La Civiltà Contro La Criminalità.

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La Civiltà contro la Criminalità. La mafia non è il fenomeno oscuro sempre polemizzato, ma non è neppure un fenomeno di 'arcaicità'. Questa seconda visione, cinematografica e spettacolare, non è a sua volta veritiera: suggerisce che la mafia consista solo nel collocare in assolate campagne siciliane qualche rara persona con una coppola in testa la quale, da dietro un fico d’India, sia pronta a sparare con un fucile a canne mozze. Del resto una delle origini etimologiche del termine trova riscontro nel “Movimento Anti Francese” che tra il 1700 fino all’unità d’Italia era espresso nel Regno delle Due Sicilie dalla resistenza di tutto il suo popolo per evitare di essere assoggettati dalla dominazione Francese che era alle porte, ed allora non si trattava certo di criminalità ma della naturale resistenza dei valori di civiltà di un popolo che si vedeva minacciato da un popolo invasore. Naturalmente l’antropologia non può limitarsi a territori netti, definiti, ma deve rischiare la contaminazione, deve avventurarsi negli ‘inferni’. L’antropologia non è una scienza pacata che sollecita e induce rasserenamenti, deve invece assumere la contraddittorietà del reale per cercare di spiegarla, o almeno per fornirne alcune chiavi interpretative. E cosi convenzionalmente definiamo mafia qualunque fatto criminoso soprattutto se organizzato. Ed allora pensiamo sia corretto, e fortunatamente lo è nel linguaggio criminologico, giuridico, parlare più esattamente di criminalità organizzata di fronte ai fatti criminosi che si verificano nella nostra società specie se di tipo organizzato e mettiamo da parte le visioni cinematografiche ed evitando le speculazioni concettuali che sempre invece hanno fatto comodo proprio alla criminalità. La cultura di un paese è il suo tessuto connettivo, nel bene e nel male. A volte può dare un precipitato perverso, come in questo caso, ma bisogna avere il coraggio di assumere la specificità culturale, che di per sé non è né una colpa né un merito bensì un dato storico e modificabile; inoltre le diversità culturali, anche quelle rapportabili alla mafia o ad altri fenomeni degeneri, costituiscono in parte la ricchezza di un paese. Ciò significa che, in una società multietnica e multiculturale, bisogna individuare quali valori sono tali da potere essere condivisi da tutti nel senso proprio di guida

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per l’azione - di meta culturale - e quali devono invece essere combattuti perché negativi, portatori di morte e di sopraffazione, ostacoli permanenti alla vita associata. Oggi c’è una consapevolezza maggiore e c’è un maggiore senso della necessità di opporsi al fenomeno a livello di società civile. Tale tendenza viene spesso segnalata in maniera retorica e predicatoria, ma bisogna comunque sottolineare la presenza di questi momenti e di questi nuclei di aggregazione, allo stesso modo in cui ci rendiamo conto dei mali a cui essi si oppongono. In una società come la nostra, nella quale coesistono tanti filoni che possiamo non necessariamente identificare come politici ma più propriamente come industriali, per conseguire un determinato fine si cercano degli accordi - bonariamente definiti "di sindacato" - che in realtà hanno scopi di tipo essenzialmente criminoso. Se ciò corrisponde a verità, allora la lotta non può essere effettuata solo a livello socio-intellettuale ed esclusivamente in determinate aree, ma deve investire tutta la società italiana e quella occidentale in genere. Abbiamo il dovere di essere protagonisti di una lotta alla criminalità organizzata, per le stesse ragioni etico-politiche, di contrastare tutti quegli altri atteggiamenti che non rientrano nella norma del rispetto reciproco e del rispetto delle regole che ci siamo dati. E’ convinzione ormai, finalmente, comune che si potrà sconfiggere, o perlomeno limitare in maniera precisa, il fenomeno della criminalità organizzata quando si daranno risposte alle domande che lei pone, cioè risposte a quelle domande di sicurezza, che tutti i cittadini vogliono nella quotidianità. La storia ci ha mostrato come uno dei possibili metodi per sconfiggere la criminalità organizzata è il pentitismo. Ma sempre la storia ci mostra come non sia possibile sconfiggere definitivamente alcune forme di criminalità organizzata. C'è la necessità di ridurre il tutto in termini fisiologici. Ogni società sviluppata fa i conti con forme di criminalità organizzata. L'obiettivo è quello di ridurre al massimo l'incidenza della criminalità organizzata. Per le forme di criminalità organizzata il ricorso allo strumento del pentito - che non è una categoria dello spirito, ma è una persona che decide di collaborare e di dire le cose che sa - è stato sicuramente importantissimo e determinante per arrivare a scoprire, dall'interno, meccanismi, logiche e funzionamento.

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I pentiti sono una serie di persone, più di mille oggi, che per motivazioni diverse hanno scelto di collaborare. Collaborare significa dare qualche cosa per avere qualche altra cosa in cambio. Questo non significa che si debba credere ai pentiti come se fossero un Vangelo. Normalmente si cerca di andare a trovare i riscontri. Nell’attuale contesto è assolutamente necessario una revisione dei meccanismi del pentitismo, che però salvaguardi lo strumento del collaboratore di giustizia. Pur con tutti gli aggiustamenti che sono necessari per evitare le disfunzioni, che ci sono state, il pentito è uno strumento indispensabile per contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso. Niente in assoluto, di quello che è umano, possa essere protetto in maniera assoluta. Anche alcuni Presidenti degli Stati Uniti d'America, che sono protetti molto attentamente, sono stati assassinati. Le stragi di Capaci e di Via d'Amelio hanno dimostrato che avevamo a che fare con organizzazioni in grado di portare attacchi frontali allo Stato. Lo hanno anche dimostrato nel '93, mettendo bombe a Milano, a Roma, a Firenze, in un'ottica che era quella di sfidare lo Stato. Questa è la caratteristica della criminalità organizzata - e quando diciamo mafia diciamo un sistema criminale integrato tra mafia, camorra, Sacra Corona Unita e ndrangheta - nei cui confronti però lo Stato, dal '91 in poi, ha fatto sicuramente tanto. Una delle cose che ha fatto è stato quello di prendere spunto dall'esperienza di Falcone e Borsellino per trasformare la lotta in una lotta di organizzazioni alle organizzazioni. In quest'ottica è nata la Sezione Investigativa Antimafia; in quest'ottica sono nate le Procure Distrettuali Antimafia; in quest'ottica è nata e si è sviluppata la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga. Sono organismi interforce in cui ci sono carabinieri, polizia e guardie di finanza. Mettendo assieme energie e professionalità, mettendo al lavoro una struttura organizzata, si possono ottenere grandi risultati, risultati che in questi anni sono sotto gli occhi di tutti. La criminalità organizzata, in particolare quella che viene chiamata Cosa Nostra siciliana, ma anche la ndrangheta e la camorra, sono state fortemente caratterizzate, nel corso degli ultimi anni, non solo da una grande potenza militare, non solo da una grande potenza di reinvestimeto di capitali di provenienza illecita, ma anche dalla capacità di instaurare un certo tipo di rapporti con spezzoni della politica, con uomini della politica, non con la politica in genere, né con tutti i partiti politici, e rapporti con qualche spezzone delle istituzioni. Questa capacità ha fatto diventare le organizzazioni

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criminali nel nostro paese un momento patologico. Qualsiasi società economicamente sviluppata si deve confrontare con meccanismi di criminalità organizzata, perché la criminalità organizzata ha lo scopo di lucro e quindi tende a far soldi e dove l'economia è sviluppata i soldi ci sono e i soldi si fanno. E' assolutamente importante però recidere questa possibilità di avere questo tipo di rapporti, di avere questo tipo di infiltrazioni tra criminalità organizzata e politica. Quando si riuscirà a far questo, potremo dire di aver ridotto il fenomeno a un momento fisiologico, cioè a un momento con il quale si può continuare a fare i conti, uscendo da una situazione di patologia quale è stata - e qual' è, per alcuni versi, ancora in questo momento. Diciamo che ci sono collusioni, queste collusioni da parte di singoli sono emerse in tutte le realtà. Si potrebbe rispondere: come si fa allora a lavorare se non dovessimo fidare, se non potessimo fidarci di tutti coloro che lavorano con noi? Di certo c'è una necessità: bisogna aver fiducia nello Stato, bisogna aver fiducia nelle istituzioni. Crediamo che sia importante schierarsi. Se si vuole avere giustizia bisogna credere nel concetto che ci sarà pure un giudice onesto. Perché, se non si crede in questo concetto, bisogna rassegnarsi a subire l'ingiustizia, e, quindi, la scelta è tra il continuare a subire l'ingiustizia giorno per giorno, oppure credere che ci sino poliziotti, carabinieri e finanzieri onesti, come ce ne sono, e ce sono tanti, e sono la maggior parte, e credere che ci sia un giudice onesto. Questa è la sfida. In questa sfida bisogna credere. Di certo ci vuole coraggio. Però se non ci si crede tutto diventa più difficile. Ognuno di noi è uomo con tutti i pregi e con tutti i difetti. Crediamo che raccogliere la sfida di stare dalla parte della legalità significa, ogni qual volta che è possibile, mettere in discussione se stesso in difesa, non tanto del singolo, che in quel momento ha bisogno di aiuto, ma in difesa di quella società a cui tutti apparteniamo. Lo Stato nel Meridione mostra molto più spesso la faccia feroce che la faccia di uno Stato che c'è e che aiuta. Però chiediamoci anche se noi abbiamo sempre visto nello Stato, noi meridionali in particolare, abbiamo sempre visto nello Stato un qualcosa di distante e di lontano, un qualcosa che sta altrove, un qualcosa che è diverso da noi, una vacca da mungere, un qualcosa a cui ricorrere quando si ha bisogno. Lo Stato siamo tutti, e lo dobbiamo essere momento per momento. Non si chiede a nessuno di essere eroe, però o si crede nella possibilità del cambiamento e quindi ci si impegna ognuno per la sua parte, oppure si dà per certo che bisogna rassegnarsi a vivere sempre peggio. Questa è la sfida. Non che ognuno deve necessariamente fare l'eroe e aspettare a ogni

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fermata di autobus uno scippatore per andarlo a prendere. Ma semplicemente: "comportati in queste situazioni come tu desideri che gli altri si comportino nel momento in cui tu vieni scippato". C'è un problema di omertà. Lo Stato deve riuscire a capirlo. A volte è la paura che crea questo muro di silenzio. Lo Stato sta cercando - mai come nel corso degli ultimi sei, sette anni - di dare risposte sempre più precise alle richieste di sicurezza che provengono da parte di tutti i cittadini. E' assolutamente necessario che ogni cittadino sappia che lo Stato, da solo, non può fare tutto. Perché una persona venga condannata occorre che ci sia qualcuno che vada a testimoniare; perché una persona venga arrestata occorre che ci sia qualcuno che vada a fare la denunzia. Lo Stato non è dietro ogni lampione. Guai se fosse così, con tutta una serie di telecamere, come un "grande fratello" che controlla tutti quanti. Nessuno di noi vorrebbe una cosa di questo genere. Rispetto ai singoli fatti criminosi è necessario che, da parte del singolo cittadino, ci sia un qualcosa in più. Ci rendiamo conto che è assolutamente difficile chiedere un qualcosa in più ai singoli cittadini nel momento in cui lo Stato sembra assente o mostra la sua faccia feroce. Non si può risolvere il problema della grande e della piccola criminalità solo attraverso gli interventi di tipo repressivo. Ci sono una serie di interventi che riguardano il mondo del lavoro, l'occupazione, la sanità, l'edilizia, ecc. E' chiaro che, se non c'è questo, i carabinieri, i poliziotti, i finanzieri e i magistrati non bastano. E' una cosa su cui ognuno di noi deve dare un minimo di partecipazione, perché se non c'è questa partecipazione da parte dei singoli, poco potrà cambiare. Crediamo che la vera criminalità organizzata - ma questo non per fare gradazioni di pericolosità - sia qualcosa di molto più pericoloso di quello storico movimento anti francese da cui ha origine la parola mafia. La criminalità organizzata è un sistema criminale che è in grado, in certi momenti, di porsi come antagonista allo Stato, di porsi come anti-Stato, di porsi come soggetto che ritiene di poter contrastare lo Stato. Le bombe del '93, tra le altre cose, avevano anche l'obiettivo di sfidare lo Stato sul problema del 41 bis, cioè dell'isolamento per i detenuti per criminalità organizzata. Questa è la vera criminalità, che magari è quella che non si vede per le strade, che magari è quella che scopriamo all'improvviso essere il nostro vicino di casa o il professionista che noi conoscevamo come persona per bene. La criminalità organizzata è quella che non si vede, che però, quando si vede, fa male, come quando fa

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le stragi. Quello che deve essere chiaro è che si può criticare lo Stato, perché pagando tutti le tasse abbiamo tutti diritto di criticare lo Stato e chiedere allo Stato di fare sempre qualcosa di più. Però, per chiedere allo Stato di fare qualcosa di più, soprattutto sul tema della sicurezza, bisogna cominciare a dare qualcosa in prima persona. Capita spesso di sentire parlare di "vecchia mafia" e "nuova mafia". Non esiste la "vecchia mafia" e la "nuova mafia". Esiste la criminalità, che però è cambiata nel tempo perché si è adattata ai cambiamenti dell'economia e della società in genere. La mafia è, dapprima, agricola, perché l'economia in quel periodo era agricola. Personaggi emblematici di questa fase sono il famoso Don Calò Vizzini e Genco Russo. Questi erano l'espressione di una mafia che aveva un forte interesse soprattutto verso il potere. In questa fase storica il potere viene avvertito come la più appetibile delle conseguenze dell'essere mafioso: anche il denaro è importante, ma ha una dimensione secondaria. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si avvia in tutto il paese, e naturalmente anche in Sicilia, la ricostruzione edilizia. La mafia scopre un nuovo affare, una nuova possibilità di fare molti soldi, intervenendo nella speculazione edilizia, ossia nella parte distorta della ricostruzione. In questo momento storico si cominciano a saldare i rapporti con la politica e con la pubblica amministrazione. La mafia non può non avere un rapporto con la pubblica amministrazione, perché altrimenti non riuscirebbe a far variare i piani regolatori secondo le proprie convenienze, riuscendo a farla franca pur violando le regole. In una fase successiva, che va collocata storicamente intorno alla metà degli anni Settanta, già alcune famiglie mafiose si dedicavano al traffico degli stupefacenti. In quel periodo Cosa Nostra, nel suo complesso, decide di entrare in massa in questo grande traffico. Il salto di qualità c'è stato col traffico degli stupefacenti, e quindi con la disponibilità di enormi capitali, guadagnati con questo traffico di morte - la droga è morte - e quindi con il riciclaggio e il reinvestimento anche nell'economia "legale" di queste somme guadagnate col traffico illecito. Questo percorso della mafia ha una continuità, che segue i mutamenti e i cambiamenti dell'economia. Gli appalti sono una ulteriore presenza mafiosa nel campo dell'edilizia. Le imprese nate per costruire palazzi a un certo punto si sono avventurate in questo settore, che è lucrosissimo, in quanto vengono investiti, per dare opere pubbliche ai cittadini - strade e quant'altro - migliaia e migliaia di miliardi di danaro pubblico. Non dobbiamo credere che la mafia sarà sconfitta, un giorno, soltanto

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con l'opera della magistratura e delle forze della polizia. La soluzione del problema comporta necessariamente il massimo di efficienza da parte di magistratura e polizia. Guai a indebolirle: sarebbe un disastro. Accanto e insieme a questo occorre una grande scelta politica di fondo e, soprattutto, una grande opera di cultura della legalità per le nuove generazioni. Che cosa può fare il singolo? Vi è la necessità di stabilire che il pilastro fondamentale della democrazia risiede tutto nel rispetto delle regole, cioè nella legalità. La legalità conviene. Gli appalti pubblici, ad esempio, se sono gestiti rispettando le regole, senza corruzione e senza cedimenti nei confronti della mafia, costano dieci volte meno. La legalità conviene anche da un punto di vista economico. L'evasione fiscale non è una forma di illegalità? In Italia è enorme. Questo comporta che quelli che pagano le tasse, ne pagano un pezzo in più per compensare il mancato afflusso da parte di quelli che le tasse non le pagano. Se tutti le pagassimo, tutti pagheremmo meno. La scommessa vera, in un paese democratico che vuole crescere come l'Italia che va in Europa, è quella di formare le giovani generazioni alla cultura della legalità. La certificazione antimafia ad un certo punto si era risolta in una iperburocratizzazione del rilascio, con conseguenze anche talvolta paradossali e comunque di appesantimento di tutte le procedure. Allora si è pensato di ricorrere all'autocertificazione per semplificare i procedimenti amministrativi, che erano diventati ormai assolutamente non moderni, non efficienti. Occorre una gestione diversa da parte del potere politico e dell'amministrazione della gestione degli appalti. Non è facile, perché, come è superfluo ricordare, spessissimo le imprese mafiose si creano una parvenza di legalità mediante i famosi "prestanome", che sono persone magari apparentemente degnissime. Rispetto al lassismo che c'è stato in passato, che è stato talvolta vergognoso, si vede che già si sono fatti molti passi avanti e che altri se ne faranno. Non c'è dubbio che tra tutte le operazioni che riguardano le attività mafiose dal punto di vista dell'investigazione, la più difficile da scoprire è quella del riciclaggio, perché si ricorre a strumenti anche modernissimi. Il denaro, sapete benissimo, "ha le gambe di una lepre". Adesso, con le operazioni telematiche, girano capitali ingentissimi da un continente all'altro. Quindi è molto complicato fare queste indagini. In Italia non avevamo una legge sul riciclaggio, che

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prevedesse comportamenti e sanzioni. Questa legge adesso c'è da diversi anni, dai primi degli anni Novanta. Non ha funzionato molto bene e quindi è una legge che merita un'attenta riflessione sull'esperienza negativa, che si è fatta, per cercare di correggerla e migliorarla. E' questa l'unica strada possibile. Per quanto riguarda il discorso del segreto bancario, spesso anche questo dà adito a qualche confusione. Per il giudice penale il segreto bancario non esiste in Italia. Questa è una cosa che molti non sanno. Chi fa il procuratore della repubblica, colui che in genere gestisce le indagini sulle organizzazioni criminali, ha accesso -a determinate condizioni, autorizzato dal giudice delle indagini preliminari - ai conti bancari. Quindi, per il momento di indagine, non esiste il segreto bancario in Italia. Toglierlo completamente, con una maggiore dimensione, è una scelta politica delicata. Ci sono due scuole di pensiero sull'argomento e francamente non ci sentiamo di sposare al cento per cento la causa di chi vuole abolire totalmente il segreto bancario. Tra l'altro non è una particolarità italiana: in tutti i paesi occidentali, capitalisti, dove il sistema creditizio è al centro della dinamica del mercato, vi sono forme di segreto bancario più o meno, talvolta strettissime. Si fa sempre l'esempio della Svizzera eppure molto accortamente, pur avendo una tradizione di segreto bancario molto severa, aprirono i conti e trovammo una serie di riscontri e di prove che poi hanno portato alla condanna di molti criminali. L'ecomafia è oggi la novità. Questo è un settore che gli ambientalisti hanno messo in evidenza. Lega Ambiente, in particolare, ha fatto degli studi molto interessanti. Si è scoperto veramente qualche cosa, che solo fino a poco tempo fa era abbastanza sconosciuto e si apre un nuovo grande tema alla risposta repressiva. Un'altra attività di cui non avevamo parlato è quello dell'estorsione, che è l'attività classica, anche perché è lo strumento attraverso il quale si garantisce il controllo del territorio, che è la base fondamentale del potere intimidatorio della mafia. Il ricavato dell'estorsione, dal punto di vista economico, è notevolissimo. Nell'estorsione c'è un ricavato molto importante anche in termini di potere, perché l'imposizione del pizzo, in maniera capillare, dà una prevalenza all'organizzazione mafiosa, di presenza sul territorio, a discapito della presenza istituzionale. Se noi riuscissimo, attraverso le forze di polizia, ad avere un controllo del territorio, il pizzo non lo pagherebbe nessuno. La minaccia di un attentato rimarrebbe

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tale se il controllo del territorio fosse perfettamente in mano alle istituzioni. Invece il pizzo è diventato una sorta di polizza d'assicurazione che il povero imprenditore paga nei confronti del carnefice, affinché il carnefice non diventi tale. Questa possibilità che il carnefice diventi tale è legata dal fatto che il controllo del territorio rimane ancora oggi il presupposto fondamentale della struttura di potere, che è una delle componenti essenziali dell'organizzazione criminale. Quindi nell'estorsione non solo è importante l'aspetto del profitto, che l'organizzazione consegue, ma è importante l'aspetto del potere che questo garantisce all'organizzazione: sono sempre due cose che si saldano sempre. L’enorme quantità di danaro, guadagnata illegalmente, deve essere riciclata e inserito nell'economia legale. A ciascun miliardo - e qui parliamo di migliaia l'anno - corrisponde, guadagnato col traffico di armi, oltre che di droga -, corrisponde un miliardo inserito nell'economia legale. Questo è un dato certo, perché se non lo si inserisce nell'economia legale non sai cosa fare di quel danaro. In quelle dimensioni la funzione del danaro è quella di assicurare altro profitto. Viene investito perché deve garantire altri ricavi. Allora è facile pensare che la quantità di capitali, di provenienza illecita, inseriti ormai nel circuito dell'economia legale, è apprezzabile. Non è poco. Allora il problema si pone nel riuscire a fermare il riciclaggio. Occorrono leggi sul riciclaggio, perfezionate e affinate. L'aspetto repressivo è fondamentale - per impedire che se ne riversi continuamente altro - con effetti nefasti per la salute dell'economia. La possibilità che il crimine ha avuto di divenire impresa, può derivare anche dalla lentezza burocratica e probabilmente avrà trovato anche delle agevolazioni in questo, ma lì proprio, come dire, lo sviluppo è fisiologico. Questa progressiva organizzazione a modello imprenditoriale è derivata dalla capacità - che è una delle caratteristiche più significative della mafia - di adattarsi al mutamento dell'economia, del contesto sociale ed economico in cui opera. Il vero ruolo della democrazia è stato sicuramente quello di aver lasciato, al suo interno, porte aperte agli interessi mafiosi. Adesso non prendiamocela con tutta la burocrazia, perché le generalizzazioni sono sempre il peggior modo di esprimere un giudizio. Mentre sul rapporto tra mafia e politica si è intuito, denunciato e adesso anche dal punto di vista giudiziario, ci si è mossi con qualche risultato apprezzabile, mentre sul rapporto tra mafia e burocrazia si è fatto meno, non perché si è voluto fare meno, ma perché le opportunità investigative

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sono state minori. La burocrazia ha avuto un ruolo, ma non tanto perché è lenta, bensì perché è permeabile in qualche suo ganglio. Abbiamo detto che la mafia e anche le altre organizzazioni criminali sono diventate imprese, per cui all'interno di un'impresa ci sono dei dirigenti, ci sono dei dipendenti. Tant'è vero che spesso, per esempio, i killer materiali non sono altro che persone mandate. Queste persone che sono mandate a fare queste cose, che fanno queste cose, che vantaggi traggono e perché lo fanno? Queste persone vogliono fare carriera dentro l'organizzazione: è molto semplice. Sono gli stessi meccanismi della società legale. Questa gente entra nell'organizzazione mafiosa, e la selezione avviene su questo piano: se sai produrre bene l'eroina e se sai ammazzare. In una società normale avviene se sei uno che sa usare bene il computer o sa organizzare bene un reparto d'azienda. Adesso non so bene quali possano essere i meccanismi selettivi della classe dirigente. Lì è il delitto; non c'è niente da fare. Tutto è costruito sul delitto. Chi diventa mafioso lo fa per accrescere il suo denaro e il suo potere. Molte volte questo accada anche perché lo Stato non è in grado di garantire un futuro, cioè di dare lavoro, e quindi l'attività illegale diventa l'unica fonte di sopravvivenza. Molti giovani sono indotti a fare questa scelta per mancanza di un alternativa di lavoro legale: questo è un dato scontato. Ecco perché, in quadro sulla strategia politica complessiva, di lotta seria fino alla sconfitta della mafia, indubbiamente l'argomento del lavoro, specialmente nel Mezzogiorno, è una delle grandi scommesse da vincere. Diciamo una cosa, che può anche sembrare banale: se avessimo una occupazione legale garantita ai giovani, del cento per cento, probabilmente la mafia farebbe più fatica a reclutare manovalanza. Questo è quasi sicuro, e scusateci se può apparire banale.

Catania, 03 Maggio ‘07

Gaetano La Tella

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