Ciò che ci ha salvato potrebbe ora estinguerci Qualsiasi persona legga le idee di Rousseau sullo stato di natura, una condizione in cui gli uomini vivevano liberi, felici, sani ma, soprattutto, perfettamente integrati col mondo circostante, ben presto si renderà conto di come tutto il ragionamento sia puramente teorico e, in particolar modo, non potrà fare a meno di notare come lʼidea presentata dal filosofo abbia due difetti principali. Il primo è che altro non si tratta se non di unʼipotesi altamente improbabile: è evidente che tale stato di natura non sia mai esistito ed è ben più verosimile che la tecnica fin da principio abbia accompagnato ogni passo della razza umana. Il secondo, non meno rilevante, è che lʼuomo con la natura non ha mai avuto un buon rapporto, se non altro da quando lo si definisce sapiens. Come ben si espresse Solly Zuckerman, studioso dellʼevoluzione umana, «la tecnologia è sempre stata con noi. Non è qualcosa al di fuori della società, qualche forza esterna dalla quale veniamo sospinti...la società e la tecnologia sono...riflessi lʼuna dellʼaltra». Lʼuomo, in quanto essere razionale, è dunque inscindibile dalla scienza, dalla tecnica e dalla razionalità e si può ben dire che ne abbia sempre fatto un uso smodato. Grazie a esse non si è estinto, è riuscito a prevalere su animali ben più imponenti e potenti, è stato in grado di avere la meglio su altre specie e, soprattutto in tempi recenti, di arrivare a equiparare le forze naturali. Paul Martin, biologo, dopo aver osservato che lʼestinzione di almeno settanta generi di mammiferi nel Mondo Nuovo coincideva con lʼarrivo, tredicimila anni fa, degli umani, iniziò a studiare lʼatroce impatto che lʼuomo ebbe sul mondo, fondando così la teoria del Blitzkrieg. Egli sostiene che allʼepoca in cui gli uomini sbarcarono per la prima volta in America già si erano impossessati di quella tecnologia che permise loro di abbattere animali di grosse dimensioni ad una distanza sicura per non subire danni. «Eʼ molto semplice. Quando gli umani sono usciti dallʼAfrica e dallʼAsia e hanno raggiunto le altri parti del mondo, si è scatenato un inferno». Lʼuomo, e ancor più la sua tecnologia, ha avuto fin da principio un impatto immane sulla terra. Il problema è che se ne è resto conto solo in tempi recenti. Proprio in una tale direzione di pensiero Albert Einstein scriveva le seguenti parole, nel suo libro “Pensieri degli anni difficili”: «Direttamente e ancor più indirettamente la scienza produce strumenti che hanno completamente trasformato lʼesistenza umana». Aveva senza dubbio ragione; restano tuttavia ancora due punti da chiarire: come ne verrà trasformata la nostra esistenza e, soprattutto, occorre specificare che non è stata solo la razza umana ad uscirne modificata, ma ogni specie che abita il pianeta. Eʼ forse tempo di rendersi finalmente conto di una verità molto semplice: la natura e lʼumanità sono sempre state in conflitto. Fin da principio la razza umana ha cercato di distaccarsi da essa. Ci provò inizialmente creando una moltitudine di religioni differenti. Il cristianesimo, per esempio, con la sua visione antropocentrica del mondo, il suo amore per tutto ciò che è trascendente e il disprezzo pressoché totale per ogni cosa materiale, è un lampante esempio di come lʼuomo abbia tentato di marcare un confine fra la natura e se stesso. Oppresso dalle forze fisiche, incapace di contrastare adeguatamente le manifestazioni naturali, lʼuomo le ha fin da principio classificate come antagoniste, nemiche. La religione gli fu dʼestremo aiuto nel compito di esorcizzarle, ma le religioni non si evolvono, essendo legate a dogmi, mentre la storia umana si. Nuovi problemi sorgono, e le vecchie risposte divengono sempre più inadeguate e meno efficaci per risolverli. Ecco allora che un nuovo protagonista entrò in scena: la scienza, che contribuì a distaccare lʼuomo dal mondo naturale definitivamente. In breve tempo egli si è così trovato di fronte a due differenti modi di interpretare la realtà: quello scientifico, razionale, che portava ad un immenso ampliamento della conoscenza umana, e quello religioso, irrazionale,
fanciullesco, ricco di incorrettezze ed errori. Come scrisse Lucrezio, «la religione fu così calpestata sotto i piedi mortali e quella vittoria ci solleva alle stelle». Quella vittoria, non solo sollevò lʼuomo alle stelle ma anche ad una più ampia e completa visione della vita. La scienza smise ben presto di occuparsi solamente della costruzione di utensili e iniziò a dedicarsi a campi ben più ampi. Tentò di spiegare i fenomeni naturali e, ad un certo punto, divenne lei stessa una sorta di religione. Con la differenza che nellʼambito religioso cʼè gente che si professa atea, agnostica, scettica. In campo scientifico quasi nessuno. Lʼuomo ebbe subito una fede indiscutibile nel progresso, mostrò fin da principio una sorta di misticismo verso la tecnica. Solo recentemente ha messo in dubbio il bene che essa può aver fatto alla razza umana. La tecnica gli permise di evolversi. Lʼinvenzione della parola di comunicare, quella della scrittura di distruggere le barriere del tempo. Egli imparò a diventare quasi totalmente innaturale, a scordarsi del tutto del suo debole legame con la natura. La tecnica, che un tempo ci salvò dallʼestinzione, potrebbe oggi portarci alla scomparsa. Proprio ora, nel momento in cui lʼuomo pare aver acquisito più forza che in qualsiasi altra epoca, nel momento in cui egli mostra di poter avere sul mondo un impatto pari a quello di un terremoto, una potenza superiore a quella di un vulcano, ciò su cui più di ogni altra cosa aveva basato la sua intera esistenza, la tecnica, inizia a mostrarsi per quello che è: unʼarma a doppio taglio. Fino ad oggi è stata lei a salvarlo da una possibile catastrofe. Come già è stato detto le lance e i prodigi tecnologici di età primitive hanno permesso ai primi homo sapiens di non venire sbranati da animali agili ed enormi. Ma oggi le tecnologie si fanno sempre più complesse e, al contempo, più pericolose, mettendo in discussione lʼesistenza del genere umano. La scienza ha da molto tempo mostrato come lʼuomo, al contrario di quanto si credeva in tempi remoti, non sia al centro del mondo e un volume recentemente definito dal TIME come il miglior libro di saggistica del 2007, “Il mondo senza di noi” (Alan Weisman), mostra come la terra possa fare a meno di noi: occorrebbe alla natura meno tempo di quanto pensiamo per distruggere ogni nostra creazione e cancellare per sempre ogni traccia dellʼantica presenza di unʼumanità. Eʼ arrivato il momento che lʼuomo si renda più consapevole e la faccia definitivamente finita con questo mito del progresso, capisca che così come la tecnologia ci può salvare ci può anche distruggere. Eʼ ora che lʼuomo non pensi più solo alla tecnica in positivo, ma ne analizzi anche nel dettaglio i cambiamenti negativi a cui essa può portare. Eʼ arrivato il momento che lʼuomo non si limiti solo ad analizzare i cambiamenti immediati a cui le innovazioni portano, ma anche i cambiamenti sociologici che esse introducono in una società. Come disse Neil Postman “Non voler capire che la tecnica provoca dei cambiamenti sociali, continuare a sostenere che è neutrale, illudersi che sia sempre amica della cultura, è stupidità pura e semplice. [...] La coscienza pubblica non ha ancora assimilato il fatto che la tecnica è unʼideologia.” Non possiamo più permetterci uno sviluppo e delle innovazioni tecniche senza prima sapere dove esse ci porteranno. Lʼabbiamo fatto in passato, e i danni si sono visti. «Ogni racconto ha bisogno di una fine, oltre che di un inizio», scrive McEwan in “Blues della fine del mondo”, «e il racconto dell'umanità si alimenta da sempre al mito di un'apocalisse gloriosa. In realtà nessuno verrà a salvarci, dovremo pensarci da soli.» Eʼ tempo per lʼuomo di rallentare la sua perenne corsa al progresso, la sua perenne ansia di innovazione. Ora deve iniziare a sedersi. Sedersi, e riflettere. Filippo Corti