. Ritorneremo su questo punto nel capitolo 5. E` conveniente estendere l’integrazione da a + nell’eq. (3.51). Quando essa viene inserita nell’eq. (3.43) le due funzioni delta riducono ¡. <½«.¬¬³ tale integrale all’intervallo é é ). considerato (é Nell’eq. (3.51) abbiamo omesso per semplicit`a il fattore di normalizzazione (si veda al proposito la nota 110).
98
99
100
101 102
103
h
fc · · cYc
¸ d¸ ¹ ¹ Ã
dä`
`
50
¨
Ö
s UDS²V«v
WYX
V ^âSf à
exp
Ú V k
Ù
r
Z U
u S Z V Uu S Z V Z\ l l ]
S { f-V
3.10 – E` evidente che la formulazione di Feynman della meccanica quantistica e` concettualmente sullo * . ( ;% ( della descrizione di Wiener di un PSMC. Scriviamo simbolicamente
© à Ó Ô Û ÿ¬ß Ô û Ý Ô © Ó t t t
Ú
Ó Û ß û Ô © Û û à © Ô t! Ý j t
S {
a V
Tuttavia la somiglianza fra le due descrizioni e` in realt`a ben B Ò ; (M*( +2/ di quanto espresso dall’eq. (3.52). Sussiste infatti l’ulteriore corrispondenza Ö
Í%Uì
ì0\ Z ì
ì Î U+ì \ Z ì Ï s UDS²Vwv;\ Ú t W X t ^" s UÌS²Vwv n ðñð S - V s UÌS²Vwv n ðñð \ nð Ú nð u u J S0Ue\ Ue\ Z V Ú JS0Ue\ Ue\ Z Vh\
S {{ V
S%Uì
ì%\ Z ì
ì Î U+ì \ Z $ì V s UDS²Vwv
S {' V S { V
t
di cui ci si rende conto immediatamente confrontando le formule dei paragrafi 2.4 e 3.9. Cosa ancor pi`u importante, la M*( *8> * # % di s UÌS²Vwv e` molto simile a quella di s UDS²Vwv , per cui scriviamo ( # 1
t
t s UDS9Vwv n%ðñð á t nð
s UDS²V«v n%ðñð nð
S {Ñ V
Peraltro l’eq. (3.56) non deve stupire, dato che abbiamo gi`a visto che la dell’equazione di Fokker-Planck e` molto simile a quella dell’equazione di Schr¨odinger nel caso in questione. Vogliamo adottare ora un punto di vista "( ;& 1 82$, * . ( . Supporremo di conoscere 0 quanto detto finora sui processi stocastici classici P l’usuale formulazione della teoria quantistica; ma & ( " * " * ( l’approccio di Feynman. Il nostro scopo sar`a mostrare come quest’ultimo possa essere 2 * *,- (3( 1 * dalla formulazione di Wiener di un PSMC! Cominciamo notando che si pu`o giungere all’eq. (3.53) in un modo alternativo: basta far uso dell’eq. (3.1). Pertanto l’eq. (2.37) segue immediatamente dall’eq. (3.47), in virt`u delle eq. (3.19) e (3.53). A questo punto si tratta di Ö dedurre Í%U ì|ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²Vwv da S%U ì
ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì V s UDS²Vwv , il che significa di fatto ottenere s UDS²Vwv a partire da s UDS²Vwv . Sappiamo peraltro che sussiste una (
*$ ( +2 *! ( fra la dinamica quantistica considerata e un PSMC,
M( *8z .#
t
t
1
u
51
espressa dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41). Grazie a queste equazioni, HS%Ue\ U6\ Z V diventa
u
5ì S%Ue\ UD\ Z Vh]
?
f
SU
u ^ l
l
S%U6\ Z VV
` c
a
Y f
Y U l
l
S0Ue\ Z Vec
S {Ø V
S%Ue\ Z V
ed usando le definizioni (3.35), (3.36) e (3.37) abbiamo
t
W ì sÌ U S²Vwv n0ðñð ]_^ nð
t
X-
t
S {Û V
s UDS²Vwv n0ðñð nð
t
Riotteniamo cos`ı l’eq. (3.56) in forma pi`u precisa. La corrispondenza appena menzionata implica che s UÌS²Vwv nell’eq. (3.44) vada sostituita con ì s UDS9Vwv al fine di passare alla meccanica quantistica. Ma in forza delle eq. (3.53) e (3.58), l’eq. (3.44) fornisce proprio l’eq. (2.36). Questo semplice esercizio dimostra * ; % 1 quanto gi`a anticipato nel paragrafo 3.5: se le analogie fra teoria quantistica e processi stocastici classici di cui ci siamo diffusamente occupati fossero state capite fin dai primi tempi della meccanica quantistica, la scoperta dell’integrale di Feynman sarebbe potuta avvenire vent’anni prima } .
4. Osservazioni storiche
Prima di presentare la traduzione dell’articolo originale, pubblicato nel 1948, ci sembra opportuno discutere brevemente le motivazioni che hanno spinto Feynman a cercare una formulazione alternativa della teoria quantistica. A tal fine e` necessario considerare la situazione della fisica teorica negli anni ’40, periodo fondamentale per la formazione intellettuale di Feynman. A quell’epoca il problema centrale consisteva nel cercare una formulazione 104
Un problema molto interessante di storia della fisica sarebbe capire perch´e ci`o ³. sia avvenuto. Vogliamo avanzare qui solo qualche congettura. Per quanto ne sappiamo, nessun probabilista aveva compreso (almeno inizialmente) che l’integrale di Wiener poteva venire generalizzato in modo tale da fornire il propagatore dell’equazione di Fokker-Planck (probabilit`a di transizione) nel .²³C¤«/«¥ *¢| . E` stato proprio sotto l’influenza diretta di Feynman che Kac (suo collega alla Cornell University) ha esteso nel 1947 l’integrale di Wiener in modo da tenere conto di ∆(çèé ) = 0 nell’equazione di Fokker-Planck (sempre per`o supponendo (çèé ) = 0). Un’ulteriore generalizzazione si e` avuta nel 1953 ad opera di Onsager e Machlup (si veda la nota 85). Vediamo che lo sviluppo storico e` ³«ÇÇE³.¬$³ all’ordine logico seguito nel paragrafo 3.10! Parrebbe anche ovvio che Wiener stesso si sarebbe dovuto accorgere della rilevanza del suo lavoro pionieristico per la teoria quantistica, anticipando cos`ı la scoperta di Feynman... E` quindi sorprendente constatare che egli ha s`ı cercato di applicare il suo integrale funzionale alla meccanica quantistica, ma in modo .'¬ )¬«¬ w³ a quanto sarebbe naturale aspettarsi sulla base delle considerazioni fatte in questo capitolo (N. Wiener and A. Siegel, Phys. Rev. 91, 1551 (1953); A. Siegel and N. Wiener, Phys. Rev. 101, 429 (1956); si veda anche: G. Della Riccia and N. Wiener, J. Math. Phys. 166, 1372 (1966)).
52 8/ *8/% 1 *+ " ( * " *+ dell’elettrodinamica quantistica: le principali difficolt`a nascevano dalla presenza di 2,' 0 *!E (infiniti) in molti calcoli.
Feynman cominci`o a riflettere su questi argomenti quando era ancora un giovane studente al Massachussets Institute of Technology, facendosi un’opinione molto personale – per`o non corretta – sull’origine degli infiniti in elettrodinamica quantistica. Egli si convinse che l’esistenza di tali divergenze fosse sostanzialmente riconducibile a 2 circostanze. La prima e` l’energia L dovuta all’autointerazione di un elettrone, difficolt`a che esiste naturalmente gi`a a livello classico. La seconda nasce dal fatto che un campo elettromagnetico quantizzato (in una regione limitata dello spazio) e` equivalente ad un insieme di L % oscillatori armonici quantistici (uno per ogni grado di libert`a del campo). E` ben noto che, secondo la meccanica quantistica, l’energia dello stato fondamentale di un oscillatore armonico ( e` nulla. Pertanto l’energia del campo elettromagnetico risulta L (oggi sappiamo che essa pu`o venire eliminata in modo banale). A Feynman sembr`o evidente che per superare queste difficolt`a bastassero due semplici assunzioni:
a) una carica elettrica agisce solo su )% cariche, ma non su se stessa; b) il campo elettromagnetico ( ..?* . Egli era convinto che in tal modo si sarebbero potuti risolvere i problemi a livello )". ( , e sperava che la teoria potesse essere quantizzata facilmente, ottenendo cos`ı un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze. Superficialmente, l’ipotesi b pu`o apparire paradossale. Tuttavia va tenuto presente che (a livello classico) l’esistenza del campo elettromagnetico si manifesta . # ` quindi possibile pensare che ,'1 come una forza su particelle cariche. E fra cariche elettriche esistano forze che agiscono “ 2$. ! ”, cio`e senza la “mediazione” del campo elettromagnetico (ovviamente si deve supporre che queste forze non siano istantanee ma si propaghino con la velocit`a della luce). Poco dopo essersi trasferito a Princeton per compiere gli studi di Ph. D. sotto la guida di J. A. Wheeler, Feynman si rese per`o conto che nei suoi û argomenti vi era un grave errore. Se si accelera una carica , essa irraggia, perde energia e quindi decelera: questo effetto non dipende dalla presenza di altre cariche ed e` spiegato convenzionalmente proprio dall’azione della carica su se stessa (mediata dal campo elettromagnetico). Ma come si pu`o spiegare tale decelerazione escludendo l’autointerazione? L’unica ipotesiû possibile e` ü che ci debbano " essere altre cariche che agiscono su . Tuttavia ü le forze dovute alle cariche û si propagano con velocit`a finita e risulta che l’effetto della decelerazione di avviene “troppo tardi”. ü A questo punto Wheeler fece un’ipotesi rivoluzionaria: le cariche û agiscono su attraverso le “ ( #! ( Þ % |@/ ” delle equazioni di Maxwell, che si propagano all’ +2 % ( nel tempo con la velocit`a della luce (`e ben noto che usualmente tali soluzioni non vengono considerate perch´e sono in
ô
53 evidente contrasto con la causalit`a). Feynman e Wheeler furono cos`ı in grado di spiegare = % /%$,'1 la perdita di energia per irraggiamento. Pi`u precisamente, la loro assunzione e` che la forza agente su una carica sia data (come di consueto) dalla forza di Lorentz (per semplicit`a consideriamo qui l’approssimazione semirelativistica) b
nella quale i campi t
ü
e
l U
Å
]
st l
$# Ì
cS
ü
S @ fEV
V v l
abbiano D( Ò la forma
ü
&% l&n c t / n V*\
a S @ V
% l&n c ü / n V.\
S @|{ V
f a St ]
t
f ü a S ]
ove i suffissi “rit” e “ant” indicano rispettivamente le soluzioni ritardate ed anticipate delle equazioni di Maxwell. Una domanda sorge spontanea. Nonostante il successo ottenuto nel caso sopra considerato, com’`e possibile conciliare : < * & l’esistenza dei campi anticipati con la causalit`a? Abbiamo gi`a visto che e` possibile spiegare correttamente la perdita di energia per irraggiamento secondo i postulati a) e b) ( ( supponendo l’esistenza di )% " cariche nello spazio. E` proprio sfruttando la presenza di queste cariche che Feynman e Wheeler sono riusciti a mostrare come i campi anticipati vengano assorbiti "( ;& 1 , evitando cos`ı contraddizioni con la causalit`a. Questi notevoli risultati sono stati ottenuti verso la fine del 1940 ma pubblicati solo dopo la guerra (J. A. Wheeler and R. P. Feynman, Rev. Mod. Phys. 17, 157 (1945)). Successivamente Feynman e Wheeler sono anche riusciti a porre la loro teoria in una forma matematicamente molto elegante. Sostanzialmente l’intero elettromagnetismo classico – formulato usualmente in termini di forza di Lorentz ed equazioni di Maxwell – viene ridotto qui ad un semplice *
; ( ,- *0E! ( + in cui compaiono ( ( le cariche elettriche. La sua forma b W ø )) esplicita e` (nel caso di ø particelle con masse e cariche ( f
t f
a
con
]
í } Ú
l)í ( Å l Å l
Ú b l Ú
6
Å l k k
6 6 uS U 'ï)l$ò S V U u ' ï#lò S VV } p ` c l6 6 l 6 l6 r r u Ó` u' U6' ï)l$ò S V U ï ò"S V9ÐS V l l l r
l
S @
V
54
6
6 6 6 Ó ` gùS%U 'ï)l$ò S Vx^ÜU 'ï ò S VVS%U ' ï#lò S VÌ^ÜU ' ï ò S VV S @ V l l l 6 6 Nelle eq. (4.4) e (4.5) U ' ï)l$ò S V e` la traiettoria quadridimensionale dell’i-esima 6 6 6 l particella espressa in funzione di un parametro invariante ; si e` quindi posto l r r u U ' ï)l$ò S V] U ' ï)l$ò S V . Chiaramente il primo integrale nell’eq. (4.4) e` l l l l’usuale azione relativistica per le particelle libere, mentre il secondo rapprea senta l’interazione elettromagnetica fra le cariche. Si noti che il fattore f W assicura che ogni coppia sia contata una sola volta ed il termine ]+* e` omesso
per evitare l’autointerazione. La funzione delta di Dirac ÐS²)V implica che l’interazione fra una coppia di cariche avvenga solo quando una si trova sul cono di luce dell’altra, garantendo cos`ı che l’“azione a distanza” elettromagnetica si propaghi con la velocit`a della luce. Come di consueto, le traiettorie dinamiche del sistema di cariche considerato si ottengono mediante un principio di minima azione applicato ad (data dall’eq. (4.4)), richiedendo cio`e che si abbia Ð ]y per piccole variazioni ÐEU ï)l$ò S V delle traiettorie (J. A. Wheeler l and R. P. Feynman, Rev. Mod. Phys. 21, 425 (1949)). Feynman era riuscito cos`ı a realizzare le prima parte del proprio programma. A questo punto si trattava di quantizzare le teoria. Sul finire del 1940 egli espose i risultati ottenuti in un seminario a Princeton, a cui parteciparono anche Einstein, Pauli, Von Neumann, Russel e Wigner. In un seminario successivo, Wheeler avrebbe dovuto discutere la corrispondente versione quantistica. Pauli era molto interessato a questo argomento, e volle chiedere a Feynman a quali conclusioni fosse giunto Wheeler. Feynman rispose che non ne era al corrente, al che la replica di Pauli fu:“Oh, il professore non racconta i suoi risultati all’assistente? Probabilmente il professore non ha ottenuto alcun risultato”. Ed infatti il seminario che Wheeler aveva annunciato non ebbe mai luogo! Per motivi contingenti (dovuti all’inizio della guerra) Wheeler non ebbe pi`u tempo per occuparsi di questi problemi, cosicch´e Feynman si trov`o a portare avanti il proprio programma da solo. Quantizzare una teoria classica e` di solito un’impresa piuttosto facile. Basta porre tale teoria in forma hamiltoniana e sostituire le coordinate e gli impulsi con i corrispondenti operatori (secondo le regole ben note). Inizialmente Feynman cerc`o di seguire questa via, ma presto si rese conto di una grossa difficolt`a. A causa del fatto che nel secondo termine dell’eq. (4.4) compaiono ` 2 integrazioni indipendenti, la teoria ( possiede alcuna hamiltoniana! E ( evidente che il metodo di quantizzazione usuale pu`o essere applicato alla elettrodinamica di Feynman e Wheeler. Come procedere allora? Un aiuto insperato giunse a Feynman da un incontro casuale con H. Jehle. Questi era appena giunto a Princeton dall’Europa e – durante un party – chiese a Feynman di cosa si stesse occupando. “Sto bevendo birra” rispose scherzando Feynman, che poi per`o racconto` a Jehle
t
t
'
6
55 le difficolt`a che stava incontrando nel quantizzare la propria elettrodinamica. Jehle si ricord`o che Dirac aveva sviluppato un metodo di quantizzazione basato sull’azione classica anzich´e sull’hamiltoniana (P. A. M. Dirac, Phys. Zeit. der Sowjetunion 3; 64 (1933)) e consigli`o a Feynman di studiarlo. E` ben noto che la teoria quantistica e` stata costruita partendo dalla formulazione hamiltoniana della meccanica classica. Ma quest’ultima pu`o essere espressa equivalentemente secondo la descrizione lagrangiana. Dirac si era posto il problema di ottenere l’ + ( ( = %?*% ( della formulazione lagrangiana. Egli si rese conto che era pi`u opportuno considerare il ( @ < (
= %$.% "( anzich´e l’equazione di Schr¨odinger, e giunse alla conclusione che W XÍ0U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï “ "( . *$ ( +2 ” a exp S , ove V
n tp
t
Ú n ðñð ]
u
S @|Ñ V
S%UDS Z V.\ UÌS Z V*\ Z V
nð
u
n tp
e` l’azione classica corrispondente alla lagrangiana JS%U6\ U6\ Z V . Dirac osserv o` W X( V exp S inoltre che nel caso in cui l’intervallo Z ì
ì ^ Z ì sia $ h * e` “ + ( ( ” a Í%U ì
ì \ Z ì
ì Î U ì \ Z ì Ï (`e proprio a questa circostanza che si riferisce lo scambio di battute fra Feynman e Dirac riportato nella nota 6). Tuttavia Dirac non riusc`ı ad andare oltre queste affermazioni piuttosto vaghe. Come e` stato discusso nel capitolo 2, Feynman riusc`ı a tradurre le suddette intuizioni di Dirac in una formulazione alternativa della teoria quantistica. Questa grande impresa del pensiero scientifico contemporaneo e` il soggetto dell’articolo tradotto. Feynman aveva ora a disposizione un metodo di quantizzazione basato
* ; % 1 sull’ E! ( &' . Naturalmente esso e` equivalente alla formulazione usuale nel caso in cui valga l’eq. (4.6), quando cio`e la corrispondente teoria classica e` esprimibile in forma hamiltoniana. Tuttavia egli era Ò *
profondamente convinto che il proprio metodo fosse ( *, ( #1 * §
& e permettesse di quantizzare anche teorie classiche ( hamiltoniane ma formulabili mediante un principio di minima azione – come abbiamo visto, questo e` proprio il caso dell’elettrodinamica di Feynman e Wheeler (descritta dall’azione (4.4)). In altre parole, Feynman pensava che fosse sufficiente inserire l’azione classica (4.4) nel suo “ $+ & ” per ottenere un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze! Purtroppo questo programma (alquanto ambizioso) non e` mai stato realizzato. Ci`o che in realt`a Feynman e` riuscito a fare e` stato * M*( .& " la meccanica e l’elettrodinamica quantistica in un modo diverso, che presenta grandi vantaggi da un punto di vista tecnico. Tuttavia, negli anni ’40, egli sperava che l’“ 9& A. ” potesse portare alla scoperta di leggi fisiche ( , , non rappresentabili nell’ambito del formalismo hamiltoniano. La dimostrazione – ottenuta proprio nell’articolo tradotto – che l’“
56 . $ ” e` di fatto "=$,' * al metodo hamiltoniano e` quindi apparsa
a Feynman come il fallimento del proprio programma originario!
,
Approccio spazio-temporale alla î meccanica quantistica non relativistica
R. P. FEYNMAN
ø
ù
.-0/. P 1-02: *K43 ( ÷ö
( * * D,' * ..%7
La meccanica quantistica non relativistica e` formulata qui in un modo diverso, che e` tuttavia matematicamente equivalente alla formulazione usuale. In meccanica quantistica la probabilit`a di un evento che si pu`o verificare secondo varie alternative e` il modulo quadrato di una somma di contributi complessi, ciascuno corrispondente ad una alternativa differente. La probabilit`a che la traiettoria di una particella ( ) sia contenuta in una certa regione dello spazio-tempo e` il quadrato di una somma di contributi, ognuno proveniente da un cammino in tale regione. Si postula che il contributo di un singolo cammino sia un esponenziale la cui fase (immaginaria) e` l’azione classica (in unit`a di - ) per il cammino considerato. Il contributo complessivo di tutti i cammini che raggiungono dal passato e` la funzione d’onda ( ) che soddisfa l’equazione di Schr¨odinger. Oltre a dimostrare questo fatto, si discute la relazione con l’algebra delle matrici e degli operatori. Alcune applicazioni sono indicate, in particolare come eliminare le coordinate degli oscillatori di campo dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica.
5 6
7
598:6
; 5<8=6
1. INTRODUZIONE E` un fatto storico curioso che la moderna teoria quantistica sia iniziata con due formulazioni matematiche completamente diverse: l’equazione differenziale di Schr¨odinger e l’algebra delle matrici di Heisenberg. E` stato dimostrato che questi due approcci cos`ı diversi sono matematicamente equivalenti. I suddetti punti di vista sono complementari e si fondono nella teoria delle trasformazioni di Dirac. Il presente lavoro descrive quella che e` essenzialmente una terza formulazione della meccanica quantistica, che fu suggerita da alcune osservazioni di
?
>
Reviews of Modern Physics 20 (1948) 367–387. Le note sono quelle originali e la loro numerazione e` indipendente da quella delle altre parti del presente Quaderno.
58
i`
Dirac } riguardanti la relazione fra azione classica e meccanica quantistica. Un’ampiezza di probabilit`a e` associata all’intera traiettoria di una particella come funzione del tempo, anzich´e semplicemente alla posizione della particella ad un particolare istante. Questa formulazione e` matematicamente equivalente a quella usuale e pertanto non ci sono risultati essenzialmente nuovi. Vi e` tuttavia un senso di piacere nel riconoscere vecchie cose da un nuovo punto di vista. Ci sono inoltre problemi per i quali il nuovo approccio offre un netto vantaggio. Ad û ü esempio, se due sistemi e interagiscono, le coordinate di uno dei sistemi, ü diciamo , possono essere eliminate dalle equazioni che descrivono il moto û ü di . L’interazione con e` rappresentata da una modifica della formula û per l’ampiezza di probabilit`a associata alla traiettoria di . Ci`o e` analogo ü alla situazione classica in cui l’effetto û di pu`o essere rappresentato da una modifica delle equazioni del moto diû (mediante l’introduzione di termini che rappresentano le forze agenti su ). In questo modo le coordinate degli oscillatori di campo (sia trasversali che longitudinali) possono essere eliminate dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica. C’`e poi sempre la speranza che il nuovo punto di vista possa suggerire un’idea per modificare le teorie attuali, modifiche necessarie per rendere conto degli esperimenti pi`u recenti. Discuteremo dapprima il concetto generale di sovrapposizione delle ampiezze di probabilit`a in meccanica quantistica. Mostreremo quindi come questo concetto possa essere generalizzato per definire un’ampiezza di probabilit`a per ogni cammino (posizione , tempo) nello spazio-tempo. Dimostreremo che l’ordinaria meccanica quantistica risulta dal postulato che tale ampiezza di probabilit`a abbia una fase proporzionale all’azione, calcolata classicamente, per questo cammino. Ci`o e` vero quando l’azione e` l’integrale temporale di una funzione quadratica della velocit`a. La relazione con l’algebra delle matrici e degli operatori verr`a discussa usando un linguaggio che e` il pi`u vicino possibile alla nuova formulazione. Non c’`e alcun vantaggio pratico nel far questo, per`o le formule sono molto utili nel caso in cui si consideri un’estensione ad una classe pi`u ampia di funzionali d’azione. Discuteremo infine alcune applicazioni. Come esempio mostreremo in che modo le coordinate di un oscillatore armonico possano essere eliminate dalle equazioni del moto di un sistema con cui esso interagisce. Tale risultato pu`o essere applicato direttamente all’elettrodinamica quantistica. Verr`a anche descritta un’estensione
@
1
P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )² Ç¢|«D³ ½xáo®-.'¬®¦ Fw¿-.' &9 (The Clarendon Press, Oxford, 1935), seconda edizione, capitolo 33; vedasi anche Physik. Zeits. Sowjetunion 3, 64 (1933).
2
P. A. M. Dirac, Rev. Mod. Phys. 17, 195 (1945).
3
In questo articolo il termine “azione” verr`a usato per indicare l’integrale temporale della lagrangiana lungo una traiettoria. Nel caso in cui tale traiettoria sia effettivamente quella di una particella che si muove classicamente, il suddetto integrale prende il nome di prima funzione principale di Hamilton.
59 formale che include gli effetti dello spin e della teoria della relativit`a.
2. LA SOVRAPPOSIZIONE DELLE AMPIEZZE DI PROBABILITA` La formulazione che presenteremo contiene come elemento essenziale l’idea di ampiezza di probabilit`a associata ad un moto completamente specificato come funzione del tempo. E` pertanto conveniente riesaminare in dettaglio il concetto quantistico di sovrapposizione delle ampiezze di probabilit`a. Analizzeremo i cambiamenti basilari richiesti per il passaggio dalla fisica classica a quella quantistica. Si consideri a tal fine un esperimentoû ideale in cui possiamo fare tre ü misure successive: prima di una grandezza , poi di ed infine di . Non c’`e motivo per cui queste grandezze debbano essere diverse, e considereremo l’esempio di tre misure successiveû della posizione. Si supponga che sia un possibile risultatoû della misura di , e analogamente per e . Assumeremo ü che le misure di , e specificano completamente lo stato del sistema in ü senso quantistico. Ci`o significa, ad esempio, che lo stato in cui ha il valore non e` degenere. E` ben noto che in meccanica quantistica si si ha a che fare con delle probabilit`a, ma naturalmente ci`o e` ben lungi dal caratterizzare il mondo quantistico. Al fine di mostrare con pi`u chiarezza la relazione tra meccanica classica e teoria quantistica potremmo supporre che anche classicamente si considerino delle probabilit`a, ma che tutte le probabilit`a siano zero o uno. Un’alternativa migliore e` di immaginare le probabilit`a classiche nel senso della meccanica statistica classica (ove, in generale, le coordinate interne non sono specificate completamente). û Ö la probabilit`a che se la misura di fornisce il risultato Indichiamo con ü Ö , allora la misura di dia il risultato . Similmente sar`a la probabilit`a che ü la misura di dia il risultato nell’ipotesi che la misura di abbia fornito il Ö Ö risultato . Analogamente per . Indicheremo infine con la probabilit`a û di ottenere i risultati e supposto che la misura di dia . Ora, se gli eventi da quelli fra e , si ha fra e sono indipendenti
Ø
6
£
Ø
£
6
6
£
£
/2
Ø
/A
£
Ö
/ 2BA
2BA
£
]
£
Ö
6 B2 A /
/ 2 2BA Ö
£
S9fEV
Ci`o e` in accordo con la meccanica quantistica quando l’affermazione che fornisce il risultato e` una specificazione completa dello stato. In ogni caso, ci aspettiamo che valga la relazione 4
ü
Nella nostra discussione non ha importanza che alcuni valori di , o possano essere esclusi dalla meccanica quantistica ma non dalla meccanica classica. Si pu`o infatti assumere, per semplicit`a, che i valori numerici siano gli stessi in entrambi i casi, ma che la probabilit`a di certi valori possa essere zero.
60
/A Ö
2 6 / 2:A Ö
] û
Ø
a S V
perch´e, se inizialmente la misura di d`a e successivamente il risultato della ü misura di e` , la quantit`a deve avere avuto qualche valore ad un tempo û intermedio fra quelli corrispondenti alle misure di e : la probabilit`a che Ö ; quindi sommiamo, o integriamo, su tutte le alternative tale valore sia e` mutuamente esclusive per (tale operazione e` schematizzata da ). Ora, la differenza essenziale fra fisica classica e fisica quantistica sta × in proprio nell’eq. (2). In meccanica classica essa e` sempre vera, mentre Ö meccanica quantistica spesso risulta essere falsa. Indicheremo con la probabilit` a quantistica che una misura di dia quando segue una misura di û che d`a come risultato . L’eq. (2) e` sostituita in q meccanica q q quantistica da \ \ tali che questa legge notevole : esistono numeri complessi
Ø
£ / 2BA £
C 2
6
Ö
/2
q Î
]
/A
Ø
` Ö / 2 Î \ B2 A
Î ]
2:A Î ` \ q
Ö
2 B2 A / A / × A/ ] Î q / A Î `
S{ V
La legge classica, ottenuta combinando le eq. (1) e (2) Ö
/A ]
/A
]
Ö 2BA 2 2 /
S V
2/ q 2BA
S V
Ö
e` sostituita da q
2
q
Se l’eq. (5) e` corretta, l’eq. (4) non e` valida in generale. L’errore logico 6 fatto nel dedurre l’eq. (4) consiste ovviamente nell’assunzione che per andare
£
ü
da a il sistema debba passare attaverso una condizione tale che debba avere un valore definito . ü Se si cerca di verificareû questa affermazione, cio`e se la grandezza e` misurata fra due misure di e , allora la formula (4) e` di fatto corretta. ü Pi`u precisamente, se l’apparato per misurare e` preparato e usato, ma non ü si cerca di utilizzare i risultati delle misura di – nel senso che solo le û correlazioni fra e sono misurate e usate – allora l’eq. (4) e` corretta. ü Questo perch´e l’apparato che misura ha “fatto il suo lavoro”. Se vogliamo,
Ø
Ø
5
Abbiamo supposto che sia uno stato non degenere, e che pertanto l’eq. (1) sia valida. Presumibilmente, se in qualche generalizzazione della meccanica quantistica l’eq. (1) non fosse pi`u valida (nemmeno per gli stati puri ), sarebbe da aspettarsi che l’eq. (2) venisse .ê 2 ". tali che å = ê sostituita dall’affermazione: "ci sono numeri complessi L’analogo dell’eq. (5) e` allora = .
D KE I C G DFEKG$I
DFEHG$I
JEKG$I DFEHG$I
61
6
possiamo leggere gli strumenti senza disturbare ulteriormente il sistema. Gli esperimenti che hanno fornito i risultati e possono quindi essere raggruppati a seconda dei valori di . Considerando le probabilit`a da un punto di vista frequentistico, l’eq. (4) segue semplicemente dall’affermazione che in ogni esperimento che d`a e ü , ha qualche valore. L’unico modo in cui l’eq. (4) pu`o essere sbagliata e` ü che l’affermazione “ ha qualche valore” debba essere talvolta priva di senso. Si noti che l’eq. (5) sostituisce l’eq. (4) solo nel caso in cui non cerchiamo ü ü di misurare . Siamo quindi portati a dire che l’affermazione “ ha qualche valore” pu`o essere priva di significato ogniqualvolta non cerchiamo di misurare ü . Abbiamo dunque risultati diversi per le correlazioni di e – cio`e l’eq. (4) ü o l’eq. (5) – a seconda del caso che la misura di venga effettuata oppure no. ü La misura di – indipendentemente dalla sua accuratezza – deve disturbare il sistema, almeno di quel tanto che basta per cambiare i risultati da quelli dati dall’eq. (5) a quelli previsti dall’eq. (4) Ó . Che le misure causino necessariamente dei disturbi e che, essenzialmente, l’eq. (4) possa essere falsa fu enunciato con chiarezza da Heisenberg nel suo principio di indeterminazione. La legge (5) e` un risultato del lavoro di Schr¨odinger, dell’interpretazione statistica di Born e Jordan e della teoria delle trasformazioni di Dirac ë . L’eq. (5) e` una tipica rappresentazione della natura ondulatoria della materia. In essa la probabilit`a che la particella vada da a secondo alcune non si cerca di alternative diverse (valori di ) pu`o essere rappresentata – se determinare quale alternativa si realizza – come il quadrato della somma di alcune grandezze complesse, una per ogni alternativa disponibile alla particella. La probabilit`a pu`o mostrare i tipici fenomeni di interferenza, usualmente associati alle onde, la cui intensit`a e` data dal quadrato della somma di contributi da sorgenti distinte. Si pu`o dire che l’elettrone si comporta come un’onda fintanto che non si cerca di verificare che esso e` una particella. D’altra parte, si pu`o determinare – se lo si desidera – attraverso quale alternativa esso passa, proprio come se esso fosse una particella. Ma quando si fa ci`o, si deve usare
£
6
6
6
£
6
7
8
¥
Non serve osservare che .¼¥«¦Q¦¯³¯ÇE³.¬®¬³ misurare se avessimo voluto; in realt`a, non lo abbiamo fatto. Il modo in cui l’eq. (4) segue dall’eq. (5) quando una misurazione disturba il sistema e` stato studiato soprattutto da J. von Neumann ( â.¬)¿'«¦¨.¬ )««¿' Þ¥w®E¡E¢
¤«1¡«¥Báo®'.-¬%«ß ¦C w¿-.' ¶ (Dover Publications, New York, 1943)). L’effetto della perturbazione dovuta all’apparato di misura e` di alterare la fase delle componenti che interferiscono – ad es. – in modo tale che la (5) diventi = . Tuttavia, come mostrato da von Neumann, la variazione di fase deve restare ignota se e` misurato. Quindi la probabilit`a corrispondente å mediato su tutti i possibili valori delle fasi e` il modulo quadrato di – in questo modo si ottiene l’eq. (4). Se A e B sono gli operatori corrispondenti alle misurazioni » e e se e sono le soluzioni di A = eB = , allora si ha = ç = ( è ). Quindi e` l’elemento (<ê ) della matrice di trasformazione per il passaggio dalla rappresentazione in cui A e` diagonale a quella in cui B e` diagonale.
LKG
DFEKG
EKI
D EHI C G1M íONQP D<EHG=DF¥ G$I D EHI
¶ E @ ¶ E R G A=R G @A
âB
¥ D EHG ë R G? ¶ EUT
LKG
¶ E? RSE G R G ¶
62 l’eq. (4), ed esso si comporta effettivamente come una particella. Naturalmente queste sono cose ben note e sono gi`a state spiegate ripetutamente ú . Ci sembra tuttavia che valga la pena di sottolineare il fatto che esse seguono direttamente dall’eq. (5), la quale gioca un ruolo fondamentale nella nostra formulazione della meccanica quantistica. û ü La generalizzazione delle eq. (4) e (5) a un grande numero dir misure , , , , , e` ovviamente che la probabilit`a della sequenza , , , , , risulta essere
Ø à
6
£
V
2/ BA=WYXZX[X o] Î q 6 / 2:A:W\X[XZX o Î ` r Ad esempio, la probabilit`a del risultato , , V , se £ , , sono misurate e` data Ö
dalla formula classica
Ö SÑ V / A oB] 2 W / 2BA=WYXZX[X o 6 û Ø Ø mentre nel caso in cui nessuna misura sia effettuata fra e e fra e la probabilit`a della stessa sequenza , , V e` × Ö A/ o ] Î 2 W q / 2BA=WYXZX[X o Î ` SØ V q 6 2BA=WYü XZX[X o pu`o Ø essere chiamata La grandezza ampiezza di probabilit`a per la û r à / £ ] \ ] \ q ] q \ q ] \q \] ]^V (ovviamente essa e` condizione 2 B 2 A : A W esprimibile come un prodotto / o ). Ö
3. L’AMPIEZZA DI PROBABILITA` PER UN CAMMINO SPAZIO-TEMPORALE Le idee fisiche del paragrafo precedente possono essere estese facilmente per definire un’ampiezza di probabilit`a per un particolare cammino spaziotemporale completamente specificato. Al fine di spiegare come ci`o possa essere fatto ci limiteremo ad un problema unidimensionale, in quanto l’estensione al caso multidimensionale e` ovvia. Supponiamo di avere una particella che pu`o assumere parecchi valori di una coordinata U . Immaginiamo di fare un numero enorme di misure di posizione, separate da un piccolo intervallo di tempo . Allora una successione û ü di misure come quelle di , , , pu`o essere la serie di misure della coordinata U ai tempi successivi Z \ Z ` \ Z \ ove Z Ù ] Z c . Sia U il risultato
?
?
Ø
}
9
l
}
l
l
Si veda ad es.: W. Heisenberg, È<¿'JÆ¿ª. w*¢;Æ+¥« )9 Ç¢|²³ ½¨¬)¿':áo®-.'¬®E¦ (University of Chicago Press, Chicago, 1930), soprattutto il capitolo IV.
È<¿' ³.¥«ª
63
6
û
?
della misura della coordinata U al tempo Z . Quindi, se e` U al tempo Z , } l allora U e` ci`o che prima indicavamo con . Da un punto di vista classico i } valori successivi U \9U ` \9U , della coordinata definiscono praticamente un } cammino UDS Z V . Alla fine, ci aspettiamo di prendere il limite y . La probabilit`a di tale cammino e` una funzione di U \\9U \ che indi} Ö l chiamo con S²\9U \9U Ù \)V . La probabilit`a che il cammino sia contenuto l l } in una certa regione dello spazio-tempo e` data classicamente dall’integrale Ö di su tale regione. Cos`ı la probabilit`a che U sia compreso fra e , U Ù l l l l l fra Ù e Ù , etc. e`
6
Ó
6
l
}
£l
£
}
2B_ :2Ú _ ),+ / _ / _ ),+ Ú
Ú
`
`
ë
Ö
Ö
S²U
S²U
l
r r \9U Ù \)V8 U U Ù ] l } l l } l
\9U Ù \)V l }
r U
l
r
SÛ V
U Ù E\ l }
significa che l’integrazione deve essere effettuata sui valori 6 Ó delle variabili che stanno nella regione . Questa e` semplicemente l’eq. (6), con , £ , sostituiti da U , U ` , e con la somma sostituita dall’integrale. } In meccanica quantistica questa e` la formula corretta per il caso in cui tutte le U \9U ` \\9U \ siano effettivamente misurate e soltanto quei cammini Ó vengano considerati. Ci aspetteremmo un risultato } l che appartengono ad ove il simbolo
diverso se misurazioni cos`ı dettagliate non fossero effettuate. Supponiamo che sia eseguita una misura che e` in grado di stabilire soltanto se il cammino considerato e` contenuto nella regione . La misura dev’essere ci`o che potremmo definire una “misura ideale”. Supponiamo cio`e che nessun altro dettaglio possa essere ottenuto dalla stessa misura senza disturbare ulteriormente il sistema. Non siamo stati in grado di trovare una definizione precisa. Stiamo cercando di evitare le incertezze addizionali che devono essere eliminate con una operazione di media se, ad esempio, una maggiore informazione fosse misurata senza venire utilizzata. Desideriamo usare l’eq. (5) o l’eq. (7) per tutte le U , senza avere alcuna parte l residua su cui sommare come nell’eq. (4). Ci aspettiamo che la probabilit`a di trovare – tramite la nostra “misura ideale” – la particellaq nella regione sia il quadrato di un numero complesso q ` Î S V Î . Il numero S V – che possiamo chiamare ampiezza di probabilit`a per la regione – e` dato dall’eq. (7) con , , sostituiti da U , U Ù , e la l l } somma sostituita da un integrale
Ó
Ó
Ó
q
Ó S
Ó
Ó
6
£
Ú
Vx]
BS9"U l \9U l Ù Plim ` }
\)V
r U
r l
U Ù l }
SÝ V
?
64
Il numero complesso BS²U \9U Ù #V e` una funzione delle variabili U che l l } l definiscono il cammino. In realt`a immaginiamo che la spaziatura temporale vada a zero cosicch´e viene a dipendere dall’intero cammino UDS Z V , anzich´e soltanto dai valori di U ai particolari tempi Z , U ] UDS Z V . Potremmo chiamare l l l l funzionale ampiezza di probabilit`a dei cammini UÌS Z V . Riassumiamo queste idee nel nostro primo postulato:
/@a C .6 %G 0"%( ::( ?. F02< & x( * J2 ( * *+( " ¨ J( (< ( 2 +@ % $& Ò
* $ +: " B2 * @E! « -6&C ô P ( #% Ò
Q .$) 0§ ( %%$, ( C Ò 2// 2/< ( 2 ( =/2 9/ ( 2+H ( 8 2 "( % * @% "( .".b5 - ( 2/ 0' ( Ü= *)T " ( Y@
L’affermazione del postulato e` incompleta. L’espressione “somma di termini, uno per ogni cammino” e` ambigua. Il significato preciso dell’eq. (9) e` il seguente. Un cammino e` inizialmente definito solo dalle posizioni U l per le quali esso passa ad una successione di tempi ugualmente spaziati } Z ] Z . Allora tutti i valori delle coordinate nella regione hanno c l l0k } ugual peso. Il valore del peso dipende da , e pu`o essere scelto in modo tale che la probabilit`a di un evento certo sia normalizzata a uno. Questo modo di procedere pu`o non essere il migliore, ma abbiamo lasciato questo fattore di peso in una costante di proporzionalit`a specificata dal secondo postulato. Alla fine del calcolo si deve prendere il limite per y . Quando il sistema ha diversi gradi di libert`a, lo spazio delle coordinate U e` multidimensionale, cosicch`e il simbolo U rappresenta un insieme di coordinate ` S0U ï } ò \9U ï ò \\9U ï ò V per un sistema con gradi di libert`a. Un cammino e` una sequenza di configurazioni a tempi successivi, ed e` descritto dando le ` configurazioni U o S%U ï } ò \9U ï ò \E\9U ï ò V , cio`e i valori di ciascuna delle l l l l r coordinate ad ogni tempo Z . Il simbolo U indicher`a l’elemento di volume l l dello spazio delle configurazioni -dimensionale (al tempo Z ). L’affermazione l del postulato e` indipendente dal sistema di coordinate usato. Il postulato si limita a definire i risultati di misure di posizione. Per esempio, esso non dice ci`o che deve essere fatto per definire il risultato di una misura di impulso. Tuttavia questa non e` una vera limitazione, perch´e – in linea di principio – una misura di impulso su una particella pu`o essere effettuata mediante misure di posizione su altre particelle, per esempio indicatori di distanza. Quindi un’analisi di tale esperimento permetter`a di determinare l’impulso della particella originaria.
?
?
Ó
?
o
V
o
10
V
V
Ci sono problemi matematici molto interessanti connessi al tentativo di evitare la suddivisione e il procedimento di passaggio al limite. Un qualche tipo di misura complessa e` associata allo spazio di funzioni ç (é ). Si possono ottenere risultati finiti in circostanze inaspettate perch´e la misura non e` ovunque positiva, ma i contributi della maggior parte dei cammini tendono a cancellarsi. Questi curiosi problemi matematici sono evitati dalla procedura di suddivisione. Tuttavia ci si sente come avrebbe dovuto sentirsi Cavalieri nel calcolare il volume di una piramide prima dell’invenzione del calcolo infinitesimale.
65 4. CALCOLO DELL’AMPIEZZA DI PROBABILITA` PER UN CAMMINO Il primo postulato specifica il tipo di contesto matematico richiesto dalla meccanica quantistica per il calcolo delle probabilit`a. Il secondo postulato d`a un particolare contenuto a questo contesto, indicando come calcolare l’importante quantit`a per ogni cammino:
/)( /@( / "(
-
"( % * $ ( ( 1 $Ô ä ( 2 ( T8d& M
X ( Ò
2 *1 +% . @%zÒ 2< z2/$ E!* ( ; &' $ù j Ò 2 Õ 2< 9& * ( F2 *)1& 9< 0 "( )/ ( < ( $ (
{ã
$ã
t
t
ë
\u
@
In altre parole, X il contributo s UÌS Z Vwv di un dato cammino UDS Z V e` pror W Z JS%UÌS Z V*\ U6S Z VV e` porzionale a exp S - V s UDS Z Vwv , ove l’azione s UDS Z VwvA] l’integrale temporale delle lagrangiana classica S%Ue\ UÞV calcolato lungo il cammino considerato. La lagrangiana, che pu`o essere una funzione esplicita del tempo, e` una funzione di posizione e velocit`a. Se supponiamo che essa sia una funzione quadratica delle velocit`a possiamo mostrare l’equivalenza matematica dei postulati enunciati sopra con la formulazione usuale della meccanica quantistica. Per interpretare il primo postulato e` stato necessario definire un cammino specificando solamente la serie di punti U per cui esso passa ai tempi successivi r l Z . Al fine di calcolare Z JS%U6\ U;V dobbiamo conoscere il cammino in ] l tutti i suoi punti, non soltanto gli U . Assumeremo che la funzione UÌS Z V l nell’intervallo fra Z e Z Ù sia la traiettoria di una particella classica con l l } lagrangiana , che parte da U a Z e raggiunge U Ù a Z Ù . Questa assunzione l l l } l } e` richiesta dall’interpretazione del secondo postulato per cammini discontinui. Se lo si desidera, la quantit`a BS²U \9U Ù \)V pu`o essere normalizzata (per l l } vari ) in modo tale che la probabilit`a di un evento certo sia normalizzata ad y . uno per Se non dipende da derivate della posizione di ordine superiore al primo, le brusche variazioni della velocit`a che hanno luogo ai tempi Z non provocano l alcuna difficolt`a nell’eseguire l’integrale d’azione. Inoltre, a meno che sia ristretta in tal modo, i punti estremi non sono sufficienti a definire la traiettoria classica. Poich´e tale traiettoria e` quella che minimizza l’azione, possiamo scrivere
ë
t
?
?
u
u
t
]
t
S%U Ù \9U V l } l
l
ove
t
S%U Ù \9U VL] l } l
nÚ
Min
_ n
_ ),+
u
S9fy
JS%UÌS Z V*\ U6S Z VV
r Z
S9ff-V
66 Si vede quindi che l’unico riferimento alla meccanica classica consiste nella specificazione della lagrangiana. Infatti il secondo postulato potrebbe semW plicemente essere considerato come l’affermazione “ e` l’esponenziale di per l’integrale di una funzione reale di UÌS Z V e della sua derivata prima”. Corrispondentemente le equazioni classiche del moto potrebbero essere derivate successivamente nel limite di grandi dimensioni. Si potrebbe allora mostrare che la suddetta funzione di UDS Z V e UDS Z V coincide con la lagrangiana classica a meno di un fattore costante. Di fatto la somma nell’eq. (10) e` infinita anche per finito, e quindi priva di significato (a causa dell’infinita estensione del tempo). Questa circostanza riflette un’ulteriore incompletezza dei postulati. Ci dovremo quindi limitare ad un intervallo di tempo arbitrariamente lungo ma finito. Combinando i due postulati ed usando l’eq. (10) otteniamo
?
u
q S
Ó
G
Vx]
P ` lim
Ú
t
W
exp
X-
S%U Ù \9U V l } l
l
L
r
r U Ù U û l } û l \
a
S9f
V
û Ó
ove il fattore di normalizzazione e` stato scritto come il prodotto di f per ogni û istante di tempo (il valore di verr`a determinato in seguito). L’integrazione e` su quei valori U , U Ù , contenuti nella regione . Questa q equazione, l l } ` la definizione (11) di S%U Ù \9U V e l’interpretazione fisica di Î S V Î come l } l probabilit`a di trovare la particella in completano la nostra formulazione della meccanica quantistica.
t
Ó
Ó
5. DEFINIZIONE DELLA FUNZIONE D’ONDA Procediamo ora a dimostrare l’equivalenza di questi postulati con la formulazione ordinaria della meccanica quantistica. Faremo ci`o in due stadi. In questo paragrafo mostriamo come la funzione d’onda possa essere definita secondo il nuovo punto di vista. Nel paragrafo seguente mostreremo che questa funzione soddisfa l’equazione di Schr¨odinger. Vedremo che e` proprio la possibilit`a (data dall’eq. (10)) di esprimere come somma – e quindi come prodotto – di contributi di parti successive della traiettoria che ci permette di definire una quantit`a avente le propriet`a di una funzione d’onda. Al fine di chiarire questo punto, immaginiamo di scegliere un tempo particolare Z e di dividere la regione nell’eq. (12) in “futuro” e “passato” rispetto a Z . Supponiamo che possa essere decomposto in: (a) una regione ì , limitata in modo arbitrario nello spazio, ma tutta temporalmente antecedente ad un tempo Z ì Z , (b) una regione ì
ì limitata in modo arbitrario nello spazio, Z ; (c) una regione compresa fra Z ì ma tutta temporalmente successiva a Z ì
ì
t
Ó
Ó
Ó
Ó
dc
67 e Z ì
ì in cui tutti i valori delle coordinate spaziali sono permessi (cio`e tutto lo spazio-tempo fra Z ì e Z ì
ì ). La regione (c) non e` assolutamente necessaria, e pu`o essere scelta ristretta arbitrariamente nel tempo. Tuttavia essaq ci permette ` di variare Z di poco senza dover ridefinire ì e ì
ì . Allora Î S ì \ ì
ì V Î e` la probabilit`a che la traiettoria sia contenuta in ì e in ì|ì . Essendo ì temporalmente precedente a ì
ì e considerando il tempo Z come il presente, q ` possiamo dire che Î S ì \ ì
ì V Î e` la probabilit`a che il cammino sia stato in ì e sia in ì
ì nelq futuro. Dividendo per la probabilit`a che la traiettoria sia in ì , ` troviamo che Î S ì \ ì
ì V Î e` la probabilit`a (relativa) di trovare il sistema nella regione ì
ì , nell’ipotesi che esso si trovasse con certezza in ì . Questa e` ovviamente la quantit`a fondamentale per predire i risultati di molti esperimenti. Supponiamo di preparare il sistema in un certo modo (ad esempio, esso sia nella regione ì ) e poi misuriamo qualche altra propriet`a (ad esempio, sar`a nella regione ì
ì q ?). Cosa ci dice l’eq. (12) riguardo al calcolo di tale probabilit`a, o meglio di S ì \ ì
ì V di cui essa e` il quadrato? Supponiamo che nell’eq. (12) l’istante Z corrisponda ad un punto particolare della suddivisione del tempo in intervalli ; assumiamo cio`e Z ] Z (naturalmente l’indice dipende dalla particolare suddivisione considerata). Poich´e l’esponenziale contiene una somma, esso pu`o essere scritto come il prodotto di due fattori
Ó
Ó
Ó
Ó Ó
Ó Ó
Ó
Ó
Ó
Ó Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
V
Ó Ó
X-
exp
t
W
o í
l
Ó
?
o
V
G
Ó
G
TL
S0U Ù \9U V 3 exp l } l
W
í l
X-
l
í
ok}t k
TL
S%U Ù \9U V l } l
V
S9f { V
V
Il primo fattore contiene soltanto coordinate con indice o maggiore, mentre nel secondo figurano coordinate con indice o minore. La fattorizzazione (13) e` possibile in virt`u dell’eq. (10), che segue dal fatto che la lagrangiana e` funzione unicamente di posizione e velocit`a. Ora, si pu`o eseguire l’integrazione W nel primo fattore: ne risulta una funzione di su tutte le variabili U per l (moltiplicata per il secondo fattore). Successivamente si pu`o integrare su U W nel secondo fattore: ci`o produce una funzione tutte le variabili U per q l di U . Infine, si pu`o integrare su U . Ne consegue che S ì \ ì|ì V pu`o essere scritta come l’integrale su U del prodotto di due fattori, che indicheremo con î [ S0U <\ Z V e S%U \ Z V :
o
o e o
o
o
q S
Ó ì%\ Ó
o
S%U \ Z V5]
Plim `
Ú
Ú ì
ìVh]
W ð
exp
Xl
Ó Ó
o
G
ove
[
c V V
í
e î
S%U6\ Z V
[
r S%Ue\ Z V e U \
ok } t r r Uo Uo ` Ù } k û û k S%Uo \9U o
S9f V
E\
S9f V
68
G
e
r r t f U o Ù U o Ù ` e S%Uo/\ Z Vh] Plim Ù } û û û X exp % S U 9 \ U M V L S9f Ñ V l } l ` ðñð í o l [ Ó Il simbolo ì nell’integrale per sta ad indicare che le coordinate sono Ó spazio. Analogamente, integrate sulla regione î Ó ì e, per Z l fra Z ì e Z ,î supertuttole locoordinate l’integrale per e e` su ì
ì e sull’intero spazio corrispondenti a tempi compresi fra Z e Z ì
ì . L’asterisco in e denota la coniugazione complessa, in quanto risulter`a pi`u conveniente definire l’eq. (16) come il complesso coniugato di un’altra quantit`a e . [ Ó Ú
î
W
La grandezza dipende solo dalla regione ì precedente a Z , ed e` completamente definita se quella regione e` nota. Essa non dipende in alcun modo da ci`o che accadr`a al sistema dopo il tempo Z . Quest’ultima informazione e` [ contenuta in . Quindi con l’introduzione di e abbiamo separato la storia passata dal comportamento futuro del sistema. Ci`o ci permette di parlare della relazione fra passato e futuro nel modo usuale. Esplicitamente, se una particella e` stata in una regione ì dello spazio-tempo, si pu`o dire che al tempo Z essa si trova in un certo stato determinato soltanto dal suo passato e descritto [ dalla funzione d’onda S%U6\ Z V . Questa funzione contiene tutta l’informazione necessaria al fine di predire probabilisticamente il comportamento futuro. Supponiamo infatti che in un’altra situazione la regione ì sia diversa – diciamo differisca per tempi minori di Z . D’altra parte, ì – ed inoltre che la lagrangiana [ supponiamo per`o che S%U6\ Z V data dall’eq. (15) sia uguale nei due casi. Allora l’eq. (14) ci dice che la probabilit`a di essere in ì
ì e` la stessa, sia per ì che per ì . Di conseguenza misure future non distingueranno se nel passato il sistema [ era in ì o in ì . Ne concludiamo che la funzione d’onda S%U6\ Z V e` sufficiente per specificare le propriet`a necessarie al fine di determinare completamente il comportamento futuro. î In modo analogo la funzione S%U6\ Z V caratterizza l’esperimento che viene effettuato sul sistema. Se una regione ì
ì diversa da ì
ì ed î una lagrangiana diversa per tempi successivi a Z dessero la stessa funzione (vedi eq. (16)) in entrambe le situazioni, avremmo – secondo l’eq. (14) – che la probabilit`a di trovare il sistema in ì|ì sarebbe uguale a quella di trovarlo in ì
ì (indipen[ dentemente dalla preparazione del sistema, specificata da ). In altre parole, i due esperimenti ì
ì e ì
ì sono equivalenti, in quanto forniscono gli stessi risultati. Possiamo anche dire che questi esperimenti determinano con quale probabilit`a il sistema si trova nello stato . Di fatto questa terminologia e` im[ precisa, in quanto il sistema si trova nello stato . Naturalmente il motivo per cui possiamo associare uno stato ad un esperimento e` che (per un esperimento ideale) risulta esserci un unico stato (la cui funzione d’onda e` S%U6\ Z V ) nel quale l’esperimento avviene con certezza.
e
e
Ó
Ó
¡
¡
Ó
Ó
Ó
¡
Ó
e
Ó
¡
Ó
¡
e
¡
e
e
69
e
Possiamo quindi dire: la probabilit`a che un sistema in uno stato rivelato da un esperimento il cui stato caratteristico e` e` data da
¤¤ Ú e ¤¤
î
S%Ue\ Z V
[
S%Ue\ Z V
r U
¤¤ ` ¤¤
[
venga
S9f Ø V
Ovviamente questi risultati sono in accordo con i principi della meccanica quantistica ordinaria. Essi sono una conseguenza del fatto che la lagrangiana e` una funzione solamente di posizione, velocit`a e tempo.
6. L’EQUAZIONE D’ONDA Al fine di completare la dimostrazione dell’equivalenza con la formulazione ordinaria dovremo mostrare che la funzione d’onda – definita nel paragrafo precedente dall’eq. (15) – soddisfa proprio l’equazione di Schr¨odinger. In realt`a, riusciremo a fare questo solo nel caso in cui la lagrangiana nell’eq. (11) e` una forma quadratica inomogenea delle velocit`a. Non si tratta per`o di una seria limitazione, dato che sono descritti di fatto tutti quei casi in cui l’equazione di Schr¨odinger e` verificata sperimentalmente. L’equazione d’onda fornisce l’evoluzione temporale della funzione d’onda. Ci possiamo aspettare di ottenere un’approssimazione notando che, per finito, l’eq. (15) permette di sviluppare una semplice relazione ricorsiva. [ Consideriamo la forma dell’eq. (15) nel caso in cui volessimo calcolare all’istante di tempo successivo:
?
?
[
o
S%U
G
Ú Ù }
\ Z c
VL]
W
`ð
exp
Xl
í
o t k
r o TL û U û o k } r
S%U Ù \9U V l } l
U
S9f ì V
o
Questa e` simile all’eq. (15), a parte l’integrazione sull’ulteriore variabile U ed il nuovo termine nella somma che sta nell’esponenziale. Questo termine significa che l’integrale nell’eq. (15 ì ) e` lo stesso integrale presente nell’eq. (15), û W Xa meno del fattore S9f V exp S V S%U Ù \9U V . Poich´e esso non contiene r } W alcuna delle variabili U per minore di , tutte le integrazioni su U possono l l essere eseguite, ignorando la differenza con l’eq. (15). Tuttavia, in virt`u [ dell’eq. (15), il risultato di tali integrazioni e` semplicemente S%U @\ Z V . Quindi dall’eq. (15 ì ) segue la relazione
t o V
"
[
?
o Ù
S%U
}
Ú \ Z c
VL]
7 X- t S%U o Ù } \9U o/V W
exp
o
9
o
[
o
o. û
r S0U \ Z V U
S9f Û V
70
?
?
Mostreremo su esempi semplici che questa relazione, con un’opportuna scelta û di , e` equivalente all’equazione di Schr¨odinger. Di fatto, l’eq. (18) non e` esatta, ma e` valida solo nel limite y , e noi assumeremo che essa sia corretta al prim’ordine in . Osserviamo che e` . * che tale equazione sia corretta ( ( al prim’ordine in , per piccolo. Infatti, se consideriamo i fattori nell’eq. (15) che ci portano ad un intervallo di tempo finito , il numero ` . Facendo un errore di ordine in ognuno di essi, l’errore di tali fattori e` ` VL] y . , che si annulla nel limite risultante sar`a di ordine S Illustreremo quindi la relazione esistente fra l’eq. (18) e l’equazione di Schr¨odinger considerando il caso semplice di una particella in un potenziale unidimensionale R8S%UoV . Prima di far questo vogliamo per`o discutere alcune approssimazioni al valore S%U Ù \9U V dato dall’eq. (11), che saranno sufficienti l } l per l’espressione (18). E` difficile calcolare esattamente, partendo dalla meccanica classica, l’espressione di S%U Ù \9U V data dall’eq. (11). In realt`a basta usare nell’eq. (18) l } l un’espressione approssimata per S%U Ù \9U V , purch´e l’errore dovuto all’apl } l prossimazione sia di un ordine di grandezza pi`u piccolo di . Ci limitiamo al caso in cui la lagrangiana e` una forma quadratica inomogenea nelle velocit`a UxS Z V . Come vedremo pi`u avanti, i cammini pi`u importanti sono quelli per cui U Ù ^ U e` dell’ordine di . In queste circostanze e` sufficiente calcol } l lare l’integrale nell’eq. (11) lungo il cammino classico corrispondente ad una particella # * }} . ` In (( 92$ ..% } la traiettoria di una particella libera e` una linea retta, quindi l’integrale che figura nell’eq. (11) pu`o essere calcolato lungo una retta. In questo caso e` sufficiente sostituire l’integrale con la "regola del trapezio"
? ? ? ? ?
?
U? f
?
t
t
u
?
%
?
t
S%U Ù \9U Vh] l } l
a
I
?
t
?
K
U Ù ^ l } U
?
l \9U Ù l }
oppure, se e` pi`u conveniente, con
t
S%U Ù \9U Vh] l } l
?
I
c
a
I
?
U Ù ^U l } l \9U
?
U Ù ^ÜU U Ù c l } l \ l }a
l
K
S9f Ý V
U
K a S < y V l
Queste equazioni non sono valide in un sistema arbitrario di coordinate, ad esempio sferiche. Si pu`o usare un’approssimazione ancora pi`u semplice nel 11
12
Si assume che le “forze” entrino attraverso un potenziale scalare o vettore, e non in termini in cui compare il quadrato della velocit`a. Pi`u in generale, per particella libera si intende quel sistema la cui lagrangiana e` alterata per l’omissione di termini lineari nella velocit`a o indipendenti da essa. Pi`u in generale, coordinate per cui i termini quadratici nelle velocit`a in (çè ç_ ) appaiono con coefficienti costanti.
g
71
?
caso in cui non sia presente un potenziale vettore o altri termini lineari nella velocit`a:
t
S%U Ù \9U VL] l } l
?
I
U Ù ^ÜU l } l \9U Ù l }
?
K
a S f V
Quindi per il semplice esempio unidimensionale di una particella di massa in un potenziale R1S%UoV possiamo porre b
t
b
S0U Ù \9U VL] l } l
?
I a
K
U Ù ^ l } U
? G
?
In questo caso, l’eq. (18) diventa
l
?
`
R1S0U Ù V l } ^
?
aa S
V
K
` Ù ^ÜU o o } ^ËRTS%Uo Ù V LUN S%Uo Ù \ Z c Vx] exp F X- a I a } } S { V û [ r S%U o \ Z V U o Poniamo U o Ù ] U e U o Ù ^ U o ] å , cosicch´e U o ]U ^ å . In tal modo } } ? l’eq. (23) diventa ? ? W 9 r å Ú Wb å ` [ RTS%UoV [ a å Xexp 7 a X- ^ S%U3^ \ Z V û S V S%Ue\ Z c Vx] [ ? ? L’integrazione in å converge se S%U6\ Z V si annulla in modo sufficienî ë [ [ r temente rapido per grandi valori di U (certamente se S%U;V S%U;V Ud] f ). ? W b a X ` Essendo molto piccolo, nell’integrazione su å l’esponenziale di å - os? cillaX molto rapidamente tranne che[ nella regione intorno a å ]y (å dell’ordine + b di S - V ). Poich´e la funzione S%U^ å \ Z V ha una dipendenza da å piuttosto ! “liscia” (dato che pu`o essere scelto arbitrariamente piccolo), la regione in Ú
[
W
b
U
cui l’esponenziale oscilla rapidamente contribuir`a molto poco, a causa della quasi completa cancellazione di contibuti positivi e negativi. Quindi solo piccoli valori di sono rilevanti nell’integrazione, il che permette di sviluppare [ S%U3^ \ Z V in serie di Taylor. Abbiamo
å
å
[
S0Ue\ Z c
7[ Ora
?
?
S0Ue\ Z Vx^
Vh]
åY
I
W
[
exp ^ S%U6\ Z V Y U
c
K
Ú
R3S0U;V X-
å` a
Y
Wb
exp ` [ Y U
?K å`
I a 9 X-
S0Ue\ Z V ^d `
r
åû
a S V
72 Ú
Ù
k
exp S
å`a
Wb
? XV
r
å
]ùS
?
Ù
'&
?
+ V!\
X- W b
a
a å ` a X- V å r å ]zy\ S Ñ V ? ? ? k Ù Ú + W b å ` a X- å ` r å V ]óS X- W b VS a'& X- W b V ! \ exp S k ? mentre l’integrale contenente å e` zero, in quanto il suo integrando e` una fun? zione dispari (analogamente all’integrando che contiene å ). Inoltre l’integrale contenente å e` di almeno un ordine pi`u piccolo di quelli considerati sopra }« . Sviluppando il primo membro dell’eq. (25) al prim’ordine in , tale equazione ? ? diventa ? K a'& X W b + [ W - V ? [ Y S%Ue\ Z V R1S0U;V S ! a û X] exp I ^ S0Ue\ Z VÞc Y Z 9 S Ø V X- W ` [ [ Y S%U6\ Z V ? 7 S%Ue\ Z Vec a-b Y U ` c Ú
exp S
Wb
Affinch´e ambo i membri possano coincidere all’ordine ! ( in e` necessario che si abbia û
]óS
?
?
'&
b V!
a ;W X-
+
?
a S Û V
K
Sviluppiamo ora l’esponenziale contenente RTS%U;V . Otteniamo [
?
I [
Y
S%U6\ Z VÞc [
[
? ] I f¨^ XQR1S%U;V -K X W [ W
S%Ue\ Z V Y Z
S%Ue\ Z Vec
-
a'b
Y
`
Y U
S0Ue\ Z V `
a S Ý V
Cancellando S%U6\ Z V da ambo i membri, uguagliando i termini al prim’ordine X W in e moltiplicando per ^ - , si ha 13
In realt`a, questi integrali sono oscillanti e quindi non ben definiti, per`o ad un simile inconveniente si pu`o ovviare introducendo un fattore di convergenza. Nell’eq. (24) tale fattore -è%é ). Se si desidera un procedimento pi`u formale, si e` automaticamente fornito da (ç pu`o, ad esempio, sostituire - con - (1 ) ove e` un numero piccolo positivo, prendendo successivamente il limite 0.
 ¶ [ dÕó d ïh h_
h
^
XW
[ Y
]
Y Z
I f
a-b
W
K
XY
`
73
[ c
Y U
R8S%UoV
e
[
S { y
che e` l’equazione di Schr¨ î odinger per il problema considerato. L’equazione per pu`o essere ottenuta nello stesso î modo, ma aggiungendo un fattore, il tempo 2 " * di un intervallo, cio`e soddisfa un’equazione simile all’eq. (30) col segno del tempo invertito. Prendendo il complesso [ coniugato possiamo concludere che soddisfa la stessa equazione di , cio`e un’esperimento pu`o essere definito mediante il particolare stato a cui esso corrisponde } . Questo esempio mette in evidenza come la maggior parte del contributo [ [ Ù \ Z c V venga dai valori di U in S%U \ Z V che sono molto vicini a a S%U } U Ù (la cui distanza e` dell’ordine ), cosicch´e l’equazione integrale (23) pu`o } essere sostituita da un’equazione differenziale nel limite y . Le “velocit`a” S0U Ù ^uU V che sono importanti sono molto grandi – essendo dell’ordine X } b di S y . I corrispondenti cammini sono perci`o V – e divergono per continui ma non differenziabili. Essi sono del tipo familiare dallo studio del moto browniano. Sono proprio queste grandi velocit`a che richiedono attenzione nell’approssimare S%U Ù \9U
e
?
o o
o
?
?
% o
?
o
?
o
o
o
t o o
Ro ô
t o o
u
o
o
o
o
o
Il dott. Hartland Snyder mi ha fatto osservare, in conversazioni private, la possibilit`a molto interessante che ci possa essere una generalizzazione della meccanica quantistica in cui gli stati misurati sperimentalmente non possano essere preparati. Non ci sarebbe cio`e alcuno stato in cui il sistema ha un valore definito di (almeno) una osservabile. La classe di funzioni non sarebbe identica alla classe di stati possibili . Ci`o avverrebbe se, ad esempio, soddisfacesse ad una equazione diversa da quella per .
¶¶
R
15
?
o
t ?o o o ? o
14
e
?
o + !
? o o
e
í .í b i T 1 jM T
R
L’eq. (18) e` in realt`a esatta quando l’eq. (11) e` usata per (ç +1 è%ç ) con arbitrario, nei casi in cui il potenziale non contiene ç a potenze superiori a due (particella libera, oscillatore armonico). E` per`o necessario usare un valore pi`u accurato per . Si pu`o definire nel modo seguente. Si assuma che particelle classiche con gradi di libert`a partano da ç èé con densit`a uniforme nello spazio dell’impulso. Si indichi con 0 ( 0 costante) il numero di particelle con una data componente dell’impulso nell’intervallo . Allora = (2 - 0 ) 2 1 2 , ove e` la densit`a nello spazio ¶ -dimensionale delle coordinate ç +1 delle particelle considerate al tempo é +1 .
í í
í k ï Â jM Ã l1m Ã
l
í
74
?
Per tale motivo l’eq. (21) non e` sufficientemente accurata come approssimazione dell’eq. (11), per cui si rende necessario usare l’espressione (20) (o (19) da cui la (20) differisce per termini superiori in ). Se A rappresenta X W l’operatore impulso, allora l’eq. (20) d`a il potenziale vettore e p ] S - V a-b VS p ^ Swi V A VDS p ^ Si V AV , nell’operatore hamiltoniano un termine Sf a-b a ` ` VS p p ^uS i V A p c Si V A A V . Queste mentre l’eq. (21) fornisce S9f X a-Wb V A, che pu`o non essere nullo. due espressioni differiscono per S - i La questione e` ancora pi`u importante per i coefficienti di termini quadratici nelle velocit`a. In generale, le eq. (19) e (20) non sono rappresentazioni sufficientemente accurate dell’eq. (11) per questi termini. E` quando i coefficienti sono costanti che le eq. (19) o (20) possono sostituire l’eq. (11). Se si usa un’espressione come l’eq. (19) ad esempio in coordinate sferiche, si ottiene un’equazione di Schr¨odinger in cui l’operatore hamiltoniano ha qualche operatore delle coordinate e dell’impulso nell’ordine sbagliato. L’eq. (11) allora risolve l’ambiguit`a nella usuale regola di sostituire e con operatori non X W ÷ commutanti S - VS Y Y V e nella hamiltoniana classica S \ V . E` chiaro che l’affermazione contenuta nell’eq. (11) e` indipendente dal sistema di coordinate. Pertanto, al fine di trovare l’equazione d’onda corrispondente in un arbitrario sistema di coordinate, il procedimento pi`u semplice consiste nel trovare dapprima l’equazione d’onda in coordinate cartesiane, effettuando poi il cambiamento di coordinate. E` quindi sufficiente mostrare la relazione fra i nostri postulati e l’equazione di Schr¨odinger in coordinate rettangolari. La derivazione data qui in una dimensione pu`o essere estesa direttamente al caso di coordinate cartesiane tridimensionali per un numero arbitrario di particelle interagenti fra loro ed in presenza di un campo magnetico descritto da un potenziale vettore. I termini dipendenti dal potenziale vettore richiedono di completare il quadrato nell’esponente nel modo usuale per gli integrali gaussiani. La variabile U deve essere sostituita dall’insieme U ï } ò \-\9U ï ò , b ` ove U ï } ò ,U ï ò ,U ï ò sono le coordinate della prima particella di massa ,U ï ò, r } b ` U ï ò ,U ï ò della seconda di massa , etc. Il simbolo U viene sostituito da r r r U ï } ò U ï ò e l’integrazione su U e` sostituita da { integrali. La costanû û a ;W X- b a ;W X- b V 'S V . te assume in questo caso il valore ]ùS } La lagrangiana e` quella classica e l’equazione di Schr¨odinger che ne risulta sar`a quella corrispondente alla hamiltoniana classica associata alla suddetta lagrangiana. Le equazioni in ogni altro sistema di coordinate possono essere ottenute mediante una trasformazione. Poich´e quanto detto sopra comprende tutti i casi in cui l’equazione di Schr¨odinger e` stata verificata sperimentalmente possiamo dire che i nostri postulati sono equivalenti all’usuale formulazione della meccanica quantistica non relativistica quando venga trascurato lo spin.
$Ç
"
" $Ç
"
Å Å
Å Å
Hn
Q&
?
1o!
'&
?
Hn
Hn po!
75 7. DISCUSSIONE DELL’EQUAZIONE D’ONDA Il Limite Classico La dimostrazione dell’equivalenza fra la formulazione usuale della teoria quantistica e quella presentata qui e` ora completa. Vorremmo per`o considerare in questo paragrafo alcune osservazioni concernenti l’eq. (18). Questa equazione specifica l’evoluzione temporale della funzione d’onda durante un piccolo intervallo di tempo. Fisicamente, essa pu`o essere interpretata come l’espressione del principio di Huygens per le onde di materia. In ottica geometrica, i raggi in un mezzo inomogeneo soddisfano il principio di Fermat di minimo ( . Possiamo enunciare il principio di Huygens dell’ottica ondulatoria nel modo seguente. Se l’ampiezza di un’onda e` nota su una data superficie, in un punto vicino l’ampiezza pu`o essere considerata come la somma di contributi provenienti da tutti i punti della superficie. Ogni contributo e` sfasato di una quantit`a proporzionale al * ( che la luce impiegherebbe per andare dalla superficie al punto lungo il raggio di minimo ( dell’ottica geometrica. Possiamo considerare l’eq. (22) in modo simile partendo dal primo principio di Hamilton di minima E! ( per la meccanica [ classica o “geometrica”. Se l’ampiezza dell’onda e` nota su una data superficie – in particolare la “superficie” consistente di tutte le U al tempo Z – il suo valore in un punto vicino, al tempo Z c , e` la somma di contributi provenienti da tutti i punti della superficie al tempo Z . Ogni contributo e` sfasato di una quantit`a proporzionale all’ -!* ( richiesta per andare dalla superficie al punto considerato lungo il cammino di minima E! ( della meccanica classica }w . In realt`a, il pricipio di Huygens dell’ottica non e` corretto e va sostituito dalla modifica di Kirchoff, che richiede che l’ampiezza e la sua derivata siano note su superfici adiacenti. Ci`o e` conseguenza del fatto che l’equazione d’onda dell’ottica e` del secondo ordine nel tempo. L’equazione d’onda della meccanica quantistica e` invece del primo ordine nel tempo. Quindi il principio di Huygens Ò corretto per le onde di materia, nel qual caso l’azione sostituisce il tempo. L’equazione (18) pu`o anche essere confrontata con grandezze che appaiono nella formulazione usuale. Nell’approccio di Schr¨odinger l’evoluzione temporale della funzione d’onda e` dato da
?
? ?
^ W
XY
[ YZ
]
?
H
[
S { f-V
che ha come soluzione (per arbitrario se H e` indipendente dal tempo) [ 16
S%Ue\ Z c
VL]
exp S9^
W
X [ H - V S%U6\ Z V
S{
a V
A tale proposito si vedano le osservazioni molto interessanti di Schr¨odinger, Ann. d. Physik 79, 489 (1926).
? ?
76
X W Pertanto l’eq. (18) esprime exp S9^ H - V come un’operatore integrale approssimato per piccolo. Secondo il punto di vista di Heisenberg si considera, ad esempio, la posizione al tempo Z come un operatore x. La posizione x ì ad un tempo successivo Z c pu`o essere espressa in termini di quella al tempo Z secondo l’equazione operatoriale
?
?
?
xì ]
?
?
X X W H - V x exp S9^ H - V W
exp S
S {{ V
La teoria delle trasformazioni di Dirac ci permette di considerare la funzione [ d’onda al tempo Z c , S%U ì \ Z c V , come descrivente uno stato nella rap[ presentazione in cui xì e` diagonale, mentre S%Ue\ Z V descrive lo stesso stato nella rappresentazione in cui x e` diagonale. Queste funzioni d’onda sono quindi connesse dalla funzione di trasformazione S%U ì Î U;V che collega le due rappresentazioni:
P
?
Ú [
S%U ì \ Z c
? P[
S%U ì Î U;V
Vx]
r
S%Ue\ Z V
U
Di conseguenza segue dall’eq. (18) che per piccolo possiamo porre
t
S0U+ì Î U;V
P
û
]óS9f
V exp S
t
W
X-
S%U+ì \9U;V
S { V V
t
P
ove %S U ì \9U;V e` definita dall’eq. (11). X W La stretta analogia fra S%U ì Î U;V e la grandezza exp S S%U ì \9U;V - V e` stata sottolineata ripetutamente da Dirac } . Ora vediamo che, con sufficiente approssimazione, le due grandezze possono essere considerate proporzionali. Le osservazioni di Dirac sono state il punto di partenza del presente lavoro. Gli X argomenti di Dirac riguardanti il limite classico y sono molto belli, e forse posso essere scusato se li riporto qui brevemente. Notiamo innanzi tutto che la funzione d’onda in U ì
ì al tempo Z ì
ì pu`o essere ottenuta da quella in U ì al tempo Z ì come
G
[
P
S%Uì
ì0\ Z ì
ì$VL]
Ú
lim
Ú
W
exp
k
X-
}
t
S0U Ù \9U V l } l
íÞ r r rl [ U U U û } û k } \ S%U ì \ Z ì V û
*
?
L
S {/ V
ove poniamo U g U ì \9U g U ì
ì e g Z ì
ì ^ Z ì (assumiamo che fra i tempi Z ì e Z ì
ì non vi sia alcuna restrizione sulla regione d’integrazione). Ci`o pu`o essere visto sia applicando ripetutamente l’eq. (18) che direttamente dall’eq. (15). Ci chiediamo ora quali valori delle coordinate contribuiscano maggiormente
? ?
77
all’integrale per y . Questi saranno i valori osservabili sperimentalmente con maggiore probabilit`a, e quindi determineranno il cammino classico per X y . Se - e` molto piccolo, l’argomento dell’esponenziale sar`a una funzione rapidamente variabile di ognuno dei suoi argomenti U . Al variare delle l U , i contributi positivi e negativi all’integrale provenienti dall’esponenziale si l cancellano quasi completamente. La regione delle U che contribuisce magl giormente e` quella in cui l’argomento dell’esponente varia con U il meno l rapidamente possibile (metodo della fase stazionaria). Indichiamo con la somma nell’esponente
t
t
k
]
l
t
}
ío
t
S%U Ù \9U V l } l
S {Ñ V
Allora l’orbita classica passa approssimativamente per quei punti U nei quali X l varia di poco al variare delle U : nel limite y la traiettoria classica l passa per i punti in cui non varia per una piccola variazione delle U . Ci`o l Y U ]y , per ogni U . significa che l’orbita classica passa per i punti in cui Y l l y , l’eq. (36) diventa (in virt`u dell’eq. (11)) Prendendo il limite
? t
t ]
Ú n ðñð
u
JS%UÌS Z V.\ U6S Z V9V
r
t
S {/Ø V Z
nð
t
Vediamo quindi che il cammino classico e` quella traiettoria deformando la quale non si induce – al prim’ordine – alcuna variazione in . Questo e` il principio di Hamilton, che porta direttamente alle equazioni di Lagrange.
8. ALGEBRA DEGLI OPERATORI Elementi di matrice Data la funzione d’onda e l’equazione di Schr¨odinger, e` possibile naturalmente sviluppare l’intero formalismo degli operatori o dell’algebra delle matrici. E` tuttavia pi`u interessante esprimere questi concetti in un linguaggio differente, pi`u simile a quello usato nella formulazione dei nostri postulati. Ci`o non porta ad una pi`u profonda comprensione dell’algebra degli operatori, in quanto i nostri risultati saranno una semplice trascrizione delle equazioni operatoriali in una notazione pi`u pesante. D’altra parte, il nuovo formalismo e` molto utile in certe applicazioni descritte nell’introduzione. La forma delle equazioni permette inoltre un’estensione naturale ad una classe di operatori pi`u vasta di quella usualmente considerata (ad esempio operatori che si riferiscono a due o pi`u tempi diversi). Le formule che svilupperemo giocheranno un ruolo
78 importante nel caso in cui sia possibile una generalizzazione ad una classe pi`u vasta di integrali d’azione. Discuteremo questi argomenti nei tre paragrafi successivi, mentre il presente paragrafo contiene principalmente alcune definizioni. Introdurremo una grandezza che chiamiamo elemento di transizione tra due stati. Esso e` essenzialmente un[ elemento di matrice. Ma invece di essere un elemento di matrice fra due stati e corrispondenti allo * . ( tempo, i due stati si riferiscono a tempi diversi. Nel paragrafo successivo otterremo una relazione fondamentale fra gli elementi di transizione, da cui possono venir dedotte le usuali relazioni di commutazione fra coordinate ed impulsi. La stessa relazione fornisce anche le equazioni newtoniane del moto in forma matriciale. Discuteremo infine nel paragrafo 10 la relazione fra hamiltoniana ed operatore di traslazione temporale. Cominciamo col definire un elemento di transizione in termini della probabilit`a di transizione fra uno stato ed un altro. Pi`u precisamente, supponiamo di avere una situazione simile a quella considerata nella derivazione dell’eq. (17). La regione consiste di una regione ì precedente a Z ì , tutto lo spazio fra Z ì e Z ì
ì e la regione ì|ì successiva a Z ì
ì . Studieremo la probabilit`a che un sistema nella regione ì sia trovato successivamente nella regione ì
ì . Questa e` data dall’eq. (17). Discuteremo in questo paragrafo come essa varia al variare della forma della lagrangiana fra Z ì e Z ì
ì . Nel paragrafo 10 studieremo invece come essa cambia al variare della preparazione ì o dell’esperimento ì
ì . Lo stato al tempo Z ì e` definito completamente dalla preparazione ì . Esso [ pu`o essere specificato dalla funzione d’onda S%U ì \ Z ì V ottenuta dall’eq. (15) considerando gli integrali estesi fino al tempo Z ì . Analogamente, lo stato caratteristico dell’esperimento (regione ì
ì ) pu`o essere definito da una funzione S%U ì|ì \ Z ì|ì V ottenuta dall’eq. (16) con integrali calcolati a partire dal tempo Z ì
ì . [ La funzione d’onda [ S%U ì
ì \ Z ì
ì V pu`o ovviamente essere ottenuta anche applicando l’eq. (15) o da S%U ì \ Z ì V mediante l’eq. (35). Secondo l’eq. (17) con Z ì al posto di Z , la probabilit`a che il sistema venga osservato nello stato se [ preparato in e` il quadrato di ci`o che chiamiamo ampiezza di transizione î [ r S%U ì
ì \ Z ì
ì V S%U ì
ì \ Z ì
ì V U ì
ì . Desideriamo esprimere questa grandezza in ter[ mini di al tempo Z ì
ì e di al tempo Z ì : possiamo farlo grazie all’eq. (35). [ Quindi la probabilit`a che un sistema preparato nello stato al tempo Z ì sia nð e` il quadrato dell’ampiezza di transizione trovato ad un tempo Z ì
ì nello stato
e
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
Ó
e
e
ëe
Í
e
e
e
n ðñð
Îf Î
[ nð
Ï
¾ P ]
Ú
lim
Ú r û
U
n ðñð
e î
r
S%U ì
ì \ Z ì
ì V exp S
U
r û k } U \
W
t
X- [ V S%U ì \ Z ì V*
S {Û V
ove si e` fatto uso dell’abbreviazione (36). Nel linguaggio della meccanica quantistica ordinaria, nel caso in cui la hamiltoniana H sia costante, si ha
79 [
X [ W exp s ^ S Z ì
ì ^ Z ì V H - v S%Ue\ Z ì V , cosicch´e l’eq. (38) e` l’elemento di X[ W matrice di exp s ^ S Z ì
ì ^ Z ì V H v fra gli stati e . n ðñð nð ` Se e un’arbitraria funzione delle coordinate U per Z ì Z Z ì
ì , defi[ l niamo l’elemento di transizione di fra gli stati al tempo Z ì e al tempo Z ì
ì per l’azione S%U ì
ì g U \9U ì g U V come S%Ue\ Z ì
ì V¨]
t
Íe
e
e
î e Î S%U+ì
ì%\ Z ì
ì%V G Ͼ ] P lim n ðñð nð W k } r t Ù \9U VTL [ S%U+ì \ Z ì$V û U exp X % S U ? l } l Ú
[
Î
S%U \9U \ E\9U } r r U û k } U
ío
l
Ú
V.
S {Ý V
y Nel limite diventa un funzionale del cammino UDS Z V . Vedremo ora perch´e tali quantit`a sono importanti. Sar`a pi`u facile capirlo se ci soffermiamo un momento a scoprire le corrispondenti grandezze nella formulazione convenzionale. Supponiamo che sia data semplicemente da U , dove corrisponde ad un certo tempo Z ] Z . Allora nel secondo membro dell’eq. (39) gli integrali da U a U possono essere calcolati, ottenendo [ X [ W k } . Analogamente, gliî integrali su U per S%U \ Z V o exp s ^ S î Z ^ Z ì V H - v X W l nð W danno S0U \ Z V o exp s ^ S Z ì
ì ^ Z V H - v . Quindi l’elemento n ðñð di transizione di U
o
V
o
e
*é c V Íe
n ðñð
Î
Î
e Ú
¾ nð [
o
]
Ï
o
n
o
o
e p
XX[ r k n ò0UoikDï#lp ò H ï n«k n ð ò U3] ikDï#lp ò H ïn ðñð nð n ðñð Ú î [ r S%Ue\ Z V«U %S U6\ Z V U î
e
o
S y
e
e` l’elemento di matrice di x al tempo Z ] Z fra lo stato al tempo Z che nasce [ da al tempo Z ì e lo stato al tempo Z che evolver`a in al tempo Z ì
ì . E` nð n ðñð pertanto l’elemento di matrice di x S Z V fra questi due stati. Procedendo in modo analogo si vede (usando l’eq. (39) con ]äU Ù ) } che l’elemento di transizione di U Ù e` l’elemento di matrice di x S Z c V . }Ù e` l’elemento di matrice di L’elemento di transizione di ] S%U ^ U V X-} W o di S Hx ^ xH V , come e` mostrato dall’eq. (40): lo S xS Z c VQ^ x S Z V"V possiamo chiamare elemento di matrice della velocit`a. Consideriamo un secondo problema che differisce dal primo, ad esempio, in quanto il potenziale e` aumentato di una piccola quantit`a S x \ Z V . Allora c S%U \ Z V . nel nuovo problema la grandezza che sostituisce e` ì ] l l l Sostituendola nell’eq. (38) si ha
?
?
o
Íe
n ðñð
Îf Î
[ nð
Ï
¾ð]
q
?
o
o
?
o
¤ e n ¤¤¤ exp W X- ß ðñð ¤ í l }
?
ß t C ß
t t S%U
\ Z V l l
?
¤¤
¤¤ [
¤ n ð]r ¾
S f-V
80
t
Quindi elementi di transizione come quello nell’eq. (39) sono importanti ogniqualvolta pu`o nascere in qualche modo da una variazione Ð di un funzionale d’azione. Chiameremo funzionali osservabili quei funzionali che possono essere definiti (anche se indirettamente) in termini di variazioni indotte da possibili cambiamenti dell’azione. La condizione affinch´e un funzionale sia osservabile e` abbastanza simile a quella che un operatore deve soddisfare affinch´e sia hermitiano. I funzionali osservabili formano una classe ristretta, in quanto l’azione deve restare una funzione quadratica delle velocit`a. Da un funzionale osservabile altri possono essere dedotti come, ad esempio, Íe
Îf Î
n ðñð
¤ e n ¤¤¤ ðñð ¤
q
¾ ð ]
[ Ï
nð
?
W
exp X-
ß
S%U
í l }
¤¤
¤¤ [
¤ nðr ¾
\ Z V l l
S
a V
che segue dall’eq. (39). Incidentalmente, l’eq. (41) porta direttamente ad un’importante formula perturbativa. Se l’effetto di e` piccolo, l’esponenziale pu`o essere sviluppato al prim’ordine in e troviamo
ß
ß
Íe
n ðñð
Îf Î
[
e Ï ¾ ]óÍ nð ð
n ðñð
Îf Î
W
¾ nð [
X- Í c
Ï
e
?
n ðñð
Î
ß
S0U
l
e
[ \ Z V Î Ï l l nð
S /{ V [
ß
Di particolare importanza e` il caso in cui non e` uno stato in cui n ðñð nð potrebbe venir trovato, se non fosse perch´e la perturbazione e` presente (cio`e [ Îf Î Í Ï ]zy ). Allora
e
n ðñð
nð
¾
?
f X- ` +
¤¤ e ¤¤¤ ß ¤bs n ðñ𠤤 l ?
¤¤
¤[ S%U \ Z V ¤ l l ¤
¤¤ `
=t ¤
nð
S V
e` la probabilit`a della transizione indotta dalla perturbazione (al prim’ordine nella perturbazione). Nella notazione usuale si ha
Ú
7 e Ú
¤ s e n ðñ𠤤
î n ðñð
ikDï)l$p
X-l
ß
S0U
\ Z V l l
¤¤ [
¤ n ð:t ¾
ò H ï#n ðñð k n ò U ikDï)l$p
X-
9
] [ ò H ï#nwk+n ð ò
r nð
U
r Z
cosicch´e l’eq. (44) si riduce all’espressione usuale } Ó per la teoria delle perturbazioni dipendenti dal tempo. 17
P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )² Ç¢|«D³ ½xáo®-.'¬®¦ Fw¿-.' &9 (The Clarendon Press, Oxford, 1935), seconda edizione, capitolo 47, eq. (20).
81 9. EQUAZIONI DI NEWTON Le relazioni di commutazione In questo paragrafo scopriamo che funzionali diversi possono dare risultati identici quando considerati fra un coppia di stati. Questa equivalenza fra funzionali e` l’analogo, nel nuovo linguaggio, delle equazioni operatoriali. Se dipende da pi`u coordinate possiamo naturalmente definire un nuovo Y U funzionale Y derivando rispetto ad una delle sue variabili, ad esem[ ÎY Y U Î pio U Sy Ï mediante l’eq. (39), V . Calcolando Í n ðñð nð Y U . L’unico altro posto in cui l’integrale nel secondo membro conterr`a Y compare la variabile U e` in . Quindi l’integrazione su U pu`o essere effettuata per parti. La parte integrata si annulla (assumendo che la funzione XW d’onda si annulli all’infinito) e nell’integrale figura ^ S Y Y U V exp S V. XXW XW W Y U V exp S Ora S Y Y U V exp S VÜ] S VS Y V , quindi il secondo W X Y U V , cio`e membro rappresenta l’elemento di transizione di ^âS - V S Y
o
V
o
*
e
t
o
t
o
¤ e n ¤¤¤ Y ðñð Y U o
u
¤¤ [
¤¤ n ð:v ¾
]_^
o ¾ o
t o t ¤¤ Y t ¤¤ [ W u e ¤ ¤ Xn ðñð ¤ Y U o ¤ n ð=v
o
t o t o
¾
S < V
Questa relazione e` molto importante in quanto mostra che due diversi funzionali possono dare lo stesso risultato per gli elementi di transizione fra un’arbitraria coppia di stati. Diremo che essi sono equivalenti, e rappresenteremo simbolicamente tale relazione come ^
XW
t Y U o Y U o Ú ¾ Y
Y
S /Ñ V
sottolinea il fatto che funzionali equivalenti secondo ¾ Ú un’azione possono non essere equivalenti per un’altra azione. Le grandezze
ove il simbolo
nell’eq. (46) non devono necessariamente essere osservabili. Usando l’eq. (36) si pu`o scrivere ^ W
XY
Y U
o Ú ¾
t 7 Y S%U Y o U Ù o } \9U o V
c
tY S%U o \9U o V 9 ?k } Y U o
S <Ø V
Questa equazione e` corretta agli ordini zero e primo in , ed ha come conseguenza le relazioni di commutazione fra coordinate ed impulso e le equazioni newtoniane del moto in forma matriciale. Nel caso del semplice problema unidimensionale trattato in precedenza, S%U Ù \9U V e` data dall’espressione (15), cosicch´e abbiamo
t
l
}
l
Y
t S%Uo Ù \9Uo/V Y U o] }
^
?
b
o Ù
S%U
}
o
^U V
82 e
? ?
t S%U o \9U o V Y U o k } Y
]
b c
o
S%U
^
o k } V U
^
o V.\
RFì S%U
ove abbiamo scritto R ì S%U;V per indicare la derivata del potenziale (forza). Allora l’eq. (47) diventa
^
?
K ?
?
9
U o ^Uo UB o ^ÜUo k } ^ R ì S%U;V b } ^ ^ S /Û V 7 I Y U o Ú ¾ ? non dipende dalla variabile U o , l’eq. (48) fornisce le equazioni newtoniane X-
Ù
Y
W
Se del moto. Ad esempio, se (dividendo per ) a
e` costante (uguale ad uno), l’eq.
?
?
?
(48) porta
K
I U o Ù } ? ^Ü? U o ^ U o ^ U o k } ^ËRFì S%U oV Pertanto l’elemento di transizione del prodotto della massa per l’accelerazione s S0U o Ù } ^U oV ^ S%Uoe^AU o } V vô fra due stati arbitrari e` uguale all’elemento k b
Ú ? ¾
y
^
di transizione della forza ^R ì S0U;V fra gli stessi stati. Questa e` l’espressione matriciale della legge di Newton che vale in meccanica quantistica. Cosa accade se dipende da U ? Ad esempio, sia ] U . Allora Y U â]_f ) l’eq. (48) fornisce (essendo Y
^ W
Ú ¾ U o7«^ b I U o
X-
?
o
o ? Ù
?o
^ÜU }
^
U
o
I o Ù U
}
o U o
^U
^
^U
?
K
ossia, trascurando i termini d’ordine b
?
b
o
K ?
ok}
^
o
RFì S%U V
K
I o o k } U o Ú ¾ U B^ÜU
9
X-
S /Ý V
W
o o
Al fine di tradurre un’equazione come la (49) nella notazione usuale, abbiamo bisogno di conoscere quale matrice corrisponde a grandezze del tipo U -U Ù . } Dallo studio dell’eq. (39) e` chiaro che se viene scelta, ad esempio, uguale a S0U V oS%U Ù V , il corrispondente operatore nell’eq. (40) e`
w o :x o
}
i k6ï)l$p
X-
òwïn0ðñð?k n«k
P ò xoS xVi k6ï)l$p X- ò P w H
o
H
S x Vi k6ï)l$p
e
[
X-
òwï#n«k n0ð#ò H \
con l’elemento di matrice preso fra gli stati e . Gli operatori che n ðñð nð corrispondono a funzioni di U Ù appaiono a sinistra di quelli corrispondenti }
83
o
$ã
, cio`e ( 92$; Ü2< F * *â ; ( 2 ( 0 ( 2 ( 9/ ( * ( * *? ( + 2< H<2: ( 2 * ( H2< "( . *$ ( +2 * % M 0 ( *Þ$ M ( ! + . Cos`ı se il funzionale e` scritto in modo tale che in ogni termine i
a funzioni di U
fattori corrispondenti a tempi successivi appaiano alla sinistra dei fattori corrispondenti a tempi precedenti, gli operatori associati possono essere scritti immediatamente mantenendo lo stesso ordinamento che si ha nel funzionale }«ë . E` ovvio che in un funzionale l’ordine dei fattori e` irrilevante ma facilita la trascrizione nella notazione operatoriale convenzionale . Al fine di scrivere l’eq. (49) in modo tale che la traduzione operatoriale sia banale e` necessario invertire l’ordine dei fattori nel secondo termine a primo membro. Vediamo perci`o che tale equazione corrisponde a px ^ xp ]
X- W
b
_x. in cui p ] La relazione fra funzionali ed operatori corrispondenti e` stata definita in termini dell’ordine temporale dei fattori. E` opportuno per`o sottolineare il fatto che questa regola deve essere applicata con particolare attenzione ogniqualvolta si considerano grandezze che contengono velocit`a o derivate d’ordine pi`u elevato. Di fatto, il corretto funzionale che rappresenta l’operatore ` ` e non s S%U Ù ^ËU V v . La seconda S U;V e` S%U Ù ^ U V @S%U â^ËU V } } k } espressione diverge come f per y . Ci`o si pu`o vedere sostituendo il secondo termine dell’eq. (49) col suo valore calcolato ad un istante spostato b di nel futuro, U Ù S%U Ù ^zU V . Tale procedimento non cambia } } l’equazione all’ordine zero in . Allora otteniamo (dividendo per )
?
u
? o
o
?
?
?
?
o o o ? o ? o o o ? K` ? XÙ Uo ^ÜUo } I Ú ¾ Wb ?
o
o
?
?
S y
+
Riotteniamo il risultato gi`a visto, che la radice quadratica media della “velocit`a” S0U Ù ^ÜU V fra due posizioni successive del cammino e` dell’ordine k . } Non avr`a quindi senso scrivere il funzionale dell’energia cinetica nella forma
?
!
o Ù } ^Ü? U oV v ` S f-V in quanto tale grandezza e` infinita per y . Di fatto, non si tratta di un a
f b
s S0U
funzionale osservabile. E` possibile ottenere l’energia cinetica come un funzionale osservabile considerando la variazione al prim’ordine nell’ampiezza di transizione dovuta 18
Dirac ha studiato anche operatori che contengono grandezze che si riferiscono a tempi diversi. Si veda la nota 2.
? ? ? b b ad un cambiamento della massa della particella. Si sostituisca con Sf;cÐV per un piccolo tempo , intorno all’istante Z o . La variazione indotta nell’azione ? b ` d`a un’espressione come quella e` ` } Ð s S0U o Ù } ^jU o V v , la cui derivata b ? ? altera sia la costante diX normaliz-+ nell’eq. (51). Ora, lar variazione di û aQ& W b zazione f relativa a + U o che l’azione. La costante varia da S + - V k a'& X- W b S9fJcÐ'V«v k ! o, al prim’ordine in Ð , `} ÐS a'& X- W b V k ! . L’effetto! a s totale della variazione della ? massa nell’eq. (38) ? al prim’ordine in Ð e` ¤ u ¤¤ f W b e n ¤¤ a Ð s S%Uo Ù } ^ÜU o V v ` X- c af Ð ¤¤¤ [ n ? ðv ? ðñð ? Ci aspettiamo che la variazione di ordine Ð che dura per un tempo sia W X di ordine Ð . Quindi, dividendo per Ð - , possiamo definire il funzionale energia cinetica come ? ? Ø ] af b s S%U o Ù ^ÜUo V v ` c X- a W a S V t ? } ? ? Questo e` finito per y , grazie all’eq. (50). Usando l’equazione che si b S%Uo Ù ^uU / o V nell’eq. (48) si pu`o anche mostrare ottiene inserendo ] } che l’espressione (52) e` uguale (al prim’ordine in ) a ? K ? K Ø ] af b I Uo Ù } ^U o I UBo ^ÜUo k } S { V t 84
Si vede che il modo pi`u semplice per ottenere funzionali osservabili contenenti potenze della velocit`a e` di sostituire questa potenza col prodotto delle velocit`a, calcolando ogni fattore a tempi leggermente diversi.
10. LA HAMILTONIANA L’impulso L’operatore hamiltoniano ha un’importanza centrale nell’usuale formulazione della meccanica quantistica. In questo paragrafo studieremo il funzionale corrispondente a questo operatore. Potremmo definire immediatamente il funzionale hamiltoniano sommando il funzionale dell’energia cinetica (52) o (53) all’energia potenziale. Tuttavia questo metodo e` artificiale e non mostra l’importante relazione esistente fra hamiltoniana e tempo. Definiremo il funzionale hamiltoniano mediante la variazione indotta in uno stato da una traslazione temporale.
85 A tal fine e` necessario osservare che la suddivisione del tempo in intervalli e` soddisl Ù Z facente; i limiti vanno presi richiedendo che l’intervallo maggiore ^ Z l } l vada a zero. L’azione totale deve ora venire rappresentata dalla somma @ non e` necessaria. Chiaramente ogni suddivisione in istanti Z
t
t
]
s
l
S%U Ù \ Z Ù U \ Z V l } l } l l
ove
t
_ )Ï+
s
nÚ
S%U Ù \ Z Ù U \ Z VL] l } l } l l
_ n
S ' V
u
r JS0UDS Z V.\ UDS Z VV Z \
S V
in cui l’integrale e` calcolato lungo il cammino classico che congiunge U al l tempo Z con U Ù al tempo Z Ù . Per il nostro esempio unidimensionale si ha l l } l } con sufficiente precisione
t
G
s
S%U Ù \ Z Ù U \ Z VL] l } l } l l
'&
b
I a
U Ù ^ÜU l } l Z Ù ^ Z } l l
K `
TL
^ËRTS%U Ù V S Z Ù ^ l } l }
+
S Ñ V
Z V l r
eû la corrispondente costante di normalizzazione per l’integrazione su U e` a X- W b l ] s SZ Ù ^ Z V vk . l } l Possiamo studiare adesso la relazione esistente fra hamiltoniana ed evo[ luzione temporale. Si consideri uno stato S Z V definito in una regione spazio[ temporale ì . Si immagini ora di considerare un altro stato al tempo Z , S Z V , definito in un’altra regione ì . Supponiamo che la regione ì sia esattamente la stessa di ì tranne che precede ì di un tempo Ð , cio`e e` spostata in blocco nel passato di un tempo Ð . L’apparato associato a ì per la preparazione dello stato e` identico a quello associato a ì , ma opera ad un tempo precedente dell’intervallo Ð . Se dipende esplicitamente dal tempo, anch’essa dev’essere [ [ traslata temporalmente, cio`e lo stato e` ottenuto da usata per lo stato , con la sola differenza che il tempo Z in e` sostituito con Z c Ð . Ci chiediamo ora [ [ come lo stato differisca da . In ogni misurazione la probabilit`a di trovare il sistema in una regione prefissata ì
ì e` diversa per ì e ì . Si consideri [ la variazione nell’elemento di transizione Í Î f Î Ï indotta dalla traslazione temporale Ð . Possiamo considerare quest’ultima come realizzata diminuendo W W tutti i valori di Z di Ð per , lasciando inalterati i valori di Z per , l l essendo Z nell’intervallo Z \ Z Ù } ú . Questa variazione non avr`a alcun effetto
Ó
!
Óy
Ó
Ó
zy y Ó
zy
k|V o o }
19
Dal punto di vista del rigore matematico, se
Óy
Óy
Ó
h
e
y ¾1{
zy
Ó
e` finito, il limite
Óy
c V
b_
0 e` problematico in
86
t
s
t o
su S0U Ù \ Z Ù U \ Z V definita dall’eq. (55) fintanto che sia Z Ù che Z venl } l } l l l } l gono variati della stessa quantit`a. D’altro lato, S0U Ù \ Z Ù û U \ Z V diventa } } r relativa a U S%U Ù \ Z Ù U \ Z ^Ð'V , mentre la costante d’integrazione f } a X}W b - S Z Ù ^ Z Cc ÐV v k . Al prim’ordine in Ð , l’effetto di queste diventa s } variazioni sull’elemento di transizione e` dato da
t o o s o o '& o o
+
o s o o
! W [ }[ y [ ÷ Ð X- Í e Î o ΠϾ Í e Î f ΠϾ ^ Í e Î f Î Ï ¾1{ ] ÷ in cui la funzione hamiltoniana o e` definita come t XY S%Uo Ù \ Z o Ù s U ÷ o \ Z o V } } o] c a'W Y Z o SZ o Ù ^ Z o V ? } û ÷ L’ultimo termine e` indotto dalla variazione di f e mantiene o y . Ad esempio, per l’espressione (56) si ha K ` Xb ÷ Uo Ù ^ U o } o ] a I Z o Ù ^ Z o c a-W S Z o Ù ^ Z o V cdRTS%Uo Ù } V } }
o
S Ø V
S Û V
finita per
oy
che e` proprio la somma del funzionale dell’energia cinetica (52) e di quello dell’energia potenziale R1S0U Ù V . [ [ } La funzione d’onda S%U6\ Z V rappresenta naturalmente lo stato S%U6\ Z V [ traslato temporalmente di Ð , cio`e S%Ue\ Z c ÐV . Quindi l’eq. (57) e` strettamente connessa con l’equazione operatoriale (31). Si pu`o anche considerare variazioni dovute ad una traslazione temporale dello stato finale . Naturalmente, in questo caso non si ottiene alcun risultato [ nuovo, in quanto e` solo la traslazione relativa fra e che conta. Si ottiene un’espressione alternativa
e
÷
o]_^ Y
e
t S%U o Ù \ Z o Ù s U o@\ Z o/V } } YZ o Ù }
a-? W SZ o Ù ^ Z oV } X
c
S Ý V
che differisce dalla (58) solo per termini di ordine . La rapidit`a di variazione temporale di un funzionale pu`o essere calcolata considerando l’effetto combinato di una traslazione temporale sia dello stato iniziale che di quello finale. Ci`o equivale a calcolare l’elemento di transizione del funzionale riferito ad un tempo successivo. Il risultato e` l’analogo dell’equazione operatoriale
h
R d R
quanto, ad es., l’intervallo é +1 Qé e` mantenuto finito. A ci`o si pu`o ovviare assumendo che dipenda dal tempo, e che sia “acceso” lentamente prima di é = é e “spento” lentamente dopo é = é . Tenendo fissa la dipendenza temporale di , si effettui il limite 0; quindi si cerchi la variazione (al prim’ordine) per 0. Il risultato e` essenzialmente identico a quello ottenuto col procedimento pi`u semplice usato sopra.
h_
h
b_
87 X-
f ] W _
o
Hf ^ fH
§
Il funzionale dell’impulso pu`o essere definito in modo analogo considerando le variazioni indotte dalle traslazioni spaziali: W [z~ [ e Î f Î Ï ¾ ^Í Î f Î X- Í e Î o ΠϾ Ͼ ] § Ó dello stato [z~ e` associata ad una regione Ó ~ì che e` identica La preparazione § di essere traslata spazialmente di una alla regione , tranne che per il fatto distanza . (La lagrangiana – se essa dipende esplicitamente da U – deve ~ ] JS%UT^ \ UÞu V per tempi precedenti a Z ). Si trova ` essere sostituita con t t Y S0U o Ù \9U / Y S%Uo Ù \9U o V o ] Y Uo Ù } § ] ^ Y U o } o V S Ñ y
[
stati traslati temporalmente sono connessi alla traslazione spaziale degli stati originali. Questa idea porta direttamente ad una derivazione dell’equazione di Schr¨odinger che e` molto pi`u elegante di quella considerata precedentemente.
11. INADEGUATEZZA DELLA PRESENTE FORMULAZIONE La formulazione descritta in questo lavoro possiede un serio inconveniente: i concetti matematici su cui si basa sono nuovi. Essa richiede per ora una suddivisione artificiosa ed innaturale dell’intervallo di tempo per chiarire il significato delle equazioni. Questa situazione pu`o essere migliorata notevolmente mediante l’uso di notazioni e concetti della matematica dei funzionali. 20
í
b
Non abbiamo sostituito dato dall’eq. (60) direttamente nell’eq. (47) perch´e altrimenti l’eq. (47) non sarebbe pi`u stata valida n´e all’ordine zero n´e al prim’ordine in . Avremmo potuto derivare le relazioni di commutazione ma non le equazioni del moto. Le due espressioni nell’eq. (60) rappresentano gli impulsi ai due estremi dell’intervallo [é è0é +1 ] – essi differiscono per (ç +1 ), a causa della forza agente durante il tempo .
b:´c
b í fí
88 Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno evitare questi metodi in una prima presentazione. Ulteriormente e` necessario avere a disposizione un’appropriata misura sullo spazio funzionale dei cammini UÌS Z V } . Questa formulazione e` anche incompleta dal punto di vista fisico. Una caratteristica fondamentale della meccanica quantistica e` l’invarianza per trasformazioni unitarie, che corrispondono alle trasformazioni canoniche della meccanica classica. Naturalmente, si pu`o dimostrare che la presente formulazione e` invariante per trasformazioni unitarie, in virt`u della sua equivalenza con la formulazione usuale. Non e` per`o x 1 * ovvio che sussista tale invarianza. Questa incompletezza si manifesta in un modo ben definito. Non e` stato descritto alcun procedimento diretto per misurare grandezze diverse dalla posizione. Ad esempio, misure dell’impulso di una particella possono essere definite in termini di misure di posizione di altre particelle. Analizzando questa situazione in modo dettagliato si ottiene la connessione fra misure di impulso e trasformata di Fourier della funzione d’onda. Questo e` per`o un metodo piuttosto involuto per ottenere un risultato cos`ı importante. E` naturale attendersi che i nostri postulati possano essere generalizzati sostituendo l’idea dei “cammini in una regione dello spazio-tempo” con quella di “cammini della classe ”, o “cammini che hanno la propriet`a ”. Non e` per`o chiaro in generale quale propriet`a specifica debba corrispondere a misurazioni fisiche.
Ó
Ó
Ó
12. UNA POSSIBILE GENERALIZZAZIONE La formulazione che abbiamo considerato suggerisce un’ovvia generalizzazione. Ci sono problemi classici interessanti che soddisfano ad un principio d’azione, ma per i quali l’azione non pu`o essere scritta come l’integrale di una funzione della posizione e della velocit`a. L’azione pu`o contenere ad esempio l’accelerazione, oppure – se l’interazione non e` istantanea – essa pu`o contenere r il prodotto delle coordinate a due tempi diversi, come UDS Z V«UÌS Z c V Z . Allora l’azione non pu`o venire suddivisa nella somma di piccoli contributi, come e` stato fatto nell’eq. (10). Di conseguenza, lo stato del sistema non pu`o essere descritto da una funzione d’onda. Ci`o nonostante si pu`o definire la probabilit`a di transizione da una regione ì ad una regione ì
ì . La maggior parte della [ Î Î teoria degli elementi di transizione Í Ï pu`o essere estesa a questo n ðñð nð caso. E` sufficiente inventare un simbolo del tipo Í ì
ì Î Î ì Ï definito da [ un’equazione simile all’eq. (39) in cui non compaiono e , ed in cui figura per l’espressione pi`u generale dell’azione. L’hamiltoniana ed il funzionale d’impulso possono essere definiti come nel paragrafo (10). Ulteriori dettagli ` sono contenuti nella tesi dell’autore } .
ë
Ó
t
21
e
¾
Ó
Ó
Ó ¾ e
La teoria dell’elettromagnetismo descritta da J. A. Wheeler e R. P. Feynman, Rev. Mod. Phys. 17, 157 (1945) pu`o essere espressa in forma di principio di minima azione in cui compaiono solamente le coordinate delle particelle. E` stato il tentativo di quantizzare questa
89 13. APPLICAZIONE ALL’ELIMINAZIONE DEGLI OSCILLATORI DI CAMPO Un aspetto caratteristico della presente formulazione e` che essa offre una visione panoramica delle relazioni spazio-temporali in una data situazione. Prima di effettuare l’integrazione sulle U in un’espressione come l’eq. (39) si l ha a disposizione una formula in cui vari funzionali possono essere inseriti. Si possono quindi studiare le relazioni esistenti fra gli stati quantistici del sistema a tempi diversi. Discuteremo ora un esempio per rendere pi`u definite queste osservazioni piuttosto vaghe. In elettrodinamica classica i campi che descrivono, ad esempio, l’interazione fra due particelle possono essere rappresentati da un insieme di oscillatori. Le equazioni del moto di questi oscillatori possono venire risolte, e gli oscillatori possono essere eliminati (potenziali di Lienard e Wiechert). Le interazioni che ne risultano correlano il moto di una particella ad un dato tempo con quello dell’altra particella ad un tempo diverso. In elettrodinamica quantistica il campo e` ancora rappresentato da un insieme di oscillatori, in questo caso per`o non si pu`o calcolare il moto degli oscillatori, cosicch´e questi non possono venir eliminati. A dire il vero, gli oscillatori che rappresentano onde longitudinali possono essere eliminati, il che d`a luogo ad un’interazione elettrostatica istantanea. L’eliminazione elettrostatica e` molto istruttiva, in quanto mostra in modo molto chiaro la difficolt`a dell’auto-interazione. Di fatto, la situazione e` cos`ı chiara che non c’`e alcuna ambiguit`a nel decidere quale termine e` scorretto e debba essere eliminato. N´e l’intero procedimento, n´e il termine eliminato sono relativisticamente invarianti. Sarebbe auspicabile che anche gli oscillatori che rappresentano onde trasversali potessero essere eliminati. Ci`o rappresenta un problema pressoch´e insormontabile nella mecû canica quantistica convenzionale. Ci aspettiamo che il moto di una particella ü ad un dato istante dipenda dal moto di ad un istante precedente e , B,' * . . [ Una funzione d’onda S%U \9U Z V pu`o invece descrivere solo la dinamica di entrambe le particelle allo stesso tempo. Non c’`e alcun modo di tener conto û ü di ci`o che ha fatto nel passato al fine di determinare il comportamento di . Z , dell’insieme L’unica possibilit`a consiste nello specificare lo stato, al tempo û ü di oscillatori, che servono per “ricordare” ci`o che (ed ) hanno fatto. La presente formulazione permette di determinare il moto di tutti gli oscillatori, e di eliminarli completamente dalle equazioni del moto che descrivono le particelle. Tutto ci`o e` facile. Si devono solo risolvere le equazioni del moto degli oscillatori prima di integrare sulle variabili U delle particelle. E` proprio l l’integrazione sulle U che cerca di condensare la storia passata in un’unica
/ 2s
l
teoria – senza alcun riferimento ai campi – che ha portato l’autore a studiare la formulazione della meccanica quantistica considerata qui. L’estensione di tali idee al caso di funzionali d’azione pi`u generali e` stata sviluppata nella sua tesi di Ph. D. “Il principio di minima azione in meccanica quantistica” (tesi presentata all’universit`a di Princeton, 1942).
90 funzione d’onda. Questo e` ci`o che vogliamo evitare. Naturalmente, il risultato dipende dagli stati iniziale e finale dell’oscillatore. Qualora essi siano [ Îf Î specificati, il risultato e` un’equazione per Í Ï simile all’eq. (38), in cui XW n ðñð nð appare come fattore – oltre che exp S V – un altro funzionale che dipende soltanto dalle coordinate che descrivono le traiettorie delle particelle. Illustriamo brevemente come ci`o avvenga in un caso molto semplice. Supponiamo che una particella (coordinata UÌS Z V , lagrangiana JS%U6\ UoV ) interagisca ` ` ` ^ V ) mediante un con un oscillatore (coordinata S Z V , lagrangiana ` } S termine ÌS%U6\ Z V S Z V nella lagrangiana per il sistema complessivo. Qui ÌS%U6\ Z V `"` e` una funzione arbitraria della coordinata UÌS Z V della particella e del tempo . Supponiamo di voler conoscere la probabilit`a di una transizione da uno stato [ al tempo Z ì , in cui la funzione d’onda della particella e` e l’oscillatore e` nð nel livello energetico ø , ad uno stato al tempo Z ì
ì con la particella in e b n ðñð l’oscillatore nel livello . La probabilit`a cercata e` il quadrato di
t e
Å
Å
u
u Å Å
e
Ú ]
Ú
q
Å
e
#
q
q
¾. Ù ¾1
Ù ¾1 9 qhî î # S Å V e n ðñð S%U V exp 7 X- S t c t c t V r r 6 r r 6 U U û Å û k } Å k } r U r Å Í
n ðñð
\
[
Îf Î
nð W
\
Ï
[ nð
Qui S V e` la funzione d’onda dell’oscillatore nello stato ø ,
k }
l
t
S%U l Ù
ío
}
\9U l
S%U V
t
q
Å
S V.
S Ñ f-V
e` l’azione
V
? sia assente, calcolata per la particella immaginando che l’oscillatore G? ? K` k } t ] a I Å l Ù } ^ Å l ^ a ` Ù ` L Ål } ío l e` l’azione del solo oscillatore, e
t
]
k }
lÅl
? 6 (ove ]xS%U \ Z V ) e` l’azione per l’interazione fra particella ed oscillatore. l l l a'& W XLa costante di normalizzazione per l’oscillatore, , vale S V k !+ . Ora ç l
22
La generalizzazione al caso in cui problemi.
ío
dipende dalla velocit`a _ della particella non presenta
91
Å
*
l’esponenziale dipende quadraticamente da tutte le , quindi l’integrazione su W l tutte le variabili ( y ) pu`o essere effettuata facilmente - si tratta di l una sequenza di integrali gaussiani. Pertanto scrivendo ] Z ì
ì ^ Z ì , si trova che il risultato di tale integrazione W X a X- W sin §V k exp s S - VS c S \ VVwv , ove S \ V risulta essere e` S proprio l’azione classica per l’oscillatore armonico forzato (vedasi la nota 15). Esplicitamente si ha
Å
+ t Þ ! G Þ S \ VL] a cos Å Å sin
'&
a
Þ Å Å
Å Å
S ` c ` VÌ^ a Å Å Å Å
Ú n0ðñð
Å ÌS Z V sin JS Z
Z ì?V ^
r
c
Z c
nð
a
Å Ú n ðñð x S Z V sin JS Z ì
ì ^
r Z V Z ^
nð
Ú n ðñð Ú n a
ÌS Z VBÌSB-V sin JS Z ì
ì ^
`
B
Z V sin JS ¨^
Z ìV
r
r Z LD\
nð nð
ove ÌS Z V e` stata trattata come funzione continua del tempo. Gli integrali dovrebbero in realt`a essere sostituiti da somme di Riemann e le quantit`a xS%U \ Z V l l andrebbero scritte al posto di xS Z V . Quindi dipende dalle coordinate della l particella a tutti i tempi attraverso ÌS%U \ Z V , e da quella dell’oscillatore ai soli l l tempi Z ì e Z ì
ì . Corrispondentemente l’eq. (61) diventa
Ú
Ú
e
q
#
q
Ͼ. Ù ¾1
Ù ¾1 ] K e î S%U V] # exp I W t X- [ n S0U9 V r û U r U û k } r U ð n ðñð [ Î # Î Íe Ͼ n ðñð nð Í
n ðñð
\
Îf Î
Þ
[
nð
\
]
che ora contiene solamente le coordinate della particella. La quantit`a data da
#
+ # Å V. ! Þ Å Å Å Å Å '&
Ú Ú h q î a ;W Xk sin ù ] S § V S q r r W X exp s S - V S \ Vwv S V
#
e`
92 Procedendo in modo analogo si trova che tutti gli oscillatori del campo elettromagnetico possono essere eliminati da una descrizione del moto delle cariche.
14. MECCANICA STATISTICA Spin e relativit`a Spesso i problemi della teoria della misurazione e della meccanica statistica quantistica si semplificano quando vengono formulati secondo il punto di vista descritto in questo lavoro. Ad esempio, la perturbazione dovuta all’influenza di uno strumento di misura pu`o – in linea di principio – essere eliminata per integrazione nello stesso modo in cui si e` proceduto per l’oscillatore. La matrice densit`a statistica ha una generalizzazione utile e piuttosto ovvia, che si ottiene considerando il quadrato dell’eq. (38). E` un’espressione simile all’eq. (38), contenente per`o l’integrazione sui due insiemi di variabili e . L’esponenziale e` sostituito da exp
p9 p9 O= 9 B } : , ove 0 dipende funzionalmente dalle variabili 9 nello stesso modo in cui dipende dalle variabili 9 . Essa descrive, ad esempio, il risultato
dell’eliminazione degli oscillatori di campo quando lo stato finale degli oscillatori non e` specificato e si considera soltanto la somma su tutti gli stati finali b . Lo spin pu`o essere incluso nella nostra discussione in modo formale e l’equazione di Pauli per lo spin pu`o essere ottenuta nel modo seguente. Si sostituisce in il termine di interazione col potenziale vettore
9 ¢¡Y£)9 ¤ ¤ ¢ ¦ § ¢ ¦ A x ¢¡ A x a1¥ x ¢¡ x a1¥ x ¢¡ x
dato dall’espressione (13) con
¤ ¦ ¤ ¦ : ¦ : ª § : ¦ x ¢¡d x :¬« ¨ x ¢ © ¡ x ¨ A x 1a ¥ a1¥ ¨ A x ¢¡ ¨ Q ¢¡ Q ¨
¢¡
Qui A e` il potenziale vettore, x e x sono i vettori posizione della particella ai tempi e e e` il vettore formato dalle matrici di spin di Pauli. La grandezza deve ora essere espressa come exp , in . Quindi quanto essa differisce dall’esponenziale della somma di e` qui una matrice di spin. Anche l’equazione relativistica di Klein-Gordon pu`o essere ottenuta formalmente, aggiungendo una quarta coordinata per specificare i cammini. Si di un considera un “cammino” come individuato da quattro funzioni
® O$= 9 $< ¢ ¡¯£)9 : 9 ¢¡Y£)9 9°$±
93
±
² ¡ $± £) $ ± )£ ³p$± <´µ¬± ¶ ´ O¬p ° pµ± ` § ¤ ¥ ¬µ ° pµ± Q¸ £ ° °p· ¡ ¸ a in cui ° e` il quadrivettore potenziale e nella somma i termini con ¹»º|¼1£ £H½ sono presi con segno opposto. Si pu`o dimostrare che una funzione d’onda che dipende periodicamente da ± soddisfa necessariamente l’equazione di Klein-
parametro . Tale parametro viene trattato nello stesso modo in cui si considerava la variabile : esso viene suddiviso in intervalli di lunghezza . Le ` grandezze sono le coordinate spaziali di una particella, mentre e` il tempo corrispondente. Si usa la lagrangiana
Gordon. L’equazione di Dirac si ottiene modificando la lagrangiana usata per l’equazione di Klein-Gordon – modifica che e` simile a quella necessaria nella lagrangiana non relativistica per derivare l’equazione di Pauli. Ci`o che si ottiene e` il quadrato dell’usuale operatore di Dirac. Questi risultati per lo spin e la relativit`a sono puramente formali, e nulla aggiungono alla nostra comprensione di tali equazioni. Ci sono altri modi di ottenere l’equazione di Dirac che appaiono pi`u promettenti al fine di ottenere una migliore interpretazione fisica di questa bella ed importante equazione. L’autore apprezza sinceramente gli utili consigli del professor H. C. Corben e signora e del professor H. A. Bethe. Egli desidera ringraziare il professor J. A. Wheeler per moltissime discussioni durante le fasi iniziali di questo lavoro.
¾ 5. Nuova formulazione della meccanica quantistica 5.1 – Vogliamo concludere questo Quaderno con la discussione di una formulazione della meccanica quantistica (non relativistica) ottenuta molto ` recentemente da uno degli autori (M. R.) . Questa scelta ha una duplice motivazione. Vedremo infatti (come anticipato nel paragrafo 2.8) che i cammini di Feynman hanno una con le traiettorie dinamiche classiche. E nell’ambito del nuovo approccio, essi acquistano una caratterizzazione come di un’ ` . D’altro lato, la formulazione che descriveremo emerge in modo dall’analogia fra meccanica quantistica e processi completamente stocastici classici (su cui ci siamo soffermati a lungo nel capitolo 3): essa non e` altro che la della descrizione di Langevin di un PSMC. Scriviamo simbolicamente
³ É9Â]Ê]ËÊpÁ<̵ûÍHÊpÁSÁ9ÀUÎKÎKÅ$Ê1Á9À ÎÊ1ÄÆϵÇÅ$Ê1ÁSÅ À]ЯÏSÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀÌ1Å ÑÒÀ¯Â]À¯ÁªÇÅ$Ã1ÄÀ
¿ªÀÁ9À¯Â]Ã1ÄÆÅOÇKÇYÃpÈÅ ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬà ÎȬÊ\ÍKÃÎUÈÅ$ÍHà ´ Á9ÃpÈÏÓÂ]Ã1ÄÀ ÍKÊ1ÁFÈÂ]ÊÉJÃ1¯ÈBÀ!ЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà ÔÖÕ×ØÚÙÜÛ ¸ÞÝ&ß Õà»á â ß Û ¸ àãÞáÖä ß à
åçæ
×Þá áéàëêÒá ÔÕ!×è ØÚÙÒ Û ¸ÜÝ ß Õ!à»á «
Bì « ¼
Ci sembra quindi sorprendente che questo nuovo approccio non sia gi`a noto da alcuni decenni! 5.2 – Abbiamo visto che un PSMC pu`o essere descritto in due modi equivalenti, anche se molto differenti fra di loro: l’uno basato sull’equazione di Fokker-Planck, l’altro sull’integrale di Wiener. Ma esiste un’ formulazione di un PSMC (alquanto diversa dalle precedenti) dovuta a Langevin . L’approccio di Langevin e` in un certo senso il pi`u profondo, in quanto le traiettorie fisiche del processo – come vesi considerano dremo, viene derivata da queste. Ricordiamo che figurano nell’approccio di Fokker-Planck, mentre compaiono in esse forma nella formulazione di Wiener. Ulteriormente l’effetto delle
ϪÄíÈBÀÂÅ$Ê1ÂHÀ
23
24 25
ÀUάÉÄZÅ$ͯÅȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ KÊ ¿1ÁSÅÞÃ1ÄíÈÂ]ÃòÅóÁYËÊpÂðôÃÇÅ$Ê1ÁÀ Á<ÊpÁ ÅóðÒÉ9ÄÆÅÍYÅóȬà õzö=÷ùøµúUû=üþýÿ ¯úUü ú ôú ý ý ýü éö ú ëú þõ}ú û¬ö)ÿ ¯Uú ü ý ú
îHï
ίÊ1ÄOÊ
ú ö=ü
, Pavia preprint (1991) (in M. Roncadelli, corso di pubblicazione); !" # , & $ % (')+* Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione); , Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).
Questo concetto verr`a discusso nel prossimo paragrafo.
P. Langevin, Compt. Rend. Acad. Sci. (Paris) 146, 530 (1908).
96
ÀUÎBÉ9ÄÆÅÍYÅóȬÊ
fluttuazioni e` qui rappresentato in modo , contrariamente a quanto avviene nell’equazione di Fokker-Planck. Al fine di semplificare la trattazione sfruttiamo l’osservazione fatta nel paragrafo 3.6 supponendo – per il momento – che il numero di particelle resti , cosicch`e poniamo , .- (effetti di emissione e di assorbimento verranno considerati in un secondo tempo). Sappiamo che un PSMC pu`o essere immaginato come un’evoluzione temporale deterministica perturbata da fluttuazioni gaussiane di fondo. Abbiamo anche visto che – in assenza di fluttuazioni – le traiettorie fisiche del processo sono date dall’eq. (3.22). Ora, l’ di Langevin consiste nel supporre che l’effetto delle / sulle traiettorie del prosemplicemente un termine di cesso possa venire descritto nell’eq. (3.22), cio`e modificando tale equazione nel modo seguente
£) º
ÍKÊÎȬÃ1ÁFÈBÀ
Ã\¿\¿pÅ ÏÓÁ ¿ªÀÁ<Ì Ê
Å̪À]Ãñ˯Ê1Á<Ì Ã1ðñÀÁ<ȬÃ1ÄÀ þÏJÈ$ÈÏSÃǯÅÊpÁSÅ
ÂUÏÓðôÊÂHÀ
« p H$ º ä H £) § ] U« B ì µ Questa e` la celebre À]ЯÏSÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀñÌ1Å ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ î . E` essenziale notare che nell’eq. (5.2) la ÌpÂÅ ËÈ e` rimasta ÅóÁ<Ã1ÄíÈBÀÂ]õȬà , in perfetto accordo col fatto che in un PSMC le fluttuazioni Á<ÊpÁ interferiscono con gli effetti deterministici. Discutiamo ora il significato dell’eq. (5.2). L’aspetto pi`u caratteristico dell’equazione di Langevin e` che le variabili Á<ÊpÁ sono funzioni Ã1ÎHίÀB¿1Á<õÈBÀ del tempo, bens`ı rappresentano un opportuno processo stocastico. Pertanto tali variabili vengono definite ÎÊpÄíÊ»ÅóÁίÀ¯ÁJÎÊñÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ , specificando la loro ÌpÅbÎÈÂÅ ¯ÏpǯÅÊpÁ9ÀÌpÅJÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã ä è ¦Z: . þÏSÃpÄOÀ ? Al fine di determinare è ¦Z: e` conveniente limitarsi al caso £) º alcuna perdita di ¦Z= e` ÅóÁ<Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À¯–ÁFÈBci`À odaÁ9Ê1ä Á comporta î . Quindi generalit`a, in quanto ) £ l’eq. (5.2) è diventa ora 0
0
21
65
43
87
9
1
;: <:
1
=:
<: <:
<>
1
?
-
1
A@
Bì « ½ µ º H e chiaramente le sue soluzioni rappresentano le ÈÂ]Ã1ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅ$À }ÎKÅ$Í SÀ del É9Â]Ê\ÍUÀUÎKÎÊ ÌpŠŬÀÁÀ . Sappiamo peraltro (si ricordi quanto detto alla fine del paragrafo 3.9) che la distribuzione di probabilit`a per tali traiettorie e` î ö Qý ú öQû¬ö ÿ ú ö 1û¬ú :ö =ú ö pöQû 0CBEDAF
1
HG
JI
LK
M
+
P
+
26
, su cui esiste una Essa e` l’esempio pi`u noto fra le ON O vasta letteratura matematica (si veda la bibliografia). Va osservato che i matematici scrivono l’eq. (5.2) nella forma pi`u rigorosa QJRAS (T ) = US (R (T ) VT )Q8T + Q8W)S (T ), ove WXS e` il Y Z [ \ (ci`o verr`a ulteriormente chiarito nella nota 115). Preferiamo per`o attenerci qui al formalismo (meno rigoroso) che viene usato comunemente nelle applicazioni fisiche.
27
Ancora una volta, questo fatto e` conseguenza dell’indipendenza delle fluttuazioni dagli effetti deterministici. E` ovvio che tutte le distribuzioni di probabilit`a devono essere normalizzate. D’altra parte,
28
97
¦Z= è
]
BEDAF
é)¼ â
p « Bì « ¦Z: Poich´e siamo interessati a determinare , notiamo che – facendo uso è dell’eq. (5.3) – l’eq. (5.4) pu`o venire riscritta come Z ¦ : â è exp !)¼ µ H ] « Bì « ì 0
^
_a`
exp
e
dc
0hBEDAF
b
0CBEDAF
g
iaj
g
b
k
f
c
1
^
0
BEDAF
e
_a`
l]
mc
1
Z1
i j
b
k
f
c
ÊH¿pÁSÅ valore di corrisponde ÏÓÁ É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã ³ ¡H¡ per un dato insieme (continuo!) É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã î per i corrispondenti valori di
î Ïp¿1ÏSÃ1ÄÀ
1
A questo punto sfruttiamo il fatto che ad 0 BEDAF ;: ;: <> valore di n , per cui la 1 ` ;: ;: <> e di valori di alla 0 BEDAF . Evidentemente ci`o implica
0 o
0
BEDAF
è ¦Z:¬«
1 o
BEDAF
Bì « µ
1
p
ÄÆÅ ÁÀ] Ã1ÂHÀ , quindi il determinante (funzionale ³ ¡ ) jacobiano a e` ÍKÊÎȬÃ1ÁFÈBÀ . Di conseguenza dall’eq. (5.6) è ¦Z: è ¦Z: Bì « p
Ma l’eq. (5.3) e` 0 BEDAF o che connette deduciamo
³]î
è ¦Z: º
D
o
1
0
l]
BEDAF
1
per cui dall’eq. (5.5) otteniamo infine
è ¦Z= 1
^ ]
che ha la ben nota forma
_a`
exp
é)¼ â e
4q
p ] ]
dc
1
b
f
¿ Ã1ϪÎHÎUÅÃpÁ<à . ÿ úUû ü&ö
1
Bì « µ
i j
r
k
c
quando si e` interessati al calcolo dei (come in questo caso) e` pi`u economico ignorare momentaneamente tale richiesta, salvo poi normalizzare opportunamente i valori medi (ritorneremo su questo punto pi`u avanti).
29
Ci`o segue semplicemente dall’ipotesi che R (0) (T ) e s (T ) siano connessi dall’eq. (5.3). Si noti che sotto opportune condizioni di regolarit`a per U (thV=T ) (che supporremo soddisfatte) ab biamo pi`u in generale che ad OuJ valore di s (T ) corrisponde v valore di R (T ) soddisfacente all’eq. (5.2).
ú
ÿ pú Yö
ý
30
Contrariamente alla pratica seguita in questo Quaderno, intendiamo w w yx yx e la Z di probabilit`a!
31
Questo perch´e stiamo effettuando un cambiamento di variabili fra
32
Dato che consideriamo distribuzioni di probabilit`a esplicitamente tale costante.
v
1û¬ú
realmente la Y
¬ý ú ÿ
pú
Qý N
J*
.
normalizzate e` superfluo indicare
98
³H³ Z³ ´ ÅóÁSÅÇÅ$Ã1ÄÀ $ º ¦Z=ó $ ) £) \
ÂϪðôÊpÂHÀ Å$Ã1Á9ÍHÊ ËUϪÁÓÇÅ$Ê1ÁSÅ ÍKÊ1Á<ÌpÅOǯÅÊpÁ9À
¿ Ã1ϪÎHÎUÅÃpÁ<Ê
Un processo stocastico definito dall’eq. (5.8) e` detto z: (RBG) { . Ritorniamo all’eq. (5.2). E` chiaro che le sue soluzioni sono di e della posizione fissata ad un (arbitrario) istante iniziale ( 0 1 ) oltre ad essere del RBG : le indicheremo 0 1 . Esse godono dell’importante propriet`a come }| |
ËUϪÁÓÇÅ$Ê1Á<ÃpÄZÅ
$ ) £) \ Z¦ :ó Ö ¡ î Bì « µ che segue direttamente dal fatto che e` un RBG ³]ï . Vediamo che le ÈÂ)ÃpÅ$ÀYÈ È¬ÊpÂÅ$À }ÎUÅÍ JÀ di un PSMC sono ËKÂ]ÃpÈ$ȬÃpÄZÅ con dimensione di Hausdorff uguale a ÌpÏFÀ , ritrovando cos`ı un risultato gi`a ottenuto nell’ambito dell’approccio di Wiener (ritorneremo su questo punto in seguito). Va notato che la descrizione di Langevin di pu`o Ã1Á<Í JÀ essere un PSMC )<¬£)= \ ¦Z=ó definito vista come un ÍHÃpð Å$Ã1ðñÀ¯ÁFȬÊ"ÌpÅ Ã1ÂÅà ÅóÄZÅ æ dall’eq. (5.2) ³ : il carattere Á9Ê1Á banale di questa trasformazione e` pura conseguenza degli effetti Ì À¯ÈBÀ¯Âð Å ÁSÅ ÎUÈÅ$ͯŠ. Quanto appena osservato suggerisce spontaneamente la domanda: qual’`e la ÌpÅbÎÈÂUŠϵǯÅÊpÁ9ÀÌ1ÅÜÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã è ¦Z: per le soluzioni dell’equazione di Langevin? L’argomento usato precedentemente per ottenere l’eq. (5.6) ha validit`a generale ³ , per cui ora abbiamo è ¦Z: º è ¦Z: « Bì « ¼ 0
,
1
}|
6]
|
Z~
O,
1
G
8I
1
:
[7
0
<:
1
|
8I
O|
9
0
:
<: <:
<>
A@
o
0
0
=a
o
1
1
=a
y-
zÁFÅóȬÊÒ $ º
Si noti che adesso preferiamo considerare (per maggiore chiarezza) un inter
vallo di tempo G , supponendo che alle soluzioni considerate 0 sia imposta la condizione iniziale . Dall’eq. (5.10) segue M 33
³
Strettamente parlando, il RBG e` una grandezza matematicamente patologica. E` per questo motivo che i matematici scrivono l’equazione di Langevin come indicato nella nota 108. (T ). Tuttavia e` stato dimostrato Ulteriormente nella notazione qui usata si ha W)S (T ) = R (0) S . (Per P una trattazione matematicamente rigoche l’uso del RBG porta a risultati rosa del RBG si veda: L. Arnold, Z HN ; Z" 'HY8Y (Wiley, New York, 1973)).
pÿ ú
pú
BúUú û=û¬ö
ö=ûBö ÿ Qý ú
ö¬úUû
34
Si osservi che le variabili s (T ) appartengono alla particella considerata e possono anche venire interpretate fisicamente come descriventi un “campo esterno fluttuante” agente su di essa: ecco perch´e abbiamo usato l’espressione “ ”!
35
Pi`u precisamente, e` facile dimostrare che ∆W (T ) U (R ( T ) V=T )Q8T + Q8W ( T ) implica l’eq. (5.9).
36
Ci`o non deve stupire: l’intera teoria delle probabilit`a e` , in ultima analisi, una trasformazione di variabili (si veda al proposito il testo di Van Kampen citato nella nota 75)!
37
Si tenga presente quanto detto nella nota 111.
38
Unicamente per motivi tipografici scriviamo qui semplicemente [R ( )] anzich´e pi`u correttamente [R (T ; tVT ; [s ( )])].
9ý ý ú
=ú ¯ú
(∆T )1 2 . Quindi l’equazione
QJR
(T ) =
99
è ¦Z: º d £) è ¦Z: Bì « ¼p¼ ¡]¡ ove d=[£)= e` il determinante (funzionale ³ ) jacobiano corrispondente, cio`e d$= £)Q det H$ . Naturalmente l’eq. (5.2) non e` pi`u lineare (in generale), cosicch´e d £) Á<ÊpÁ e` costante. Grazie all’eq. (5.2), d £) pu`o a
0
1
a
1
0
}
essere riscritto in modo pi`u eloquente come
d £) º
« Bì « ¼ µ ¯ ä H £) Ó 0 p · Il calcolo esplicito di dQ ó£)= pu`o venire effettuato con manipolazioni formali partendo dall’eq. (5.12). Si ottiene ³
det
Z¡h¢
¢
3
H£
B Z¤
{
¤¥ ¦
B§aF&¨©F
n
d £)
^ ]
_a`
exp
!)¼ µ p ä ]£) · a
e
¢
ª
ϪίÍKÀÁ<ÈÅ 9£)= ¡ î ¦Z: è 0
^ a
]
exp
{
¤¥ ¦
B«§ F&¨©F
ÈÂ]Ã1ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅ$À zÎKÅ$Í JÀ G
é)¼ p p < ä K£) · e
B ¤
k
quindi la distribuzione di probabilit`a per le D da e`
_ `
i j
£
Bì « ¼\½
¢
3
=a
¢
di un PSMC
JI
¢
3
¬
i j
H£
B Z¤
{
¤¥ ¦
B§aF&¨©F
k
¦Z= « è Bì « ¼ a
1
ÈÏJÈ$ÈBÀ
b
le quantit`a fisiche misurabili nascono E` evidente che in questo approccio come sul RBG di opportuni funzionali delle soluzioni dell’equazione di e` ovviamente definita come di una certa quantit`a Langevin. La
ðñÀ]ÌpÅ$À
ðñÀ]ÌpÅÃ
®
¼ º|¼ ´
¦¯¦¯¦Æ
8¯ ¦
à
ove la costante di normalizzazione ° D . v± ¦ 39
40
e o
à
1
¦¯¦¯¦Æ è Z¦ = ¦¯¦¯¦Æ
Bì « ¼ì
1
deve essere fissata in modo che si abbia
ý ýüÚø öQÿ ö¬úUû
Fû ÿ ö 1úUü&ö
Si veda ad es.: J. Zinn-Justin, ²; Z"³ (Clarendon Press, Oxford, 1989). Questa e` la normalizzazione a cui abbiamo accennato nella nota 110.
O m´
Z
100
è £) £) Ã Ì Ãë £) [ £) £)
Mostriamo ora come la probabilit`a di transizione di un PSMC possa venire espressa in termini delle soluzioni dell’equazione di Langevin . A tal fine consideriamo ancora l’evento µ “ ¶·7 ” la cui <: <: <> (totale) e` proprio . Nel presente contesto tutte le alternative disgiunte secondo le quali µ pu`o realizzarsi sono 0 1 | descritte da quelle soluzioni | che soddisfano la condizione
¡
´ Ã £) [
ÉÂ)Ê ]Ã ÅóÄZÅÈ Ã
´ î ¦Z=ó è )<B£)= \ ) £) \ ¦Z:ó º Bì « ¼ per ÈÏJÈ$ÈBÀ le possibili configurazioni del RBG. KÁÂHÀ]ÃpÄÆÈ Ã abbiamo per`o a che fare con soluzioni ¿ À¯Á9ÀÂÅ$Í JÀ , che Á9Ê1Á soddisfano in generale la condizione ¦Z:ó (5.16). Si pu`o superare questo ostacolo associando ad ogni )<$£)Q \ la seguente ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅÈ ÃÌ1Å©ÈÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9À ¦Z= è [ £) [ £) « probabilit`a che Σ si muova lungo Bì « ¼ µ ) £) \ ¦Z:ó ¤ vada da £) a [ £) [ ¦Z:ó soddisfa l’eq. (5.16), Evidentemente, quando accade che ) £) \ Z ¦ : < £)Q <$£)Q e` proprio la probabilit`a relativa ad una generica alterènativa disgiunta associata all’evento . Ma sappiamo che secondo il ÍKÃ1ÄOÍHÊ1ÄOÊ ÍYÄíÃ1ÎHÎUÅÍKÊ ÌªÀÄóÄOÀ É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã la probabilit`a (totale) di un evento e` data dalla 0
1
|
p
|
1
¸
<>
JI
0
1
|
;: <:
=|
<>
0
¹
l
q
0
1
|
hº
|
0
1
}|
0
|
µ
;: ;:
<>
somma delle probabilit`a relative alle possibili alternative disgiunte secondo cui esso pu`o realizzarsi. Abbiamo pertanto
¦Z: Bì « ¼ è £) £) º ¡ è £) £) ï « µ al segno di integrazione sta ad indicare che l’integrale ove il suffisso Bì ¼ va esteso ÎÊpÄíÊ all’insieme di soluzioni dell’eq. (5.2) che soddisfano la condizione (5.16). Procediamo osservando che £) £) ¦Z: e` di fatto è una probabilit`a ÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁFȬà , per cui possiamo riscrivere l’eq. (5.17) nella forma ¦Z: º [ ) £ ) £ è ¦ probabilit`a che Σ vada da $<£)Q si muove Z ¦ : ó Z ¦ : ó a 9 $£)Q lungo )<$£)Q \ lungo )<$£)Q \ e
o
0
0
B
8»
9
r
F
p
0
0
¹
0
¶
1
|
=|
0
1
|
´º
=|
41
Abbiamo voluto presentare qui una discussione pi`u dettagliata di quanto usualmente venga fatto.
42
Si ricordi l’osservazione fatta nella nota 28.
101
«
) £) \ ¦Z:ó
¹
probabilit`a che Σ si muova 0 1 º lungo | |
Bì « ¼
Ulteriormente e` evidente che ¹
º è ¦Z: «
)<¬£)= \ ¦Z:ó
probabilit`a0 che Σ si1 muova º =| lungo |
Bì «
a
0
43
-
Pertanto, ponendo
¦Z: è [ £) £) probabilit` a che Σ vada da £)¦Z = ó si muove ¦Z:ó £ Bì « ¼ a <[£)= lungo $ )9$£)= \ lungo )<$£)Q \ 1
¹
0
¶
1
}|
|
43
0
1
|
º
=|
otteniamo
Z¦ : Z¦ : ¦Z: è £) £) º è [ £) £) è 0
1
Bì « µ
a
0
433
in virt`u delle eq. (5.19), (5.20) e (5.21). Corrispondentemente l’eq. (5.18) assume la forma
è £) £) º ï¡ e
0 o
B
$ è Z¦ : è $ £) £) ¦Z:¬« a
0
1
J»
F 9
Bì « ½ 43
Ma grazie all’eq. (5.10) abbiamo
è £) £) º ¡ ï e
o
B
1
è Z¦ = è $ £) £) ¦Z:¬« a
1
1
J»
9
F
Bì « 43
b
¦Z: è <[£)= <¬£)Q
)9$£)Q \ ¦Z:ó ÍKÊÎUȬÃpÁFÈBÀ
1
Z A questo punto e` necessario conoscere l’espressione di 0 1 =| in funzione di }| . Abbiamo supposto finora che il numero di particelle fosse . E` chiaro che in tale situazione si ha
Z¦ : ¦Z:ó]U« Bì « ì è £) £) º ª$ $ ) £) \ . Tuttavia e` facile estendere l’eq. (5.25) al caso ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄOÀ in cui ë$£) º 1
D
0
.
1
|
43
|
½¼
,
Ponendo per convenienza
¾-
102
¦Z:
)<¬£)= \ ¦Z:ó semplici argomenti probabilistici ´ ³ ¿
1
¹
a
0
|
¿
¦Z: º 1
Q Q
probabilit`a di sopravvivenza lungo 1
=| nell intervallo
^
=a
_ `
exp
e
Bì « 43p
º
forniscono a
µ
) £) \ Z¦ :ó )£ 0
1
),ÁÀ
|
|
Bì « µ
i j
43q
 k
cosicch´e al posto dell’eq. (5.25) otteniamo ora
Z¦ : ¦Z:ó] ¦Z= Bì « è $ £) £) º Ó ) £) \ in quanto i processi di emissione ed assorbimento Á<ÊpÁ interferiscono con gli effetti deterministici e delle fluttuazioni (quindi le relative probabilit`a si ðôÊpÄÆÈÅ[É9ÄÆÅ$ÍHÃ1Á9Ê ). Ma se inseriamo l’eq. (5.28) nell’eq. (5.24) scopriamo fatto ¦Z: tieneunconto molto importante: la forma particolare di 9 £)Q <¬£)= è (5.16) debba essere soddiÃpÏJȬÊ1ðôÃpÈÅ$ÍHÃpðñÀÁFÈBÀ del vincolo che la condizione sfatta! Concludiamo (in virt`u delle eq. (5.15) e (5.24)) che nella formulazione di Langevin la ÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅÈ ÃÌ1ÅzÈÂ]Ã1ÁJÎUÅOǯÅÊpÁ9À e` data da ´]´ è £) £) º è £) [ £) ¦Z: « Bì « Possiamo anche riscrivere l’eq. (5.29) in forma pi`u ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬà , facendo uso delle 1
0
1
.
|
a
1
¿
43r
|
1
<: <:
<>
®
¯
1
43
¦
eq. (5.27) e (5.28). Otteniamo cos`ı
Z¦ :ó]U¦ è £) [ £) º Ó ) £) \ « exp p ) £) \ ¦Z:ó £) 0
^
_ `
1
ÄÃ
e
|
Bì « ½
|
a
0
1
m,zÀ
|
-
|
iaj
+Â
1
kÆÅ
ðôÊ1ÄíȬÊÎYÀðÒÉ9ÄÆÅ$ÍKÀ ´ ï û¬ú Uý ú ú ö û ÿ éö .ú
Un vantaggio dell’approccio di Langevin e` permettere una derivazione della formulazione di Wiener in modo . Consideriamo 43
44 45
úÿ Kü&ö=û ö =ö
Si veda ad es.: F. W. Wiegel, ÇO ÈH ÉÇO &u = Êy" Ë " (World Scientific, Singapore, 1986). Vediamo che (taV=T=a=Ì tV=T= ) e` effettivamente normalizzata. E` anche possibile derivare l’equazione di Fokker-Planck. Il metodo “classico” (basato HÍ ` riportato ad es. in: H. Risken, ; Z* "J ) e sulla cosiddetta &Yv É ` descritto nel AÎÎ Z* 8ZÎHN (Springer, Berlin, 1984). Un metodo alternativo e testo di Zinn-Justin citato nella nota 121.
øµú ¯öQû 9ÿ ö Qý ú ú µö
û Uü&ö=û !ú ÿ
ö
103
z £) ) £) ¢$ º ¢ º
¢$ ¦Z: è [ £) £) 0 ÉSÊÎÈϪÄOÃp È¬Ê ¢ $<£)Q $< $£)Q ¢$ $< $£)Q ÍKÀ¯ÈBÀKÇHÇYà Ì1Å À¯ÂKίà 0 Z ¦ = ó $ ) £) \ ÈÏJÈ$ȦZ=Å Z ¦ = è £) £) ¢ º è [ £) £)
nuovamente l’insieme Ï delle funzioni continue con estre| mi fissi , . Analogamente a quanto fatto nel paragrafo 3.9, fissiamo l’attenzione sulla probabilit`a definita dall’eq. (3.42). Essenzialmente, ci`o che ci proponiamo di fare e` derivare il W2. Va notato che ora tutti i cammini congiungono con , per cui se la particella si muove lungo un certo essa raggiunge con – la situazione era «7 quando consideravamo le coincida soluzioni dell’eq. (5.2). Pertanto e` evidente che, nel caso in cui 0 1
con }| | per i valori di compresi nell’intervallo m
, 0 abbiamo . Questa osservazione piuttosto ovvia pu`o essere formalizzata nel modo seguente
$ Ó 0 $ ) £) \ ¦Z=ó: ¦ Bì « ½J¼ ¦Z: è £) £) ¦¯¦¯¦ e` una delta ËUÏÓÁªÇÅ$Ê1Á9Ã1ÄÀ di Dirac, cio`e il prodotto continuo di funzioni ove Ó delta di Dirac per tutti i valori di compresi nell’intervallo . Usando è
£) [ £) ¢ ¦Z: º
e
0
o
0
a
1
}|
|
0
d
le eq. (5.10), (5.15) e (5.22), l’eq. (5.31) assume la forma
è [ £) £) 0 ¦Z: º ª 0 ) £) \ ¦Z:ó: è £) £) ¦Z: «
Bì « ½ µ
®
0
1
|
|
=a
1
3
O¯
¦
Siamo cos`ı riusciti ad esprimere la probabilit`a per un cammino di Wiener nell’ambito dell’approccio di Langevin. Non solo, ma inserendo nell’eq.(5.32) 1 l’espressione di data dalle eq. (5.27) e (5.28) e` possibile calcolare . Si trova per questa via proprio quanto stabilito dal W2. Ma e` anche possibile derivare il W3! Infatti, integrando l’eq. (5.32) su Ï si ha |
è £) [ £) ¦Z= ¦Z= ÀάÉ9ÄÆÅ$ͯÅȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ è $ £) £) ¢ ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄíÃµÈ¬Ê } £) ) £)
ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄOÃpȬÊ
B ì « ½p½ ¦¯¦¯¦ dal in quanto l’operazione di integrazione non fa altro che eliminare Ó e
o
¢ è £) £) ¢ ¦Z: º è £) £) ¦Z: ®
1
O¯
¦
secondo membro dell’eq. (5.32). E grazie all’eq. (5.29) otteniamo l’eq. (3.47). Vogliamo concludere con un’importante osservazione. Come segue dalle eq. (3.49) e (5.9), i cammini di Wiener JI le soluzioni dell’equazione di Langevin sono con dimensione di Hausdorff uguale a . Ci`o
ÎKÅ$à ËUÂ)õÈ$ȬÃ1ÄÆÅ
Í SÀ
ÌpÏFÀ
Á<Ê1Á
104
Å KÍ Ã1ð ð ÅóÁSÅ Ì1ŠŬÀÁ9À¯Â Í JÀñÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Êù$ ¦Z: ó£) ÍHÊpÁ £) ÉSÊÎKÎÊ1Á9Ê À¯ÁSÅó ÅóÁFÈBÀ¯ÂBÉÂHÀ¯È¬ÃpÈÅ}ÍHÊp¦Z:ðñó ÀÒίÊ1ÄÆÏpǯÅÊpÁSÅ ) £) \ Í JÀ ίÊ\̵ÌpÅbÎóËÃpÁ<Ê ÄOÃôÍKÊ1Á<ÌpÅOǯÅÊpÁ9À ) £) \ º [ – dopo tutto, gli uni e gli altri descrivono le ÎÈBÀUÎHÎYÀ
e` casuale. La derivazione dei postulati W2 e W3 mostra chiaramente che ÆK
0
8I
0
}|
1
|
7
1
|
8I
|
traiettorie fisiche di un PSMC! Quest’ultimo e` un risultato di grande rilevanza, per cui ci sembra opportuno darne una dimostrazione alternativa (che pu`o forse apparire pi`u esplicita della precedente). Chiediamoci quale sia la distribuzione di probabilit`a per le traiettorie fisiche di un PSMC uscenti da . Si osservi che nel caso in la risposta gi`a la conosciamo: e` fornita cui il numero di particelle e` dall’eq. (5.14). E` per`o molto facile considerare il , in quanto basta combinare l’eq. (5.14) con l’eq. (5.27) (quest’ultima tiene conto dei D processi di emissione e assorbimento) 9 . Otteniamo
9£)=
ÍHÊ1ÎUȬÃ1Á<ÈBÀ
ÍKÃÎÊ ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÀ ¡î
´
è ¦Z:
¦ µ ¼ < ä K£) § ë$£) · Z ¦ = è Bì « ½ ¦Z: pu`o venire espressa in cui compare esplicitamente il RBG. Tuttavia Z ¦ = ó è ÍKÊ1ðÒ ÉÄOÀYȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ in termini di ) £) \ . A tal fine e` sufficiente eliminare dall’eq. (5.8) facendo uso dell’eq. (5.2). Abbiamo quindi 0
a
]
e
a
¢
¡
exp Ð
3Ñ
,
£
B ¤
{
¤¥ ¦
B«§ F&¨©F}Ò
a
1
¢
b
0
0
1
|
1
|
è ¦Z: exp þ p ¼â ä £) ] î § Bì « ½µì « ¼ ä ] £) § ë£) 9 · ¦Z= per i Ma l’eq. (5.35) ÍHÊ1ÅóÁ<ÍYÅ̪À con la distribuzione di probabilit`a ¢ è ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅçÌ1ŠŬÀÁ9À¯Â ´ (si vedano le eq. (3.43), (3.44), (3.45) e (3.46)), dimostrando cos`ı la ÍHÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃÀ]ÐYÏÓÅ Ã1ÄÀÁªÇ\à fra questi ultimi e le soluzioni )<¬£)= \ ¦Z=ó che passano per < ¬£)= . e
a
0
a
]
Ð
g
b
¢
¡
3
,
¢
£
B Z¤
{
¤¥ ¦
B«§ F&¨©FÒ
ÓK
0
1
|
@
7
O|
5.3 – Nel caso della particella Ô descritta dall’azione classica (2.33) e` un gioco fin troppo facile ottenere una formulazione della meccanica quantistica 46
Procediamo nello stesso modo in cui abbiamo derivato l’eq. (5.28) partendo dall’eq. (5.25).
47
Naturalmente questi ultimi soddisfano la condizione t (T a ) = t a mentre le soluzioni dell’eq. (5.2) che figurano nell’eq. (5.35) soddisfano (in generale) la condizione (5.16). Ma questo fatto e` qui del tutto .
û=û ÿ[ö pö ú
105
ÍKÊ1ÁFÈÂ]ÊUÉSÃ1¯ÈBÀþÌ À¯Ä ÄOÃ̪ÀUÎÍYÂÅOǯÅÊpÁ9ÀÌ1Å ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ ÍHÊpðÒÉ9ÄÀ¯È¬ÃùÍHÊ1ŠάÉJÊpÁ<Ì À¯ÁªÇYÃ
come di un PSMC: basta ricordare C5 87 l’eq. (3.1) e far uso della fra le due teorie stabilita dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41) unitamente alle definizioni (3.35), (3.36) e (3.37)! Cominciamo dall’equazione di Langevin (5.2). Grazie alle eq. (3.40) e (3.36) essa diventa
«½ ] º| ¼ H $ £) § H$ B ì µ che e` l’ À]ÐYÏSÃÇÅ$Ê1ÁÀ ÌpÅ Ã1Á ¿ªÀ \ÅóÁ su cui e` basato il presente approccio. Ora, nel caso di un PSMC le þÏÓÈ$ÈÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅ sono simulate da un RBG definito dall’eq.(5.8). Analogamente – almeno da un punto di vista formale – le þÏJÈ ÈÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅþЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$Í SÀ ´ sono simulate qui da un ÂϪðôÊpÂHÀ ¯ÅÃpÁ<ÍHÊ ÌpÅ Â]ÀÎKÁ9À¯Ä (RBF) ´ , che si ottiene dall’eq. (5.8) in virt`u delle eq. (3.39) e (3.35). Naturalmente adesso le ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã vanno sostituite dalle corrispondenti Ã1ðÒÉÅ$ÀKÇHÇÀ . Quindi il RBF e` definito dalla distribuzione di Ã1ðÒÉÅ$ÀKÇHÇ\Ãï ¸ ¦Z= exp = p 9- µ H ) « Bì « ½ µ 0
0
Ö1
p
Õ
×5
J7
/
/
JI
Ø:
M
XÙ
n
;: <:
<>
D
^
1
e
_ `
H]
3
dc
1
Õ
iaj
Z1
q
k
f c
É9Â]Ê HÃ è £) £) Z¦ : ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ) £) \ ¦Z ó £) £) ¯ ¦Z: ampiezza che vada da $ £)¦Z : ó si muove ¦Z:ó Bì « ½ a <[£)= lungo $ )9¬£)Q \ lungo )<$£)Q \
¯Å ÄÆÅÈ ÃÌpÅÈÂ)ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1ÁÀ
Un concetto chiave nella formulazione di Langevin di un PSMC e` la 1 0 (condizionata) : <> | definita dall’eq. (5.21). Ponendo ora °
1
¹
Ô
0
;:
±
Ô
1
}|
1
|
=|
0
1
|
r
º
|
l’eq. (3.1) implica evidentemente
Z¦ = ¦Z:¬« è £) £) çå æ £) £) ¯ ý ý ú Qý ö °
1
1
±
Bì « ½
&
48
” viene usata con significati spesso differenti. L’espressione “ N Z Ritorneremo su questo argomento nel paragrafo 5.7.
49
Questa denominazione trae origine dal fatto che nell’eq. (5.37) figura l’analogo funzionale di un integrale di Fresnel. Si noti che formalmente il RBF pu`o essere visto come un RBG ÜÝ (Ú = Û - 2 Þ ), quindi alcune propriet`a del RBG con costante di diffusione Éu valgono anche per il RBF (questo punto verr`a precisato nella discussione seguente).
üü
50
Uû
.ú ö=û úUû
Anche qui non ci preoccupiamo di normalizzare le distribuzioni di ampiezze. 'ßY si scopre (discutendo esempi fisici espliciti) che la corretta costante di normalizzazione nell’eq. (5.37) e` proprio y !
ý pú
106
[ £) £) ¯ ¦Z:
°
1
Sfruttando l’eq. (5.39), la forma esplicita di segue diretta ± mente dalle eq. ( 5.27) e (5.28) facendo uso delle eq.(3.41) e (3.37). Otteniamo
[ £) £) ¯ Z¦ : º Ó [ ) £) \ ¦Z:ó]¦ p ] £) ¦ exp é)¼ · < !Q <- µ ¼ £) $£) § Þ £) · °
1
0
±
^
e
_a`
3
^
|
¢
¢
i j
Õ
=a
e
|
a
ª
B Z¤
£
_ `
1
à
{
¤¥ ¦
B«§ F&¨©F
k
¢
exp
«
¹
3
º
Õ
¢
H£
B Z¤
{
i j ¤¥ ¦
bá-
ï¡
ðñÀHÌ1Å$Ã
Bì «
B§aF&¨©F k
Concludiamo – grazie alle eq. (5.29), (3.19) e (5.39) – che il propagatore quantistico emerge qui come sul RBF
£) £) zº °
®
±
°
£) £) ¯ ¦Z: «
Bì « S¼
¯
1
±
b
¦
Inserendo l’eq. (5.40) nell’eq. (5.41) abbiamo esplicitamente
[ £) £) zº Ó ) £) \ ¦Z=ó]U¦ ¦ µ ]£) exp !)¼ · < < µ ¼ ]£) H$£) § Þ £) exp !Q · Bì « µ che costituisce essenzialmente il nostro ÂÅbÎUϪÄíȬÃpÈ¬Ê ©Á<Ã1ÄÀ : il ÉÂ)ÊÉJÿµÃpȬÊpÂHÀ ЯÏSÃpÁ ÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ espresso in termini delle ÎÊpÄZϵǯÅÊpÁSÅ0̪ÀÄóÄ À]ÐYÏSÃÇÅ$Ê1ÁÀÞÌ1Å Ã1Áª¿ À Å Á (5.36). °
0
±
^
3
|
¢
^
e
a
¢
iaj
Õ
B ¤
£
_a`
|
a
e
_a`
1
ÄÃË
{
¤¥ ¦
B§aF&¨©F
k
¹
¢
3
º
Õ
¢
£
B Z¤
iaj
{
¤¥ ¦
1
B«§aF¨F kXÅ
3
b
ÈG
´
â
H5
J7
Tuttavia l’eq. (5.42) pu`o venire semplificata un po’ definendo
ë ) £) \ ¦Z=ó 1
,
|
|
6
51
Z¦ =ó « ] ) ) £ \ 0
det
1
|
|
Bì « µ½ b
L’operazione di media sul RBF e` definita come nel caso del RBG, cio`e dall’eq. (5.15) con [ s ( )] sostituito ovviamente da ã [s ( )] e ä = 1.
107
ï]î
Un semplice calcolo d`a
[ ) £) \ ¦Z:ó º
^ _a`
1
,
|
exp
|
!]¼ µ < ]£) · a
e
¢
Õ
Ñ
¢ i j
B ¤
£
{
¤¥ ¦
B«§ F&¨©F
Bì « k
bb
che permette di riscrivere l’eq. (5.42) nella forma
£) [ £) }º Ó ) £) \ < µ ¼ £) £) exp !Q °
0
±
^
a
e
_ `
åÃË
|
|
¹
3
Õ
1
¦Z:ó] ë$ ) £) \ ¦Z:ó ¡ î ¦ § Þ £) « · Bì « ì 1
,
|
~
|
¢
º
¢
£
B Z¤
iaj
{
¤¥ ¦
1
B«§aF¨F kæÅ
b
E` importante sottolineare che – bench´e l’eq. (5.45) sia stata dedotta in modo abbastanza convincente – gli argomenti che abbiamo usato sono essenzialmente , per cui e` necessario verificare ( ) che l’eq. (5.45) fornisce il propagatore dell’equazione di Schr¨odinger (naturalmente e` stato dimostrato che le cose stanno effettivamente cos`ı). Un vantaggio di questa formulazione e` fornire la derivazione dell’ap(`e sufficiente seguire la proccio di Feynman in modo stessa strategia sviluppata nel paragrafo precedente) . Consideriamo quindi lo spazio dei cammini Ï e fissiamo l’attenzione sull’ampiezza | ° ± definita dall’eq. (2.34). E` immediato esprimere questa ampiezza come sul RBF (in cui compaiono le soluzioni dell’eq. (5.36)): basta infatti usare le eq. (3.53) e (5.39) per ottenere dall’eq. (5.32)
À¯ÏÓÂUÅ ÎUÈÅ$ͯŠÂHÀHÃ1ÄÆðñÀÁFÈBÀ
ÃÉSÊÎÈBÀÂÅÊpÂÅ
< $£)Q 9$£)Q ¯ ¢ ¦Z: ðñÀ]Ì1Å$Ã
ÐYÏJÃpÁFȬʻðôÃ1ŠίÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ ï]³ z £) ) £)
°
£) [ £) 0 ¦Z: º Ó ¢ ) £) \ ¦Z:ó= ¦ [ £) £) ¯ ¦Z: « ®
0
±
|
°
1
52
53
=úUû:ü û=ý\ü úUûBö
1ú
1
±
|
a
¯
Bì « p
b
¦
ö
Se nell’eq. (5.36) comparisse il termine di rumore, l’eq. (5.44) manterrebbe la OZ É : avremmo allora un risultato ben noto a chi si occupa di sistemi dinamici classici (si veda ad es.: R. Kurth, 'mç É ³ O h h (Pergamon Press, Oxford,©&1960)). Si pu`o per`o dimostrare che l’eq. (5.44) vale Z in presenza di un © (quale e` il caso dell’eq. (5.36)). #88 E` anche possibile derivare l’equazione di Schr¨odinger partendo dall’equazione di Langevin in modo molto simile a come si ottiene l’equazione di Fokker-Planck secondo la strategia discussa da Zinn-Justin (si veda la nota 127).
ú
úUü
þú Fÿ ÿ
ÿ éö ö
108
£) £) ¯ ¦Z¦Z:: ÀUÎBÉ9ÄÆÅÍYÅóȬÃpðñÀÁFÈBÀ [ £) [ £) ¯ 0 ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄOÃpÈ¬Ê °
1
Inoltre, se si inserisce nell’eq. (5.46) l’espressione di ° data ± dall’eq. (5.40) e` possibile calcolare . Si ± ritrova per questa via proprio quanto stabilito dal F2. (Questo e` la correttezza dell’eq. (5.45)). Ancora, integrando un modo per 7 G O| l’eq. (5.46) su Ï , si ha
À¯ÂÅ dÍKÃ1ÂHÀ }9£)= )< ¬£)= 0 £) £) ¯ ¢ ¦Z: º
£) £) ¯ ¦Z: Bì « µ ¦¯¦¯¦[ dal secondo membro dato che l’operazione di integrazione elimina ª dell’eq. (5.46). Infine l’eq. (2.37) – cio`e il ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄíÃµÈ¬Ê F3 – emerge combie
®
°
o
°
¯
1
±
q
±
¦
b
nando l’eq. (5.47) con l’eq. (5.41). Analogamente a quanto si ha nella descrizione di Langevin di un PSMC, anche le soluzioni dell’equazione di Langevin (5.36) sono con dimen. Non stupisce che questa propriet`a sia sione di Hausdorff uguale a condivisa dai cammini di Feynman. Infatti le eq. (5.46) e (5.47) implicano che dÙ Jè JI 0 1
ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃ1ÄÆÅ ÌpÏFÀÞï ´ ÅzÍHÃpð ð Å ÁSÅ}Ì1Å ¢À ÁSðôÃ1ÁòÍ SÀÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Ê ¦Z:£)ó ÍKÊ1Áò £) ÉJÊ1ÎHÎÊpÁ<Ê 1ÀÁSÅóÂHÀ Å Á<ÈBÀÂ:É9ÂHÀ¯È¬ÃµÈÅÍHÊpðñ¦Z:óÀ ίÊ1ÄÆϵÇÅ$Ê1ÁSÅ )<¬£)= \ Í JÀ ÎÊ̵Ì1ŠΠ˯Ã1Á9Ê!ÄOÃÖÍHÊpÁ ÌpÅOǯÅÊpÁ9À Q )<B£)= \ º 9 ! Alternativamente, si pu`o giungere ¸ a questo ¦Z fondamentale risultato ̪À ©Á9ÀÁ<Ì Ê una distribuzione di Ã1ðÒÉ9ŬÀHÇKÇYà ï]ï per le soluzioni dell’eq. (5.36) Q ). La ËÊpÂUðôà uscenti da <£)Q (considerando l’intervallo di tempo = ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬà di¦Z:¸ ¦Z: pu`o essere ottenuta – ancora una volta grazie all’eq. (3.1) – da data dall’eq. (5.35), usando la corrispondenza stabilita dalle è eq. (3.39), (3.40) e (3.41) congiuntamente alle definizioni (3.35), (3.36) e ¸ ¦Z: per i cammini di Feynman definita (3.37). Ricordando l’ampiezza 0 ¸ ¦Z: º ¸ 0 ¦Z: . dall’eq. (2.35) e le eq. (2.33) e (2.36), si trova É9Â]ÊUÉÂUÅ$Ê E` evidente che l’eq. (5.36) – ίÀ¯ÁªÇYà il termine di rumore – Á9Ê1Á possiede alcun significato specifico in meccanica classica. Ci`o comporta che Á<ÊpÁ vi ¦Z:ó e le traiettorie dinamiche sia alcuna ÂHÀ¯ÄíÃ.ÇÅ$Ê1Á9À fra le soluzioni ) £) \ 7
0
|
1
|
=|
8I
´
=|
J
0
G
0
0
0
0
1
}|
|
Á<ÊpÁÎKϪÎKÎKÅ ÎUÈBÀñÃ1ÄOͯÏÓÁÄÀ¬¿µÃpðñÀ
classiche nello spazio delle configurazioni. Pertanto fra queste ultime ed i cam(come anticipato nel paragrafo mini di Feynman 2.8) (si veda anche quanto verr`a detto nel paragrafo 5.6).
1à ÄíÈBÀÂÁ<ÃpÈÅ .à ÄOÀB¿µÃpðñÀðôÊpÄÆȬÊñÎÈÂHÀ¯È$È¬Ê ÍHÊpÁòÄíà ðñÀHÍHZ¦ ÍH:Ãp ÁSÅ$ÍHà ͯÄOÃÎKÎKÅ$ÍHà 0 £) £ Þ¦Z$: £) ¢
5.4 – Vogliamo mostrare che la formulazione della meccanica quantistica descritta nel paragrafo precedente pu`o essere posta in una forma «7 , . che possiede un Abbiamo considerato l’azione classica definita dall’eq. (2.33): Ñê ë ci`o presuppone la scelta di un insieme di potenziali é . Consideriamo ancora l’equazione di Hamilton-Jacobi associata a 54 55
Si possono ripetere qui le stesse considerazioni fatte nel paragrafo 5.2 per ottenere l’eq. (5.9). Unicamente per motivi tipografici, scriviamo qui semplicemente ã [R ( )] anzich´e pi`u correttamente ã [R (T ; tV=T= ; [s ( )])].
109
£) § ¼ 9 £) l £) î § Þ£) º Bì « ed interpretiamo ÊK¿1ÁSÅ sua soluzione £) come la generatrice di una trasfor 3 mazione di gauge æ Þ £) £ £) ï . Esplicitamente H £) ] £) £) £ Bì « Þ £) Þ £) § £) U« Bì « ì ¦Z: æ Questa trasformazione induce nell’azione classica il cambiamento 0 & ¢ ¦Z= , con ¹
r
3
º
Õ
-
b
àê
é
ë
é
9
6
b
-
0 ¦Z:
0 ¦Z: 0 [ £) ¢ £) :¬« Bì « ìÓ¼ ¦Z: Corrispondentemente il propagatore quantistico associato a ¢ e` connesso Z ¦ = a quello associato a ¢ dalla relazione ï £) [ £) ©º ¤ [ £) £) « Bì « ì µ ¦Z: Quantizziamo adesso l’azione classica 0 0 secondo lo schema del paragrafo a
a
A@
¢
°
f
±
B ~
F ¥ ì
¢
a
B
{
a F f
ì
B
{
F&¨ °
3
±
precedente. L’equazione di Langevin (5.36) e` ora
] º| ¼ H £) § H$ µ 0
0
Bì « ì1½
Ö1
Õ
che – in virt`u dell’eq. (5.49) – pu`o venire riscritta come
] º ¼ µ ¹
0
Õ
Ä]$£) $ ) £ 9
¢ º
·
21
#£ í
§ H$ U«
B F
Bì « ì b
1ý =ú ÿ Uý ö
56
Ricordiamo che nel presente Quaderno ignoriamo (per semplicit`a) i problemi dovuti all’e sistenza di Y y e O v nello spazio delle configurazioni. O
57
Il modo pi`u facile di derivare l’eq. (5.52) e` di esprimere sia îEt a VT a Ì t V«T Eï che îEt a V«T a Ì t VT ï in funzione di ð [t ( )] e ð ¯ [t ( )] (rispettivamente) secondo l’eq. (2.31), paragonando poi i due risultati.
110
ÌpÅ ÑÒÀ¯ÂHÀÁªÇ\à ÌpÅ 1ÀÂUÎKÅÈ Ã
fra le equazioni di Langevin (5.36) e (5.54) che E` proprio nella consiste la 7 <> di questa formulazione rispetto a quella del paragrafo precedente. L’espressione (5.42) del propagatore quantistico diventa
£) £) ©º ª$ $ ) £) \ ¦Z:ó]U¦ p H $£) exp !)¼ · 9 != <- p ¼ H £) À ]£) §S £) · °
0
±
^
e
_a`
3
|
_a`
exp
a
e
|
a
¢
Õ
ª
¦
¢
£í
^
1
·Ã6
B Z¤
¤¥ ¦
{
i j
B«§aF¨F k
«
¹
¢
3
º
Õ
i j
B ¤
£í
¢
¤¥ ¦ {
B«§ F&¨©F k
Bì « ìpì 1
Å
Ma le eq. (5.48), (5.49) e (5.50) implicano
¼ ] £) ] £) § Þ £) º « 3
Bì « ì p
-
Õ
Come in precedenza, definiamo
ë ) £) \ ¦Z=ó 1
,
|
6
[ ) £) \ Z¦ :ó º
^ _a`
1
|
exp
|
q
|
!]¼ µ < ]£) · a
e
Bì « ì µ
1
|
ottenendo
,
] ) £) \ Z¦ =ó 0
det
|
¢
Õ
i j
B ¤
×£ ñ
«
¢ {
¤¥ ¦
B«§ F&¨©F
Bì « ì
k
r
Grazie alle eq. (5.56) e (5.58), l’eq. (5.55) si semplifica notevolmente, assumendo la forma
[ £) [ £) zº Ó ) £) \ ¦Z:ó] ) £) \ ¦Z=ó ¡ î «« Bì ì Paragonando infine l’eq. (5.59) all’eq. (5.52) otteniamo un’espressione Ã1ÄíÈBÀ Á9ÃpÈÅ .à per il propagatore quantistico associato all’ ÊpÂUÅO¿1ÅóÁ<ÃpÂUÅ$à azione classica ¢ ¦Z: in cui compaiono Ê1Â]à le soluzioni dell’equazione di Langevin (5.54) ®
°
±
0
1
|
|
1
,
|
|
Z~
¯
¦
J
«7
111
¦ [ £) £) zº ¤ ª$ $ ) £) \ ¦Z:ó]ù ) £) \ Z¦ :ó ¡ î « ¢
°
®
F ¥ ì
B ~
±
0
¢
a
B
{
a F f
ì
1
|
B
{
1
|
,
|
Bì «
F&¨
|
p
-
¯
~
¦
à ÅÈÂ]Ã1ÂÅà soluzione £) dell’eï ¡ 5.5 – La ˯Ê1Âð ÏÓÄíÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀÖà ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ©Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ ï della meccanica quantistica e` stata ottenuta ÌpÅS˯ÃpÈ$È¬Ê nel paragrafo 5.4. Tuttavia ci sembra opportuno Sottolineiamo che quanto detto vale per un’ <: quazione (5.48) M .
D
riassumerne gli aspetti fondamentali seguendo un ordine logico. Diversamente da quanto avviene nelle altre formulazioni della teoria quantistica, si assume come punto di partenza proprio la (approccio di Hamilton-Jacobi). Ricordiamo che, nel caso della particella Ô descritta dall’azione classica (2.33), l’equazione di Hamilton-Jacobi e`
ÐYÏÓÅ
ðñÀ]ÍKÍHÃ1ÁFÅÍKÃͯÄOÃÎHÎUÅÍKÃ
Ä ]£) î § Þ £) º « Bì « ¼ ) £ < Supponiamo di conoscere un integrale ÉSÃ1¯ÈÅ$ÍHÊ1ÄOÃ1ÂH¦ZÀ0=ó £) dell’eq. (5.61). Al ÍHÊ1Á<ÈÂ)ÊpÄ ÄOÃpȬà da £) e` lora la traiettoria dinamica classica Ó )<$£)Q \
£) § ¼ 3
¹
p
º
Õ
-
ò
|
=|
soluzione dell’equazione
Ë] £) « « µ ¯H º ¼ ) £ B ì p < · Z ¦ : ó Ricordiamo anche che Ó )<$£)Q \ corrisponde alla condizione iniziale ÓQ º < , $= ºÚ ô <ó£)Q . La ÐYÏJÃpÁFÈÅÇHÇYÃ.ÇÅ$Ê1Á9À si effettua trasformando l’eq. (5.62) in un’ ÀHЯÏSÃǯÅÊpÁ9À ÌpÅ ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ ÄH$£) § - ¡ î K Bì « ½ ]$ º ¼ $ ) £ µ · ¡ nella quale e` un RBF definito dalla distribuzione di ÃpðÒÉ9ŬÀHÇHÇ\à ³]î pï ö Yö ö ¹
¢
ò
º
Õ
pá3
Hó
B F
ò
ò
ô
X5
|
=|
õ
87
¹
¹
~
¢
0
Õ
º
1
H£
B F
Õ
p
º
1
{
58
59
n
Infatti il secondo membro dell’eq. (5.60) e` (globalmente) Y Z Z dalla scelta di ð (thV=T )ö Si noti che le eq. (5.63) e (5.64) sono state riscritte in modo leggermente diverso (ma equivalente alle eq. (5.54) e (5.37)).
112
¸ Z¦ : 1
^ _ `
d]
exp
$= p e
3
mc
1
Z1
Bì «
iaj
p
b
k
f
æ
µ H ] «
c
æ
E` evidente che nel limite e/o Õ ø÷ si ritrova la meccanica classica. D un significato «7 . Indichiamo Ulteriormente il RBF possiede 9 0 1 | con }| la soluzione dell’eq. (5.63) con condizione iniziale 0 e dall’integrale dell’eq. (5.61). Queste soluzioni (CAQ), che sono gli oggetti fondescrivono i damentali su cui si basa la presente formulazione. E` chiaro che i CAQ sono ` con dimensione di Hausdorff uguale a 9 . Abbiamo visto che e conveniente definire
Ê1Â]à ÏÓÁSÅ ÀÂUίÃ1ÄÀ $ ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó º ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõȬà £) ÍHÃpð ð Å ÁSÅÃ1ÄÀ]õȬÊ1ŠЯÏSÃ1Á<ÈÅbÎÈÅÍYÅ ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃpÄZÅ Ì1ÏFÀ ¡ ³ ë ) £) \ Z¦ K£ ¦Z:ó 1
,
|
|
Z¦ K£ ¦Z:ó H ) ) £ \ 0
det
Bì « ì
1
|
p
|
e sappiamo anche che vale la relazione
ë$ ) £) \ ¦Z £K ¦Z=ó º ) ¼ µ < < £) Ë] £) 1
,
^ _a`
exp
e
a
Õ
|
|
«
¹
ª
¢ º
¢
·
i j
Bì « Si tratta ora di esprimere il propagatore quantistico £) £) in termini ¸ dei CAQ. La strategia che seguiremo consiste nell’analizzare l’evento “ ÃÌ Ã9£)= Ã$< £)Q ” facendo uso dei CAQ (anzich´e dei cammini di Feynman come nel paragrafo 2.4). Ma questo modo di procedere non e` altro che l’ ÃpÁ<Ã1ÄOÊH¿ Ê Ð¯ÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ dell’analisi fatta per un simile evento nel caso di un PSMC al fine di ottenere $ £) £) in termini delle soluzioni è dell’equazione di Langevin. Ancora una volta l’eq. (3.1) e le sue forme
£
B Z¤
{
¤¥ ¦
BǤ F
{
ì
B § F&¨©F k «
pp
°
±
Ô
7
pi`u specifiche ci permettono di raggiungere il nostro obiettivo in modo quasi banale. Ricordiamo che per un PSMC un concetto fondamentale e` la ;: <: <> 1 (condizionata) 0 1 dell’equazione di Langevin (5.2) | |
ÌpÅ ÈÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9¦Z=À ó ) £) \ 60
ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã ¦ Z : ó è [ £) £) ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ÏÓÁ<à ÎÊpÄZϵǯÅÊpÁ9À BúUü pÿ[ö Uü&ö ö
Con ci`o intendiamo dire che il RBF e` considerato.
æY
Z
.ö Yö ö Y
Z Z
dal sistema dinamico
113
è [ £) £) ¦Z: « « µ probabilit`a che Σ vada da <£)Q Z ¦ = ó lungo si )muove <$£)Q \ ¦Z:ó Bì a <[£)= lungo $ )9$£)= \ E` stato quindi dimostrato nel¦Z: paragrafo 5.2 che £) [ £) emerge come è ðñÀHÌ1Å$à di è 9 ó£)= <¬£)Q sul RBG è £) £) º è £) [ £) ¦Z: « Bì « Ritornando al caso quantistico, e` naturale definire un’ Ã1ðÒÉ9ŬÀHÇKÇYÃéÌ1ÅÈÂ]Ã1ÁJÎUÅOǯÅÊpÁ9À ¦Z ¦Z: ÄÆÏÓÁ ¿µÊ ÏÓÁ (generico) CAQ (condizionata) £) £) ¯ £K £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: a si muove lungo « « ampiezza che vada da ) £ <[$£)=[ lungo )9$£)Q \ ¦Z £K ¦Z:ó )<$£)Q \ ¦Z £K ¦Z:ó Bì 1
¹
0
páq
¶
1
}|
0
|
1
|
º
=|
1
Z
®
¯
1
pr
°
¦
1
±
°
1
±
¹
Ô
0
1
}|
=|
p
Ô
0
1
|
º
=|
E` allora ovvio che l’eq. (3.1) implica
Z¦ : Z¦ ¦Z:¬« è $ £) £) çå æ £) £) ¯ K£
Bì « Ma in virt`u delle eq. (3.19) e (5.70) concludiamo dall’eq. (5.68) che il ÉÂ]Ê ÉSÃ\¿ ÃpȬ¡ Ê1ÂHÀÖÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ emerge qui come ðñÀ]ÌpÅà di 9 $£)Q <¬£)= Y ¦Z £K ¦Z: sul RBF ³]³ [ £) £) zº [ £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: « Bì « ¼ ¦Z ¦Z: A questo punto e` necessario specificare come [ £) [ £) ¯ £K dipenda Z ¦ Z ¦ : ó funzionalmente da ) £) \ £K ¦Z ¦Z: . Notiamo preliminarmente che la struttura di [ £) £) ¯ £K e` £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: º Ó [ ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó] ¦Z £K ¦Z= Bì « µ in quanto – in virt`u del suo significato fisico – essa deve essere nulla per ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó º . Osserviamo che avremmo potuto derivare l’eq. (5.72) dall’eq. (5.28) usando l’eq. (5.70). Potremmo anche cercare di ¦Z ¦Z: determinare per questa via la ËÊpÂðôÃ"ÀUÎBÉ9ÄÆÅÍYÅóȬà di £K , facendo uso °
1
1
°
®
°
O¯
¦
|
1
1
±
0
1
|
±
±
°
0
1
1
|
°
4q
±
°
0
±
1
±
-
1
°
4q
±
1
|
Zù
1
4q3
|
ú¼
|
ù
1
114
¡
della corrispondenza definita dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41) 9 . Ci sembra tuttavia un fatto notevole che si possa pervenire a questa espressione in modo ancora pi`u semplice e totalmente 7 ° . Supponiamo infatti di inserire 1 l’eq. (5.72) nell’eq. (5.71). E` evidente che ± dal particolare integrale dell’eq. (5.61) che e` stato scelto. Pertanto tale 8I dipendenza dovrebbe manifestarsi nel propagatore quantistico. Ma ci`o ° ± e` : dipende da e . Siamo quindi ° 1 Z «± di sul RBF indotti a richiedere che la dipenda da 9 . Si pu`o allora dimostrare che questo requisito determina ù 1 ! Otteniamo in tal modo
ÌpÅ 1ÀÂUÎÊ £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: 1Ì Å[ÉSÀÁ9Ì À £) Ã1Á<Í JÀ Ã1ÎHÎKÏÓÂ]ÌµÊ < $£)Q 9$£)Q ÎÊpÄíÊ 9$£)Q 9¦Z £)Q ¦Z : ðñÀ]Ì1Å$à <[£)= <$£)Q ¯ £K <Á Ê1Á £) ]î ¦Z ¦Z: ÍKÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ £K ¦ £) [ £) Y ¦Z ¦Z £K ¦Z:¦Z: óºH ¤ « ½ B ì Z ¦ Z ¦ : ó « ¡ Ó ) £) \ £K ë ) £) \ £K î Basta ora inserire l’eq. (5.73) nell’eq. (5.71) per concludere che la Â]ÃUɵÉÂHÀUίÀ¯Á ȬÃ.ÇÅ$Ê1Á9Àçà ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ©Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ del propagatore quantistico risulta essere ¦ £) £) }º ¤ « B ì Z ¦ Z ¦ : ó ] Z ¦ Z ¦ : ó « ¡ Ó [ ) £) \ £K [ ) £) \ £K î Questa espressione vale per un’ Ã1 ÅÈÂ]Ã1ÂÅà soluzione $£) dell’equazione di ¡ Hamilton-Jacobi (5.61) ´ , conferendo cos`ı una notevole “flessibilit`a” alla presente formulazione ]³ . L’approccio di Feynman emerge in modo ðôÊpÄÆȬʻÎYÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ nel presente contesto, e la discussione fatta a tale proposito nel paragrafo 5.3 pu`o essere ripetuta qui alla lettera ´ . Ovviamente l’eq. (5.46) diventa ora ¢
°
1
F ¥ ì
B ~
±
0
¢
a F f
a
B
{
1
|
ì
B
{
F&¨
1
|
,
|
4q
Z~
|
´
¢
°
®
0
F ¥ ì
B «~
±
¢
a
B
{
a F f
ì
1
|
B
{
F&¨
4q
1
|
,
|
Z~
|
b
¯
¦
y:
D
9
9
°
£) £) ¯ ¢ ¦Z= º Ó ¢ ) £) \ Z¦ K£ ¦Z:ó: ¦ £) £) ¯ Z¦ K£ ¦Z: ®
±
0
|
°
1
a
1
±
|
¯
Bì « ì 4q
¦
e similmente l’eq. (5.47) assume la forma 61 62 63 64
Tuttavia questa strategia e` ora meno immediata rispetto a quanto si e` visto nel paragrafo 5.3. Ovviamente ð (thV=T ) deve sempre soddisfare l’eq. (5.61). Quanto detto nella nota 55 circa la validit`a dell’eq. (2.52) vale Z per l’eq. (5.74). Vale anche qui l’affermazione fatta nella nota 135.
ö
115
e o
¢ £) £) Y ¢ ¦Z: º ®
°
£) [ £) Y Z¦ K£ ¦Z: « °
1
±
O¯
±
¦
Bì « 4qp
ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄíÃµÈ¬Ê F2 pu`o essere derivato calcolando ÀάÉÄZÅ$ͯÅȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ £) £) ¯ ¢ ¦Z: in termini dei CAQ secondo l’eq. (5.75). (Per questa via si 1ÀÂÅ dÍHà anche la correttezza dell’eq. (5.74)). Ulteriormente il ÉJÊ1ÎUÈÏÓÄOÃpÈ¬Ê F3 si ottiene combinando l’eq. (5.71) con l’eq. (5.76). 5.6 – Mostriamo ora che la ˯Ê1Âð ÏÓÄOÃÇÅ$Ê1ÁÀ&à ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅÃ1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ della meccanica quantistica Í Å$Ã1ÂÅ ÎÍKÀ la natura dei cammini di Feynman ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇKÇYõÈÅ . Vediamo che il °
7
±
G
8I
Probabilmente il lettore sar`a meravigliato dal fatto che abbiamo interrotto la discussione del paragrafo precedente proprio quando eravamo sul punto di fare delle affermazioni sulla relazione fra cammini di Feynman e CAQ, nello spirito dell’analisi basata sulle eq. (5.46) e (5.47) (fine del paragrafo 5.3). Il motivo e` semplice: un tale risultato sarebbe ! A causa del fattore esponenziale presente nell’eq. (5.73) sarebbe infatti trarre conclusioni simili dalle eq. (5.75) e (5.76) 9 . Una maniera piuttosto ovvia di evitare questa difficolt`a consiste nel con° 1 siderare – al posto di ± – la 7 ampiezza
Á<Ê1Á HÍ ÊpÂÂ]ÀYÈ$È¬Ê ÅóÁ<ÌpÅ ÉFÀÁ<̪ÀÁFÈBÀÜÌ Ã1ÄSÂÏÓðôÊ1ÂHÀ À¯ÂÂ)ÃµÈ¬Ê ]ï £) £) ¯ ¦Z £K ¦Z: SÁ ÏSÊ .à [ £) £) ¦Z £K ¦Z: Ó ¦Z [¦Z=)ó £) « \ ¦Z £K ¦Z:ó]U¦ Bì « µ ë$ ) £) \ £K ¡ î Corrispondentemente definiamo su } £) ) £) una ÁSÏSÊ .à ampiezza nel °
1
±
d
0
1
|
1
,
|
|
4qq
Z~
|
Ï
|
7
modo seguente
°
£) [ £) ¢ ¦Z=
±
Ó ¢$ $ ) £) \ Z¦ K£ ¦Z:ó= ¦ [ £) £) Z¦ K£ ¦Z: « ®
0
°
}|
1
±
a
1
|
O¯
Bì « 4qr
¦
}9£)= )< ¬£)=
L’analogia fra le eq. (5.75) e (5.78) e` evidente. Procediamo quindi integrando O| l’eq. (5.78) su Ï . Analogamente a quanto gi`a visto, otteniamo 65
BúUû=ûBö ö ÿ ÿ ú .öQû ú ü&ö
ö Uû ú µ1ö ú .ö Yö ö ÿ&ü <û=ö ý\ü úUûBö
La connessione fra cammini di Feynman e soluzioni dell’eq. (5.36) ricavata dalle eq. (5.46) e (5.47) e` proprio perch´e sotto il segno di &u nel primo membro dell’eq. (5.47) Z sotto il segno +di O nel secondo membro compaiono funw ZY = . Ora invece sotto il segno di O zioni rispetto a nel secondo membro dell’eq. (5.76) e` presente un esponenziale Y !8 , in virt`u dell’eq. (5.73).
116
0 [ £) £) ¢ ¦Z: º
e
®
°
o
±
£) [ £) Z¦ K£ ¦Z: « Bì « °
¯
1
±
4q
¦
Ci siamo ricondotti in tal modo alla situazione discussa nel paragrafo 5.3 (si vedano la eq. (5.46) e (5.47)). ° Z ± Osserviamo che e` possibile calcolare inserendo l’eq. (5.77) nell’eq. (5.78). Con alcune manipolazioni formali (peraltro abbastanza standard) si trova
ÀUάÉÄZÅ$ͯÅȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ < ¬£)= <$£)Q ¢ ¦Z:
[ £) £) ¢ Z¦ : º Ó ¢ H Ó 0 ]U¦ Q 9- µ p 9] ¼ < £) Ä H£) °
^ _ `
e
î
¹
¢
3
Õ
exp
±
a
üû
Õ
g
¢
·
º
B Fý
iaj
Bì « k
r
-
ma ci`o implica
0 £) £) 0 ¦Z: º 0 Ó ¢ ] ª$ 0 HU¦ î « < p p 9 ] ¼ Ä ]£) ) £ exp = - < · « Bì ¼ Ricordando l’eq. (2.52) vediamo – grazie all’eq. (5.81) – che i cammini che contribuiscono ÀÑÜÀ¯È$ÈÅ .Ã1ðñÀ¯ÁFÈBÀ nell’integrale a primo membro dell’eq. (5.79) sono proprio i ÍHÃ1ð ð ÅóÁSÅ Ì1Å ¢À ÁSðôÃ1ÁÖ¿ À¯Á9ÀÂ]Ã1ÄÆÅÇHÇYõÈÅ definiti nel paragrafo 2.8. Giungiamo cos`ı (sulla base delle eq. (5.78) e (5.79)) alla conclusione: ÅþÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ ÌpÅ ¢À ÁSðôÃpÁ» ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄZÅÇHÇ\ÃpÈÅ ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõÈŠ̵Ãñ £) Í SÀçÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁ ¿ Ê1Á<Ê»¦Z £)¦Z:ó ÍKÊ1Á $ £) ÉSÊÎKÎÊ1Á9Ê À¯ÁSÅóÂ]À Å Á<ÈBÀÂ:É9ÂHÀ¯È¬ÃµÈÅ ÍKÊ1ðñÀ ) £) \ £K ίÊ\Ì Ì1ŠΠ˯õÍKÀ¯ÁFÈÅ ÃpÄ ÄOÃÍHÊpÁ<Ì1ÅÇÅ$Ê1Á9À ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó º . e
e
°
o
o
±
^
e
_ `
=a
¹
¢
3
Õ
üû
g
º
Õ
¢
i j k
B Fý
r
«7
´Ù
ËÙ
Jè
Jè
JI
7
0
1
|
66
½þdÿ?
0
1
|
|
|
99
1ú
Yö µö=û ÿ
O
&
Avevamo osservato (paragrafo 3.9) che esistono cammini di Wiener u Z . Ora il motivo di tale affermazione dovrebbe essere chiaro. Infatti, se essiesistessero, dovrebbero essere interpretabili come soluzioni di un’equazione di Langevin dall’eq. (5.2) ma O Z equivalente ad essa. A differenza del potenziale vettore Ω(thV«T ) che compare w nell’eq. (5.36), la drift U (thVT ) che figura nell’eq. (5.2) e` una grandezza O : ci` o preclude la possibilit`a di effettuare su di essa trasformazioni simili all’eq. (5.49) Z alterare le descrizione fisica. Questa circostanza e` conseguenza del fatto che – in assenza di fluttuazioni – un PSMC ubbidisce ad una dinamica O anzich´ e (si ricordi l’eq. (3.22)).
öQû
Uü&ö ö
Uû ú öQÿ
ú QöQû [ÿ Qö ö µö=÷ ú
117
Á<ÊpÁ
Avevamo concluso nel paragrafo 5.3 che sussiste alcun legame fra cammini di Feynman e traiettorie dinamiche classiche nello spazio delle configurazioni. D’altra parte, la rappresentazione del propagatore quantistico presentata nel paragrafo 2.8 suggerisce che per i cammini di Feynman 8 le cose vadano diversamente. Siamo ora in grado di discutere compiutamente questo punto. Contrariamente a quanto si ha per l’eq. (5.36), l’eq. (5.63) – il termine di rumore – possiede un profondo significato in meccanica classica, in quanto essa coincide con l’eq. (5.62). Ci`o comporta che l’insieme 0 1 dei CAQ | | controllati da nasca dalla traiettoria dinamica classica ò | | per effetto del termine di RBF presente nell’eq. (5.63). Quest’ultimo e` la sorgente degli effetti quantistici, che si 0 ] Z~ manifestano nella propriet`a , . Pertanto CAQ , . ComJ7 / Éò | | binando questo risultato con quanto ottenuto sopra abbiamo che i
¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇ
Ç\ÃpÈÅ ÎYÀÁªÇ\Ã
) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó ¦Z=ó £) Ó ) £) \ Ö ¡ î Å ÍHÊpÁFÈÂ]Ê1ÄóÄíõÈÅd̵à £) ÃUÉ ÉJÃpÅÊpÁ<ÊÍHÊ1ðñÀçͯÏÓ À þÏJÈ$ÈÏJÃpÁFÈÅ©ÅóÁFȬÊpÂUÁ9ÊëÃ Ó ) £) \ ¦Z=ó ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ ÌpÅ ¢À ÁSðôÃpÁ ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇKÇYõÈÅþÍKÊ1ÁFÈÂ]Ê1ÄóÄOÃpÈÅ Ì Ã& £) ÉSÊÎKÎÊ1Á9Ê ÀUÎKίÀÂHÀ \Å ÎUÈÅëÅ Á ðôÊÌµÊ ÍKÊ1ðÒÉ9ÄÀ¯È¬ÃpðñÀÁFÈBÀÖÁ<ÃpÈÏÓÂ]Ã1ÄÀ ëÍHÊpðñÀÖ¦Zͯ:ÏÓó  À þÏJÈ$ÈÏSÃ1ÁFÈÅ Å Á<ȬÊ1ÂÁ<Ê Ã1ÄóÄOà ÈÂ]à ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅÃÌ1ÅóÁ<Ãpð ÅÍKÃñÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHÃ Ó )<$£)Q \ . Questo legame – gi`a sospettato nel paragrafo 2.8 – ha una notevole rilevanza concettuale, perch´e mostra che la teoria quantistica possiede una Â]à Ì1Å$ÍKÀÖͯÄOÃÎKÎKÅ$ÍHà pi`u profonda di quanto appaia æÙ
Jè
7
J7
#ò
|
/
=|
dalla formulazione operatoriale (ritorneremo su questo punto nel paragrafo successivo). Vogliamo concludere questo paragrafo osservando che abbiamo verificato implicitamente che l’eq. (5.74) fornisce 7 il propagatore quantistico. Al fine di rendere questo argomento, combiniamo dapprima ê l’eq. (5.79) con l’eq. (5.81), moltiplicando poi per exp ë ambo i membri dell’equazione ottenuta. Un membro di quest’ultima ° equazione risulta essere – grazie all’eq. (2.52) – proprio ± , mentre l’altro membro coincide – in virt`u dell’eq. (5.77) – col secondo membro dell’eq. (5.74).
ÀάÉ9ÄÆÅ$ͯÅȬÊ
£) :
ÀÑÒÀYÈ$ÈÅ Ã1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
= < £) £) £)
5.7 – Bench´e la discussione presentata negli ultimi quattro paragrafi abbia un carattere essenzialmente formale, l’approccio a cammini aleatori offre una della meccanica quantistica, che ci sembra molto rappresentazione «7 semplice e suggestiva. Ancora una volta l’analogia con i PSMC e` illuminante. Abbiamo visto . Possiamo citare, come che il RBG descrive / JI esempio, il caso del moto browniano macroscopico 9A@ , nel quale tali fluttuazioni JI sono le ben note / dell’ambiente. Ritornando al caso generale, le fluttuazioni (classiche) di fondo modificano il comportamento deterministico della particella ¶ (che “materializza” il PSMC considerato): una
ÅóÁFÈÏÓÅóÈÅ .Ã
þÏJÈ$ÈÏJÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅþͯÄOÃÎKÎKÅ$Í JÀçÌ1ÅS˯Ê1Á<Ì Ê þÏJÈ$ÈÏSÃǯÅÊpÁSÅÈBÀÂð Å$Í JÀ
67
û ú µú ö
1û¬:ú ú ü Uý
Tutti i PSMC considerati nel presente Quaderno sono definiti nello spazio delle . Quindi intendiamo in realt` a il moto browniano macroscopico nell’ ZY8Y # * ÊÎ (si ricordi la nota 75).
ö .ü úÿ ý .úU÷
O
u *
×J*
118
Ó ) £)
ÎUÅ Áª¿µÊ1ÄOÃ
) £) \ ¦Z:ó
ËÃpð Åí¿pÄZÅ$à 1 à í Ä B È À  < Á ÃpÈÅ ÀÌpÅbÎ)¿1ÅóϪÁ<ÈBÀ à ̵ÃÞ9$£)= Ã!< ¬£)= ÌpÅÒÈÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9À è 9 £)=[ <$£)Q )<$£)Q \ ¦Z:ó
traiettoria ò | – ottenuta ignorando l’esistenza della fluttuazioni 0 1 di fondo – e` sostituita da una di traiettorie aleatorie | | 1 (una per ogni possibile configurazione del RBG). Abbiamo anche notato associate all’evento che queste traiettorie descrivono le «7 µ “¶ 7 ”. E con argomenti probabilistici la ;: <: <> e` stata derivata1 come media sul RBG in cui 0 | . Ma c’`e un punto che compaiono le traiettorie aleatorie | vogliamo sottolineare (vedremo in seguito che esso ci permetter`a di chiarire alcuni aspetti della teoria quantistica). Al fine di tener conto dell’effetto delle e` stata modificata. fluttuazioni su ¶ , la dinamica del sistema Si e` supposto invece che la dinamica – che e` deterministica quando la si considera nel “vuoto” – avvenga in realt`a in un ambiente in cui sono presenti fluttuazioni classiche di fondo. Seguendo l’analogia con quanto appena visto, ci sembra molto suggestivo 8I immaginare che il RBF descriva / (che interferiscono con alcun effetto deterministico). Supponiamo naturalmente 7 «7 che questo tipo di fluttuazioni modifichi il comporta9M mento deterministico della particella Ô . Esplicitamente, ci`o significa che generica traiettoria dinamica classica ò | | viene sostituita – in presenza delle fluttuazioni quantistiche di fondo – da una famiglia di CAQ 0 1 1 (uno per ogni possibile configurazione del RBF). A | | 0 1 questo punto e` naturale supporre che i CAQ }| descrivano | le associate all’evento “Ô 7 ”. 7 Allora – procedendo parallelamente° a quanto e` stato fatto per i PSMC – si ± come media sul RBF in cui ottiene il 0 1 =| compaiono i CAQ | . Vediamo quindi che gli effetti quantistici nel comportamento di Ô nascono dalla combinazione delle fluttuazioni quantistiche di fondo con la dinamica classica. Viene spontaneo chiedersi quale soluzione dell’equazione di Ha0 1 milton-Jacobi debba essere usata per controllare i CAQ }| . | Come e` stato discusso nel paragrafo 5.5, il risultato finale e` da questa scelta. Ma ci`o implica che i CAQ abbiano unicamente un significato . Non ci si deve meravigliare di questa circostanza: analogamente a quanto avviene per i cammini di Feynman, esiste alcuna distribuzione di ;: ;: <> per i CAQ, che quindi sarebbero interL9n . Ci` pretabili come traiettorie seguite da Ô in senso o nonostante, ragionare in termini di CAQ e` stato molto utile sul piano : ci ha
ÅóÁFÈÂÅ ÁSίÀ]ÍKà ÎUÈBÀUÎKÎÃ
ÉÂ]Ê ]Ã ÅóÄZÅÈ Ã
Á9Ê1Á
þÏJÈ$ÈÏSÃÇÅ$Ê1ÁFŢЯÏSÃpÁFÈÅbÎÈÅÍ JÀ!Ì1ŵ˯Ê1Á9ÌµÊ Á<Ê1Á ÁSÏSÊ .Ê ÏÓÁSÅ À¯ÂKίÃ1ÄÆÅ ÏÓÁ<Ã Ó ) £) \ ¦Z:ó ) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó ¦Z : ó Z ¦ $¸ ) £) \ £K Ã1ÄíÈBÀÂÁ<õÈÅ 1ÀçÌ1Å ÎQ¿pÅ ÏÓÁFÈBÀ .Ãù̵Ãé £) à [ £) É9Â]ÊÉJÃ\¿ ÃpȬÊpÂ]ÀçЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$¦ZÍH Ê <¦Z :£)óQ 9¬£)Q ϪÎKÏSÃ1ÄÆÅ )<¬£)= \ £K £)
ðôõÈBÀðôõÈÅÍKÊ ÍYÄíÃ1ÎHÎUÅÍKà É9Â]Ê Hà ÅóÄÆÅóÈ Ã
öQû ÿ
) £) \ ¦Z £K ¦Z:ó Å Á<ÌpÅ ÉFÀÁ<̪ÀÁFÈBÀ
Á<Ê1Á Á<ÊpÁ ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHÊ
:úUü pÿ[ö Uü&ö ö
ö Yö
ÍKÊ1ð ÏÓÁ<ЯÏFÀ ÀÏÓÂÅbÎÈÅÍKÊ
68
Z Y Z Z nel senso che esse sono æY dal sistema dinamico che si considera. Questa propriet`a segue direttamente dall’eq. (5.64) (si tenga conto della nota 142).
69
Infatti l’eq. (5.69) definisce una distribuzione di æY sui CAQ. Ragionando in modo simile a come e` stato fatto nel paragrafo 2.5 per i cammini di Feynman, e` facile convincersi della correttezza di quanto affermato.
Uü ö
O
119 D
permesso di ottenere una nuova formulazione della meccanica quantistica @ . Vogliamo mostrare ora come la circostanza che i CAQ siano curve fluttuanti intorno ad una traiettoria dinamica classica (nel senso spiegato nel paragrafo precedente) ponga la relazione fra meccanica classica e quantistica in una 7 prospettiva. Ricordando quanto e` stato osservato a proposito della descrizione di Langevin di un PSMC (fine della discussione dei PSMC contenuta in questo `e paragrafo), siamo indotti ad affermare che la dinamica quantistica ´ ` da quella classica. E facile capire il perch´e. Lo scenario 7 che emerge in modo dalla formulazione a cammini aleatori e` che Ô ubbidisce alla dinamica, definita dalle eq. (5.61) e (5.62). Evidentemente – quando questa dinamica ha luogo nello spazio “vuoto” – il comportamento di Ô e` deterministico e si ottiene la meccanica classica. Ma . Al fine di otquesta situazione risulta essere soltanto un’ tenere una descrizione pi`u accurata e` necessario supporre che nell’ambiente siano presenti / JI . A causa di tali fluttuazioni, l’eq. (5.62) viene G e va sostituita con l’eq. (5.63) – proprio come nel caso dei PSMC – mentre l’eq. (5.61) resta . Ed il fatto che le eq. (5.62) e (5.63) differiscano per l’aggiunta del RBF quanto affermato sopra. Possiamo schematizzare tutto ci`o nel modo seguente:
ÁFÏJÊ .Ã
Á<Ê1Á Å ÁFÈÂÅóÁ
ÎYÀ]ÍKÃ1ðñÀÁ<ÈBÀñÌpÅ 1ÀÂUÎà <Á õÈÏÓÂ)ÃpÄOÀ ίÀ¯ðÒÉ9ÂHÀ UÎ ÈBÀUÎKÎÃ
UÃ É É9Â]ÊÎKÎKÅóðôÃÇÅ$Ê1ÁÀ þÏÓÈ$ÈÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$Í JÀÜÌpÅ1ËÊpÁ<ÌµÊ ðôÊÌ1Å dÍHõȬà ŠÁ<ÃpÄÆÈBÀ¯Â]ÃpȬà ÎÊpÄÆȬÃpÁFÈ¬Ê ÅóðÒÉ9ÄÆÅÍKÃ
â ß à ¸ Ø ßÞ¸ Ù ¸ àëê ß ê ß Þ¸ º â ß à ¸ Ø ß¸ Û ¸ z ß Þ¸ § Ô!Û Ù&ê ê!Ù ¸ÞÝ&ß Õà ß Ù ¸ à ê ß ê ß ÷»á â ß ÔÖÕà»âëÕ « Bì « µ Questo scenario fornisce una rappresentazione ÅóÁFÈÏÓÅóÈÅ .à della teoria quantistica, che ha, se non altro, il pregio della semplicit`a. Esso mostra anche in modo ÀUÎBÉ9ÄÆÅÍYÅóÈ¬Ê come la meccanica classica debba essere ðôÊ\Ì1Å dÍKÃpȬà per ottenere la meccanica quantistica, ÎYÀÁªÇ\à che sia necessario introdurre vettori di stato ed operatori. Resta da vedere se la schematizzazione (5.82) fornisce una comprensione ÉÅ ÏçÉ9Â]Ê)˯Ê1Á9̵à della natura stessa della quantizzazione. E` per`o opinione comune che la dinamica quantistica sia ÅóÁFÈÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ ÌpÅ 1ÀÂUÎà da quella classica! Vediamone il motivo. Se si pone £) è £) ¡ î ¤ Bì « ½ rá3
«7
G
<>
7
¢
6
F ì
B «~
Z~
ñ
B
{
F
r
nell’equazione di Schr¨odinger 70
Bú :ö ý ÿ ü&ö ö &
ö =Yú ö µö=û ÿ
In realt`a, i CAQ sono Z sullo Z vale naturalmente anche per i cammini di Feynman u
Z
pianoOdei cammini di Feynman (ci`o ).
120
- £) º ¼ - < £) ¢¦ - 9 ]£) $£) § £) $£) ¡ questa diventa ÀHЯÏÓÅ .Ã1ÄÀÁ<ÈBÀ alla coppia di equazioni
3
Bì «
Õ
r
b
«7
@
£) H§ ¼ 9 £) £) î § Þ £) K§ ä £) º J£éBì « ì § ¼ £) £) £) º Ó£ Bì « ) £ è è 9 < ä £) e` il cosiddetto ÉSÊpÈBÀÁÓÇÅ$Ã1ÄÀÖЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÊ )î in cui « µ ä £) - î £) ¡ î î £) ¡ î « B ì è è î Sappiamo peraltro che la meccanica ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà pu`o essere espressa dalla coppia
¹
r
3
º
Õ
-
rp
.-
Õ
@
f
3
Z~
ráq
Z~
Õ
di equazioni
£) § ¼ < £) ]£) î § Þ £) º Ó£ Bì « § « ¼ è £) £) ] £) è £) º Ó£ Bì in quanto l’eq. (5.89) e` matematicamente À]ÐYϪŠ.ÃpÄOÀ¯ÁFÈBÀ all’equazione « º ¼ £) £) B ì p < · H che si ottiene ponendo £) º ª$! Ó )³ . E` evidente che le eq. (5.86) e è (5.89) coincidono formalmente, mentre l’equazione ÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà di Hamiltonä $£) . Jacobi (5.85) differisce da quella classica (5.88) per la presenza di ¹
rr
3
º
Õ
-
r
Õ
.-
«7
¢
ò
Õ
.
72 73
Hó
71
B F
-
½ò
@
Questa circostanza e` stata notata per la prima volta in: E. Madelung, Zeit. Phys. 40, 322 (1926). D. Bohm, Phys. Rev. 85, 166 (1952). Naturalmente (thVT ) e` la distribuzione (classica) di probabilit`a sullo spazio delle configurazioni di (si tenga presente quanto osservato nella nota 79).
121
ä $ £)Ìp Å ÑÒÀ¯ÂHÀÁªÇ\à ÎȬÃpÈ¬Ê ÅóÁFÈÂÅ ÁSίÀ]ÍKÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
ä £)
Ci`o implica che (in questo contesto) la fra dinamica classica e quantistica e` dovuta unicamente a nell’eq. (5.85) @ . Ma dallo dinamico di Ô (in virt`u dell’eq. (5.87)), quindi la dinamica da quella classica. quantistica differisce Non ci nascondiamo che, a questo punto, il lettore (che ci abbia seguito fin qui!) possa provare un certo senso di disagio, e per diversi motivi. Quanto appena visto sembra essere in contraddizione con ci`o che e` schematizato dall’eq. (5.82). Non solo, ma la formulazione a cammini aleatori pretende di descrivere la dinamica facendo uso di un’equazione di HamiltonJacobi ; per`o dalle eq. (5.85) e (5.88) segue che tale equazione sembra essere valida in meccanica . Ed infine, abbiamo introdotto il concetto di fluttuazioni quantistiche senza preoccuparci di discutere il loro significato fisico. E` un fatto notevole che l’eq. (5.61) – se usata per controllare i CAQ attraverso l’eq. (5.63) – e` perfettamente con l’eq. (5.85). Al fine ` di comprendere come ci`o sia possibile e conveniente considerare l’eq. (5.74). ° ` evidente che si ha @ Se indichiamo con la di 8 ± , e
ÌpÅ ÉFÀÁ<̪À
ЯÏSÃpÁFÈÅbÎÈÅÍKÃ
ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHÃ
´
Á<Ê1Á
ЯÏSÃ1Á<ÈÅbÎÈÅÍKÃ
ÍHÊpÁJÎKÅ ÎUÈBÀ¯ÁFÈBÀ £) ˯ÃίÀ £) £) )ï £) º £) § £) Bì « ¼ £) e` la ËÃ1ίÀ dell’espressione ¦¯¦¯¦ . Sappiamo che £) soddisfa ove l’eq. (5.85), mentre £) e` soluzione dell’eq. (5.61). Pertanto la comparsa ä £) nell’eq. pu`o essere vista qui come una ÍKÊ1ÁJÎYÀ¬¿pÏSÀ¯ÁªÇYà della di £)(5.85) £) º perch´e la nell’eq. presenza di (5.91) – si noti che ¸ ¦Z: per il RBF e` una grandezza ÍKÊ1ðÒÉÄOÀÎHÎà . distribuzione di ampiezza Concludiamo che la differenza fra le eq. (5.61) e (5.85) – cio`e la correzione ä £) – nasce proprio dal fatto che l’evoluzione dinamica clasquantistica
°
± ¦
¼
-
1
@9
sica e` perturbata dalle fluttuazioni quantistiche di fondo. Si osservi che ritroviamo per questa via proprio l’eq. (5.82) (ci`o prova la sua consistenza con l’eq. (5.85)). Ma allora, la dinamica quantistica e` diversa da quelle classica oppure no?
Å ÁFÈÂÅóÁJίÀHÍHÃpðñÀÁFÈBÀ
74
!
75
76
.ú ö ÿ[ö )ý :ú Yö ö=û Öö ! Yö <û¬ú ÿ .ö ÿ[ö
Z dN L’uso del Y per discutere alcuni problemi concettuali della meccanica quantistica e` stato suggerito da L. De Broglie (si veda il Quaderno di Fisica Teorica: S. Boffi, w w yx ( [ (1989)). Questa strategia e` stata sviluppata successivamente da D. Bohm e J. S. Bell:w D. Bohm, B. J. Hiley and P. N. Kaloyerou, Phys. w Rep. 144, 321 (1987); J. S. Bell, JY OAÎJ X &Y OAÎJ ( z O (Cambridge University Press, Cambridge, 1987).
.ö ÿ[ö ý ý\ü éö
Omettiamo per semplicit`a la dipendenza dalle variabili t VT perch´e irrilevante in questa discussione. E` gratificante constatare che, se avessimo cercato di simulare le fluttuazioni quantistiche di fondo con un RBG, avremmo ottenuto ð (thVT ) = 0. Ci`o implica che si avrebbe alcuna correzione quantistica alla dinamica classica!
#"%$
pú
122
ÅóÁFÈÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKà ÍHÊpÁ Á9Ê1Á ίÀ¯ð
E` un merito della formulazione a cammini aleatori mostrare l’ ` proprio la ´ <> delle due dinamiche. Si noti che questa circostanza e del fatto che la dinamica di un PSMC e` alterata dalla presenza delle fluttuazioni classiche di fondo. La situazione : essere diversa se si ragiona nell’ambito della formulazione di Schr¨odinger, nella quale ci si limita a considerare l’effetto delle fluttuazioni (funzione d’onda). quantistiche di fondo sulla distribuzione di ampiezza modo in cui le Infatti – non essendoci pi`u variabili del RBF in gioco – l’ fluttuazioni quantistiche di fondo possono modificare l’evoluzione temporale e` attraverso un termine che classica di ´7 stessa. Ma dallo dinamico di Ô , ci`o significa che la correzione quantistica suggerendo cos`ı che la dinamica quantistica sia diversa da quella classica @@ . Si pu`o giungere alla conclusione anche sfruttando (ancora!) l’analogia con i PSMC (in particolare l’analogia fra equazione di Schr¨odinger ed equazione di Fokker-Planck). Se si paragona l’equazione di Fokker-Planck (3.20) all’eq. (3.24) si e` indotti a pensare che la dinamica del le fluttuazioni classiche di fondo alterino in modo processo. Ma sappiamo che ci`o e` : il termine diffusivo nell’eq. (3.20) rappresenta l’effetto delle fluttuazioni classiche di fondo sulla distribuzione di probabilit`a . Osserviamo infine che le fluttuazioni quantistiche di fondo sono state introdotte sulla base dell’analogia fra meccanica quantistica e teoria dei processi stocastici classici. E` spontaneo chiedersi se esse abbiano un significato G . Purtroppo, non sappiamo rispondere a questa domanda! Osserviamo per`o che la formulazione a cammini aleatori e quanto esposto dall’ delle fluttuazioni in questo paragrafo sono quantistiche di fondo @+M . Concludendo questo Quaderno ci vengono alla mente le parole finali del ('*) ,+ libro di H. Weyl, & (Dover, New York, 1922), ma un minimo di modestia ci suggerisce di parlare sottovoce!
Å$Ì À¯ÁFÈÅÈ Ã ÈÂ]ÊÉJÃ1¯ÈBÀ ÐYÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà ¯Â]Ã
ðñÀ¯ÁFÈBÀ
ÅóÁFÈÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKÃ
ÎÊ1ÄíȬÃ1Á<ȬÊ
ñð À]Ìp ÅÊ $£) ÏÓÁSÅ$ÍHÊ ÍHÊ1ÅóÁ Ê1Ä ¿ À £) Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À ÎȬÃpÈ¬Ê Å ÁFÈÂÅóÁJίÀHÍHà ÎUÈBÀUÎKÎÃ
£) ÃɵÉJÃpÂHÀÁFÈBÀ¯ðñÀÁFÈBÀ
˯Ã1ÄZÎÊ
ÎÊpÄÆȬÃpÁFȬÊ
ðñÀ]Ì1Å$Ê è £) ˯Ê1ÂðôÃ1ÄÀ
}ÎKÅ$ÍHÊ
ÅóÁ<Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À¯ÁFÈÅ
ÅóÁFÈÂÅóÁJίÀHÍHÊ
Å ÁFÈBÀ¯Â:É9ÂHÀ¯È¬Ã.ÇÅ$Ê1Á9À
ÉSõÍKÀ ÅóðñÀÖÃ1Á<Ì "ÃpÈ$ÈBÀ¯Â
¾ 6. Bibliografia
Completiamo questo Quaderno con una bibliografia dei principali argomenti che sono stati considerati. Pensiamo di fare cosa utile al lettore indicando 77
78
Grazie all’equivalenza fra l’eq. (5.84) e le due eq. (5.85) e (5.86), e` possibile ragionare in termini della coppia di funzioni ˜ (t
pú
ö=ûBö
.ö Yö ö=ü&ö ö
Bú
-
123
ðôÃpÈBÀ¯ðôÃpÈÅ$ÍHÃ
con una, due e tre stelle il grado di difficolt`a di ogni testo (facile, medio e difficile per un laureato in Fisica). Anche se questo criterio e` inevitabilmente soggettivo, ci sembra che esso sia sufficientemente orientativo.
KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄÆÅdÌpÅ À ÁSðôÃ1Á»Å ÁòðñÀHÍHÍHÃpÁSÅ$ÍHÃëÐYÏJÃpÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á&ÉSõÍKÀÃpÁ<Ì UÈóÎ I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1ÁÅóÁ þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁòÅ Á þÏSÃ1ÁFÈÏÓ/ ð . ÎUÅͯΠ, J. Math. Phys. 1, 48 (1960) . ð +"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎñÃ1Á91Ì .&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ R. P. Feynman and A. R. Hibbs, þÏSÃ1Á<ÈϪ0 6.1 – ¸
XÙ
8è
¸
ÿ
?
ÁÙ
¸
}A
ÈI<è
?
JI
«I²¸
(Mc Graw-Hill, New York, 1965) .
¢ÄOÃÎKÎKÅ$ÍHÃpÄ "ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎ þÏSÃpÁFÈÏÓð3+"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎ2' dŬÀÄOÌ4) JÀ]ÊpÂ
+ JI 2'(? A. Katz, þ demic Press, New York, 1965) A .
JI
ÈÙ
mI
Jè
(Aca-
Ê1Âð ÏÓÄíõÈÅÊpÁÊ)Ë ¢ÄOÃÎKÎKÅ$ÍHÃpÄ&Ã1Á<Ì þÏJÃpÁFÈÏÓð65 .Á9Ã1ð Å$ÍHÃ1Ä7) JÀHÊ1ÂŬÀUÎ
G. Rosen, Ù þ (Academic Press, New York, 1969)
?
}
(è
mI
.
9Àð Å$ͯÄOÃÎKÎKÅ$ÍHÃ1Ä É É9Â]Ê98pÅ ðôõÈÅÊpÁJÎ ÅóÁ ùà À:+ À
M. V. Berry and K. E. Mount, & , Rep. Prog. Phys. 35, 315 (1972) 8I
Í ÓÃpÁSÅͯÎ
J. B. Keller and D. W. McLaughlin, thly 82, 451 (1975) A .
&9ÍHÃpÈ$ÈBÀ¯ÂÅ Á 1 ¿ =ÒÃÎYÀ]ÌëÊpÁÈ JÀ
)
ÿ
A
181 (1975) . W. J. Miller, (1975) .
7
J
SÀ ¢À ÁSðôÃpÁ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1Ä , Am. Math. Mon-
mI
Ù
Jè
¸
&Àð Å$ͯÄOÃÎHÎUÅÍKÃ1Ä É É9Â]Ê98pÅ ðôõÈÅÊpÁȬÊ<;À]à Ê1Á ¢À ÁSðôÃpÁ>. ÃµÈ KÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄ?+"À¯È JÊ\Ì , Phys. Rep. 22,
T. K¨oling and R. A. Malfliet, «I
$K
.
Ù
ÿ
Jè
7y轸
«I߸
«I
¢ÄíÃ1ÎHÎUÅÍKÃ1Ä }Å ð ÅÈ þÏJÃpÁFÈÏÓð@+ À]Í ÓÃ1ÁFÅͯΠ, J. Chem. Phys. 63, 996 þ
5
?
8I
ÃpÈ SÀðôõÈÅÍKÃ1Ä) JÀHÊ1 Ê]Ë À ÁSðôÃ1Á
S. A. Albeverio and R. J. Hoegh-Krohn, + «I . «I߸ (Springer, Berlin, 1976) AA .
&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ
mI
Jè
[Ù
8è
ÃpÈ KÁ<ÈBÀ¬¿1Â]õÈÅÊpÁÅ ÁBAéÊ1Á
C. De Witt-Morette, A. Maheswari and B. Nelson, . «I߸ C , Phys. Rep. 50, 225 (1979) «7 ? /+ JI
. ÀÄOÃpÈÅ \Å ÎUÈÅ$Í þÏSÃ1ÁFÈÏÓð "ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎ B. Simon, ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1ÁÃ1Á9Ì þÏSÃ1ÁFÈÏÓðD. .ÎKÅ$ÍÎ (Academic Press, Ù
ʸ
New York, 1979)
A}
½?
}A
#I;è
.
&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎÅ Á þÏSÃ1Á<ÈϪðE) JÀHÊ1 GF ÒÁHþÏJÈÄOÊ\ÊJIçÊ]ËK=ÒÃÎKÅ$Í
M. S. Marinov, . «I¸ ? , Phis. Rep. 60, 1 (1980) A . þ
}ÊpÁ<ÍKÀ=ÉÈóÎ
mI
Jè
Éÿ
&À]ÊpðñÀ¯È M'1. ÃpÂÈÅ$ͯÄÀUÎÃ1Á<Ì dŬÀÄOÌÎ (Odense University Press, . L. Schulman, )9À]ÍYÁSÅ$ЯÏFÀUÎÞÃ1Á<Ì þɵÉ9ÄÆÅ$ÍHÃpÈÅ$Ê1ÁSÎÒÊ)ËN.&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1Á (Wiley, New
B. Felsager, L Odense, 1981)
Jè
Ù
A
üÿ
York, 1981)
}
«Iظ
.
þÏSÃpÁFÈÏÓð SÀ]Êp Ê)ËP+ÃpÁ RQSÃpÂÅà ÄÀS& .ÎUÈBÀ¯ðÖÎÜÃ1Á9Ì dÅ$À¯ÄíÌ1Î (World
O)mI è B. Sakita, ? Scientific, Singapore, 1985)
´è
A
.
<:
´è
(Ù
124
¢À ÁSðôÃ1Á ÃpÈ KÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄ[ÎTFS&<Ê1ðñÀKUV8 õÍYÈ
K. C. Khandekar and S. V. Lawande, Ù Jè 1. «I¸ C , Phys. Rep. 137, 115 (1986) %ÿ
ÀUÎUϪÄíÈóÎÃpÁ<Ì É É9ÄÆÅÍKÃpÈÅ$Ê1ÁJÎ
.
A
À Á
ðôÃpÁ KÁFÈBÀ¬¿pÂ]Ã1ÄZÎdÅóÁ JÀHÊ1ÂHÀ¯ÈÅ$ÍHÃpÄ ÏJÍYÄOÀHÃ1ÂÃ1Á<Ì <ȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ1Ä .ÎKÅ$ÍÎ
R. Cenni, E. Galleani D’Agliano, F. Napoli, P. Saracco and M. Sassetti, Ù 8è ´ L¸ >)mI W'%A S& X.#I;è (Bibliopolis, Napoli, 1989) . M. C. Gutzwiller, Ber- lin, 1990) .
JõÊ1ÎéÅóÁ ¢ÄíÃ1ÎHÎUÅÍKÃ1ÄzÃ1Á<Ì þÏJÃpÁFÈÏÓðY+"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎ
þ)I
þ
Á?
(Springer,
JI
KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄÆÅdÌpÅ À ÁSðôÃ1Á»Å ÁòðñÀHÍHÍHÃpÁSÅ$ÍHà ÎȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á&ÉSõÍKÀÃpÁ<Ì UÈóÎ I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1ÁÅóÁ þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁòÅ Á þÏSÃ1ÁFÈÏÓ/ ð . ÎUÅͯΠ, J. Math. Phys. 1, 48 (1960) . S. G. Brush, ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄ[ÎÖÃ1Á
XÙ
8è
¸
ÿ
?
ÁÙ
Ù
}A
¸
33, 79 (1961)
A
¸
ÈI<è
ÈI;è
.
þÏSÃ1Á<ÈϪð0+"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎñÃ1Á9Ì1.&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ
R. P. Feynman and A. R. Hibbs, ? (Mc Graw-Hill, New York, 1965) .
«I²¸
]À Í ÓÃ1ÁFÅͯΠ(Benjamin, London, 1972) . F. W. Wiegel, .&ÃpÈ KÁ<ÈBÀ¬¿1Â]ÃpÄ\+"ÀYÈ ÓÊÌÎÅóÁ]&FȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃpÄ[+ À]Í JÃ1ÁSÅ$ÍÎ , Phys. Rep. R. P. Feynman,
&FȬõÈÅbÎÈÅÍKÃ1Ä\+
JI
«I
16, 57 (1975)
A
8I
¸
A
«I
JI
.
ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ Å Á þÏJÃpÁFÈÏÓð dŬÀÄOÌ) JÀHÊ1 Ã1Á9Ì&FȬõÈÅbÎ ÈÅ$ÍHÃpÄ\. .ÎKÅ$ÍÎ (Reidel, Dordrecht, 1983) . C D. Amit, dÅ$À¯ÄíÌ>) JÀ]Êp ^' À¯Á<Ê1ÂðôÃpÄZÅÇYõÈÅÊpÁLþÂ]Ê1ÏÉòÃpÁ<Ì ¢ÂÅÈÅÍKÃ1Ä_. SÀÁ<ÊpðñÀÁ<à V. N. Popov,
Ù
m¸
$?
ÑÙ
mI
Ù
mI
Jè
þ
(World Scientific, Singapore, 1984)
A
ðñÀ¯Â <ÍYÅ$À¯Á<ÍKÀ
ÈI
.
KÁFÈÂ]ÊÌ1ÏSÍYÈÅ$Ê1ÁëÈ¬Ê &ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1Ä "À¯È JÊ\Ì1Î Å Áa. .ÎKÅ$ÍÎ Ã1Á9Ì7. Ê1Ä
7. «Iظ `+ «I F. W. Wiegel, ¸ 7& (World Scientific, Singapore, 1986) . J. W. Negele and H. Orland, Wesley, New York, 1987) A . G. Parisi,
Jè
A
#I;è
&FȬõÈÅbÎÈÅÍKÃ1Ä
þÏSÃ1Á<ÈϪðb+"Ã1Á ?
dÅ$À¯ÄíÌ]) SÀ]Ê1Â
dÙ
c.
´è
mI
Jè
ÈI<è
Ã1¯ÈÅ$ͯÄÀd& .ÎUÈBÀ¯ðÖÎ ´è
©è
(Addison-
(Addison-Wesley, Reading, 1988)
A
ðôÃpÁ KÁFÈBÀ¬¿pÂ]Ã1ÄZÎdÅóÁ JÀHÊ1ÂHÀ¯ÈÅ$ÍHÃpÄ ÏJÍYÄOÀHÃ1ÂÃ1Á<Ì <ȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ1Ä .ÎKÅ$ÍÎ
.
À Á
R. Cenni, E. Galleani D’Agliano, F. Napoli, P. Saracco and M. Sassetti, Ù 8è ´ (Bibliopolis, L¸ >)mI W'%A S& X.#I;è Napoli, 1989) .
þÏSÃpÁFÈÏÓð dÅ$À¯ÄíÌa) SÀ]Êp ÃpÁ<Ì ¢ÂÅóÈÅ$ÍHÃpÄX. JÀ¯Á<Ê1ðñÀ¯Á<à (Clarendon
J. Zinn-Justin, ? Press, Oxford, 1989)
úÙ
}
mI
è
%þ
ÈI
.
KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄÆÅdÌpÅ À ÁSðôÃ1Á»Å ÁÈBÀHÊ1ÂÅà ÐYÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHà ̪ÀÅdÍKÃ1ðÒÉ9Å À ) SÀ]ÊpÂUŬÀUÎ , Phys. Rep. 9, 1 (1973) E. S. Abers and B. W. Lee, L Ã1Ïp¿ªZ 6.3 – ¸
XÙ
8è
mI
}
.
125
þÏSÃ1Á<ÈϪð ªÂ)ÊpðôÊ\Ì .Á9Ã1ð Å$ÍÎ , Phys. Rep. 36, L. Faddeev and A. A. Slavnov, L ÃpÏp¿ À dÅ$À¯ÄíÌ1Î (Benjamin, Reading, 1980) . C. Itzykson and J. B. Zuber, þÏSÃ1Á<ÈϪð dÅ$À¯Äíe Ì ) JÀHÊ1 (McGraw-Hill, New
W. Marciano and H. Pagels, 137 (1978) A .
?
þ)I
è
}
!Ù
?
York, 1980)
Ù
mI
Jè
.
}
&Ã1¯ÈÅÍYÄOÀf. .ÎUÅͯÎÖÃ1Á9Ì KÁFÈÂ]Ê\Ì1ÏSÍ\ÈÅÊpÁ"È¬Ê dŬÀÄOÌg) JÀ]ÊpÂ
T. D. Lee, . New York, 1981)
ÈI;è
A
%¸
Ù
mI
Jè
, (Harwood,
.
þÏSÃ1ÂhIÎ2' À:ÉȬÊ1ÁJÎÞÃ1Á<ÌL ÃpÏp¿ À dŬÀÄOÌÎ (World Scientific, Singapore, R. Rajaraman, &<Ê1ÄÆÅóȬÊpÁJÎ&Ã1Á<Ì HÎUȬÃpÁFȬÊ1ÁJÎ (North-Holland, Amsterdam, 1982) . V. N. Popov, ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ Å Á þÏJÃpÁFÈÏÓð dŬÀÄOÌ) JÀHÊ1 Ã1Á9Ì&FȬõÈÅbÎ ÈÅ$ÍHÃp\Ä . .ÎKÅ$ÍÎ (Reidel, Dordrecht, 1983) . D. Amit, dÅ$À¯Äí> Ì ) JÀ]Êp ^' C À¯Á<Ê1ÂðôÃpÄZÅÇYõÈÅÊpÁ LþÂ]Ê1ÏÉòÃpÁ<Ì ¢ÂÅÈÅÍKÃ1_Ä . SÀÁ<ÊpðñÀÁ<Ã
K. Huang, 1982) A .
?
H5
×Ù
¸
Ù
A
m¸
$?
ÑÙ
mI
Jè
A
#I;è
Ù
mI
Jè
þ
(World Scientific, Singapore, 1984) L. H. Ryder, bridge, 1985)
.
A
þÏSÃ1Á<ÈϪð dŬÀÄOÌi) SÀ]Êp ?
Ù
}
mI
ÈI
è
(Cambridge University Press, Cam-
.
þÏSÃpÁFÈÏÓð SÀ]Êp Ê)ËP+ÃpÁ RQSÃpÂÅà ÄÀS& .ÎUÈBÀ¯ðÖÎÜÃ1Á9Ì dÅ$À¯ÄíÌ1Î (World . D. Bailin and A. Love, KÁFÈÂ]Ê\ÌpÏSÍYÈÅ$Ê1ÁȬÊ]L Ã1Ïp¿ªÀ dÅ$À¯ÄíÌ]) JÀHÊ1 (Adam Hilger,
O)mI è B. Sakita, ? Scientific, Singapore, 1985)
´è
<:
¸
Bristol, 1986)
´è
(Ù
A
üÙ
mI
Jè
.
A
þÏJÃpÁFÈÏÓð .ÎKÅ$ÍÎTF ϪÁ9ÍYÈÅ$Ê1Á<ÃpÄ KÁFÈBÀ¬¿pÂ]Ã1Ä.&Ê1ÅóÁFÈ Ê]Ë Å¬À ª] Ê1ðôÊ\Ì Á<Ã1ð Å$ÍÎ (World Scientific, SinT. Muta, ÊpϪÁ9̵ÃpÈÅ$Ê1ÁSÎþÊ)Ë þÏSÃ1ÁFÈÏÓð j.#I;è J. Glimm and A. Jaffe, ? Q (k (Sprin- ger, Berlin, 1987) A} . Ù
!?
gapore, 1987)
L
S. Pokorski, 1987) A .
ÿ
¾þ)I
Ù
l¸
è
.
}
Ã1Ïp¿ À dŬÀÄOÌZ) SÀ]ÊpÂUŬÀUÎ (Cambridge University Press, Cambridge, #Ù
mI
À dŬÀÄOÌÎÃ1Á9Ì&FÈÂÅ Áª¿Î (Harwood, New York, 1987) . R. J. Rivers, .&ÃpÈ KÁ<ÈBÀ¬¿1Â]ÃpÄl+ À¯È JÊ\ÌÎ Å Á þÏSÃpÁFÈÏÓð dÅ$À¯ÄíÌB) SÀ]Êp (Cambridge A. M. Polyakov,
L&Ã1Ïp¿
}A
ÉÙ
«IƸ
«I
z?
University Press, Cambridge, 1987)
A
·Ù
mI
è
.
&FȬõÈÅbÎÈÅÍKÃ1Ä dÅ$À¯ÄíÌ]) SÀ]Ê1 (Addison-Wesley, Reading, 1988) . P. Ramond, dŬÀÄOÌm) SÀ]Ê1 GF Y+ÊÌ ÀÂÁ.þÂÅóðñÀ (Addison-Wesley, Reading, G. Parisi,
Ù
dÙ
1989)
A
.
mI
mI
Jè
A
Jè
ÿ
þÏSÃpÁFÈÏÓð dÅ$À¯ÄíÌa) SÀ]Êp ÃpÁ<Ì ¢ÂÅóÈÅ$ÍHÃpÄX. JÀ¯Á<Ê1ðñÀ¯Á<à (Clarendon
J. Zinn-Justin, ? Press, Oxford, 1989)
úÙ
}
.
mI
è
%þ
ÈI
126
Â)ÊÍKÀKÀ]Ì1ÅóÁ ¿1ÎéÌ1ÅdÍKÊ1ÁYËYÀÂHÀÁÓÇ\À!ÎKÏÓÄóÄ ÅóÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄOÀôÌ1Å ¢À ÁSðôÃpÁ ÜÁ<Ã1Ä .ÎKÅ ÎçÅ Á ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ&ÉSõÍUÀ , ed. by W. T. Martin and I. Segal (MIT Press, 6.4 – .
ÿ
â
©è
)Ù
Jè
Ù
Cambridge Mass., 1964).
ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á9Ã1Ä KÁFÈBÀ¬¿pÂ)õÈÅÊpÁùÃ1Á9Ì UÈóÎ þɵÉ9ÄÆÅ$ÍHÃpÈÅ$Ê1ÁSÎ , ed. by A. M. Arthurs (Claren-
Ù
´¸
¸
×ÿ
don Press, Oxford, 1975).
.&ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎÒÃ1Á9Ì1) SÀÅó þɵÉ9ÄÆÅ$ÍHÃpÈÅ$Ê1ÁSÎ Å Á þÏSÃ1ÁFÈÏÓð' &<ȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ1ÄÃ1Á<Ìn&<ÊpÄZÅ$Ì &<ȬÃpÈBÀ. ÎUÅͯΠ, ed. by G. J. Papadopoulos and J. T. Devreese (Plenum, New «IL¸
mI
Èÿ
Ó?
ÈI<è
York, 1978).
¢À ÁSðôÃpÁB. ÃpÈ KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ , ed. by S. Albeverio et al. (Springer, Berlin 1979). ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á9Ã1Ä KÁFÈBÀ¬¿pÂ]ÃpÈÅ$Ê1Á%F,) SÀ]Ê1 çÃ1Á9Ì þɵÉ9ÄÆÅ$ÍHÃpÈÅ$Ê1ÁSÎ , ed. by J. P. Antoine and Ù
Jè
«I¸
Ù
ʸ
mI
Jè
Lÿ
E. Tirapegui (Plenum, New York, 1980).
.&ÃpÈ
KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ(F0ËUÂ]Ê1ð ðñÀ_QȬÊo+"ÀlQ , ed. by M. C. Gutzwiller, A. Inomata, J.
«I¸
R. Klauder and L. Streit (World Scientific, Singapore, 1986).
&ÃpÈ SÏÓð ðôõÈÅÊpÁ &Í Å¬À À¯ðñÀÁFÈóÎ ÃpÁ<Ì Ê\ÃpÄ[Î
. «Ip& %F ÿ 8I J7 qL , ed. by S. Lundqvist, A. Ranfagni, V. Sa-Yakanit and L. S. Schulman (World Scientific, Singapore, 1988).
¢À ÁSðôÃpÁ Î þÏSÃ1ÁFÈÏÓð "À]Í ÓÃpÁSÅͯÎ
<ÀHÃ1ÂUÎñÃ)ËÈBÀ UÈóÎ þÂ]ÊUÉSÊÎÃpÄ
, ed. by A. Ù Jè lâ ? O+ 8I frsut ظ o. Ranfa- gni, D. Mugnai, P. Moretti and M. Cetica, Nuovo Cimento 11D, 1-350 (1989).
)9À]ÊpÂUÅ$ÃÌ
À¯Å9É9Â]Ê\ÍUÀUÎHÎUÅ}ÎUȬÊÍHÃ1ÎUÈÅ$ͯÅKv=ͯÄOÃÎKÎKÅ$ͯÅxw J. Doob, &<ȬÊ\Í JÃÎÈÅÍf.Â]Ê\ÍKÀÎHÎYÀUÎ (Wiley, New York, 1953) . AéÊ1ŠίÀÜÃpÁ<Ìy&FȬÊÍ ÓÃ1ÎUÈÅ$z Í .þÂ]Ê\ÍUÀUÎKίÀUÎ , ed. by N. Wax (Dover, New York, 1954) . C Ì )FÊÉ9Å$ÍÎÅóoÁ . .ÎKÅ$ÍHÃplÄ &<ͯŬÀÁ9ÍKÀUÎ (Interscience, M. Kac, .Â]Ê ]à ÅóÄZÅÈ ÃpÁ<Ì ÀÄOÃpÈBÀH< 6.5 –
}A
JI
A
JI
;: <:
London, 1959)
è
#I;è
.
A
KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1ÁÅóÁ ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á&ÉSõÍKÀÃpÁ<Ì UÈóÎ þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁòÅ Á þÏSÃ1ÁFÈÏÓð/. ÎUÅͯΠ, J. Math. Phys. 1, 48 (1960) . W. Feller, ÒÁ KÁFÈÂ]Ê\ÌpÏJÍ\ÈÅÊpÁ+ȬÊ.þÂ]Ê Hà ÅóÄÆÅóÈ {) JÀ]Êp »Ã1Á9Ì UÈóÎ þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁJÎ I I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, ÿ
?
ÿ
¸
¸
}A
Á¸
;: ;:
and II (Wiley, New York, 1961)
+ÃpÂ|I1Ê 7.þÂ]Ê\ÍUÀUÎKίÀUÎ and H. McKean, ! 5 ÅÑ
E. Dynkin,
ÁÙ
ÈI<è
7
K. Itˆo (Springer, Berlin, 1965)
A}
.
}
è
mI
Jè
¸
Øÿ
.
(Springer, Berlin, 1965)
A}
.
ϪÎUÅÊpÁ}.þÂ]Ê\ÍUÀUÎKίÀUÎ+Ã1Á9Ì~) JÀ¯Å Â4&<ÃpðÒÉ9ÄÀg. ÃµÈ µÎ mI
«I
ŬÀÁÀÂÞÃ1Á<Ì KÁ<ÈBÀ¬¿1Â]õÈÅÊpÁ ÅóÁ ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<&ÉJà ÍKÀ , Bull. Am. Math. Soc.
M. Kac, K 72, 52 (1966)
(¸
A
.
Ù
127
Á<Ã1ð Å$ÍHÃpÄ SÀ]ÊpÂUŬÀUÎÞÊ)Ë=&Â]ÊJkzÁSÅ$Ã1Á1+ÊpÈÅ$Ê1Á (Princeton University C Ã1Á<Ì Ê1ðOA!ÊpÅbÎYÀ (Gordon and R. L. Stratonovich, )<ÊUÉ9Å$ÍÎçÅóÁ+È JÀ]) SÀ]Êp òÊ)Ë
E. Nelson, 5(è V)mI Press, Princeton, 1967) }A .
«I
Breach, New York, 1967)
Â]Ê\ÍKÀÎHÎYÀUÎ
A
mI
.
è
KÁFÈÂ]Ê\ÌpÏSÍYÈÅ$Ê1Á ȬÊòÈ JÀ) JÀHÊ1 »Ê]Ë C pà Á<̵Êpð
I. I. Gihman and A. V. Skorohod, ¸ . (Sounders, Philadelphia, 1969)
}A
mI
Jè
.
ÓÃÎÈÅÍ KÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄ[Î (Academic Press, New York, 1969) . B. De Finetti, )9À]Ê1ÂÅ$ÃÌ ÀÄóÄOÃy.Â)Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã , vol. 1 e 2 (Einaudi, Torino, 1970) . D. Freedman, =&Â)ÊGkzÁSÅ$Ã1, Á +ʵÈÅÊpÁ Ã1Á9SÌ 5!Å Ñ ÏªÎKÅ$Ê1Á (Holden-Day, San Francisco, H. P. McKean,
&FȬÊ\Í
«I
8I
L¸
}A
<: <:
1971)
.
AA
<>
A
JÃÎUÈÅ$Ín5!Å ÑÒÀÂHÀ¯ÁFÈÅÃpÄ\U&ЯÏSÃpÈÅ$Ê1ÁJÎ (Sprin. L. Arnold, &FȬÊ\Í ÓÃÎÈÅÍn5Å ÑÒÀ¯Â]À¯ÁFÈÅ$Ã1ÄU&ЯÏSÃpÈÅ$Ê1ÁJÎ (Wiley, New York, 1973) À .þÂ]ÊÍKÀUÎKÎK7Å &<ȬÊ\ÍHÃ1ÎUÈÅ$ͯŠ(BorA. Papoulis, .Â]Ê ]à ÅóÄZÅÈ ÃR'gQSÃpÂUÅ$à ¯Å ÄÆÅ ÒÄÀ]ÃpȬÊpÂÅ$Àò I. I. Gihman and A. V. Skorohod, ger, Berlin, 1972) }A .
&FȬÊÍ
JI
AA
8I
;: <:
<>
;:
inghieri, Torino, 1973) .
ÿ
JÀ JÀHÊ1 !Ê)Ë FȬÊÍ ÓÃ1ÎUÈÅ$ÍP.þÂ]Ê\ÍUÀUÎHÎYÀUÎ , vol. 1,
I. I. Gihman and A. V. Skorohod, )mI y)mI Jè & 2 and 3 (Springer, Berlin, 1974/1975/1979) }A .
JI
<ȬÊ\Í JÃÎÈÅÍ !Å ÑÒÀÂHÀ¯ÁFÈÅÃpÄU&ЯÏSÃpÈÅ$Ê1ÁJÎòÃ1Á<Ì þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁJÎ (Aca. N. G. Van Kampen, &FȬÊ\Í ÓÃ1ÎUÈÅ$Íy5!Å ÑÒÀÂHÀÁ<ÈÅÃpÄ\U ÐYÏSÃpÈÅ$Ê1ÁJÎ , Phys. Rep. 24, 171 B5 A. Friedman, & JI demic Press, New York, 1975)
zÿ
A}
8I
(1976)
A
.
dÄÆÏSÍYÈÏSÃpÈÅ$Ê1ÁJÎ
FÈÏSÌ1ŬÀUÎçÅóÁ FȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃpÄ À]Í JÃ1ÁSÅ$ÍÎ
M. Kac and J. Logan, Ù , in: & , 4& + JI vol. VII, ed. by E. W. Montrol and J. L. Lebovitz (North-Holland, Amsterdam, 1979) A .
&Â]ÊJkzÁSÅ$Ã1ÁB+"ÊpÈÅ$Ê1Á (Springer, Berlin, 1980) . M. Kac, KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1Á ÅóÁ ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁu&ÉSõÍUÀUÎùÃ1Á9Ì&9Ê1ðñÀ»Ê)Ë UÈóÎ þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁJÎ
T. Hida, =
A}
¸
Ù
߸
(Scuola Normale Superiore, Pisa, 1980)
}A
ßÿ
.
SÀ]Ê1 Ã1Á<Ì þɵÉÄZÅ$ÍHõÈÅÊpÁJÎÊ]Ë7&FȬÊ\Í ÓÃ1ÎUÈÅ$Ín5!Å ÑÜÀÂHÀÁFÈÅ$Ã1Ä[U ÐYÏJõÈÅÊpÁJÎ
Z. Schuss, )mI Jè %ÿ (Wiley, New York, 1980)
8I
AA
.
FȬÊÍ ÓÃ1ÎUÈÅ$ÍP.þÂ]Ê\ÍUÀUÎHÎYÀUÎÅóÁo. .ÎKÅ$ÍÎ Ã1Á<Ì JÀ¯ð ÅbÎÈ (North. C. W. Gardiner, ;éÃ1Á<Ì ]ÊÊRIÊ)Ë&FȬÊ\Í ÓÃ1ÎUÈÅ$ÍN+ À¯È ÓÊÌÎ (Springer, Berlin, 1983) . Å .Â]Ê\ÍKÀÎHÎUÅ &FȬÊ\ÍKÃÎUÈÅ$ͯŠ(Editori Riuniti, Roma, A. D. Ventsel, )<ÀHÊ1ÂÅÃÌ À¯, N. G. Van Kampen, & JI Holland, Amsterdam, 1981) <:
1983) }A .
#I;è
ßþ)I
Jè
A
8I
«I
A
128 E. S. Ventsel,
)9À]Ê1ÂÅ$ÃÌ
ÀÄóÄÀ*.þÂ]Ê HÃ ÅóÄÆÅóÈ Ã ;: ;:
<>
(Mir, Mosca, 1983) .
KÁFÈÂ]Ê\ÌpϵÇÅ$Ê1Á9ÀÃ1ÄóÄíÃm.Â]Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã R. Serra, M. Andretta, G. Zanarini e M. Compiani, KÁFÈÂ]Ê\ÌpÏpǯÅÊpÁ9ÀçÃpÄ ÄOà dÅ ÎKÅ$ÍHà ̪ÀÅV&FÅbÎÈBÀð Å }ÊpðÒÉ9ÄÀUÎHÎUÅ (Clueb, Bologna, 1984) . B. V. Gnedenko, )<ÀHÊ1ÂÅ$à ̪ÀÄóÄíÃ,.Â]Ê ]à ÅóÄZÅÈ Ã (Editori Riuniti, Roma, 1987) . R. Kubo, M. Toda and N. Hashitsume, &FȬÃpÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃp Ä . .ÎKÅ$ÍÎ II (Springer, Berlin, 1987) . T. C. Gard, KÁ<ÈÂ)ÊÌ1ÏSÍYÈÅ$Ê1Á Ȭ* Ê &FȬÊÍ JÃÎUÈÅ$Í 5Å ÑÒÀ¯Â]À¯ÁFÈÅ$Ã1XÄ U ÐYÏJõÈÅÊpÁJÎ (Dekker, New York, 1988) . H. Risken, ) SÀ JÊ I9IpÀ .ÄíÃpÁ<(Í InU&ЯÏSÃpÈÅ$Ê1Á (Springer, Berlin, 1988) . N. Ikeda and S. Watanabe, &FȬÊ\Í ÓÃÎÈÅK Í 5Å ÑÒÀ¯Â]À¯ÁFÈÅ$Ã1 Ä U&ЯÏSÃpÈÅ$Ê1ÁSÎÒÃ1Á<7Ì 5!Å Ñ ÏªÎKÅ$Ê1Á .Â]Ê\ÍKÀÎHÎYÀUÎ (North-Holland, Amsterdam, 1989) . 6.6 – Ê1Âð ÏÓÄíÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀéÌ1Å AÀÄZÎÊpÁ"Ì À¯Ä ÄOÃñðñÀ]ÍHÍKÃ1ÁSÅ$ÍHà ЯÏSÃ1ÁFÈÅ ÎUÈÅ$ÍHÃ Ä ) SÀ]ÊpÂUŬÀUÎÞÊ)Ë =&Â]JÊ kzÁSÅ$Ã11Á +ÊpÈÅ$Ê1Á (Princeton University E. Nelson, 5 Á<Ã1ð Å$ÍHÃpV Press, Princeton, 1967) . G. C. Ghirardi, C. Omero, A. Rimini and T. Weber, ) J* À &FȬÊ\Í ÓÃÎÈÅÍ KÁFÈBÀÂ:ÉÂ]À ȬõÈÅÊpÁ Ê)Ë þÏSÃ1Á<ÈϪ ð +"ÀHÍ JÃ1ÁSÅ$ÍTÎ F ¢ÂÅÈÅÍKÃ1Ä C À \Ŭ(À k , Rivista Nuovo Cimento 1, 3 (1978) . F. Guerra, &FÈÂÏSÍYÈÏÓÂ]Ã1Ä ÞάÉFÀ]Í\ÈóÎÊ)] Ë &<ȬÊ\Í JÃÎÈÅÍ + À]Í ÓÃ1ÁFÅͯΠÃ1Á
;: <:
¸
[þ
<>
%Ù
;: <:
<>
ÈI<è
A
¸
JI
}
mI
üÙ
}
J
8I
AA
Ù
(è
mI
}A
mI
?
JI
ÿ
þ
8I
¸
8
J7
ÿ
Ù
mI
JI
8I
JI
Jè
mI
?
8I
ÿ
?
«7
mI
Jè
7
m5
JI
JI
}
?
Ù
AA
JI
²?
6Ù
?
Ù
mI
Jè
8I
z?
A
8I
«I
JI
JI
#I;è
A
)ÿ
129
Addendum Dopo aver completato il presente Quaderno, siamo venuti a conoscenza delle seguenti pubblicazioni riguardanti l’integrale di Feynman.
¢ÄOÃÎHÎUÅÍKÃ1Ä ÃpÁ<Ì þÏJÃpÁFÈÏÓð5 Á<Ã1ð Å$ÍÎ (Springer, H. M. Fried, ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä[+"À¯È JÊ\Ì1ÎÃ1Á<Ì,+"Ê\̪ÀÄZÎ!Å Á þÏSÃpÁFÈÏÓð dŬÀÄOÌg) JÀHÊ1 , (MIT Press, Cambridge,1972) . ð +"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍÎ&FȬõÈÅbÎÈÅͯÎÃpÁ<Ì.&Ê1Ä .ðñÀ¯Â H. Kleinert, . ÃµÈ KÁFÈBÀ¬¿pÂ]Ã1ÄZÎdÅóÁ þÏJÃpÁFÈÏÓ
. .ÎKÅ$ÍÎ (World Scientific, Singapore, 1990) . F. Langouche, D. Rockaerts and E. Tirapegui, ÏÓÁ<Í\ÈÅÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpÈÅ$Ê1ÁÃpÁ<Ì &Àð Å$ͯÄOÃÎHÎUÅÍKÃ1[Ä UV8UÉSÃ1ÁJÎUÅÊpÁJÎ (Reidel, Dordrecht, 1982) . V. N. Popov, ÏÓÁ<ÍYÈÅ$Ê1Á9Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ ÃpÁ<Ì }Ê1ÄóÄOÀHÍYÈÅ À 2À 8µÍ¯ÅȬÃpÈÅ$Ê1ÁSÎ (Cambridge University Press, Cambridge, 1987) . J. Rzewuski, dŬÀÄOg Ì ) JÀHÊ1 (Iliffe Books, London, 1969), 2 vols .
W. Dittrich and M. Reuter, Berlin, 1992) } . Ù
þ
?
(è
«I
?
Ù
mI
Jè
}A
«I!¸
½?
JI
#I;è
©è
A
Ù
¸
}
Ù
X¸
þ
«7
Ù
A
mI
Jè
A